XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 9 ottobre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


      La XII Commissione,

          premesso che:

              il rischio di sviluppare alcuni tumori, in particolare alla mammella e all'ovaio aumenta sensibilmente in presenza di alcuni tipi di varianti patogenetiche (nel gergo comune «mutazioni») a carico dei geni BRCA1/BRCA2 (collettivamente geni BRCA);

              si stima che circa il 5-10 per cento dei tumori della mammella e circa il 10-20 per cento dei tumori ovarici riconoscano una base di predisposizione ereditaria, di cui i geni BRCA rappresentano la frazione più rilevante;

              pur rappresentando una percentuale non elevata di tutte le forme tumorali che interessano questi organi, si tratta tuttavia di situazioni che hanno un impatto importante sia clinico sia sociale e pertanto meritano un'attenzione particolare e necessitano di dedicati percorsi multidisciplinari per la valutazione dei singoli casi, la pianificazione di interventi terapeutici mirati e la definizione di strategie di sorveglianza e di prevenzione differenziate rispetto a quelle previste per la popolazione generale;

              le donne portatrici di una mutazione ereditabile a carico del gene BRCA 1 hanno circa il 60 per cento di probabilità (contro il 10 per cento della popolazione generale) di sviluppare un tumore mammario e circa il 60 per cento (rispetto all'1-2 per cento della popolazione generale) di ammalarsi di tumore ovarico nell'arco della loro vita. Nel caso di mutazione del gene BRCA2, le percentuali sono simili per quanto riguarda il tumore mammario ed inferiori per quanto riguarda quello ovarico (circa 20 per cento);

              i test BRCA rappresentano un prezioso strumento per identificare la presenza di eventuali situazioni di alto rischio genetico nelle pazienti con tumore della mammella o dell'ovaio e in donne sane giovani. In linea con le raccomandazioni delle principali società scientifiche, i test BRCA dovrebbero dunque essere un'opportunità garantita a tutte le donne che ne potrebbero beneficiare al fine sia di individuare le terapie personalizzate più appropriate e dunque più efficaci nel caso di carcinoma mammario e/o ovarico già diagnosticato, sia di far adottare le opportune misure di prevenzione alle donne sane che risultassero BRCA-mutate;

              attualmente l'accesso a questi tipi di test non rappresenta un diritto omogeneamente garantito in tutte le regioni italiane, con marcate differenze interregionali e addirittura nell'ambito della medesima regione;

              la disomogeneità e gli ostacoli all'accesso al test genetico BRCA sono al centro del progetto dell'Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda) avviato nel 2016 con la realizzazione di quattro indagini sul test BRCA nel carcinoma ovarico che hanno coinvolto medici oncologi, pazienti e familiari;

              le indagini hanno restituito una fotografia che ben evidenzia forti disparità in termini di opportunità di prevenzione e cura per le donne e i loro familiari e che ha rappresentato lo spunto per intraprendere un'attività istituzionale finalizzata a sensibilizzare le istituzioni sul tema e sollecitare la promozione di interventi concreti;

              esistono in Italia diverse realtà che si occupano di questa problematica da anni e che possono rappresentare l'ossatura di una rete nazionale necessaria per realizzare le azioni che consentano di rispondere in maniera corretta ai bisogni delle persone che potrebbero beneficiare del test BRCA;

              rispondere in maniera corretta significa assicurare che tutte le regioni garantiscano un accesso equo e tempestivo al test all'interno delle strutture sanitarie, con percorsi identificati, chiari e condivisi per permettere un'adeguata presa in carico delle persone che accedono al test,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per garantire, in collaborazione con le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, a tutte le pazienti, indipendentemente dalla regione di appartenenza, preventivamente acquisiti i pareri tecnici del Consiglio superiore di sanità e dell'Istituto superiore di sanità, un accesso omogeneo ed equo al test BRCA e alle cure per le donne affette da carcinoma ovarico e/o mammario, e ai percorsi di prevenzione sia per queste donne sia per le donne sane risultate BRCA-mutate;

          ad assumere iniziative per assicurare l'introduzione del test BRCA nei livelli essenziali d'assistenza nonché una loro corretta gestione nelle strutture del servizio sanitario nazionale, affinché anche in Italia si possa avviare un programma nazionale di genetica oncologica per le forme di predisposizione ai tumori dell'ovaio e della mammella, che coordini ed integri i piani regionali previsti dal Piano nazionale della prevenzione 2014-2018;

          ad adottare iniziative per garantire le risorse economiche e finanziarie necessarie per la promozione e l'inserimento all'interno del servizio sanitario nazionale di tale programma.
(7-01360) «Lenzi, Ghizzoni, Paola Bragantini, Burtone, Grassi, Amato, Casati, Piazzoni, Paola Boldrini, Giuditta Pini, Miotto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CARLONI, SALVATORE PICCOLO, TINO IANNUZZI, VALIANTE, MANFREDI, VALERIA VALENTE e IMPEGNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          la linea 6 della metropolitana di Napoli è una linea metropolitana a scartamento ordinario che collegherà, a regime, la zona ovest della città (piazzale Tecchio, sito nel quartiere Fuorigrotta) con i quartieri di Mergellina e Chiaia, attestandosi a piazza Municipio, prospiciente il porto. In questa sede, avverrà l'interscambio con la linea 1 della metropolitana, garantendo l'accessibilità, oltre al già citato porto, anche alla stazione centrale ed all'aeroporto, creando un sistema metropolitano integrato e completo, a servizio dell'intera città;

          attualmente, sono in funzione quattro stazioni su otto, per un totale di 2,3 chilometri. Sono in corso i lavori su altri 2,2 chilometri e quattro stazioni. A regime, la linea sarà lunga 5,5 chilometri e conterà otto stazioni. Si prevede l'apertura di tale prolungamento entro il 2019, secondo quanto richiesto dall'Unione europea che, attraverso il fondo di sviluppo regionale (FESR), finanzia parte dell'opera;

          allo stato, la linea è sprovvista di deposito per il ricovero dei treni, e dei necessari tronchini di manovra. I lavori in essere porranno rimedio solo in parte a tale handicap, prevedendo un piccolo deposito presso la stazione Municipio. Ciò costringerà, con tutta probabilità, la futura utenza a tempi d'attesa non in linea con quelli di una linea metropolitana;

          in questo contesto, il comune di Napoli, con delibera di giunta comunale n. 121 del 12 febbraio 2009, prevede il prolungamento della linea 6 della metropolitana di Napoli oltre il capolinea temporaneo di piazzale Tecchio, recependo così le precedenti indicazioni della regione Campania e dell'Ente autonomo Volturno (EAV) finalizzate a migliorare l'accessibilità della zona, nell'ambito del progetto di riqualificazione nell'area ex Italsider di Bagnoli;

          una successiva delibera di giunta comunale n. 1234 del 17 luglio 2009, estende alla realizzazione della tratta della linea 6 «Piazzale Tecchio — deposito/officina di via Campegna — Bagnoli» l'affidamento della concessione ad Ansaldo Trasporti STS s.p.a., ponendo le basi per risolvere il problema del deposito per il ricovero dei treni, e dei necessari tronchini di manovra, nonché del prolungamento verso Bagnoli;

          il progetto preliminare del prolungamento della Linea 6 verso Bagnoli, elaborato dallo studio d'architettura Hitaka di Napoli, è stato approvato dalla Giunta Comunale con delibera n. 1955 del 26 novembre 2009;

          in data 24 aprile 2016 è stato sottoscritto, tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Campania, il «Patto per lo sviluppo della regione Campania», che prevede anche il completamento della Linea 6, per un totale di circa 270 milioni di euro di stanziamenti fra fondi europei e nazionali;

          in data 26 ottobre 2016 è stato sottoscritto, tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la città metropolitana di Napoli, il «Patto per lo sviluppo della Città Metropolitana di Napoli», che prevede nuovi interventi finalizzati al completamento della linea 6 con fondi europei e nazionali;

          in data 18 luglio 2017, viene firmato l'accordo interistituzionale fra Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno regione Campania e comune di Napoli per il risanamento ambientale e la rigenerazione urbana del comprensorio di Bagnoli-Coroglio;

          tale accordo, che include un progetto di massima delle opere da realizzare, prevede una sostanziale modifica del tracciato della linea 6 rispetto a quanto precedentemente progettato ed approvato dal comune di Napoli. Tuttavia, non appaiono chiare le soluzioni tecniche adottate, nonché le necessità finanziarie di questa nuova ipotesi di tracciato;

          ad oggi, non risultano iniziati neanche i lavori verso il necessario deposito di via Campegna primo passo dell'accesso della metropolitana all'area di Bagnoli –:

          se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati e se non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti, per quanto di competenza, al fine di chiarire il futuro sviluppo della linea 6 della metropolitana di Napoli, verificare lo stato dei lavori in essere ed i tempi di completamento e, al contempo, le soluzioni progettuali intraprese per il prolungamento verso Bagnoli.
(5-12399)


      FANUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          la signora Caterina Bellandi, tassista di Firenze, è la fondatrice della Onlus «Milano 25»;

          la Onlus è attiva nel campo della solidarietà ai minori malati a partire da quando, 15 anni fa, la signora Caterina Bellandi ereditò un taxi (chiamato, appunto, «Milano 25») e la licenza dal marito, morto per un tumore;

          da anni ormai la signora Caterina Bellandi, soprannominata affettuosamente «Zia Caterina», alla guida di un taxi colorato, accompagna in giro i bambini malati di Firenze cercando di esaudire i loro desideri e, cosa non facile, di regalare loro un sorriso. Il tutto gratuitamente;

          la Onlus «Milano 25» accompagna i bambini al cinema e a mangiare una pizza e li aiuta a distrarsi dopo difficili sessioni di terapia in ospedale e cerca di esaudire i loro desideri: due anni fa, ad esempio, accompagnò un'amica e la figlia, entrambe malate di melanoma, al concerto di Ligabue a Milano;

          l'attività di beneficenza della signora Caterina Bellandi le è valso il sostegno non solo della città di Firenze, nella quale ormai è famosa e che nel 2007 l'ha nominata «ambasciatrice di solidarietà», ma un po’ di tutta Italia, grazie anche all'interessamento dei giornali e della televisione, nonché alla presenza sulla rete;

          nell'estate 2016, purtroppo, mentre si trovava «in missione» a Pamplona (Spagna), la signora Caterina Bellandi non è stata riconosciuta nella sua veste di «tassista dei bambini», ed è stata quindi fermata dalla polizia spagnola vivendo una spiacevole situazione. Il tutto, per fortuna, senza causare conseguenze alla sua attività –:

          se il Governo non intenda valutare la possibilità di assumere iniziative per istituire l'onorificenza «ambasciatore di solidarietà» da conferire a persone che, come la signora Caterina Bellandi, offrono con grande umanità e instancabile passione, un inestimabile servizio ai bambini (e alle loro famiglie) costretti a vivere il dramma della malattia, posto che tale onorificenza, oltre ad essere un segnale di grande sensibilità e attenzione da parte delle istituzioni su un tema così delicato come quello della malattia nell'età dell'infanzia, potrebbe aiutare ad evitare spiacevoli situazioni come quella capitata alla signora Caterina Bellandi in Spagna.
(5-12401)


      VICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          il giornalista Nazareno Dinoi, dipendente di ruolo dell'asl di Taranto, svolge l'attività sanitaria da 33 anni e negli ultimi 18 anni ha scritto su varie testate giornalistiche occupandosi prevalentemente di cronaca nera e giudiziaria;

          Dinoi è stato sottoposto in pochi mesi a due procedimenti disciplinari da parte della direzione generale dell'azienda sanitaria: il primo concluso con l'allontanamento dal servizio per 30 giorni senza stipendio e il secondo ancora initinere;

          il direttore generale dell'asl di Taranto, Stefano Rossi, dopo averlo fatto sospendere per un mese senza stipendio (marzo 2017) perché l'infermiere-giornalista aveva aperto una partita Iva necessaria per dichiarare i compensi della sua attività di giornalista, ha avviato nei suoi confronti un nuovo provvedimento disciplinare per aver scritto due articoli «dedicati alla Asl». Gli articoli in questione sono i seguenti:

              «Omicidio, cordoglio del sindaco di Taranto. La gestione del pronto soccorso nel mirino», in cui riportava fedelmente (copia-incolla) parti di comunicati stampa sull'argomento, del sindaco di Taranto, dell'interrogante e del consigliere regionale Mino Borraccino;

              «Omicidio in pronto soccorso, la Asl anticipa la difesa», dove dava conto, altrettanto fedelmente, del contenuto di una delibera del direttore generale (pubblicata sul sito istituzionale della asl e quindi accessibile a tutti), con la quale si dava incarico all'ufficio legale interno di predisporsi per una futura costituzione della asl nel processo che si aprirà per la morte dell'anziana signora di cui si trattava nell'articolo;

          l'episodio in questione, riguarda il fatto di cronaca avvenuto il mese di agosto 2017 al pronto soccorso del Santissima Annunziata di Taranto, dove uno squilibrato, che è stato poi arrestato, ha aggredito un'anziana ricoverata uccidendola. Una notizia terribile riportata da tutti i giornalisti, su tutti i giornali e da tutte le agenzie anche nazionali, compreso dal Dinoi;

          secondo il direttore dell'Asl, il dipendente giornalista non avrebbe dovuto scrivere gli articoli perché sarebbe stato autorizzato a svolgere solo attività di collaborazione con giornali, riviste, enciclopedie e simili (che è poi un diritto sancito dal decreto legislativo n. 165 del 2001, articolo 53), con esclusione di contenuti dedicati all'asl di Taranto;

          l'articolo 21 proclama che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»;

          il precetto deontologico del giornalista (Diritti e doveri della legge professionale n. 69 del 1963), all'articolo 2, recita «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d'informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede»;

          la legge sul pubblico impiego regola e limita le seconde attività, ma fra queste, quella di giornalista esula dai divieti imposti –:

          di quali elementi disponga il Governo in ordine a quanto riportato in premessa e se non ritenga di valutare l'opportunità di iniziative normative volte a garantire il più ampio diritto-dovere di cronaca, anche in raccordo con i vertici degli ordini professionali, alla luce delle vicende di cui in premessa.
(5-12405)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          a Gioia Tauro, sono finiti in manette alcuni imprenditori della zona ed il boss Gioacchino Piromalli che risulta «avesse le mani» sul depuratore e sul termovalorizzatore. Nell'inchiesta è indagato pure il boss di Siderno Giuseppe Commisso, già detenuto. «L'indagine “Metauros” – afferma il procuratore De Raho – ha disvelato che la ’ndrangheta controlla sostanzialmente il termovalorizzatore sin dalla costruzione, dalla successiva gestione con l'inserimento di imprese per la manutenzione». Gli investigatori sono riusciti a ricostruire come tutto si muoveva ed era finalizzato a vantaggio della cosca Piromalli: «Gli indagati – aggiunge il procuratore – avevano creato un meccanismo di imprese di trasporto dei rifiuti dai luoghi di raccolta (Crotone, Sambatello, Siderno) che attraverso la sovrafatturazione dei costi riuscivano a coprire la tangente che spettava alla ’ndrangheta. Sia quella dei Piromalli che quella dei Commisso di Siderno»;

          da notizie a mezzo stampa si apprende che: oltre ad imprenditori e alle ben note cosche è finito in manette «l'ex sindaco di Villa San Giovanni, Rocco La Valle, reale patron della ditta di famiglia che si occupava dei trasporti su gomma, considerato “collettore” delle tangenti e unico interlocutore delle cosche “beneficiarie” delle estorsioni imposte alle società che hanno gestito nel corso del tempo il termovalorizzatore di Gioia Tauro. Ma fra i fermati c'è anche Giuseppe Luppino, presidente del consiglio d'amministrazione di “Piana Ambiente s.p.a.” nonché consulente esterno dell'ufficio legale del commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Calabria, considerato dagli inquirenti il politico di riferimento dei Piromalli»;

          la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha eseguito un decreto di sequestro preventivo d'urgenza relativo alle quote azionarie della «Iam», la «Iniziative Ambientali Meridionali Spa» che, a ridosso del porto di Gioia Tauro, gestisce da molti anni il depuratore. Anche qui, il meccanismo era lo stesso: «Quello della sovrafatturazione dei costi – ribadisce Cafiero – finalizzata a coprire il peso della tangente da dare ai clan»;

          nell'inchiesta è emerso l'interessamento della cosca Piromalli non solo nel riscuotere la mazzetta dagli imprenditori che operano nel suo territorio, ma anche nella trasformazione illegale degli scarti industriali in fertilizzanti. «Abbiamo scoperto – spiega il procuratore Cafiero de Raho – che i fanghi industriali che dovevano essere smaltiti venivano venduti a imprese compiacenti che li trasformavano in fertilizzanti. Si tratta di un'operazione estremamente pericolosa per la salute dei cittadini, le cui ricadute sono ancora in via di valutazione». Nell'affare erano coinvolte ditte calabresi e siciliane, oggi tutte finite sotto sequestro preventivo e urgente, in alcuni casi già coinvolte o lambite da inchieste antimafia. «Non appena le misure nei loro confronti venivano annullate o perdevano di efficacia – commenta con preoccupazione Cafiero de Raho – quelle imprese ricominciavano a fare esattamente quello che veniva loro imputato e non si è riusciti a provare. Si tratta di un dato preoccupate e che deve far riflettere»;

          fermo restando che sarà la magistratura ad accertare gli illeciti da perseguire – tra i reati contestati associazione mafiosa, concorso esterno con la ’ndrangheta, estorsione e intestazione fittizia di bene aggravata dalle modalità mafiose – è più che evidente che si è in presenza di una vicenda molto grave dal punto di vista politico ed amministrativo della quale devono essere informati i cittadini di Gioia Tauro la cui salute potrebbe, altresì, essere stata messa seriamente a rischio dalla trasformazione illegale degli scarti industriali in fertilizzanti –:

          di quali elementi informativi disponga il Governo con riferimento alla richiamata vicenda e se non ritenga opportuno che vengano svolte, per quanto di competenza, delle verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di tutelare il diritto alla salute dei cittadini delle aree coinvolte.
(4-18083)


      TAGLIALATELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          per il 14 ottobre 2017 è previsto un attesissimo incontro calcistico allo stadio Olimpico tra la squadra della Roma e quella del Napoli;

          nel recente passato, ed in modo particolare dopo i luttuosi eventi del maggio 2014 in occasione della finale di coppa Italia, è stato vietato l'accesso ai tifosi del Napoli in occasioni di incontri con la società sportiva Roma;

          a causa della rivalità sportiva esistente tra la squadra della Roma e quella del Napoli tale gara è molto sentita da entrambe le tifoserie che vorrebbero poter prendere parte all'evento in questione;

          il recente incontro di calcio disputato nella stessa capitale, in orario serale, tra Lazio e Napoli ha fatto registrare una ottima riuscita in termini di ordine pubblico e sicurezza;

          per la suddetta gara tra Roma e Napoli, allo stato attuale l'Osservatorio sulle manifestazioni sportive ha previsto che non sia possibile l'acquisto dei ticket d'ingresso per tutti i cittadini residenti sul territorio della regione Campania, creando in questo modo una incredibile e irragionevole divisione tra gli stessi tifosi napoletani, in quanto lascerebbe la possibilità di assistere all'incontro calcistico a quanti risiedono in altre regioni;

      tale decisione, se fosse confermata, determinerebbe, secondo l'interrogante, non solo una chiara discriminazione di carattere territoriale e contraddicendo lo spirito sportivo di tutte le competizioni e le manifestazioni, che dovrebbero sempre mirare a favorire l'incontro tra persone e culture diverse, ma soprattutto realizzerebbe i presupposti di una situazione illegittima –:

          se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere con riferimento alla predetta scelta dell'Osservatorio sulle manifestazioni sportive, che, penalizzando territorialmente gli abitanti di una intera regione, porrebbe in atto quello che all'interrogante appare un odioso comportamento discriminatorio.
(4-18089)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:

          a Bergamo, tra il 2003 e il 2004 (sindaco Veneziani, giunta di centrodestra), venne proposta la costruzione del parcheggio «La Fara» accostato alle mura Veneziane che prevedeva uno sbancamento collinare atta a realizzare un parcheggio di 9 piani per poi ricoprirlo. La funzione sarebbe stata quella di portare le auto in città alta, dopo che era stato riqualificato il parco ex faunistico con una spesa intorno ai 700.000 euro, successivamente sventrato per far posto al parcheggio;

          la concessione venne data a Bergamo parcheggi (BP), società mista tra privati (70 per cento) e ATB (30 per cento), partecipata del comune di Bergamo che si occupa di mobilità. Nell'accordo è previsto che BP gestirà il parcheggio per 29 anni, e potrà vendere alcuni dei 460 posti auto realizzati; fino al giorno del collaudo dell'opera introietterà i fondi derivanti da tutti i parcheggi blu lungo le mura; il comune, dal canto suo, parteciperà con una quota della spesa pari a 1.700.000 euro;

          nel 2008 con la giunta Bruni (di centrosinistra) partono i lavori di costruzione. Risulta agli interpellanti che analisi geologiche apparivano carenti: queste prevedevano l'ancoraggio con dei tiranti alle fondamenta delle case confinanti, lasciando i proprietari all'oscuro delle opere succitate, fino a quando gli stessi proibirono la continuazione delle opere appena citate. BP citò in giudizio i suddetti proprietari. Il tribunale respinse con perdite il ricorso:

          intanto, Locatelli, impresa che doveva realizzare l'opera, aveva cominciato a sbancare la collina. Nel dicembre 2008, dopo nemmeno tre mesi dall'inizio dei lavori, si verificarono due frane;

          tecnici e geologi rilevarono il rischio di crollo di un bastione della Rocca, la Casa della Marchesa, il chiostro di San Francesco, ma nessuno si premurò di avvisare i residenti confinanti. Anzi, furono questi, il giorno successivo alla frana, ad avvertire i vigili che «sta venendo giù tutto». Nella realtà dei fatti, Bergamo Parcheggi sapeva che si stavano verificando smottamenti fin dall'inizio dei lavori, avendo fatto posizionare sensori appositi per queste rilevazioni, e «movimenti anomali» erano stati rilevati fin dal 6 dicembre 2008;

          il primo contributo da 300.000 euro che il comune ha deliberato di versare datava 10 dicembre 2008;

          venne ordinato alla Locatelli di tamponare il movimento franoso con l'apporto di 25 mila metri cubi di terra da scavo. Locatelli invece che terra da scavo portò materiale inidoneo e contenente rifiuti, fatti che hanno portato alla condanna in primo grado del 13 settembre 2017 per «discarica abusiva»;

          il «terreno» inquinato ancora in sede a reggere la Rocca, con il rischio di inquinamento della falda acquifera sottostante;

          BP sospese i lavori. La giunta Tentori (centrodestra) intimò in un paio di lettere di continuare i lavori, ma nulla si mosse;

          l'attuale sindaco Gori, in ottobre 2016 fece una transazione con BP in cui venne in pratica rinnovato l'accordo iniziale, facendo tabula rasa delle penali da ritardo che BP avrebbe dovuto versare al comune con elementi migliorativi per BP;

          ad oggi non risultano confronti con la cittadinanza in consiglio comunale come chiesto dal M5S;

          Gori sostenne la sua scelta con il rischio di «penali stellari» da parte del comune. Nella convenzione però, a quanto risulta agli interpellanti, non c'era traccia di penali (se non a carico di BP);

          Gori sostenne di avere ricevuto un parere al riguardo da parte dell'avvocatura comunale, ma ad una richiesta di accesso agli atti l'avvocatura comunale rispose di «non avere mai dato un parere sull'argomento»;

          dal 2004 ad oggi BP ha continuato ad introitare le risorse dei parcheggi blu lungo le mura; secondo quanto riportato da un articolo del quotidiano Avvenire dell'8 ottobre 2017, le strisce blu «già peraltro “regalate” fin dal 2004 a Bergamo Parcheggi» costituiscono, «secondo un parere ministeriale del 2006, “un'anomala fonte di reddito” che finora ha fruttato almeno 2 milioni e mezzo»;

          ora l'appalto è stato assegnato alle ditte Collini (già condannata per corruzione e turbativa d'asta) e Seik, che dovrà realizzare una teleferica temporanea per portare a valle il materiale di scavo. Nel bando di gara non si fa riferimento ai rifiuti speciali (25.000 metri cubi) che non possono essere trattati come materiale di scavo e comportano dei costi di smaltimento importanti;

          le perizie geologiche e i progetti sono tuttora assolutamente carenti: manca, ad esempio, tutto il fronte est confinante con abitazioni;

          il comune ha imposto a BP di consegnare l'opera finita entro 22 mesi. BP ha ritenuto i tempi troppo stretti, ma ha accettato, richiedendo di poter lavorare anche di notte con una deroga alle immissioni rumorose fino ad 85 db dalle 7.00 del mattino alle 21.00. I residenti dovrebbero sopportare tale incredibile livello di rumorosità per almeno 16 ore al giorno –:

          se il Governo intenda promuovere una verifica da parte del Comando dei carabineri per la tutela dell'ambiente in relazione agli aspetti di verosimile grave rischio idrogeologico e ambientale legati al progetto in questione e alla presenza abusiva di rifiuti;

          se intenda valutare se sussistano i presupposti per avviare una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato in relazione alle criticità amministrativo-contabili connesse al progetto di cui in premessa da realizzarsi nel territorio del comune di Bergamo;

          quali iniziative di competenza si intendano assumere in relazione ai gravi rischi per la sicurezza dei cittadini e per una pregevole area urbana che comprende le Mura Veneziane di recente inserite tra i beni tutelati dall'Unesco.
(2-01969) «Zolezzi, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Terzoni, Vignaroli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

          la legge quadro n. 157 del 1992, come si evince dalla lettura dell'articolo 1, comma 3, ha affidato alle regioni a statuto ordinario (come la Calabria), il compito di emanare norme relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica;

          scopo principale della legge n. 157 del 1992 – che abroga espressamente la normativa precedente (legge 27 dicembre 1977, n. 968), garantendo una maggior tutela della conservazione della fauna selvatica rispetto alla protezione degli interessi venatori – è quello di contemperare tre diversi interessi e precisamente la tutela e la conservazione della fauna selvatica, la protezione degli interessi legati all'attività venatoria e la difesa degli interessi legati alla produzione agricola;

          nella pianificazione faunistico-venatoria la regione, ai sensi dell'articolo 10, comma 10, lettera c), si provvede alla «redazione del cosiddetto piano faunistico regionale di cui all'articolo 10, comma 12, e all'articolo 14 della citata legge quadro n. 157 del 1992. Tale piano determina i criteri per l'individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale»;

          il piano faunistico-venatorio regionale è predisposto dalla giunta regionale mediante il coordinamento dei piani faunistici-venatori provinciali, è approvato dal consiglio regionale su proposta della giunta regionale, sentita la Consulta faunistica venatoria regionale, ha durata quinquennale e può essere aggiornato anche prima della scadenza su richiesta di una o più province se le situazioni ambientali e faunistiche sulla base delle quali è stato elaborato subiscono sensibili variazioni;

          in Calabria, attraverso la legge regionale 30 maggio 2013, n. 26, è stato aggiunto il comma 4-bis che permette al piano faunistico-venatorio regionale di conservare la propria efficacia anche dopo la scadenza del termine quinquennale sino all'approvazione del nuovo piano. Con questa modifica normativa la regione Calabria, ad avviso dell'interrogante, non aggiorna il proprio piano dal 2003 incidendo in modo negativo proprio sui livelli minimi di tutela dell'ambiente, materia riservata allo Stato;

          il nuovo collegato ambientale, all'articolo 7, comma 1, prevede il divieto di immissione di cinghiali su tutto il territorio nazionale, ad eccezione delle aziende faunistico venatorie e delle aziende agrituristico venatorie adeguatamente recintate, mentre al comma 2 prevede il divieto del foraggiamento di cinghiali, ad esclusione di quello finalizzato alle attività di controllo. Per la violazione dei due divieti in esame, le due disposizioni prevedono la sanzione di cui all'articolo 30, comma 1, lettera l), della legge n. 157 del 1992;

          il piano faunistico venatorio regionale (Pfvr) è uno strumento di pianificazione che ha l'obiettivo di mantenere e aumentare la popolazione di tutte le specie di mammiferi e uccelli che vivono naturalmente allo stato selvatico in Calabria, sviluppando anche una gestione della caccia sempre più adeguata alle conoscenze ecologiche e biologiche

          il Pfvr risulta superato da troppi anni, anche alla luce dei recenti fenomeni naturali e umani che hanno modificato lo stato dei luoghi e la presenza di tutta la fauna selvatica, come siccità, grossi incendi boschivi ed altro. Per garantire la tutela della biodiversità animale e vegetale occorre un monitoraggio per la tutela delle specie a rischio e per il controllo numerico delle specie problematiche, altrimenti ogni decisione intrapresa risulterà di scarsa efficacia –:

          se il Governo non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza, se del caso normative, affinché i piani faunistici venatori siano costantemente aggiornati, alla luce di quanto evidenziato in premessa e considerato altresì il fatto che l'emergenza cinghiali sta arrecando ingenti danni alle coltivazioni, in modo tale da evitare, al contempo, che l'inosservanza delle norme comunitarie possa comportare l'avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia con conseguente danno erariale.
(5-12403)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TRIPIEDI, VILLAROSA, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, PESCO, CASO, ALBERTI, NESCI, COZZOLINO, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, VALLASCAS, BARONI, BASILIO e CORDA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

          con l'applicazione del decreto legislativo n. 178 del 2012 si sta proseguendo il processo di privatizzazione della Croce rossa italiana sul quale di recente è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale da parte del Tar del Lazio, risulta essere incostituzionale. Tale processo ha favorito la messa in mobilità dei lavoratori ex CRI;

          l'articolo 1, comma 397 della legge n. 208 del 2015, ha stabilito che le regioni debbano essere responsabili dei soccorritori della ex CRI transitati in mobilità non volontaria. Ciò è accaduto ad eccezione della regione Lombardia che, tramite la direzione generale welfare, ha demandato tali compiti all'Azienda regionale emergenza urgenza;

          gli oltre 220 soccorritori lombardi hanno dapprima sostenuto un colloquio conoscitivo con una commissione dirigenziale dell'Areu e poi, nella maggior parte dei casi, sono stati assegnati in aziende sanitarie a svolgere attività che si discostano da ciò che essi stessi avevano indicato e/o che avrebbero voluto svolgere. Si cita ad esempio il fatto che alla maggior parte di essi sia stata negata la possibilità di svolgere la mansione di autisti soccorritori in cambio di nuove attività a loro assegnate e correlate alle effettive esigenze di ogni singola azienda socio-sanitaria territoriale;

          in data 16 gennaio 2017, dopo un incontro sindacale tra i componenti dell'assessorato al welfare di regione Lombardia e le organizzazioni sindacali del comparto sanità pubblica, veniva siglato un accordo che prevedeva per i lavoratori, dietro specifica indicazione del Ministero della pubblica amministrazione, che venisse «garantito il mantenimento del trattamento economico ed inquadramento in godimento al momento del perfezionamento del trasferimento in base al CCNL enti pubblici non economici CRI, così come debitamente certificato dall'Ente Strumentale alla CRI». Tale decisione ha determinato il fatto che i fondi stanziati dal Ministero dell'economia e delle finanze e certificati da ESaCRI, non risultino essere sufficienti a coprire le indennità orarie dei lavoratori. La regione Lombardia ha negato la volontà di richiedere al Ministero dell'economia e delle finanze un nuovo conteggio dei fondi erogati nonostante risultino palesi anomalie;

          da settembre 2017, a diversi lavoratori del settore è stata sottoposta la sottoscrizione di un contratto individuale di lavoro nonostante l'assegnazione avvenuta il 1° gennaio 2017. In tale contratto era previsto il pagamento della parte dello stipendio tabellare di base come indicato nell'accordo e nelle normative del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, mentre, per la restante parte relativa al pagamento delle indennità per lavoro notturno, festivo e straordinario, è stata prevista l'erogazione secondo i contratti del Contratto collettivo nazionale del lavoro Sanità anche a seguito della delibera di giunta regionale n. 6960 del 31 luglio 2017 derivante da un accordo firmato da una sola organizzazione sindacale;

          con l'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 giugno 2015 e la sopraindicata delibera di giunta regionale, i lavoratori lombardi hanno visto una riduzione degli stipendi, aspetto che ha portato forti perplessità per il loro futuro professionale. Con il sostegno di alcuni sindacati, hanno reclamato disposizioni che definiscano l'inquadramento professionale e i conseguenti trattamenti economici, sia di base che accessori. Nel caso venissero completamente inquadrati nel comparto sanità, i lavoratori hanno chiesto un livello economicamente adeguato e non come ad inizio carriera, come per loro si prospetta in questa evenienza a seguito dell'esiguità dei fondi. Hanno richiesto anche la possibilità che le loro competenze stipendiali vengano gestite in maniera più trasparente direttamente dal Ministero dell'economia e delle finanze così come fatto nell'ultimo biennio fino al 31 dicembre 2016, a differenza di quanto accade ora, situazione in cui il Ministero dell'economia e delle finanze versa gli stipendi alla regione Lombardia che li invia ad Areu che, a sua volta, li eroga ad ogni singola azienda socio-sanitaria territoriale di competenza che, in ultimo, li liquida ai lavoratori –:

          se il Governo non intenda assumere iniziative normative volte a provvedere l'erogazione degli stipendi per i lavoratori della ex CRI, in maniera diretta da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e senza ulteriori intermediari;

          se non intenda assumere iniziative normative volte a favorire un ritorno degli emolumenti stipendiali ai livelli precedenti all'adozione del decreto legislativo n. 178 del 2012, modificato dalla legge n. 208 del 2015, riguardanti la riorganizzazione della Croce rossa italiana.
(5-12406)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          da notizie di stampa e secondo l'allarme lanciato dalla Cgil e dalla Fiom di Ravenna, si apprende che l'azienda Cosmi avrebbe perso l'appalto con Eni per la manutenzione delle piattaforme offshore nel mare Adriatico, un sodalizio che durava da 25 anni, e che dunque si sarebbe in attesa di un'azienda subentrante;

          Eni, come noto, è controllata sia direttamente che indirettamente (tramite Cassa depositi e prestiti spa) dal Ministero dell'economia e delle finanze;

          Cosmi impiega attualmente un centinaio di lavoratori nelle piattaforme denominate Campo 1 e Campo 2 situate nel mare Adriatico tra Ravenna e Fano – di questi lavoratori 55 sono in turnazione, dai 12 ai 20 in manutenzione straordinaria, oltre a un rilevante numero di impiegati – ed è sulla sorte di queste persone che si addensano le preoccupazioni maggiori –:

          se siano a conoscenza dei motivi della rottura del sodalizio tra Eni e Cosmi, giacché le testimonianze riportano un operato all'insegna della qualità e della sicurezza del e sul lavoro, in un comparto notoriamente delicato e pericoloso;

          quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per garantire la continuità occupazionale a tutti i lavoratori, con il pieno mantenimento di livelli retributivi, garanzie e diritti.
(4-18082)


      RICCIATTI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, NICCHI, BOSSA, SCOTTO, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO, D'ATTORRE, CARLO GALLI, FOLINO, FRANCO BORDO, KRONBICHLER, ZARATTI, FORMISANO, ALBINI, MURER e LACQUANITI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          il 1o febbraio 2014 veniva assegnato alla Rete temporanea d'imprese Ma.Ca.-Servizi Generali-Smeraldo il Lotto 5 (Frosinone-Latina) della convenzione Consip scuole per i servizi di pulizia, ausiliariato e di ripristino del decoro delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. Da allora i circa 600 lavoratori, che in media percepiscono 500-600 euro al mese, vivono una situazione di grave precarietà per le erogazioni delle retribuzioni ritardate, decurtate o non pagate affatto, per la mancata consegna dei contratti di lavoro, per l'assenza degli adempimenti sulle norme di sicurezza e per l'utilizzo, per i lavori di decoro, di personale esterno;

          RTI Ma.Ca.-Servizi Generali-Smeraldo, a quanto risulta agli interroganti, non avrebbe nemmeno rispettato gli accordi governativi sottoscritti con le associazioni datoriali e i sindacati Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltrasporti-UIL, a cui si era giunti per dare una risposta sociale a tutte le migliaia di lavoratori cosiddetti «ex lsu e appalti storici», di cui sono parte anche i dipendenti della Rti, per sanare il taglio del 70 per cento del loro impiego e dunque dello stipendio, a seguito dell'avvio della convenzione Consip;

          a tale situazione le organizzazioni sindacali e i lavoratori hanno risposto con denunce, scioperi, segnalazioni e la richiesta di avvio della procedura di messa in fallimento, rivolgendosi alla Consip, al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per l'estromissione della Rti che ancora gestisce e resta assegnataria del lotto 5;

          tutto il 2016 ha visto la perpetuazione di quanto contestato e solo a ridosso del rinnovo della Convenzione Consip scuole le imprese della Rti hanno regolarizzato le posizioni nei confronti dei lavoratori, relative all'anno 2014-2015, onde evitare di perdere la convenzione. Ma dopo un mese dal rinnovo, Ma. Ca.-Servizi Generali-Smeraldo non solo riprendevano il medesimo comportamento di prima, ma addirittura recuperavano dai propri dipendenti le somme liquidate per la regolarizzazione degli anni 2014-2015 –:

          quali iniziative si intendano avviare al fine di salvaguardare le condizioni lavorative e i livelli occupazionali dei lavoratori di cui in premessa.
(4-18087)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


      GIANLUCA PINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          risulta alquanto discutibile, a parere dell'interrogante, la comunicazione del Ministero della giustizia del 18 agosto 2017 prot. 0035462 in riferimento ai contributi da versare agli enti pubblici che sino al 2015 sono stati sede di uffici giudiziari, con riguardo alla decisione di corrispondere solo una parte della somma (pari ad una cifra molto modesta) e peraltro in rate trentennali a partire dal 2017 con termine 2046;

          nello specifico, si fa riferimento ai comuni di Faenza e di Imola a cui verrebbero riconosciuti, rispettivamente, solo per 60.171,47 e per 70.110,67; pertanto, la maggior parte della somma rimarrebbe a carico del comune;

          i predetti comuni hanno anticipato per conto dello Stato – ai sensi della legge 392 del 1941 – le spese di funzionamento degli uffici giudiziari soppressi, per effetto del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, dal Governo Monti;

          la vicenda dei rimborsi delle spese sostenute per il funzionamento degli uffici giudiziari, come nel caso dei citati comuni di Faenza e di Imola, è stata regolata da ultimo dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017 (in Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 2017), e dalla relativa nota del Ministero della giustizia del 10 agosto 2017 prot. 151185.U;

          ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato, si subordina il riconoscimento e la corresponsione delle somme stabilite dalla tabella allegata a detto decreto (e comunque a parziale copertura delle spese sostenute) e alla presentazione da parte dell'amministrazione comunale di un formale atto di rinuncia a proseguire le azioni pendenti, nonché eventualmente a porre in esecuzione titoli esecutivi di pagamento ovvero alla formale dichiarazione di inesistenza di giudizi o procedure esecutive pendenti;

          la nota del Ministero della giustizia (10 agosto 2017 prot. 151185.U) invita a presentare la documentazione per ottenere il rimborso entro e non oltre il 30 settembre 2017, termine ultimativo e «perentorio» non previsto né dalla norma primaria (commi 433, 438 e 439 dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232) né dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola, e pertanto non può che esser inteso come termine arbitrario e privo di ogni pregio giuridico;

          di recente, si è espresso il Tar Lazio in ordine al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola (ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017), e alla nota del Ministero 10 agosto 2017 prot. 151185.U, con specifico riferimento alla questione (termine ultimativo e «perentorio» per presentare la documentazione ai fini di ottenere il rimborso, adeguatezza dei rimborsi riconosciuti e congruità della rateizzazione trentennale), accogliendo l'istanza cautelare, in relazione al fatto che la disposizione è lesiva del diritto di difesa e ritenendolo pertanto illegittimo –:

          se il Ministro non intenda assumere iniziative per procedere alla refusione totale delle spese sostenute fino al 2015 dai comuni sede di uffici giudiziari, e nello specifico ai comuni di Faenza e Imola, provvedere, per quanto di competenza, a rimodulare la rateizzazione del rimborso affinché lo stesso sia contenuto e comunque non superiore a 5 anni;

          se intenda assumere iniziative, anche mediante una nota, che recepiscano quanto stabilito dal Tar Lazio con l'ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017, eliminando ogni indicazione che si riferisca ad un termine perentorio del 30 settembre 2017, ai fini della presentazione da parte dei comuni della documentazione per ottenere il rimborso.
(4-18080)


      FEDRIGA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          appare oltremodo assurda la comunicazione del Ministero della giustizia del 18 agosto 2017 prot. 0035462 in riferimento ai contributi da versare agli enti pubblici che sino al 2015 sono stati sede di uffici giudiziari, con riguardo alla decisione di corrispondere solo una parte della somma (pari ad una cifra molto modesta) e peraltro in rate trentennali a partire dal 2017 con termine 2046;

          nello specifico, si fa riferimento ai comuni di Cividale del Friuli, di Palmanova e di San Vito al Tagliamento a cui verrebbero riconosciuti, rispettivamente, solo per 41.432,09, per 33.457,29 e per 21.648,33, e pertanto la maggior parte della somma rimarrebbe a carico del comune;

          i predetti comuni hanno anticipato per conto dello Stato – ai sensi della legge n. 392 del 1941 – le spese di funzionamento degli uffici giudiziari soppressi per gli effetti del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, dal Governo Monti;

          la vicenda dei rimborsi delle spese sostenute per il funzionamento degli uffici giudiziari, come nel caso dei citati comuni di Cividale del Friuli, Palmanova e San Vito al Tagliamento, è stata regolata da ultimo dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017 (in Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 2017), e dalla relativa nota del Ministero della giustizia del 10 agosto 2017 prot. 151185.U; ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato, si subordina il riconoscimento e la corresponsione delle somme stabilite dalla tabella allegata a detto decreto (e comunque a parziale copertura delle spese sostenute) e alla presentazione da parte dell'amministrazione comunale di un formale atto di rinuncia a proseguire le azioni pendenti, nonché eventualmente a porre in esecuzione titoli esecutivi di pagamento, ovvero formale dichiarazione di inesistenza di giudizi o procedure esecutive pendenti;

          la nota del Ministero della giustizia (10 agosto 2017 prot. 151185.U) invita a presentare la documentazione per ottenere il rimborso entro e non oltre il 30 settembre 2017, termine ultimativo e «perentorio» non previsto né dalla norma primaria (commi 433, 438 e 439, dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232) né dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola, e pertanto non può che esser inteso come termine arbitrario e privo di ogni pregio giuridico;

          di recente, si è espresso il Tar Lazio in ordine al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola (ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017), e alla nota del Ministero 10 agosto 2017 prot. 151185.U, con specifico riferimento alla questione (termine ultimativo e «perentorio» per la presentare la documentazione ai fini di ottenere il rimborso, adeguatezza dei rimborsi riconosciuti e congruità della rateizzazione trentennale), accogliendo l'istanza cautelare in relazione al fatto che la disposizione è lesiva del diritto di difesa e ritenendolo pertanto illegittimo –:

          se il Ministro non intenda assumere iniziative per procedere alla refusione totale delle spese sostenute fino al 2015 dai comuni sede di uffici giudiziari, e nello specifico ai comuni di Cividale del Friuli, di Palmanova e di San Vito al Tagliamento, provvedere, per quanto di competenza, a rimodulare la rateizzazione del rimborso affinché lo stesso sia contenuto e comunque non superiore a 5 anni;

          se intenda assumere iniziative, anche mediante una nota, che recepiscano quanto stabilito dal Tar Lazio con l'ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017, eliminando ogni indicazione che si riferisca ad un termine perentorio del 30 settembre 2017, ai fini della presentazione da parte dei comuni della documentazione per ottenere il rimborso.
(4-18081)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GINEFRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          il traffico passeggeri e di movimentazione merci tra il porto di Durazzo e il porto di Bari è in costante aumento negli ultimi anni e ha raggiunto il suo picco più alto durante l'estate quando gli emigranti albanesi, per le vacanze, rientrano da tutta Europa con oltre 5 mila partenze giornaliere mentre su base annua si sfiora il milione di passeggeri;

          negli ultimi due anni si è registrato un sensibile aumento del turismo italiano in Albania e nel corso dell'ultima stagione estiva sono stati migliaia — come ampiamente riportato dai media italiani e albanesi — gli italiani che hanno raggiunto partendo proprio da Bari i principali luoghi di vacanza in Albania;

          il Governo della Serbia ha annunciato in più occasioni che, con il completamento della nuova autostrada che collegherà Belgrado a Durazzo i traffici commerciali del Paese ritorneranno in Adriatico dal porto di Durazzo che è già porto di riferimento della Macedonia e del Kosovo;

          negli ultimi anni grazie alle intese a livello governativo sono state risolte importanti questioni come la tassazione sulla movimentazione merci dall'Albania che penalizzavano i traffici commerciali, mentre le congiunte sollecitazioni verso i gestori dei collegamenti marittimi hanno sensibilmente migliorato gli standard di qualità delle navi in esercizio;

          il porto di Durazzo sta diventando il porto di riferimento dei Balcani sud occidentali e Bari la porta di accesso all'Europa di questa area regionale e non solo dell'Albania;

          grazie al sostegno dell'Unione europea, e del Governo italiano il porto di Durazzo ha beneficiato di interventi radicali di ristrutturazione e riorganizzazione che hanno notevolmente migliorato la qualità dei servizi;

          a ciò fanno da contraltare le criticità del porto di Bari legate all'esiguo numero di varchi di controllo (6 a fronte dei 28 di Durazzo) che creano disagi nel deflusso dei passeggeri e delle merci;

          il porto di Bari in questo contesto ha bisogno di adeguato supporto da parte delle istituzioni nazionali ed europee –:

          quali iniziative il Governo intenda assumere per sostenere gli sforzi posti in essere dall'autorità portuale per avviare le opere già da tempo progettate per aumentare i varchi di controllo e migliorare la qualità dei servizi, nonché per definire livelli standard di sicurezza comuni, intensificando la collaborazione tra le forze di polizia e i sistemi doganali dei paesi interessati – a cominciare dall'Albania – individuando tutte le possibili soluzioni per agevolare il flusso dei passeggeri e delle merci e rafforzando la cooperazione tra istituzioni centrali ed enti locali con il coinvolgimento di tutti gli attori per superare le problematicità che investono il porto di Bari.
(5-12402)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      DE MITA, BINETTI, BUTTIGLIONE e CERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          in Maremma, in provincia di Grosseto, da gennaio ad oggi sono bruciati 1200 ettari di bosco, 280 di campi e 1000 di sterpaglie, per un totale di oltre 1500 interventi con una evidente recrudescenza del fenomeno come facilmente riscontrabile negli ultimi anni dal numero sempre crescente dei focolai accesi e dall'aumento esponenziale delle superfici coinvolte e danneggiate;

          in tutto lo scorso anno in Toscana c'erano stati 1600 i roghi;

          dalle ultime ricostruzioni appare sempre più probabile che l'origine dei roghi sia dolosa dato il rinvenimento, anche nelle ultime ore, di tracce evidenti ed inequivocabili di inneschi che lasciano presagire la possibilità di un disegno criminale dietro ai suddetti fenomeni –:

          quali siano le informazioni più recenti in possesso del Ministro interrogato rispetto ad un fenomeno in evidente crescita che desta preoccupazione tra le comunità locali, con particolare riferimento alla natura degli incendi;

          se la questura e la prefettura della provincia di Grosseto abbiano sufficienti uomini e mezzi per far fronte all'emergenza o se siano necessari ulteriori rinforzi.
(4-18085)


      CHAOUKI, TIDEI, IORI, SANTERINI, LACQUANITI, LA MARCA, D'INCECCO e LOCATELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          si apprende da un comunicato stampa diramato dalla cooperativa In Migrazione che «dal 1° luglio mancano 786 posti per richiedenti asilo e rifugiati nel sistema di accoglienza SPRAR di Roma Capitale»;

          la Cooperativa fa rilevare che «per la prima volta dopo anni l'Ufficio Immigrazione di Roma Capitale non riesce a soddisfare le legittime richieste di accoglienza, con liste di attesa che tornano a diventare infinite», costringendo le persone ad accamparsi in strade e parchi;

          «Roma Capitale» – denuncia In Migrazione «ha ottenuto 2.774 posti d'accoglienza del sistema dello SPRAR, di questi la giunta Raggi è riuscita ad affidarne attraverso procedura pubblica soltanto 1.988. Mancano quindi all'appello ben 786 posti accoglienza»;

          si tratterebbe di centri finanziati dal Ministero dell'interno per oltre 84 milioni di euro che non gravano in nessun modo sulle casse comunali;

          sono quasi 800 posti in meno che destabilizzano il sistema di accoglienza cittadino e che si traducono in 786 richiedenti asilo e rifugiati che hanno diritto a servizi che invece non ricevono. Persone abbandonate a loro stesse, accampate nella città in attesa che si liberi un ambito posto in accoglienza;

          questi numeri, che In Migrazione rende pubblici, sarebbero ricavati dalla determinazione dirigenziale di Roma Capitale sull'Aggiudicazione della Procedura aperta per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata in favore di adulti e famiglie in centri SPRAR – Annualità 2017/2019 (n. protocollo QE/52901/2017);

          inoltre, «Roma Capitale non ha ancora pubblicato un nuovo bando o una manifestazione di interesse per recuperare i 786 posti d'accoglienza persi»;

          Marco Omizzolo, responsabile scientifico di In Migrazione fa rilevare come anche «a tre anni dall'avvio dell'inchiesta Mafia Capitale resista a Roma un sistema di monopolio nell'accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati. Quasi il 70 per cento dei posti di accoglienza SPRAR di Roma Capitale – denuncia Omizzolo – sono stati affidati alla Cooperativa Tre Fontane, collegata alla Cascina e alla Domus Caritatis, (che si aggiudica 1.069 posti, il 54 per cento del totale, per un importo annuo di 12.973.651,25 €) e alla cooperativa Eriches 29 (che si aggiudica 279 posti, il 14 per cento del totale, per un importo annuo di 3.386.013,75)»;

          in Italia i progetti dello SPRAR, eccellenza italiana nell'accoglienza dedicata ai migranti forzati, si caratterizzano come centri di dimensioni medio-piccole, per contribuire a costruire e a rafforzare una cultura dell'accoglienza presso le comunità cittadine. Roma Capitale sembra invece aver scelto un'altra strada e un altro modello;

          sempre secondo In Migrazione sarebbero 1.255 (il 63 per cento del totale) i posti d'accoglienza concentrati in 14 centri di grandi dimensioni (con oltre 60 posti) e 7 i centri d'accoglienza Sprar di Roma Capitale che ospitano oltre 100 richiedenti asilo e rifugiati –:

          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se non ritenga urgente procedere ad un'approfondita verifica del sistema di assegnazione dei posti per richiedenti asilo nelle strutture Sprar del comune di Roma, assumendo iniziative di competenza affinché sia colmata la suddetta consistente diminuzione dei posti di accoglienza e affinché si privilegi un sistema dell'accoglienza diffusa e non siano solo incentivati i centri di grandi dimensioni tradendo, in questo modo, lo spirito della buona accoglienza nel quale lo Sprar è stato concepito.
(4-18086)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:

          la situazione presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma – ente sottoposto a vigilanza del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca – è divenuta insostenibile, per diversi motivi, tutti legati alla gestione del direttore insediatosi nel novembre 2016;

          valga, come primo esempio, la vicenda del Master di II livello «Interpretazione della Musica Contemporanea» per l'anno accademico 2016- 2017;

          il relativo avviso pubblico ammissione al Master era stato pubblicato l'8 aprile 2016, previa autorizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

          l'avviso, regolarmente protocollato, prevedeva, all'articolo 4, che le lezioni si sarebbero svolte nell'arco di due semestri, con termine iniziale nel mese di novembre 2016;

          il calendario delle lezioni successivamente comunicato dal Conservatorio, in particolare, fissava l'inizio delle lezioni per la data del 7 novembre 2016 e il termine per la data del 13 ottobre 2017;

          gli studenti, già in possesso dei requisiti richiesti e superato l'esame di ammissione, venivano ammessi alla frequenza obbligatoria del Master, ma dopo tre sole giornate di lezione, svoltesi nelle giornate del 7, 8 e 9 novembre 2016, in data 10 novembre 2016, venivano a conoscenza del seguente avviso (datato 8 novembre 2016): «si porta a conoscenza di tutti gli interessati [...] che il Master di II livello in Interpretazione della Musica Contemporanea per l'A.A.. 2015/2016, è sospeso in attesa del perfezionamento di tutte le procedure previste dall'allegato A nota Ministeriale 9/12/2010 prot. n. 7631» ;

          tale nota ministeriale, datata 9 dicembre 2010, richiamata nell'avviso e addotta a motivazione del disposto provvedimento, non poteva costituire certo un atto sopravvenuto che potesse legittimare, una repentina sospensione del Master avviato, ma era stata già oggetto di preliminare e propedeutica disamina;

          con delibere del consiglio accademico del 13 gennaio 2017 si è avuta l'approvazione di un nuovo piano formativo per il Master in «Interpretazione della musica contemporanea» e l'attribuzione delle relative docenze 2016/2017. Il tutto evidentemente mentre gli studenti erano in attesa della ripresa delle lezioni, per accedere alle quali avevano non solo superato prove di profitto, ma anche speso il danaro occorrente per l'iscrizione e quello per trovare un alloggio; peraltro, le predette delibere hanno modificato in modo assai significativo il piano formativo, mutando i docenti originariamente previsti e pubblicizzati, senza l'osservanza della procedura prevista dal regolamento dei corsi di master;

          inoltre, ciò è avvenuto in palese contrasto con quanto previsto dal regolamento per quel che concerne il mancato coinvolgimento del nucleo di valutazione dell'istituzione e del consiglio di corso, organi deputati a compiti di valutazione ai sensi degli articoli 4 e 6;

          nella seduta del Consiglio accademico del 13 gennaio 2017, come risulta dal verbale, si è avuto l'abbandono della seduta da parte di alcuni consiglieri e la sollevazione a verbale della contestazione inerente «alla modalità di presentazione delle candidature, nonché il modo in cui sono state valutate – mancanza di un criterio condiviso e supportato da un'adeguata documentazione»;

          successivamente, gli studenti hanno chiesto di poter assistere allo svolgimento delle assemblee degli organi collegiali di loro interesse, ma tale facoltà è stata loro denegata, in contrasto con lo statuto del Conservatorio, che all'articolo 7, comma 3, prevede, in via ordinaria, la pubblicità delle sedute;

          a seguito del totale silenzio del Conservatorio circa la ripresa delle lezioni, gli studenti hanno inoltrato via Pec la comunicazione della risoluzione del contratto di adesione al master per inadempimento e la richiesta di rimborso dell'importo versato per l'iscrizione alle lezioni;

          solo in data 7 febbraio 2017 il direttore Roberto Giuliani inviava agli studenti comunicazione e-mail dal proprio account personale, asserendo di aver mantenuto le promesse, regolarizzando il piano di studi del Master. Il direttore comunicava altresì che le lezioni sarebbero riprese il 13 febbraio 2017, data in cui gli studenti sarebbero stati informati del nuovo corpo docente, che era in via di definizione. Egli si mostrava altresì disponibile a concordare con gli studenti le date per recuperare le lezioni perse. Il direttore non dava alcun riscontro alle richieste di rimborso;

          in data 10 febbraio 2017 gli studenti, tramite legali, inviavano comunicazione al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, accompagnata da specifica documentazione, che – purtroppo – non veniva riscontrata;

          dopo numerosi solleciti gli studenti vedevano considerate le loro doglianze solo nella seconda metà del mese di giugno 2017;

          infatti, in data 28 giugno 2017 il direttore del Conservatorio (alla presenza di due docenti) accettava di incontrare l'avvocato degli studenti (cui costoro purtroppo si erano dovuti rivolgere, con ulteriore e ingiusto esborso di risorse proprie). Nell'occasione il direttore s'impegnava alla restituzione delle somme ingiustificatamente trattenute. Tuttavia il 24 luglio 2017, il direttore veniva meno a questo impegno e comunicava al difensore degli studenti che avrebbe rimborsato solo l'80 per cento delle somme trattenute, riservandosi d'informarne il consiglio accademico –:

          di quali elementi disponga il Ministro interrogato sulla vicenda descritta in premessa, e se non intenda valutare se sussistano i presupposti per promuovere immediatamente un'ispezione presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma;

          se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di contribuire a risolvere la difficile situazione in cui si trovano gli studenti del Conservatorio Santa Cecilia di Roma, tenuto conto che, secondo l'interrogante, il comportamento dell'attuale direzione risulterebbe lesivo del buon andamento e dell'imparzialità degli uffici e degli organi pubblici e visto che questo tipo di gestione potrebbe esporre l'erario pubblico ad azioni risarcitorie che potrebbero finire per danneggiare il patrimonio pubblico in tutti i sensi.
(2-01970) «Cimbro».

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


      TARTAGLIONE, SGAMBATO, MANFREDI, FAMIGLIETTI, PALMA, SALVATORE PICCOLO, CARLONI, TINO IANNUZZI, VALIANTE, CAPOZZOLO e VALERIA VALENTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          l'articolo 1, comma 277, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, ha normato il riconoscimento dei benefìci ai lavoratori del settore della produzione di materiale rotabile ferroviario che hanno prestato la loro attività nel sito produttivo, senza essere dotati degli equipaggiamenti di protezione adeguati all'esposizione alle polveri di amianto, per l'intero periodo di durata delle operazioni di bonifica dall'amianto poste in essere mediante sostituzione del tetto;

          in particolare, si prevedeva che «i benefici sono riconosciuti a domanda, da presentare all'Inps, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge»;

          solo con decreto interministeriale del 12 maggio 2016 sono state fissate le modalità di attuazione dell'articolo 1, comma 277, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 e, nel mentre, i lavoratori interessati, per rispettare il termine decadenziale previsto, avevano già provveduto a presentare la necessaria domanda all'Inps;

          il citato decreto interministeriale, all'articolo 2, comma 2, prevede, però, che «al fine di accertare i fatti e le circostanze riguardanti i lavori di bonifica del tetto, la loro durata, nonché la mancata adozione, per i lavoratori di cui al comma 1, dei dispositivi di protezione individuale, il datore di lavoro dovrà produrre apposita documentazione avente data certa circa tali fatti e circostanze»;

          a tal fine, la circolare Inps n. 68 del 6 aprile 2017 ha previsto, nell'allegato n. 2, che il datore di lavoro dichiari espressamente che durante le operazioni di bonifica il lavoratore ha prestato la propria attività «senza essere dotato degli equipaggiamenti di protezione adeguati all'esposizione dell'amianto»;

          tale impostazione, da quanto risulta, sembra aver del tutto bloccato la concessione del beneficio in esame ai lavoratori, che, pur avendo per tempo presentato la domanda all'Inps, non si trovano nelle condizioni di ottenere dal datore di lavoro la necessaria dichiarazione –:

          quanti siano i lavoratori che hanno presentato domanda ai sensi del detto decreto interministeriale del 12 maggio 2016 ed a quanti di questi non sia stato possibile concedere il richiesto beneficio a causa dell'assenza della dichiarazione del datore di lavoro;

          quali iniziative il Ministro abbia intenzione di attivare al fine di tutelare i lavoratori di cui all'articolo 1, comma 277, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
(4-18088)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GAGNARLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

          attraverso l'ordinanza n. 19967 del 31 agosto 2017 il Ministero della salute ha prorogato ed integrato le misure di riduzione del rischio e di biosicurezza per l'individuazione precoce, attraverso i volatili selvatici, dell'influenza aviaria ad alta patogenicità Hpai;

          tra le misure previste c'è il divieto di utilizzare gli uccelli da richiamo degli ordini anseriformi e caradriformi e detenerli in condizioni tali da consentire il contatto con altri volatili;

          all'interno della stessa ordinanza vengono individuate le aree ad alto rischio (articolo 2, allegato I) nelle quali sono applicati i divieti previsti (articolo 3); tra queste figurano il Veneto, la Lombardia, l'Emilia Romagna, l'Umbria, il Lazio, mentre viene esclusa la Toscana, fatta eccezione per due piccolissime aree che afferiscono alle zone di Orbetello e Burano, trascurando invece le ampie zone umide che pure si trovano all'interno della regione;

          in Toscana, infatti, insistono bacini lacustri anche di rilevante dimensione che sono zone di transito privilegiate per gli uccelli migratori – nella sola area di Fucecchio, tra le province di Firenze e Pistoia, ad esempio, sono censiti oltre 110 appostamenti fissi di caccia agli acquatici e, ipotizzando una media di 10 richiami vivi ad appostamento, si arriverebbe, solo per quell'area della Toscana, ad un numero di 1.100 richiami vivi;

          le misure previste da questa ordinanza sono importantissime, non solo per ridurre ulteriormente il livello di rischio della malattia aviaria, ma anche per contrastare i fenomeni di caccia abusiva, specie da quando, dopo l'accorpamento del Corpo forestale dello Stato nei carabinieri, la vigilanza in materia di caccia e ambiente si è quasi azzerata e si regge quasi esclusivamente sulle guardie volontarie; per questo sarebbe fondamentale l'applicazione all'intero territorio nazionale così come avveniva in passato;

          in una comunicazione pubblicata sul sito della regione Toscana in data 15 settembre 2017 si legge che, a seguito di colloqui diretti, il Ministero ribadisce che il divieto è in vigore su tutto il territorio nazionale –:

          se le misure previste dall'ordinanza n. 19967 del 31 agosto 2017 siano applicate su tutto il territorio nazionale e non nelle sole zone ad alto rischio previste dall'articolo 2, allegato I, dell'ordinanza citata;

          se non sia comunque il caso di individuare l'intera regione Toscana come zona ad alto rischio di diffusione della patologia aviaria, considerate le ampie zone umide che insistono al suo interno e che sono transito privilegiato per gli uccelli migratori.
(5-12400)


      GINEFRA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          in data 31 settembre, 1 e 2 ottobre 2017 si sono svolte le elezioni per il rinnovo del consiglio direttivo e del collegio dei revisori dei conti dell'Ipasvi di Bari per il prossimo triennio;

          a seguito di denunce presentate al nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Bari concernenti presunti brogli elettorali, il presidente uscente Saverio Andreula, accusato di aver manipolato le votazioni, si è visto costretto ad annullare lo scrutinio in piena notte;

          tra le circostanze che avrebbero condizionato e che potrebbero condizionare nuove elezioni vi sarebbe, come segnalato anche dal quotidiano La Repubblica, quella della contestualità di ruolo che riguarderebbe lo stesso presidente uscente che sarebbe anche candidato a subentrare a se stesso nonché presidente di seggio;

          con nota inviata alla Ministra interrogata e al direttore generale della direzione generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del servizio sanitario nazionale dottoressa Rossana Ugenti, le denuncianti hanno chiesto, stante quanto accaduto, il qualificato intervento della Ministra, per ripristinare tra gli iscritti al Collegio Ipasvi di Bari un clima di fiducia, profondamente deteriorato dopo gli eventi accaduti, precisando che sarebbe «inaccettabile che possa nuovamente svolgere la funzione di Presidente del seggio elettorale colui che è direttamente coinvolto nei fatti denunciati» –:

          se la Ministra interrogata sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non ritenga opportuno assumere eventuali conseguenti iniziative per ripristinare meccanismi di correttezza e trasparenza in merito al rinnovo delle cariche dell'Ipasvi di Bari.
(5-12404)


      BINETTI, BUTTIGLIONE, CERA e DE MITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          in data 19 settembre 2017 la questione della mancata disponibilità del farmaco Creon, dispensabile per i pazienti di fibrosi cistica, è stato affrontato in un'interpellanza urgente della prima firmataria del presente atto (n. 2-01933), a cui il sottosegretario Faraone ha dato la seguente risposta rassicurante: «La società titolare di autorizzazione di immissione in commercio del farmaco in questione ha fornito all'AIFA ampie rassicurazioni al riguardo, impegnandosi ad adottare tutte le misure ritenute necessarie per la definizione del problema entro il corrente mese di settembre»;

          successivamente allo svolgimento dell'interpellanza, la dottoressa Claudia Santini, della segreteria tecnica istituzionale direzione generale dell'Aifa ha risposto alla dottoressa Gianna Puppo, presidente della Associazione fibrosi cistica termini seguenti: «relativamente al farmaco CREON l'azienda Mylan ci ha comunicato che le attuali scorte di Creon 25.000 UI copriranno il fabbisogno fino all'8/10; il prodotto sarà in carenza dal 9/10 fino al 2/11. A partire dal 3/11 il prodotto sarà disponibile fino a fine 2017. (...) Infine, la Mylan ha comunicato l'intenzione di presentare una richiesta di importazione dalla Repubblica Ceca di 4000 confezioni (totale 200.000 capsule) del dosaggio da 25.000 UI»;

          è facile comprendere lo sconforto delle famiglie davanti ad una tale risposta;

          a questo punto la prima firmataria del presente atto ha ritenuto necessario fare un comunicato stampa che l'Agenzia Dire ha ripreso e rilanciato; in tale comunicato è stato segnalato che la scomparsa del Creon nelle farmacie è un insopportabile sopruso ai danni dei pazienti affetti da fibrosi cistica. È duro il destino delle malattie rare, per mille ragioni diverse: la rarità e la difficoltà dei medici di trattare adeguatamente le malattie rare. Per questo sono sorti centri specializzati di sicura eccellenza, quello che appare realmente sorprendente è che neppure tutte le case farmaceutiche siano in grado di trattare con il dovuto rispetto e l'indispensabile professionalità i malati rari. L'assenza del farmaco è stata giustificata dalla Mylan, casa produttrice, con le difficoltà insorte per un cambio del sistema informatico. L'Aifa, sollecitata dalla associazione della fibrosi cistica, il 2 agosto ha risposto sostenendo che il prodotto era comunque disponibile presso il loro magazzino come detto, il sottosegretario Faraone, a sua volta, aveva dato ampie rassicurazioni al riguardo, ma così non è stato;

          è stata immediata la reazione dell'ufficio stampa e della comunicazione dell'Aifa: «In merito alle notizie riportate dagli organi di informazione sulla disponibilità del farmaco CREON, l'AIFA precisa di essere in contatto costante, sia con azienda produttrice (Mylan) che con la Lega Italiana Fibrosi Cistica. In particolare AIFA ha già ricevuto da parte dell'azienda Mylan la richiesta di importazione dalla Repubblica Ceca di 4.000 confezioni (pari a un totale di 200.000 capsule) del dosaggio da 25.000 UI. Infine AIFA sottolinea che non sussiste alcuna carenza per il dosaggio da 10.000 UI»;

          l'Aifa tace, però, sulla irreperibilità del farmaco a dosaggio 25.000 UIC, il più usato tra i pazienti;

          è evidente come sussistano vistose contraddizioni tra quanto affermato in Aula dal sottosegretario Faraone e la risposta data dall'Aifa alla presidente della Associazione Fibrosi cistica. I fatti sono contenuti nella lettera che la stessa ha inviato alla presidente della stessa Aifa ha inviato alla presidente della Lega Fibrosi cistica e di cui si sottolinea questa particolare affermazione: «Il prodotto sarà in carenza dal 9/10 fino al 2/11. A partire dal 3/11 il prodotto sarà disponibile fino a fine 2017». Nulla si dice in merito al prossimo anno –:

          quale sia l'effettivo stato delle cose in merito al farmaco Creon e alla sua reperibilità concreta anche durante il mese di ottobre 2017 e successivamente nell'anno 2018.
(5-12407)

Interrogazione a risposta scritta:


      OCCHIUTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          la disciplina principale del settore farmaceutico è stata riordinata dalla legge 8 novembre 1991, n. 362;

          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 1994 n. 298, di attuazione dell'articolo 4, comma 9, della citata legge n. 362 del 1991, è intervenuto per disciplinare aspetti relativi al conferimento delle sedi farmaceutiche di nuova istituzione: composizione commissione giudicatrice, criteri per la valutazione dei titoli e l'attribuzione dei punteggi, prove di esame e modalità di svolgimento del concorso di assegnazione; esso ha parzialmente modificato la normativa, intervenendo su alcune disposizioni della legge 2 aprile 1968, n. 475, (Norme concernenti il servizio farmaceutico), attuata dal decreto del Presidente della Repubblica 21 agosto 1971, n. 1275, e del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265;

          l'interpretazione non coordinata della normativa che disciplina il concorso straordinario ha recentemente creato numerosi casi di difficile lettura per l'apertura delle farmacie, specie in relazione alle disposizioni dell'articolo 9 della legge n. 221 del 1968 (provvidenze a favore dei farmacisti rurali), che attribuiscono al farmacista rurale una premialità di punteggio posta «a risarcimento» del proprio disagio vissuto lavorando in zone periferiche di scarso guadagno;

          è accaduto che la premialità assicurata a una siffatta tipologia di professionisti, pari al 6,50 di maggiorazione sul punteggio afferente all'esercizio professionale, è stata ritenuta dai Tar di Trentino Alto Adige e Basilicata come maggiorazione da attribuire ad ogni singolo farmacista componente l'associazione professionale partecipante alle prove del concorso straordinario;

          un'interpretazione, ad avviso dell'interrogante, arbitraria e disomogenea, che può mettere in crisi l'intero settore, rendendo possibili situazioni paradossali, a totale svantaggio di quei farmacisti che, in possesso di più titoli o di un esercizio professionale ultradecennale, risulterebbero emarginati in una graduatoria che vede premiate le associazioni professionali caratterizzate dalla somma numerica di quelle maggiorazioni di punteggio che il legislatore del ’68 aveva inteso attribuire al farmacista rurale che partecipasse per il conferimento della titolarità di una farmacia urbana;

          a causa di una disseminazione di decisioni dei Tar che interpretano, in un modo o in un altro, le norme di riferimento, sconvolgendo le graduatorie e le assegnazioni perfezionate dalle regioni interessate, si rischia la penalizzazione dell'intero settore e si mettono a rischio i capitali investiti dagli originari assegnatari, cui la giurisprudenza potrebbe togliere ciò che il concorso straordinario avrebbe dovuto assicurare;

          si tratta di una dinamica che originerà due gravi lacune: la prima in termini di ricaduta negativa sul livello di assistenza farmaceutica da garantire alla popolazione e la seconda in termini di mancata occupazione di tanti giovani laureati, in contrasto con la ratio legislativa che ha voluto il ricorso al concorso straordinario per facilitare l'ingresso degli stessi nella geografia assistenziale assicurata dalle farmacie;

          le decisioni amministrative potrebbero portare all'annullamento delle sperimentazioni concorsuali, con conseguente perdita ex abrupto tutto ciò che gli originari assegnatari hanno già realizzato, quasi sempre ricorrendo ad onerosi prestiti bancari;

          il concorso straordinario delle farmacie necessita, peraltro, di assoluta vigilanza, dal momento che intorno ad esso pare si siano verificati tentativi di abusi esercitati da coloro i quali, contrariamente alla normativa, provano ad aprire, ovvero mantengono in esercizio entrambe le farmacie aggiudicatesi in concorsi regionali diversi –:

          se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda adoperarsi, con tutte le iniziative di competenza, per evitare il verificarsi di una pericolosa fattispecie che rischia sia di compromettere l'interesse pubblico e l'adeguata assistenza farmaceutica, sia di penalizzare coloro i quali, soprattutto giovani farmacisti, hanno partecipato ai concorsi de quibus risultando vincitori di sedi farmaceutiche e che rischiano ora di perdere tutto.
(4-18084)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      LATRONICO, DISTASO e FUCCI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

          il 26 luglio 2017, l'Aran ha approvato l'ipotesi di contratto collettivo nazionale quadro (Ccnq) sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi, nonché delle altre prerogative sindacali nel pubblico impiego, in sostituzione di quello sottoscritto il 17 ottobre 2013;

          nelle tavole allegate sono individuate le associazioni sindacali rappresentative, cui vanno attribuiti distacchi e permessi, nei relativi comparti di contrattazione. Relativamente al comparto funzioni locali, oltre a Cgil, Cisl e Uil, unica organizzazione sindacale autonoma rappresentativa è il Csa regioni autonomie locali (Csa Ral). A tale sigla sindacale sono stati attribuiti 16 distacchi e 3287 ore di permesso per le riunioni di organismi direttivi statutari;

          il Csa Ral, nato nel 1999 come Coordinamento sindacale autonomo, è una organizzazione sindacale che associa e rappresenta i lavoratori del comparto delle funzioni locali e della relativa area dirigenziale, che partecipa alla contrattazione collettiva nazionale e decentrata, nonché alla sottoscrizione dei contratti di lavoro nazionali e territoriali;

          la modifica dell'articolo 19 del C.c.n.q. 7 agosto 1998, operata dal contratto collettivo quadro d'integrazione del 24 settembre 2007, ha riformato l'intero sistema della rappresentanza sindacale nel pubblico impiego. In particolare, il comma 1 dell'articolo 19 ha previsto definitivamente, in riferimento ai soggetti sindacali, la figura delle aggregazioni associative tra sigle sindacali accanto a quella delle organizzazioni sindacali, ai fini dell'imputazione della delega per il riconoscimento della rappresentatività prevista dall'articolo 43 del decreto legislativo n. 165 del 2001;

          il Csa, quindi, ha dato luogo all’«aggregazione associativa» delle sigle ad essa aderenti costituendo un'unica federazione – affermandosi così come unico sindacato autonomo rappresentativo nell'attuale comparto delle funzioni locali – e ha posto in essere tutti gli atti necessari affinché tale aggregazione associativa potesse avere effetto di successione nella titolarità delle deleghe che ad esso venivano imputate;

          a seguito di un lungo contenzioso interpretativo e alla sentenza n. 58899/11 del 19 maggio 2011 emessa dal tribunale di Roma, l'Aran disponeva la revoca dell'ammissione con riserva delle citata rappresentanza sindacale alle trattative nazionali relative al comparto regioni e autonomie locali e, conseguentemente, della titolarità dei permessi e delle prerogative nei luoghi di lavoro. In data 30 marzo 2012 con la sottoscrizione dell'ipotesi di Ccnq di modifica del Ccnq del 9 ottobre 2009, i distacchi ed i permessi per la quota assegnata con riserva al Csa Ral sono stati riassegnati alle organizzazioni e alle confederazioni rappresentative nel comparto regioni ed autonomie locali;

          i successivi contratti per la verifica, della rappresentatività a far data dal 2013 ad oggi confermarono la rappresentatività del Csa Ral. L'accertamento svolto dall'Aran per il 2016/18 ha visto ulteriormente incrementare il dato della rappresentatività del Csa Ral;

          l'ipotesi di Ccnq in fase di approvazione definitiva sancisce, all'articolo 40, la disapplicazione integrale di 22 contratti collettivi nazionale quadro a partire dal primo Ccnq del 1997, conservando in vigore, pressoché unicamente, le due disposizioni concernenti il regime sanzionatorio stabilito con gli accordi del 2013 e 2014 attraverso la formale ed esplicita enunciazione contenuta nell'articolo 38 dell'ipotesi di contratto;

          tali disposizioni introdotte esclusivamente nell'ultima bozza dell'ipotesi, paiono riferibili esclusivamente al Csa Ral, perpetuando la soggezione a decurtazioni ed indebitamenti di macroscopiche proporzioni fino al 2023 –:

          se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative di competenza, intenda adottare, prima di giungere alla conclusione dell’iter procedimentale di approvazione definitiva del Ccnq, affinché si possa procedere alla revisione in ottica non discriminatoria, ovvero all'eventuale soppressione delle disposizioni contenute nell'articolo 38 dell'ipotesi di Ccnq in questione.
(4-18079)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

      La risoluzione in Commissione Sanga e altri n. 7-01355, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fanucci.

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Ciprini n. 7-01092, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 673 del 15 settembre 2016.

      La XI Commissione,

          premesso che:

              il legame tra requisiti previdenziali e aspettativa di vita, così come misurata dall'Istat, è stato introdotto in Italia per la prima volta nel 2009 e perfezionato nel 2010 sulla base di provvedimenti proposti dai Ministri pro tempore dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali Tremonti e Sacconi;

              in particolare, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, ha previsto dal 2013 il progressivo innalzamento dei requisiti per l'accesso alla pensione (di vecchiaia ed anticipata); parafrasando un eufemismo giornalistico, tale provvedimento ha consentito di «sterilizzare gli effetti dell'allungamento della vita media della popolazione»;

              infatti, in attuazione di quanto disposto dall'articolo 12, comma 12-bis, del decreto-legge 30 luglio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, il 16 dicembre 2014, è stato pubblicato il decreto direttoriale del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che reca norme in materia di adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita; nello specifico, il predetto decreto ha stabilito che: «A decorrere dal 1° gennaio 2016, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici [...] sono ulteriormente incrementati di 4 mesi e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, sono ulteriormente incrementati di 0,3 unità»; pertanto, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici sono ulteriormente incrementati di 4 mesi e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, per coloro che perfezionano il diritto alla pensione di anzianità con il sistema delle cosiddette «quote», sono ulteriormente incrementati di 0,3 unità; dunque, sia l'età per raggiungere la pensione di vecchiaia, che i contributi per ottenere la pensione anticipata sono stati notevolmente innalzati in conseguenza degli aumenti legati alla speranza di vita;

              l'Inps ha peraltro applicato gli adeguamenti anche a coloro che, a vario titolo, mantengono in vigore la vecchia disciplina di pensionamento, sia dei lavoratori salvaguardati, sia di coloro che accedono alla pensione con i requisiti anagrafici e contributivi, rispettivamente di 57 e 35, di cui alla legge n. 335 del 1995 (come, ad esempio, coloro che optano per il regime sperimentale «opzione donna»);

              sulla base delle sopra citate normative, ogni tre anni (e poi ogni due a decorrere dall'anno 2019) l'età pensionabile sarà adeguata all'aumento della speranza di vita, come calcolato dall'Istat sulla base della media del triennio precedente; tale adeguamento è stato applicato anche ai regimi pensionistici armonizzati (ad esempio, Inpdap ed Enpals), nonché ai regimi e alle gestioni pensionistiche per cui siano previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell'assicurazione generale obbligatoria, compresi quelli relativi ai «lavoratori impegnati in lavori di sottosuolo presso miniere, cave e torbiere, nonché al personale (compresi i rispettivi dirigenti) delle Forze di polizia, Forze armate, vigili del fuoco». Sono esclusi i lavoratori per i quali viene meno il titolo abilitante allo svolgimento della specifica attività lavorativa (ad esempio, gli autisti di mezzi pubblici);

              per consentire la determinazione dell'incremento dell'età, l'Istat deve rendere disponibili annualmente i dati della variazione della speranza di vita all'età di 65 anni, con riferimento alla media della popolazione residente in Italia, rispetto al triennio precedente. Ovviamente, «l'aggiornamento non sarà applicato in caso di diminuzione della speranza di vita»;

              secondo il rapporto Osservasalute, nel 2015 la speranza di vita per gli uomini è stata 80,1 anni, 84,7 anni per le donne; nel 2014 la speranza di vita alla nascita era maggiore e pari a 80,3 anni per gli uomini e 85,0 anni per le donne;

              tale decremento produce anche una qualità della vita che si riflette negativamente sui meno abbienti, bisognosi di prestazioni assistenziali socio-economiche;

              il rapporto del Ministero dell'economia e delle finanze mette in luce che, per effetto dell'attuazione dell'adeguamento dei requisiti all'incremento della speranza di vita, si stima una riduzione dell'incidenza della spesa pensionistica in rapporto al prodotto interno lordo di circa 0,1 punti percentuali attorno al 2020, crescente fino a 0,3 punti percentuali nel decennio 2030-2040, per poi decrescere a 0,1 punti percentuali nel 2045 e sostanzialmente annullarsi successivamente. Il combinato dei due interventi comporta complessivamente una riduzione dell'incidenza della spesa pensionistica in rapporto al prodotto interno lordo di circa 0,2 punti percentuali nel 2015, crescente fino a 0,5 punti percentuali nel 2030, per poi scendere attorno a 0,4 punti percentuali nel 2040, 0,1 punti percentuali nel 2045 ed annullarsi sostanzialmente negli anni successivi;

              l'innalzamento dell'età pensionabile in base al suddetto meccanismo ha interessato tutti i lavoratori, ma in particolar modo è apparso iniquo soprattutto per alcune professioni e mestieri che risultano particolarmente «pesanti» e logoranti, pur rivestendo un ruolo fondamentale nella nostra società;

              in particolare, la categoria professionale degli infermieri, degli operatori socio sanitari, dei vigili del fuoco e dei conducenti di mezzi pesanti per conto terzi sicuramente possono rientrare tra le professioni usuranti per lo stress cui sono sottoposti, i turni di lavoro (spesso notturni) che sono chiamati ad affrontare e per la delicatezza ed importanza del ruolo che svolgono e delle mansioni cui sono adibiti;

              il decreto del Ministero della sanità 14 settembre 1994, n. 739, ha individuato la figura professionale dell'infermiere: egli è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale, è responsabile dell'assistenza generale infermieristica. Le principali funzioni sono le attività nell'ambito della prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l'educazione sanitaria, tale operatore sanitario svolge un'assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa di natura tecnica, relazione ed educativa;

              l'infermiere, infatti, per il lavoro che svolge, è soggetto ad una serie di rischi per la salute, pericoli e patologie: a) il dramma delle diffusissime patologie del rachide che limitano i movimenti nell'assistenza; b) lo stress psicofisico lavoro correlato essendo richiesto di fornire prestazioni superiori alla media sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo; c) l'alta esposizione ad agenti biologici dovuta al contatto ravvicinato con i pazienti; d) l'esposizione ad agenti cancerogeni di diversa natura: chimici, da radiazioni, biologici, fisici e ai quali deve essere sommato ciò che di dannoso può derivare da condizioni ambientali o turni di lavoro non adeguati; e) l'alta incidenza di infortuni sul lavoro dovuti a cadute accidentali, perdita di controllo o rottura di attrezzature o macchinari; f) movimenti sotto sforzo fisico e aggressioni o violenze da parte di estranei; g) il burn-out da elevato impegno emotivo e organizzativo tipico delle professioni che si prendono cura di altre persone; h) le molestie sessuali, il disequilibrio lavoro-vita privata per orari di lavoro ostili con inattesi raddoppi di turni o improvvisi turni di notte, per i quali la famiglia e il coniuge sono sempre relegati al secondo posto; tali situazioni sono spesso alla base delle ormai frequentissime crisi coniugali; secondo un rapporto del Bureau International du Travail (Bit)/Organizzazione mondiale della sanità sulle condizioni di lavoro, il lavoro notturno e il sistema dei turni sono tra i fattori che causano i problemi più gravi in tutti i servizi infermieristici del mondo. Da decenni, la scienza studia ed analizza gli effetti dei turni di lavoro sulla vita degli uomini, che alterano i ritmi dettati dalla natura (circadian rhythm), individuando patologie e disturbi, che, a lungo andare, danneggiano la salute e rendono l'attività lavorativa più pesante e pericolosa. Chi lavora di notte, alterando il bioritmo luce-buio, non consentirebbe al proprio cervello di produrre l'ormone della melatonina nel modo giusto e, per questo motivo, si ammalerebbe più facilmente. Inoltre dormire poco e male, andare a letto quando il sole sorge e svegliarsi quando tramonta indebolirebbe le difese immunitarie e renderebbe il fisico più vulnerabile rispetto a fenomeni cancerogeni. Secondo gli studiosi, nelle lavoratrici che hanno lavorato a lungo di notte (ad esempio, oltre sei anni) il rischio aumenta, arrivando al 70 per cento in più rispetto alle colleghe occupate nelle ore diurne; i) il doppio lavoro (casa e ospedale) per una professione che riguarda all'80 per cento il genere femminile; a ciò si aggiunga che l'allungamento dell'età lavorativa pone seri problemi per una categoria che è sottoposta a carichi di lavoro assistenziale sempre più pesanti e complessi, la cui rilevanza ha diretto impatto su un bene costituzionalmente tutelato come la salute;

              tale categoria professionale, dunque, sicuramente, potrebbe rientrare tra le professioni usuranti per lo stress cui gli infermieri sono sottoposti, non solo per i turni di lavoro (spesso notturni) che sono chiamati ad affrontare ma anche per la delicatezza ed importanza del ruolo che svolgono e delle responsabilità connesse, nonché per tutti gli altri rischi e gli effetti sopra elencati;

              tuttavia, l'articolo 1, lettera a) e b), del decreto legislativo n. 67 del 2011 annovera tra le attività considerate usuranti solo i lavori indicati nel decreto del Ministero del lavoro del 19 maggio 1999, nonché determinate categorie di lavoratori notturni a turni elencati nella lettera b) del decreto n. 67 del 2011: tra di essi non vi rientrano quelli degli infermieri;

              il beneficio per i lavoratori che svolgono lavori usuranti consiste nella possibilità di andare in pensione con il vecchio sistema delle quote se più favorevole rispetto alle regole di pensionamento introdotte con la «riforma Fornero». Nello specifico, coloro che svolgono lavori usuranti possono andare in pensione dal 10 gennaio 2016, con una anzianità contributiva minima di 35 anni, una età minima pari a 61 anni e 7 mesi ed il contestuale perfezionamento della quota 97,6;

              recentemente, il legislatore, con la legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), evidentemente preso atto della peculiarità del lavoro svolto dagli infermieri, ha inserito il «personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzati in turni» nella nuova categoria dei lavoratori impegnati in mansioni definite gravose: «attività lavorative per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento in modo continuativo»; ad essi viene consentito l'accesso all'anticipo pensionistico sociale (cosiddetta «APE social») ma solo a determinate condizioni previste dai commi 185 e 186 dell'articolo 1 della medesima legge;

              nonostante la categoria degli infermieri eserciti un'attività di fatto altamente usurante, le viene concessa solo una limitata possibilità di accesso a tali benefici pensionistici;

              l'infermiere è un professionista della salute responsabile dell'assistenza infermieristica che in autonomia pianifica l'assistenza ed è chiamato a svolgere funzioni che comportano responsabilità importanti e spesso turni lavorativi notturni fronteggiando situazioni fonte di forte stress;

              anche la figura, sempre maggiormente presente nella nostra società e vita familiare, degli operatori sociosanitari (OSS) che svolgono attività di supporto alla persona svolge mansioni particolarmente dure, che richiedono continui sforzi fisici, producono forte stress psicologico, necessitano di forza fisica, concentrazione mentale, prontezza di riflessi, adattamento al continuo cambio dei turni che viene svolto anche durante l'orario notturno. Tali condizioni, anche di forte stress psicologico, possono provocare, in taluni casi, disturbi patologici, talvolta permanenti, rendendo difficile svolgere quest'attività per un lungo periodo di lavoro;

              anche l'attività di conducente di mezzi pesanti è sicuramente usurante in virtù in particolare di quattro fattori: i tempi (orari) lavorativi, lo stress derivante dal lavorare in un ambiente a rischio di incidenti, la postura ergonomica sfavorevole, l'alimentazione non corretta che favorisce l'insorgenza di patologia cardiovascolari e/o legate a disturbi del sonno;

              un operaio autista che lavora rispettando le regole, è sottoposto ad uno stress notevole. Basti pensare che la disponibilità oraria giornaliera di un conducente varia dalle 13 alle 15 ore, per sei giorni alla settimana. Solo questo dato fa capire il sacrificio che viene compiuto. Senza contare che l'autista, oltre che guidare, deve caricare, scaricare, effettuare piccola e media manutenzione ordinaria e straordinaria, occuparsi della documentazione, avere la responsabilità del carico e altro. Se poi dorme in camion perché compie lunghe tratte, non può nemmeno usufruire, come stabilisce la legge, come meglio crede del suo tempo libero, peraltro, rimanendo in camion e in un posto che non è casa sua, alla fine si ritrova prigioniero del veicolo e del lavoro;

              non diversa è la situazione del lavoratore impegnato nell'attività agricola; tale attività costringe il lavoratore a sforzi fisici in condizioni ambientali e climatiche spesso difficili seppur tali condizioni possano cambiare a seconda degli impieghi concretamente ed effettivamente esercitati: basti pensare all'attività di boscaiolo che potrebbe essere senz'altro inclusa tra le attività usuranti;

              i vigili del fuoco sono chiamati anch'essi ad assolvere funzioni delicatissime e spesso anche di notevole valore sociale; tuttavia, hanno turni notturni obbligatori nell'intera vita lavorativa, sono esposti al rischio di sostanze tossiche che possono inalare o con le quali possono venire a contatto durante gli interventi, operano spesso in spazi ristretti o sotterranei, hanno responsabilità nella conduzione di veicoli pesanti, svolgono anche attività subacquea o aerea e sono esposti a situazioni di continuo stress fisico e psicologico quando sono impiegati in attività di emergenza e soccorso, difesa civile, servizi al cittadino, prevenzione e sicurezza, come sta accadendo in occasione del recente sisma del centro Italia;

              in particolare, per tali categorie di lavoro e anche per altre attività di lavoro rientranti nella classificazione di «attività usurante» forte è l'iniquità prodotta dall'introduzione del parametro dell'aspettativa di vita che ne ha innalzato l'età pensionabile e appare improcrastinabile l'esigenza almeno di una modifica ovvero di un'applicazione differenziata dell'aspettativa di vita rispetto alle tipologie di mansioni svolte durante la vita lavorativa;

              grave rimane l'iniquità, prodotta anche nei confronti di tutti i cittadini, dell'innalzamento dell'età pensionabile in base al meccanismo del parametro dell'aspettativa di vita, poiché la speranza di vita media in realtà non aumenta, ma si allunga solo il tempo per accedere all'assegno pensionistico,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative normative urgenti per eliminare gli effetti pregiudizievoli che stanno subendo tutti i cittadini dall'attuale sistema di accesso al trattamento pensionistico, modificando la disciplina vigente che prevede l'innalzamento dell'età pensionabile in base a parametri dell'aumento della aspettativa di vita non reali, tenendo conto del rapporto tra età media, attesa di vita concreta e quella dei singoli settori di attività, soprattutto usuranti, e prevedendo anche, alla luce della riduzione dell'incidenza del prodotto interno lordo negli anni a venire, l'abrogazione del suddetto meccanismo legato alla presunzione dell'aumento della speranza di vita;

          ad assumere iniziative per prevedere l'estensione del riconoscimento di lavoratori impegnati in attività/lavoro usurante e pesante anche alla categoria degli autisti conto terzi, siano essi titolari dell'attività e/o operai autisti, alla categoria dei conducenti di mezzi pesanti, a quella degli infermieri, a quella di operatore socio-sanitario (OSS) e a quella di vigile del fuoco, attribuendo ai lavoratori di tali categorie tutte le garanzie e le tutele previste ai fini del trattamento previdenziale;

          assumere iniziative per prevedere la costituzione di un Osservatorio permanente volto alla individuazione e monitoraggio di tutte le attività presenti, anche (e non solo) nell'agricoltura (nella forma del lavoro dipendente e autonomo) classificabili come pesanti e usuranti in base all'attività di lavoro effettivamente e concretamente prestata dal lavoratore, e dei lavoratori interessati dalle stesse, al fine di una estensione delle tutele e delle garanzie previste per tali tipologie di lavoro.
(7-01092) «Ciprini, Tripiedi, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

          Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Businarolo n. 5-12203 del 19 settembre 2017.

Trasformazione di documenti
del sindacato ispettivo.

          I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:

          interrogazione a risposta orale De Mita e altri n. 3-03176 del 20 luglio 2017 in interrogazione a risposta scritta n. 4-18085;

          interrogazione a risposta orale Occhiuto n. 3-03263 del 26 settembre 2017 in interrogazione a risposta scritta n. 4-18084;

          interrogazione a risposta scritta Tripiedi e altri n. 4-18025 del 4 ottobre 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-12406.