XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 852 di lunedì 18 settembre 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

La seduta comincia alle 18.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 12 settembre 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

      (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Centemero, Antimo Cesaro, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Faraone, Fedi, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Migliore, Orlando, Palazzotto, Pannarale, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Sorial, Tabacci, Simone Valente, Valeria Valente, Valentini, Velo, Vignali e Zampa sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Assegnazione alla V Commissione (Bilancio) dei disegni di legge relativi al rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2016 e all'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2017.

PRESIDENTE. A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti disegni di legge sono assegnati alla V Commissione (Bilancio), in sede referente, con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti e della Commissione parlamentare per le questioni regionali: S. 2874 - «Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2016» (approvato dal Senato) (4638); S. 2875 - «Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2017» (approvato dal Senato) (4639).

Ricordo che il calendario dei lavori dell'Assemblea prevede che la discussione sulle linee generali di tali disegni di legge abbia inizio nella seduta di mercoledì 27 settembre. Le Commissioni dovranno pertanto concluderne l'esame in sede consultiva e in sede referente compatibilmente con i tempi previsti dal calendario per l'esame dell'Assemblea.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Catanoso Genoese; Catanoso Genoese; Oliverio ed altri; Caon ed altri; Venittelli ed altri; Rampelli ed altri: Interventi per il settore ittico. Deleghe al Governo per il riordino e la semplificazione normativa nel medesimo settore e in materia di politiche sociali nel settore della pesca professionale (A.C. 338-339-521-1124-4419-4421-A) (ore 18,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge n. 338-339-521-1124-4419-4421-A: Interventi per il settore ittico. Deleghe al Governo per il riordino e la semplificazione normativa nel medesimo settore e in materia di politiche sociali nel settore della pesca professionale.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 338-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la XIII Commissione (Agricoltura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore Luciano Agostini.

LUCIANO AGOSTINI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento oggi all'esame dell'Aula è volto a dare una risposta alle problematiche che investono il comparto della pesca, costretto ad affrontare una profonda ristrutturazione delle sue politiche, anche in ragione dell'esigenza di ripopolamento delle specie ittiche, in mancanza di margini di profitto sufficienti e di adeguata attenzione - dispiace dirlo - da parte delle principali politiche economiche. Proprio per invertire questo processo, la Commissione si è occupata sin dall'inizio della legislatura di apprestare un intervento organico lungimirante per il settore. Nel corso del cammino, numerose problematiche, soprattutto di carattere finanziario, hanno rallentato il cammino del provvedimento. Oggi si è arrivati finalmente alla conclusione di questo percorso; riassumerò i contenuti degli articoli, che sovente dato il carattere tecnico e la formulazione attraverso rinvii legislativi: potrebbero risultare, appunto, di difficile lettura.

L'articolo 1 definisce le finalità e l'ambito di applicazione.

L'articolo 2 prevede una delega per il riordino e la semplificazione della normativa in materia di pesca ed acquacoltura. A tal fine è prevista l'emanazione di un decreto legislativo da emanare entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, avente natura di testo unico delle norme vigenti in materia. I criteri e principi direttivi a cui dovrà ispirarsi sono declinati al comma 2, che fa riferimento alla necessità di operare una ricognizione e l'abrogazione espressa di quelle norme che sono state intese come abrogate implicitamente, effettuare i necessari coordinamenti per assicurare coerenza alla normativa e per aggiornare il linguaggio giuridico, eliminare le duplicazioni risolvendo le eventuali incongruenze tenendo conto di consolidati orientamenti giurisprudenziali, coordinare e adeguare le normative nazionali con quelle internazionali ed europee, anche al fine di rendere coerente la disciplina della pesca non professionale alle norme e alla tutela dell'ecosistema marino e alle relative forme di pesca e acquacoltura tradizionale.

Il comma 3 definisce la procedura di adozione del decreto legislativo in esame, mentre il comma 4 contiene la clausola di invarianza finanziaria degli oneri.

L'articolo 3 reca una delega al Governo in materia di riforma del sistema degli interventi compensativi a favore degli operatori della pesca, nell'ambito dell'intervento previsto dal Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP). I criteri e i princìpi direttivi prevedono che si faccia riferimento alla necessità di assicurare un sostegno al reddito degli operatori della pesca marittima, in tutti i casi di sospensione dell'attività di pesca, con provvedimento dell'autorità competente; di favorire la tutela dei livelli occupazionali nei casi di evidenti imprevisti non imputabili alla volontà del datore di lavoro e del lavoratore, tra i quali sospensione dell'attività di pesca per i problemi di inquinamento, ristrutturazione e cessazione dell'attività; di prevedere forme alternative di impiego degli operatori di pesca in caso di sospensione obbligatoria, con preferenza a quelle volte a tutelare le risorse ittiche.

L'articolo 4 definisce l'istituzione per il 2018 del Fondo per lo sviluppo della filiera ittica, destinato a finanziare in via sperimentale la stipula di convenzioni con associazioni nazionali di categoria o con consorzi dagli stessi istituiti. Tali convenzioni sono finalizzate a: promozione delle attività produttive nell'ambito degli ecosistemi acquatici attraverso l'utilizzo di tecnologie ecosostenibili; promozione di azioni finalizzate alla tutela dell'ambiente marino e costiero; tutela e valorizzazione delle tradizioni alimentari locali, dei prodotti tipici e biologici e di qualità, anche attraverso l'istituzione di consorzi volontari per la tutela di pesce di qualità; attuazione di sistemi di controllo e di tracciabilità delle filiere agroalimentari ittiche; definizione di agevolazioni per l'accesso al credito per le imprese di pesca e dell'acquacoltura; riduzione dei tempi procedurali delle attività documentali nel quadro della semplificazione amministrativa; assistenza tecnica alle imprese di pesca; ricerca scientifica e tecnologica applicata alla pesca marittima; campagna di educazione alimentare e di promozione e consumo dei prodotti di pesca e di realizzazione di esperienza di filiera corta; interventi per migliorare l'accesso al credito; programmi di formazione professionale; progetti per la tutela e lo sviluppo sostenibile delle risorse ittiche autoctone.

L'articolo 5 sostituisce la normativa sui distretti di pesca, già contenuta all'articolo 4 del decreto legislativo n. 226 del 2001, dettando al riguardo nuove disposizioni: in base alla normativa vigente sono considerate tali le aree marine omogenee dal punto di vista ambientale, sociale ed economico; in base alla normativa introdotta con il provvedimento in esame, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è tenuto ad istituire con proprio decreto i distretti di pesca, costituiti dai sistemi produttivi locali definiti per aree marine omogenee dal punto di vista dell'ecosistema. I criteri di identificazione, delimitazione e gestione ristretta e attribuzione ad essi di ulteriori specifiche competenze rispetto a quelle definite al comma 3 sono stabilite con ulteriore decreto del Ministero delle politiche agricole, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni. Ai sensi del comma 3, i distretti di pesca possono sostenere azioni per la promozione di pratiche di pesca sostenibile, anche attraverso l'individuazione di attrezzi di pesca che permettono un'elevata selettività di cattura e metodologie a basso impatto ambientale, definiscono piani di gestione per ottimizzare l'attività di pesca e di acquacoltura verso un minore impatto ambientale, valorizzano i sistemi produttivi locali, promuovono la qualità e l'igiene e la salubrità delle risorse ittiche locali, anche attraverso idonei sistemi di certificazione e marchi di qualità, promuovono progetti per la tutela e lo sviluppo delle risorse ittiche locali autoctone.

L'articolo 6 disciplina i centri di assistenza per lo sviluppo di pesca e dell'acquacoltura, chiamati a svolgere compiti di assistenza tecnico-amministrativa agli operatori di pesca attraverso un'apposita convenzione, stipulata con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

L'articolo 9 prevede che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali dia attuazione alle disposizioni che definiscono l'attività di pesca-turismo, seguendo i criteri e i princìpi indicati, che fanno riferimento agli attrezzi di pesca che è possibile utilizzare, alla tipologia delle attività esercitabili e alle modalità di svolgimento dello stesso, alla validità dell'autorizzazione, ai sistemi di comunicazione che è necessario tenere a bordo. La disposizione richiamata prevede che rientrano nelle attività di pesca professionale se effettuate dall'imprenditore ittico le attività di imbarco di persone non facente parte dell'equipaggio su navi di pesca a scopo turistico-ricreativo denominate pesca-turismo; attività di ospitalità, ricreative, didattiche, culturali e di servizi finalizzate alla corretta fruizione degli ecosistemi acquatici e delle risorse della pesca e alla valorizzazione degli aspetti socio-culturali delle imprese ittiche esercitate da imprenditori, singoli o associati, attraverso l'utilizzo della propria abitazione o di struttura nella disponibilità dell'imprenditore stesso, denominate “ittiturismo”.

Il comma 2 dispone l'abrogazione del comma 2 dell'art. 2 del decreto-legge n. 561 del 1994, che rinvia ad un decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, da emanare di concerto con il Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali, la disciplina delle norme di sicurezza da applicarsi alle unità che esercitano la pesca locale e che operano nei limiti delle sei miglia dalla costa. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il decreto ministeriale 5 agosto 2002, n. 218. L'articolo 10 aggiunge i settori della pesca e dell'acquacoltura al già previsto settore agricolo, relativamente all'esenzione dall'imposta di bollo per le domande, gli atti e la documentazione finalizzati alla concessione di aiuti comunitari e nazionali e a prestiti agrari di esercizio.

L'articolo 11 prevede che gli imprenditori e gli acquacoltori, singoli o associati, possono vendere direttamente al consumatore finale i prodotti provenienti dall'esercizio della propria attività, compresi quelli oggetto di manipolazione o trasformazione degli stessi prodotti. L' attività di vendita diretta deve rispettare la normativa vigente in materia di igienico-sanitaria, fiscale, di etichettatura e di sicurezza sui luoghi di lavoro.

L'articolo 12 modifica l'articolo 2 della legge n. 244 del 2007 che disciplina la rappresentanza delle associazioni della pesca nelle commissioni di riserva delle aree marine.

L'articolo 13 reca una delega per il riordino della normativa in materia di pesca sportiva; mentre l'articolo 15 ripristina la Commissione consultiva centrale della pesca e dell'acquacoltura. L'articolo 17 apporta le talune modifiche agli articoli 9, 11 e 12 del decreto legislativo n. 4 del 2012: nel corso dell'istruttoria del provvedimento infatti gli operatori di pesca hanno sottolineato la gravità delle sanzioni introdotte dall'articolo 11 come da ultimo modificato dal collegato agricolo che ha trasformato in illeciti amministrativi molte della fattispecie legate alla pesca illegale. Per tale ragione sono state introdotte alcune modifiche che possono essere così riassunte: per le catture accessorie accidentali in quantità superiori a quelle autorizzate viene prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 2.000 euro al posto di quella attualmente prevista che prevede un minimo di 2.000 euro ed un massimo di 12.000 euro. In caso di detenzione, sbarco e trasbordo di esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento, la sanzione è stata riarticolata in cinque (al posto delle attuali quattro) fasce di sanzioni a seconda della quantità di pescato interessata alla violazione abbassando l'entità minima e mantenendo ferma l'entità massima. Nel caso le violazioni in esame abbiano ad oggetto il tonno rosso e il pesce spada mentre attualmente è previsto il raddoppio delle sanzioni, il testo in esame prevede un aumento di un terzo. In caso di violazione delle norme vigenti relative all'esercizio della pesca sportiva, ricreativa e subacquea, e di violazione della normativa in ordine al limite del quantitativo pescato viene previsto l'aumento di un terzo e non più il raddoppio della sanzione.

Poi l'articolo 18 prevede la copertura finanziaria e l'articolo 19 prevede la clausola di salvaguardia. Signor Presidente, ho cercato brevemente di fare una relazione cercando di spiegare rapidamente quali sono i punti centrali del testo unificato in esame.

Abbiamo lavorato molto in Commissione perché si giungesse al testo e abbiamo anche impiegato parecchio tempo per un lavoro molto approfondito perché il settore ittico e della pesca aveva necessità di un riordino e di armonizzare la normativa vigente alle politiche di carattere europeo e comunitario che in questi anni hanno mano a mano trasformato tutto il regime della politica sulla pesca e quindi c'era tale necessità per un settore piccolo ma molto importante per l'economia del nostro Paese. Riteniamo dunque di presentare un buon testo unificato frutto di un buon lavoro svolto con tutti i membri della Commissione, di maggioranza e di opposizione, sperando che venga approvato nei prossimi giorni.

PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.

È iscritta a parlare l'onorevole Venittelli. Ne ha facoltà.

LAURA VENITTELLI. Grazie, Presidente. Pregiatissimo Presidente, pregiatissimi colleghi e colleghe, volendo subito individuare i principi cui si è ispirato il lavoro parlamentare sul testo unificato e volendo comunicare lo spirito che ha animato il legislatore nella stesura di esso, i verbi della lingua italiana più adatti alla sintesi, a mio giudizio, sono semplificare, garantire, rilanciare, tutelare e credere. Semplificare perché il testo unificato nasce dalla necessità di riordinare e quindi semplificare tutte le leggi vigenti che, frutto di interventi a macchia di leopardo e mai organici negli ultimi trent'anni, hanno creato, rimanendovi imprigionati, un vero e proprio labirinto normativo entro il quale è ormai complicato districarsi, con la presenza di disposizioni talvolta ripetute, antinomiche e contrastanti e che hanno dato vita a casi di abrogazioni tacite mai di fatto eliminate e frutto del lavoro di un legislatore che, mi dispiace dirlo, in verità è stato disattento.

Con la delega contenuta nell'articolo 2 il Governo entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del testo dovrà quindi adottare un decreto che diventi il testo unico della pesca la cui funzione è riordinare, aggiornare, adeguare e coordinare la normativa nazionale con quella internazionale ed europea per avere finalmente le basi legislative per un settore che vuole guardare al proprio futuro e che ha bisogno di strumenti chiari e funzionali allo scopo. Garantire questo settore - quindi sottolineo il secondo verbo che ho ricordato: “garantire” - impegnato su 8.000 chilometri di coste italiane e che ha visto negli ultimi trent'anni la riduzione del 33 per cento delle imbarcazioni con rimanenti 12.000 scafi attestati su una età media di 34 anni e con la perdita di oltre 18.000 posti di lavoro ma che comunque, nonostante i dati poco edificanti, rappresenta ancora un'eccellenza italiana non soltanto perché depositario di tradizioni ma anche perché continua a garantire la qualità del pescato sulle nostre tavole nella impari battaglia contro la contraffazione e la merce proveniente dall'estero. Quindi finalità del testo è garantire a tale importante settore e a quello sempre in crescita dell'acquacoltura gli strumenti che possano consentire in autonomia - ribadisco: in autonomia - di programmare il proprio futuro. Per programmare il futuro in autonomia anche per gli imbarcati, in questo testo sono previste forme di sostegno al reddito per tutti i casi di sospensione dell'attività di pesca stabiliti con provvedimento dell'autorità competente a causa di crisi di mercato - tale previsione rappresenta una grande novità - di avversità atmosferiche, di circostanze connesse alla gestione delle risorse marine. Ed ancora, nel solco della novità e della garanzia, sono previste la conservazione e la tutela dei livelli occupazionali in casi di sospensione dell'attività di pesca per fenomeni di inquinamento ambientale e anche la individuazione di forme alternative di impiego dei medesimi operatori nei progetti pubblici partecipati che prevedono la valorizzazione delle risorse ittiche e della loro gestione sostenibile. Con questi strumenti di welfare per la prima volta introdotti nel settore si fa quindi un grande passo in avanti che dà fiducia e ci consente di dire basta alle incertezze di un sistema normativo che sino ad ora ha considerato i pescatori figli di un dio minore. Terzo verbo è rilanciare l'economia del mare depositaria di culture e tradizioni tipiche della mediterraneità, preservando le identità storiche e le vocazioni territoriali legate all'economia ittica. Il testo interviene sulla disciplina dell'ittiturismo, definendo le attività di ospitalità, le attività ricreative, didattiche, culturali, di servizi valorizzando quindi gli aspetti socio-culturali di questo istituto.

Interviene nuovamente normando i distretti ittici, che rappresentano la vera sfida da raccogliere e vincere, perché creano il sistema per difendere, anche in ambito comunitario, le vere radici, l'identità culturale marinara, con pratiche di pesca sostenibile in aree marine omogenee dal punto di vista ecosistemico, anche attraverso l'individuazione di attrezzi alternativi di pesca, caratterizzati da un basso impatto ambientale; quindi, conciliare la sostenibilità ambientale con la sostenibilità economica e sociale.

“Tutelare” è il quarto verbo: tutelare, perché il legislatore del nuovo testo unificato non ha abbassato gli occhi di fronte all'esigenza di tutelare la risorsa ittica con un sistema sanzionatorio pronto a colpire la pesca illegale in tutte le forme esercitate.

Il concetto di tutela evoca immediatamente quello di sanzione.

Con questo testo si è provveduto, all'articolo 17, a modificare gli articoli 9, 11 e 12 del decreto legislativo n. 4 del 2012, procedendo ad una complessiva rivisitazione delle sanzioni che erano state fissate dall'articolo 39 della legge n. 154 del 2016.

L'intervento di rivisitazione, quindi, e di modifica si è reso necessario dopo un anno, in quanto l'impianto sanzionatorio introdotto con la legge n. 154 del 2016, non essendo omogeneo con quello degli altri Paesi dell'Unione, nel passaggio dalla qualificazione penale che c'era prima, con la legge n. 4 del 2012, a quella di tipo amministrativo introdotta dalla legge n. 154 del 2016, ha provocato l'inasprimento delle sanzioni e ha determinato una penalizzazione evidente, nell'ultimo anno, del comparto italiano, a vantaggio delle imprese provenienti dagli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, con l'immissione massiva sul mercato nazionale di pescato estero oltre alla crescita esponenziale del mercato nero.

Si è finito così, con la legge n. 154 del 2016, per colpire i nostri pescatori anche per mere irregolarità formali, favorendo la concorrenza di mari lontani e, si ribadisce, la pesca illegale non riconosciuta e non regolamentata.

Richiamando un vecchio ed antico brocardo caro ai più, la legge n. 154 del 2016 si è rivelata come la tela del ragno, che cattura gli uccelli piccoli e lascia scappare quelli grandi.

E l'ultimo verbo è “credere”: noi ci abbiamo creduto tanto, ci crediamo al verbo “credere”, perché in questi anni di questa legislatura noi abbiamo creduto tanto nella necessità di intervenire in questo settore.

Il mondo della pesca infatti, in questi anni della presente legislatura ha potuto vedere, soprattutto dal gruppo PD, una serie di interventi sintomatici della volontà del Parlamento italiano – e dicevo, soprattutto del gruppo del Partito Democratico - di sostenere le imprese di pesca.

Non a caso, è proprio di questa legislatura l'intervento tanto atteso a sostegno delle imprese di Chioggia e Venezia, che rischiavano il fallimento, escluso di fatto con l'intervento legislativo n. 226 del 2016, a nostra firma e di numerosi altri deputati, intervento che ha definito contestualmente una grave infrazione comunitaria e che ha contribuito a lanciare un messaggio chiaro di una politica del fare, attenta alle esigenze del territorio e che si inserisce sulla scia dei tanti provvedimenti e delle tante riforme del Governo Renzi.

Così ed ancora, il riconoscimento dell'indennità giornaliera dei 30 euro a favore dei lavoratori dipendenti da imprese adibite alla pesca marittima nei periodi di sospensione ed, ancora, il rifinanziamento del fondo per il sostegno alle impresa di acquacoltura, che hanno subito nel 2015 molti danni; senza dimenticare, sempre nella scia di quelli che sono stati gli interventi a tutela di questo settore e soprattutto della risorsa ittica, tornando sempre al verbo “tutelare”, la norma di contrasto al bracconaggio nelle acque interne, norma del gruppo PD, che per la prima volta ha consentito di dare una fattiva risposta a tutte quelle drammatiche ipotesi di bracconaggio esercitato senza licenze e senza attrezzi regolamentari, la cui unica finalità è quella di distruggere i nostri fiumi e i nostri laghi, depositari di patrimonio ambientale, storico e culturale.

Tutto ciò per riassumere, sempre col verbo “credere”, che l'iter parlamentare è stato caratterizzato da quella forza di volontà - oso dire una voluntas legis rafforzata - di credere nelle grandi opportunità che hanno la pesca italiana professionale, sportiva e l'acquacoltura, che non sono seconde a nessuna produzione all'interno del più ampio settore dell'economia blu del nostro Mediterraneo.

Nella pesca e nell'acquacoltura - e concludo - ci crediamo fortemente, tanto da aver messo in campo questa riforma, che è una vera riforma, l'unica ad oggi che, con strumenti chiari e duraturi, potrà consentire di programmare il nostro futuro, il futuro di questo settore in maniera autonoma e lungimirante.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giammanco. Ne ha facoltà.

GABRIELLA GIAMMANCO. Grazie, Presidente, la pesca in Italia e, in particolare, in Sicilia rappresenta un settore che dovrebbe essere fondamentale per l'economia e per lo sviluppo del Paese e della regione siciliana.

Purtroppo, invece, versa in una crisi profonda: imprese e famiglie che traggono sostentamento da questa attività sono pesantemente penalizzate.

I problemi che generano la crisi della pesca in Sicilia sono molteplici: tra quelli emersi negli ultimi anni, la gestione della pesca del tonno rosso del Mediterraneo, cominciata da anni, e del pescespada, più recente, gestione vessata dalla cosiddetta “quota pesca”, introdotta dalla politica comunitaria della pesca adottata dall'Unione europea, che definisce per ogni Stato membro delle quote di pescato per ciascuna specie, promuovendone l'industrializzazione mediante l'uso e l'utilizzo di vari strumenti di regolazione e sostegno del mercato.

Dopo circa vent'anni di politica comune della pesca, le risorse ittiche sono diminuite e la pesca illegale è aumentata, a danno dei pescatori professionali rispettosi della legge, che hanno pagato con minori profitti propri e dell'equipaggio il rispetto delle norme.

Il settore della pesca nel Mediterraneo è stato, infatti, oggetto di continui controlli e restrizioni, che si sono concretizzati in un eccessivo proibizionismo.

Prima delle pesanti restrizioni imposte dalle istituzioni internazionali, europee, nazionali e financo regionali, la flotta peschereccia artigianale operava con piena e autonoma consapevolezza della necessità di assicurare insieme la tutela dell'ambiente e del lavoro in mare tramite una naturale diversificazione dello sforzo di pesca, realizzato alternando le catture con attrezzi diversificati che, a seconda dei periodi di pesca, rendevano la pesca un'attività redditizia.

Si realizzava un naturale mantenimento dei prezzi del pescato, in quanto la diversificazione degli attrezzi e delle tipologie di pesca, operata naturalmente dagli operatori del settore, determinava il contenimento del prezzo di vendita, poiché le catture diversificate venivano sbarcate in tempi e modi diversi, mantenendo il valore aggiunto del pesce fresco e permettendo una redditizia attività, che si tramutava automaticamente e naturalmente in un minore sforzo di pesca, facendo quindi raggiungere al pescatore il risultato economico del mantenimento dell'impresa mediante minori catture, essendo ottimale il rapporto tra costi e ricavi, da una parte, e peso e prezzo, dall'altra, come impone la migliore gestione delle attività economiche.

Oggi, dopo un ventennio di restrizioni e limitazioni che hanno annullato la diversificazione dell'attività di pesca e aggravato i costi di esercizio e di mantenimento delle imbarcazioni, si è invertito il rapporto tra costi e ricavi e tra peso e prezzo, in quanto i costi e gli adempimenti a carico delle imprese sono smisuratamente aumentati.

Le imbarcazioni forzatamente dedite, quasi tutte, alla stessa tipologia di pesca nello stesso periodo, sbarcano contemporaneamente il pescato, determinando la diminuzione del prezzo di vendita, anche a causa delle grosse partite di pesce di importazione e congelato, che provengono dai Paesi terzi non interessati da alcuna limitazione.

Per queste ragioni Forza Italia aveva depositato, a prima firma del collega Catanoso, due proposte specifiche sul settore ittico, che sono state esaminate dalla Commissione agricoltura nell'ambito del dibattito che oggi arriva in Aula.

Ad ogni modo, il provvedimento che la Camera dei deputati è in procinto di esaminare è molto lontano rispetto ai contenuti previsti dalle proposte di legge n. 338, disposizioni concernenti la disciplina della pesca dei pesci pelagici nonché in materia di titoli professionali marittimi, e n. 339, modifica delle disposizioni concernenti i limiti di distanza dalla costa per l'esercizio della pesca marittima ravvicinata, presentate appunto dal gruppo Forza Italia.

Sostenere, quindi, che questa riforma porti il nome del collega Catanoso è, quindi, una forzatura vera e propria: il testo che è stato consegnato per l'approvazione dell'Aula interviene, infatti, su molti aspetti del settore ittico, ma non su quelli oggetto delle nostre proposte e delle proposte di legge a firma Forza Italia.

Possiamo affermare senza tema di smentita che la riforma del settore ittico, proposta di fatto dal Partito Democratico e dalla maggioranza che sostiene questo Governo, sia a totale carico della pesca sportiva.

Non possiamo condividere che il sistema sanzionatorio, specialmente per il tonno, sia lo stesso applicabile per la pesca professionale e per la pesca sportiva e ricreativa: si tratta, infatti, di tre categorie ben distinte, che sfruttano la risorsa ittica con scopi, modi e attrezzi ben diversi, di impatto diverso e con finalità diverse. Sarebbe come sanzionare il consumatore finale come il produttore industriale o il commerciante. Si è voluto introdurre nel nostro ordinamento una licenza a pagamento per la pesca sportiva e ricreativa, senza contestualmente specificarne i diritti: vengono elencati solo doveri e divieti.

Tutte le associazioni di categoria della pesca sportiva - e Forza Italia insieme a loro - hanno provato a chiarire la propria posizione: la pesca sportiva e ricreativa deve essere regolamentata con apposito provvedimento, al di fuori della pesca professionale, con la possibilità di dare idonea rappresentanza alle associazioni del settore, che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali già conosce al tavolo tecnico della pesca ricreativa.

Forza Italia ha depositato undici proposte emendative. Si tratta di proposte valutate e condivise dalle associazioni di categoria della pesca professionale in grado di modificare il testo in senso assolutamente positivo per il settore ittico. Ci auguriamo che vengano valutate con la giusta considerazione e che si apra un serio dibattito che porti ad una concreta modifica del testo giunto all'esame dell'Aula. Il dibattito in Aula e le eventuali modifiche apportate saranno fondamentali naturalmente per il giudizio che daremo al provvedimento.

Vorrei in ogni caso rimarcare la nostra contrarietà in merito alla mancata previsione di una norma di tutela della marineria siciliana, che sta soffrendo da anni di una crisi continua e ininterrotta. Nessuna tutela da parte dello Stato e della regione siciliana, amministrata dal PD, dal Partito Democratico, quando i nostri pescherecci escono in mare (si veda l'ultimo sequestro del nostro peschereccio da parte della guardia costiera tunisina), e nessuna tutela quando i nostri pescherecci sbarcano il loro pescato. Il legislatore ha il dovere di disporre norme che aiutino i nostri pescatori a fare il proprio lavoro serenamente, quotidianamente e al sicuro dalle difficoltà burocratiche, che questo Governo impone loro, giorno per giorno. Ci auguriamo, quindi, che la maggioranza non sprechi questa preziosa occasione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Allora, io qui ho un paio di colleghi iscritti a parlare, che non vedo in Aula e che non chiamo, quindi, perché credo che a questo punto si intenda che abbiano rinunciato ad intervenire.

È iscritto a parlare l'onorevole Sani, che a questo punto dovrebbe essere l'ultimo intervento per questa discussione. Ne ha facoltà.

LUCA SANI. Grazie, Presidente. Il provvedimento in oggetto arriva all'esame dell'Assemblea dopo un lungo iter istruttorio, iniziato nel 2013, che ha visto impegnata la Commissione agricoltura, che ho l'onore di presiedere, in un dialogo assiduo e costante con le rappresentanze del settore e con il Governo. Particolarmente proficuo è stato il rapporto con le Commissioni di settore, le quali, attraverso l'espressione dei prescritti pareri, hanno agevolato la migliore redazione delle norme, considerato che esse hanno numerosi riflessi dal punto di vista fiscale, lavoristico, di sicurezza dei trasporti e sanzionatorio, solo per citarne i principali.

Trattandosi poi di un settore produttivo, al quale era doveroso fornire risposte anche in termini concreti, è stato necessario definire l'ambito di intervento finanziario del provvedimento, apprestando poi le necessarie coperture. A distanza di quasi quattro anni dall'inizio dei lavori sento, perciò, di poter esprimere una compiuta soddisfazione sui risultati raggiunti e sull'impianto della riforma, che oggi portiamo in Aula.

Certo, mentre alcune disposizioni hanno carattere immediatamente operativo, per altre si è ritenuto necessario e opportuno rinviare al Governo una compiuta e organica attuazione, ben definendo al tempo stesso i principi e i criteri che dovranno caratterizzare le disposizioni attuative.

Il prolungarsi dell'esame in Commissione ha permesso poi di affrontare alcune problematiche emerse, come quella riguardante la ricaduta sul comparto del nuovo sistema sanzionatorio, relativo alla pesca illegale, a cui chi mi ha preceduto ha fatto riferimento.

Va tenuto conto che, secondo gli ultimi dati Istat riferiti al 2016, la pesca ha registrato un forte calo della produzione in volume (meno 2,8 per cento), sintesi di una contrazione del pescato per pesci, molluschi e crostacei (meno 4,8 per cento) e una crescita dell'acquacoltura e dei servizi di supporto. In termini di valore aggiunto il calo è stato più sensibile, risentendo di una contrazione dei costi inferiore a quella della produzione.

A fronte di questi dati, che segnano la crisi, una prima problematica è stata quella, nell'iter della proposta di legge, di ben definire l'ambito d'intervento e cioè di scegliere se il provvedimento dovesse riguardare solo la pesca professionale - tenendo conto di tutte le sue specificità che sono state ricordate - o dovesse estendersi anche all'acquacoltura praticata in mare. È stata scelta la seconda alternativa, consapevoli dell'evoluzione che l'acquacoltura ha registrato negli ultimi decenni, affermandosi come una delle attività più dinamiche nel campo della produzione di cibo. E anche per questo la pratica dell'allevamento ittico in acque salmastre deve rientrare ormai nelle politiche riguardanti la pesca marittima e richiedere, al pari di questa, interventi mirati, per crescere e rafforzare la capacità di offrire produzioni di altissima qualità.

Si tratta, infatti, di un'attività fortemente sostenuta dall'Europa, di cui l'Italia vanta, secondo i dati FAO, un ruolo significativo, solo se si pensa che detiene il 13 per cento del volume delle produzioni d'acquacoltura dell'Unione europea (al quarto posto dopo Spagna, Francia e Regno Unito) e il 10,7 per cento del valore della produzione. È il principale produttore di vongole veraci, con il 94 per cento in volume e il 91 per cento in valore.

L'acquacoltura italiana ha dimostrato di avere, perciò, le capacità di creare reddito e occupazione e ha grandi potenzialità di sviluppo, che richiedono scelte decisive e interventi strategici mirati. La produzione, seppur di altissima qualità, ha perciò ancora enormi spazi di crescita, ma richiede una strategia ben mirata.

Si pensi anche al fatto che il nostro Paese - questo è il vero paradosso - è un forte importatore di prodotti ittici. Oltre il 70 per cento del pesce che consumiamo è di importazione, una percentuale che sale all'85 per cento se riferita a spigole e orate. Da qui la consapevolezza che uno sviluppo sostenibile dell'acquacoltura nei mari italiani può rappresentare non solo una fonte di approvvigionamento significativo in termini quantitativi, ma anche di qualità e di sicurezza alimentare. Le ricadute in termini occupazionali ed economici sono facilmente immaginabili.

Voglio, perciò, sottolineare l'importanza della delega contenuta nell'articolo 14, in materia di riordino delle concessioni demaniali per la pesca, e mi auguro che ciò venga prontamente attuato dal Governo. Rimando poi ad una lettura dell'articolato per valorizzare, appunto, i criteri e i principi direttivi, che sono oggetto della delega.

Il provvedimento in esame delega il Governo anche a predisporre una riforma complessiva della pesca sportiva e ricreativa, anche al fine di includere la stessa tra le attività che possono concorrere alla valorizzazione della risorsa ittica e alla salvaguardia dell'ecosistema marino, nell'ambito dei distretti di pesca.

Su questo aspetto ricordo che in Commissione e con alcuni rappresentanti si è dibattuto molto, talvolta vivacemente, anche a causa della complessità delle diverse tipologie di attività di pesca sportiva. Abbiamo quindi stralciato una parte, che prevedeva un tributo già all'interno della legge, anche se di questo pare che tutti non se ne siano accorti, per gli interventi che si sono registrati anche questo pomeriggio.

La pesca sportiva, però, - voglio ricordarlo - è stimata per difetto in circa 1,5 milioni di praticanti e capire l'impatto che quest'attività provoca sulla risorsa ittica non è un dettaglio rispetto alle politiche di gestione del prelievo, anche per prevenire e governare situazioni di conflitto non episodiche tra pesca sportiva e professionale.

Per questo, nel provvedimento si richiede, tra l'altro, un sistema di rilascio delle licenze che tenga conto del sistema di pesca praticato, della tipologia e delle dimensioni delle imbarcazioni utilizzate e del soggetto richiedente, anche per censire il numero effettivo dei pescatori sportivi e il quantitativo di pesce pescato, tenendo conto degli aspetti sociali, ricreativi e di svago che questa tipologia di pesca rappresenta nella tradizione delle nostre comunità, ma anche di quei fenomeni di abuso - che sono stati anche questi ricordati - che rappresentano un pericolo per il patrimonio ittico e, come tali, vanno contrastati.

Il relatore ha ricordato gli interventi sui meccanismi di tutela del reddito, che non riprendo, ma che sono fondamentali, soprattutto rispetto alla fine della cassa integrazione in deroga. Ricordo che 3 milioni di euro, per il 2018, andranno a finanziare il Fondo per lo sviluppo della filiera ittica, che opererà a sostegno delle aziende e degli operatori per realizzare programmi di formazione e di aggiornamento professionale, per incentivare esperienze di filiera corta e per sostenere lo sviluppo delle risorse autoctone.

Si tratta di un primo investimento che auspichiamo possa diventare strutturale, necessario a far compiere un salto di qualità alla pesca italiana e farla diventare più competitiva non solo in termini produttivi, ma anche sul piano della sostenibilità per rispondere meglio agli impegni europei in termini di conservazione della biodiversità e della tutela degli ecosistemi marini.

Sui distretti di pesca viene basato il rilancio dei sistemi produttivi locali: dovranno essere organizzati per aree marine omogenee e dovranno definire dei piani di gestione per ottimizzare la pesca, valorizzando le specificità locali, promuovendo la qualità e la salubrità dei prodotti, tutelando le risorse autoctone. Da questo punto di vista, il Governo, come veniva ricordato, è chiamato a meglio definire come possa svolgersi l'attività di pescaturismo, anche come occasione per ampliare l'offerta turistica nelle zone costiere e per garantire un'integrazione al reddito delle imprese e dei pescatori.

Vengono altresì rivisti i limiti della vendita diretta, mutuando, anche nel settore della pesca, quei concetti di filiera corta o, se vogliamo, di chilometro zero che si sono affermati in agricoltura, che sono apprezzati dai consumatori e che, anche in questo caso, sono in grado di garantire un maggior profitto, nella fattispecie al pescatore.

È stata inserita una disposizione che consente anche a chi al momento non partecipa alle quote di contingente assegnate all'Italia per pescare tonno rosso di poter beneficiare di un'eventuale quota aggiuntiva, che potrebbe essere assegnata al nostro Paese, specificando le percentuali che in tal caso saranno assegnate ai diversi sistemi di catture.

Infine, mi sia consentito di esprimere la soddisfazione per essere riusciti a trovare un punto di equilibrio, come veniva ricordato dall'onorevole Venittelli, in merito all'entità delle sanzioni applicate in caso di pesca illegale, con il passaggio, come appunto veniva menzionato, dalla sanzione penale all'illecito amministrativo, che aveva portato a non modulare bene la sanzione prevista.

Quindi, in conclusione, ritengo che il provvedimento che oggi arriva all'esame dell'Aula sia capace di dare risposte organiche e strutturate ad un comparto in grande difficoltà, costretto a dedurre lo sforzo di pesca per ragioni ambientali e nonostante questo rappresenti l'unica fonte di sostentamento per tanti operatori. La pesca italiana - è bene ricordarlo - ha caratteristiche peculiari, tipiche del Mediterraneo, prevalentemente artigianali ed è costituita per lo più da piccole imbarcazioni con pochi addetti a bordo: una caratteristica che non rappresenta solo un'attività economica, ma costituisce un forte elemento identitario che ritroviamo lungo gli 8 mila chilometri di costa della penisola e delle isole, che si snoda tra borghi, piccoli porti, mestieri e tradizioni. È una caratterista che vogliamo tutelare nell'ambito più vasto e complesso delle politiche europee per la pesca e per il mare.

Sono convinto che una normativa più attuale e innovativa su un settore che sconta molti ritardi può attribuire al nostro Paese maggiore autorevolezza, anche in un contesto europeo, che talvolta ha il baricentro delle politiche per la pesca lontano dal Mediterraneo e che, invece, richiede il riconoscimento di una sua specificità per le diverse tipologie e pratiche di prelievo, per il fatto che si pratica una pesca da parte di sei Stati membri fortemente regolamentare e, contestualmente, si pratica una pesca da parte dei Paesi nordafricani e della sponda orientale non sempre razionale, per usare un eufemismo, oltre alle incursioni di flotte delle più variopinte bandiere - giapponesi o coreane - che pescano fuori dalle acque territoriali, operando in assenza di qualsiasi controllo.

In questo contesto, esprimo anche preoccupazione per il ripetersi, a distanza di pochi giorni, di sequestri di imbarcazioni italiane da parte delle autorità militari tunisine, su cui invito il Governo a vigilare.

L'insieme di queste considerazioni ha accompagnato il lavoro della Commissione agricoltura e adesso confidiamo che l'attuazione dei numerosi provvedimenti attuativi da parte del Governo sarà capace di completare questo disegno di riforme. Per questo mi auguro che l'altro ramo del Parlamento possa sollecitamente esaminare la proposta senza modifiche entro il termine della legislatura (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, presidente.

È iscritta a parlare l'onorevole Benedetti, che ci ha raggiunto prima del termine del suo intervento. Ne ha facoltà.

SILVIA BENEDETTI. La ringrazio, Presidente. Che il settore della pesca sia in crisi da tanto, troppo tempo penso sia sotto gli occhi di tutti, l'abbiamo sentito anche dagli interventi precedenti, e questo non solo per una questione di diminuzione degli stock ittici, ma proprio per una mancata programmazione a lungo termine che i Governi italiani, incluso quest'ultimo, non hanno voluto intraprendere.

A tal proposito, vorrei ricordare che la pesca è materia di competenza europea: la politica comune della pesca è stata introdotta per la prima volta negli anni Settanta, poi aggiornata negli anni a seguire, tant'è che l'ultimo aggiornamento è entrato in vigore a gennaio 2014. Quindi, è da un po' di anni che si parla di conservazione degli stock ittici e della necessaria gestione e programmazione delle flotte pescherecce europee che investono su una risorsa comune.

Tuttavia l'Italia non ha degnato di molta attenzione questo settore e così i pescatori si sono ritrovati pressati, da una parte, dagli obblighi comunitari che impongono una tabella di marcia sempre più stringente e, dall'altra, dai costi di produzione sempre più elevati, oltre che da una concorrenza dei prodotti ittici di importazione sia interna che esterna all'Unione europea. Ed è così che, al 2016, in Italia si parla di una fuoriuscita di oltre 4 mila pescherecci per una flotta che oggi si assesta attorno alle 13 mila unità.

Che i pescatori siano in grossa difficoltà, tra l'altro, ce l'hanno fatto sapere anche il 28 febbraio di quest'anno quando, a seguito di scarsi provvedimenti in loro aiuto, poi, invece, si sono visti arrivare, tra capo e collo, la legge n. 154 del 2016, che prevedeva sanzioni amministrative anche fino a 150 mila euro.

Quindi, oggi ci troviamo a discutere qui in Aula un testo che risolve poche cose rispetto ai problemi del settore. Ad esempio, se si prende finalmente posizione relativamente alla pesca del tonno rosso e alla distribuzione delle quote, d'altro canto ancora si demandano a provvedimenti del Governo questioni importanti, come, ad esempio, il riordino e la semplificazione della normativa in materia di pesca e acquacoltura, di cui all'articolo 2. Vanno benissimo i principi direttivi a cui dovranno ispirarsi, cioè operare una ricognizione ed abrogazione di quelle norme intese come abrogate implicitamente, oppure effettuare i necessari coordinamenti per assicurare coerenza alla normativa e per aggiornarla, eliminare le duplicazioni, coordinare ed adeguare la normativa nazionale con quella internazionale ed europea; tuttavia questo avverrà con l'emanazione di uno o più decreti legislativi aventi natura di testi unici, si spera, entro i diciotto mesi previsti.

Un'altra questione importante delegata al Governo sono le politiche sociali nel settore della pesca professionale, per le quali si prevede in questo testo di utilizzare le risorse derivanti dal Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP). Purtroppo, la questione della cassa integrazione straordinaria in deroga e del Fondo di solidarietà per il settore della pesca - il FOSPE - è ancora irrisolta e da quest'anno, tra l'altro, i pescatori non hanno alcun sostegno al reddito nel caso di sospensioni temporanee dell'attività di pesca, per esempio, a causa di condizioni meteorologiche avverse o per rispettare il fermo biologico.

Il Governo, quindi, dovrà emanare un altro decreto entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e questo decreto dovrà avere come oggetto la riforma del sistema degli interventi compensativi a favore degli operatori della pesca. Speriamo che lo faccia il prima possibile.

Altra delega all'articolo 13, per il riordino della normativa in materia di pesca sportiva. Il Governo si dovrà esprimere entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge: tra le cose da normare figura un sistema di rilancio delle licenze che tenga conto del sistema di pesca praticato, della tipologia e delle dimensioni delle imbarcazioni utilizzate e del soggetto richiedente, anche ai fini di un censimento volto ad accertare il numero dei pescatori sportivi e il quantitativo di pesce pescato.

Credo che questo aspetto sia importante perché, se non altro, rimedia a una criticità non da poco: infatti nel testo precedente - vorrei ricordare - si chiedeva ai pescatori non professionali un contributo, neanche una licenza, con la quale poi si andava ad alimentare il Fondo per lo sviluppo della filiera ittica, quindi la parte afferente alla pesca professionale, e ciò ha esacerbato la tensione tra pesca non professionale e quella professionale. Come MoVimento 5 Stelle, sin dall'inizio, abbiamo fatto notare quanto fosse iniqua la destinazione di tale contributo.

Nel nuovo articolo 4, per il Fondo per lo sviluppo della filiera ittica, per fortuna, si prevede una dotazione di 3 milioni di euro derivante da quota parte delle risorse a valere sul regime di aiuti disposto al fine di facilitare l'accesso al mercato dei capitali da parte delle imprese agricole e agroalimentari di cui alla legge n. 154 del 2016, all'articolo 20, comma 1-bis.

Infine, abbiamo un'ulteriore delega in bianco - importante anch'essa - all'articolo 14: entro diciotto mesi dovrà esserci un decreto sul riordino della normativa in materia di concessioni demaniali per la pesca e l'acquacoltura - altro tema caldo -, di licenze di pesca e di costo dell'energia elettrica impiegata dalle imprese di acquacoltura.

Quindi, per vedere la soluzione a questi macroargomenti bisognerà aspettare ancora un po', ed è un peccato. Alcuni articoli sono, invece, più concreti.

L'articolo 10 aggiunge i settori della pesca e dell'acquacoltura, al già previsto settore agricolo, per quanto riguarda l'esenzione dall'imposta di bollo per le domande, gli atti e la documentazione finalizzati alla concessione di aiuti comunitari, nazionali e a prestiti agrari di esercizio. L'articolo 11 disciplina la vendita diretta dal pescatore al consumatore finale - sappiamo quanto è importante incentivare quest'attività - dei prodotti derivanti dall'esercizio della propria attività, compresi quelli oggetto di manipolazione o trasformazione degli stessi.

L'articolo 15 ripristina le funzioni della commissione consultiva centrale della pesca e dell'acquacoltura, considerata un indispensabile organismo di confronto per il settore, non lo dico io, lo dicono le associazioni di categoria e lo riconoscono tutti i pescatori che questa commissione fosse un tavolo di confronto importante per decidere cosa fare di questo settore, per predisporre un minimo di programmazione.

Poi, finalmente, dopo anni di rilievi da parte del MoVimento 5 Stelle, l'articolo 16 prevede che, fermi restando i coefficienti di ripartizione e le quote individuali di tonno rosso assegnate, ogni eventuale incremento annuo del contingente di cattura di tonno rosso assegnata all'Italia venga ripartito per una quota non superiore al 20 per cento tra il sistema di pesca del tipo palangaro e tonnara fissa e per il restante 80 per cento alla pesca accidentale o accessoria. È un piccolo passo; lo abbiamo detto sin dal 2014, quando ci fu il primo momento del contingente italiano di pesca, che era necessaria una redistribuzione più equa e che non potevano essere sempre le solite barche a circuizione a tenersene il 70 per cento. Peccato per questi tre anni persi, per quei pescatori che avrebbero voluto usufruire di una risorsa comune e importante come quella del tonno rosso; ciò, tra l'altro, a dimostrazione del fatto che la pesca ha necessariamente bisogno di un link sempre più stretto, di un collegamento sempre più stretto tra essa e la ricerca, perché chiaramente gli stock ittici, per essere sfruttati, devono essere anche conosciuti e deve essere programmato, appunto, il loro sfruttamento.

Infine, all'articolo 17 ci sono alcune modifiche relative agli articoli 9 e 11 del decreto legislativo n. 4 del 2012, quindi il decreto che riguarda le sanzioni nel settore della pesca. Come ho già detto, in questo settore si è verificata una forte protesta quando gli interessati si sono ritrovati queste sanzioni; è chiaro che all'inizio erano sanzioni sproporzionate, per fortuna c'è stato un lavoro in tal senso per renderle più eque e proporzionate; tuttavia, credo che, anche qui, vada fatta una riflessione per alcune di queste infrazioni, ma lo vedremo magari in sede di emendamenti.

Ecco, ho fatto una carrellata su alcune delle questioni affrontate; credo che questa occasione sia, chiaramente, un peccato, nel senso che, sì, va a risolvere alcune questioni, ma non ne risolve altre che, invece, si sono trascinate in questi anni. Va anche detto che il testo è ritornato in Commissione per tre volte, quindi, abbiamo avuto tre testi unici di volta in volta sempre modificati e, alla fine, pian piano, è diventato sempre più un testo delega su temi che, da troppo tempo, si trascinano e che, da troppo tempo, rendono difficile il fatto che questo settore possa riprendersi. Quindi, da parte del MoVimento 5 Stelle spero che queste deleghe vengano affrontate il prima possibile, sono deleghe in bianco e spero che, appunto, siano portate avanti dignitosamente per questo settore che per troppo tempo è stato, assolutamente, messo da parte.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 338-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo non intendono replicare.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Ascani ed altri: Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative (A.C. 2950-A) (ore 19).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 2950-A: Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2950-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Irene Manzi.

IRENE MANZI, Relatrice. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi arriva finalmente in Assemblea una proposta di legge frutto di un lungo ed approfondito lavoro condotto dalla nostra Commissione, la Commissione cultura, che ha visto la partecipazione ed il coinvolgimento di un numero considerevole di istituzioni ed operatori del settore culturale. Un lavoro che parte da lontano e che trova le sue motivazioni più profonde in questa considerazione: se l'Europa vuole restare competitiva in questo ambiente globale in evoluzione, deve creare le condizioni propizie al fiorire della creatività e dell'innovazione.

Con queste parole, il Libro verde della Commissione europea, dedicato proprio al tema delle industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare, del 27 aprile 2010 ci ricordava, sette anni fa, la centralità dei temi della cultura e della creatività per la realizzazione, tanto in Europa, quanto in Italia, di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva. Temi su cui il nostro Paese aveva già in anticipo iniziato a riflettere con la costituzione proprio dieci anni fa, grazie all'allora Ministro dei beni culturali Francesco Rutelli, della commissione di studio coordinata dal professor Santagata, incaricata di redigere quel rapporto sulla creatività e produzione di cultura in Italia che sarebbe poi confluito nel celebre Libro bianco sulla creatività. Quello che il Libro bianco proponeva era allora un modello italiano di creatività e di sviluppo centrato sul legame della nostra creatività e di produzione di cultura con la storia e con il territorio, con le città, gli spazi creativi, i distretti artigianali ed industriali, il paesaggio e la sfera della cultura materiale, origine ed esito dei fenomeni creativi e culturali che caratterizzano la civiltà italiana, un patrimonio accumulato e una risorsa offerta all'esperienza quotidiana dei singoli e delle collettività, una cornice di integrazione e un modello di riferimento anche per i nuovi immigrati dei nuovi continenti.

La proposta di legge che arriva oggi in quest'Aula ha, allora, radici profonde in quelle considerazioni e motivazioni forti che si sono formate in questi anni grazie ai tanti studi condotti da numerose istituzioni culturali su questo tema. Riflessioni che partono anche dall'analisi di alcuni dati concreti ovvero l'impatto economico, oltre che sociale e culturale, che il sistema culturale e creativo è in grado di produrre nel nostro Paese. Secondo il rapporto Symbola, al sistema culturale e creativo si deve circa il 6,1 per cento della ricchezza prodotta in Italia, pari a circa 89,7 miliardi di euro; risorse a cui va aggiunto l'ulteriore effetto moltiplicatore che esso è in grado di produrre sul resto dell'economia, per un totale complessivo pari a quasi 250 miliardi di euro, dando lavoro a più di un milione e mezzo di persone. Dati che ci testimoniano che i migliori risultati economici e produttivi sono spesso frutto, anche, di un lavoro congiunto tra pubblico e privato, tra investimento e visione pubblica e investimento e produttività privata. In questo campo, nel momento in cui ci siamo messi al lavoro sulla proposta di legge di cui oggi discutiamo, ci siamo trovati di fronte a un elemento che spesso passa sotto silenzio, il fatto che esiste e agisce, in Italia, una dinamica e un'azione economica forte, vivace e attiva, che semina futuro, che guarda avanti con coraggio, senza dimenticare la sua storia; un'Italia che nella cultura ha il suo elemento ispiratore ed identificante che, come istituzioni, abbiamo il dovere di conoscere, di rappresentare e di sostenere, consci che il nostro Paese è, sì, quello che ha la massima densità di siti UNESCO del mondo, dotato di un primato indiscusso dal punto di vista culturale, storico e artistico, ma è anche quello che più deve investire e dotarsi degli strumenti per far sì che questo potenziale identitario sia un volano forte per la crescita e lo sviluppo.

È questa motivazione di fondo che ha ispirato il lavoro che ha condotto al testo che oggi arriva in quest'Aula, un testo sicuramente non perfetto e ancora suscettibile di ulteriori miglioramenti che ha quale finalità primaria quella di dare riconoscimento giuridico alle imprese culturali e creative; un riconoscimento a cui si è giunti, come Commissione cultura, grazie ad un confronto costante con le istituzioni, a cominciare ovviamente dal Ministero dei beni culturali e dal Ministro Dario Franceschini e con l'ampio e variegato mondo degli operatori della cultura, coloro che fanno della creazione, della produzione, dello sviluppo e della diffusione culturale la propria attività economica.

Per uscire dal generico, vorrei fare alcuni esempi per indicare questa vasta platea che va dalle cooperative che vendono gadget nei musei, riproduttivi dei nostri beni culturali, agli organizzatori dei festival, ai webmaster che ristrutturano i siti Internet con immagini culturali, alle realtà che si occupano di spettacolo dal vivo e produzione culturale, fino alle società di servizi di digitalizzazione degli archivi storici e ai disegnatori o agli illustratori che si ispirano al nostro patrimonio museale. Realtà che ricomprendono al loro interno cultura materiale, industria dei contenuti e dell'informazione e della comunicazione, patrimonio storico ed artistico; realtà che operano nel mondo produttivo, ma mancano di un riconoscimento specifico ed espresso da parte del legislatore statale e al contempo spesso difficile da intendere e definire con un tratto di penna, perché è il concetto stesso di cultura che incontra dilemmi definitori che nessuno è riuscito finora a risolvere in via definitiva.

La varietà di questo mondo non si arresta ai contenuti dell'attività, ma investe anche la forma giuridica degli operatori, con ciò contribuendo a rendere particolarmente complesso disciplinare il settore. Abbiamo cooperative, società di persone, associazioni senza fini di lucro; ed è da questo che il nostro lavoro - che, ricordo, ha profondamente modificato, sin dal suo titolo originario, la proposta di legge presentata dalla collega Anna Ascani, dedicata, nella sua versione originaria, al sostegno delle start up culturali - ha preso le mosse: dalla volontà, motivata anche dall'ascolto e dal confronto continuo con le realtà che ho poco fa ricordato, di dare alle imprese culturali e creative uno statuto ed una disciplina normativa ed una specifica riconoscibilità; dalla consapevolezza di fornire a chi opera in questi settori un senso di riconoscimento ed appartenenza da parte dello Stato, perché dalla riconoscibilità consegue l'attribuzione di diritti, la finanziabilità e la capacità organizzativa.

Questa è la motivazione che ci ha guidati sin dall'aprile 2016, quando la proposta di legge ha iniziato il suo cammino nella Commissione cultura, provando a lavorare nelle audizioni e, successivamente ad esse, con interlocutori differenti: rappresentanti istituzionali, realtà come Unioncamere, Symbola, Federculture, Fondazione Fitzcarraldo, fondazioni bancarie, spesso attente partner dei soggetti che fanno impresa culturale, operatori del settore. Un'attività di ascolto che è proseguita anche fuori dai luoghi istituzionali, nella pluralità di iniziative organizzate in Italia su questi temi a cui, insieme a molti colleghi della Commissione, si è preso parte, ascoltando osservazioni ed idee provenienti dagli operatori del settore.

Un lavoro di ascolto dialettico e democratico, che ha prodotto una profonda modifica rispetto al testo iniziale presentato dalla collega Ascani. La proposta di legge n. 2950 prevedeva, infatti, nella sua versione originale, l'individuazione di una nuova categoria di start up, quella culturale, assegnando ad essa specifici incentivi. Proprio il lavoro di audizione e confronto ha indotto la Commissione a modificare il testo originario, cogliendo la grande opportunità che quella proposta ci offriva: quella di introdurre finalmente nell'ordinamento italiano la definizione giuridica dell'impresa culturale creativa, prevedendo adeguate forme di sostegno e seguendo gli stimoli ed il lavoro che l'Unione europea, grazie anche all'impegno attento e lungimirante della presidente della Commissione cultura e istruzione del Parlamento europeo, Silvia Costa, ha compiuto in questi ultimi anni.

Proprio da questa definizione parte il testo oggi all'esame dell'Aula, da una definizione e dall'affermazione di un obiettivo fondamentale, che rappresenta l'orizzonte ideale che ha guidato il nostro lavoro ed ispirato questa proposta di legge: quello di favorire il rafforzamento e la qualificazione dell'offerta culturale nazionale come mezzo di crescita sostenibile ed inclusiva, la nuova imprenditorialità e l'occupazione, con particolare riguardo a quella giovanile, attraverso il sostegno alle imprese culturali e creative.

Un intento che si è concretizzato nell'individuazione e definizione, all'articolo 1, comma 2, dell'impresa culturale e creativa. Non è stato un lavoro semplice, per la molteplicità delle tante realtà che compongono l'universo culturale e creativo, e proprio per questo essa si è orientata lungo una previsione giuridica ampia ed inclusiva, capace di ricomprendere gran parte delle realtà che operano in questo settore, anche quelle del titolo secondo del libro primo del codice civile, purché in possesso dei requisiti di legge. È, allora, impresa culturale quella che possiede i seguenti criteri: ha sede in Italia, svolge un'attività stabile e continuativa e ha per oggetto sociale l'ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione e la gestione di prodotti culturali intesi quali beni, servizi e opere dell'ingegno, inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia e all'audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche, ai musei, nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati. I soggetti in possesso di questi requisiti avranno la possibilità di ottenere lo specifico riconoscimento della qualifica di impresa culturale creativa, e l'iscrizione nell'elenco tenuto dal Mibact. Un registro che, secondo il nostro intento, dovrà assolvere ad una duplice finalità: quella di portare ad emersione un universo fino ad ora poco conosciuto, e quello di dare ad esso riconoscibilità e consapevolezza, attraverso proprio il coinvolgimento diretto del Mibact nella sua tenuta.

Accanto a tale riconoscimento, il testo garantisce inoltre, quale misura di agevolazione, ai soggetti culturali e creativi la possibilità di chiedere la concessione di beni demaniali dismessi, previo bando, per poter svolgere la propria attività, prevedendo inoltre che tali finalità siano recepite anche nel Documento di strategia nazionale per la valorizzazione dei beni e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata.

Si tratta di una previsione che è proprio frutto di quel lavoro di ascolto delle tante realtà e degli operatori che lavorano in questo settore, che hanno più volte evidenziato la necessità di ottenere agevolazioni e luoghi dove poter svolgere la propria attività.

Il testo consta quindi di due articoli, di carattere essenzialmente generale e non finanziario; limitato, potrebbe dire qualcuno, e su questo come relatrice vorrei aggiungere alcune brevi considerazioni. Non sono mancate all'interno della Commissione e del Comitato ristretto riflessioni in ordine alla necessità e all'opportunità di concedere agevolazioni anche di natura economica alle realtà culturali e creative: agevolazioni motivate dall'intento di sostenere un settore che vede spesso protagonista un'imprenditoria giovane e qualificata. Il testo base licenziato dalla Commissione nel febbraio 2017 conteneva parti rilevanti a questo proposito, accompagnando alla definizione dell'impresa culturale e creativa un sistema incentivante per le realtà di recente costituzione, prendendo a modello proprio le misure incentivanti legate alle start up, ed introducendo anche ulteriori elementi mutuati dalla proficua esperienza realizzata dalla regione Lazio, come l'emanazione di buoni per l'acquisto di prestazioni fornite da parte delle imprese culturali e creative e di percorsi di assegnazione ad esse di beni demaniali dismessi.

Per giungere in Aula quest'oggi il testo ha dovuto, però, tenere conto delle osservazioni e delle condizioni espresse dalle altre Commissioni parlamentari: la Commissione bilancio, in particolare. Condizioni che hanno condotto al testo che presentiamo oggi, un testo che ha ridotto in modo consistente le agevolazioni inizialmente previste. Non sono state scelte semplici da adottare, le cui motivazioni sono state costantemente condivise con gli altri colleghi di Commissione; ma sono state scelte necessarie, per non disperdere il lungo lavoro condotto dal marzo 2016.

Avremmo potuto difendere la purezza originaria del testo, condannando però lo stesso a non giungere mai in quest'Aula; o, come abbiamo fatto, accettare comunque la sfida base che ci eravamo posti, quella di introdurre nell'ordinamento italiano una definizione dell'impresa culturale creativa. È stata una scelta dolorosa, e lo dico in primo luogo da relatrice, ma necessaria per poter rispondere a quella promessa, fatta ai tanti operatori culturali incontrati in questi mesi in tutta Italia: quella di vedersi riconosciuti dall'ordinamento per quello che sono in tutta la loro specificità, così da avere una certezza di base da cui poter prendere le mosse per impostare il proprio lavoro; e magari, una volta ottenuto il riconoscimento normativo, poterci impegnare già nella prossima legge di bilancio nella definizione di una parte di quei provvedimenti di agevolazione e sostegno che erano stati inizialmente previsti. Senza, però, la previsione di uno statuto dell'impresa culturale e creativa, difficilmente si potrebbe giungere allo stanziamento di risorse ad essa dedicate.

C'è, quindi, un messaggio che voglio lanciare ai miei colleghi, tanto dei partiti di maggioranza quanto di opposizione, con cui dal marzo 2016 ho condiviso un lavoro di confronto aperto e costruttivo, sia in Commissione che nel Comitato ristretto, colleghi che voglio ringraziare in questa occasione. Non è un testo chiuso quello che arriva in quest'Aula: è un testo ancora aperto a possibili modifiche, che da un lato tengano conto degli intenti di fondo della proposta di legge che abbiamo condiviso, e che dall'altro ovviamente non potranno prescindere, per arrivare ad una rapida approvazione, dal parere e dalle osservazioni della Commissione bilancio.

Tenendo conto di queste premesse, sono convinta, potremo lavorare anche in quest'Aula, come abbiamo fatto del resto in Commissione, in modo proficuo e partecipato. Abbiamo sulle nostre spalle la responsabilità che ci hanno dato tanti amici e compagni di viaggio, che hanno seguito il lavoro in quest'anno e con cui abbiamo costantemente lavorato per comporre il testo normativo: persone che lavorano e investono in questo settore e che ci stanno ascoltando là fuori mentre in questi momenti discutiamo nell'Aula. Possiamo dar loro un segnale: non perfetto sicuramente, ma significativo, che il legislatore è al loro fianco e intende riconoscere il grande lavoro che fanno per la crescita non solo economica, ma civile e sociale delle loro città e del Paese. Un segnale forse tardivo, ma importante per dimostrare che vogliamo continuare a investire su quanti fanno della cultura e della creatività il proprio tratto distintivo e qualificante: non solo perché la cultura si mangia, per citare il titolo di un bel libro di Bruno Arpaia e Pietro Greco di qualche anno fa, ma perché questa può diventare un fattore concreto di sviluppo e di identità per un Paese, come il nostro, in fase di profonda trasformazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia al suo intervento.

È iscritta a parlare l'onorevole Ascani. Ne ha facoltà.

ANNA ASCANI. Grazie, Presidente. È con particolare emozione che oggi intervengo in quest'Aula, più per raccontare un percorso che per ripetere quanto benissimo ha fatto la relatrice che mi ha preceduto, vale a dire spiegare quali siano gli intenti e il contenuto della proposta di legge in esame. Inizio dal percorso perché ogni legge di iniziativa parlamentare che arriva qui, soprattutto quelle che arrivano a fine legislatura, hanno una storia, delle radici, hanno appunto un percorso lungo. Questa proposta di legge in particolare nasce da una chiacchierata di un gruppo di ragazzi che hanno deciso di scommettere sui propri talenti, di fare impresa a partire dal talento che hanno, di costruire un'impresa culturale; e l'hanno fatto mettendo su un'associazione culturale, cercando di arrangiarsi con strumenti che oggi la proposta di legge mette loro in mano. Infatti in un Paese che ha come principale problema di avere troppe leggi, esiste ancora una parte del Paese che, invece, non ha una legge che gli riconosca dignità e gli riconosca un ruolo. Quindi oggi prima di tutto ci vogliamo ricordare di quella chiacchierata, di quei ragazzi che poi abbiamo incontrato molte volte: la prima volta nel 2013, nella mia terra, in Umbria, e poi da allora ogni volta che la proposta di legge ha cambiato nome, ha cambiato senso, ha cambiato definizioni anche grazie al lavoro preziosissimo svolto in Commissione cultura. Spesso il Parlamento diventa teatro di discussioni che hanno tonalità molto accese, che ci fanno anche vergognare di fronte ai cittadini per le parole esagerate, per i gesti di cui ci rendiamo protagonisti. Nelle Commissioni si fa invece un lavoro preziosissimo che forse meriterebbe maggiore attenzione. La proposta di legge è la dimostrazione chiara che, quando il Parlamento si mette a lavorare insieme per sanare un vulnus, è possibile davvero arrivare a grandi risultati.

Quindi il percorso ha inizio fin dal 2013, e poi c'è stato il lavoro di un gruppo di ragazzi, che si chiama Cultura democratica, che ha posto il tema all'attenzione del Parlamento. Era il 2014. Voglio ringraziare la presidente della Commissione cultura, Flavia Piccoli Nardelli, per aver investito personalmente sulla proposta di legge, attraverso una conferenza stampa, sostenendone anche la calendarizzazione, e da allora in avanti si è svolto il percorso di audizioni, formali ed informali, che la collega Manzi ha poc'anzi ricordato, fino appunto all'approdo in Aula.

Perché è così importante parlare di imprese culturali e creative, e perché ben 70 colleghi di diversi gruppi parlamentari hanno deciso di sottoscrivere la proposta di legge in esame? In realtà i dati sono già stati citati dalla collega Manzi, ma forse vale la pena ricordarne alcuni. Ad esempio secondo i dati riportati da Symbola, nel giugno scorso, al sistema produttivo, culturale, creativo si deve il 6 per cento della ricchezza prodotta in Italia, 89,9 milioni di euro, un dato che è in crescita dell'1,8 per cento rispetto all'anno precedente. Pensiamo al panorama della crisi e a quanto accaduto all'industria manifatturiera italiana, pensiamo alle molte difficoltà e ai posti di lavoro persi, e poi pensiamo ad un settore che invece cresce, che dà lavoro e ricchezza. Nel 2011 secondo un bellissimo approfondimento prodotto nel 2012 da Il Sole 24 Ore le imprese culturali e creative rappresentavano già il 10 per cento dell'export italiano e penso sia una stima sostanzialmente stabile, se non addirittura in crescita. Ma l'importanza delle imprese culturali e creative non trova base solo su questi numeri bensì su un fattore molto più importante e generale, ancorché difficile da misurare. Nell'epoca della culturalizzazione dell'economia, che tra l'altro non diminuisce ma anzi aumenta in periodi di crisi, il soft power è un asset strategico, è un moltiplicatore in tutti i settori. Nel country brand l'Italia è tra le prime nazioni del mondo, ma non tanto quanto potrebbe: c'è una competitività non adeguata che bisogna migliorare.

Ma il soft power non è solo una questione economica. Se, per dirla con Ulrich Beck, alla nostra condizione cosmopolitica manca una consapevolezza cosmopolitica, l'uomo si rinchiude a scopo di difesa nella costruzione di tribù, demarcando noi da loro. Questo è un istinto naturale e prende forme di ritorno al tribalismo, al nazionalismo, comunque a muri violenti, fisici e non. Costruire cultura nel senso di identità e soft power è la risposta di civiltà a un istinto che viene prima della civiltà; è una risposta tra l'altro che produce eterogenesi dei fini, ed è in questo il suo valore straordinario: nasce per definire noi stessi ma produce il dialogo, e quindi la pace. La strada per la condizione cosmopolitica che Ulrich Beck auspica o passa tramite la cultura o non passa.

Dell'importanza della cultura nell'economia abbiamo traccia anche a livello europeo, per cui si ricorda anzitutto il Libro verde della Commissione europea su Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare, del 27 aprile 2010, elaborato nell'ambito della strategia Europa 2020 che si è proposta di far emergere nuovi fonti di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Il Libro verde ha fornito un elenco di espressioni tipiche del settore delle industrie culturali presenti nell'Unione, come il patrimonio artistico e monumentale, gli archivi, le biblioteche, i libri, la stampa, le arti visive, l'architettura, le arti dello spettacolo, i media, multimedia, audio e audiovisivo. In secondo luogo ha indicato le funzioni di cui le industrie culturali e creative stesse dovrebbero farsi carico: conservazione, creazione, produzione, diffusione, commercio, vendita e istruzione. Analogamente si ricorda la risoluzione del Parlamento europeo sulla valorizzazione dei settori culturali e creativi per favorire la crescita e l'occupazione, del 12 settembre 2013; e soprattutto il programma Europa Creativa istituito dal regolamento UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2013. Qui mi unisco ai ringraziamenti della relatrice Manzi alla presidente della Commissione istruzione e cultura del Parlamento europeo, Silvia Costa, che non solo ha seguito il lavoro del Parlamento italiano ma che in queste vicende europee ha giocato sicuramente un ruolo da protagonista, e quando parlamentari italiani giocano in Europa un ruolo da protagonisti non possiamo che rallegrarcene a prescindere dal colore politico.

Ma torniamo per un attimo ai dati. L'industria culturale e creativa si può ampliare come campo a includere tutta la filiera culturale, e dividere quindi in sette macrosettori; e quindi la quota di PIL pari al 6 per cento, se guardiamo al sistema complessivo di tutti e sette i settori, arriva al 15 per cento del PIL nazionale, che è un numero assolutamente spaventoso. Peraltro tale suddivisione, che tiene insieme il nucleo non industriale, le industrie culturali che hanno alta densità di contenuti culturali e creativi, le industrie creative, le piattaforme digitali e via dicendo, ci mostra come il mondo culturale e creativo coinvolge un coacervo di professionalità che sono difficilmente omologabili.

Ma non solo. L'organizzazione del lavoro è tale che solo in pochissimi settori permane una sorta di industria che presenta alcuni caratteri del fordismo: nella maggioranza dei casi, se non proprio come organizzazione sicuramente come attitudine, si tratta di un mondo composto da imprenditori di se stessi. È l'apoteosi del mondo liberale moderno, però con un elemento in più: nell'epoca dell'automazione, come dicevamo, della culturalizzazione dell'economia, già oggi ma sempre più in futuro i nuovi lavoratori sono i lavoratori dell'industria culturale e creativa, ma appunto disgregati, senza fordismo, senza industria fordista, senza organizzazioni di tutela contemporanea, senza coscienza di essere una classe proprio perché sparpagliati. Sta alla politica cercare di organizzare tali disgregazioni in un sistema, trasformarle in un'opportunità: non solo per il bene di quel tipo di lavoratori che pure sono una fetta amplissima, ma per il bene del sistema Italia, del branding, della competitività del nostro Paese, per il nostro soft power.

Su tali basi muove la proposta di legge e soprattutto l'articolo 1, ricordato prima dall'onorevole Manzi, che regolamenta un nuovo tipo di organizzazione per l'industria culturale e creativa che può rispondere alle esigenze di mercato, domanda e offerta di lavoro. L'impresa culturale, infatti, ha come oggetto la promozione dell'offerta culturale nazionale attraverso lo sviluppo, la produzione, la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e attraverso l'uso di tecnologie e lo sviluppo di software. Se Industria 4.0 è un framework generale imprescindibile per lo sviluppo contemporaneo e il futuro del Paese, declinare l'approccio 4.0 alla peculiarità dei settori strategici è importantissimo. Sarà importante anche muoversi, ad esempio, verso Energia 4.0, come alcuni Paesi tra cui la Germania stanno già facendo. La definizione dell'impresa culturale e creativa quale figura riconosciuta dall'ordinamento è forse il nostro primo piccolo passo verso Cultura 4.0. Da qui, dicevamo, passa l'unico sviluppo possibile del nostro Paese: dall'investimento in ciò che nella storia siamo stati, in ciò che è il DNA del sistema Italia, in ciò che siamo, un Paese straordinariamente ricco di cultura e di creatività. Ce lo riconoscono gli altri: forse con la proposta di legge stiamo cominciando a riconoscercelo anche noi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2950-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei progetti di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica n. 3916-A e 2801.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario)

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale di Nagoya-Kuala Lumpur, in materia di responsabilità e risarcimenti, al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, fatto a Nagoya il 15 ottobre 2010 (A.C. 3916-A) (ore 19,23).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3916-A: Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale di Nagoya-Kuala Lumpur, in materia di responsabilità e risarcimenti, al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, fatto a Nagoya il 15 ottobre 2010.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3916-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Michele Nicoletti.

MICHELE NICOLETTI , Relatore. Grazie, Presidente, oggi l'Aula è chiamata ad esaminare il disegno di legge di ratifica del protocollo addizionale di Nagoya-Kuala Lumpur, in materia di responsabilità e risarcimenti, al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, fatto a Nagoya il 15 ottobre 2010.

Quest'ultimo protocollo - a sua volta addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità, entrato in vigore a livello internazionale l'11 settembre 2003 e ratificato dall'Italia con la legge 15 gennaio 2004, n. 27 - ha per obiettivo di elaborare norme e procedure a livello internazionale in materia di responsabilità e risarcimenti relativamente agli organismi viventi modificati, onde contribuire alla conservazione e all'uso sostenibile della biodiversità, tenendo anche conto dei rischi per la salute umana.

Il processo negoziale previsto dello stesso protocollo è sfociato, il 15 ottobre del 2010, nella città giapponese di Nagoya, durante la quinta riunione delle parti, nell'adozione di un protocollo addizionale, quello al nostro esame, che tanto l'Italia quanto l'Unione Europea hanno firmato, rispettivamente, il 14 giugno e l'11 maggio 2011.

Il Protocollo di Nagoya-Kuala Lumpur, composto di un preambolo e 21 articoli, reca soprattutto norme volte a individuare misure di risposta in caso di danno o di sufficiente probabilità di danno alla biodiversità, in conseguenza di movimenti transfrontalieri di organismi viventi modificati.

Di particolare interesse è l'apparato definitorio fornito dal Protocollo, ad esempio in riferimento alla nozione di danno, con cui si deve intendere “un effetto negativo sulla biodiversità, misurabile o osservabile su basi scientificamente solide da un'autorità competente, tenendo conto di cambiamenti eventuali indotti sull'uomo e sull'ambiente naturale”.

Inoltre, il danno deve essere “significativo” ovvero correlato a un cambiamento di lungo periodo o persino permanente delle componenti della biodiversità o, comunque, a cambiamenti qualitativi e quantitativi con impatto negativo sulla componente della biodiversità o ancora ad effetti negativi sulla salute umana.

L'ambito di applicazione del Protocollo addizionale è quello dei danni derivanti da organismi viventi modificati nel corso di un movimento transfrontaliero di essi. Si tratta, in particolare, degli organismi viventi modificati destinati all'uso diretto nell'alimentazione umana o animale, nonché di quelli destinati all'uso confinato o destinati all'introduzione intenzionale nell'ambiente.

L'articolo 4 demanda al diritto interno di ciascuna parte del Protocollo addizionale la determinazione del rapporto di causa-effetto tra un organismo vivente modificato e il danno cagionato.

Quanto alle misure di risposta in caso di danno, individuate all'articolo 5, gli operatori interessati dovranno informare immediatamente l'autorità nazionale competente, valutare il danno e adottare le misure di risposta appropriate.

Analogamente, l'autorità nazionale competente dovrà individuare l'operatore responsabile del danno, valutarne l'entità e stabilire le opportune misure di risposta.

Per l'Italia, le autorità competenti individuate sono il Ministero dell'Ambiente e il Ministero della Salute.

In ordine alle esenzioni e ai limiti eventuali alla tutela risarcitoria, di cui gli articoli 6, 7 e 8 del Protocollo addizionale, la relazione introduttiva precisa che tali profili sono già disciplinati in Italia dal decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, il cui articolo 303 prevede la non applicabilità delle tutele risarcitorie a danni causati da atti di conflitto armato o di sabotaggio.

È rilevante segnalare, infine, che l'articolo 9 salvaguarda la facoltà di ricorso o di azione di risarcimento di un operatore nei confronti di un'altra persona; e ci sono altri articoli che lascio alla relazione, che deposito.

Concludo auspicando un pronta approvazione del disegno di legge, finalizzato alla ratifica di un accordo internazionale che, da un lato, mira a far crescere la fiducia nello sviluppo e nell'applicazione delle moderne biotecnologie e, dall'altro, favorisce la creazione di condizioni volte a ottenere il massimo vantaggio dalle potenzialità degli organismi viventi modificati.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia al suo intervento.

Non essendovi iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito dell'esame è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dei seguenti protocolli: a) Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013; b) Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013 (A.C. 2801); e dell'abbinata proposta di legge: Schullian (A.C. 3132) (ore 19,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2801: Ratifica ed esecuzione dei seguenti protocolli: a) Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013; b) Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013 (A.C. 2801); e dell'abbinata proposta di legge: n. 3132.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2801)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, altresì, che le Commissioni II (Giustizia) e III (Affari esteri) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la III Commissione, onorevole Nicoletti.

MICHELE NICOLETTI , Relatoreper la III Commissione. Grazie, Presidente, intervengo anche a nome del relatore per la II Commissione, onorevole Vazio, impossibilitato a prendere parte alla seduta odierna.

Avviando la mia esposizione sugli ambiti di competenza della III Commissione, mi accingo a delineare brevemente il quadro giuridico internazionale nel quale si collocano i due protocolli oggi all'esame.

Ricordo che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatta a Roma il 4 novembre del 1950, è stata ratificata dall'Italia con legge del 4 agosto 1955. Con tale fondamentale testo, la comunità internazionale ha elaborato il miglior strumento giuridico ad oggi esistente per la protezione dei diritti umani. Non si tratta solo, come è noto, di un elenco dei diritti umani, ma anche di uno strumento che prevede l'istituzione di un organo di tutela sovranazionale, quale appunto la Corte europea.

In questo senso, riconoscendo la natura sovranazionale fondamentale dei diritti umani e, dunque, precedente rispetto alle legislazioni nazionali, si è istituito un giudice sovranazionale come giudice di ultima distanza, rappresentato da una Corte in cui siedono giudici di tutti di Paesi contraenti.

È bene specificare che questo sistema ha un carattere sussidiario rispetto alle forme di protezione dei diritti umani esistenti negli ordinamenti degli Stati membri, che rimangono i principali responsabili, nel sistema CEDU, del rispetto dei diritti umani.

Tale carattere sussidiario non vuol dire tuttavia che la Convenzione abbia un'importanza secondaria; basterebbe osservare quanto è accaduto anche in questa legislatura nel nostro Paese, per valutare l'importanza della giurisprudenza della Corte europea in materia di diritti umani: molti provvedimenti assunti dal nostro Parlamento e dal nostro Governo sono anche il frutto di questa giurisprudenza.

Negli anni successivi al 1950 alla Convenzione sono stati aggiunti dei protocolli.

Il disegno di legge al nostro esame reca la ratifica ed esecuzione dei protocolli n. 15 e 16, fatti rispettivamente a Strasburgo il 24 giugno e il 2 ottobre del 2013.

Il Protocollo n. 15 non è ancora in vigore a livello internazionale: è stato firmato da 44 Stati membri del Consiglio d'Europa, 33 dei quali hanno depositato gli strumenti di ratifica, ma potrà entrare in vigore solo all'atto della firma da parte di tutti gli Stati membri.

Neanche il Protocollo n. 16, in vigore a livello internazionale, è stato finora firmato da diciotto Stati membri, sette dei quali hanno depositato gli strumenti di ratifica, per questo secondo Protocollo è prevista la firma di almeno dieci Stati membri. Per questo è importante l'atto da parte del nostro Paese.

Per quanto concerne il Protocollo n. 15, esso si inserisce negli sforzi che negli ultimi anni hanno riguardato anche la necessità di porre rimedio all'arretrato accumulato dalla Corte, nonché di adeguarne la struttura e le procedure a un'utenza potenziale, che raggiunge ormai circa 800 milioni di cittadini, coprendo la Convenzione Paesi quali la Russia, la Turchia e la regione caucasica, oltre a tutti i Paesi del continente europeo.

Nell'articolo 1 viene ribadito il carattere di sussidiarietà della Corte e il margine di apprezzamento da parte degli Stati nazionali.

Nell'articolo 4 si interviene abbassando da sei a quattro mesi il termine per adire la Corte.

E, ancora, l'articolo 5 limita la ricevibilità dei ricorsi a un pregiudizio importante dei propri diritti da parte del ricorrente.

Per quanto concerne invece il Protocollo n. 16, esso si ricollega alle conclusioni della Conferenza di Brighton, che aveva affermato l'opportunità di introdurre un'ulteriore potere della Corte europea, che gli Stati avrebbero potuto accettare in via facoltativa, ovvero il potere di emettere, su richiesta, pareri consultivi non vincolanti sull'interpretazione della Convenzione, nell'ambito di una specifica causa a livello nazionale. È un tema su cui la Corte ricorre spesso, l'importanza della prevenzione per tutelare al meglio, appunto, i diritti umani e anche per facilitare il lavoro della Corte stessa. Questo giudizio preventivo, che può essere richiesto solo dalle più alte autorità giurisdizionali di uno Stato, è appunto uno strumento per rafforzare questo meccanismo di prevenzione.

Concludo dicendo che, per la parte relativa ai profili della II Commissione, depositerò la relazione dell'onorevole Vazio. Sottolineo l'importanza di questo tema della possibilità, da parte delle più alte corti italiane, di chiedere un parere preventivo - e all'interno della richiesta di un parere preventivo può collocarsi anche il parere del commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa -, perché pone il problema dell'armonizzazione tra la Convenzione e il nostro ordinamento. Noi stiamo facendo un passo importante per l'armonizzazione sul piano giurisdizionale. Voglio qui ricordare che più volte il Consiglio d'Europa ha raccomandato anche al nostro Parlamento di dotarsi di meccanismi specifici di armonizzazione della nostra legislazione in materia di diritti umani. Personalmente ho depositato una proposta di legge, assieme ad altri colleghi, su questo tema e mi auguro che il nostro Parlamento, nel momento in cui avrà approvato questo Protocollo, possa poi dedicarsi anche a quest'importante discussione sui meccanismi parlamentari di armonizzazione della nostra legislazione con la Convenzione.

PRESIDENTE. A questo punto il Governo non interviene e, non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo ad alcuna replica.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

      Martedì 19 settembre 2017:

      (ore 11)

1.      Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

      (ore 15)

2.      Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 361 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: RANUCCI e PUGLISI: Modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali, e al decreto legislativo 27 febbraio 2017, n. 43, in materia di limiti al rinnovo delle cariche nel Comitato italiano paralimpico (CIP), nelle federazioni sportive paralimpiche, nelle discipline sportive paralimpiche e negli enti di promozione sportiva paralimpica (Approvata dal Senato). (C. 3960-A)

Relatrice: COSCIA.

3.      Seguito della discussione delle mozioni Marcon, Duranti ed altri n. 1-01662 e Corda ed altri n. 1-01663 concernenti la situazione di crisi nello Yemen, con particolare riferimento all'emergenza umanitaria e all'esportazione di armi verso i Paesi coinvolti nel conflitto.

4.      Seguito della discussione delle mozioni Basilio ed altri n. 1-01081, Marcon ed altri n. 1-01673 e Gianluca Pini ed altri n. 1-01674 concernenti iniziative in materia di dislocazione, trasporto e acquisizione di armi nucleari in Italia.

5.      Seguito della discussione della proposta di legge:

ERMINI ed altri: Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, concernenti i delitti di frode patrimoniale in danno di soggetti vulnerabili e di circonvenzione di persona incapace. (C. 4130-A)

e delle abbinate proposte di legge: CIRIELLI ed altri; FUCCI; CAPARINI ed altri; FERRARESI ed altri. (C. 40-257-407-4362)

Relatore: ERMINI.

6.      Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

CATANOSO GENOESE; CATANOSO GENOESE; OLIVERIO ed altri; CAON ed altri; VENITTELLI ed altri; RAMPELLI ed altri: Interventi per il settore ittico. Deleghe al Governo per il riordino e la semplificazione normativa nel medesimo settore e in materia di politiche sociali nel settore della pesca professionale. (C. 338-339-521-1124-4419-4421-A)

Relatore: LUCIANO AGOSTINI.

7.      Seguito della discussione della proposta di legge:

ASCANI ed altri: Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative. (C. 2950-A)

Relatrice: MANZI.

8.      Seguito della discussione dei progetti di legge:

Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale di Nagoya – Kuala Lumpur, in materia di responsabilità e risarcimenti, al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, fatto a Nagoya il 15 ottobre 2010. (C. 3916-A)

Relatore: NICOLETTI.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti protocolli: a) Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013; b) Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013. (C. 2801)

e dell'abbinata proposta di legge: SCHULLIAN. (C. 3132)

Relatori: VAZIO, per la II Commissione; NICOLETTI, per la III Commissione.

La seduta termina alle 19,40.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: MICHELE NICOLETTI (A.C. 3916-A)

MICHELE NICOLETTI, Relatore. (Relazione – A.C. 3916-A). Signora Presidente, Onorevoli deputati, oggi l'Aula è chiamata ad esaminare il disegno di legge di ratifica del Protocollo addizionale di Nagoya - Kuala Lumpur, in materia di responsabilità e risarcimenti, al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, fatto a Nagoya il 15 ottobre 2010.

Il Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza del 29 gennaio 2000 - a sua volta addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità, entrato in vigore a livello internazionale l'11 settembre 2003 e ratificato dall'Italia con la legge 15 gennaio 2004, n. 27 – ha per obiettivo elaborare norme e procedure a livello internazionale in materia di responsabilità e risarcimenti relativamente agli organismi viventi modificati, onde contribuire alla conservazione e all'uso sostenibile della biodiversità, tenendo anche conto dei rischi per la salute umana.

Il processo negoziale previsto dallo stesso Protocollo di Cartagena è sfociato, il 15 ottobre 2010, nella città giapponese di Nagoya, durante la quinta riunione delle Parti, nell'adozione di un Protocollo addizionale – quello al nostro esame – che tanto l'Italia quanto l'Unione europea hanno firmato, rispettivamente il 14 giugno e l'11 maggio 2011.

Il Protocollo di Nagoya-Kuala Lumpur, composto di un preambolo e 21 articoli, reca soprattutto norme volte ad individuare misure di risposta in caso di danno o di sufficiente probabilità di danno alla biodiversità in conseguenza di movimenti transfrontalieri di organismi viventi modificati.

Di particolare interesse è l'apparato definitorio fornito dal Protocollo, ad esempio in riferimento alla nozione di “danno” con cui si deve intendere “un effetto negativo sulla biodiversità misurabile o osservabile su basi scientificamente solide da un'autorità competente, tenendo conto di cambiamenti eventuali indotti sull'uomo e sull'ambiente naturale”. Inoltre, il danno deve essere “significativo”, ovvero correlato a un cambiamento di lungo periodo o persino permanente delle componenti della biodiversità, o comunque a cambiamenti qualitativi e quantitativi con impatto negativo sulla componenti della biodiversità, o ancora ad effetti negativi sulla salute umana.

L'ambito di applicazione del Protocollo addizionale, ai sensi dell'articolo 3, è quello dei danni derivanti da organismi viventi modificati nel corso di un movimento transfrontaliero di essi. Si tratta in particolare degli organismi viventi modificati destinati all'uso diretto nell'alimentazione umana o animale, nonché di quelli destinati all'uso confinato o destinati all'introduzione intenzionale nell'ambiente.

L'articolo 4 demanda al diritto interno di ciascuna Parte del Protocollo addizionale la determinazione del rapporto di causa-effetto tra un organismo vivente modificato e il danno cagionato.

Quanto alle misure di risposta in caso di danno, individuate dall'articolo 5, gli operatori interessati dovranno informare immediatamente l'autorità nazionale competente, valutare il danno e adottare le misure di risposta appropriate. Analogamente, l'autorità nazionale competente dovrà individuare l'operatore responsabile del danno, valutarne l'entità e stabilire le opportune misure di risposta. Per l'Italia le autorità competenti individuate sono il Ministero dell'ambiente e il Ministero della salute.

In ordine alle esenzioni e ai limiti eventuali alla tutela risarcitoria, di cui agli articoli 6, 7 e 8 del Protocollo addizionale, la relazione introduttiva precisa che tali profili sono già disciplinati in Italia dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (recante norme in materia ambientale), il cui articolo 303 prevede la non applicabilità delle tutele risarcitorie a danni causati da atti di conflitto armato o di sabotaggio, o da fenomeni naturali di carattere eccezionale e incontrollabile. Lo stesso articolo 303 esclude dalle tutele risarcitorie le attività svolte in condizioni di necessità in vista della sicurezza nazionale o della protezione da calamità naturali, i danni causati prima dell'entrata in vigore della parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006, i danni i cui effetti risalgano a più di trent'anni, i danni causati da inquinamento di carattere diffuso, non imputabile all'attività di singoli operatori. In particolare, poi, in relazione alla facoltà che l'articolo 8 del Protocollo dà alle Parti di prevedere limiti finanziari per il rimborso di costi e spese, la relazione introduttiva precisa che il decreto legislativo n. 152 del 2006 non ha previsto la predisposizione di alcun limite finanziario.

È rilevante segnalare che l'articolo 9 salvaguarda la facoltà di ricorso o di azione di risarcimento di un operatore nei confronti di un'altra persona, facoltà che il Protocollo addizionale in esame non limita né restringe. L'articolo 10 riserva alle Parti il diritto di prevedere disposizioni nei rispettivi ordinamenti in materia di garanzia finanziaria, previo approfondimento dei relativi meccanismi e dell'impatto ambientale e socioeconomico di essi, con particolare riguardo per i Paesi in via di sviluppo. L'articolo 11 salvaguarda diritti e obblighi degli Stati in base al diritto internazionale nella materia della responsabilità di essi per atti illeciti. L'articolo 12 prevede l'obbligo per le Parti di incardinare nei rispettivi ordinamenti disposizioni legislative e regolamentari, nonché procedurali, in materia di danno. Le Parti dunque dovranno prevedere misure di risposta adeguate in base al Protocollo addizionale.

Concludo auspicando una pronta approvazione del disegno di legge, finalizzato alla ratifica di un accordo internazionale che, da un lato, mira a fare crescere la fiducia nello sviluppo e nell'applicazione delle moderne biotecnologie e, dall'altro, favorisce la creazione di condizioni volte a ottenere il massimo vantaggio dalle potenzialità degli organismi viventi modificati, stabilendo misure di risposta e regole per il risarcimento nell'eventualità che qualcosa non funzioni e che la diversità biologica subisca o abbia probabilità di subire un danno.