XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 767 di lunedì 27 marzo 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 22 marzo 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

      (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Aiello, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Caso, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Faraone, Fava, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garavini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Migliore, Nicoletti, Orlando, Picchi, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Sarti, Scalfarotto, Valeria Valente, Velo e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data odierna, il deputato Michele Mognato, già iscritto al gruppo parlamentare Partito Democratico, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista.

La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver raccolto la richiesta.

Discussione della proposta di legge: S. 119-1004-1034-1931-2012 - D'iniziativa dei senatori: D'Alì; De Petris; Caleo; Panizza ed altri; Simeoni ed altri: Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (A.C. 4144-A); e delle abbinate proposte di legge: Terzoni ed altri; Mannino ed altri; Terzoni ed altri; Borghi ed altri (A.C. 1987-2023-2058-3480) (ore 14,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dal Senato, n. 4144-A: Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette; e delle abbinate proposte di legge nn. 1987-2023-2058-3480.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 24 marzo 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 24 marzo 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4144-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Enrico Borghi.

ENRICO BORGHI, Relatore. La ringrazio, signor Presidente. Onorevoli colleghi, ci accingiamo, come Camera dei deputati, ad affrontare l'esame di un provvedimento da tempo atteso nel sistema della protezione della natura e della valorizzazione del patrimonio naturale, culturale, paesaggistico, ecologico del nostro Paese, in considerazione di una esigenza di fondo, che oggi la Camera è chiamata a dovere adottare nel recepire, migliorare ed integrare il lavoro già condotto in maniera positiva dai colleghi del Senato, cioè la possibilità di attribuire agli enti di gestione dell'11 per cento del territorio nazionale un meccanismo di governance che sia più efficiente, che sia più moderno, che sia più in linea, da un lato, con le esigenze di una capacità di tutela effettivamente in grado di esplicare in maniera coerente, in maniera efficace le previsioni che ad essa sono riferite, e, dall'altro, anche di fare in modo che la politica dei parchi, nel nostro Paese, si inserisca all'interno del contesto storico che stiamo attraversando e che fa dell'ambiente uno degli asset fondamentali per la qualità della vita, per lo sviluppo sostenibile e, in definitiva, anche per il futuro del Paese.

Noi stiamo, in qualche misura, rimettendo mano ad una legge, signor Presidente, che il nostro Paese ha avuto troppo tardi rispetto a quanto si sarebbe dovuto legiferare: la legge quadro sulle aree protette risale al dicembre del 1991 e cioè alla fine di un percorso, di un dibattito culturale, di una temperie politica, che da tempo chiedeva che il Paese si dotasse di una disciplina organica rispetto all'esigenza di porre sotto tutela un patrimonio di carattere naturalistico, ambientale, paesaggistico, che rischiava, secondo le dinamiche di sviluppo che imperavano in quel frangente nel nostro Paese, di essere depauperato, pesantemente intaccato o addirittura definitivamente consumato. Quindi, quella legge scontò, in qualche misura, questa impostazione, che faceva di una esigenza sostanzialmente difensiva una logica di protezione di governo e di tutela di questi territori, immaginando che le aree protette dovessero nascere per circoscrivere il resto di uno sviluppo, che rischiava di consumare tutte le risorse naturali attribuite al Paese.

Era l'epoca del fordismo, era l'epoca dell'industrializzazione, era l'epoca dell'impiego illimitato senza pianificazione, senza regole, del capitale naturale e del suolo del nostro Paese e, quindi, era anche giusto che in quel contesto sociale, in quel contesto culturale, in quel contesto politico, nascesse una legge con questi presupposti e con questo tipo di impianto culturale.

C'è da dire che è stata una legge che ha dato delle risposte importanti. Noi possiamo dire, a consuntivo, che avere istituito 23 parchi nazionali, aree marine protette, parchi regionali e avere messo sotto tutela quasi l'11 per cento del territorio nazionale è stato un risultato significativo.

Questa legge ha anche consentito di potere progressivamente affrontare e anche positivamente risolvere una delle questioni che inizialmente stava alla base di momenti di conflittualità e di scontro tra il legislatore e le collettività locali, cioè il fatto che questi strumenti venissero pensati e addirittura imposti a collettività locali che, in alcune realtà, hanno dato vita anche a dei fenomeni di rigetto.

Al contrario, vi sono state altre situazioni in cui l'elemento dell'area protetta e lo strumento dell'ente parco è stato correttamente interpretato, a livello territoriale insieme con il livello nazionale, come un elemento per il quale anticipare un percorso, che oggi noi riteniamo di dover introdurre in termini di principio, in termini di sostanza, all'interno di questo strumento legislativo, cioè il fatto che oggi si possa consentire di immaginare che il percorso legato allo sviluppo sostenibile, alla green economy, alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio ambientale sia un percorso attraverso il quale l'Italia si dà il proprio modello di sviluppo e si dà una nuova modalità con la quale è in grado di reggere la sfida della competizione dei mercati globali e attraverso il quale le proprie aziende possono innovare, accedendo a questo tipo di percorso, che peraltro è un percorso a forte valorizzazione di valore aggiunto dal punto di vista produttivo, oltre che a riscoprire una identità profonda del nostro Paese, che rimanda anche alla ricostruzione di un percorso di economia, che è in atto nel nostro Paese, che noi crediamo, attraverso adeguate modalità che pensiamo di aver introdotto all'interno di questo strumento, possano essere sostenute.

È di pochi giorni, ad esempio, signor Presidente, la notizia che lo scorso anno nel nostro Paese sono state costituite oltre 10 mila nuove aziende agricole e il 70 per cento di queste nuove aziende agricole è stato messo in piedi, per così dire, da imprenditori agricoli under 40; ciò a significare, da un lato, che le misure che Governo e Parlamento hanno messo in campo su questo versante hanno prodotto i risultati, ma anche, dall'altro, che sta nascendo, legato al tema della sensibilità ambientale, della tracciabilità, del chilometro zero, dell'agricoltura ecologica, una nuova economia.

Ecco, noi crediamo che sia possibile oggi costruire un sistema di protezione della natura, di valorizzazione del patrimonio ambientale del nostro Paese, in connessione con la capacità della nostra realtà di darsi un nuovo modello di sviluppo sostenibile.

Peraltro, a questo siamo chiamati anche per l'attuazione degli strumenti giuridici che abbiamo voluto e che questo Parlamento ha ratificato, in ottemperanza ai trattati di Parigi sulla Conferenza internazionale del clima, così come riconfermati dalla Conferenza di Marrakech di quest'anno. Per raggiungere quei target, quegli obiettivi che ci siamo posti all'interno di quei documenti vincolanti dal punto vista giuridico, noi dobbiamo dotarci di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, noi dobbiamo dare corpo alla via italiana della green economy.

Quale migliore laboratorio se non le aree protette, quale migliore piattaforma sulla quale inventare, sperimentare e innovare le modalità attraverso le quali la tutela della natura non solo non sia un elemento che va a scapito della crescita, dell'occupazione, dello sviluppo, ma che al contrario possa essere un importante motore che riconiuga anche positivamente, riconnette in un termine di alleanza, ecologia ed economia, che hanno lo stesso suffisso e che per troppi anni, per troppi decenni, nel nostro Paese e nell'Occidente avanzato, sono stati vissuti come contrapposti fra di loro.

Questa è una scommessa, vi vorrei dire, culturale prima ancora che politica: immaginare cioè che attraverso un percorso di modernizzazione sia possibile dare una risposta importante lungo questo versante.

Noi abbiamo proceduto, signor Presidente, attraverso un lavoro, credo, intenso - credo ne darà poi conto il presidente Realacci - che ha cercato, innanzitutto, di ascoltare; ascoltare tutti i portatori di interesse, tutte le istituzioni locali, le regioni, i soggetti che a vario titolo, a varia natura e con diverse gradazioni di sensibilità hanno qualcosa da dire, hanno avuto qualcosa da dire, pensano di poter dare il loro contributo all'interno di un documento così importante. E possiamo, senza tema di smentita, dire che la Camera in questa circostanza è stata davvero un palazzo di vetro, assolutamente trasparente, che si è aperto al confronto, al dialogo, all'incontro, non solo all'interno di questa istituzione fisica, ma anche con numerosissimi incontri sui territori che hanno visto la presenza di moltissimi operatori, di protagonisti, di persone, di uomini e donne che vivono quotidianamente questa scommessa della tutela e della valorizzazione delle aree protette nel nostro Paese; quindi, in qualche misura, il lavoro che abbiamo compiuto all'interno della Commissione e che verrà compiuto all'interno di quest'Aula nelle prossime ore, è anche il frutto di un movimento collettivo che ha visto tradursi, all'interno di modifiche, miglioramenti, emendamenti e puntualizzazioni, anche una serie di proposte che sono arrivate da chi lavora sul campo.

Quali sono le principali innovazioni che discendono da questo ragionamento di carattere generale che ho cercato di porre sul campo? Innanzitutto, noi riteniamo che si debba recuperare lo spirito originario della legge n. 394 in rapporto alla creazione di un sistema nazionale di parchi e di aree protette. Era questa la volontà del legislatore nel 1991; successivamente, vari provvedimenti, che si sono susseguiti, hanno smontato questo impianto generale e hanno creato le condizioni per le quali abbiamo avuto due fenomeni. Il primo fenomeno è stato quello della atomizzazione dei parchi nazionali, che sono stati, sì, istituiti, praticamente tutti, tranne uno, della platea della originaria previsione (oggi sono parchi effettivamente operanti e operativi, e uno di questi, il Delta del Po, conosce proprio all'interno di questa norma una modalità peculiare e particolare con la quale possa trovare una sua ulteriore esplicazione e rafforzamento), dicevo, praticamente tutti, tranne uno, il Parco del Gennargentu, sono stati messi in campo, ma, complice una farraginosità burocratica, una logica datata di modalità gestionali e l'assenza di un quadro generale di politica, di strumentazione e di confronto, sono stati immaginati come sorte di isole lasciate a se stesse. E, contemporaneamente, che cosa è accaduto su questo versante? È accaduto che, complice la crisi finanziaria in cui il nostro Stato è caduto e una sorta di rincorsa da parte delle regioni ad accaparrarsi delle competenze che poi, in molti casi, non sono state in grado di poter esplicare, per varie motivazioni, fino in fondo, il sistema delle aree protette regionali è entrato in profonda crisi.

Bene, noi riteniamo che si debba recuperare il concetto dell'unitarietà, in cui parchi nazionali, parchi regionali, aree marine protette siano un tutt'uno di un percorso di tutela, di valorizzazione e di pianificazione dei parchi e delle aree protette del nostro Paese, per partire da questo assunto, cioè che ci sia l'11 per cento del territorio nazionale che concorre in maniera significativa a svolgere una funzione di interesse generale e collettivo per l'intero Paese. Si potrebbe dire, con una battuta, che i parchi sono un bene comune, un bene collettivo dell'intera comunità nazionale, e quindi, in quanto bene comune dell'intera collettività nazionale, devono essere concepiti in maniera unitaria; certo, con le loro peculiarità, con le loro caratteristiche, con le loro situazioni particolari, perché, naturalmente, un'area marina protetta è diversa dal Parco delle Dolomiti bellunesi, sono diversi i territori e sono diverse le realtà, ma dentro un unico concetto di esplicazione di politiche e, soprattutto, dentro un'unica capacità di raccordare un percorso di carattere generale.

E per questo, che è la seconda profonda modificazione che la Camera fa rispetto al testo originario così come ci è pervenuto, signor Presidente, vi è l'introduzione del finanziamento di un piano triennale delle opere pubbliche, delle realizzazioni delle politiche di sviluppo sostenibile che i parchi dovranno realizzare. E noi abbiamo voluto, dentro questo finanziamento triennale, per assicurare un minimo di organicità, di pianificazione degli interventi che andranno nel senso degli investimenti e non della spesa corrente, destinare il 50 per cento di queste risorse esattamente ai soggetti che sono stati maggiormente colpiti dalla crisi finanziaria di questi anni, e cioè i parchi regionali e le aree marine protette, con il vincolo, da parte delle regioni che accetteranno questa scommessa che il Parlamento lancia, di cofinanziare, e quindi di raddoppiare complessivamente, per quanto riguarda la loro dotazione, il budget che lo Stato attribuisce, in maniera tale da assicurare, da un lato, certezza di finanziamenti, dall'altro, una dotazione che sia di una certa qual significatività.

Dopodiché, siamo entrati nel secondo aspetto: dopo avere dato ossigeno, sotto questo punto di vista, alla modalità di sostegno degli investimenti, abbiamo voluto dare gambe alla concretizzazione di questo assunto legato al tema dello sviluppo sostenibile; un tema, peraltro, non nuovo nei dibattiti e nelle deliberazioni di questa Camera, di questo Parlamento, in quanto, come i colleghi ricorderanno, già alla fine del 2015, con un lavoro molto intenso fatto dal Parlamento, in sede di Commissione e in sede di Aula, e con il Governo, avevamo licenziato il cosiddetto collegato ambientale, che introduceva proprio il concetto della green economy, e cioè l'esigenza di poter costruire meccanismi di sviluppo sostenibile attraverso la tutela ambientale e la valorizzazione del patrimonio naturale. Era, ad esempio, all'interno di quel documento, la previsione della cosiddetta Strategia nazionale delle green community: bene, questa legge, all'interno del piano del parco, cioè dello strumento più importante, più vincolante, lo strumento decisivo con il quale un ente parco tutela, valorizza e salvaguardia il proprio territorio ad esso affidato, attribuisce al compito del piano del parco, oltre alla valorizzazione tradizionale, anche il compito dell'esercizio dello sviluppo sostenibile, anche in applicazione, da un lato, della Strategia nazionale delle green community, dall'altro, della Strategia nazionale dell'adattamento climatico, un importante documento, un importante strumento lanciato dal Governo come obiettivo di raggiungimento che ci siamo posti a Parigi e che crediamo debba essere uno dei compiti precipui del nuovo sistema delle aree protette così come esce da questo documento.

Vi è un terzo elemento innovativo, che dà un percorso di strutturalità permanente all'elemento della politica dei parchi e che ci consente di poter dire che questo è uno strumento con il quale noi portiamo una logica di ambientalismo moderno all'interno di questa norma, e cioè che noi passiamo dalla evoluzione del meccanismo delle royalty al meccanismo dei servizi ecosistemici ambientali. Il meccanismo delle royalty è un meccanismo, dal nostro punto di vista, datato, figlio di un'epoca in cui i concessionari si vedevano dare in dotazione un capitale naturale in cambio di poche risorse; qualcuno le ha definite delle elemosine che andavano nella dotazione finanziaria degli enti riceventi e che, per lo più, andavano a sostituire politiche di intervento ordinario o, addirittura, in molti casi, andavano a essere destinati in posta di bilancio di parte corrente.

Noi riteniamo, invece, di dovere andare verso una direzione di tipo diverso, in cui vi sia la possibilità che, attraverso il pagamento dei servizi ecosistemici ambientali, e cioè il fatto che, quando il capitale naturale viene impiegato per finalità di tipo produttivo, i concessionari debbano ritornare risorse che debbono essere impegnate per la tutela, la valorizzazione e la riproducibilità di quel bene collettivo naturale che è alla base dei percorsi produttivi.

E vi è da ultimo, signor Presidente, il tema della governance, e su questo mi avvio alla conclusione. Il tema della governance affronta come naturale compimento questa impostazione, immaginando che, da un lato, vi sia una maggiore capacità di attrarre professionalità di tipo nuovo alla guida e al governo di risorse di questa natura.

Noi facciamo la scelta di rompere un sistema chiuso, un sistema autoreferenziale, un sistema che rischiava di diventare sterile dal punto di vista della dotazione di personale umano, per quanto riguarda una figura così importante come quella dei direttori: andando ad abolire l'albo dei direttori e aprendo alla possibilità, attraverso selezioni ad evidenza pubblica, attraverso qualificazioni di carattere universitario, attraverso qualificazioni di carattere professionale e ambientale, di attingere alle migliori professionalità del settore, per fare in modo che vi siano soprattutto giovani generazioni, che si sono formate in questa direzione, a dirigere questi enti parco.

Contemporaneamente, riteniamo estremamente interessante l'impianto che ci arriva dal Senato e che ci sentiamo di dover confermare, in cui vi è un equilibrio fra tutti i soggetti che concorrono alla realizzazione e alla costruzione di un percorso di governo di questa natura: e cioè che lo Stato, le comunità locali e gli operatori professionali che operano, che vivono, che lavorano grazie alla tutela, alla valorizzazione del patrimonio naturale, siano chiamati insieme a concorrere all'applicazione delle politiche di tutela e di gestione.

Queste sono in linea di principio, signor Presidente, le caratteristiche più rilevanti di uno strumento di questa natura, che si compendia di una serie significativa di articoli, che arrivano fino all'articolo 29 e che vanno nella direzione che ho cercato di descrivere.

Naturalmente vorrei far presente, signor Presidente, che il lavoro che l'Aula compirà non sarà un lavoro né ordinario né tradizionale. Noi ci impegniamo a fare in modo che i rilievi recati nei pareri espressi dalle Commissioni competenti siano oggetto di attenta valutazione nel corso dell'esame in Assemblea: è anche per questa motivazione che siamo assolutamente disponibili al confronto che si apre in questa sede e al contributo che i colleghi riterranno di dovervi apportare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La rappresentante del Governo si riserva in altra fase.

È iscritto a parlare il presidente Ermete Realacci. Ne ha facoltà.

ERMETE REALACCI. Presidente, il relatore Borghi ha ben illustrato la filosofia con cui abbiamo cercato di lavorare: un lavoro intenso, ampio, aperto all'esterno in questa legge. Questo dibattito è importante perché punta a ridare centralità ai parchi. Diciamo la verità: la politica dei parchi è sembrata un po' stancarsi nell'ultimo periodo, invece è una politica essenziale per il Paese.

L'azione che il Senato ha portato avanti, soprattutto su impulso del collega Caleo, punta alla manutenzione straordinaria di una legge che è stata molto importante. Quando nacque la legge n. 394 del 1991, l'obiettivo di avere il 10 per cento di aree protette in Italia sembrava un obiettivo ambizioso e irraggiungibile: attualmente questo obiettivo è stato superato. È stato superato attraverso l'istituzione dei parchi nazionali: questo 10 per cento è raggiunto, grosso modo, per una metà da parchi nazionali, un po' di più, e per l'altra metà da parchi e riserve regionali.

Questo obiettivo è passato attraverso un primo punto: ci tornerò poi alla fine, perché vorrei anche che fosse un dibattito franco e all'altezza delle sfide che il Paese ha davanti, come ricordava il collega Borghi. È passato anche attraverso la definizione di un'idea di parco: quando si istituisce il parco in Italia, non si sta istituendo un parco né a Yellowstone né in Antartide. Quando noi facciamo il parco in Italia si incrociano valori naturalistici: flora, fauna, grandi mammiferi, il chirocefalo del Lago di Pilato. Non so se lo conosce, Presidente, ma è un crostaceo straordinario, che vive soltanto in quel lago del Parco dei Sibillini. Ma anche valori umani: Norcia, Pescia, le cattedrali, le attività, un paesaggio che è segnato dall'azione dell'uomo.

Allora, già allora, ma ci tornerò alla fine, ci fu uno scontro: oggi si presentano come strenui difensori della legge n. 394, addirittura come padri della legge n. 394, persone che non parteciparono a quella partita o che erano contro la legge n. 394, perché c'era già allora un'idea prefettizia dei parchi (lo Stato nomina qualcuno e lui decide) e c'era un'idea, invece, che tendeva a considerare i parchi un pezzo dell'Italia. I parchi non erano pensati come una specie di “Fortezza Bastiani”, che, in attesa dell'arrivo dei Tartari, si chiude, e poi alla fine sappiamo che fine ha fatto il povero Giovanni Drogo, alla fine del libro bellissimo di Buzzati: i parchi erano pensati come il prototipo di un'idea di Italia.

Dentro questo ragionamento, è giusto che ci sia un dibattito franco, anche aspro, a patto che questo dibattito non sia viziato da disinformazione o da malafede, magari dovuta all'esigenza di marketing di persone, di associazioni, di gruppi politici.

Allora, lo dico con grande semplicità: il lavoro che abbiamo fatto alla Camera (parlo del testo uscito dalla Camera, che recepisce molte delle cose introdotte al Senato, ma in qualche caso cambia delle cose che al Senato erano state previste), in tutti i punti è migliorativo rispetto alla legge n. 394: non c'è un solo punto del testo che è all'esame della Camera, in cui ci sia un arretramento rispetto alla vicenda della legge n. 394. Per esempio, si discute molto delle qualificazioni dei presidenti e dei direttori. Si può anche migliorare, penso che possiamo introdurre dei miglioramenti nel corso dell'esame in Aula, ma nella legge n. 394 non c'erano qualificazioni per i presidenti e per i direttori; e al tempo stesso bisogna stare molto attenti nell'indicare delle qualificazioni rigide, che rischiano poi di quasi arrivare al nome e cognome di quelli che devono fare i presidenti e i direttori, perché in qualche caso abbiamo avuto ottimi presidenti e ottimi direttori che avevano percorsi diversi. Io vorrei ricordare che nel maggio dell'anno scorso è scampato a un attentato mafioso un presidente di un parco regionale, il Parco dei Nebrodi, un parco importante, Antoci, e questo presidente era un bancario, e aveva fatto una battaglia di legalità essenziale per quel parco. Oppure che uno degli animatori - e io avrei voluto che lui potesse essere presidente del Parco, nel Cilento, era il sindaco di Pollica, che era un sindaco pescatore, Angelo Vassallo, era anche un mio amico personale - è stato ammazzato per la sua battaglia della legalità, e si è battuto con grande intelligenza e lungimiranza per il Parco. Secondo alcuni, questi non avrebbero dovuto fare i presidenti dei parchi. Io su questo non sono d'accordo!

Anche altre cose che sono state dette non corrispondono al vero. Si è detto che si abbassa la tutela della fauna selvatica in questa legge: è una balla colossale! Nella legge n. 394 non c'era l'obbligo, che in questa legge c'è, di avere un passaggio obbligatorio dell'ISPRA per valutare eventuali piani di abbattimento per specie dentro i parchi. Voglio essere anche qui chiaro: io rispetto profondamente e veramente la posizione di chi è contrario, in qualsiasi situazione, all'abbattimento di un animale, la rispetto; però, quando si parla di tutela degli equilibri ambientali, la partita è un'altra: a livello internazionale, nei parchi questo si fa sempre, quasi sempre. Ed è chiaro che c'è una grande differenza fra il lupo e il cinghiale! Io dico qui che il lupo… E questo lo dico anche al Governo, perché il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ne è componente: nel Piano lupo così come è previsto, che contiene molte misure importanti per salvaguardare anche l'attività degli allevatori, le attività che ci sono nel territorio, gli abbattimenti vanno stralciati, perché il lupo è un pezzo importante della fauna selvatica; ma i cinghiali sono un'altra partita. Sempre sotto il governo dell'ISPRA, se i cinghiali sono in sovrannumero, si potranno fare i trappolamenti, si potranno fare anche forme di contenimento non cruento: non erano previsti nella legge n. 394, sono previsti adesso nella legge, ma poi alla fine gli abbattimenti ci stanno. Ed è stato tolto, come chiesto dagli ambientalisti, il fatto che potessero partecipare a questi abbattimenti, dopo adeguati corsi e qualificazione, cacciatori che venivano fuori dalle aree dei parchi o delle aree contigue: in Italia le aree contigue esistono soltanto nel Parco del Cilento, lo dico per capirci. E bisogna anche sapere, quando si parla di lobby, di cose, con la testa rivolta al passato, che oggi i cacciatori sono la metà di quando nacque la legge n. 394: è un esercito in ritirata; cerchiamo di fare i conti con l'Italia del futuro, non con l'Italia del passato.

Lo stesso ragionamento vale per altre questioni. Il collega Borghi ha ricordato una cosa che con grande forza abbiamo cercato di fare in questo passaggio alla Camera, è introdurre un ragionamento di sistema: perché quelli che sono stati più abbandonati, nel corso di questi anni, sono stati i parchi regionali. E anche le riserve marine: lì c'è stata una richiesta che le riserve marine diventassero come parchi nazionali, ma è una richiesta. A parte, purtroppo, che non avevamo le risorse, anche se ci sono risorse importanti per la partita del Piano triennale delle aree protette; ma non si può andare così, in maniera superficiale. Le riserve marine sono un sistema molto differenziato in Italia: abbiamo la riserva di Miramare, che è una riserva per fortuna ben gestita da tempo dal WWF; la collega Pellegrino la conosce bene.

Ma la riserva di Miramare sono 30 ettari! Pensare per una riserva di 30 ettari debba avere il presidente, il direttore, la pianta organica è ridicolo, perché alcuni parchi nazionali sono più di 120.000 ettari. Quindi, è chiaro che devi avere strumenti differenziati, devi avere la dignità di quelle riserve; attraverso i consorzi è possibile anche cedere personale a quelle riserve, ma non si può dire che tutti diventano parchi nazionali. Mentre, invece, è molto importante che si individui con chiarezza, alla fine, la missione dei parchi; questa missione, in Italia, è un incrocio inscindibile fra rigore della conservazione e scommessa sulle comunità, sul saper fare, su quello che è l'Italia. Questa è una costante nel lavoro della nostra Commissione. Nel decreto sul terremoto noi abbiamo fatto inserire una misura che è stata anche contrastata, cioè il fatto che venissero dati ai due parchi nazionali dei Monti Sibillini e del Gran Sasso e Monti della Laga, che contengono larga parte del cratere che è stato colpito dai terremoti che hanno ferito l'Appennino centrale, un distaccamento di 15 unità in più, come viene fatto per i comuni. Ciò non è fatto per pratiche burocratiche, non è neanche fatto per proteggere il chirocefalo che se la cava da solo, nel Lago di Pilato, è fatto perché noi pensiamo a quei parchi come a un pezzo della rinascita, come a un pezzo del futuro, come a un pezzo in cui l'Italia fa l'Italia e incrocia natura, bellezza, cultura, patrimonio storico-culturale, saper fare e anche rispetto alle attività che nei parchi si svolgono, lasciamo perdere la partita delle royalties, le royalties sono sotto attacco, ma non dagli ambientalisti, da quelli che le devono pagare e se salteranno, salteranno per le lobby, non salteranno perché c'è un'opposizione da parte degli ambientalisti. Ma quando noi andiamo a operare, per esempio, in questi paesi, in questi parchi, in questi territori colpiti dal terremoto, abbiamo in mente un punto di riferimento. Legambiente ha fatto una bellissima campagna che è intitolata: La rinascita ha il cuore giovane, in cui ha selezionato giovani aziende agricole e di allevamento nelle aree colpite dal terremoto e i rappresentanti di quelle aziende, spesso donne, sono o non sono un pezzo del progetto del parco, oppure devono fare qualche percorso, avere qualche pedigree? Quando si parla dell'inserimento nei comitati direttivi dei parchi - che non cambiano di natura rispetto al passato, anzi, abbiamo reintrodotto la presenza della comunità scientifica in tutti i parchi nazionali - di agricoltori o pescatori, finalizzato, come c'è scritto, alla sostenibilità di quelle attività, viene messo nella legge - e non c'era nella legge n. 394 - il riferimento esplicito alla tendenza verso forme di agricoltura biologica o biodinamica, quando pensiamo all'inserimento di quelle figure, lo pensiamo, appunto, perché nel progetto dei parchi italiani ci sono anche gli esseri umani, c'è l'Italia, la sua storia e il suo futuro e da questo punto di vista io penso che possiamo introdurre dei miglioramenti, anche nella qualificazione delle figure dei presidenti e dei direttori - lavoriamo, anche in Aula -, però qui c'è un punto di differenza che io vorrei sottolineare. C'è chi ha in mente un'idea di parco sostanzialmente appannaggio di un gruppo di esperti che calano, magari perché sono ambientalisti, e io sono un ambientalista, e decidono loro su quelle comunità. In Italia questo non è possibile, se avessimo fatto così, non avremmo fatto i parchi d'Italia. In Italia, quello che è necessario fare è fare dei parchi un prototipo dell'idea di Italia, perché poi, quando andiamo a vedere di nuovo i comuni colpiti dal terremoto, Amatrice, Norcia, Visso, Preci, Ussita, sono tutti comuni dei parchi. Quando noi andiamo a vedere fra gli scenari più suggestivi dei nostri parchi, ci sono i Piani di Castelluccio, io mi auguro che si trovi la maniera di fare arrivare i trattori per tempo, perché la fioritura dei Piani di Castelluccio è uno degli spettacoli più belli del nostro Appennino e va salvaguardato quello spettacolo. Come pure introduciamo, per esempio, in questa legge il divieto dell'eliski; non c'era questo problema un quarto di secolo fa, adesso c'è e c'è un'idea di turismo diversa. Io sono stato a un interessante convegno a Lanzo, in cui si parlava di un'esperienza di un piccolo comune piemontese, Balme, che ha costruito un'idea di turismo proprio vietando l'eliski, l'idea del turismo nei parchi è un'altra cosa, vietare l'eliski fa capire qual è l'idea di turismo che abbiamo e potremmo continuare anche a lungo.

Termino, dicendo che da questo punto di vista il punto chiave è capire che i parchi in Italia sono un progetto anche delle comunità e degli uomini. Sono un progetto per l'Italia. Nel Macbeth di Shakespeare c'è una immagine che mi ha sempre colpito molto: le streghe di Eastwick predicono a Macbeth che lui sarà distrutto quando la foresta di Birnam muoverà contro di lui.

Ovviamente sembra impossibile che la foresta di Birman si metta in movimento e, infatti, non è la foresta di Birman che poi abbatte il Macbeth, a battere l'idea di uno sviluppo vecchio, datato, dannoso per l'Italia, ma sono gli armigeri che prendono le fronde degli alberi e muovono contro Macbeth. Le ragioni della natura, in Italia, per la nostra cultura millenaria, sono state forti quando si sono sposate con le ragioni degli uomini, quando hanno costruito Venezia, quando hanno costruito le Cinque Terre. Allora, questa è la forza dei parchi italiani; questa è la forza dei parchi europei, ma soprattutto italiani, difendere questa forza è la filosofia della legge n. 394 e il lavoro che qui facciamo va in quella direzione, è una scommessa sostanzialmente sulla parte migliore dell'Italia e sulla messa in moto di energie umane, scientifiche, tecniche, comunitarie che sono la base del nostro futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Serena Pellegrino. Ne ha facoltà.

SERENA PELLEGRINO. Grazie, Presidente. Ringrazio chi mi ha preceduto che ha illustrato molto bene la propria posizione, anche perché dà contezza di come noi stiamo affrontando la riforma della legge n 394 sui parchi. Vorrei veramente che non ci fosse demagogia da parte di nessuno e che non ci fosse, soprattutto, proselitismo e ricerca di proselitismo. Sono passati quasi cento anni dall'istituzione dei primi parchi nazionali in Italia, erano il Parco nazionale d'Abruzzo e il Parco Nazionale del Gran Paradiso, ma il cammino della presenza diffusa di aree di protezione ambientale e della formazione di una seria coscienza ecologica nel nostro Paese è stato ed è ancora difficile e irto di ostacoli. Per la sua posizione e per la sua storia bio-geologica l'Italia può contare su una varietà di habitat che non ha eguali in Europa, da quelli alpini d'alta quota, a quelli costieri e sommersi. Un primato dovuto alla sua straordinaria posizione geografica; l'Italia presenta una sovrapposizione tra natura boreale e subtropicale, a cui si aggiungono altri processi, anche assai diversi, di natura ecologica, geografica, storica e culturale. L'Italia è il Paese europeo con la maggior biodiversità per numero di specie e di sistemi ecologici. Sono presenti oltre un terzo delle specie animali distribuite in Europa e quasi il 50 per cento della flora europea su una superficie di circa un trentesimo di quella del continente, direi un patrimonio unico ed eccezionale. Ma non possiamo sottovalutare che negli ultimi anni questo incommensurabile patrimonio ha subito numerose perdite. Le specie di piante a rischio, su un totale di circa 7.000, sono 1.011 a livello nazionale e 3179 a livello regionale, mentre tra i vertebrati, Presidente, ben 338 su 494 sono in pericolo di estinzione. Ogni giorno dedichiamo ricerche su come assorbire la CO2 prodotta dal consumo di energie non rinnovabili, inventandoci tecniche a volte costose o anche fantasmagoriche. Invece, sarebbe sufficiente proteggere la più grande risorsa naturale che possediamo, le risorse preziose, ovvero, le foreste. Vi ricordo che parchi tutelano il 28 per cento della superficie forestale nazionale e grazie a questo polmone verde si riescono ad assorbire, annualmente, 145 milioni di tonnellate di CO2, rendendo l'aria che tutti noi respiriamo più pulita. Le foreste più significative dei parchi nazionali sono di faggi e querce, piante che danno un valido contributo alla lotta contro l'effetto serra. Non possiamo sottovalutare che le più importanti sorgenti italiane che alimentano i bacini acquiferi d'acqua dolce, risorsa primaria per la vita di ogni essere vivente, risiedono nei parchi. I parchi nazionali accolgono e tutelano 1.712 centri storici, quelli che tutti chiamiamo, anche coloro che sono presenti nella nostra Aula, e che vogliamo tutelare con delle leggi speciali: i piccoli borghi, 270, tra castelli, rocche e fortificazioni, 189 aree archeologiche, 291 tra santuari, monasteri e chiese rurali, 73 ville storiche e ben 149 musei. Numeri invidiati e ammirati in tutto il mondo. I parchi italiani, Presidente, come abbiamo potuto vedere anche in questi mesi in cui due dei più importanti parchi nazionali sono stati colpiti dall'ultimo terribile terremoto, sono un vero e proprio scrigno di prodotti agricoli, tipici e tutelati, di beni artistici, architettonici e di artigianato tradizionale che alimentano la nostra economia.

Tutto questo costituisce un patrimonio che appartiene non solo a tutti i cittadini di questo Paese, ma anche all'intera umanità ed è il patrimonio ed un'eredità importante per le future generazioni, non è un nostro privilegio.

Nonostante siano nati per tutelare aree di estremo valore naturalistico e paesaggistico, nel tempo, i parchi hanno integrato e sviluppato una funzione più ampia e complessiva. Oggi, le aree protette rappresentano il cuore delle strategie nazionali e internazionali di conservazione; fungono da serbatoi per molti servizi ambientali da cui tutti dipendiamo, da rifugi per le specie e i processi ecologici; forniscono gli spazi per l'evoluzione naturale, la gestione forestale sostenibile e un futuro miglioramento ecologico; sono fondamentali alla conservazione delle risorse naturali e culturali, alla difesa del paesaggio; hanno permesso di accrescere la cultura attraverso l'attività di educazione ambientale, l'informazione scientifica e la diffusione della cultura ecologica, la ricreazione e il turismo e offrono una stupenda opportunità per lo sviluppo rurale, la nostra storica risorsa, generando reddito e occupazione. Forse, alcuni di tutto questo non se ne sono mai accorti.

La difesa della biodiversità non può essere intesa come assenza di attività economica, ma come risorsa per creare e ampliare le economie locali che seguono i principi dell'ecosostenibilità. In molti casi, le nostre aree protette hanno saputo legare in maniera feconda la conservazione della natura, promuovendo il progresso sociale e culturale, coinvolgendo tutti coloro che intendono affrontare la sfida della modernità e invertire la rotta in territori altrimenti segnati da marginalità e spopolamento.

I parchi italiani hanno garantito occupazione, favorito l'indotto in settori strategici come il turismo, l'agricoltura, l'artigianato, valorizzato le buone pratiche di sostenibilità, sostenuto il biologico e le produzioni agricole di eccellenza, aiutato il commercio e i servizi, promosso la nascita di piccole imprese e cooperative locali, rappresentato un capitale di straordinario rilievo su cui puntare, sempre nel rispetto della natura, per creare lavoro qualificato e valorizzare i territori.

Purtroppo, per molti anni, il boom economico e l'adesione critica ad un certo modello di sviluppo, che faceva del consumo del suolo e del mancato rispetto degli equilibri ecologici un vantaggio competitivo, ha comportato una forte erosione della biodiversità e la distruzione irreversibile di luoghi e paesaggi unici e di straordinaria bellezza. Oggi siamo ancora, a livello mondiale, il Paese con il maggior numero di beni culturali e con la più ricca biodiversità in Europa. Per contro, però, Presidente e sottosegretario, siamo anche il Paese delle centinaia di siti da bonificare e di importanti aree industriali in crisi, che non danno più prospettive di futuro.

Il 30 per cento degli habitat naturali italiani è minacciato, in particolare, quelli umidi e costieri. Secondo l'ultimo rapporto ISPRA sulla “direttiva habitat”, il 60 per cento degli habitat di interesse europeo presenti in Italia è in uno stato di conservazione inadeguato. Per questo, per lungo tempo, l'Italia è stata il fanalino di coda dei Paesi industrializzati nella protezione duratura e nella salvaguardia del paesaggio ed è solo con gli anni Ottanta, con l'affermarsi dell'associazionismo in campo ambientale e dei movimenti politici ecologisti, che si riprende con più forza ed incisività il cammino della protezione ambientale del territorio.

Fu proprio grazie alla legge quadro delle aree naturali protette, la legge n. 394 del 1991, che in questi ultimi decenni sono stati istituiti numerosi parchi nazionali, regionali e riserve, sia terrestri che marine, e io, Presidente, all'epoca, ero una di quelle che sosteneva l'introduzione di questa legge quadro. Oggi, possiamo finalmente definirci un Paese europeo per la qualità e la quantità di aree naturali protette.

Secondo il sesto e ultimo aggiornamento del Ministero dell'ambiente dell'elenco ufficiale delle aree protette redatto nel 2010, le aree protette in Italia sono 871, per un totale di circa 31.636 chilometri quadrati, pari al 10,5 per cento della superficie della Repubblica; 2.853.033,93 ettari in superficie a mare e 658,02 chilometri di coste, pari all'8,82 per cento dello sviluppo costiero italiano. Numeri che ci riempiono di orgoglio: non sono numeri sterili, Presidente, sono dati che ci fanno capire quale enorme rispetto dobbiamo avere per queste risorse, perché ci permettono la vita. Se a queste aree protette si aggiungono i 2.500 siti della Rete Natura 2000, si arriva ad una porzione di territorio nazionale protetto del 22 per cento.

Con questo possiamo affermare che le aree protette in Italia hanno finalmente superato ataviche e interessate resistenze e malintese interpretazioni? Che non ci sono più parchi sulla carta e che tutte le aree naturali protette sono diventate produttori di ricchezza per molte aree marginali del nostro Paese? Sicuramente ancora no o, almeno, non in tutti i casi. Il parco costituisce, ancora oggi, una sfida per un rapporto profondamente rinnovato e rispettoso con l'ambiente e il territorio. Il parco, oltre a conservare e proteggere la natura, deve essere anche animatore sociale, economico e culturale, ma non fare business.

Il parco è una struttura territoriale vasta e complessa, a cui sono affidati vari ruoli, dalla conservazione della natura all'intervento attivo di risanamento ambientale, dal contenimento del consumo del suolo e dell'espansione urbana al riequilibrio e alla cura degli insediamenti. In un mutato rapporto tra uomo e natura, i parchi si propongono come volano di un vero sviluppo compatibile con l'ambiente e produttore di servizi ambientali. È per questo che i parchi sollecitano le realtà locali a riscoprire le loro identità culturali ed economiche e a promuovere una nuova imprenditoria locale.

Purtroppo, ancora oggi, in diversi parchi italiani, la mancata adozione di fondamentali strumenti di pianificazione e gestione, come il piano del parco, il regolamento, il piano pluriennale per lo sviluppo socio-economico delle comunità locali, il piano di gestione delle riserve naturali, rende assolutamente carente la programmazione e non misurabile l'efficacia di gestione. Queste sono le vere riforme che la legge quadro vigente chiede di attuare.

Nonostante ci sia stato un aumento delle aree protette e delle necessità operative, le risorse messe a disposizione, rispetto a dieci anni fa, si sono notevolmente ridotte. Il personale occupato nelle aree protette nazionali non è adeguato alle necessità di gestione. Nei parchi nazionali le piante organiche non sono state completate; in molti casi, le assunzioni effettuate raggiungono appena la metà di quelle previste e le ricadute negative sullo svolgimento delle attività amministrative e tecniche dell'ente sono sempre più evidenti.

Ma al di là di queste criticità, che, sommate, pongono serie difficoltà al raggiungimento di un sistema realmente rappresentativo ed efficace di aree protette, il problema reale, la responsabilità è sia delle attuali politiche nazionali sia di molte delle amministrazioni regionali e locali: troppe volte, queste minano il significato stesso delle aree protette, della loro missione, generando ritardi, lacune, involuzioni, procedendo verso un processo di svuotamento delle funzioni e del ruolo delle aree protette, a vantaggio di istanze localistiche e di politiche clientelari.

Oggi, purtroppo, alcune aree protette sembrano più agenzie del turismo, grandi pro loco piuttosto che luoghi dedicati alla conservazione, alla tutela, alla promozione e alla valorizzazione, non solo intesa in termini di economia spicciola, come la chiamo io, come ci siamo abituati negli ultimi decenni, dell'immenso patrimonio che possediamo. Troppe volte, ci siamo ritrovati a veder gestire questi parchi da persone senza alcun titolo e la benché minima conoscenza di quello che avrebbero dovuto fare. Certo, non è un titolo che insegna a fare quello che si deve fare, probabilmente è l'etica, ma un titolo è indispensabile.

Quante volte abbiamo riconosciuto nomi di persone che sono state ricollocate politicamente, garantendogli una cosiddetta poltrona? Magari, persone vicine al politico di turno che gli garantiva la fiducia? Un modello, quello delle nomine, che il nostro Stato conosce, purtroppo, troppo bene. Sia a livello nazionale che regionale, le nomine degli enti di gestione sono diventate di carattere quasi esclusivamente politico e non ispirate all'esperienza o alla professionalità dei candidati; e dove questo non avviene o non è possibile, si sceglie la strada del commissariamento. È questo che abbiamo denunciato sempre, Presidente: noi, come gruppo, lo abbiamo fatto attraverso numerosi atti di sindacato ispettivo.

Avremmo voluto vedere nominate, in questi decenni, persone rappresentative, al di sopra degli interessi locali, con un'esperienza consolidata nel campo della tutela e della valorizzazione del patrimonio naturale e, soprattutto, con una cultura ambientalista riconosciuta, proprio come è bene esplicitato dall'articolo 9 della legge quadro n. 394, che ora si vuole cambiare. Ed è scritto così, Presidente: “Il consiglio direttivo è formato dal Presidente e da otto componenti, nominati con decreto del Ministro dell'ambiente, sentite le regioni interessate, scelti tra persone particolarmente qualificate per le attività in materia di conservazione della natura”. Altro che se non c'è la richiesta della qualifica!

Tutte le volte che questo disposto di legge è stato eluso, la gestione dei parchi ha perso ogni prospettiva di corretta attuazione della legge.

La legge n. 394 del 1991 soffre innanzitutto di norme disattese, di mancate applicazioni e di distorsioni applicative, piuttosto che dell'errata articolazione delle disposizioni normative che oggi si vogliono modificare. Per anni, le associazioni ambientaliste hanno chiesto che si celebrasse la terza conferenza nazionale sulle aree protette quale luogo in grado di dare una visione organica e d'insieme delle varie problematiche che si sono evidenziate nel corso degli anni. Mi piacerebbe, Presidente, che il presidente Realacci e il relatore Borghi ascoltassero attentamente quello che ho da dire, perché vorrei che davvero noi potessimo interloquire in quest'Aula…

PRESIDENTE. Credo stiano ascoltando.

SERENA PELLEGRINO. Sarebbe stato quello il momento dedicato per individuare i punti da aggiornare e migliorare la legge n. 394 del 1991 e avrebbe garantito alla riforma della legge il recepimento di una piattaforma largamente condivisa e basata su un'analisi fattiva e ponderata.

Per affrontare il tema di un'efficace riforma delle aree protette, si sarebbe dovuto partire dai principi in tema di conservazione della natura, che corrispondono agli obblighi internazionali sottoscritti dal nostro Paese e dalla nostra Carta costituzionale, troppe volte disattesa.

Ricordiamoci che nel 1991, quando è stata redatta questa legge, non c'era la Convenzione internazionale sulla biodiversità, né la strategia nazionale per la biodiversità; non c'era la Rete Natura 2000 e non esisteva la Convenzione europea sul paesaggio. Insomma, mancavano quei riferimenti fondamentali che ci avrebbero aiutato a dire in modo univoco che un'area protetta è un'area geograficamente determinata, prescelta, regolamentata e gestita al fine di conseguire obiettivi specifici di conservazione della biodiversità. Invece, si è assistito ad una serie di proposte di modifica che, partendo dal Senato, si sono stratificate e, a causa della loro frammentarietà, hanno avuto come risultato una disorganicità del testo unificato, non risolvendo affatto molte delle questioni aperte.

Possiamo affermare che non è stato rafforzato il sistema dei parchi attraverso un reale miglioramento della legge nazionale di riferimento; è stato invece licenziato un testo di riforma la legge sulle aree protette, prima dal Senato, poi dalla Commissione ambiente della Camera, che rappresenta un pericoloso passo indietro, generando una sorta di sanatoria di tutte le applicazioni distorte che si sono avute della legge n. 394.

Corriamo il rischio concreto di consegnare gli enti parco alle logiche di degenerazione localistiche e partitocratiche e sono fermamente convinta che il presidente Realacci e l'onorevole Borghi non vogliono questo. Nel testo che andremo a esaminare viene, infatti, sancito che il presidente di un parco nazionale non necessita di alcuna competenza specifica e riconosciuta in materia ambientale e culturale. Anche i criteri di scelta del direttore dei parchi nazionali e delle aree marine protette sono particolarmente dequalificanti: si chiede che sia un soggetto assunto quale dipendente a tempo determinato per svolgere funzioni dirigenziali di carattere generale. Nessun riferimento alla dimostrazione di competenza di carattere tecnico per quanto riguarda le tematiche attinenti alla pianificazione territoriale, alla gestione degli habitat e alla conoscenza dei principi fondamentali di biologia della conservazione.

Troviamo assolutamente sbagliata l'introduzione, nei consigli direttivi, del rappresentante di alcune categorie economiche: riteniamo che alteri fortemente non solo l'equilibrio, ma anche la logica di una gestione che si basi sulla presenza nell'organo decisionale di rappresentanti degli interessi generali qualificati per le attività in materia di conservazione della natura.

Che dire, poi, della confusione generata dai contenuti degli articoli 6, 22 e 24, che trattano il nulla osta e l'iter autorizzativo per interventi di natura edilizia e abusi edilizi? Sappiamo bene che se, si apre uno spiraglio, poi si spalanca la porta alle degenerazioni e, purtroppo, l'Italia conosce bene gli abusi edilizi; e che dire dell'articolo 26, che riguarda il riordino del sistema di riconoscimento delle associazioni di protezione ambientale da parte del Ministero dell'Ambiente? Un argomento totalmente fuori contesto, che con una legge dei parchi non ha nulla a che vedere.

Per non parlare della confusione che si genererà in merito alla questione della gestione della fauna, sia nei parchi che nelle aree contigue. Attraverso la modifica che è stata apportata al comma 1 dell'articolo 5, si afferma che la caccia può essere esercitata solo dai soggetti residenti nel parco o nelle aree contigue e, appena dopo si dice, invece, che l'attività venatoria può essere esercitata solo da soggetti aventi facoltà di accesso all'ambito territoriale di caccia comprendente l'area contigua. Ovvero: la prima parte è stata modificata, la seconda è esattamente come uscita dal Senato. Insomma, chi è che può cacciare nei parchi e nelle aree contigue? E poi, Presidente, non è stato dichiarato ovunque che nei parchi non sarebbe stata prevista la caccia? Visto che viene chiamata proprio così nel testo, i sostenitori di questa riforma ci possono spiegare cosa si intende in questo testo per caccia?

È evidente, Presidente, che la mia è una provocazione, ma vogliamo mettere in evidenza che apporre delle modifiche a una legge quadro non è cosa facile, né tanto meno elementare, dove i rischi di sbagliare sono immensi, soprattutto se si votano 700 emendamenti in tre ore.

L'unica vera questione relativa alla caccia è la gestione delle specie in esubero. Dico che, anziché andare alla ricerca di certificazioni per cacciatori da parte dell'ISPRA, potremmo incaricare gli organi di ricerca, dotandoli di un fondo speciale, per trovare gli strumenti adatti a sterilizzare le due specie che sono in esubero e, nel giro di un paio di generazioni, avremmo eliminato il problema, togliendo ai cacciatori il pensiero di fare - permettetemi questa parola - contrabbando di carne di cervo e di cinghiale, che gli agriturismi pagano a peso d'oro.

Lascio per ultimo un nodo cruciale: le relazioni tra lo Stato e le solite multinazionali dell'energia con coloro che la trasportano, stakeholders sempre pronti a chiedere un pezzo di più. È stato necessario approvare un emendamento che vieti le prospezioni petrolifere: un'ovvietà, direbbe qualcuno, invece si è dovuto ribadirlo e farlo diventare norma.

Vorrei porre l'attenzione sull'attivazione delle nuove economie, così come voluto dal Senato, che passerebbero attraverso l'istituzione delle royalties, una parola che, detta così, sa anche di buono; ma perché non le chiamiamo con il loro vero nome? Compensazioni. Sì, perché è di questo che si tratta: attraverso le loro rappresentanze locali, cedono il patrimonio e la loro salute per quattro denari.

L'utilizzo delle compensazioni è una pratica da eliminare, sottosegretario, non solo e soprattutto nelle aree protette, ma ovunque e non perché lo chiedono gli stakeholders, che non vogliono pagare il dazio, ma perché è una pratica assolutamente vergognosa. I produttori e i gestori di energia, già ampiamente finanziati dai cittadini attraverso le casse dello Stato, chiedono ancora e con le briciole ripagano il maltolto.

È evidente che, in un momento in cui tutti gli enti sono in affanno, qualche centinaia di migliaia di euro fa comodo per mantenere l'ordinaria amministrazione. Ma ci vogliamo rendere conto, una volta per tutte, che è un meccanismo costruito ad arte per mantenere un'economia che sostiene esclusivamente i soliti nomi? Se tutto questo è potuto accadere, su ogni parte del nostro patrimonio - io lo chiamo patrimonio, Presidente, perché l'Italia ha un patrimonio, lasciatoci dai nostri padri, incommensurabile -, non possiamo tollerare che si possa perpetrare anche su aree così sensibili; ne va della nostra sopravvivenza. La conversione ecologica, di cui tutti si riempiono la bocca ogni giorno, deve partire da qui, dal cuore del bene naturale. Fargli mettere anche solo la zeppa nella porta, significa spalancargliela domani in modo totalmente legittimo e ci diranno: lo prevede la legge. Ma la legge la stiamo facendo noi, qui, ora, e noi siamo i responsabili delle sue conseguenze.

Dovremmo, invece, promuovere un'economia sulla bellezza di questi luoghi, altro che farci pagare per gli scempi perpetrati! I cittadini, che risiedono nei parchi, dovrebbero essere i veri motori di questa economia.

Signor Presidente, vado alle conclusioni. Non è un caso che le più importanti associazioni ambientaliste italiane si siano opposte a questa proposta di legge e non per avere qualche posticino al sole all'interno dei consigli direttivi dei parchi. I parchi italiani hanno bisogno di una buona riforma e non del pericoloso e grave passo indietro nella gestione del sistema delle aree naturali protette italiane, rappresentato dal testo che nei prossimi giorni sarà in discussione nell'aula della Camera.

Gli emendamenti che abbiamo proposto di concerto con le associazioni possono ridare dignità alle modifiche che avete apportato alla legge quadro, esattamente quel miglioramento che veniva chiesto negli ultimi anni dell'applicazione della legge o, meglio, della non applicazione della legge.

Mi auguro davvero che il presidente della Commissione ambiente, Realacci, di cui ho grande stima, e il relatore, abbandonino la fretta con cui sono stati trattati temi fondamentali quali la governance dei parchi e assicurino finalmente il rispetto di quella gerarchia di valori ribadita in più occasioni dalla Corte costituzionale per la quale la tutela dell'ambiente deve prevalere sempre, su qualunque interesse particolare, locale, economico, politico o privato. Direi che dobbiamo cercare di accorgercene prima di ottenere lo sfratto definitivo da Madre terra, le cui leggi eco-sistemiche sono prevalenti su tutto e su tutti noi e che sicuramente dobbiamo ricordarci che le leggi eco-sistemiche non sono emendabili e non sono derogabili, che non ci danno né sanzioni amministrative né sanzioni penali ma semplicemente ci dicono: guardate, voi non siete più degli ospiti interessanti per me.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Kronbichler. Ne ha facoltà.

FLORIAN KRONBICHLER. Grazie, Presidente. Sono reduce dalla conferenza stampa organizzata e convocata dalla collega Serena Pellegrino e devo dire sono rimasto impressionato dalla prominenza, dalla notorietà, dal prestigio di chi è intervenuto. C'era il gotha dell'ambientalismo di questo Paese e il giudizio, signor Presidente, onore a chi ce l'ha. Vorrei dire alcune cose che ho sentito (vedendo i nomi che di certo non piaceranno al presidente della Commissione né al relatore e che non possono piacere a noi tutti che legiferiamo qui): Fulco Pratesi, presidente onorario del WWF - mi pare - riferendosi e parlando di questa proposta di legge, la chiama un disastro; Annamaria Procacci riassume l'obiettivo di questa proposta di legge, nelle parole: “dentro i fucili. fuori le competenze” (intendendo dentro, nei parchi); Giorgio Boscagli del Gruppo dei trenta la chiama “sfascia parchi”; Grazia Francescato di Greenaccord (non conosco ancora questa associazione) parla di controriforma delle zone protette; Dante Caserta del WWF - voi conoscete molto di più di me tutte queste persone perché sono tutte persone note - dice che questa proposta di legge non deve diventare un giocattolo degli ambientalisti; Danilo Selvaggi della LIPU parla di sbilanciamento localistico; Ebe Giacometti di Italia Nostra dice che è imbarazzante, riferendosi alla governance; Carlo Alberto Pinelli di Mountain Wilderness International si sente (forse su questo potete ancora rimediare) confinato dalle associazioni che hanno voce in capitolo perché dice che, non rappresentando dieci regioni, non è ammesso al tavolo delle associazioni che possono parlare. Forse ci vuole anche qui una deroga per le regioni montane. E avanti così: meglio la legge n. 394 vera che la legge n. 394 fasulla, che sarebbe quella in esame (non so chi abbia detto ancora questo). Signor Presidente, tutti qui hanno richiamato l'importanza dell'approvazione ventisei anni fa della legge sulle aree protette, la cosiddetta n. 394 del 1991. Spesso si dice che è un segno di vecchiaia quando si glorifica troppo il proprio passato e la propria giovinezza, però sicuramente deve far pensare se questa gente, insomma il gotha del protezionismo e delle associazioni, danno questi giudizi. La legge sulle aree protette ha rappresentato per il nostro Paese in tutti questi anni un insieme di azioni e, alla fine, di risultati assolutamente fondamentali.

La legge - vorrei ricordarlo - nasce non solo sull'onda di un movimento ambientalista che si affermava con forza allora all'interno del Paese ma soprattutto dalla convinzione, allora largamente condivisa, che il sistema naturale del nostro Paese è composto da una sintesi a volte anche miracolosa tra storia, natura e azione dell'uomo. Penso anche ai paesaggi agricoli, al fatto che dovessero essere conservati e quindi dovessero disporre di un sistema di protezione. Qual era la finalità per cui nascevano i parchi e le aree protette? La loro mission fondamentale era la conservazione della natura. I primi parchi nascono e si consolidano per tale scopo. La collega ha citato il parco dell'Abruzzo e il Gran Paradiso e devo aggiungere anche il nostro Parco dello Stelvio: su questo forse è utile precisare, poiché è stato organizzato in un nuovo modo e anche contestato ultimamente proprio alla fine dell'anno scorso, che il Parco dello Stelvio a lungo è stato percepito dalla popolazione sudtirolese come quasi premeditatamente imposto dai fascisti, quasi per far male alla popolazione. Ora abbiamo avuto anche questa norma di attuazione dello Statuto di autonomia in cui si è organizzato il nuovo modello del Parco e sono contento che non sono stati accettati tutti gli appetiti degli amministratori locali; si è salvato perché era in pericolo quasi tutto, c'era veramente il pericolo che il Parco dello Stelvio si smembrasse. Almeno è stata salvata l'unicità del parco, anche il nome di parco nazionale e il parere obbligatorio del Ministero su tutto. Questo lo dico perché forse anche qui certe associazioni protezioniste dovrebbero fare un po' di autocritica anche sul fatto che, invocando sempre il controllo centrale dello Stato, l'hanno fatto anche a torto, ritenendo che tutto ciò che è proprio dello Stato sarebbe protezione, invece abbiamo visto nell'esempio del Parco nazionale dello Stelvio che l'amministrazione centralistica dello Stato si è manifestata soprattutto in trascuratezza e in abbandono. Adesso certo c'è da stare attenti che gli amministratori locali, cioè le due province autonome di Trento e di Bolzano nonché la regione della Lombardia, non facciano gli interessi propri però qui si è trovata secondo me una soluzione che dovrebbe andar bene anche alle associazioni protezioniste. I primi parchi nascono con la legge e con il tempo però molto spesso si è determinata una forte convinzione: abbiamo avuto moltissimi casi in cui amministrazioni e comuni, che erano esclusi dal perimetro del parco, chiedevano di entrarvi. Quindi c'era questa onda positiva a favore dei parchi. Infatti il sistema dei parchi ha rappresentato per il nostro Paese un motore di sviluppo vero, sano e di qualità e un argine fondamentale al consumo del suolo in un Paese come l'Italia in cui ancora oggi combattiamo contro il consumo di suolo. Mentre parliamo e siamo qui c'è stata una bella relazione del mio collega Gianni Melilla, due mesi fa qui, alla Camera sulla tutela dell'ambiente, sui parchi in Italia in cui sono riportate cifre interessantissime. Il nostro Paese ha un ritmo di consumo del suolo di sette metri quadrati al secondo: quindi più di 55 ettari al giorno, un valore che è passato dal 2,7 per cento dagli anni Cinquanta al 7 per cento del 2014 e siamo già nel 2017.

Ecco, tutto ciò aveva bisogno di politiche serie e costanti nel campo delle risorse; invece, gli ultimi anni sono stati pesanti. Infatti, mentre i parchi hanno dato tutto questo al nostro Paese, la politica e i Governi hanno dato poco. Vi è stato un taglio costante di risorse e di piante organiche; pertanto, l'intervento sulla legge n. 394 del 1991 doveva concentrarsi, innanzitutto, sulla questione delle risorse.

Oggi, invece, ci troviamo di fronte ad una riforma della legge n. 394, che tutti definiscono una buona legge, che ha l'ambizione di essere pressoché a costo zero. Questa legge, come tutti hanno sottolineato, aveva certamente bisogno di essere aggiornata, benissimo, ma intanto avremmo dovuto risolvere i nodi strutturali, in primis quello delle risorse, e non in questo modo.

L'altra questione fondamentale, a nostro avviso, riguarda la governance: parliamoci chiaro, quando ho parlato dei successi della legge n. 394 e dei parchi, questi sono stati ottenuti grazie a un'impostazione che era quella secondo cui il patrimonio naturale faunistico e della biodiversità sono patrimonio indisponibile dello Stato. Quindi, proprio nella governance questo chiarissimo assunto costituzionale doveva essere rafforzato.

Nel definire la governance occorre puntare a operazioni che premino e incentivino la qualità, anziché consentire che la stessa governance possa essere pressata nel fianco e permeata da interessi locali; doveva essere rafforzata l'impostazione che vede una rappresentanza degli interessi generali e diffusi, delle competenze e dell'impostazione scientifica. Competenze, interessi generali e diffusi e approccio scientifico: questo è ciò che ha permesso ai parchi di crescere in questi anni e a questo dobbiamo puntare per rafforzare la governance.

Invece, quello che veramente balza agli occhi è che si è fatta un'operazione completamente all'inverso, per cui la governance dei parchi è stata messa al servizio - questo è l'elemento più pericoloso - di interessi locali. Lo sappiamo perfettamente: se la legge n. 394, ventisei anni fa, avesse indicato nella governance degli enti gestori direttamente i comuni, non avremmo avuto in questi venticinque anni i risultati che sappiamo. Dobbiamo riconoscerlo: le conflittualità che ci siamo trovati di fronte in questi anni sono state esattamente quelle che vedevano, purtroppo, contrapposte un'idea, magari sbagliata, di sviluppo e il parco stesso. Il parco ha rappresentato, invece, la possibilità di conservare, tutelare e mettere in campo idee di sviluppo completamente diverse e produttive per i territori. Molti dei territori marginali del nostro Paese, se non ci fossero stati i parchi, sarebbero caduti nell'abbandono totale; invece, questa impostazione ha prodotto risultati.

Un'altra questione delicata riguarda la gestione della fauna: si sono contrapposti gli interessi tra chi pensa bisognasse trovare strumenti e accorgimenti per far sì che in qualche modo l'attività venatoria tornasse in house e chi, come noi, vi ha messo e vi mette in guardia. Il fatto di non aver chiarito questo aspetto, di non aver fatto in modo che il piano di gestione faunistica fosse al servizio dell'impostazione scientifica per la tutela della biodiversità e delle specie e per la protezione della biodiversità, anche animale, e quindi aver lasciato il cono d'ombra della commistione con l'attività venatoria, vengano effettuate dal personale e solo dal personale interno e dalle forze di pubblica sicurezza, questo non mette al riparo i parchi da questa commistione.

Ecco, spero che si possano fare dei miglioramenti e in questo caso ho apprezzato anche la dichiarazione del presidente della Commissione, che ha chiamato migliorabile, nel corso del dibattito in Aula, la legge e che si possano fare dei miglioramenti; altrimenti, avremmo un'operazione di riforma della legge n. 394 del 1991 che rischia di tradire lo spirito di tale normativa, che ha prodotto risultati importanti.

Speriamo che queste storture possano essere modificate, perché i parchi avevano bisogno di altro, ovvero di risorse, di strutture, di competenze e di investire in una governance all'altezza dei tempi che viviamo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Busto. Ne ha facoltà.

MIRKO BUSTO. Grazie, Presidente. È interessante sentire il dibattito in quest'Aula, oggi, perché ho apprezzato anche io l'intervento dell'onorevole Realacci e gli interventi successivi dei colleghi Pellegrino e Kronbichler.

La cosa che mi colpisce è principalmente vedere come si possa adottare una narrazione convincente, parlo del discorso, dell'intervento dell'onorevole Realacci, per giustificare qualcosa che appare agli occhi miei e, a quanto pare, anche degli interventi che mi hanno preceduto, completamente inaccettabile.

Vorrei fare una riflessione, prima di accingermi a introdurre la nostra posizione, che, ovviamente, è di contrarietà, forte contrarietà, ed è una posizione basata, come è stato ricordato fino adesso, su un cordone di sicurezza, un dispiegamento impressionante di associazioni ambientaliste, anche animaliste in questo caso, contrarie a questa legge.

Ed è singolare sentire che, in questo caso, il PD, il partito di Governo, avrebbe ragione contro tutti, in buona sostanza. La ragione sembrerebbe stare dalla parte di uno, a discapito, insomma, di questa grande diversità di associazioni, che spesso, non sempre, sono state così concordi nell'attaccare un provvedimento del Governo.

Inizierò con una breve introduzione, come forse è già stato fatto anche da chi mi ha preceduto, per raccontare l'importanza di questa legge, della storia di questa legge, e poi illustrerò alcune criticità, che, sostanzialmente, non sono dissimili da quelle che sono state illustrate precedentemente.

La legge n. 394, la legge quadro sulle aree naturali protette, regola la gestione della natura e promuove lo sviluppo sostenibile di un complesso sistema di aree, 871 tra nazionali e regionali, che interessa oggi l'11 per cento del territorio nazionale, 5 milioni di ettari tutelati tra terra e mare, compresi 658 chilometri di costa. Coinvolge tutte le regioni e una popolazione di oltre 10 milioni di cittadini, residenti in oltre 2 mila comuni, per la gran parte piccoli o piccolissimi.

Attraverso questo sistema di parchi e di riserve, la cui superficie è il doppio della media europea, si conserva gran parte del patrimonio di biodiversità di cui è ricco il nostro Paese. Noi custodiamo un terzo dalla fauna, il 50 per cento delle specie floristiche presenti in Europa - è un patrimonio, come veniva ricordato, che va tutelato - e si promuove un'economia della natura che interessa 250 mila imprese agricole, un settore del turismo natura che registra oltre 100 milioni di presenze, un fatturato globale di circa 5,5 miliardi di euro, con un incremento annuo dell'1,8 per cento.

La realtà dei parchi italiani si è affermata negli ultimi venticinque anni anche grazie a questo strumento, la legge n. 394, che ha garantito la crescita percentuale dei territori protetti dal 3 per cento all'11 per cento di oggi. Ha permesso la nascita dell'ente parco come un nuovo soggetto istituzionale e autonomo - oggi ce ne sono quasi 200 -, in cui sono stati rappresentati interessi locali, nazionali e della società civile.

Nell'ente parco, oltre ai sindaci, ricordiamolo, sono presenti rappresentanti dei ministeri, esperti e rappresentanti delle associazioni ambientaliste.

Sono stati riscoperti territori di pregio fino ad allora marginali, che hanno ritrovato interesse e ricevuto risorse pubbliche per invertire le dinamiche di depauperamento delle risorse naturali.

Ed è il frutto, questa legge, di una società in fermento, come quella degli anni Ottanta, che costruiva una visione nuova, nuovi valori, nella ricerca di un dialogo con la natura: l'ambientalismo, in quegli anni, era assai più forte di quello che vediamo oggi, certamente.

Quello che voglio dire è che questa riforma della legge sui parchi si inserisce in una necessità di aggiornamento e, come veniva ricordato, anche nella necessità di rivedere alcuni aspetti e certamente di porre più risorse in un settore così importante per la tutela della biodiversità e, come abbiamo visto, anche per un turismo di qualità, un turismo naturalistico.

Però questa riforma nasce male ed è uscita assai peggio. La sua origine è non era certamente volta ad avere la statura di una legge quadro: la legge cosiddetta D'Alì, che era una legge che riguardava fondamentalmente le aree protette di mare, su cui dopo si sono aggiunti interventi con lo scopo di aggiornare l'intero impianto della legge n. 394. È un po' l'immagine di un carro, un carro su cui sono saltati in molti: portando, in certi casi, delle istanze di miglioramento, e ce ne sono, qualche barlume; però per la maggior parte quello che è salito su questo carro sono delle istanze che peggiorano il quadro di questa legge e tendono più che altro ad accontentare gli appetiti di categorie che poco hanno a che vedere con la tutela delle aree naturali.

Il rischio è che una visione degli interventi così disomogenei e frammentari e la mancanza di una visione di insieme facciano un grave danno, distruggano quanto di buono si è fatto in questi decenni e ci faccia tornare indietro di trent'anni. Questo è il grande rischio che noi vorremmo evitare e abbiamo cercato di evitare, anche parzialmente riuscendoci, in Commissione, migliorando parzialmente il testo; ma le criticità ci sono ancora, andiamo ad illustrarle.

Pare che la concezione di questo Governo sia quella che la funzione prioritaria del parco sia quella di avere una resa economica, un ritorno economico immediato; poi, se si riesce anche a difendere la natura, a difendere anche l'ambiente, meglio, se no, pazienza, insomma. Ma noi sappiamo che non è questa la funzione principale, la funzione fondamentale dei parchi.

Addirittura in questo testo si prevedono delle compensazioni, come veniva ricordato, compensazioni per gli interventi nelle aree protette, anche le cose più impattanti per l'ambiente: trivellazioni, estrazioni di materiali; un principio che riteniamo sbagliato, perché distruggere servizi ecosistemici non ha un prezzo facilmente quantificabile e, soprattutto, significa distruggere una risorsa che non sarà più disponibile alle prossime generazioni e che, quindi, va protetta, soprattutto in un momento così critico.

C'è un dato che ho già ricordato in quest'Aula più volte, voi certamente lo ricordate: noi abbiamo distrutto negli ultimi quarant'anni il 50 per cento della biodiversità planetaria; quindi le aree parco oggi sono fondamentali, aree dove viene mantenuta questa biodiversità residua: sono gli ultimi baluardi, davvero, e dobbiamo difenderli a prezzo di qualcosa che non possiamo neanche valutare, perché di fatto quello che ci dice oggi la scienza è che la distruzione della biodiversità avviene ad un ritmo così elevato che si parla di estinzione di massa planetaria; quindi stiamo parlando di qualcosa che rischia di pregiudicare la nostra sopravvivenza.

È vero che è difficile operare una connessione con un fenomeno globale, che in realtà avviene molto di più in altri Paesi, occorre dirlo; ma dobbiamo ricordarci che in ogni piccolo pezzo dove sopravvive la natura, la biodiversità è da proteggere, anche da noi, dove il danno grande l'abbiamo fatto tanti, tanti anni fa, onestamente.

Innanzitutto vorrei cominciare introducendo il tema della governance, come è già stato anche fatto. Con questa riforma la gestione delle aree protette viene lasciata nelle mani della politica e, in particolare, della politica locale: viene estromesso il mondo scientifico e rimane solo una modesta rappresentanza di quello ambientalista, che però comunque deve sempre passare per l'approvazione degli enti locali. Secondo noi, questa è una scelta davvero folle, è una scelta criminogena: non si possono lasciare i parchi in mano ai poteri localistici, che peraltro in altri ambiti hanno anche dimostrato di essere facilmente permeabili alla corruzione e all'interesse di pochi portatori di interessi.

Quindi, per quanto riguarda il presidente dell'ente che dovrà gestire le aree protette, sarà sufficiente la generica qualifica di persona di comprovata esperienza nelle istituzioni o nelle professioni. Questo non vuol dire veramente nulla: è qualcosa di completamente vuoto. Sostanzialmente stiamo dicendo che potrebbe farlo chiunque e possibilmente sarà un politico locale, che ha qualche interesse e qualche capacità di fare gli interessi, appunto, dei potentati locali.

Noi crediamo che sia assolutamente indispensabile e prioritario che il presidente possa e debba dimostrare una competenza, che dev'essere sancita dalla sua storia individuale, la sua storia professionale. Lo spessore, la competenza, il talento sono le caratteristiche del buon presidente, non certo l'appartenenza politica.

Allora, quello che andava indicato - ed è quello che noi abbiamo proposto, insieme anche ad altre forze politiche all'interno della discussione in Commissione - è chiedere che la persona che deve ricoprire il ruolo di presidente abbia un'esperienza specifica nella tutela ambientale e nella sostenibilità ambientale. È una necessità imprescindibile e dev'essere anche comprovata e maturata da compiti o incarichi attinenti a quello di un direttore di parco: non è un ruolo che può prescindere da una competenza specifica.

Con questa riforma anche il direttore (che è un altro ruolo fondamentale per quanto riguarda i rapporti con le popolazioni locali, per il rilascio delle autorizzazioni e dei dinieghi sull'uso del territorio, un altro ruolo chiave) verrà nominato a seguito di una selezione pubblica, per la partecipazione alla quale sarà sufficiente possedere una laurea in qualsiasi disciplina. Di nuovo, siamo nello stesso principio: mancanza di una comprovata esperienza scientifica e naturalistica, ma soltanto comprovata esperienza di tipo gestionale. Quindi, è come un manager senza competenza naturalistica! È come se noi facessimo un direttore di banca, senza alcuna competenza economica e finanziaria: non avrebbe senso e, allo stesso modo, non ha senso in un parco naturale, che dal mio punto di vista è molto più importante.

Inoltre, non è previsto alcun vaglio esterno rispetto ai nomi che rischiano di essere espressione di potentati politici locali, lo ricordavo prima, e con tutte le pressioni e la tutela di interessi corporativistici che questo può significare. Abbiamo chiesto, anche in questo caso, di applicare un minimo di logica: modificare questa parte, scegliendo il direttore tra professionisti di primo livello per competenza naturalistica.

C'è poi un altro tema molto importante, il tema della caccia. La gestione della fauna selvatica: anche qui non è più previsto l'obbligo di applicare i cosiddetti metodi ecologici, catture, dissuasione per il controllo della fauna; anzi, quello che appare chiaro è che si sceglie di lasciare tutto in mano ai cacciatori. Possiamo chiamarla come si vuole, però questa sembra una forma di attività venatoria camuffata. Significa piombo a volontà nei parchi, caccia nei parchi, qualunque sia il nome tecnico che le vogliamo dare.

Fortunatamente qualche intervento migliorativo è stato attuato durante l'esame del provvedimento in Commissione, ma resta comunque il preoccupante arretramento culturale, che consente di trasformare le esigenze di controllo della fauna in una ghiotta occasione per favorire l'attività venatoria; quindi, continuerà una pressione venatoria fortissima, che assedierà l'area protetta. Un controllo così immaginato può solo nuocere gravemente alla salute di questi luoghi, in termini di equilibrio e conservazione della biodiversità. Viene sposata la filosofia dell'abbattimento degli animali scomodi, mentre si ignora la filosofia della prevenzione.

Poi dobbiamo ricordare anche un altro fatto: l'uso dei fucili all'interno delle aree protette determina sempre un disturbo alle specie che vivono all'interno di quell'ambiente e può determinarne la fuga verso l'esterno, verso le zone dove la caccia è permessa. Quindi, di fatto, noi, lasciando l'accesso a chi caccia all'interno di aree protette e avendo questi, ahinoi, un conflitto di interessi, perché riguarda una loro attività di piacere, creiamo le condizioni ideali non tanto per la protezione della fauna, quanto per il divertimento di chi pratica la caccia.

Ci sono tante aree in Italia dove si può cacciare: secondo noi, queste le dobbiamo lasciare assolutamente fuori dalla caccia.

Dobbiamo pensare e ripensare a un nuovo sistema, a un sistema che riesca efficacemente a contenere numericamente la popolazione di animali selvatici, quella a cui sono imputati i maggiori danni all'agricoltura, insomma, che sia eticamente e socialmente accettato e, infine, che sia in linea con la tutela del patrimonio di tutti, che è difeso all'interno delle aree protette.

Ci sono, a tale proposito, moltissimi metodi di contenimento non cruenti che sono in corso di sperimentazione e noi dovremmo investire le nostre risorse in questa direzione, fare ricerca per generare un sistema nuovo, uno sviluppo di sistemi non cruenti e che siano davvero efficaci, un po' come stano sperimentando nel Parco della Maremma toscana. C'è anche uno studio dell'FDA statunitense, che ha autorizzato l'uso di un farmaco che agisce sulla fertilità nei topi, che sta tenendo sotto controllo l'estensione delle colonie e che potrebbe essere autorizzato da noi per l'utilizzo per altri mammiferi, come, per esempio, i cinghiali.

Insomma, noi dobbiamo andare oltre, andare oltre la contingenza e, davvero, fare come si è fatto in passato, guardare avanti e investire in un futuro che possa proteggere noi stessi, il futuro di tutti noi e anche gli animali che abitano in queste aree. Abbiamo bisogno di immaginare un sistema di gestione complesso, articolato e coordinato, che includa una pluralità di tipologie di intervento: una limitazione della produzione e dello sfruttamento della fauna, una migliore gestione degli habitat, la protezione dei raccolti, anche, e dei rimborsi, che devono essere correttamente valutati e rapidamente assegnati, e anche maggiori, appunto, investimenti in ricerca e nei metodi sperimentali.

Abbiamo bisogno di questo, di tecnica, di scienza e di ingegno e non abbiamo bisogno di fucili; i fucili non hanno mai risolto il problema, questo ce lo raccontano i numeri attuali, la malagestione della fauna attuata sempre con questo stesso metodo ha portato, soprattutto, con gli ungulati, non affatto a un loro contenimento, ma, in realtà, a una loro esplosione. Ci sono degli studi scientifici che lo dicono, l'abbattimento, la gestione tramite i fucili non controlla la popolazione, ma la fa aumentare, per una serie di motivazioni scientifiche che hanno a che vedere con il come funzionano le popolazioni animali, con l'etologia; bisogna studiare l'etologia, come gli animali vivono e si riproducono.

Come dicevo, il metodo venatorio applicato al controllo faunistico, da tempo, ha dimostrato tutta la sua inefficacia, perché impiegato da decenni su tutto il territorio nazionale e da più di una decina d'anni lungo tutti i dodici mesi dell'anno, a qualsiasi ora del giorno e della notte; eppure, stando a quello che ci dicono le amministrazioni regionali, i danni imputati agli animali selvatici sono in continua crescita. Quindi, è già stato previsto nel collegato agricoltura, ma lo dobbiamo assolutamente applicare, il divieto assoluto di immissione e allevamento, per esempio, di cinghiali; dobbiamo smettere di creare un problema, anzi che qualcuno crei un problema, e dobbiamo chiedere a queste persone di risolvere il problema. C'è una massima di Einstein che diceva: è follia aspettarsi che la risoluzione di un problema avvenga con le stesse soluzioni che hanno contribuito a crearlo. E questo è un caso evidente che dimostra che l'utilizzo dei fucili non è la strategia corretta.

Veniamo anche all'importanza delle aree contigue; bisogna ricordare che sono aree importantissime per la tutela delle aree protette che le circondano e sono una vera e propria zona di transizione tra i territori protetti e quelli dove, invece, non vi sono vincoli. Anche qui, dal nostro punto di vista, dobbiamo adottare un'interdizione alla caccia, perché ci sono un sacco di altre aree dove si può cacciare e apriamo alla possibilità, come dicevo prima, di generare disturbo all'interno delle aree protette per poi raccogliere i frutti all'interno delle aree contigue. Questo meccanismo perverso va assolutamente scongiurato, dal nostro punto di vista, bandendo completamente la caccia anche nelle aree contigue. Come è stato ricordato, sparisce la possibilità di riconoscere i siti Natura 2000 come aree protette, con il conseguente drammatico e pericoloso allentamento dei vincoli su tali aree.

Voglio concludere con alcune considerazioni; come è stato già detto, qui, il tema che emerge è che il problema non è tanto fare una nuova riforma, ma è pensare al finanziamento delle aree protette. C'è un grande tema, che è quello della mancanza di finanziamenti.

È un elemento gravissimo, che continua a pregiudicare la possibilità di futuro di queste aree e, quindi, come dicevo prima, anche del nostro benessere, se vogliamo. La tutela degli habitat naturali, il grande successo delle politiche di conservazione della fauna che è testimoniato, per esempio, dall'attuale crescita della diffusione del lupo, dell'orso, del camoscio appenninico, la riduzione del consumo di suolo, la gestione forestale sostenibile, le attività di educazione ambientale, ma anche l'informazione scientifica e la diffusione della cultura ecologica, tutto questo, per tutti i parchi italiani sono uno strumento tra i più efficaci per conservare la natura, arrestare il declino della biodiversità, contrastare l'espandersi della cementificazione, difendere il paesaggio e i preziosi beni culturali e naturali in essi custoditi.

Inoltre, c'è anche il grande tema del cambiamento climatico; grazie al 62 per cento della superficie forestale nazionale e oltre 63 milioni di tonnellate di carbonio accumulate nei loro territori, i parchi contribuiscono a risolvere o, comunque, fanno la loro parte, nella soluzione di questo grave problema.

Una fotografia in positivo delle aree protette italiane dovrebbe servire da stimolo per rafforzare tutte le politiche di conservazione della natura e avviare, seriamente, una politica di valorizzazione delle eccellenze in termini di benessere ed economia circolare. In un mondo sempre più in crisi, un parco significa biodiversità, paesaggio, identità di luoghi e di comunità, difesa del suolo, servizi ecosistemici, economia, cultura, azione sul clima e visione strategica e anche connessioni con le politiche globali per la salvezza del pianeta.

Parco significa anche bellezza, quel diritto che viene sempre di più negato a noi persone che abitiamo un momento storico in cui la bellezza della natura è sempre più difficile ed è sempre più patrimonio accessibile a pochi, i pochi che possono spendere il denaro per andare a vederla nei posti dove ancora sopravvive, questo è un grande tema. Stiamo togliendo ai nostri figli, alle prossime generazioni qualcosa che è appartenuto a noi - o rischiamo di togliere - e che potrà essere sostituito, magari, per i pochi ricchi che potranno permetterselo, a prezzo di vacanze in luoghi esotici e lontani.

Questo Governo si vuole portare nella direzione opposta e sembra aver voglia di chiudere questa questione in fretta. Noi siamo qua per cercare di portare questa discussione in una direzione più proficua e di migliorare questo testo ulteriormente.

Quindi, mi unisco a quanto detto precedentemente, nel dire che credo sia proprio necessario che ci siano ulteriori spazi di miglioramento per questa legge, perché non può essere che semplicemente tutti si sbagliano e il Governo abbia ragione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Gabriella Giammanco. Ne ha facoltà.

GABRIELLA GIAMMANCO. Grazie, Presidente. Il provvedimento in discussione rappresenta un intervento normativo di sistema delle aree marine protette e delle riserve marine, integrando e modificando quello sancito dalla legge quadro 6 dicembre 1991, n. 394, che, in alcune sue parti, appare oggi superata.

In Italia ci sono più di ottocento aree protette, con un territorio di 32.000 chilometri a terra e 28.000 chilometri a mare. Tali aree rappresentano un grande patrimonio nazionale e ambientale, ma anche un'imprescindibile opportunità di sviluppo sostenibile, date le potenzialità di ricettività turistica di cui dispongono.

Si rende pertanto necessario per il legislatore realizzare una gestione integrata della materia, che trovi il giusto equilibrio tra la naturale vocazione allo sviluppo delle aree protette e le esigenze di tutela ambientale. Il provvedimento prende, quindi, le mosse da una nuova concezione delle aree protette, della loro funzione sul territorio nazionale, sull'economia e sullo sviluppo socio-economico del Paese; una nuova concezione che nasce per superare la conflittualità tra chi concepisce il concetto di difesa dell'ambiente come un concetto esclusivo, portandosi di conseguenza dietro anche l'idea di una subordinazione di qualsiasi altra attività alla difesa dell'ambiente, e chi punta a promuovere lo sviluppo socio-economico dei territori.

È naturalmente necessario che, come presupposto di tutto ciò, ci sia la massima considerazione dei soggetti che vivono nei territori in questione.

È di fondamentale importanza perseguire uno sviluppo che sia ecocompatibile ed ecosostenibile, ma questo non deve avvenire a discapito delle popolazioni locali e non deve spingere i più giovani ad andarsene, non vedendo possibilità di sviluppo e di crescita negli eccessivi limiti che vengono posti, a volte, alle attività antropiche.

In un Paese come l'Italia, caratterizzato dalla presenza di specie uniche, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, è necessario implementare modelli di sviluppo a basso impatto ambientale, rendendo le aree naturali protette, allo stesso tempo, strumenti di tutela della natura ed importanti fonti di sviluppo economico sostenibile, ossia di crescita sociale, occupazionale, turistica.

Il territorio italiano ha migliaia di chilometri quadrati di aree che sono rilevanti dal punto di vista ambientale, pur avendo pochissimi centimetri quadrati di natura vergine, cioè non contaminata dalla presenza dell'uomo. Non possiamo considerare solo in senso negativo la presenza e l'azione dell'essere umano; del resto noi godiamo di interventi dell'uomo che valutiamo oggi di grande rilevanza artistica e culturale.

Anche se la ricerca ci ha posto davanti il grande tema del limite che l'azione umana deve porsi davanti alle risorse naturali, la scommessa che dobbiamo porci è quella di prevedere interventi meno speculativi e sicuramente più allineati alle caratteristiche dei territori. Dobbiamo, quindi, porci l'obiettivo di elaborare una saggia via di sviluppo economico e per fare questo non possiamo perdere di vista l'idea della sostenibilità dello sviluppo.

Rispetto ad una proposta di legge che andava nella stessa direzione di quella oggi in discussione e che è stata presentata ed approvata nella scorsa legislatura in sede deliberante, questa si presenta certamente perfettibile, ancor di più dopo le modifiche introdotte in Commissione, che hanno modificato il provvedimento, già approvato al Senato, facendo prevalere, forse in modo troppo ideologico, il concetto di difesa ambientale a scapito di tutto il resto.

Abbiamo registrato, soprattutto da parte dei comuni, un malcontento derivante dal fatto che l'equilibrio dei poteri tra gli enti gestori delle aree naturali e gli enti locali appare un po' spostato a favore dei primi. Sarebbe, quindi, il caso di prevedere una maggiore possibilità per i comuni di intervenire nei processi decisionali. Sarebbe, inoltre, importante prevedere una maggiore integrazione tra enti locali, realtà ambientaliste e operatori economici, anche al fine di formare una nuova mentalità imprenditoriale rivolta all'idea della salvaguardia dell'ambiente non come ostacolo, ma come importante risorsa da valorizzare, da preservare, da tutelare. Una maggiore collaborazione, quindi, per fermare una cieca contrapposizione tra le parti, che, in alcuni casi, è servita a mantenere solo posizioni consolidate e non a realizzare gli interessi dei singoli territori. Sarebbe, quindi, opportuno prevedere un sistema più rispettoso in merito all'attribuzione dei poteri e ai processi decisionali sulle soluzioni adottate per il territorio.

Dall'approvazione della legge quadro sono stati fatti grandi passi in avanti anche tra coloro, come gli agricoltori, che si opponevano a qualsiasi idea di difesa del territorio in senso strettamente ambientalistico. Oggi - ripeto -, la grande scommessa è trovare il punto di mediazione, il giusto punto di incontro, di equilibrio tra le attività antropiche, le attività dell'essere umano legate alla natura - penso all'agricoltura, alla pastorizia, agli allevamenti -, storicamente considerate nemiche della conservazione dell'ambiente, e la tutela, la difesa, la preservazione dell'ambiente. Il punto di mediazione vero è quello di prevedere una governance moderata e più condivisa tra i territori, che non si esprima attraverso divieti assoluti, ma che interpreti al meglio le caratteristiche dei singoli territori, delle singole aree.

Pertanto, quello che Forza Italia chiede, anche attraverso le nostre proposte emendative al testo, su cui ci auguriamo ci sia il massimo confronto, il massimo dibattito in Aula e anche la massima apertura da parte della maggioranza, è di prestare ascolto alle popolazioni locali, ai sindaci che ne sono espressione, per superare i limiti della legislazione vigente, ormai obsoleta, e oltrepassare ogni contrapposizione tra la sacrosanta difesa dell'ambiente e l'imprescindibile sviluppo dell'economia delle aree in questione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4144-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore Borghi, che ha sette secondi.

ENRICO BORGHI, Relatore. Presidente, per ringraziare i colleghi ed assicurare che faremo tesoro dei loro contributi.

PRESIDENTE. Le avanzano ancora quattro secondi, poi, magari, potrà capitalizzarli in altre occasioni!

Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di intervenire in altra occasione.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Rosato ed altri n. 1-01508 in materia di robotica ed intelligenza artificiale (ore 15,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Rosato ed altri n. 1-01508 in materia di robotica ed intelligenza artificiale (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Binetti ed altri n. 1-01558 e Cominardi ed altri n. 1-01559 (Vedi l'allegato A) che, vertendo su materia analoga a quella tratta dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il deputato Paolo Coppola, che illustrerà anche la mozione n. 1-01508, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

PAOLO COPPOLA. (Il deputato Coppola avvicina al proprio microfono uno smartphone, da cui si ascolta la seguente frase: Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, tra qualche anno questo intervento potrebbe essere letto anche da un robot e, forse, a non tutti dispiacerebbe).

In realtà, come avete sentito, può essere letto già adesso. Tra qualche anno, potrebbe essere anche scritto, come avviene già per alcuni report finanziari o articoli sportivi, prodotti già oggi da software in modo automatico. I progressi nei campi della robotica e dell'intelligenza artificiale sono in grado di trasformare le nostre vite, cambiando le nostre abitudini nel lavoro e nel tempo libero, innalzando i livelli di efficienza, di risparmio e di sicurezza, migliorando il livello dei servizi e portando ampi benefici.

La trasformazione avviene da anni, ma negli ultimi tempi assistiamo ad un'ulteriore accelerazione: tra il 2010 e il 2014, la crescita media delle vendite di robot era stabile al 17 per cento annuo, ma nel 2014 è aumentata al 29 per cento. Le richieste di brevetto per le tecnologie robotiche sono triplicate nel corso dell'ultimo decennio. Studi scientifici dimostrano che i settori economici caratterizzati da un maggiore impiego di computer sono quelli che fanno rilevare un aumento particolarmente veloce dell'occupazione. Inoltre, l'automazione dei posti di lavoro può liberare le persone dai lavori monotoni e pericolosi.

L'apprendimento automatico permette un notevole miglioramento delle capacità di analisi dei dati, oltre a poter estrarre informazioni dalle enormi quantità di dati che, quotidianamente, vengono raccolti e memorizzati grazie ai sistemi informativi e ai dispositivi elettronici presenti negli ambienti in cui viviamo.

Abbiamo il dovere di controllare il processo tumultuoso che ci porta verso la quarta rivoluzione industriale, perché la forma che avrà dipenderà anche dalle nostre scelte politiche e dalla tempestività e dalla consapevolezza con cui le faremo. Amplificare i benefici dell'automazione del lavoro, rendendola sostenibile, facendo in modo che le nostre università e le nostre aziende diano il giusto contributo al progresso in questo settore è una responsabilità che crediamo che il Governo prenda con forza, in linea con il “Piano Italia 4.0”, tenendo conto dei problemi aperti relativi al tema della cybersecurity e della rilevanza etica e dell'impatto che tali tecnologie avranno sulla società e sul mondo del lavoro.

Entro il 2020 si prevede che il mercato mondiale della robotica avrà un valore di oltre 150 miliardi di dollari. A livello internazionale, l'Asia è il mercato a più alto tasso di crescita, la Cina ha superato da sola l'intera Europa. L'Italia, essendo il sesto Paese del mondo produttore di robot industriali e il secondo in Europa, ha un ruolo di leadership in termini di ricerca, innovazione e produzione e questo ruolo va sostenuto con forza ed attenzione alla sostenibilità della crescita.

Un sondaggio del luglio 2015 condotto da Pew Research Center su un campione di 2 mila adulti, alla domanda se, nei prossimi cinquant'anni i computer faranno la maggior parte del lavoro ora svolto dagli uomini, il 65 per cento ha risposto positivamente; ma chiedendo loro se tra cinquant'anni il loro lavoro rimarrà sostanzialmente immutato, l'80 per cento ha dichiarato di sì.

Come scriveva Gramsci nei quaderni del carcere: “L'elemento popolare ‘sente', ma non sempre comprende o sa”. Sebbene gli studi di Frey e Osborne, del 2013, stimassero che il 47 per cento dei lavori negli Stati Uniti d'America fosse già a rischio di automazione, studi più recenti, come, ad esempio, il rapporto del novembre 2015 di McKinsey, Four fundamentals of workplace automation, sottolineano che i lavori ad essere completamente automatizzati saranno pochi nel breve periodo, intorno al 5 per cento, ma il 60 per cento delle mansioni vedrà automatizzare il 30 per cento o più delle sua attività costituenti. Se accadrà questo, significa che i lavoratori attuali dovranno affrontare un poderoso cambiamento nelle loro abitudini, e dovranno sviluppare forti competenze legate alle tecnologie. I rischi del mancato governo dei processi dell'automazione del lavoro erano ben chiari a John Maynard Keynes negli anni Trenta, quando scriveva di disoccupazione tecnologica, e a Norbert Wiener, padre della cibernetica, che già nel 1949 avvertiva che il dominio delle macchine avrebbe potuto condurre a una rivoluzione industriale di assoluta crudeltà, riducendo il valore del lavoro fino a rendere non conveniente per il datore di lavoro assumere un essere umano, quindi riducendo a zero la componente del lavoro vivo secondo la teoria marxiana del valore.

La classe politica ha sottovalutato questi rischi? Keynes e Wiener hanno trattato come imminente un problema che invece ci troveremo eventualmente ad affrontare in un futuro remoto, con strumenti che ancora non abbiamo ma che le stesse tecnologie prima o poi ci forniranno? Noi crediamo che l'accelerazione impressa dalla digitalizzazione e dalla legge di Moore, che ha visto raddoppiare la potenza dei calcolatori negli ultimi cinquant'anni ogni due anni, obblighi la classe politica ad affrontare il problema con urgenza. Gli scritti di Wiener dimostrano anche l'importanza dell'approccio etico dei ricercatori che operano nel campo della robotica e dell'intelligenza artificiale, approccio che recentemente è stato proposto in una risoluzione europea con la Carta sulla robotica, il codice etico deontologico degli ingegneri robotici e il codice per i comitati etici di ricerca. Va anche sottolineato il fatto che, se un numero sempre maggiore di decisioni verrà preso con l'aiuto di algoritmi che apprendono e decidono in modo autonomo, occorrerà verificare se la legislazione attuale relativa alla responsabilità dei progettisti, dei fornitori e degli utilizzatori sia o meno adeguata.

Le tecnologie hanno sempre trasformato il lavoro, eliminando vecchi lavori e creandone di nuovi: nulla di nuovo, quindi? Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, due economisti del MIT, nel loro libro La seconda era delle macchine, scrivono che ciò che è stato non è più una guida affidabile per quello che sarà; non avevamo mai visto niente di simile - ammettono alla HarvardBusinessReview -, e in un'intervista a Fabio Chiusi per L'Espresso, nel 2014, affermano che a partire dagli anni Ottanta l'aumento di produttività e ricchezza non si è più tradotto in aumento di tassi di occupazione e aumento di salario.

Come scrive Michele Loi nel 2015, sulla rivista Ethics and Information Technology: da un lato l'occupazione cresce per lavori altamente specializzati di tipo manageriale, professionale e tecnico, dall'altro cresce anche in numerose occupazioni nei servizi di sicurezza e protezione; in confronto, l'occupazione per forme di lavoro routinarie con medie competenze è scesa costantemente, in termini relativi, negli ultimi tre decenni; inoltre, l'esplosione delle piattaforme di intermediazione del lavoro e della sharingeconomy trasformano molte attività in lavoretti, con scarse, se non nulle, tutele per i lavoratori e i consumatori. Ricordo, a questo proposito, che giace in X Commissione la proposta di legge di regolamentazione della sharingeconomy, a prima firma Tentori, che auspico venga ripresa il prima possibile. È evidente che, se la dinamica del mondo del lavoro è quella descritta, è urgente per il nostro Paese perseguire politiche per lo sviluppo del nostro capitale umano con la massima determinazione, oltre a farsi carico del problema della redistribuzione della ricchezza, costruendo le condizioni per uno sviluppo sostenibile.

Per tutti questi motivi, la mozione chiede al Governo di impegnarsi affinché venga favorita una linea comune tra i Ministeri nell'approccio allo sviluppo sostenibile della robotica, dell'intelligenza artificiale e della sicurezza informatica; vengano promosse attività di formazione, ricerca e sviluppo nelle scuole, nelle università e nei centri di ricerca di tali tecnologie, e siano sostenute le applicazioni alla produzione industriale e ai servizi civili in imprese consolidate e a startup innovative, in linea con quanto emerso dall'indagine conoscitiva della Camera su Industria 4.0 e con il piano Italia 4.0 del Governo, tenendo conto dei problemi aperti relativi al tema della cybersecurity, che deve essere sviluppata di pari passo alla crescente automazione dei processi e della rilevanza etica e dell'impatto che tali tecnologie avranno sulla società e sul mondo del lavoro. Infine, la mozione impegna il Governo ad analizzare soluzioni alternative ed innovative di welfare in merito agli effetti che lo sviluppo della robotica e dell'intelligenza artificiale avrà sull'occupazione. Nessuna tassa sui robot, che ridurrebbe la nostra capacità di competere per la leadership in questi fondamentali settori, né alcun reddito di cittadinanza svincolato da un piano di riconversione dei lavoratori e di formazione per acquisire le nuove competenze necessarie alla trasformazione in atto, ma un'azione politica che sappia ridisegnare il sistema di istruzione e formazione e quello di welfare e affrontare il problema della redistribuzione della ricchezza prodotta, che va reinvestita nel rafforzamento del nostro capitale umano, perseguendo, come recita la nostra Costituzione, l'obiettivo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Paola Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01558. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Presidente, membri del Governo, colleghi, il mio interesse personale a questo campo, così denso di sviluppi tecnico-scientifici oltre che economici, è dettato prevalentemente dalle enormi opportunità che la robotica e l'intelligenza artificiale, applicati alla teleriabilitazione, hanno permesso di raggiungere, offrendo a persone con disabilità di diverso grado e tipo, di recuperare ampi spazi di autonomia personale. È nato così un nuovo settore scientifico, la neurorobotica, che ha permesso di creare piattaforme robotiche indispensabili per la ricerca di base in neuroscienze, la possibilità di creare poi sistemi meccatronici per la diagnosi precoce dei disturbi del neurosviluppo e di sistemi robotici indossabili ispirati al concetto innovativo di structured intelligence. L'applicazione di queste nuove conoscenze anche alla domotica ha consentito di ribaltare completamente alcune forti condizionamenti di disagio - vere e proprie forme di handicap ad eziologia molto diversa - trasformandole in concrete opportunità di ricerca applicate ai bisogni dell'uomo. Una scienza, quindi, a servizio dell'uomo, che richiede però un approccio interdisciplinare complesso e investimenti iniziali coraggiosi e lungimiranti. Ed è questo uno degli obiettivi principali della mozione: da un lato, evidenziare l'altissimo profilo di competenze necessarie per immaginare soluzioni laddove altri vedono solo problemi; dall'altro, investire prima di tutto nella formazione dei giovani ricercatori che vi si dedicano, ma poi sostenerli anche nella fase applicativa delle loro ricerche.

Vorrei dimostrare che tutto ciò ha per noi un enorme ritorno, prima di tutto nella qualità di vita delle persone disabili, poi nello sviluppo delle neuroscienze applicate a problemi inediti, e infine può garantire al Paese anche un ritorno economico tutt'altro che irrilevante. Nel 2015, la crescita della vendita dei robot si è raddoppiata rispetto alla media degli anni precedenti, e i brevetti per le tecnologie robotiche si sono triplicate nell'ultimo decennio. L'Italia ha nel campo della robotica un ruolo di leadership in termini di ricerca, innovazione e produzione: è infatti il secondo Paese in Europa e il sesto al mondo come produttore di robot industriali. Entro il 2020 si prevede che il mercato mondiale avrà un valore di oltre 150 miliardi di dollari, con una collocazione prevalente in Asia e soprattutto in Cina, ma noi immaginiamo che l'Europa debba e possa giocare una partita di assoluta eccellenza in questo campo.

Ovviamente non si parla solo di neurorobotica: lo sviluppo delle nuove tecnologie si sta estendendo a macchia d'olio nei campi più diversi, dai progetti nel campo dell'automazione industriale ai settori di trasporto, sia in campo aerospaziale che sui treni ad alta velocità, possibilmente treni che saranno condotti senza macchinisti, nelle prossime automobili che si muoveranno senza autista, intercettando però i desideri di chi è sopra, dalla difesa sempre più sofisticata nella garanzia delle vite umane all'utilizzo di robot di nuova generazione in ambito medico-chirurgico e nei servizi alla persona. L'intelligenza artificiale crea continuamente nuovi mercati digitali che a loro volta possono liberare i livelli di creatività, genio e produttività con un impatto positivo sulla società e in questo modo si potrebbe raddoppiare il tasso di crescita delle economie sviluppate e aumentare la produttività del lavoro con incrementi fino al 40 per cento. Ciò richiede ovviamente un'ampia riflessione però sul modo di produrre, rafforzando i ruoli e le competenze delle persone che guidano i processi di crescita e di sviluppo. Diventa sempre più urgente raggiungere livelli adeguati allo sviluppo tecnico-scientifico anche nel campo della formazione: studiare e applicare la robotica educativa non è importante soltanto per imparare a costruire e usare i robot ma anche per insegnare un metodo di ragionamento e di sperimentazione che promuova attitudini creative negli studenti, compresa la loro capacità di comunicazione e di collaborazioni nell'ambito del lavoro di gruppo. Un numero elevato di imprenditori giovani e tecnologicamente evoluti prevedono di aumentare il ricorso nelle proprie organizzazioni a freelance indipendenti e competenti proprio in questo campo per acquistare nuove competenze e maturare una nuova vision organizzativa delle proprie aziende. Ma non si possono neppure ignorare alcuni problemi concreti che potranno insorgere con una diffusione sempre più capillare delle nuove tecnologie supportate da una vera e propria intelligenza artificiale. Da un lato, occorre smontare fin dal primo momento…

PRESIDENTE. La invito a concludere.

PAOLA BINETTI. …un secondo soltanto …una sorta di ideologia emergente che considera le macchine superiori agli uomini: un transumanesimo ad alto rischio che potrebbe creare centri decisionali molto distanti dai bisogni reali delle persone. È quindi necessario, oltre a sostenere lo sviluppo di questa parte così importante dell'industria 4.0, attivare anche criteri che, sul campo della legislazione e sul campo della bioetica, riescono davvero a mantenere tali questioni in un contesto che gli è proprio e non permettono gli stravolgimenti che potrebbero trasformare risultati positivi e veramente al servizio dell'uomo in qualcosa che si possa rivolgere anche contro l'uomo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Claudio Cominardi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01559. Ne ha facoltà.

CLAUDIO COMINARDI. Grazie, Presidente. Devo ammettere di aver apprezzato l'intervento del collega del Partito Democratico Coppola perché ha posto al centro due temi importantissimi: uno è relativo alla redistribuzione della ricchezza e l'altro è relativo ovviamente all'occupazione. Oltre tre anni fa ho presentato in Commissione lavoro una risoluzione proprio sulla disoccupazione tecnologica. Purtroppo devo dire che in Commissione lavoro non ho trovato la stessa sensibilità e la stessa attenzione a questi temi da parte del Partito Democratico tant'è vero che, abbinata alla mia risoluzione, abbiamo esaminato la risoluzione Tinagli nella quale tuttavia le preoccupazioni per l'impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro e quindi sull'occupazione sembrano molto timide, per non dire nulle. Pertanto spero che i ragionamenti che arrivano da un'altra forza politica possano arrivare direttamente in Commissione lavoro, tenuto conto che noi ci occupiamo direttamente dei temi che riguardano il lavoro fatto dalle persone e quindi i temi occupazionali e il welfare. Ho scritto ovviamente personalmente un intervento che ci tengo a leggere in modo tale che sia preciso e mi accingo ora a darne lettura. Ci troviamo all'alba di un'era rivoluzionaria senza precedenti, quella che Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, docenti del MIT di Boston, hanno definito la seconda era delle macchine. A differenza della rivoluzione tecnologica del passato ora le macchine sono davvero intelligenti in quanto sempre più autonome dall'uomo e in grado di sviluppare la cosiddetta intelligenza cognitiva di cui l'uomo fino a poco tempo fa era l'unico detentore. Ebbene sì, stiamo parlando dell'intelligenza artificiale che già oggi è in grado di rendere gli automi capace di interagire, apprendere, reagire agli stimoli, replicare gesti, riconoscere suoni o immagini, manipolare oggetti ed elaborare informazioni estremamente complesse. Non sto parlando di fantascienza ma di una realtà con la quale ogni giorno abbiamo a che fare e che nei prossimi anni sarà sempre più pervasiva nelle nostre vite.

Pensiamo quando ci dobbiamo spostare in un luogo che non conosciamo e utilizziamo google maps che, in tempo reale, ci segnala il tragitto più breve, gli autovelox, i percorsi alternativi in caso di traffico e così via oppure pensiamo quando al supermercato, per evitare la fila, ci affidiamo alle casse automatiche o quando al casello autostradale preferiamo quella voce metallica programmata per salutarci solo una volta che abbiamo saldato il conto oppure alle audioguide nei Musei capaci di fornirci informazioni dettagliate sulle numerosissime opere d'arte in sei lingue diverse oppure alle app, alle quali ci affidiamo per programmare i viaggi in treno o aereo, il noleggio di auto, la prenotazione degli hotel e per organizzare gli spostamenti urbani magari in metro driverless, senza conducente oppure distributori automatici di pizze come quello che ho personalmente visto per la prima volta all'aeroporto di Orio al Serio di Bergamo nel lontano 2010 dove un pizzaiolo meccanico, in meno di tre minuti, mescola acqua e farina, impasta, passa la farcitura e la ripone nell'apposita scatola di cartone delle classiche pizze d'asporto. Ma stiamo parlando del passato. Caliamoci nel presente per dare uno sguardo verso il futuro sempre più criptico ai nostri occhi. Per rimanere in tema di pizze per l'appunto all'Università Federico II di Napoli è stato recentemente progettato un robot unico nel suo genere, Rody Man, Robotic dynamic manipulation, è in grado di manipolare oggetti della struttura instabile deformabile ed elastica come appunto la pasta della pizza. Tutto ciò grazie ad un esperto pizzaiolo che gli ha insegnato i movimenti e i trucchi del mestiere. Può sembrare una banalità ma, a differenza della macchinetta sforna-pizze dell'aeroporto, Rody Man dimostra di essere in grado di apprendere una delle attitudini umane tra le più complesse: la manualità. L'uomo con la manualità lavora, crea opere d'arte, gioca, comunica, empatizza e genera emozioni. Ma non finisce qui: oggi esiste la segretaria virtuale dal nome Amelia, capace di svolgere egregiamente mansioni da centralinista, receptionist e segretaria, i medesimi compiti ricoperti in Italia da circa 2,5 milioni di addetti. Anche Ross non è da meno: avvocato digitale in grado di esaminare in pochi istanti milioni di contratti, sentenze e leggi per valutazioni giuridiche migliori di qualsiasi avvocato e costano meno di uno stagista e noi stiamo parlando del presente perché questo tipo di software è già stato applicato in sei studi legali a Milano. Quindi è un qualcosa che già fa parte della nostra realtà, della nostra vita. Emma invece è persino una cronista che con freddezza riporta in tempo reale le notizie di stampa, scrivendo articoli ineccepibili, per finire con Watson Health, il cervellone dell'IBM che, tra innumerevoli competenze, ha addirittura sviluppato quelle diagnostica come la mappatura dei nei per l'individuazione dei melanomi con un margine di errore ben al di sotto dei dermatologi. L'algoritmo di Watson ha una percentuale di errore solo del 5 per cento mentre i medici in carne e ossa tra il 16 e il 25 per cento. Quindi, se la legge di Moore è attendibile ovvero che la complessità di un microcircuito misurata ad esempio tramite il numero di transistor per chip raddoppia ogni 18 mesi e quadruplica ogni tre anni, immaginatevi quali potranno essere i futuri progressi dell'innovazione e l'impatto che potranno avere nella nostra società dal punto di vista sociale, culturale e politico-economico. Prendiamo in esame anche solo l'impatto che le nuove tecnologie avranno sull'occupazione. Secondo il rapporto del World Economic Forum di Davos nel 2016 saranno 5 milioni i posti di lavoro che andranno persi in Europa, anzi meglio ancora nelle quindici più grandi economie mondiali. Più pessimiste sono le stime dal capo economista della Bank of England, Andy Haldane, che prevede una perdita di 15 milioni di posti di lavoro nel solo Regno Unito e 80 milioni negli UE nei prossimi anni. Mentre secondo uno studio della Oxford Martin School University le professioni a rischio automazione, sarebbero 50 per cento in Europa, il 47 per cento negli Stati Uniti. Peccato che questi numeri sembra in Italia non facciano paura al Governo e ai nostri governanti. Il sottoscritto se n'è occupato, come dicevo in precedenza, prima di ogni altro in Parlamento, in Commissione lavoro, presentando ormai tre anni fa, una risoluzione sul tema della disoccupazione tecnologica e chiedendo al Governo di avviare un'indagine conoscitiva sull'impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, avviare un osservatorio sulle professioni a rischio obsolescenza, fare interventi in materia di formazione continua e scolastica, interventi normativi sull'orario di lavoro e sulla protezione sociale per contrastare le diseguaglianze e per tutelare i disoccupati o i sottoccupati e in collaborazione con la collega Tiziana Ciprini e tutto il gruppo parlamentare sono stato promotore della prima ricerca previsionale su come evolverà il lavoro in Italia nel prossimo decennio, coinvolgendo nel progetto i massimi esperti di tecnologia, economia, globalizzazione, organizzazione del lavoro, sociologia e altri importanti materie. Questo studio si chiama lavoro 2025 ed ha attratto l'interesse di una buona parte del mondo politico ma l'approccio a questi argomenti appare ancora troppo timido rispetto alla velocità dell'evoluzione di questi mutamenti epocali.

Il paradosso del modello sociale ed economico nel quale ci troviamo è che viviamo nell'era dell'abbondanza dove, grazie ai continui progressi nel campo dell'innovazione, si riesce ad avere sempre più beni e servizi con molto meno lavoro fatto dall'uomo; una grandissima opportunità per l'umanità di affrancarsi dal lavoro, soprattutto se manuale, faticoso e ripetitivo? E invece no, la produttività sta schizzando alle stelle, la disoccupazione pure e le disparità sociali ancor di più.

Ma la domanda sorge spontanea: a questo punto chi acquisterà quei beni e quei servizi se, al posto degli operai, impiegati e professionisti, avremo i robot? Da qui la necessità di risolvere la questione della redistribuzione delle ricchezze, semplice da comprendere, molto più complessa da realizzare.

Robert Reich, ex segretario del lavoro dell'amministrazione Clinton, con un documentario dal titolo Inequality for all, mette in evidenza le storture del modello economico dominante, in grado di produrre sempre più ricchezza senza saperla distribuire. Pone, inoltre, l'accento sull'importanza di una classe media forte, poiché in grado di dare stabilità all'economia e di determinare la spesa al consumo.

Faccio presente che negli Stati Uniti il 70 per cento della spesa al consumo è alimentata proprio dalla classe media. Tuttavia, il trend continua ad andare nella direzione opposta. Secondo il Rapporto Oxfam, nel 2010, le 388 persone più ricche detenevano la ricchezza del 50 per cento della popolazione più povera, ovvero di tre miliardi e mezzo di persone. Poi siamo passati, tre anni fa, ad avere un'ottantina di persone che detenevano la ricchezza equivalente alla metà della popolazione mondiale, sempre quella più povera. Due anni fa, erano sessantadue queste persone e oggi sono solo otto; nel giro di sei anni siamo passati da 388 persone che detenevano la metà della ricchezza mondiale a solo otto persone. C'è un grosso problema di redistribuzione della ricchezza, perché chi accumula ovviamente non spende e chi ne paga le conseguenze sicuramente è la maggioranza della società, che comprende anche le piccole, medie e grandi imprese, in termini più ampi.

Raccontato lo stato dell'arte, ci si pone di fronte a “che fare?”, alla ricerca della soluzione. Una delle più discusse è quella di dare un reddito a chi non ce l'ha, ovvero un'opportunità di vita che oggi è purtroppo ancorata al seguente rapporto patto sociale-lavoro, quindi produco, quindi percepisco reddito, quindi consumo, quindi vivo o sopravvivo. Questo rapporto, purtroppo, non regge più, perché le macchine lavorano al posto nostro, lo fanno senza percepire un reddito e soprattutto non vanno a fare la spesa.

Alla politica spetta il difficile compito di tradurre il “che fare?” nel “come fare”, cercando di interpretare questa rivoluzione storica che sta mettendo in discussione il paradigma sociale ed economico su cui si regge il sistema, prima che siano gli eventi stessi a travolgere la politica stessa. Quindi, le soluzioni sono sicuramente di varia natura, perché, da un lato, abbiamo anche il rischio che le persone (intendo anche i lavoratori, in particolare) diventino loro obsolescenti, perché non in grado di stare al passo con le nuove tecnologie; per cui, i cosiddetti lavoratori analogici, se non riescono ad imparare a utilizzare queste nuove tecnologie, diventeranno obsoleti nel loro settore produttivo, nella loro realtà di lavoro. Quindi, bisogna incentivare innanzitutto l'apprendimento delle nuove tecnologie in ogni ambito sociale, a partire dalle scuole, fino alle imprese: una formazione continua. Difatti, oggi ci troviamo di fronte al problema di un divario tra le nuove generazioni e quelle che sono nel mondo lavoro da parecchio tempo. Dunque, da un lato, abbiamo i cosiddetti lavoratori analogici di cui parlavo prima e, dall'altro lato, abbiamo i lavoratori digitali, che, a differenza degli analogici, sono molto più bravi nel problem solving, nel lavoro in team, nel riuscire ad adattarsi a situazioni lavorative in continuo mutamento, ad utilizzare gli strumenti tecnologici fino a quelli più evoluti e, in un Paese come il nostro, che ha il 40 per cento di disoccupazione giovanile, non possiamo non sfruttare queste competenze. Questo è un grave danno, a maggior ragione in un Paese come il nostro, che ha anche un altro aspetto importante: l'aspetto demografico. Abbiamo più anziani rispetto ai giovani e questo penalizza ulteriormente il nostro Paese rispetto all'approccio a queste problematiche, a questa rivoluzione di carattere tecnologico. Poi abbiamo anche un problema perché adesso il Paese è anche molto longevo, grazie a Dio.

Prendere in esame i pensionati ci dà già una un'idea di grandezza importante: sono circa 18 o 19 milioni di persone, molte delle quali incominciano ad avere necessità di qualcuno che li assista, ma come si fa? C'è un costo, un costo molto rilevante, un costo sociale incredibile. Non c'è nemmeno la competenza, ad oggi, e, più che altro, non c'è nemmeno il numero sufficiente di persone per assistere questo volume di persone, se così lo posso definire in maniera volgare.

Però, da un lato, abbiamo anche la tecnologia che ci aiuta, perché esiste il welfare tecnologico. Sono stato, proprio lunedì scorso, all'Istituto italiano di tecnologia e ho visto quelli che sono stati i lavori di una start-up eccezionale, che è la Movendo, che nasce proprio dall'Istituto italiano di tecnologia, per cui si riusciranno a mettere sul mercato, a breve, delle protesi che consentono a persone che non hanno mobilità negli arti inferiori di potere svolgere quanto meno le funzioni primarie. Quindi, il ruolo della tecnologia anche in ambito del welfare sarà fondamentale, avrà un ruolo fondamentale. Ecco, quindi, che tutto ciò, negli impegni anche della nostra mozione, è tenuto in seria considerazione.

Altra questione è quella di rivedere anche il concetto di lavoro, da un lato, perché siamo in una fase di parcellizzazione del mondo del lavoro, con il ruolo che svolge anche la sharing economy e, quindi, in molti casi vengono meno sia gli orari di lavoro, che gli spazi. In questo senso, bisogna capire che il mondo sta cambiando e quindi ci si deve preparare a questo, ma prepararsi a questo vuol dire, sì, da un lato, tenere in considerazione che abbiamo milioni disoccupati, ma, nel contempo, siamo tra i Paesi in cui si lavora di più; sembra un paradosso, ma è proprio così.

Abbiamo avuto anche la geniale idea di detassare l'orario straordinario, che incentiva, in un certo senso, anche la disoccupazione. Quindi, rivedere il concetto di orario di lavoro, rivedere le politiche contrattuali, ma nel contempo avere uno strumento, un paracadute sociale, che consenta a chi non ha un reddito di poter vivere, di poter rimanere incluso nella società e comprendere che, oggi come oggi, è fondamentale separare il concetto di lavoro dal concetto di reddito è un passo anche culturale molto importante. Chiaro è che è un passo che non si può fare da qui ai prossimi cinque anni, però noi dobbiamo avere un occhio un po' più lungimirante verso i prossimi decenni.

Un reddito di cittadinanza è necessario, lo richiediamo nuovamente, ma non è un reddito di cittadinanza - io lo ripeto milioni di volte - in termini di assistenzialismo, o cose di questo genere. Non lo voglio assolutamente sentire, perché io non credo che in nord Europa si faccia assistenzialismo, che la Finlandia, la Norvegia, l'Olanda, la Germania, tutti Paesi esemplari dal punto di vista delle politiche sociali, facciano assistenzialismo. Noi ci ispiriamo a quel tipo di strumento, che prevede formazione continua, che prevede la disponibilità, l'effettiva ricerca del lavoro, che prevede un reato di tipo penale per chi dichiara il falso e quindi percepisce reddito che non si merita; tutta una serie di strumenti che servono assolutamente.

Qui abbiamo un potenziale di milioni e milioni di giovani che al mattino sono a casa con le loro famiglie, suona la sveglia e si alza il padre per andare al lavoro. Suona la sveglia un'altra volta, la madre si alza per andare al lavoro e il giovane con titoli di studio, con master, con una preparazione, con un un'apertura mentale, con una predisposizione alle nuove tecnologie, visto che è la materia di cui ci stiamo occupando ora, non può dare il suo apporto alla società. Questo è un gravissimo danno.

Avere quindi uno strumento di questo tipo per poi arrivare al reddito di base incondizionato. Guardate che la Finlandia lo sta già sperimentando su un campione di persone, per vedere quali siano gli effetti che si hanno sulla società, nel momento in cui si dà un reddito di base incondizionato, senza porre alcuna condizione.

Ma la maggior parte delle persone cosa fa? È già stato studiato anche alla Silicon Valley e Google sta facendo la stessa cosa. Praticamente sono soggetti che precorrono i tempi e, secondo me, sono soggetti ai quali noi ci dobbiamo ispirare.

Ma io vorrei citare un esempio molto interessante sul potenziale umano che noi tutti abbiamo e che dobbiamo riuscire a far esprimere per il nostro Paese e per tutti i nostri cittadini.

Il fatto è che, nel 1960, negli Stati Uniti si può dire che è stata sperimentata una prima forma di reddito di base incondizionato. È stato sperimentato nei confronti di una scrittrice, che magari molti conosceranno. Questa scrittrice non era nessuno all'epoca, aveva una gran dote, ma non aveva il tempo e la possibilità per potere scrivere. Al che, un amico decise di donargli un reddito per un anno, per farle scrivere il romanzo della sua vita. In quell'anno, questa scrittrice, che si chiama Harper Lee scrisse Il buio oltre la siepe. Era il 1960. Nel 1960 Harper Lee vince il premio Pulitzer e diventa una delle più grandi scrittrici della storia. Questo per dire che investire sulle persone, quindi sulle proprie competenze e sulle proprie capacità, non sono soldi buttati via. Anzi, un disoccupato, una persona che è fuori, esclusa dalla società, è un costo per la società, perché è borderline con l'illegalità. Questo è un aspetto che non viene purtroppo considerato.

In chiusura, vorrei fare presente che questa mozione vuole cogliere le opportunità che ci sta dando questa rivoluzione di tipo tecnologica e innovativa. Sta alla politica riuscire ad interpretarle al meglio e di saperle prevedere. Ecco perché è giusto studiare questi argomenti e affrontarli nel modo giusto. Sicuramente potremo avere un gran futuro, altrimenti sarà un disastro per tutti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Roberto Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, Presidente. La mozione che oggi discutiamo affronta un tema sicuramente affascinante, un tema di importanza strategica, non solo per il nostro sistema produttivo, ma per il nostro modo di vivere, per il futuro che c'è davanti. Ne va dato atto, quindi, a chi ha voluto proporre questa mozione e stimolare questo dibattito in Aula.

La nostra convinzione - e anche la nostra preoccupazione - è che non basti una mozione per affrontare un tema così importante e così ambizioso. Infatti, il tema che è riportato nella mozione è proprio quello della quarta rivoluzione industriale, che ci accingiamo a vivere e che, secondo alcuni, staremmo già vivendo. È la quarta perché la prima fu quella alla fine del XVIII secolo, quando si introdusse la macchina a vapore nel sistema produttivo; la seconda alla fine del XIX secolo, nel 1870, quando nel sistema produttivo si introdusse l'energia elettrica; la terza, in prossimità degli anni Settanta, quando il computer cominciò ad entrare nelle nostre aziende; la quarta, quella che rischia di essere la più straordinaria per la portata degli effetti, è proprio quella relativa all'automazione dei sistemi di produzione e ai robot, quella per cui saremo nella condizione di avere una produzione industriale quasi del tutto automatizzata o interconnessa.

Quindi, si tratta di una vera e propria rivoluzione epocale, che merita un approfondimento e che meriterebbe, però, un approfondimento più importante di quello proposto attraverso una mozione parlamentare, anche perché questo cambiamento è un cambiamento già in essere.

Lo ricordava qualcuno degli intervenuti prima di me, negli ultimi dieci anni è cresciuto del 72 per cento il numero dei robot in ambito industriale e, conseguentemente, c'è stata una contrazione dell'occupazione, legata a questo fattore del 16 per cento circa. Si stima che una percentuale compresa tra il 45 e il 60 per cento della forza lavoro in Europa rischia di essere sostituita da processi di automazione e dall'impiego di robot. Il 47 per cento dei lavoratori americani entro vent'anni rischia di essere sostituito da queste innovazioni nei processi produttivi. Nei prossimi anni, anzi, negli anni in corso, secondo ricerche estremamente condivise, si stima che si perderanno circa 7 milioni di posti di lavoro. Se ne guadagneranno forse 2 milioni, ma ci sarà comunque un saldo negativo di 5 milioni di posti di lavoro. Sì, perché le macchine fanno molte cose al posto degli esseri umani, spesso le fanno anche meglio e in tempi rapidissimi. Consentono, quindi, un aumento della produttività per le imprese e anche un aumento della qualità dei servizi e dei prodotti, ma il problema è che distruggono occupazione.

Se così è, se il problema è di questa importanza e di questa gravità, probabilmente occorre una discussione, che possa essere utile a colmare il ritardo culturale e politico, che nel nostro Paese c'è rispetto a questi temi, un ritardo culturale che investe anche il sistema industriale del nostro Paese, un ritardo politico, che è nella responsabilità esclusiva del Governo e delle maggioranze politiche e che, a volte - è vero - riguarda trasversalmente anche le forze di opposizione.

C'è la necessità di colmare questo ritardo e, di certo, non si fa con gli annunci, a cui ci ha abituato l'ex Presidente del Consiglio. Ricordo che, nel 2015, parlò diffusamente di industria 4.0, come della soluzione ai problemi dell'ammodernamento industriale e anche dello sviluppo nel nostro Paese. Da lì in poi è successo davvero poco. C'è questo progetto ambizioso del Mise, che però stenta a decollare. I problemi posti dalla rivoluzione, che stiamo vivendo e che vivremo con sempre maggiore intensità nei prossimi anni, sono problemi di difficile soluzione. Infatti, dal punto di vista proprio del mercato del lavoro, occorrerebbe investire in maniera importante nel reskilling all'interno del sistema industriale, in meccanismi di formazione professionale, che siano più orientati ad affrontare questo tema di quanto non lo siano oggi.

Vorrei ricordare, per inciso, che noi abbiamo un sistema della formazione professionale che ha l'ambizione di formare ancora profili assolutamente inadeguati, rispetto alle necessità del nostro sistema produttivo. In molte regioni, per esempio nelle regioni del sud - io appartengo ad una di queste regioni -, diventa un sistema di formazione professionale utile solo ad arricchire gli enti di formazione e incapace di creare posti di lavoro.

Ebbene, andrebbero orientate queste risorse nella direzione di farsi trovare pronti a fronteggiare le sfide che l'automazione dei processi produttivi impone, magari prevedendo una formazione on the job per quelli che già lavorano all'interno delle aziende e che rischiano di essere espulsi dal sistema produttivo nei prossimi anni, magari prevedendo, come alcuni suggeriscono, una formazione, per così dire, al contrario, rispetto a quella a cui siamo stati abituati, la formazione da parte dei più giovani, all'interno delle impresse, nei confronti dei più anziani, che sono quelli a rischio maggiore di essere espulsi dal mercato del lavoro.

Occorrerebbero - e queste cose si fanno, non si dicono solo attraverso le mozioni - interventi importanti da parte del Governo, in ordine agli investimenti in ricerca e sviluppo, perché il nostro può essere un Paese capace di utilizzare quest'occasione come un'occasione di sviluppo, capace di utilizzare l'occasione dell'innovazione dei processi produttivi, attraverso sistemi di automazione e attraverso robot, come l'occasione per produrre anche parti importanti di questi sistemi.

Occorre un investimento nella scuola e nell'università capace di addestrare la creatività dei giovani e capace, anche, di formare profili lavorativi adeguati alla stagione che stiamo vivendo e che vivremo nei prossimi anni.

Non ci pare che gli interventi del Governo e della maggioranza, in questi anni, siano andati in questa direzione. Occorre - è contenuto anche questo nella mozione proposta dal Partito Democratico - rivedere i modelli di welfare, perché è evidente che il nuovo sistema che ci accingiamo a vivere è un sistema nel quale è necessario ci siano meccanismi di protezione sociale per quelli che vivono, con più probabilità, il rischio di espulsione dal mercato del lavoro. Ma, come dicevo, questo non si fa con una mozione, si fa attraverso una serie di interventi coordinati da parte dei diversi Ministeri, attraverso una volontà forte, da parte del Governo, capace di dimostrare che si ha la voglia di colmare quel ritardo politico e culturale a cui facevo riferimento.

Questi processi non sono processi arginabili; chi ritenesse di poter avere un approccio conservatore nei confronti dell'innovazione tecnologica, nel modo di produrre, farebbe una battaglia contro i mulini a vento; non c'è spazio per approcci conservatori o protezionisti, nemmeno se riguardano la legittima volontà di proteggere i posti di lavoro, perché in un sistema che diventa globalizzato, anche dal punto di vista dell'automazione, chi non si adegua rischia di essere incapace di conseguire quei vantaggi competitivi che sono alla base della sua possibilità di competere con altri sistemi produttivi del mondo.

Ma non è un processo che si può vivere passivamente, quasi subendolo. Per questo noi ci aspetteremmo dal Governo un forte investimento nelle direzioni che prima ho cercato di indicare, seppur accennandole, anche perché - e concludo, signor Presidente - il tema posto nella mozione, quello dell'automazione dei processi produttivi, dell'impiego dei robot, il tema di Industria 4.0, che spesso è declamato, ma poco realizzato, è un tema che, per le ragioni che abbiamo detto, può essere un problema, ma può essere anche un'opportunità, dipende da come lo si vive, da come lo vive il nostro sistema industriale, dipende, soprattutto, da come si prepara il nostro sistema istituzionale a governare, attraverso politiche economiche adeguate a questo processo.

Se sarà un problema, lo sarà per tutto il mondo, perché i robot globalizzeranno ancor di più la produzione. E' evidente, un robot o una macchina che sostituisce l'uomo in alcune fasi del sistema produttivo sarà disponibile allo stesso prezzo in Senegal, come in Italia, in Germania, come in India, e, quindi, questo processo tenderà a globalizzare, a omologare ancor di più i sistemi di produzione. Se sarà un problema dal punto di vista della perdita di occupazione, lo sarà per tutto il mondo, se sarà un'opportunità, potrà esserlo, soprattutto, per noi, potrà esserlo soprattutto dove risiederà maggiore creatività e dove il valore aggiunto potrà consistere nella parte di intelligenza umana che è comunque necessaria, affianco all'intelligenza artificiale crescente, nei processi produttivi.

Ecco, il nostro è un Paese che ha sempre dimostrato grandissima creatività, che ha nei nostri giovani grandi intelligenze. Io credo che questa quarta rivoluzione industriale che ci accingiamo a vivere, che, come dicevo, alcuni sostengono staremmo già vivendo, può essere una grande opportunità per il mondo occidentale, per il nostro Paese se solo sapremo coglierla meglio di quanto abbiamo fatto in passato rispetto ad altre sfide poste dall'innovazione tecnologica.

Noi abbiamo straordinari giovani che spesso, però, non sono impiegati nel nostro sistema produttivo e industriale come forza importante per fare aumentare il livello di competitività del nostro sistema, grazie alla loro creatività. La creatività diventerà fattore importante per accumulare un vantaggio competitivo in un mondo dove i sistemi produttivi saranno omologhi e quasi tutti del tutto automatizzati. Facciamoci trovare pronti a vivere questa sfida in maniera esaltante; non credo che il Governo, al di là delle declamazioni e dei progetti abbozzati, lo stia facendo.

L'auspicio è che questa mozione possa aumentare la consapevolezza in ordine all'importanza della sfida che stiamo vivendo, ma, soprattutto, in ordine alla necessità di farsi trovare pronti a questa sfida per rendere il nostro Paese più competitivo e per fare di questa occasione l'occasione per la crescita economica e lo sviluppo del nostro Paese, oltre che dell'Europa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Rocco Palese. Ne ha facoltà.

ROCCO PALESE. Signor Presidente, non c'è dubbio che la mozione presentata e di cui si sta discutendo e le altre che sono in corso di predisposizione e presentazione da parte dei vari gruppi siano di grande interesse in riferimento alla robotica e all'intelligenza artificiale.

Albert Einstein, signor Presidente, diceva che tutto ciò che promuove l'evoluzione civile, la scienza, lavora per il progresso del mondo. Non c'è dubbio che questo argomento e questa materia collimino completamente con quanto il prezioso e grande scienziato ebbe a dire tanti anni fa.

Si tratta di cercare di trasformare in opportunità e in positività tutto ciò che viene dalla scienza. Penso che questa mozione ponga una serie di problemi; problemi che riguardano, in particolare, l'intera situazione dell'innovazione, in riferimento a ciò che accade anche nel mondo e negli altri Paesi, in un contesto di regolamentazione; intanto cerchiamo di mettere ordine a casa nostra, nel senso che i vari ministeri non è che possono andare ognuno per conto proprio, utilizzando risorse, e poi determinando scelte che, magari, spesso e ben volentieri, sono in contrasto oppure duplicazioni.

Il secondo aspetto è che questa situazione non riguarda solo i ministeri ma riguarda anche le università, i centri di ricerca, per non parlare, poi, di quello che sta accadendo - non che accadrà, ma sta accadendo - all'interno dell'utilizzazione dei fondi destinati alla ricerca e, in particolare, all'intelligenza artificiale, a questo tipo di materia, sui fondi strutturali delle regioni dell'Obiettivo 1. Questo lo dico, perché il tutto va preso e trasformato in situazione positiva rispetto a ciò che può essere un'attivazione molto forte di Industria 4.0. Se ne parla tanto, è così di moda, ci affezioniamo a tutte queste dizioni che vanno di moda di tanto in tanto e, invece, io penso che la cosa più importante sia riuscire a cogliere l'occasione, attraverso anche questa mozione, di determinare la fattibilità di una serie di situazioni che si sviluppano, ma soprattutto in riferimento a quello che riguarda la situazione contestuale del lavoro e dell'occupazione.

Dico questo, perché è fin troppo evidente che si va verso un'evoluzione generazionale e culturale del lavoro negli anni, in prospettiva, proprio attraverso questi sistemi e così come è stato per la digitalizzazione, la meccanizzazione all'interno delle fabbriche e dell'industria. Che cosa non ha comportato soprattutto nel manifatturiero, in tutti questi contesti? Ora, dobbiamo cercare di far di tutto per non trovarci impreparati.

Sicuramente, c'è un qualche cosa di positivo, di straordinario, ma se tutto questo collima anche con un grande investimento, appropriato, degno di questo nome e degno delle conquiste scientifiche in termini di robotica e anche di intelligenza artificiale, attraverso una qualificazione

professionale delle nuove generazioni, in particolare, e di tutto ciò che riguarda il mercato del lavoro e l'industria, in particolare.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sospendo per cinque minuti la seduta, che riprenderà alle ore 16,50.

La seduta, sospesa alle 16,45, è ripresa alle 16,55.

Discussione della proposta di legge: Arlotti ed altri: Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione (A.C. 1202-A); e dell'abbinata proposta di legge: Gianluca Pini ed altri (A.C. 915).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1202-A: Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione; e dell'abbinata proposta di legge n. 915.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 24 marzo 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 24 marzo 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1202-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice Fabbri.

MARILENA FABBRI, Relatrice. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, oggi, anche a nome dell'onorevole Matteo Bragantini, che è con me correlatore in questo provvedimento, ma che oggi non può essere in Aula, sono ad illustrare all'Assemblea la proposta di legge, atto Camera 1202, a prima firma del collega Arlotti, recante il distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, come risultante dagli emendamenti approvati nel corso dell'esame in sede referente.

A tale provvedimento, inizialmente, era abbinata anche la proposta di legge, atto Camera 915 Gianluca Pini, nella parte che riguarda il distacco del comune di Sant'Agata Feltria dalla provincia di Rimini: tuttavia, tale proposta è stata esclusa, con deliberazione assunta nella seduta del 7 luglio 2015, dal perimetro d'esame della Commissione, in quanto improcedibile a causa della mancanza del requisito dell'iniziativa del comune interessato previsto dall'articolo 133, primo comma, della Costituzione.

La proposta di legge in esame, come recita il titolo, prevede il distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio, appartenenti alla provincia di Pesaro e Urbino, dalla regione Marche e la loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna nell'ambito della provincia di Rimini. Si tratta di due comuni il cui territorio è compreso, in parte, nell'area dell'Alta Valmarecchia, cui afferiscono i comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello: sette comuni che, già nel 2009, sono stati distaccati dalla regione Marche e aggregati alla regione Emilia-Romagna, a seguito dell'approvazione della legge 3 agosto 2009, n. 117.

Ricordo che il distacco di comuni da una regione e la loro aggregazione ad altra regione è disciplinato dall'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, che delinea un procedimento legislativo peculiare, caratterizzato dall'iniziativa dei comuni interessati e dall'approvazione da parte della maggioranza della popolazione dei predetti comuni, espressa mediante referendum, e il parere dei consigli regionali interessati.

Circa la sussistenza dei richiamati presupposti costituzionali, i referendum per il distacco dalla regione Marche e l'aggregazione alla regione Emilia-Romagna si sono svolti nei due comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio in data 24 e 25 giugno 2007. Del risultato positivo è stata data comunicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 158 del 10 luglio 2007. Il parere della regione Emilia-Romagna risulta espresso con risoluzione del 17 aprile 2012 dell'assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della regione Emilia-Romagna n. 77 del 9 maggio 2012, periodico, parte seconda: il parere è favorevole.

Non risulta, invece, espresso il parere della regione Marche. Rilevo in proposito che la presidenza della Commissione affari costituzionali, con lettere del 12 novembre 2014, dell'8 luglio 2015 e del 21 ottobre 2015, ha richiesto alla presidenza del consiglio regionale delle Marche l'espressione del predetto parere.

Nella riunione del 12 gennaio 2016, l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi della Commissione affari costituzionali, viste le reiterate richieste di espressione del parere ed in considerazione del considerevole lasso di tempo trascorso dalla prima di tali richieste, ha ritenuto che, essendosi la Commissione pienamente attenuta al principio di leale collaborazione, sussistessero le condizioni per proseguire nell'iter legislativo.

È stato, peraltro, ritenuto opportuno procedere allo svolgimento di un'audizione informale di esperti, al fine di acquisire la loro opinione in ordine al citato orientamento di procedere nell'esame delle citate proposte, pur in assenza del parere di una delle due regioni interessate.

Nella seduta del 10 marzo 2016, il presidente ha riferito che tutti gli esperti ascoltati in audizione hanno convenuto che la mancata espressione del parere da parte della regione interessata non può costituire, alla luce del dettato costituzionale, motivo ostativo alla prosecuzione dell'iter parlamentare.

È stata richiamata la costante giurisprudenza costituzionale, in particolare la sentenza n. 33 del 2011, che ha evidenziato come la previsione di un parere, quale espressione del principio di leale collaborazione, esige che le parti della relazione si conformino nei rispettivi comportamenti a tale principio. Pertanto, chi richiede il parere deve mettere il soggetto consultato nelle condizioni di esprimersi a ragion veduta, concedendo un ragionevole lasso di tempo per la formulazione del giudizio, mentre il soggetto consultato deve provvedere diligentemente ad analizzare l'atto e ad esprimere la propria valutazione nel rispetto del termine dato. Inoltre, è stato evidenziato che, sempre secondo la Corte costituzionale, anche in mancanza della previsione di un termine per l'espressione del parere, deve escludersi che l'organo consultato possa, rifiutandosi di rendere il parere, procrastinare sinedie il termine, perché in tal modo si verrebbe a configurare un potere sospensivo o addirittura di veto, inconciliabile con la natura della funzione consultiva; si veda la sentenza n. 225 del 2009.

In quella medesima seduta del 10 marzo 2016, la proposta di legge n. 1202 a prima firma Arlotti, riguardante il distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio, è stata adottata come testo base per il prosieguo dell'esame. Nella seduta del 21 marzo scorso si è svolto l'esame delle proposte emendative, con l'approvazione di cinque emendamenti dei relatori, mentre nella seduta del 23 marzo 2017 la presidenza ha dato conto dei pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva, precisando che la II Commissione ha espresso un nulla osta, mentre la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha espresso parere favorevole con osservazioni, relative all'articolo 2, comma 2, che invitano a valutare l'opportunità di integrare il procedimento di nomina del commissario con il parere della provincia di Pesaro-Urbino e di fissare un termine per l'espressione dei pareri, disciplinando le conseguenze della mancata espressione degli stessi. Il presidente ha altresì avvertito che la V Commissione avrebbe espresso il proprio parere direttamente all'Assemblea.

In quella medesima seduta la I Commissione ha quindi approvato la proposta dei relatori di coordinamento del testo e ha deliberato di conferire il mandato ai relatori, deputati Marilena Fabbri e Matteo Bragantini, nonché di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame, deliberando altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.

Passando all'esame del contenuto della proposta di legge, Presidente, l'articolo 1 prevede che i comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio sono distaccati dalla regione Marche e sono aggregati alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, in considerazione della loro particolare collocazione territoriale e dei peculiari legami storici, economici e culturali con i comuni limitrofi della medesima provincia.

L'articolo 2 disciplina i relativi adempimenti amministrativi, prevedendo che il Ministro dell'interno, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge, nomina con proprio decreto un commissario con il compito di promuovere gli adempimenti necessari all'attuazione dell'articolo 1.

Sempre all'articolo 2 della proposta di legge, si prevede la nomine, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge, di un commissario straordinario per procedere, insieme alle amministrazioni coinvolte, agli adempimenti necessari per attuare il trasferimento dei due comuni. In base al comma 2, invece, modificato in sede referente, il commissario è nominato con proprio decreto dal Ministro dell'interno, previo parere delle regioni Emilia-Romagna e Marche e della provincia di Rimini, anche al fine di individuare l'amministrazione che sosterrà, nell'ambito dei propri stanziamenti di bilancio, gli oneri necessari all'attività del commissario.

Gli enti coinvolti, le regioni Marche ed Emilia-Romagna e le province di Pesaro-Urbino e Rimini provvedono ciascuno agli adempimenti di propria competenza e, nel caso di adempimenti che implichino il concorso di più enti, questi provvedono d'intesa tra loro e con il commissario, nel rispetto del principio di leale collaborazione.

Come specificato in sede referente, gli strumenti per attuare tale collaborazione sono individuati in accordi, intese e atti congiunti. In ogni caso, tale processo dovrà essere svolto nel rispetto di una serie di garanzie, quali la continuità delle prestazioni e l'erogazione dei servizi, la definizione dei profili successori, anche in relazione ai beni demaniali e patrimoniali e i profili fiscali e finanziari, la piena conoscibilità delle normative da applicare delle procedure da seguire, l'assistenza ai cittadini, enti e imprese.

Inoltre, nella fase transitoria dovranno comunque essere garantiti gli interessi primari dei residenti nei territori dei due comuni, tra cui l'incolumità pubblica, la tutela della salute, la parità di accesso alle prestazioni.

Secondo il comma 3, i sindaci dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio partecipano con funzioni consultive alle predette attività.

Ai sensi del comma 4, invece, le regioni Marche ed Emilia-Romagna e le province di Pesaro-Urbino e Rimini provvedono agli adempimenti amministrativi entro 180 giorni. Ove uno o più di tali adempimenti non siano stati espletati entro il predetto termine, il commissario fissa un ulteriore congruo termine. In caso di ulteriore inadempimento, al commissario è riconosciuto un potere sostitutivo, assicurando che gli adempimenti necessari siano posti in essere entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge. Nel corso dell'esame in sede referente è stata introdotta una disposizione, il comma 5, in materia elettorale, per chiarire che i due comuni, in conseguenza del trasferimento, cessano di far parte del collegio Marche 01, che comprende l'intera provincia di Pesaro e Urbino oltre ad alcuni comuni di quella di Ancona, ed entrano a far parte del collegio Emilia-Romagna 07, che comprende le province di Rimini e di Forlì-Cesena: sono due dei cento collegi plurinominali per l'elezione della Camera dei deputati indicati nella tabella A. Diamo quindi disposizioni. La proposta dispone il trasferimento degli atti e degli affari amministrativi pendenti al momento di entrata in vigore ai nuovi organismi competenti. Infine, nel corso dell'esame in Commissione è stato inserito il comma 7, che rinvia per la rimodulazione dei trasferimenti erariali alle province a quanto previsto in materia di decreto-legge n. 2 del 2010. Viene inoltre prevista, al comma 8, come modificato in sede referente, la clausola di neutralità finanziaria, secondo la quale l'attuazione del provvedimento non deve comportare nuovi oneri. Infine, si dispone in ordine all'entrata in vigore della legge, fissata per il giorno successivo a quello della pubblicazione.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentate del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

È iscritto a parlare il deputato Tiziano Arlotti. Ne ha facoltà.

TIZIANO ARLOTTI. Presidente, ci sono motivi geografici, storici, culturali e la realtà della vita quotidiana alla base della volontà delle popolazioni di Montecopiolo e Sassofeltrio di staccarsi dalla regione Marche per passare all'Emilia-Romagna, nel territorio della provincia di Rimini. Popolazioni che da sempre affermano di sentirsi riminesi per storia e tradizioni, i cui dialetti sono quelli della Val Conca a Sassofeltrio e dall'Alta Valmarecchia a Montecopiolo, e i cui territori di riferimento per le attività economiche e per i rapporti amministrativi, sanitario e scolastici sono quelli della provincia di Rimini. I cittadini di Montecopiolo e Sassofeltrio, con il referendum del 24 giugno 2007, hanno scelto a larghissima maggioranza di staccarsi dalla regione Marche e di aggregarsi alla regione Emilia-Romagna. Il consenso nel comune di Montecopiolo è stato dell'84 per cento, in quello di Sassofeltrio ancor più alto, l'87,28 per cento: un'espressione democratica della volontà popolare che ha dovuto attendere dieci anni per essere riconosciuta. L'8 settembre 2007 è scaduto infatti il termine entro cui il Ministro dell'interno avrebbe dovuto presentare al Parlamento il disegno di legge ordinaria, come chiaramente espresso dall'articolo 132, seconda comma, della Costituzione, per la modifica dei confini delle regioni coinvolte. Nessun disegno di legge ordinaria è stato da allora presentato dai Ministri dell'interno succedutesi fino ad oggi; credo che questo vada rimarcato come una mancanza di rispetto nei confronti di questo esito referendario.

Sempre nel settembre 2007, l'allora Ministro per gli affari regionali e le Autonomie locali, Linda Lanzillotta, invitava i presidenti delle regioni Marche ed Emilia-Romagna a richiedere ai rispettivi consigli regionali i prescritti pareri. Mentre, in questi anni, il consiglio provinciale di Rimini e il consiglio regionale dell'Emilia-Romagna, all'unanimità e in diverse legislature, hanno espresso parere favorevole alle richieste dei cittadini dei comuni di Montecopiolo e di Sassofeltrio, la regione Marche, nonostante le diverse sollecitazioni da parte dei sindaci e delle numerose manifestazioni dei comitati promotori del referendum, si è espressa nel 2012 comunicando che non avrebbe adottato provvedimenti in merito. Nel frattempo, i cittadini di Montecopiolo e Sassofeltrio hanno visto i loro vicini, abitanti nei sette comuni della Valmarecchia in cui nel 2006 si era svolto un analogo referendum (Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello), staccarsi dalla regione Marche e passare nel 2009 all'Emilia-Romagna; un passaggio che ha lasciato ancor più soli Montecopiolo e Sassofeltrio, facendo mancare anche riferimenti ai servizi di cui i cittadini dei due comuni usufruivano. Anche la Comunità montana Alta Valmarecchia, composta dai sette comuni appena citati, ha deliberato all'unanimità in favore del passaggio di Montecopiolo e Sassofeltrio e durante la fase dibattimentale della legge n. 117 del 2009, con cui sette comuni dell'Alta Valmarecchia sono passati all'Emilia Romagna, alla Camera dei deputati è stato accolto un ordine del giorno presentato dall'onorevole Marchioni che impegnava il Governo a dare seguito all'iter riguardante i due comuni. Quindi un impegno specifico sul quale il Governo aveva assentito e sul quale non sono stati fatti atti conseguenti. Oggi dunque, alla luce di quanto accaduto in questi dieci anni, accogliamo con soddisfazione ma anche con una certa amarezza l'arrivo in Aula delle proposte di legge per il distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e la loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna nell'ambito della provincia di Rimini. Ci sono voluti infatti dieci anni per arrivare a questo momento e dare una risposta alle popolazioni. Vi è un interesse nazionale cui dare seguito nel rispetto della Costituzione per mettere fine ad anni di ingiustizia e di disagi per la popolazione dei due comuni. Va anche evidenziato che, con il passaggio di Montecopiolo e Sassofeltrio, non vi saranno impegnativi trasferimenti amministrativi di ospedali, caserme e scuole che invece hanno interessato il passaggio degli altri sette comuni della Valmarecchia. Non resta che auspicare ora che la Camera voti il provvedimento e questo passi poi al Senato per arrivare finalmente alla conclusione della vicenda nel rispetto della volontà dei cittadini che, dieci anni or sono, si espressero democraticamente nel rispetto della Costituzione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare alla collega Morani. Ne ha facoltà.

ALESSIA MORANI. Grazie, Presidente. C'è un precedente sui comuni del mio territorio, un precedente che è stato già evocato dal mio collega Arlotti ed anche credo dalla relatrice Fabbri che ha riguardato sette comuni che si sono espressi con un voto referendario, oramai da oltre dieci anni, e che hanno visto un passaggio da una regione all'altra cioè dalla regione Marche alla regione Emilia-Romagna, dalla provincia di Pesaro e Urbino alla provincia di Rimini da oramai otto anni. Era l'anno 2009 ed ero assessore della provincia di Pesaro e Urbino quando iniziammo un iter complesso di trasferimento di competenze e funzioni da una regione all'altra, da una provincia all'altra. Qui stiamo discutendo di un referendum che ha riguardato due comuni, il comune di Sassofeltrio e Montecopiolo, entrambi appartenenti alla provincia di Pesaro e Urbino, che si è tenuto, come è stato ricordato, dieci anni fa, il 24 e il 25 giugno del 2007. Di questo passaggio, in questi ultimi dieci anni, non ci siamo dimenticati ma evidentemente la regione di appartenenza del comune, la regione Marche, aveva delle ragioni per cui, considerato l'esito del distacco dei sette comuni della Valmarecchia precedente, ha tentato di ostacolarlo, perché di questo si tratta. Tali motivi sono di natura procedurale e proverò ad elencarli ma soprattutto sono motivi che riguardano il merito anche proprio in virtù nell'esperienza maturata dai cittadini della Valmarecchia dopo il passaggio da una regione all'altra.

Già il mio collega Arlotti ha messo bene in fila quali sono state le difficoltà procedurali sul passaggio di questi due comuni da una regione all'altra. Esse derivano dal fatto che questa volta la procedura che è stata adottata ha messo da parte il precedente che era stato creato con il passaggio dei comuni della Valmarecchia. L'iter procedurale che viene utilizzato questa volta è profondamente diverso rispetto a quello utilizzato per i comuni della Valmarecchia. Intanto perché l'iter legislativo non rispetta il dettato dell'articolo 45 della legge n. 352 del 1970 che dispone che, entro sessanta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'esito referendario, il Ministro dell'interno debba presentare al Parlamento un disegno di legge proprio per rispettare e dare corso all'articolo 132 della Costituzione. È stato ricordato che nessun Ministro degli interni ha presentato questo disegno di legge tanto più che il disegno di legge sempre in virtù dell'articolo 45 della legge n. 352 del 1970 deve essere presentato entro cinque anni dal momento in cui si svolge il referendum. Il referendum è stato svolto nel 2007, nessun Ministro dell'interno dei Governi precedenti ma anche dell'attuale ha presentato il disegno di legge e cinque anni evidentemente sono già abbondantemente scaduti. La legge che ha disposto invece il passaggio degli altri sette comuni della Valmarecchia era stata rispettosa di questo iter e nelle precedenti legislature, cioè nella XV e nella XVI, sono mancate da un punto di vista procedurale tutta una serie di atti che hanno impedito anche l'espletarsi della procedura. In particolare si è fatto riferimento - anche il mio collega Arlotti lo ha fatto - alla mancanza del parere da parte della regione Marche. Il difetto di parere nel 2012 è stato giustificato, ed io aggiungo, giustamente, dalla regione Marche, affermando che non poteva esprimere un parere poiché non vi era una iniziativa legislativa del Ministero dell'interno e che quindi non poteva esprimersi rispetto alla questione. Tuttavia non ci nascondiamo che l'atteggiamento della regione è stato un atteggiamento di ostacolo, anche in questo caso dico, giustamente al passaggio di questi comuni e non tanto e non solo per un iter procedurale che evidentemente in questi dieci anni ha visto differenze sostanziali rispetto all'iter procedurale con cui è stato stabilito il passaggio degli altri sette comuni, ma soprattutto perché la regione non vuole sacrificare l'unità di una entità storico e geografica che si chiama Montefeltro, in cui io sono nata e cresciuta, e che deve essere preservata proprio perché riteniamo che quell'unicum di tradizioni, di culture, di usanze popolari non debba di nuovo, dopo il trauma degli altri sette comuni, essere perpetrato nuovamente. Infatti - lo dico anche ai colleghi che legittimamente sostengono una tesi opposta rispetto a quella della sottoscritta e degli altri colleghi deputati marchigiani, che sono Lodolini, Carrescia, Manzi, Petrini, Agostini e Marchetti; abbiamo presentato tutti emendamenti soppressivi della legge - c'è sempre in queste vicende un comune che è più a sud o più a nord del proprio che ha difficoltà più o meno grandi che possono diventare poi ad un certo punto anche strumento di ricatto politico perché quando non si riescono a comporre gli interessi e le esigenze, purtroppo se noi per così dire continuiamo a dare il là a questo tipo di istanze può diventare uno strumento di ricatto politico. Voglio dare un dato all'Aula perché rimanga agli atti: i cittadini di Montecopiolo, in particolare, mi hanno inviato un plico con una raccolta di 370 firme in opposizione al passaggio del comune di Montecopiolo alla regione Emilia-Romagna, alla provincia di Rimini. Vorrei far presente che si tratta di un comune che ha circa un migliaio di abitanti, per cui 370 firme costituiscono una raccolta firme molto importante per dimostrare che non c'è volontà di portare a termine questo passaggio. E lo dico perché in dieci anni, nei dieci anni che sono trascorsi tra il momento in cui è stato fatto il referendum ad oggi, sono cambiate talmente tante cose e sono cambiate così profondamente anche gli assetti socioeconomici del mio territorio. Territorio che ha subìto di più la crisi che purtroppo è iniziata nel 2007 e che oggi vede ancora soffrire tanta parte del territorio, non solo marchigiano, per gli ultimi eventi terribili del terremoto, ma anche per una crisi economica che ci ha colpito più duramente che in altre in altre realtà e la ricerca del Censis, purtroppo, registra la mia provincia di Pesaro-Urbino come una delle province più colpite. In questi dieci anni sono cambiate tantissime cose e io credo che forse prima di portare a termine questa proposta di legge andrebbero nuovamente consultate le popolazioni: a una distanza di dieci anni non possiamo avere né la certezza di una volontà e neppure il dubbio rispetto ad un'altra.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1202-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, che si riserva, come anche il rappresentante del Governo che si riserva di intervenire in un'altra fase.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di inchiesta parlamentare: Giancarlo Giorgetti ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'espulsione e sul rimpatrio della moglie e della figlia di un dissidente politico kazako (Doc. XXII, n. 12-A) (ore 17,23).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di inchiesta parlamentare: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'espulsione e sul rimpatrio della moglie e della figlia di un dissidente politico kazako (Doc. XXII, n. 12-A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 24 marzo 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 24 marzo 2017).

(Discussione sulle linee generali – Doc. XXII, n. 12-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e III (Affari esteri) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione affari costituzionali, il deputato Domenico Menorello.

DOMENICO MENORELLO, Relatore per la maggioranza per la I Commissione. Grazie Presidente. Mi limiterò ad una succinta esposizione della relazione che poi consegnerei agli atti. Colleghi deputati, la proposta in esame prevede l'istituzione di una Commissione d'inchiesta sull'espulsione e sul rimpatrio della moglie e della figlia del dissidente politico kazako Ablyazov avvenuti nel maggio del 2013. Il contenuto della proposta prevede per quanto disposto dall'articolo 1, comma 2, che la Commissione d'inchiesta sia chiamata ad accertare le circostanze e le procedure con cui è stato deciso l'intervento e le modalità con le quali esso è stato eseguito; secondo, gli accertamenti compiuti prima dell'adozione dell'esecuzione del provvedimento di espulsione, nonché le motivazioni della sua successiva revoca; terzo, le eventuali responsabilità esistenti ai livelli politico-amministrativo e il ruolo eventualmente svolto da soggetti stranieri nella vicenda attraverso la fornitura di informazioni e di mezzi.

La proposta all'articolo 2, comma 1, prevede che la Commissione sia composta da 21 deputati nominati dal Presidente della Camera in ragione della proporzione dei gruppi, fermo restando la presenza di tutti i gruppi. La durata dei lavori sarebbe fissata ai sensi dall'articolo 2, comma 4, in 12 mesi. La Commissione potrebbe procedere ad indagini e ad esami con gli stessi poteri e limitazioni dell'autorità giudiziaria analogamente a quanto altri provvedimenti istitutivi di Commissioni di inchiesta.

All'articolo 3, comma 2, si precisa che la Commissione non può adottare provvedimenti con riguardo la libertà e la segretezza della corrispondenza e delle altre forme di comunicazione, né limitazioni della libertà personale ad eccezione dell'accompagnamento coattivo dei testimoni.

L'articolo 3 precisa ulteriormente i poteri ipotizzati in capo alla Commissione in merito alla richiesta di atti e documenti, in particolare prevedendo al comma 3 che la Commissione possa acquisire copia di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti dal segreto.

All'articolo 5, comma 1, si demanda ad un regolamento interno l'organizzazione delle attività e il funzionamento della Commissione, la quale può, altresì, articolare i propri lavori, istituendo dei comitati.

La Commissione potrebbe avvalersi, ai sensi del comma 4, dell'articolo 5, dell'opera di agenti ufficiali di polizia giudiziaria e usufruire di personale e di locali messi a disposizione dal Presidente della Camera.

La relazione poi si sofferma sull'istituto delle Commissioni d'inchiesta di origine parlamentare bicamerale o monocamerale e sul punto rinvio al testo scritto.

In terzo luogo, la relazione dà atto di come, nel corso della storia repubblicana, in alcuni casi, si siano incrociati i poteri di una Commissione di inchiesta parlamentare e quelli della magistratura ordinaria e di come questo abbia dato corso, quasi sempre, a episodi di conflitto fra questi due diversi livelli requirenti che però coincidono quanto ai poteri di indagine, come peraltro nella narrativa della proposta si attesta, differendo sotto il profilo della capacità di giudizio, che non spetta evidentemente alle Commissione parlamentari negli stessi limiti e ampiezza di poteri che spettano invece agli organi della magistratura ordinaria. La I Commissione, unitamente alla III Commissione, ha svolto i propri lavori dal 15 marzo scorso, fino alla seduta successiva del 21 marzo scorso, dando un mandato di esprimere un parere in senso negativo ai relatori i quali hanno presentato, conseguentemente, una provvedimento soppressivo della proposta, che si attesta, per le ragioni che poi verranno illustrate dal collega Alli, sotto uno un profilo squisitamente ed eminentemente metodologico, senza nulla dire, e voler dire, quanto al merito dei fatti considerati. Il profilo metodologico è appunto quello di prendere atto, come si vedrà, dell'ormai avviata, e matura, attività svolta da parte della procura di Perugia che è giunta fino alla richiesta di rinvio a giudizio e della quale si attende a brevissimo la fissazione dell'udienza preliminare e quindi l'eventuale successiva celebrazione del dibattimento. È chiaro che giunti a questa stagione, e alla luce della concomitante iniziativa giurisdizionale, le Commissioni hanno ritenuto l'inopportunità di una sovrapposizione sensibile sotto il profilo dell'indagine che verrebbe svolta, quindi in modo concomitante e quindi potenzialmente confliggente e incidente l'una sull'altra, da parte delle autorità parlamentari da un lato e dall'altro della magistratura ordinaria, ritenendo che a quest'ultima spetti accertare la verità dei fatti, peraltro ricordando che nella eventuale sede dibattimentale ciascuna parte avrà le più ampie possibilità di svolgere le proprie ipotesi anche accusatorie che saranno vagliate da un organo terzo. Quindi, lascio al collega Alli la seconda parte della relazione relativa, appunto, alla concomitanza dell'indagine della magistratura ordinaria.

PRESIDENTE. Ha facoltà intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione affari esteri, deputato Paolo Alli.

PAOLO ALLI, Relatore per la maggioranza per la III Commissione. Grazie Presidente. Io aggiungerò alcune considerazioni alla relazione già svolta dal collega Menorello, che in modo molto chiaro ha delineato il quadro, entro il quale si colloca questa richiesta di Commissione d'inchiesta.

Aggiungerei che la Commissione prospettata dal documento dovrebbe assolvere a compiti molto ampi, in quanto sarebbe chiamata ad accertare circostanze e procedure, con cui fu deciso quell'intervento, le modalità di esecuzione, gli accertamenti compiuti prima dell'adozione e dell'esecuzione del provvedimento di espulsione, le motivazioni della sua successiva revoca, le eventuali responsabilità esistenti a livello politico e amministrativo, il ruolo eventualmente svolto da soggetti stranieri nella vicenda attraverso la fornitura di informazioni e di mezzi, quindi, effettivamente, compiti molto ampi.

In realtà, vorrei sottolineare, dando per nota la vicenda, che è anzitutto da rilevare che non vi sono stati ritardi nell'azione della magistratura italiana - questo è un primo dato importante -, che, dopo avere avviato un'inchiesta nell'imminenza di quei fatti, ha continuato a lavorare al caso fino alla chiusura dell'inchiesta, avvenuta nel novembre del 2016, e alla decisione sul rinvio a giudizio, disposto in queste ultime settimane, di alcuni esponenti di amministrazioni italiane coinvolte e di ulteriori soggetti di nazionalità kazaka.

A distanza di più di tre anni da quegli accadimenti e dalla presentazione del provvedimento in esame, molto è pertanto avvenuto sul terreno più proprio e naturale, cioè quello giudiziario. Dati gli esiti dell'indagine a fini processuali, nessuno oggi può, quindi, parlare di sommaria indagine da parte delle competenti autorità italiane, come invece, a ridosso dei fatti, si paventava da parte dei presentatori della proposta in esame, nella relazione illustrativa a motivazione della stessa proposta. Quindi, il timore originario dei proponenti, che la magistratura non intervenisse o intervenisse con ritardo o intervenisse in modo sommario, si è dimostrato un timore infondato.

In questa fase, essendo quindi stata compiuta da parte della magistratura tutta l'attività istruttoria, rispetto alla quale l'attività della Commissione sarebbe destinata a rappresentare nei fatti una mera duplicazione, nella sede propria del processo potranno adesso essere ricostruite le responsabilità nell'assunzione di un provvedimento di espulsione, poi revocato, nei confronti di Alma Shalabayeva.

Per queste ragioni rinnovo, come ho già fatto in Commissione, la netta contrarietà, nel mio ruolo di relatore, nei confronti di questa proposta, che, proprio alla luce dei tempi in cui essa è stata sollecitata per la calendarizzazione, è destinata a sovrapporsi in modo strumentale a un iter giudiziario giunto ad uno stadio assai avanzato, con ciò prefigurando, come ha già evidenziato il collega Menorello, un inevitabile e deprecabile cortocircuito nell'azione dei poteri dello Stato, i quali devono essere guidati dal principio della leale collaborazione, soprattutto su un terreno così delicato, scongiurando ogni esercizio selvaggio - diciamo così - di attribuzioni costituzionali - per riprendere la terminologia di un giurista come Luigi Ferrajoli -, che ha contribuito all'attuale crisi della democrazia italiana, oltre a produrre contenzioso presso la Corte costituzionale.

Ricordando che la Costituzione, all'articolo 82, detta che la Commissione d'inchiesta parlamentare ha i poteri e i limiti della magistratura inquirente, la storia di conflitti frequenti tra questi organi parlamentari e la magistratura dimostra che si tratta di uno strumento, cui ricorre laddove esso agevoli la ricerca della verità e non quando esso sia, per lo più, mirato ad offrire un nuovo terreno di scontro tra maggioranza e opposizione, tanto più laddove il pubblico interesse sia destinato a restare sullo sfondo, ossia sbandierato in modo puramente strumentale.

Sul piano dell'attività giudiziaria svolta non si può, dunque, non tener conto della possibile prossima celebrazione di un dibattimento sul caso in questione.

Sul piano delle responsabilità politica e istituzionale del caso, richiamate anche durante l'esame presso le Commissioni, sappiamo che esse sono state ampiamente discusse all'epoca, quando furono dibattute numerose interrogazioni parlamentari e venne presentata una mozione di sfiducia contro l'allora Ministro dell'interno respinta dal Senato. Inoltre, se per la magistratura sussiste l'obbligo dell'azione penale, sul terreno dell'inchiesta parlamentare il Parlamento esercita una valutazione di carattere discrezionale e ora, di fronte al rinvio a giudizio disposto dalla magistratura, una nuova Commissione d'inchiesta potrebbe apparire quantomeno schizofrenica.

Quanto alle autorità straniere coinvolte, si tratta di questioni indubbiamente delicate, ma che non devono impedire di guardare con la massima serietà - e, dunque, non nei toni pressappochistici e liquidatori che sembrano sottesi alla proposta d'inchiesta parlamentare -, alla condizione di rifugiati e dissidenti, cui le nostre istituzioni democratiche, per tradizione, esprimono sostegno e accoglienza.

Sull'intera vicenda il Governo dell'epoca, da ultimo, faccio notare che scelse correttamente la linea della total disclosure, cioè della trasparenza totale, una linea che si è concretizzata nella relazione del capo della polizia, predisposta in esito all'indagine amministrativa ordinata dall'allora Ministro dell'interno e illustrata al Parlamento dall'allora Presidente del Consiglio Letta e dallo stesso responsabile del Viminale.

Per tutte queste ragioni, metodologiche e istituzionali, si ritiene non opportuno procedere all'istituzione della Commissione d'inchiesta, al fine precipuo di evitare sovrapposizioni con le autorità giudiziarie procedenti, alle quali spetta il compito della ricostruzione storica e giuridica della vicenda in oggetto. Per questo è stato presentato l'emendamento a firma dei relatori, già illustrato dal collega Menorello, emendamento interamente soppressivo della proposta.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Prendo atto che si riserva.

È iscritto a parlare il deputato Andrea Romano. Ne ha facoltà.

ANDREA ROMANO. Grazie Presidente. La proposta in esame - ricordiamolo - è stata avanzata dalla Lega e sostenuta dal MoVimento 5 Stelle e questo sul piano politico ci dice qualcosa. Si tratta, quindi, di due partiti che anche su questioni di questo genere si trovano spesso affiancati e alleati, nonostante le molte dichiarazioni di facciata che sono orientate a dimostrare una lontananza, se non una totale contrapposizione sui contenuti e sulle proposte politiche.

Trovandoci noi in un'Aula parlamentare, abbiamo anche il dovere di ricordare che la Costituzione, all'articolo 82, prevede la possibilità per le Camere di “disporre inchieste in materia di pubblico interesse”. Ma dobbiamo anche ricordare, come è stato ricordato dei relatori, che su questi fatti è ben avviato un procedimento penale, che ha visto tra l'altro chiudersi le indagini, ormai lo scorso novembre, e procedere poi ad un rinvio a giudizio, da parte della procura della Repubblica di Perugia, per l'ex capo della squadra mobile di Roma, l'allora dirigente dell'ufficio immigrazione, cinque agenti di polizia, il giudice di pace che si occupò del caso e tre funzionari dell'ambasciata kazaka. Si tratta, quindi, di un'indagine giudiziaria solida, importante, che ha prodotto risultati e che speriamo conduca ad un chiarimento preciso di quanto accadde in quella vicenda, insieme all'accertamento delle eventuali responsabilità personali.

Non esiste, dunque, - così pare - alcun rischio che le autorità giudiziarie italiane procedano ad una – virgolette - indagine sommaria, qual è quella che si immagina nella relazione illustrativa a fianco della proposta di Commissione d'inchiesta. Dove starebbe, d'altra parte, la sommarietà dell'indagine, a fronte di un'ampia e circostanziata richiesta di rinvio a giudizio poi accolta, venuta al termine di un'attività di indagine prolungata e avanzata?

Di fronte al lavoro della magistratura, che rispettiamo sempre e non solo a parole, vi sarebbe in questo caso una sovrapposizione ingombrante e imbarazzante, tra l'indagine parlamentare eventuale e il lavoro della magistratura. Potremmo, dunque, trovarci in presenza di uno scontro tra poteri dello Stato, con il rischio di una delegittimazione assai perniciosa del lavoro della magistratura da parte di questo Parlamento. E chi crede nello Stato di diritto, come il Partito Democratico, non può che difendere l'autonomia dei poteri e la salvaguardia del potere inquirente della magistratura.

D'altra parte, per venire poi alla politica, il giudizio su quei fatti è sempre stato, da parte nostra, orientato alla massima trasparenza e alla contestuale ricerca della più ampia verità, su un evento che allora stigmatizzammo con durezza, così come continuiamo a farlo. Voglio ricordare a questo proposito - per uscire naturalmente dai partiti e per andare al massimo livello istituzionale - le parole che usò l'allora Presidente della Repubblica Napolitano, quando ebbe a parlare – tra virgolette - di gravi motivi di imbarazzo e di discredito per lo Stato e, dunque, per il Paese, come quelli provocati dall'inaudita storia della precipitosa espulsione dall'Italia della madre kazaka e della sua bambina. Così come valgono ancora oggi le parole che furono pronunciate, proprio in quest'Aula, dall'allora Presidente del Consiglio Enrico Letta e che voglio qui ricordare per sommi capi. Da questo imbarazzo - disse Letta - , da questo discredito - citando in questo caso le parole del Presidente della Repubblica - il campo va sgomberato. Per farlo - disse Letta - abbiamo scelto la linea della total disclosure, della trasparenza totale. Abbiamo, infatti, avviato un'indagine interna agli organi di Governo per ricostruire i fatti ed evidenziare tutti i profili di criticità. Da quell'indagine è scaturito, inequivocabilmente, quanto comunicato il 12 luglio insieme alla revoca del provvedimento di espulsione. Ovvero, l'esistenza e l'andamento delle procedure di espulsione non erano stati comunicati in nessun modo ai vertici del Governo. Di qui - proseguiva Letta - l'ulteriore indagine affidata dal Ministro dell'interno al capo della polizia, entrato in carica successivamente agli eventi, al fine di accertare tutte le responsabilità della mancata informativa, fatto di particolare gravità per una vicenda che presentava da subito elementi e caratteri tutt'altro che ordinari. Il 16 luglio, i risultati di quell'indagine, non appena acquisiti dal Governo, sono stati ufficialmente comunicati dal Ministro dell'interno prima in quest'Aula e poi nell'Aula della Camera, perché abbiamo voluto attenerci immediatamente al principio per il quale, soprattutto su questa spinosa vicenda, tutto quello che conosciamo noi deve conoscerlo anche il Parlamento. La relazione del prefetto Alessandro Pansa, che sulla vicenda è intervenuto anche personalmente nella Commissione diritti umani, è approfondita, corretta e non fa sconti. Ne escono puntualmente ricostruiti fatti che ci lasciano attoniti, proseguiva Letta, fatti che nell'Italia del 2013 non sono tollerabili, a maggior ragione ai danni di una donna e di una bambina e proprio in relazione a questi fatti, concludeva Letta, esce confermato in modo inoppugnabile il mancato coinvolgimento dei vertici del Governo ed emerge in modo chiaro, in particolare, l'estraneità del Ministro dell'interno all'accaduto. Fin qui Letta e Napolitano nel 2013; a queste valutazioni politiche, venute allora dalla Presidenza della Repubblica e dalla Presidenza del Consiglio, noi ci atteniamo ancora oggi, sottolineando ancora una volta, il carattere imbarazzante e screditante per l'Italia di una vicenda che coinvolse una mamma e la sua bambina.

Proprio il rispetto che dobbiamo a quella mamma e a quella bambina, insieme al nostro attaccamento alla credibilità dell'Italia, ci spinge a guardare con fiducia e rispetto al lavoro molto avanzato della magistratura e a respingere, quindi, i tentativi del tutto strumentali di Lega e MoVimento 5 Stelle di usare quella vicenda per una tattica politica di, davvero, basso profilo. Perché la verità è che esiste una giustificazione solo ed esclusivamente politica nella richiesta di Lega e MoVimento 5 Stelle di istituire una Commissione d'inchiesta, ovvero l'obiettivo di colpire un esponente di questa maggioranza di Governo, nel momento in cui si trova ad assumere un altro incarico di Governo, tra l'altro, diverso da quello che occupava all'epoca dei fatti. Da parte dei proponenti non vi è, così sembra, alcuna passione per l'accertamento della verità e persino, aggiungo, nessun rispetto per la vicenda umana di quella mamma e di quella bambina, ma solo la tentazione, comprensibile ma deprecabile, di usare gli strumenti parlamentari per montare una piccola polemica di corto respiro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Del Grosso. Ne ha facoltà.

DANIELE DEL GROSSO. Grazie, Presidente. Qui, ormai, siamo arrivati al paradosso, perché è assurdo vedere l'allora Ministro dell'interno, Alfano - coinvolto in questa vicenda che vede il “rapimento” di una madre con la propria figlia, che sono poi state riportate in Kazakistan - che viene addirittura promosso a Ministro degli esteri. Questo è il paradosso di questa maggioranza; e ancor più paradossale è vedere il PD che addirittura protegge l'allora Ministro Alfano da questa vicenda, perché questa vicenda lo coinvolge in pieno, perché tutti ricordano i fatti di quella notte, addirittura il PD lo protegge, perché, ormai, abbiamo capito che c'è assolutamente uno scambio di favori di salvataggio all'interno di questo Parlamento. Questo è assurdo, è completamente assurdo.

Oltretutto, vorrei ricordare a questa maggioranza che il MoVimento 5 Stelle aveva presentato già oltre tre anni fa la richiesta di una Commissione di inchiesta su questa vicenda e, oltretutto, nello stesso anno, nel 2013, una delegazione del MoVimento 5 Stelle si è addirittura recata in Kazakistan, a proprie spese, per cercare di capire che cosa era successo. Lì abbiamo avuto modo di parlare con la Shalabayeva. Questo è quello che ha fatto il MoVimento 5 Stelle; di certo, non ha fatto quello che, oggi, invece, vuole la maggioranza. Io posso anche capire che i tempi siano stretti per una Commissione d'inchiesta, ma non è certo il modo di presentare così un emendamento soppressivo dell'intera Commissione d'inchiesta, togliendo anche all'Aula il diritto di parlare in dichiarazione di voto sulla Commissione d'inchiesta, perché quell'emendamento andrà a sopprimere tutto il provvedimento e, quindi, non se ne parlerà più. Abbiamo, da un lato, il PD che protegge Alfano, dall'altro Alfano che è stato coinvolto in questo rapimento e un Governo che fa finta assolutamente di niente. Siamo arrivati a questo; è incredibile. Noi, oggi, vogliamo qualcosa di diverso, come gruppo politico, come MoVimento 5 Stelle. Vogliamo che si faccia chiarezza su alcune vicende, qualsiasi esse siano, perché oggi abbiamo questo caso - e oltretutto, ormai, sono passati circa tre anni e mezzo -, ma ogni volta che accade qualcosa del genere, purtroppo non si riesce mai a fare chiarezza, perché la maggioranza ci mette un tappo sopra e finisce lì, finisce assolutamente lì.

Noi abbiamo il diritto di sapere del coinvolgimento del Ministro Alfano in questa vicenda, perché, oggi, il Ministro Alfano è diventato Ministro degli esteri; lo avete promosso voi a Ministro degli esteri. È un qualcosa di incredibile! Ha combinato un casino pazzesco e voi lo avete promosso da gruppo “contrastante” a Ministro degli esteri. L'avete messo voi lì ed è assurdo che la maggioranza del PD si trovi a difendere un proprio Ministro, a questo punto, di una forza completamente opposta. Siamo arrivati all'incredibile e siete addirittura voi a difenderlo in Commissione, vietando all'Aula di parlarne. Noi lo abbiamo ribadito nell'allora 2013 che bisognava fare chiarezza; lo stiamo dicendo oggi. Oggi, ci troviamo ad appoggiare un provvedimento della Lega, ma non è questo il punto. Il punto è che bisogna fare chiarezza, non si può mettere un tappo su ogni cosa che viene fuori, è una cosa incredibile. Lì è stato commesso un atto grave, una madre, con la figlia, è stata rapita in piena notte, è stata riportata in Kazakistan e sapete benissimo che il Kazakistan non è certo uno dei Paesi migliori per quanto riguarda i diritti umani. È un qualcosa di incredibile. Noi siamo andati lì, abbiamo parlato con lei, ci ha fatto vedere delle foto pazzesche. Cani decapitati, oppositori decapitati e voi che cosa avete fatto? Avete preso questa donna con la figlia che all'epoca era piccolissima e le avete riportate lì, in Kazakistan, ovviamente senza marito, perché il marito non c'era più, in casa, almeno quando siamo andati noi, e l'avete riportata lì, mettendola in pericolo, lo ripeto, in pericolo. Noi, addirittura, siamo andati a parlare con il Governo kazako in quell'occasione, abbiamo parlato con il Ministro degli esteri kazako e anche il Ministro degli esteri era ovviamente imbarazzato dall'accaduto, perché si è reso conto che c'è stata una forzatura pazzesca da parte del Ministro dell'interno. È incredibile quello che è accaduto e ancora oggi, dopo 3 o 4 anni, siete in grado di difendere questa situazione. Noi non ci possiamo credere, non siamo stati nemmeno noi a riaprire oggi questo caso, è stata la Lega, ma noi già l'avevamo fatto circa tre anni fa, lo ripeto, con la richiesta di una Commissione d'inchiesta, lo abbiamo fatto andando lì, lo abbiamo fatto con una mozione di sfiducia nei confronti del Ministro Alfano e, oggi, ce lo ritroviamo al Ministero degli esteri.

Ecco, Presidente, queste sono le cose incredibili che sono accadute in questa legislatura. In questa legislatura abbiamo visto le cose più assurde, abbiamo visto Ministri promossi nonostante quello che hanno fatto, abbiamo visto l'elezione di Napolitano per ben due volte, abbiamo visto Renzi che arriva e dopo nemmeno due anni va via, perché era completamente incapace di reggere questo sistema. Abbiamo visto forze di maggioranza e di minoranza mettersi assieme, destra e sinistra assieme per poter governare, contrastando noi, abbiamo visto delle cose assurde, in questa legislatura. Fortunatamente siamo arrivati quasi alla fine, ci siamo quasi e, ovviamente, l'opinione pubblica su queste vicende sta cambiando. C'è maggiore consapevolezza, ci sarà l'opportunità di andare finalmente alle urne e dare un voto consapevole. Speriamo che questa non sia l'occasione per voi di creare nuove situazioni, una legge elettorale magari che vi permetta di governare senza avere in realtà i voti, perché voi questo state facendo e lo state dimostrando oggi; sopprimendo questo atto parlamentare non state facendo altro che definire quello che è il patto del Nazareno, perché è ancora lì, lo ripeto, è ancora lì, vi difendete a vicenda, è un qualcosa di assurdo, di incredibile. Noi, Presidente, speriamo di poterne parlare in Aula a breve di questo provvedimento; ovviamente siamo in completo disaccordo con la maggioranza e auspichiamo maggiore chiarezza su questa vicenda.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. Doc. XXII, n. 12-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la maggioranza per la Commissione affari costituzionali, Menorello , il relatore per la maggioranza per la Commissione affari esteri, Alli, e il rappresentante del Governo si riservano di intervenire nel prosieguo del dibattito.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

      Martedì 28 marzo 2017, alle 11:

1.      Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.

      (ore 15)

2.      Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

MANTERO ed altri; LOCATELLI ed altri; MURER ed altri; ROCCELLA ed altri; NICCHI ed altri; BINETTI ed altri; CARLONI ed altri; MIOTTO ed altri; NIZZI ed altri; FUCCI ed altri; CALABRO' e BINETTI; BRIGNONE ed altri; IORI ed altri; MARZANO; MARAZZITI ed altri; SILVIA GIORDANO ed altri: Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. (C. 1142-1298-1432-2229-2264-2996-3391-3561-3584-3586-3596-3599-3630-3723-3730-3970-A)

Relatori: LENZI, per la maggioranza; CALABRÒ, di minoranza.

3.      Esame e votazione della questione pregiudiziale riferita al disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 17 marzo 2017, n. 25, recante disposizioni urgenti per l'abrogazione delle disposizioni in materia di lavoro accessorio nonché per la modifica delle disposizioni sulla responsabilità solidale in materia di appalti. (C. 4373)

4.      Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 116-273-296-394-546 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: PALMA; ZANETTIN ed altri; BARANI; CASSON ed altri; CALIENDO ed altri: Disposizioni in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative nonché di assunzione di incarichi di governo nazionale e negli enti territoriali (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 2188-A)

e delle abbinate proposte di legge: DAMBRUOSO ed altri; COLLETTI ed altri. (C. 1442-2770)

Relatori: MARCO DI MAIO (per la I Commissione) e VERINI (per la II Commissione), per la maggioranza; SISTO, di minoranza.

5.      Seguito della discussione della proposta di legge:

ZAMPA ed altri: Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato). (C. 1658-B)

Relatrice: POLLASTRINI.

6.      Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 2036 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Slovenia sulla linea del confine di Stato nel tratto regimentato del torrente Barbucina/Čubnica nel settore V del confine, fatto a Trieste il 4 dicembre 2014 (Approvato dal Senato). (C. 4109)

Relatore: GIANNI FARINA.

7.      Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 119-1004-1034-1931-2012 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: D'ALI'; DE PETRIS; CALEO; PANIZZA ed altri; SIMEONI ed altri: Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 4144-A)

e delle abbinate proposte di legge: TERZONI ed altri; MANNINO ed altri; TERZONI ed altri; BORGHI ed altri. (C. 1987-2023-2058-3480)

Relatore: BORGHI.

8.      Seguito della discussione della proposta di legge:

ARLOTTI ed altri: Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione. (C. 1202-A)

e dell'abbinata proposta di legge: GIANLUCA PINI ed altri. (C. 915)

Relatori: MATTEO BRAGANTINI E FABBRI.

9.      Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:

GIANCARLO GIORGETTI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'espulsione e sul rimpatrio della moglie e della figlia di un dissidente politico kazako. (Doc. XXII, n. 12-A)

Relatori: MENORELLO (per la I Commissione) e ALLI (per la III Commissione), per la maggioranza; GIANLUCA PINI, di minoranza.

10.      Seguito della discussione delle mozioni Lupi, Rampelli ed altri n. 1-01525, Palese ed altri n. 1-01545, Sorial ed altri n. 1-01546, Franco Bordo ed altri n. 1-01548, Allasia ed altri n. 1-01550 e Marcon ed altri n. 1-01555 concernenti iniziative volte all'estensione dei cosiddetti poteri speciali del Governo al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle aziende italiane di rilevanza strategica.

11.      Seguito della discussione delle mozioni Dell'Aringa, Palladino ed altri n. 1-01319, Cominardi ed altri n. 1-01533, Palese ed altri n. 1-01534, Sberna ed altri n. 1-01535, Placido ed altri n. 1-01538, Simonetti ed altri n. 1-01539, Rizzetto ed altri n. 1-01541 e Francesco Saverio Romano ed altri n. 1-01543 concernenti iniziative in materia di politiche attive del lavoro, con particolare riferimento al potenziamento dei centri per l'impiego.

12.      Seguito della discussione delle mozioni Santerini, Cimbro, Scopelliti ed altri n. 1-01435, Altieri ed altri n. 1-01536, Molteni ed altri n. 1-01537, Quartapelle Procopio, Monchiero, Locatelli ed altri n. 1-01547 e Rampelli ed altri n. 1-01554 concernenti iniziative volte all'identificazione dei migranti deceduti nella traversata del Mediterraneo.

13.      Seguito della discussione delle mozioni Rosato ed altri n. 1-01508, Binetti ed altri n. 1-01558 e Cominardi ed altri n. 1-01559 in materia di robotica ed intelligenza artificiale.

La seduta termina alle 17,50.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: DOMENICO MENORELLO (DOC. XXII, n. 12-A)

DOMENICO MENORELLO. (Relazione – Doc. XXII, n. 12-A). Colleghi deputati! La proposta in esame (Doc. XXII, n. 12-A) prevede l'istituzione di una Commissione d'inchiesta sull'espulsione e sul rimpatrio della moglie e della figlia del dissidente politico kazako Mukhtar Ablyazov, avvenuti nel maggio del 2013.

Disamina della proposta di legge istitutiva di una Commissione di inchiesta.

Il contenuto della proposta prevede, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, che la Commissione d'inchiesta sia chiamata ad accertare: a) le circostanze e le procedure con cui è stato deciso l'intervento e le modalità con le quali esso è stato eseguito; b) gli accertamenti compiuti prima dell'adozione e dell'esecuzione del provvedimento di espulsione nonché le motivazioni della sua successiva revoca; c) le eventuali responsabilità esistenti ai livelli politico e amministrativo e il ruolo eventualmente svolto da soggetti stranieri nella vicenda attraverso la fornitura di informazioni e di mezzi.

La proposta, all'articolo 2, comma 1, prevede che la Commissione sia composta da 21 deputati, nominati dal Presidente della Camera in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo. Ai sensi del comma 2, entro dieci giorni dalla nomina dei componenti, il Presidente della Camera convoca la Commissione per la costituzione dell'Ufficio di Presidenza, composto, ai sensi del comma 3, dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, eletti con le stesse modalità dei presidenti delle Commissione permanenti previste dall'articolo 20, commi 2, 3 e 4, del Regolamento della Camera dei deputati.

La durata dei lavori della Commissione, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, è fissata in dodici mesi dalla data della sua costituzione; al termine dei lavori la Commissione presenta una relazione all'Assemblea sull'attività svolta, ai sensi dell'articolo 2, comma 5. Fermo restando quanto già previsto dall'articolo 82 della Costituzione, in merito alla possibilità per la Commissione di procedere alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria (articolo 3, comma 1), analogamente a quanto previsto da altri provvedimenti di istituzione di commissioni di inchiesta (si vedano le leggi istitutive delle Commissioni d'inchiesta "antimafia" a partire dal 2006: legge n. 277 del 2006; legge n. 132 del 2008 e legge n. 87 del 2013 e la legge istitutiva della Commissione d'inchiesta sul caso Aldo Moro, legge n. 82 del 2014), si precisa, al comma 2 dell'articolo 3, che la Commissione non può adottare provvedimenti con riguardo alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e delle altre forme di comunicazione, né limitazioni della libertà personale, ad eccezione dell'accompagnamento coattivo dei testimoni di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.

L'articolo 3 precisa ulteriormente i poteri della Commissione in merito alla richiesta di atti e documenti. In particolare, si prevede, al comma 3, che la Commissione possa acquisire copia di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti da segreto. La Commissione, ai sensi del comma 4 dell'articolo 3, garantisce il mantenimento del regime di segretezza fino al momento in cui gli atti e i documenti trasmessi sono coperti da segreto. In tema di segreto d'ufficio, professionale e bancario, la proposta, all' articolo 3, comma 6, richiama le norme vigenti in materia, precisando che è sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato segreto difensivo ex articolo 103 del codice di procedura penale. Per il segreto di Stato, ai sensi del comma 7 dell'articolo 3, trova invece applicazione la normativa dettata dalla legge 3 agosto 207, n. 124. Per quanto concerne le audizioni a testimonianza (articolo 3, comma 8) rese davanti alla Commissione, la proposta richiama l'applicabilità del complesso degli articoli da 366 a 384-bis del codice penale. La proposta prevede altresì, all'articolo 3, comma 5, il potere della Commissione di stabilire gli atti e i documenti che non dovranno essere divulgati.

Infine, la proposta di inchiesta parlamentare prevede, all'articolo 4, come di consueto, l'obbligo del segreto per i componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa e tutti i soggetti che, per ragioni d'ufficio o di servizio, ne vengono a conoscenza, sugli atti e documenti soggetti al regime di segretezza.

La proposta in esame, all' articolo 5, comma 1, demanda poi ad un regolamento interno l'organizzazione delle attività e il funzionamento della Commissione. La Commissione, ai sensi del comma 2 dell'articolo 5, può altresì articolare i propri lavori attraverso uno i più comitati, sulla base delle disposizioni previste dal regolamento interno. Ai sensi del comma 3 dell'articolo 5, viene affermato il principio della pubblicità delle sedute della Commissione, ferma restando la possibilità di riunirsi in seduta segreta ove lo si ritenga opportuno. Ai sensi del comma 4 dell'articolo 5, la Commissione può inoltre avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e, per l'espletamento delle sue funzioni, fruisce di personale, locali e strumenti messi a disposizione dal Presidente della Camera. Per l'espletamento delle funzioni della Commissione, l'articolo 5, al comma 5, prevede che essa fruisca di personale, locali e strumenti operativi posti a disposizione dal Presidente della Camera.

Considerazioni di ordine generale sullo strumento parlamentare requirente.

Svolgendo talune considerazioni di carattere generale sulle Commissioni di inchiesta, si ricorda che, in base all'articolo 82 della Costituzione, ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. L'inchiesta può essere deliberata anche da una sola Camera, con atto non legislativo. Nella storia parlamentare si è però andata affermando la prassi di deliberare le inchieste anche con legge, affidandole a Commissioni composte di deputati e senatori, ovvero, in alcuni casi, con due delibere di identico contenuto adottate dalle rispettive assemblee con gli strumenti regolamentari. Nel primo caso viene istituita una vera e propria Commissione bicamerale, mentre nel secondo si hanno due distinte Commissioni che possono deliberare di procedere in comune nei lavori d'inchiesta, rimanendo tuttavia distinte quanto ad imputazione giuridica dei rispettivi atti. In ogni caso, per quanto riguarda il procedimento di formazione, l'articolo 140 del Regolamento della Camera e l'articolo 162 del Regolamento del Senato stabiliscono che per l'esame delle proposte di inchiesta si segue la procedura prevista per i progetti di legge.

Per quanto riguarda la nomina dei commissari, il secondo comma dell'articolo 82 della Costituzione prevede che la composizione della Commissione deve rispecchiare la proporzione dei gruppi; tale nomina, quindi, deve essere improntata al rispetto del principio di proporzionalità. Di conseguenza, si applicano l'articolo 56, comma 3, del Regolamento della Camera e l'articolo 25, comma 3, del Regolamento del Senato, i quali stabiliscono che per le nomine delle Commissioni che, per prescrizione di legge o regolamento debbano essere composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari, il Presidente comunica ai gruppi il numero dei posti spettanti a ciascuno in base al suddetto criterio richiedendo la designazione di un eguale numero di nomi. In alcuni casi, l'atto costitutivo della Commissione ha previsto espressamente che il Presidente sia nominato tra i parlamentari non appartenenti alla Commissione, dal Presidente dell'Assemblea ovvero d'intesa tra i Presidenti delle due Camere in caso di Commissione bicamerale. Poteri inerenti alla organizzazione dei lavori sono quelli riguardanti la fissazione del programma dei lavori e l'istituzione di sottocommissioni nonché l'elaborazione e l'approvazione di un regolamento interno. Al riguardo si rammenta che da tempo si è venuta formando la prassi secondo la quale le Commissioni d'inchiesta adottano un proprio regolamento, ferma restando l'applicabilità del regolamento della Camera di appartenenza del Presidente della Commissione per quanto non espressamente previsto dal predetto regolamento interno. La durata dei lavori della Commissione è stabilita dal relativo atto istitutivo, che fissa la data di presentazione della relazione finale (che è atto conclusivo dell'attività, anche se il termine assegnato alla Commissione non è ancora scaduto) o assegna un termine finale ai lavori stessi, a partire dalla costituzione o dall'insediamento della Commissione ovvero dalla data di entrata in vigore della legge istitutiva. Si ricorda che le Commissioni istituite con atto non legislativo cessano comunque la propria attività con la fine della legislatura mentre quelle istituite con legge possono essere prorogate con una nuova legge. L'articolo 82, comma secondo, della Costituzione stabilisce che la Commissione d'inchiesta procede alle indagini ed agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria (cosiddetto principio del parallelismo). I poteri coercitivi che la Commissione d'inchiesta può esercitare sono naturalmente quelli propri della fase "istruttoria" delle indagini giudiziarie, dato che la Commissione è priva di poteri giudicanti e non può quindi accertare reati ed irrogare sanzioni. La Commissione può quindi disporre ispezioni e perquisizioni personali e domiciliari, sequestri, intercettazioni telefoniche, perizie, ricognizioni, esperimento di prove testimoniali ed accompagnamento coattivo dei testi renitenti. In particolare, per le convocazioni di testimoni davanti alla Commissione si applicano gli articoli 366 - rifiuto di uffici legalmente dovuti da parte dei periti, interpreti, o custode di cose sottoposte a custodia e da parte dei testimoni - e 372 - falsa testimonianza - del codice penale, ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria. Si ricorda che per tali reati, sono previsti, rispettivamente, la reclusione fino a 6 mesi o la multa da euro 30 a euro 516 (articolo 366 del codice penale) e la reclusione da 2 anni a 6 anni (articolo 372 del codice penale). La Commissione deve comunque assicurare il rispetto dei diritti fondamentali di difesa discendenti dal disposto dell'articolo 24 della Costituzione, riconoscendo, ad esempio, il diritto all'assistenza del difensore ogni volta che il suo mancato esercizio possa pregiudicare la posizione processuale della persona interrogata. Il parallelismo con i poteri della magistratura disposto dal citato comma secondo dell'articolo 82 della Costituzione si estende anche agli aspetti relativi alle limitazioni dei poteri della Commissione stessa. In via generale si può affermare che lo svolgimento dell'inchiesta trova gli stessi limiti che la vigente legislazione pone alle indagini dell'autorità giudiziaria, fermo restando che l'atto istitutivo della Commissione può disporne di ulteriori, ovvero prevedere l'inapplicabilità nei confronti della Commissione stessa di disposizioni limitative dell'attività d'indagine dell'autorità giudiziaria; al riguardo si rammenta, in via esemplificativa, che l'articolo 3, comma 2, della legge 30 giugno 1994, n. 430, istitutiva della Commissione antimafia nel corso della XII Legislatura, ha disposto la non opponibilità alla Commissione del segreto di Stato con riferimento ai fatti di mafia, camorra ed altre associazioni criminali similari (reati per i quali all'epoca era prevista l'opponibilità del segreto di stato; si veda la versione dell'articolo 204 del codice di procedura penale prima delle modifiche apportate dalla legge n. 124 del 2007).

L'istruttoria della proposta in esame e le valutazioni in ordine alla ormai ineludibile sovrapposizione con l'esercizio dei poteri di indagine e di accertamento dei fatti in corso presso le competenti sedi giurisdizionali, con il conseguente venir meno del pericolo paventato dai proponenti della proposta in oggetto.

Ripercorrendo per sommi capi l'esame in sede referente presso le Commissioni riunite I e III, ricordo che, dopo la relazione introduttiva dei relatori e la discussione generale svoltasi il 15 marzo scorso, ha avuto luogo, nella seduta del 21 marzo scorso, la fase dell'esame delle proposte emendative, durante la quale è stato approvato un emendamento dei relatori, interamente soppressivo dell'articolo 1 del provvedimento e recante una parte consequenziale, che prevedeva la soppressione degli articoli 2, 3, 4 e 5. Da tale votazione è derivato dunque il conferimento ai relatori del mandato a riferire in senso contrario all'Assemblea sul provvedimento.

Dall'esame di merito presso le Commissioni è emerso, quindi, un orientamento contrario al provvedimento in esame, di cui non possiamo che prendere atto in questa sede.

La Commissione d'inchiesta, secondo il testo originale del documento in esame, avrebbe compiti molto ampi in quanto, come detto, sarebbe stata chiamata ad accertare le circostanze e le procedure con cui è stato deciso l'intervento e le modalità con le quali esso è stato eseguito, gli accertamenti compiuti prima dell'adozione e dell'esecuzione del provvedimento di espulsione nonché le motivazioni della sua successiva revoca, oltre che le eventuali responsabilità esistenti ai livelli politico e amministrativo e il ruolo eventualmente svolto da soggetti stranieri nella vicenda attraverso la fornitura di informazioni e di mezzi.

Al riguardo, è necessario ricordare che il tema dei rapporti tra l'attività delle Commissioni d'inchiesta e le concorrenti indagini della autorità giudiziaria appare particolarmente complesso.

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 26 del 2008, ha rilevato che i poteri di indagine spettanti, rispettivamente, alle Commissioni parlamentari di inchiesta e agli organi della magistratura requirente si distingue in quanto, il compito delle suddette Commissioni non è di "giudicare", ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l'esercizio delle funzioni delle Camere. Sotto quest'ultimo profilo appare, peraltro, innegabile una ampia coincidenza di poteri e funzioni.

Nel caso di specie, segnalo che, per quanto riguarda il caso oggetto del provvedimento in questione, ovvero l'espulsione e il rimpatrio della moglie e della figlia del dissidente politico kazako, Mukhtar Ablyazov, è in corso un procedimento penale della cui esistenza occorre tenere conto in relazione al ruolo di tale istituenda Commissione d'inchiesta.

Passando, infatti, alle evoluzioni più recenti di tale procedimento penale va innanzitutto rilevato, com'è noto, che si è già addivenuti alla chiusura delle indagini lo scorso novembre, cosicché la Procura della Repubblica di Perugia ha chiesto nei giorni scorsi il rinvio a giudizio per l'ex capo della squadra mobile di Roma, l'allora dirigente dell'Ufficio immigrazione, di cinque agenti di polizia, del giudice di pace che si occupò del caso e di tre funzionari dell'ambasciata kazaka.

A distanza di tre anni da quegli accadimenti e dalla presentazione del provvedimento in esame molto è avvenuto, quindi, proprio sul terreno giudiziario.

Si deve, dunque, innanzitutto, considerare l'effettivo svolgimento di indagini sui fatti sopra ricordati, nonché la possibile prossima celebrazione di un dibattimento sul caso in questione avanti la competente autorità giudiziaria.

Tale circostanza consente di ritenere fugati i timori di una “sommaria” indagine” da parte delle competenti autorità italiane, come, invece, a ridosso dei fatti, si paventava nella relazione illustrativa della proposta Commissione d'inchiesta, a giustificazione della medesima.

Nella sede propria del processo dovranno quindi adesso essere ricostruite le responsabilità nella sequenza di atti, che ha portato all'assunzione di un provvedimento di espulsione nei confronti di una personalità come quella di Alma Shalabyeva, moglie di Mukhtar Ablyazov.

Non è chi non veda, dunque, come non solo l'esigenza della ipotizzata iniziativa inquirente parlamentare sia venuta meno alla luce del dipanarsi dell'attività svolta dalla magistratura ordinaria, ma anche che una siffatta ipotesi d'inchiesta si sovrapporrebbe, del tutto inopportunamente, all'azione in corso di un altro potere dello Stato.

Tale sovrapposizione sarebbe particolarmente concreta nel caso – quale sarebbe quello di cui ci si occupa – in cui magistratura e Commissione parlamentare opererebbero addirittura in simultanea, dando luogo, persino plasticamente, al rischio di una sconveniente concorrenza istituzionale, anche considerando che, secondo la proposta, le competenze della Commissione d'inchiesta sarebbero estesissime, spaziando dall'accertamento delle circostanze e delle procedure con cui è stato deciso l'intervento e le modalità con le quali esso è stato eseguito, alle eventuali responsabilità esistenti ai livelli politico e amministrativo, nonché al ruolo eventualmente svolto da soggetti stranieri nella vicenda attraverso la fornitura di informazioni e di mezzi.

Inoltre, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, le Camere possono “disporre inchieste in materie di pubblico interesse”, ma nel caso di specie l'interesse pubblico che viene in rilievo è nella giusta pretesa di vedere chiariti tutti gli aspetti relativi all'esatto svolgersi dei fatti, il che coincide con lo spettro della concomitante iniziativa della magistratura penale.

Dunque, non si ravvisano giustificazioni istituzionali attuali per l'esercizio dei poteri parlamentari di cui al ricordato articolo 82 della Carta Costituzionale.

Appare, pertanto, necessario rappresentare anche in questa sede e sulla base del mandato ricevuto dalla Commissione il giudizio di inopportunità all'istituzione della Commissione in oggetto, derivante dalla contemporanea iniziativa della Magistratura sui medesimi fatti di cui dovrebbe occuparsi la proposta inchiesta parlamentare, ribadendo come tale conclusione non voglia né debba avere alcun significato quanto al merito dei fatti stessi, che saranno autonomamente ricostruiti nelle competenti sedi giudiziarie.