XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 861 di venerdì 29 settembre 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

La seduta comincia alle 9,10.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

      (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione a partire dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato Aal resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, in data 28 settembre 2017, ha nominato componente della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi la senatrice Magda Zanoni, in sostituzione del senatore Vincenzo Cuomo, cessato dal mandato parlamentare per incompatibilità.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Chiarimenti in merito all'impugnazione da parte del Governo di una sentenza della Corte d'appello di Messina in relazione al risarcimento a favore dei figli di una vittima di femminicidio - n. 2-01951)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Spadoni ed altri n. 2-01951 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla collega Spadoni se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Sì, ne ha facoltà. Ha quindici minuti.

MARIA EDERA SPADONI. Grazie, Presidente. Soltanto per capire, mi era stato comunicato che sarebbe intervenuta la sottosegretaria Sesa Amici.

PRESIDENTE. No, risponde il Vice Ministro Morando. Ieri sera ci hanno comunicato che risponderà il rappresentante del Governo, Morando. Prego.

MARIA EDERA SPADONI. Grazie, Presidente. Solo un'altra informazione: quanti minuti ho in fase di replica?

PRESIDENTE. Lei ha quindici minuti adesso e dieci minuti in fase di replica.

MARIA EDERA SPADONI. Perfetto. Sarò breve nell'introduzione, perché abbiamo davanti tutti quanti questa interpellanza urgente.

Innanzitutto c'è da dire che quanto è successo a Marianna Manduca è un fatto tremendo, purtroppo un fatto che succede troppo spesso in Italia. Del femminicidio se ne parla, molto spesso, soprattutto quando ci sono delle informazioni che ci arrivano dalle testate giornalistiche e, nel momento in cui queste informazioni vengono meno, sostanzialmente non se ne parla e sembra che il fenomeno semplicemente non ci sia.

Racconto brevemente la storia. Marianna Manduca viene uccisa dalla marito con sei coltellate al petto, dopo un lungo calvario di soprusi e violenze. Marianna era stata minacciata dal marito, un ex tossicodipendente, e aveva deciso di denunciare, aveva deciso di denunciare dodici volte quest'uomo e inspiegabilmente, dopo averlo lasciato, i figli sono stati affidati al marito, per cui la moglie, la donna, intenta una causa, ma viene uccisa a pochi giorni dall'udienza.

Il cugino di Marianna, che è tutore dei tre figli, provvede con un'azione giudiziaria contro la magistratura per vedersi riconosciuta l'imperizia dei magistrati, che non hanno compreso la gravità del caso, considerandolo lite familiare. Il ricorso, dopo essere stato giudicato inammissibile in due gradi di giudizio, è stato accolto in Cassazione; la corte d'appello di Messina ha condannato la procura di Caltagirone e ha stabilito che la Presidenza del Consiglio dei ministri debba risarcire i figli della donna, con oltre 300.000 euro, per danno patrimoniale.

Il problema è che la Presidenza del Consiglio dei ministri ha impugnato la sentenza, cioè cosa è successo? In poche parole, la corte d'appello di Messina ha deciso che la Presidenza dovesse risarcire i figli di Marianna - ricordo anche che recentemente è stata approvata la proposta di legge che tutela gli orfani di crimini domestici -, però la Presidenza decide di impugnare la sentenza.

Io rimango semplicemente senza parole, nel senso che io, Vice Ministro, le chiedo - questa è proprio la domanda nella mia interpellanza - quali siano le ragioni della grave presa di posizione del Governo, ovvero del ricorso nei confronti della sentenza della corte d'appello di Messina, e se non ritenga doveroso - ripeto: doveroso - evitare di impugnare provvedimenti giurisdizionali come questo in presenza di orfani a causa di femminicidi.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro dell'Economia e delle finanze, Enrico Morando, ha facoltà di rispondere.

ENRICO MORANDO, Vice Ministro dell'Economia e delle finanze. Grazie, signor Presidente. Come ricordato dagli interpellanti, il 3 ottobre 2007 a Palagonia, centro agricolo in provincia di Catania, Saverio Nolfo uccideva brutalmente Marianna Manduca, sua giovane moglie e madre dei suoi tre piccoli figli.

La moglie aveva sporto denuncia il 27 settembre 2006, rappresentando in quell'occasione ai carabinieri di essere stata oggetto di violenza da parte del marito fin dal 2000, ma di non aver mai denunciato i fatti, sperando in un ravvedimento del coniuge. A seguito di tale denuncia, il sostituto procuratore di Caltagirone, con provvedimento del 4 ottobre 2006, chiese e ottenne dal GIP l'applicazione al Nolfo della misura cautelare personale dell'allontanamento dalla casa familiare, con divieto al prevenuto di “avvicinarsi alla persona offesa e ai luoghi da quest'ultima abitualmente frequentati”. Ho citato tra virgolette la decisione.

La conflittualità tra i coniugi, tuttavia, non scemava e si susseguivano atti di violenza e sopraffazione e denunce, come è evidente dalla querela sporta il 2 giugno 2007, successivamente integrata dalla signora Manduca. Infine, il 3 ottobre 2007, come ho già detto, il tragico epilogo: l'uccisione della signora Marianna Manduca ad opera del marito.

Sul presupposto di presunte negligenze addebitabili ai magistrati addetti alla procura della Repubblica di Caltagirone, il tribunale di Messina, con la sentenza depositata il 1° giugno 2017, condannava la Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento della somma di euro 259.200, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito dai minori in dipendenza dell'omicidio della madre ad opera del coniuge loro padre, Saverio Nolfo.

Voglio dirlo subito e chiaramente, in maniera tale che non ci siano equivoci: la Presidenza del Consiglio, a prescindere da ogni valutazione giuridica, ha avviato le procedure per l'esecuzione della sentenza di primo grado, in ragione proprio, come detto dagli interpellanti, della drammatica situazione dei tre orfani.

Quanto al resto, le ragioni strettamente giuridiche, che hanno condotto la Presidenza del Consiglio a proporre l'impugnazione della sentenza del tribunale di Messina, emergono già dalla lettura degli atti processuali, che descrivono i tragici fatti occorsi. I magistrati requirenti sono stati ritenuti responsabili per negligenza inescusabile in ragione della presunta inerzia mantenuta a seguito delle due denunce presentate da Marianna Manduca il 2 e il 7 giugno 2007 per minaccia continuata e aggravata. Tale negligenza si sostanzierebbe nel mancato compimento di atti di indagine o nella mancata adozione di misure finalizzate a neutralizzare la condotta del Nolfo, misure che nella sentenza sono individuate esclusivamente con riferimento alla mancata perquisizione volta alla ricerca del coltello cui faceva riferimento la Manduca nella denuncia del 2 giugno 2007, coltello con il quale il delitto sarebbe stato perpetrato.

In verità, da un attento esame degli atti di causa, imposto dalla gravità dei fatti accaduti, emerge che la procura della Repubblica di Caltagirone si è attivata a seguito delle denunce presentate dalla signora Manduca. In particolare, risulta dalle attestazioni rese dalla procura e versate in atti che fu avviato il procedimento n. 1226 del 2007, iscritto nel registro generale delle notizie di reato, a carico di Saverio Nolfo per i reati di minaccia aggravata e porto di coltello e che il procedimento stesso fu definito con l'emissione del decreto penale di condanna.

Il procedimento in questione ha ad oggetto le due denunce presentate dalla signora Manduca, ma - ciò che più conta -, nell'ambito di tale procedimento, è stato convalidato il sequestro di un coltello richiudibile utilizzato per la minaccia di cui alla denuncia di giugno della signora stessa, ovvero lo stesso coltello che il tribunale ha ritenuto presuntivamente l'arma del delitto di omicidio ai danni della Manduca. È, dunque, smentito dagli stessi atti processuali il presupposto individuato dal tribunale come elemento fondante della presunta negligenza dell'ufficio del pubblico ministero. La sentenza è, quindi, apparsa viziata da vizi giuridici e, pertanto, meritevole di impugnazione.

Bisogna porre in rilievo che la legislazione vigente all'epoca dei fatti non attribuiva alle procure strumenti ulteriori rispetto a quelli utilizzati dalla procura di Caltagirone.

Proprio a causa della maturata consapevolezza che mancavano strumenti idonei a contrastare le condotte reiterate di minaccia e molestia, capaci di cagionare - cito tra virgolette - “perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero di ingenerare un fondato timore per l'incolumità”, fine della citazione, il legislatore, colmando il vuoto normativo che impediva adeguati interventi di tutela in favore delle vittime in pericolo, ha introdotto, nel febbraio del 2009, il reato di “atti persecutori” previsto dall'articolo 612-bis del codice penale.

Ma i fatti per cui è causa, consumati in rapida successione dal 27 settembre 2006, data della prima denuncia, al 3 ottobre 2007, data dell'omicidio, sono anteriori, come è evidente, all'introduzione del delitto di “atti persecutori”.

Solo con la novella legislativa le condotte reiterate di minaccia e molestia, atte a cagionare nella vittima grave stato di ansia o di paura ovvero il fondato pericolo per l'incolumità, ovvero ancora l'alterazione delle abitudini di vita, hanno assunto autonoma e più grave configurazione, che permette la pronta e durevole applicazione all'autore di provvedimenti cautelari, anche custodiali, in grado di fronteggiare situazioni di effettivo pericolo per l'incolumità della vittima.

Al tempo in cui si sono verificati i tragici fatti in causa, tali strumenti non erano nella disponibilità del potere giudiziario.

La sentenza del tribunale di Messina, dotata di provvisoria esecutività, appellata dalla difesa dello Stato, è stata notificata con formula esecutiva alla Presidenza del Consiglio il 17 luglio 2017. L'articolo 14, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, stabilisce che le Amministrazioni dello Stato completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di 120 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. In questo caso, il termine scadrà, quindi, il 14 novembre prossimo venturo. Durante tale termine è necessario svolgere l'istruttoria e acquisire la documentazione necessaria alla liquidazione. Nel corso di tale fase istruttoria, gli uffici della Presidenza hanno contattato l'avvocato di controparte, chiedendo la produzione della documentazione necessaria per la liquidazione del titolo e di indicare le modalità di pagamento, che, ripeto, il Governo ha tutta l'intenzione di fare. Poiché il pagamento, su richiesta dell'avvocato, dovrà essere effettuato mediante accredito sul conto corrente intestato ai minori, si è in attesa di ricevere l'autorizzazione del giudice tutelare, a norma dell'articolo 320, quarto comma, del codice civile.

Ripeto, la Presidenza del Consiglio, a prescindere da ogni valutazione giuridica, ha avviato le procedure per l'esecuzione della sentenza di primo grado in ragione della drammatica situazione dei tre orfani e intende ispirare tutta la sua iniziativa a questo primario obiettivo.

È, tuttavia, del pari necessario che la sentenza di primo grado, in ragione di quanto illustrato sopra, venga sottoposta ad un ulteriore vaglio giurisdizionale, onde verificare se la terribile morte della giovane Marianna Manduca e la situazione personale familiare dei minori sia conseguenza o meno della negligenza dei magistrati della procura della Repubblica di Caltagirone, oltre che, ovviamente, della violenza omicida dell'assassino.

Da ultimo, sottolineo il cruciale rilievo e l'importanza che assumerebbe, anche rispetto a vicende analoghe a quelle prospettate dagli interpellanti, purtroppo ancora troppo numerose, l'approvazione definitiva del disegno di legge S. 2719, già approvato dalla Camera, cui lei ha fatto riferimento, purtroppo non è ancora legge dello Stato, recante modifiche al codice civile, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore, appunto, degli orfani dei crimini domestici: una norma che mira a dare, in via generale e a prescindere dall'esito delle inchieste giudiziarie conseguenti al crimine concernente gli atti persecutori, una risposta concreta ai bisogni dei figli delle vittime di femminicidio.

La Commissione bilancio del Senato ha fornito proprio ieri il suo parere e l'iter della legge potrà adesso riprendere. Il Governo si è impegnato, quindi, ad assicurarne la rapidissima approvazione.

PRESIDENTE. La collega Spadoni ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza. Le ricordo che ha dieci minuti.

MARIA EDERA SPADONI. Sì, grazie, Presidente. Prima di tutto, chiedo la cortesia al Vice Ministro Morando, eventualmente, di avere il testo della risposta all'interpellanza, se possibile. Sì, sono parzialmente soddisfatta, perché, da come ho interpretato - io, ovviamente, non essendo legale, cerco di interpretare sempre tra le righe quello che lei mi ha appena dichiarato - mi sembra di capire che state portando avanti e cercando di eseguire la richiesta di risarcimento e, contestualmente, state cercando di capire effettivamente le falle che ci sono state. Quindi, sono parzialmente contenta.

Per l'atto Senato n. 2719 ha ragione, in effetti è stato bloccato in Senato proprio da quei gruppi che non volevano l'accelerazione dell'iter; anche noi ovviamente ci aspettiamo e ci auguriamo che il Senato riesca, quanto prima, ad approvare la legge.

Soltanto qualche spunto, Vice Ministro. Prima di tutto, mi dispiace, so che è vostra facoltà farlo, ma mi dispiace che non ci sia qui la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Sesa Amici. Ovviamente lei mi ha dato la risposta, chiunque può venire, è vero, però, chiaramente, visto che era una richiesta che facevo alla Presidenza del Consiglio, avrei in qualche modo preferito che ci fosse proprio la sottosegretaria.

Mi prendo questo tempo anche per comunicarle qualche criticità: prima di tutto, noi ci troviamo in una situazione in cui il Piano antiviolenza è scaduto a luglio. Noi stiamo richiedendo più o meno da due settimane ormai che la Boschi, in qualche modo, venga a riferire per capire effettivamente quali sono le linee guida del nuovo Piano antiviolenza, che, purtroppo, ripeto, è scaduto a luglio. Stiamo chiedendo che venga, abbiamo sollevato la questione anche nell'intergruppo pari opportunità, presieduto proprio dalla Presidente Boldrini, e abbiamo anche parlato di un atto che potesse essere fatto in questi mesi e, purtroppo, l'atto si è tradotto in una mozione da presentare a ottobre.

Ora, io credo che sia veramente una presa in giro, personalmente, il fatto che ci sia un momento in cui si discute una mozione per impegnare un Governo che probabilmente durerà altri due o tre mesi. Mi aspettavo qualcosa di più, piuttosto che dare - mi permetta il termine - il contentino a quelle persone che stanno chiedendo, da più parti, che si faccia qualcosa.

Il Presidente Grasso ha dichiarato che le leggi ci sono. Il Presidente Grasso in effetti ha ragione, cioè, con la ratifica della Convenzione di Istanbul e poi l'approvazione della legge sul femminicidio nel 2013, molto è stato fatto. Il problema è che non c'è stato un seguito a quel tipo di proposta di legge, cioè la prevenzione e la protezione contenute proprio nella Convenzione di Istanbul, dal mio punto di vista, non sono state attuate. È vero che c'è stato un investimento, è vero che ci sono stati dei fondi che sono stati erogati, poi, alle regioni, ma non è stato fatto abbastanza, manca ancora una banca dati sistematica, una raccolta dati per quanto riguarda proprio la violenza di genere, mancano misure adeguate per formare soprattutto il personale sanitario e, soprattutto, le forze dell'ordine.

Vice Ministro, qua abbiamo un problema, un problema che è il seguente: moltissime donne, quando cercano di denunciare, si ritrovano di fronte a una sottovalutazione; purtroppo, moltissime volte le forze dell'ordine fanno un lavoro eccezionale, dall'altra parte, però, sono successi casi in cui c'è stata una sottovalutazione del fenomeno.

Questo cosa vuol dire? Vuol dire che per una donna è già difficile arrivare ad avere il coraggio di andare in un ospedale o in un centro di polizia - cerca di andare - e appunto denunciare. Infatti, le ricordo anche che, secondo i dati del Consiglio d'Europa, la zona grigia è la zona più ampia, cioè quella costituita da donne che vengono malmenate e maltrattate ma non denunciano, perché poi c'è dietro anche una questione economica, che lei sicuramente conosce meglio di me in quanto Viceministro all'economia.

C'è un problema, un problema grave: molto spesso le donne vengono lasciate sole o comunque non vengono ascoltate come dovrebbero. Abbiamo anche il problema dei centri antiviolenza a livello regionale: ci sono moltissime regioni che sono all'avanguardia, per quanto riguarda i centri antiviolenza, purtroppo ne abbiamo altre nelle quali i centri antiviolenza sono scarsissimi; e quindi, una donna, nel momento in cui vuole denunciare, dove va?

Molto spesso c'è anche la problematica economica, legata purtroppo alla questione lavorativa, che fa sì che la donna non abbia un'indipendenza. La questione della violenza di genere è una questione che tocca tantissimi aspetti: l'aspetto lavorativo, l'aspetto sanitario, l'aspetto educativo, l'aspetto dei mass media. Nella Convenzione di Istanbul viene proprio specificato che i mass media devono fare la loro parte, che gli Stati membri che aderiscono alla Convenzione devono portare avanti delle misure per far sì che i mass media, in qualche modo, non offendano le donne attraverso l'immagine. Credo che questi siano tutti punti che devono essere toccati, ma purtroppo, da quando è stato scritto il piano antiviolenza, non c'è stato il susseguirsi di misure che dovevano essere portate avanti.

Francamente non so cos'altro possiamo fare. Ripeto che mi dispiace molto che, dopo qualche riunione dell'intergruppo, ci sia stata questa dichiarazione del Presidente Grasso, il quale dice che, sì, le leggi sono state fatte, le leggi ci sono, quindi lasciamo tutto così, e poi abbia visto spuntare in calendario, come un fungo, questa mozione.

Ovviamente lei mi può rispondere tranquillamente che il Parlamento è il Parlamento e quindi, se si decide di calendarizzare una mozione, dipende ovviamente dal Parlamento; però spero vivamente che ci sia un'attenzione diversa, che non ci sia un'attenzione soltanto in base alle notizie di giornale e che, quindi, quando c'è la guardia medica di Catania che viene violentata, allora seguono dichiarazioni e comunicati; quando c'è la ragazza che viene ammazzata, allora dichiarazioni e comunicati. Questo è purtroppo un fenomeno che riguarda moltissime persone, non soltanto quelle che vengono citate nei giornali.

Noi continueremo a fare la nostra parte, ovviamente. Abbiamo presentato moltissimi atti, ma, purtroppo, ci tengo anche a dire che, su questo tema, è difficile accendere un faro. Credo sia stato complicato anche da parte nostra, però noi ci siamo: questo è il messaggio che vorremmo mandare a lei, Viceministro, e ovviamente anche agli altri gruppi parlamentari. Ci siamo per portare avanti qualsiasi azione che possa fare in modo che le donne siano in primis protette, ma che ci possa essere comunque anche una diminuzione di questo purtroppo tragico fenomeno.

(Iniziative a tutela del prestito sociale nel sistema delle cooperative – n. 2-01950)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pesco ed altri n. 2-01950 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Pesco se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Ha quindici minuti. Prego.

DANIELE PESCO. Presidente, ringrazio il Viceministro di aver avuto la cortesia di venire a risponderci in prima persona, cosa che non è successa purtroppo nelle ultime due settimane, dove ad interpellanze rivolte al Ministro dell'Economia e delle finanze abbiamo ricevuto altri sottosegretari. Questo vuol dire che questo tema è particolarmente sentito e ciò non può che farci piacere.

Ci riferiamo al tema delle cooperative e del risparmio sociale. Prima di entrare nel merito della questione, però, devo dire, Presidente, che mi sento abbastanza in soggezione. Non per altro, perché ho affrontato temi molto più delicati di questo. Mi riferisco a temi come l'uccisione di David Rossi. Tra l'altro, è qui presente Giulia Sarti, la collega con la quale abbiamo discusso a fondo questo tema. In quel caso, però, che cosa c'era? C'è stata una morte, rispetto alla quale noi, ma purtroppo anche la procura, non siamo in grado di capire quale sia stata la causa.

Invece, in questo caso, per quanto riguarda le cooperative, vi è secondo noi una bolla che sta crescendo ed è lampante: i bilanci delle cooperative in questione, che ho citato nell'interpellanza, secondo noi sono in qualche modo diversi da quelli che dovrebbero essere nella realtà. Mi riferisco alle partecipazioni e al valore delle partecipazioni. Ci riferiamo al gruppo Unipol, le cui azioni sono comunque di proprietà di diverse cooperative e anche di diversi altri enti giuridici. Queste azioni sono di proprietà delle cooperative sia in modo diretto che in modo indiretto. Quando lo sono in modo diretto, le cooperative indicano nei propri bilanci valori attinenti alla realtà; Unipol attualmente viaggia in Borsa intorno a 3,5 euro e, bene o male, il valore che indicano nei loro bilanci è coerente.

Invece, non è coerente la valutazione della loro partecipazione in una società che detiene una grossa fetta del gruppo Unipol, il 31,4 per cento, e questa società è la Finsoe. Ebbene, le attività di Finsoe sono esclusivamente quelle della partecipazione al gruppo Unipol, non è che faccia altre cose: è un contenitore che detiene le azioni del gruppo Unipol. Le cooperative di cui parlavo prima, se detengono le azioni in modo diretto di Unipol, le indicano in modo corretto; invece la partecipazione di Finsoe secondo noi è particolarmente gonfiata.

Questo che cosa determina? Determina il fatto che i bilanci, soprattutto lo stato patrimoniale di queste cooperative, sono al di sopra di quello che dovrebbero essere nella realtà. Questo potrebbe comunque non significare un grosso problema se appunto il patrimonio non avesse valenza su cose particolari; mi riferisco nello specifico al risparmio sociale. Sì, perché il risparmio sociale, cioè la raccolta che le cooperative fanno dei risparmi dei cittadini, dei loro consociati, è direttamente proporzionale al patrimonio.

La legge ci indica che la raccolta che può essere svolta dalle cooperative non può essere superiore a tre volte il patrimonio delle stesse cooperative: capite bene come, se queste cooperative raccolgono i soldi dei cittadini facendo vedere un patrimonio più grande del reale, la cosa può destare veramente preoccupazione. Non per altro, ma perché molte cooperative negli ultimi tempi sono già saltate; ne sanno qualcosa i risparmiatori del Friuli o dell'Emilia che hanno investito o prestato soldi - diciamo così - alle cooperative Carnica, Trieste, o altre dell'Emilia Romagna.

Devo comunque ricordare che Coop Alleanza 3.0, per le cooperative friulane, ha impegnato proprie risorse per restituire qualcosa alle persone che ci hanno rimesso tanto; questo va ricordato.

Il fatto è che questa partecipazione nei bilanci delle cooperative da parte di Finsoe secondo noi ha un valore troppo elevato. Di quanto si sta parlando? Si sta parlando di cinque, sei volte il valore reale delle azioni del gruppo Unipol UGF. La cosa secondo noi è molto pericolosa.

Ma andiamo un pochino nello specifico, analizziamo il bilancio di Finsoe. Il numero di azioni di Finsoe è pari a circa 3 miliardi; non 3 miliardi di euro, 3 miliardi è il numero di azioni. Ebbene, vi è una perizia che viene adottata da queste cooperative che permette loro di valutare la partecipazione in Finsoe, arrivando addirittura a 1 euro, e consigliano di utilizzare 0,85 euro. Se prendiamo questo valore e lo moltiplichiamo per il numero delle azioni, verrebbe fuori - scusate il termine - un valore intorno a circa 2 miliardi e mezzo; ma, se noi prendiamo tutte le azioni Unipol che Finsoe possiede e le moltiplichiamo per il valore di Borsa, otteniamo dei valori molto più bassi, praticamente - mi sembra, non vorrei sbagliarmi - circa 800 milioni di euro.

Capite bene che la differenza è veramente tanta. È tanta perché quel valore che ho detto prima, 0,85 euro, praticamente è il valore che hanno utilizzato le cooperative per valutare la loro partecipazione in Finsoe.

Quindi, la bolla c'è, la bolla, secondo noi, c'è, e ci sono cooperative in difficoltà: non mi riferisco alla cooperativa più grande, Alleanza 3.0, che riesce a rispettare comunque i limiti patrimoniali - quindi, ci tengo a rassicurare i risparmiatori su questo -, però altre cooperative sono in seria difficoltà.

Quindi, quello a cui voglio fare riferimento è questo: quali sono gli strumenti che il Ministro intende attuare o adottare affinché vi sia più sicurezza per i risparmiatori e che si faccia piena trasparenza su queste cose, cioè sul fatto che molte cooperative stanno utilizzando una perizia. E diciamo quale perizia è: la perizia Deloitte, l'abbiamo letto sui giornali, la stessa Deloitte che ha fatto una perizia per dire che per Banca Etruria, nel caso fosse stata non risolta, come è avvenuto, ma liquidata, ci sarebbe stato lo stesso risultato, quando poi, due anni dopo, per una liquidazione delle banche venete abbiamo visto che la valutazione dei crediti deteriorati è stata molto più alta rispetto a quella delle quattro banche.

Quindi, la stessa Deloitte, secondo noi, fa delle perizie un pochino arbitrarie e, secondo me, va ricordato, l'abbiamo sempre letto sul giornale, che quella perizia utilizzata ora per il caso delle cooperative è una perizia molto, ma molto riservata: e, quando si scrivono, secondo noi, cose riservate, vuol dire che sono cose un pochino da tener nascoste e, se sono cose da tenere nascoste, vuol dire che c'è poco da fidarsi. Questo secondo me, è il mio parere personale.

E cosa si dice? Si dice che questa perizia non potrà essere distribuita a terzi - il documento -, che non risponderà, chi l'ha scritto, di eventuali danni che i soggetti, che avranno accesso al presente documento o altri soggetti, potranno subire in caso di uso improprio; esclude esplicitamente il valore di borsa come base di calcolo. Quindi, la cosa ci lascia molto, molto perplessi.

Quindi, la nostra domanda, la ripeto, è la seguente: cosa intende fare il Governo per dare trasparenza ai fatti narrati, per dare, in qualche modo, evidenza dei fatti narrati, se li condivide e, soprattutto, cosa intende fare per tutelare il risparmio sociale. Dopo aggiungerò alcune cose che ci lasciano, comunque, molto perplessi.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro dell'Economia e delle finanze, Enrico Morando, ha facoltà di rispondere.

ENRICO MORANDO, Vice Ministro dell'Economia e delle finanze. Grazie, signor Presidente. Articolerò questa risposta in due parti: la prima, relativa alle questioni sollevate in tema di prestito sociale e alle iniziative che il Governo intende sviluppare, e sta sviluppando, in proposito, sia per preservare l'istituto del prestito sociale quale strumento di rafforzamento, dal lato del capitale, delle cooperative, sia per tutelare l'interesse dei soci prestatori. In questa prima parte riferirò anche, sia pure sommariamente, delle iniziative assunte da Banca d'Italia tradottesi nella nuova disciplina del prestito sociale, entrata in vigore il 1° gennaio del 2017. La seconda parte di questa risposta affronterà, invece, il tema delle partecipazioni delle società cooperative citate in alcuni importanti istituti di credito.

Voglio dire subito, a proposito del primo tema, che il Governo si è impegnato nell'elaborazione di una nuova regolazione per la traduzione in norma di legge - in norma di legge - di regole che il movimento cooperativo, nel suo complesso, ha finalmente deciso di darsi.

Siamo partiti dalla definizione di quattro precisi obiettivi. Il primo: introdurre, con la forza della legge, limiti più severi alla possibilità di raccolta del prestito sociale in rapporto al patrimonio netto di ogni singola cooperativa. Secondo: introdurre un obbligo di mantenimento di una parte del prestito raccolto in forma liquida, almeno il 30 per cento. Terzo: introdurre forme di garanzia per i soci prestatori e la stabilità delle stesse cooperative, che non finiscano con l'assimilare il prestito sociale al deposito bancario, perché il prestito sociale non è raccolta di risparmio modello banche, ma consentano, tuttavia, di meglio tutelare sia i prestatori sia la stabilità della cooperativa. Quarto: fissare obblighi - fissare con la forza della legge e con le relative sanzioni - di informazione, trasparenza e responsabilità in capo sia agli organismi dirigenti delle singole cooperative sia in capo ai rispettivi organi di revisione. Questi i quattro obiettivi per il cui conseguimento ci siamo mossi.

Parallelamente, si è proceduto ad elaborare le linee guida di un intervento normativo, volto a rafforzare i poteri e l'effettiva capacità di vigilanza del Ministero dello sviluppo economico che, come lei sa, è il Ministero vigilante sulle cooperative, sia sulle cooperative in generale - competenza di tipo, quindi, orizzontale - sia la vigilanza su quelle che raccolgono il prestito sociale, che non sono tutte le cooperative.

Tutto ciò potrebbe e dovrebbe, secondo il Governo, trovare manifestazione in una precisa proposta del Governo di integrazione, tramite emendamenti presentati dal Governo stesso, del disegno di legge attualmente in discussione al Senato per il contrasto alle false cooperative. Come lei sa, è un progetto di legge di iniziativa popolare, cui poi si sono affiancati altri progetti di legge di iniziativa parlamentare.

Ecco, l'idea sarebbe, sulla base di questa elaborazione ormai compiuta, di presentare delle proposte di integrazione di quel disegno di legge per affrontare sia il tema della vigilanza e del suo rafforzamento sia il tema della regolazione, diversa dal passato - quindi, dandole forza di legge - del prestito sociale, con l'obiettivo di giungere, entro gennaio, all'approvazione definitiva di un sistema coerente di regole per la gestione del prestito sociale capace di fare in modo che ciò che è accaduto nei casi di cooperative andate in default, che avevano prestito sociale, non possa più accadere nel futuro.

Contemporaneamente, come le dicevo, si è sviluppata l'iniziativa di Banca d'Italia. Nell'ambito delle proprie competenze normative, Banca d'Italia ha posto in consultazione, a novembre del 2015 e, poi, ha emanato nel novembre del 2016, esattamente un anno dopo, una revisione della disciplina secondaria - prima le ho parlato di leggi, quindi non è una normativa secondaria, ed ovviamente Banca d'Italia, invece, si occupa dell'emanazione di normativa secondaria - in materia di raccolta del risparmio da parte dei soggetti diversi dalle banche.

L'intervento normativo ha l'obiettivo di rafforzare i presìdi a tutela dei risparmiatori che prestano fondi a soggetti diversi dalle banche entro i margini di manovra consentiti dalle fonti normative di rango superiore. Nell'ambito della disciplina della raccolta del risparmio effettuata da società cooperative, quindi anche nella forma del prestito sociale, la revisione normativa ha introdotto alcune modifiche, finalizzate a rafforzare la garanzia patrimoniale e ad accrescere la consapevolezza dei risparmiatori che prestano il proprio denaro a soggetti non bancari.

A questo fine, le nuove disposizioni, in primo luogo, precisano le caratteristiche e finanziarie contrattuali delle garanzie prestate da soggetti vigilati e quelle degli schemi di garanzia costituiti in ambito cooperativo, necessari affinché le cooperative con più di cinquanta soci possano raccogliere fondi presso i propri soci per un ammontare compreso tra il triplo e il quintuplo - di qui l'esigenza di un cambiamento della norma che, soprattutto, su questo quintuplo intervenga - del patrimonio netto. Inoltre le disposizioni introducono un divieto per le cooperative di prestare, a loro volta, controgaranzie o altre forme di collateralizzazione, a fronte delle garanzie ricevute.

Secondo: nell'intento di evitare aggiramenti della normativa, resi possibili attraverso il compimento di operazioni con altre società del gruppo, le disposizioni di Banca d'Italia stabiliscono che il valore del patrimonio della cooperativa da assumere a riferimento ai fini del rispetto dei limiti quantitativi alla raccolta presso i soci - ho già detto da tre a cinque volte, sto parlando a legislazione vigente, non dell'ipotesi di innovazione di cui abbiamo già detto: è esattamente il tema che lei pone a proposito di alcune cooperative - è quello risultante dal bilancio consolidato o quello individuale rettificato degli effetti derivanti dalle operazioni intragruppo nel caso in cui la società non abbia l'obbligo di redigere il bilancio consolidato.

Infine, le disposizioni nuove introducono alcune misure di trasparenza, come l'obbligo per la società cooperativa di includere, nella nota integrativa di bilancio e nelle relazioni semestrali, informazioni concernenti l'ammontare della raccolta in essere, l'identità del garante e le caratteristiche della garanzia nel caso in cui l'ammontare della raccolta superi il triplo del patrimonio, il valore aggiornato delle eventuali garanzie reali e finanziarie e un indice di struttura finanziaria (dato dal rapporto tra capitale più debiti a medio e lungo termine e attivo immobilizzato) utile ad evidenziare situazioni di squilibrio finanziario della società.

Inoltre, la revisione normativa chiarisce il concetto di “raccolta a vista” - questo è molto importante -, rilevante ai fini del rispetto dell'articolo 11 del testo unico bancario, che vieta la raccolta a vista a tutti i soggetti diversi dalle banche e, dunque, anche alle società cooperative che effettuano il prestito sociale. In particolare, in base alle disposizioni, la raccolta di fondi è a vista anche quando, pur essendo previsto un obbligo per il prestatore di dare un preavviso di almeno 24 ore, alla società che raccoglie i fondi è attribuita la facoltà di restituirli al momento della richiesta o prima di 24 ore dal preavviso.

La nuova disciplina è entrata in vigore il 1° gennaio 2017; le disposizioni transitorie prevedevano termini fino al 30 giugno 2017 per l'adeguamento a taluni requisiti, adempimenti e un regime di phase-in per il raggiungimento degli obiettivi di funding ex ante degli schemi di garanzia.

In merito alle partecipazioni di talune società cooperative nel capitale di gruppi bancari, la Banca d'Italia ha fatto presente che, con riferimento a Banca Carige, in primo luogo, Coop Liguria partecipa sia direttamente sia indirettamente al capitale dell'intermediario, con un'interessenza diretta dello 0,43 per cento e indiretta dell'1,33 (per il tramite di Talea Spa, immobiliare partecipata al 100 per cento), per un totale pari all'1,76 per cento del capitale della banca, valorizzata nei bilanci delle società con il metodo del patrimonio netto per euro 37,6 milioni.

Quanto a MPS, la Coop Centro Italia figura tra gli azionisti della banca senese con una partecipazione pari all'1,4 per cento a fine 2016. Nel bilancio consolidato della Coop Centro Italia è riportata una partecipazione pari all'1,40 per cento e valorizzata in bilancio con il metodo del patrimonio netto per euro 90 milioni. Infine, l'istituto ha fatto presente che Unipol è un conglomerato finanziario a prevalenza assicurativa, per cui l'autorità che coordina la vigilanza supplementare sul medesimo è l'IVASS, cioè l'istituto che si occupa di vigilanza delle assicurazioni.

Detto conglomerato ha a capo la holding Finsoe, a cui lei ha fatto riferimento, che esercita il controllo di fatto sulla sub-holding quotata Unipol Gruppo (ex UGF) tramite una partecipazione del 31,40 per cento. Finsoe, il cui azionariato è composto prevalentemente da società del mondo cooperativo, nessuna delle quali esercita individualmente un controllo sulla holding nel suo complesso, ha sinora delegato il ruolo di capogruppo sia del comparto bancario che di quello assicurativo a Unipol Gruppo, come consentito dalla normativa bancaria e assicurativa italiana, al ricorrere di determinate condizioni che sembrano sussistere in questo caso.

L'operazione di scissione di Finsoe, citata da lei nella interpellanza, è finalizzata a semplificare la struttura del conglomerato e a mantenere in capo a Unipol Gruppo il ruolo di capogruppo, non più delegabile per effetto di recenti modifiche della normativa assicurativa in materia. La realizzazione dell'operazione è subordinata al buon esito della verifica degli assetti proprietari del gruppo e, in particolare, delle cooperative aderenti al suddetto patto parasociale, in qualità di soggetti che acquisirebbero, di concerto, una partecipazione qualificata nel gruppo. Tali procedimenti, attualmente in fase istruttoria, coinvolgono per i profili di rispettiva competenza la Banca Centrale Europea, l'IVASS e la Banca d'Italia, a cui il Governo si impegna a chiedere di fornire ulteriori informazioni in esito alla istruttoria stessa.

Infine - e mi scuso, signor Presidente, se questa risposta è un po' lunga - Consob, richiesta di fornire sue osservazioni sulla questione posta dagli interpellanti, ha precisato che, in relazione all'operazione di scissione di Finsoe Spa e ai conseguenti effetti sull'azionariato di UGF, il 7 giugno 2017, la Consob ha assunto un provvedimento ex articolo 106, comma 6, del testo unico finanziario, mediante il quale ha dichiarato che l'acquisto di concerto - ne abbiamo appena parlato - di una partecipazione in Unipol Gruppo Finanziario Spa e, indirettamente, in Unipol Sai Spa, potenzialmente rilevante ai sensi del combinato disposto degli articoli 106, comma 1, e 109, comma 1, del testo unico finanziario, che si sarebbe realizzato per effetto della suddetta scissione e della contestuale sottoscrizione di un patto parasociale da parte degli ex azionisti di Finsoe, non avrebbe dato luogo ad un obbligo di OPA in capo ai soggetti paciscenti; ciò in quanto è stato ritenuto applicabile il caso di esenzione dall'obbligo di OPA di cui agli articoli 106, comma 5, lettera b), del testo unico finanziario, cioè l'esenzione per operazioni infragruppo.

PRESIDENTE. Il collega Pesco ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza, per dieci minuti.

DANIELE PESCO. Sono parzialmente soddisfatto per il fatto che sembrerebbe che il Ministero ha preso questa causa come una giusta causa e che, quindi, intende operare in proposito. Purtroppo, non sono molto contento del metodo che intende applicare, perché, se ho capito bene, intende fare degli emendamenti a un progetto di legge in discussione al Senato che, appunto, visti i tempi che corrono, temo che difficilmente riuscirà a fare tutto l'iter legislativo, tornare qui alla Camera ed essere approvato. Io spero di sì, vivamente; ma, magari, ci potrebbero essere metodi più veloci, come quello dell'approvazione di qualcuno di questi strumenti nella legge di bilancio, nella legge di stabilità. I metodi, secondo me, possono esserci, magari, anche più veloci.

Tornando, invece, al merito della risposta, purtroppo, sembra che il Governo non abbia fatto nulla e non abbia fatto nessun riferimento a ciò che noi cerchiamo di denunciare con questa interpellanza: il fatto che molte cooperative hanno nei loro bilanci o, meglio, nel loro stato patrimoniale, delle partecipazioni ad un valore molto, molto più alto di quello reale.

Ora, tutti possono inserire dei valori non vicini a quelli reali, ma dei valori maggiori, non lo mettiamo in dubbio; però, purtroppo, questo ha delle ripercussioni sul patrimonio - come ho già detto prima - e, quindi, sugli indici patrimoniali da rispettare per la raccolta del risparmio sociale.

Inoltre, noi abbiamo un ulteriore dubbio; è solo un dubbio, non è un'accusa, non è nulla; il fatto che Finsoe verrà sciolta in ventidue società, cioè praticamente verrà sciolta tra gli attuali soci, può essere anche riferito al fatto che, a breve, entreranno in vigore le famose leggi per il bilancio, pardon, i procedimenti per il bilancio, gli IFRS9. Che cosa comporteranno questi obblighi? Comporteranno per la capogruppo che, in questo caso, secondo noi, non può essere diversa da Finsoe, in quanto è quella che ha la partecipazione maggiore, di fare una tabellina molto semplice che è questa: questa tabellina, praticamente, che cosa ci dice? Ci dice che va indicato, di ogni partecipazione, il valore di bilancio, quindi, il valore inserito in bilancio e il valore al fair value, cioè il valore reale. Ora possiamo capire come, magari, potrebbero essere in difficoltà i futuri dirigenti di questa società, che dovrà, appunto, fare il confronto tra dei valori reali e dei valori, secondo noi, un pochino - diciamo così - gonfiati.

Quindi, forse, si farà la scissione, ma abbiamo il dubbio che quella scissione venga fatta per questo, per riuscire ad aggirare questi obblighi di trasparenza. La trasparenza, qui, va fatta, va fatta in modo veramente sostanziale, perché ci sono due cooperative importanti che, secondo noi, utilizzando i valori reali, non avrebbero i requisiti tali per continuare a raccogliere il risparmio e non starebbero in piedi.

La cosa è molto delicata, quindi, non aggiungo altro. No, pardon, una cosa la voglio aggiungere sul ruolo della vigilanza, sul ruolo del Ministro dello Sviluppo economico, sul ruolo del Governo sulla vigilanza delle cooperative e abbiamo fatto anche diverse interpellanze su questo. Le cooperative versano una quota per essere vigilate. Cumulate queste quote, fanno tanti soldi, centinaia di milioni di euro, per non dire forse miliardi, ma non vorrei spingermi su delle cifre che non ricordo. Questi soldi, purtroppo, il Governo non li usa tutti per vigilare le cooperative, probabilmente ne ha fatto altri usi e la cosa è molto, molto delicata. Praticamente l'Italia sta diventando il Bengodi delle cooperative e questo non va bene, perché la vigilanza ci vuole e deve essere fatta bene. Se invece vengono tagliati i fondi per fare la vigilanza capiamo come molte cooperative potrebbero approfittarsene. Per non parlare poi delle cooperative che hanno scelto di essere vigilate, perché glielo permette la legge, dalle loro associazioni di cui fanno parte. Questo secondo noi è veramente un ossimoro legislativo, normativo, che va assolutamente sanato al più presto e anche questo invito il Governo a farlo.

Insomma, la vigilanza deve essere svolta dal Governo o da altri enti pubblici, seri, che facciano la vigilanza fatta bene. I fondi per la vigilanza non vanno tagliati, vanno utilizzati tutti per fare la vigilanza fatta bene, e le cooperative devono fare il loro mestiere, cioè sviluppare questo istituto, che secondo noi è un istituto nobile, che va rispettato, e che non deve essere utilizzato per fare del malaffare.

(Intendimenti e iniziative di competenza per la stabilizzazione del personale precario assunto con mansioni di portalettere presso Poste Italiane spa – n. 2-01920)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Sgambato ed altri n. 2-01920 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Sgambato se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

CAMILLA SGAMBATO. Grazie, Presidente. L'interpellanza di cui discutiamo oggi riguarda il tema, appunto, della precarietà dei lavoratori a tempo determinato assunti da Poste S.p.A., società direttamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, posta sotto il controllo e la vigilanza del Ministero per lo sviluppo economico. Tale società fornisce servizi logistico-postali, servizi di risparmio, di pagamento, assicurativi e di comunicazione digitale. La società Poste Italiane apre periodicamente, ormai da già da qualche anno, campagne di recruiting con lo scopo di reclutare portalettere su tutto il territorio nazionale, con contratto di lavoro a tempo determinato, al fine di rispondere alle carenze di personale addetto a tali mansioni. Tale carenza di personale, pur manifestandosi molto di più nei periodi delle ferie natalizie ed estive, sembrerebbe essere diventata una carenza per Poste assolutamente cronica. La nuova campagna di recruiting, infatti, per portalettere di Poste Italiane rientrerebbe nel piano assunzionale 2015-2020 che pare preveda la creazione di circa 8 mila posti di lavoro, di cui circa 4 mila per i giovani. Tra gli altri requisiti richiesti per le mansioni di portalettere ci sono il diploma o la laurea, in particolare il diploma di scuola media superiore con votazione minima di 70 su 100, e la laurea, anche triennale, con votazione minima di 102 su 110.

Attualmente i contratti a termine di Poste Italiane per i portalettere pare non superino i 24 mesi circa complessivi, tra proroghe e rinnovi, pur ottenendo valutazioni positive da parte dei responsabili delle risorse degli uffici, e avendo questi giovani curriculum altamente qualificati, e nonostante sia prevista, come da normativa vigente, la possibilità di proroga fino a 36 mesi. Ad oggi, sono circa 6 mila i lavoratori e le lavoratrici sottoposti a questo continuo stillicidio occupazionale, 6 mila giovani a cui non è consentito accedere ad un progetto di vita stabile, confinati da Poste società per azioni ad una vita da precario.

I dubbi sorgono, quindi, sull'improprio uso, lasciatemelo dire, se non proprio abuso, del contratto a termine, che è quello riscontrato proprio nel modus operandi della società, relativamente a queste assunzioni. Quello che preoccupa è che si passa da una prima fase dove il contratto a termine viene utilizzato in forma eccezionale, ad una fase successiva, che è proprio quella odierna, della regola. Tale comportamento altro non ha fatto finora che creare e reiterare nel tempo il tanto combattuto precariato, senza realmente creare nuovi posti di lavoro stabili. Quindi, noi interpellanti chiediamo al Governo quali iniziative intenda assumere affinché Poste Italiane S.p.A. riveda intanto i parametri di valutazione dei requisiti richiesti, in quanto sembrerebbe a nostro avviso assurdo escludere già da una fase iniziale di recruiting un laureato in qualsiasi disciplina che non abbia una votazione di almeno 102 su 110 o sia in possesso di un diploma con almeno 70 su 100. Ma chiediamo soprattutto quali iniziative intenda adottare per assicurare la stabilizzazione del personale con contratto a termine, dando priorità a coloro che hanno maturato già esperienza, conoscenza, competenza in questo ramo, in quanto riassunti più volte attraverso l'utilizzo di proroghe e/o rinnovi, affinché si possa fronteggiare l'oggettiva forte carenza di personale.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, Amendola, ha facoltà di rispondere.

VINCENZO AMENDOLA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie Presidente. Ringrazio l'onorevole Sgambato e gli altri firmatari di questa interpellanza urgente per la sensibilità su un tema sociale di estrema rilevanza. Rispondo esclusivamente sulla base degli elementi pervenuti al Ministero dello sviluppo economico dalla società Poste Italiane, in quanto il processo di recruiting e selezione del personale nel gruppo Poste Italiane società per azioni non rientra nelle specifiche competenze del citato Ministero. Quest'ultimo evidenzia al riguardo che in ambito postale si occupa in senso più ampio della fornitura del servizio universale dei titoli abilitativi, licenze e autorizzazioni.

Ciò premesso, informo con quel che segue: il processo di recruiting e selezione del personale del gruppo Poste Italiane S.p.A. è presidiato centralmente dalla funzione preposta ed è disciplinato da un'apposita procedura redatta tenendo conto, tra l'altro, dei principi di controllo previsti dal vigente modello organizzativo che la società ha adottato ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001. Tale procedura definisce le modalità di svolgimento delle attività di assunzione e selezione di personale da inserire in azienda anche con un contratto a tempo determinato, in linea con le disposizioni normative tempo per tempo vigenti, rispetto a esigenze temporanee e/o una tantum. Le attività di reclutamento del personale si attivano a seguito di specifica richiesta da parte dell'unità organizzativa che necessità di rafforzamento di personale. A tale riguardo, il ricorso alla fattispecie del contratto a tempo determinato, disciplinato agli articoli 19 e seguenti del decreto legislativo n. 81 del 2015, consente di rispondere in maniera flessibile in termini sia di durata, che di luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, ad esigenze organizzative legate a dinamiche di andamento dell'attività del business o del presidio dello stesso.

Il processo di recruiting prevede la raccolta e la valutazione delle candidature ricevute, nonché specifiche prove di verifica dei requisiti richiesti differenziate per profilo professionale ricercato quali, a titolo meramente esemplificativo, test, colloquio o prove pratiche di idoneità alla mansione da svolgere. La raccolta delle candidature, oltre che mediante il sito internet aziendale, per alcune specifiche tipologie di ricerca di personale, viene svolta tramite la pubblicazione di annunci dedicati sul sito internet aziendale o sulla stampa locale e nazionale, o ancora sui siti esterni specializzati. Tali annunci, in linea con quanto indicato nella citata procedura, precisano tra le altre informazioni alcuni requisiti minimi rilevanti per l'accesso al processo di selezione, quale il voto minimo di diploma e/o laurea, o specifiche idoneità rispetto al ruolo di inserimento, quale ad esempio la guida del motomezzo, nonché la vicinanza della propria residenza alla sede di lavoro e la disponibilità al trasferimento. Anche per il ricorso ai contratti a termine, l'azienda adotta politiche interne coerenti con la cornice normativa e contrattuale, con riferimento tra l'altro al numero di contratti complessivamente stipulati in ciascun anno solare, alla durata degli stessi, al numero di proroghe. Quanto, infine, all'eventuale stabilizzazioni dei lavoratori impiegati con tale tipologia contrattuale, Poste Italiane riferisce che il prossimo piano strategico aziendale, e la determinazione dei fabbisogni correlati, consentiranno una più puntuale definizione delle valutazioni in proposito.

PRESIDENTE. La collega Sgambato ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

CAMILLA SGAMBATO. Grazie, sottosegretario Amendola, io esprimo la mia sorpresa, se non il mio rammarico, per l'assenza del MEF, azionista di maggioranza di Poste S.p.A., o quanto meno del MISE, tenuto al controllo delle attività della suddetta società.

La risposta non è del tutto pertinente né completamente esaustiva in ordine alle questioni poste all'attenzione del Governo dagli interpellanti. Non può non rappresentarsi come l'aver delegato solo a Poste Italiane la risposta risulti o possa risultare indice di un'attenzione non adeguata rispetto ad una fenomeno di sicura rilevanza, non fosse altro per l'elevato numero di soggetti coinvolti o interessati.

È del tutto evidente l'anomala spirale che si crea attraverso meccanismi di precariato, che determinano peraltro oneri aggiuntivi e paralleli a carico del bilancio dello Stato. Sappiamo, infatti, che l'INPS è tenuto al riconoscimento di indennità di disoccupazione a questi giovani licenziati, pur in presenza di esigenze di personale soddisfatte con altre assunzioni, sempre precarie. Ciò pare evidenziare peraltro, in assenza di una risposta chiara da parte della società Poste Italiane, una carenza di strategia complessiva e di programmazione di attività che consentirebbe una predisposizione di un piano assunzionale in grado di far fronte ai concreti fabbisogni dell'azienda.

Speriamo dunque che il Governo intervenga, ma nella figura del MEF e del MISE, affinché Poste Italiane preveda a breve un vero piano assunzionale, conforme alla normativa vigente, specificando dei criteri di assunzione che tengano conto dei curriculum e valorizzino coloro che abbiano già maturato esperienza. È arrivato il momento di gestire il personale su un modello di contratto stabile, atteso che l'azienda mostra di aver bisogno di questi lavoratori, tant'è vero che garantisce il servizio con molti centri di distribuzione, uffici di recapito, nei quali i precari rappresentano la maggioranza dei dipendenti o comunque ne rappresentano un numero considerevole. Quanto detto non ci consente di essere pienamente soddisfatti, dal momento che i temi centrali dell'interpellanza proposta da noi hanno avuto una risposta non del tutto esauriente e nemmeno definitiva. Grazie.

(Iniziative politico-diplomatiche, anche in ambito europeo, in merito al referendum di autodeterminazione promosso dalla comunità autonoma catalana per il prossimo 1° ottobre 2017 – n. 2-01948)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Fedriga ed altri n. 2-01948 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Guidesi se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica. Sì, ha quindici minuti.

GUIDO GUIDESI. Grazie, Presidente. Le autorità elettive della comunità autonoma catalana hanno promosso lo svolgimento di un referendum popolare di autodeterminazione, che dovrebbe svolgersi domenica prossima, il 1° ottobre. Il Governo centrale spagnolo e la Corte costituzionale del regno hanno dichiarato illegittima la consultazione, chiudendo ogni spazio di trattativa e ogni possibile mediazione. Nel prosieguo del confronto è stato impartito addirittura a tutte le forze di polizia nazionali e catalane l'ordine di impedire lo svolgimento dell'iniziativa referendaria, in primo luogo attraverso la ricerca sistematica ed il sequestro delle schede preparate per la consultazione e del relativo materiale propagandistico. La procura dello Stato spagnolo ha inoltre ingiunto ai procuratori provinciali territorialmente competenti di notificare agli oltre 700 sindaci catalani, regolarmente eletti, aderenti all'Associazione dei Municipi per l'indipendenza, favorevoli allo svolgimento del referendum, l'apertura a loro carico di un'indagine, minacciandone l'arresto qualora rifiutino l'ordine di comparizione. Lo Stato spagnolo ha quindi ripreso il controllo dell'Agenzia fiscale catalana e da ultimo, il 20 settembre scorso, la Guardia civile è entrata nella sede della Generalitat, provvedendo ad arrestare alcuni elementi di spicco legati al Governo catalano, tra i quali il più stretto collaboratore del Vicepresidente. La circostanza ha determinato l'immediato scoppio di manifestazioni spontanee di protesta a Barcellona ed in tutta la Catalogna. Tra le ulteriori ritorsioni prospettate dal Governo centrale, vi sarebbe anche il ritiro dello statuto di autonomia della Catalogna.

È evidente come il confronto tra le autorità centrali spagnole e quelle autonome della Catalogna rischi di precipitare in un conflitto vero e proprio, con ripercussioni al momento imprevedibili, ma certamente drammatiche, per la penisola iberica e probabilmente per l'Europa intera. Potrebbero contribuire ad attenuare le tensioni eventuali pressioni alle autorità spagnole da parte dei Paesi partner dell'Unione europea e nell'Alleanza Atlantica, inclusa l'Italia.

Quindi, chiediamo al Governo: se intenda assumere delle iniziative politiche diplomatiche utili a riportare la calma in Spagna e quali tra queste iniziative; se il Governo, in tale ambito, non ritenga di dover adottare iniziative volte a fermare la progressione della spirale di azioni e reazioni che sta caratterizzando la gestione dell'aspirazione catalana all'autodeterminazione, chiedendo moderazione e soprattutto di por fine agli arresti disposti nei confronti di chi abbia incarichi istituzionali o elettivi nella comunità autonoma catalana; se il Governo non giudichi utile proporre, in ambito europeo, l'eventuale adozione di sanzioni nei confronti della Spagna, qualora insista su quella che agli interpellanti appare la via della repressione penale e poliziesca dell'esercizio di autodeterminazione intrapreso dalle legittime autorità catalane; se, nel contesto delle iniziative esercitabili e nei confronti della Spagna, il Governo consideri anche il richiamo in patria per consultazioni dell'ambasciatore d'Italia a Madrid, qualora la tensione non si attenui e l'Esecutivo centrale spagnolo insista, come pare, sulla strada intrapresa; se e come il Governo ritenga di sostenere politicamente e diplomaticamente l'avvio di un dialogo interno alla Spagna finalizzato alla definizione di tempi e procedure di garanzie, che permettano ai catalani di pronunciarsi legalmente sul loro futuro.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, Vincenzo Amendola, ha facoltà di rispondere.

VINCENZO AMENDOLA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Ringrazio gli onorevoli interpellanti per la richiesta. La Farnesina segue con grande attenzione l'evolversi della situazione in Spagna e le crescenti tensioni tra la capitale e la Catalogna, che fanno registrare, proprio in questi giorni, livelli di crisi senza precedenti in un confronto interno che dura da decenni. Molti Paesi, non solo nell'Unione europea, conoscono forze centrifughe interne e la Spagna in primis ha vissuto con estremo travaglio e sofferenza la lunga e violenta stagione del separatismo basco, mentre è ora la spinta autonomista catalana a costringere le parti ad un confronto particolarmente intenso.

Le cronache delle crescenti mobilitazioni, a fronte dei fermi dei principali protagonisti della macchina referendaria a Barcellona, anche se poi revocati, dei sequestri di materiale elettorale, della chiusura di siti web e delle azioni nei confronti dei sindaci che mettessero a disposizione i locali comunali per il voto, tutto ciò indica che l'intensità dello scontro, a distanza di due giorni dall'appuntamento referendario, continua a salire. Madrid sta proseguendo l'azione di impedimento materiale del secessionismo catalano; sono state adottate misure concrete nei confronti delle persone ree, o potenzialmente tali, di dare corpo al secessionismo, sia con l'approvazione di norme, sia con la loro attuazione.

Come è noto, anche sul piano finanziario, Madrid sta applicando una stretta sul funzionamento della macchina regionale. Nel dare esecuzione ai dispositivi delle sentenze che ne hanno dichiarata l'illegittimità, l'azione del Governo Rajoy mantiene la piena coerenza con la tesi politica di fondo, ossia l'incompatibilità costituzionale di qualunque tipo di autonomia, assunta da mesi.

Sullo sfondo si sta profilando un tema di attrito ulteriore e parallelo a quello dell'indipendenza: il tema del metodo per gestire l'autonomismo catalano. È chiaro che non vi può essere autonomia laddove la Costituzione non lo prevede, né vi può essere una deriva di atti contrari alla Costituzione, volti a realizzare de facto tale scopo, a meno che la congiuntura politica non suggerisca, a livello concordato e centrale, l'avvio di una stagione di riflessione di alto tenore.

Va detto che, fino ad ora, regge l'equilibrio e la misura mostrata dalle forze dell'ordine nella complessa geometria di forze governative locali nonché di competenze di queste ultime gestite localmente, ordine pubblico, e centralmente, esecuzione di provvedimenti giudiziari. Madrid e Barcellona, pure in un crescendo di toni, non hanno ancora trovato un canale di dialogo di reciproca soddisfazione, ma concordano senz'altro, e lo hanno ripetuto proprio in queste ore, sull'astensione da ogni forma di violenza. Si tratta di un principio importante, che confidiamo verrà mantenuto, consentendo così di affrontare i prossimi giorni senza traumi ulteriori.

Il Governo, infine, continuerà pertanto a monitorare con attenzione l'evolversi della situazione. È nostro vivo auspicio che il confronto in atto maturi e si sviluppi sul piano dei contenuti, dei rapporti fra centro e periferia, entrando così in una nuova fase di maggiore prospettiva, ma sempre nel pieno rispetto della Costituzione spagnola. Grazie.

PRESIDENTE. Il collega Guidesi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla interpellanza.

GUIDO GUIDESI. Grazie, Presidente. È ovvio che ci aspettavamo qualcosa in più dal Governo italiano, vista la vicinanza anche con la Spagna. La questione da chiarire è che qui non esiste nessun paragone con atti di terrorismo precedenti. Qui esiste sostanzialmente una rappresentazione di idee e di volontà in maniera assolutamente democratica e il confronto fortunatamente non è ancora sfociato in violenze, sperando che questo ovviamente non succeda, solo grazie alla responsabilità del Governo catalano e dei catalani.

Qui ci troviamo di fronte non ad un processo alle idee, non ad un confronto, ma addirittura all'arresto delle idee, al fatto di chiudere e bloccare i seggi dove le persone, i cittadini, catalani ed europei, andavano ad esprimersi su un quesito assolutamente legittimo per rappresentare la loro volontà popolare. Se il Governo spagnolo, se Madrid pensa che quel quesito non sia condivisibile, la battaglia la doveva fare in campagna elettorale, doveva rappresentare le proprie idee in campagna elettorale, doveva fare la propria campagna per dire che quello che stavano proponendo l'Assemblea catalana e il Governo Catalano era sbagliato. Così non è stato. Si ha paura di un confronto, ma non solo si ha paura del confronto, si ha paura della volontà popolare, tanto che si reprime quella volontà. E che in Unione europea succeda una cosa del genere è, da parte nostra, per come la vediamo noi, un atto estremamente grave.

Il fatto che il confronto delle idee venga bloccato con gli arresti, con le minacce, con l'arrivo dell'esercito, è un passo indietro sul quale anche il Governo italiano dovrebbe assolutamente riflettere. Qua siamo in una situazione dove c'è un popolo che ha il diritto di esprimere la propria volontà davanti ad un Governo nazionale che quella volontà non gliela fa esprimere con la forza. Di questo stiamo parlando! Stiamo parlando di una vicenda che rasenta i limiti della dittatura e io credo che su questo bisognerebbe riflettere molto e credo che il Governo italiano dovrebbe invitare il Governo spagnolo a lasciare libertà di espressione ai catalani, perché altrimenti trasformeremmo quella situazione, da una situazione democratica, ad una situazione dittatoriale, e i Paesi dell'Unione europea, Italia compresa, non possono assolutamente fare finta di niente.

L'auspicio nostro è che domenica i catalani possano esprimere la loro volontà e che quella volontà, qualsiasi essa sia, sia rispettata, perché non c'è niente che può superare la volontà di un popolo.

(Iniziative di competenza a tutela dei diritti sindacali in relazione al trasferimento di un dirigente sindacale presso la Wartsila spa di Trieste – n. 2-01906)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pellegrino ed altri n. 2-01906 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Pellegrino se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

SERENA PELLEGRINO. Sì, grazie, Presidente. Sottosegretario, il caso su cui verte questa interpellanza, per noi di Sinistra Italiana, è significativo di un approccio, purtroppo, non nuovo nella storia delle relazioni tra padronato e rappresentanza dei lavoratori. Quanto è avvenuto ci preoccupa e assieme ci scandalizza, perché, alla luce della nostra Costituzione e delle leggi vigenti, risulta del tutto in contrasto con i diritti e le conquiste sindacali di questo nostro Paese. Il fatto è avvenuto a Trieste, ai confini della nostra terra, dove opera una multinazionale, la Wartsila Spa, una società specializzata nella metalmeccanica e in tecnologie marine, con sede centrale in Finlandia, che ha un'importante rilevanza nel tessuto economico del Friuli-Venezia Giulia.

La vicenda su cui la interpelliamo riguarda Sasha Colautti, dipendente della Wartsila Spa nello stabilimento di Trieste. Racconto un po' che cosa è accaduto, sottosegretario: Colautti, dopo essersi espresso contro l'ultimo contratto, si è dimesso da segretario della FIOM e ha aderito all'USB. Per questo, terminato il periodo di distacco sindacale, che ha coinciso con la guida dei metalmeccanici della CGIL, ha chiesto all'azienda di poter rientrare in fabbrica, un suo diritto.

L'ufficio del personale della controllata italiana della multinazionale finlandese si è riservato per un po' di tempo la risposta e poi, nella mattinata dello scorso 6 giugno, ha comunicato allo stupefatto Colautti che sarebbe rientrato in fabbrica, ma non nella sede di Trieste, bensì nella sede di Taranto, distante più di mille chilometri, in quanto la sede di Bagnoli non era disponibile a seguito della ristrutturazione degli organici.

Dopo quanto accaduto l'USB ha promosso una serie di mobilitazioni a sostegno e a difesa di Sasha Colautti: una manifestazione molto partecipata si è tenuta il 24 giugno a Trieste per chiedere la revoca del trasferimento e il ritorno in fabbrica nella sede di Trieste di Sasha Colautti. In quella circostanza noi presentammo un'interrogazione al Ministero, che non ci ha dato risposta. Lo scorso 3 luglio si è svolta l'udienza presso il tribunale di Taranto con la richiesta al giudice del reintegro di Sasha Colautti, dove? Nella sede di Trieste, perché aveva diritto a stare nella sede di Trieste. Il giudice, a quanto ci consta, avrebbe rinviato a questo settembre la discussione. È evidente che il mancato rientro del lavoratore nella sede di Trieste e il suo trasferimento a Taranto senza alcuna giustificazione plausibile è stato fatto per colpire un lavoratore scomodo, impegnato sindacalmente. Si è trattato di una vera e propria rappresaglia contro un operaio impegnato nell'azione sindacale e scomodo, davvero scomodo, per l'azienda. Questo trasferimento non può non essere letto come arbitrario e punitivo e la condotta da parte dell'azienda è apertamente in contrasto con i diritti sindacali sanciti dalle leggi del nostro ordinamento.

Io le chiedo, sottosegretaria, con questa interpellanza, evidentemente, davanti all'interrogazione a cui non abbiamo avuto risposta - da parte del Governo non ci sono state grandi manifestazioni a seguito di quello che è accaduto in quel lembo di terra -, se sia a conoscenza dei fatti accaduti a Trieste e quali siano i suoi orientamenti a tal proposito; in particolare, nel rispetto delle disposizioni vigenti, vorremmo conoscere quali iniziative intenda assumere per favorire al più presto il rientro di Sasha Colautti nello stabilimento di Trieste.

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Franca Biondelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCA BIONDELLI, Sottosegretaria di Stato per il Lavoro e le politiche sociali. La ringrazio, Presidente. Con riferimento all'atto parlamentare dell'onorevole Pellegrino, che ringrazio, e altri, inerente alla vicenda del signor Colautti, dipendente dalla società Wartsila Italia Spa, passo ad illustrare quanto segue, sulla base di informazioni fornite dal competente ufficio territoriale del lavoro di Trieste e del Ministero della giustizia.

Il signor Colautti è stato assunto nel 2005 dalla Wartsila Italia in qualità di addetto alle lavorazioni meccaniche con un contratto di inserimento, successivamente trasformato in contratto a tempo indeterminato. Ha ricoperto l'incarico di segretario provinciale della FIOM, con conseguente aspettativa sindacale, e il signor Colautti ha aderito, negli ultimi due anni, all'organizzazione USB, usufruendo di un periodo di aspettativa. Il 6 giugno 2017, al termine del proprio distacco, la società ha disposto il trasferimento del lavoratore dalla sede originaria di San Dorligo della Valle (Trieste) a quella di Taranto. L'organizzazione sindacale a cui appartiene il lavoratore lamenta che il trasferimento configuri una condotta antisindacale.

Dagli accertamenti, su richiesta del Ministero del lavoro che rappresento, degli ispettori dell'Ufficio territoriale del lavoro di Trieste è emerso che, presso il sito di San Dorligo della Valle è tuttora presente il reparto di lavorazioni meccaniche, presso il quale il signor Colautti era stato adibito al momento dell'assunzione, pur avendo avuto tale reparto un ammodernamento tecnologico nell'ultimo periodo.

Da ultimo, il Ministero della Giustizia ha riferito che lo scorso 3 luglio il signor Colautti ha presentato presso il tribunale di Trieste il ricorso ex articolo 700 del codice di procedura civile nei confronti della società Wartsila Italia. Con quest'atto introduttivo il ricorrente ha richiesto la declaratoria di illegittimità del proprio trasferimento dalla sede di Trieste a quella di Taranto. Lo scorso 28 luglio si è tenuta la prima udienza del procedimento cautelare, all'esito della quale il giudice, su istanza congiunta delle parti, ha fissato lo scorso 11 settembre una seconda udienza, finalizzata all'esperimento di un tentativo di conciliazione. L'udienza è stata successivamente rinviata per medesimi incombenti al prossimo 6 ottobre. Pertanto, in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, ogni valutazione in ordine alla legittimità del comportamento posto in essere da Wartsila Spa sarà rimessa alle statuizioni definitive della competente autorità giudiziaria.

PRESIDENTE. La deputata Pellegrino ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza. Ha dieci minuti.

SERENA PELLEGRINO. Grazie, Presidente. Sottosegretaria, quello che esprime con la sua risposta fa comprendere che, se non ci fossero state le sollecitazioni da parte del Parlamento, della popolazione tutta, che è scesa in piazza a sostegno di un lavoratore che manifestava tutto il diritto di dissidenza, la Wartsila avrebbe potuto agire in modo del tutto indisturbato, creando un precedente che legittimerebbe azioni che già moltissime aziende stanno attuando su tutto il territorio. Il fatto che situazioni come questa, illustrata nella nostra interpellanza, si verifichino nell'ambito di grandi aziende private multinazionali, non sposta la prospettiva di valutazione di merito e politica, e il Ministro del lavoro non può sottrarsi dal suo ruolo.

Possiamo accettare che sia sempre la magistratura a intervenire dove la politica e il suo Governo sono assenti? Il formalismo delle risposte a cui siamo purtroppo abituati - non è questo il caso, sottosegretaria, purtroppo accade troppo spesso - ci sembra sufficientemente indicativo del fatto che siete costantemente in contraddizione tra un atteggiamento di sudditanza nei confronti del capitale - se poi è straniero, ovviamente ci rende ancora più piegati - e il fatto che siete costretti a definirvi pubblicamente di sinistra parlando per spot di tutela del lavoro. Invece di incentivare il lavoro, avete esaltato la flessibilità come una grande ed eccezionale conquista del lavoratore, che si è trasformata nella legalizzazione della precarietà: lavoretti purtroppo sottopagati e sempre meno tutelati. Con il Jobs Act e l'abolizione dell'articolo 18 avete reso insicuri anche i lavoratori a tempo indeterminato. Avete spianato la strada a un padronato sempre più arrogante nei rapporti con i propri dipendenti e nei confronti delle organizzazioni sindacali. Il caso di Sasha Colautti è emblematico, ed è l'essenza di quello che volevate ottenere con la vostra pseudo-riforma del lavoro. Chissà se vi siete resi conto dell'abuso di potere che avete lasciato a una multinazionale, che crede di poter ledere impunemente i diritti conquistati negli anni dai lavoratori italiani.

Eppure, questa azienda, la società Wartsila Spa, è stata notevolmente supportata dalle finanze pubbliche. Le ricordo che la regione Friuli-Venezia Giulia e il Governo hanno partecipato, anche recentemente, ai tavoli di trattativa per evitare esuberi nello stabilimento di Trieste. E il ricatto occupazionale, anche questa volta, è servito per far entrare risorse pubbliche nelle casse dell'azienda, denaro di cittadini che dovevano andare a tutelare i lavoratori e non generare mobbing. La società Wartsila Spa, infatti, per evitare licenziamenti, si è vista assegnare 900 mila euro dalla regione Friuli-Venezia Giulia, e 2,8 milioni di euro dal Governo: risorse provenienti dal Fondo per la crescita sostenibile per sostenere il progetto di sviluppo da parte della società di tecnologie innovative nell'unità produttiva di Trieste. Noi riteniamo che decisioni così gravi della dirigenza italiana del gruppo finlandese devono venire considerate anche all'interno delle stesse dinamiche che producono l'intervento economico pubblico a sostegno dell'occupazione dei lavoratori e del profitto della proprietà.

Certi provvedimenti non possono essere unilaterali, vanno considerati anche in forza della rilevanza degli interventi pubblici effettuati e non soltanto in base alla garanzia costituzionale della rappresentanza sindacale e della libertà d'associazione. È per questo, sottosegretaria, che le dico che vi staremo con il fiato sul collo, per ottenere da voi, davvero, un impegno concreto, una posizione chiara da parte del suo Ministero. Le riforme vanno fatte, ma a vantaggio del lavoro e non del capitale. Il primo articolo della Costituzione è chiaro ed inequivocabile, e i padri costituenti lo sapevano bene che il rischio di venderci al capitale era sull'uscio di ogni scelta di qualsiasi Governo. Lo Statuto dei lavoratori, conquistato con grande fatica, è diventato, ahimè e ahinoi, carta straccia nelle mani del mito della globalizzazione. Vorrei ricordarle, sottosegretaria, una figura emblematica della storia della nostra Repubblica, il socialista Giacomo Brodolini, uno dei padri dello Statuto dei lavoratori, diventato Ministro del lavoro. Ebbene, questo Ministro amava dire di essere Ministro dei lavoratori, non del lavoro. E voi, con il Jobs Act, di chi siete rappresentanti?

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Organizzazione dei tempi di esame di mozioni.

PRESIDENTE. Avverto che nell'Allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna sarà pubblicato lo schema recante l'organizzazione dei tempi per l'esame delle mozioni Quartapelle Procopio ed altri n. 1-01714 e Rondini ed altri n. 1-01715, concernenti la candidatura di Milano quale sede dell'Agenzia europea per i medicinali, e della mozione Martelli ed altri n. 1-01716, concernente iniziative per prevenire e contrastare la violenza contro le donne (Vedi l'allegato A).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

      Lunedì 2 ottobre 2017, alle 12:

1.      Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

D'INCECCO ed altri: Disposizioni per il coordinamento della disciplina in materia di abbattimento delle barriere architettoniche. (C. 1013-A)

e dell'abbinata proposta di legge: DORINA BIANCHI. (C. 1577)

Relatrice: BRAGA.

2.      Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

S. 57 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: AMATI ed altri: Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo (Approvata dalla 6ª Commissione permanente del Senato). (C. 4096)

Relatore: GINATO.

3.      Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

S. 580-B - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: FALANGA ed altri: Disposizioni in materia di criteri per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi (Approvata dal Senato, modificata dalla Camera e nuovamente modificata dal Senato). (C. 1994-B)

Relatori: SARRO E DI LELLO.

La seduta termina alle 10,40.