XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 6 novembre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,

          premesso che:

              il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del 2 marzo 2012, recante «Disposizioni generali per limitare o vietare il transito delle navi mercantili per la protezione di aree sensibili nel mare territoriale», dispone, all'articolo 2, comma 1, lettera b), punto 1, il divieto di transito nel Canale di S. Marco e nel Canale della Giudecca per le navi adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori a 40 mila tonnellate di stazza lorda;

              ai sensi dell'articolo 3, comma 1, il divieto di transito nei due canali «si applica a partire dalla disponibilità di vie di navigazione praticabili alternative a quelle vietate, come individuate dall'Autorità marittima con proprio provvedimento. Nelle more di tale disponibilità, l'Autorità marittima, d'intesa con il Magistrato alle acque di Venezia e l'Autorità portuale, adotta misure finalizzate a mitigare i rischi connessi al regime transitorio perseguendo il massimo livello di tutela dell'ambiente lagunare», ma tale divieto risulta ancora disapplicato;

              la legge n. 171 del 1973, recante interventi per la salvaguardia di Venezia, tutela l'equilibrio idraulico della Laguna e prevede, all'articolo 12, la progettazione ed esecuzione delle sole opere che rispettino i suoi valori idrogeologici, ecologici e ambientali ed in nessun caso rendano impossibile o compromettano il mantenimento dell'unità e continuità fisica della laguna;

              parimenti, la legge del 1984 n. 798, prevede, quali interventi per la salvaguardia di Venezia, opere volte al riequilibrio idrogeologico della laguna, all'arresto e inversione del processo di degrado del bacino lagunare e all'eliminazione delle cause che lo hanno provocato, nel rispetto delle caratteristiche di sperimentalità, reversibilità e gradualità, ripristinando i livelli di profondità dei canali;

              la legge n. 139 del 1992 tutela la laguna, prevedendo interventi volti al ripristino della morfologia lagunare;

              il «protocollo fanghi» del 1993 elaborato dal Ministero dell'ambiente, concordato e sottoscritto con il Ministero dei lavori pubblici – Magistrato alle acque, la regione, la provincia e gli enti locali prescrive che si faccia riferimento alla ricostruzione della forma originaria della laguna, riportata nella cartografia del 1901 e del 1931, per ridurre gli effetti della portualità sulla morfologia lagunare;

              il P.a.l.a.v. (Piano ambientale e paesaggistico dell'area della laguna e area veneziana) prevede per la laguna la predisposizione di misure per la protezione e la valorizzazione dell'ambiente naturale, con particolare riguardo all'equilibrio idraulica e idrogeologico e all'unità fisica ed ecologica della stessa, attraverso l'innalzamento delle quote dei fondali determinatesi per l'erosione presso le bocche di porto e nei canali di navigazione, vietando interventi di bonifica e colmata, nonché movimenti di terra e scavi e consentendo la formazione di nuove barene tenendo conto della morfologia storica lagunare;

              la Commissione statale speciale per la salvaguardia di Venezia il 18 dicembre 2003 ha votato all'unanimità il parere che prescrive, tra l'altro, l'adozione di interventi di riduzione dell'officiosità del Canale dei Petroli fin dalla bocca di porto e «opere rimovibili e sperimentali al prosieguo degli interventi programmati con il piano programmazione del 1992-’93»;

              nel medesimo documento viene inoltre stabilito di inglobare le energie anomale nei nuovi assetti funzionali, progettati e realizzati in modo da divenire fattori di vivificazione, di rinaturazione e di nuovo equilibrio dinamico e di «realizzare le opere di bordo in modo da consentire la circolazione delle acque»;

              come indicato nel parere, le aperture ai flussi di corrente vanno realizzate in corrispondenza dei canali e raccordate al Canale dei Petroli in modo da ricevere le onde provocate dal passaggio delle navi trasformandole da elementi di aggressione a elementi di vivificazione delle aree lagunari retrostanti;

              allo stato attuale, mancano la progettazione e l'intervento prioritario per la riduzione di profondità e mitigazione del tratto iniziale del Canale dei Petroli dalla bocca di porto di Malamocco sino a S. Leonardo, causa del processo di erosione e dissesto morfologico giunto ormai a configurare la concreta prospettiva della perdita della laguna centro meridionale;

              in quasi tutta la laguna centro-meridionale da decenni sono documentati processi erosivi di forte intensità, particolarmente nelle zone d'acqua in adiacenza a S. Leonardo intersecate dal canale Malamocco-Marghera pesantemente influenzate, oltre che dal moto ondoso, dalle correnti indotte dal traffico navale, tanto da far prospettare per il futuro la trasformazione della laguna, caratterizzata da bassi fondali, in un braccio di mare con profondità tendente ai valori di -2,0/-2,5 m. (L. D'Alpaos «L'evoluzione morfologica della laguna di Venezia», 2010);

              le navi da crociera – in navigazione – utilizzano olio combustibile pesante ATZ al 3,5 per cento di zolfo, 3500 volte maggiore di quello del gasolio per autotrazione. Anche considerando il limite dello 0,1 per cento previsto dall'accordo volontario «Blue Flag II» siglato dalle compagnie da crociera per la navigazione nella laguna di Venezia e imposto per le navi all'ormeggio, tale concentrazione di zolfo è comunque 100 volte superiore a quella imposta per i combustibili usati sulla terraferma;

              la maggioranza delle navi da crociera, inoltre, non utilizza alcuna tecnologia di abbattimento delle emissioni (polveri sottili, ossidi di azoto, e nero di carbonio), la cui concentrazione è causa di severe patologie a carico dell'organismo umano – come il cancro, l'asma o malattie cardiovascolari – e che danneggiano a loro volta gli ecosistemi, contribuendo all'acidificazione e all'eutrofizzazione del suolo, delle acque e delle zone costiere e alla solfatazione dei materiali lapidei, che è particolarmente grave nelle città d'arte;

              a Venezia, nel 2016, sono stati violati praticamente tutti i limiti e i «valori obiettivo» per gli inquinanti atmosferici previsti dalla legge ed il problema è particolarmente grave se si considera che le navi da crociera percorrono la laguna per chilometri dalla bocca di Lido e l'intero canale della Giudecca, costeggiando il centro della città ad una distanza di poche decine di metri dalle abitazioni, fino ad ormeggiare alla stazione Marittima, nella città d'acqua, immediatamente adiacente al centro abitato, dove stazionano a motori acceso per l'alimentazione dei generatori elettrici;

              l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (Arpav) ha inoltre dimostrato che il traffico acqueo è a Venezia il maggior produttore di inquinamento atmosferico: la produzione di polveri sottili della sola crocieristica, è praticamente pari a quella prodotta dal traffico automobilistico di Mestre; ogni nave inquina mediamente come 14.000 automobili, anche quando è all'ormeggio, e, a parità di distanza percorsa, una nave da crociera emette agenti inquinanti pari a cinque milioni di automobili. Inoltre, una stima dell'Istituto oncologico veneto riferisce che: «tra Venezia e Mestre vi è statisticamente un eccesso significativo di casi di neoplasia del polmone rispetto al resto d'Italia»;

              a conferma dell'incompatibilità delle grandi navi con la possibilità del recupero morfologico della laguna, c'è anche il piano di assetto dei territorio/PAT, adottato dall'amministrazione comunale di Venezia, che, all'articolo 35-bis, prevede che «il Comune di Venezia assume come proprio obiettivo la definitiva estromissione delle navi incompatibili con la Città storica e con il contesto lagunare», in modo da poter avviare gli interventi di riequilibrio e di riqualificazione dei degradi e dei dissesti prescritti dalle leggi, dai piani e dalle norme vigenti da moltissimi anni, ma sino ad oggi neppure avviati, anzitutto alle bocche di porto e nei canali portuali;

              il transito delle navi in laguna determina lo spostamento di grandi masse d'acqua e lo smovimento di rilevanti quantità di sedime, con notevoli impatti sui canali, fin dentro il centro storico;

              per quanto riguarda gli effetti idrodinamici provocati dal passaggio delle navi su un fragile e delicato equilibrio lagunare, bisogna considerare che da sempre la laguna è sottoposta ad un'erosione costante, circa 1,1 milione di metri cubi di sedimento all'anno e che il problema dell'idrodinamismo non tiene conto della velocità complessiva, cioè della somma tra la variazione di velocità della corrente innescata dal passaggio delle grandi navi e la corrente stessa già presente nel canale che, come si è visto dalle conclusioni dell'indagine ISMAR CNR – Centro maree, può anche superare il metro al secondo, cioè oltrepassare i 3,6 chilometri all'ora;

              tutte le ipotesi progettuali che prevedono il passaggio delle grandi navi, e il loro stazionamento, all'interno della laguna di Venezia, ivi compresa la parte di sistema lagunare veneto su cui insiste il comune di Cavallino Treporti, compromettono, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il delicato ecosistema lagunare e aggravano il processo erosivo che da tempo interessa la laguna stessa, in contrasto con la richiamata legislazione speciale per Venezia e con i princìpi fondanti dell'idraulica e della morfodinamica lagunare;

              in particolare, qualsiasi ipotesi di scavo di fondale, di nuovi canali o di ampliamento del calibro di quelli esistenti, in tutto il territorio lagunare comprese le bocche di porto, laddove si ponga in difformità con quanto disposto dal piano morfologico del 1992, contrasta con le leggi speciali per Venezia e la sua laguna;

              i processi sopra descritti pregiudicano in modo irreversibile un ambiente naturale ed antropico unico al mondo, di inestimabile valore ambientale ed architettonico, storico ed artistico, tutelato dall'Unesco proprio in ragione del suo valore universale, e al contempo, della sua fragilità;

              per i motivi sopra descritti, il fenomeno del gigantismo navale genera un processo di devastazione idro e geo-morfologica della laguna veneta, pone seri rischi per la sicurezza dei cittadini, compromette il patrimonio architettonico e ambientale della città, con impatti diretti sul piano del moto ondoso, dell'inquinamento ambientale ed acustico e con il rischio di incidenti, di sversamenti di carburante ad alto tenore di zolfo, nonché di aggravio delle condizioni di traffico;

              tutte le soluzioni sino ad oggi individuate nel comune di Venezia, di Mira e di Cavallino Treporti, appaiono in contrasto con le condizioni di tutela lagunare sopra citate;

              il numero crescente dei passeggeri imbarcati sulle navi da crociera ha significativi impatti a differenti livelli, tra cui quello economico, politico, ambientale e socio culturale. Allo stato attuale sono poche le ricerche che riguardano gli effetti del turismo «da crociera» sulle località coinvolte, in particolare per quanto riguarda l'analisi costo-benefici di questo tipo di business e raramente i principali attori coinvolti mercato crocieristico (governi locali, cittadini, compagnie di crociera) adottano misure proattive per garantire un futuro sostenibile alle mete del turismo crocieristico;

              il crocierismo delle grandi navi, con 20 milioni di daytrippers, crea un modello di consumo della città senza «restituzioni» dovuta all'organizzazione commerciale a bordo nave, pensata per favorire la propensione di spesa del cliente all'interno delle boutique della nave. Si tratta di un modo per assorbire al massimo ogni capacità di spesa del cliente. Le analisi sui tonnellaggi maggiori, come ad esempio su navi da 92.000 tonnellate, dicono che 2.500 passeggeri a nave, pagano mediamente 1.000 euro una crociera di 7 giorni, contro i 3.000/4.000 euro pro capite pagati dai passeggeri di navi con tonnellaggi inferiori, come quelli prescritti dal decreto «Clini-Passera» (fino a 40.000 tonnellate) con capacità di 600/900 passeggeri. Quindi, il prezzo della crociera per persona è inversamente correlato alla dimensione della nave, a parità di circostanza;

              inoltre, in uno studio del professor Tattara, si legge che «la spesa giornaliera media varia tra 19 euro pro capite per i passeggeri che si trattengono poche ore in città, 109 euro per coloro che si trattengono 1 notte, 494 euro per 2 notti e 690 euro per più di 2 notti. I passeggeri che non si trattengono che poche ore a Venezia sono il 42 per cento del totale; il 36 per cento si trattengono 1 notte; il 12 per cento due notti e il 10 per cento tre notti. La permanenza media è di 1 giorno e mezzo e la relativa spesa pro capite di 175,50 euro [...]. A queste cifre si devono sommare le spese dei membri dell'equipaggio, che sono state valutate in 23 e pro capite, poiché i membri dell'equipaggio hanno quello di cui hanno bisogno nella nave. Si tratta oltretutto di lavoratori a basso salario. In più va tenuto presente che ogni nave, in media, tocca il porto di Venezia 6 volte in un anno, e le spese dell'equipaggio in shopping o articoli per turisti sono generalmente fatte una sola volta e non sono spese ripetute»;

              il 18 giugno 2017 si è svolto a Venezia un referendum auto-convocato, con cui il 98 per cento dei cittadini partecipanti alla consultazione – circa 18 mila – si è espresso a favore dell'ipotesi di mantenimento al di fuori dalla laguna di Venezia delle grandi navi da crociera;

              il 7 novembre 2016 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio, intervenendo a Venezia in occasione di una manifestazione pubblica presso l'aeroporto «Marco Polo», ha pubblicamente dichiarato per due volte che le grandi navi da crociera devono restare fuori della laguna di Venezia,

impegna il Governo:

1) a dare applicazione, in via immediata, a quanto disposto nel piano di recupero morfologico e ambientale della laguna, in conformità con la legge n. 139 del 1992, recante interventi per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna, rispettando, nelle more dell'elaborazione di uno studio indipendente che ne individui i parametri realmente compatibili con gli equilibri lagunari, il limite massimo di 40 mila tonnellate di stazza stabilito con il decreto «Clini-Passera» del 2 marzo 2012 in ordine alla sicurezza della navigazione, escludendo qualsiasi deroga al divieto di transito delle grandi navi nel bacino di San Marco e nel Canale della Giudecca;

2) ad assumere tutte le opportune iniziative per la redazione di un nuovo piano regolatore portuale, in sostituzione di quello attuale risalente al 1908 per le aree di Marittima, Santa Marta e San Basilio e al 1965 per l'area di Porto Marghera, con il quale definire, di concerto con le amministrazioni e le comunità locali, le funzioni portuali della laguna di Venezia, fissando altresì i limiti di compatibilità e di approdo per le navi, in un'ottica di tutela e conservazione della stessa laguna;

3) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per stabilire la riduzione delle attuali velocità per i natanti di connessione interna con la Marittima e l'aeroporto, al fine di contenere, nei limiti possibili, il moto ondoso;

4) ad assumere iniziative per assicurare la piena informazione e partecipazione dei cittadini coinvolti e degli enti competenti nel processo decisorio inerente all'individuazione di una soluzione progettuale definitiva, inclusa quella dell'accesso in laguna alla sola crocieristica di piccolo cabotaggio, attraverso la pubblicazione, in apposita sezione del sito internet del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di tutti i relativi documenti, atti e progetti;

5) ad adottare urgentemente, nelle more della definitiva soluzione delle criticità esistenti, iniziative per introdurre ulteriori incisive misure di abbattimento dell'inquinamento elettromagnetico, acustico e ambientale da polveri sottili e da zolfo prodotto dalle grandi navi, nonché misure di prevenzione del rischio di incidenti, potenziando i sistemi di monitoraggio e controllo della qualità ambientale dell'area lagunare e dei canali, attraverso ispezioni, da parte di funzionari con funzioni di sorveglianza in stanza permanente alla Marittima, per le navi in entrata, sosta e uscita;

6) ad adottare, per quanto di competenza, le necessarie iniziative per rifornire la Marittima di apposite infrastrutture elettriche, al fine di alimentare in banchina piccole navi e grandi yacht, compatibili con i passaggi in bacino;

7) a promuovere in un'ottica di sviluppo portuale di tipo collaborativo invece che competitivo, un modello di programmazione delle attività di lavoro, condiviso tra i porti dell'alto Adriatico e ispirato ai principi di solidarietà, sviluppo sostenibile ed economicità.
(1-01744) «Spessotto, Benedetti, Terzoni, Carinelli, Da Villa, Cozzolino, Daga, De Lorenzis, Businarolo, Zolezzi».


      La Camera,

          premesso che:

              i dati Istat 2016, pur rilevando una complessiva riduzione delle forme di violenza, e nonostante una maggiore tendenza delle donne a denunciare gli abusi, evidenziano che la diminuzione nel tempo della violenza contro le donne ha invece seguito ritmi molto più lenti rispetto a quella degli uomini, e quindi i delitti contro di loro sono diminuiti meno in proporzione. Occorre quindi accelerare i processi di empowerment delle donne senza tuttavia incentivare fenomeni di panico morale che rischiano di avere effetti opposti;

              a fronte di una cultura sociale che ancora nega evidenti diritti alle donne e ad una diffusa violenza contro di loro, gli interventi politici e giuridico-normativi devono eliminare ogni discriminazione di tipo sessista, evitando tuttavia una visione improntata solo alla eccezionalità che le vede come intrinsecamente vittime di nuove fattispecie di reato;

              per prevenire e impedire la violenza domestica o lo stalking, è opportuno il ricorso anche alla giustizia riparativa e, in generale, ai percorsi di rieducazione degli autori, percorsi che soli possono davvero consentire la protezione delle vittime. L'attenzione va posta quindi non solo sulla donna come vittima ma anche sugli interventi di recupero degli uomini che maltrattano;

              a questo proposito la versione ufficiale inglese dell'articolo 48 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (ratificata con la legge del 27 giugno 2013, n. 77, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del primo luglio 2013) esclude il ricorso a programmi obbligatori di giustizia riparativa ma certamente non li proibisce in assoluto;

              mentre anche la Corte costituzionale italiana ha giudicato illegittimo l'obbligo di mediazione in ambito civile, quest'ultima rimane certamente consentita se volontaria. Proibirla sarebbe, d'altronde, in contrasto con altri strumenti internazionali che invece raccomandano l'adozione della giustizia riparativa, si rileva al proposito il programma del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, «Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters», 2002; la Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. (99)19 sulla mediazione in ambito penale;

              oltre che su eclatanti casi di cronaca è opportuno porre l'attenzione sul retroterra culturale della violenza, dato che le vessazioni psicologiche e uno stato di soggezione riguardano 4 donne su 10: il 40,4 per cento (oltre 8,3 milioni) sono le vittime di violenza psicologica, ad esempio attraverso la svalutazione o sottomissione;

              è necessario un importante lavoro culturale perché si arrivi ad un discorso di effettiva parità. Secondo uno studio di «Science», le bambine già in prima elementare sono convinte di essere meno brave dei loro compagni maschi nonostante non vi sia alcuna evidenza di questo. La scuola è quindi uno degli strumenti più importanti per agire sul senso di autostima delle donne e sulla creazione di un reale rispetto tra i sessi;

              a fronte di evidenti ingiuste discriminazioni verso le donne sul mercato del lavoro è importante non solo condannare la violenza, ma dare alle donne la possibilità di sviluppare il loro talento e di godere sul posto di lavoro di pari opportunità;

              a livello di prevenzione, particolare attenzione va data al discorso d'odio online così come descritto nella relazione finale della Commissione «Jo Cox» sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio promossa dalla Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, su impulso del Consiglio d'Europa, in cui si rileva che le manifestazioni di odio nei confronti delle donne si esprimono per lo più nella forma del disprezzo;

              nel citato rapporto si legge: «Troppo spesso il discorso sessista non viene preso in seria considerazione, essendo ritenuto meno grave di altre forme di hate speech. Eppure le donne sono chiaramente individuabili come categoria di individui oggetto di manifestazioni di odio [...]. “Tali manifestazioni si esprimono per lo più nella forma del disprezzo, della degradazione e spersonalizzazione, per lo più con connotati esplicitamente sessuali”. [...] Un recente rapporto della Commissione ONU denuncia che nel mondo tre quarti di tutte le donne che usano Internet sono state esposte a qualche forma di cyberviolenza»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte ad attuare le raccomandazioni relative al contrasto dell'odio contro le donne previste nella Relazione finale della Commissione «Jo Cox» sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio;

2) a predisporre tempestive iniziative finalizzate a prevenire la violenza contro le donne a livello culturale, formativo e educativo, anche attraverso l'attuazione delle Linee guida nazionali (articolo 1, comma 16, della legge 107 del 2015) del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca «Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione»;

3) a consentire forme di giustizia riparativa ancorché non obbligatorie, alla luce dell'articolo 48 nella versione ufficiale inglese della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (ratificata con legge 27 giugno 2013 n. 77, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del primo luglio 2013).
(1-01745) «Santerini, Dellai».

Risoluzione in Commissione:


      La III Commissione,

          premesso che:

              i dati recentemente diffusi dall'Unicef rilevano un quadro tragico nel quale l'11,5 per cento dei bambini in età scolare – pari a 123 milioni – non frequenta la scuola;

              il 40 per cento di questi futuri adulti senza istruzione vive nelle immense aree del sottosviluppo del mondo o nelle zone di conflitto, nella misura del 20 per cento;

              i fattori che minacciano di più, e che invertono ogni possibile progresso nella diffusione di normali sistemi scolastici, sono senza dubbio le guerre: i conflitti in Iraq e Siria hanno prodotto altri 3,4 milioni di bambini che non seguono la scuola, portando il numero di scolari e studenti fuori dalle scuole in Medio oriente e in Nord Africa ai livelli del 2007, con circa 16 milioni di individui;

              a livello globale, il 75 per cento dei bambini in età da scuola primaria e secondaria inferiore che non frequentano la scuola si trova in Africa subsahariana e Asia del Sud, dove i livelli di povertà sono altissimi e rapidi gli incrementi della popolazione, con le conseguenti e ricorrenti emergenze;

              sempre secondo l'analisi dell'Unicef, la povertà diffusa e i conflitti che si dilungano nel tempo, con le emergenze umanitarie sempre più frequenti e complicate, hanno frenato il tasso di crescita;

              secondo Jo Bourne, responsabile dell'Unicef per l'istruzione, gli investimenti mirati a far crescere il numero di scuole e insegnanti non sono sufficienti e l'approccio tradizionale al fenomeno non riporterà quei bambini a scuola e non li aiuterà a sviluppare le loro potenzialità, soprattutto se continueranno a essere intrappolati nella povertà, nelle privazioni e nell'insicurezza;

              è evidente che alla base di ciò vi è un cattivo uso delle già scarse risorse di cui si dispone: la mancanza di fondi per l'istruzione sta colpendo duramente l'accesso alle scuole, in molti casi essa non è considerata un'emergenza quanto la fame, la salute o la sicurezza;

              in media, meno del 2,7 per cento degli appelli umanitari a livello globale è dedicato all'istruzione;

              nei primi 6 mesi del 2017, l'Unicef ha ricevuto soltanto il 12 per cento dei fondi richiesti per garantire istruzione ai bambini che vivono in situazioni di crisi;

              sarebbero necessari più fondi per rispondere al numero crescente e alla complessità delle crisi e per dare ai bambini la stabilità e le opportunità di cui hanno diritto e bisogno;

              non risulta nessun bando pubblico per l'assegnazione delle risorse per il fondo fiduciario di emergenza dell'Unione europea per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa; questo strumento costituisce un piano d'azione per intensificare la cooperazione Unione europea-Africa in materia di migrazione e ha lo scopo di sradicarne le cause;

              secondo il rapporto dell'ong Global Health Advocates sul fondo fiduciario dell'Unione europea di emergenza per l'Africa «Misplaced Trust: diverting EU aid to stop migration», non risulta nessun bando pubblico per l'assegnazione dei fondi, mancano informazioni sui criteri per la partecipazione ai progetti, vi è assenza di dialogo con istituzioni del territorio con esiti addirittura dannosi sull'economia locale, mentre si assiste a un rafforzamento nei Paesi beneficiari del budget della difesa a discapito di quelli per l'istruzione e la salute. Lo studio analizza l'impatto del fondo creato nel 2015 dall'Unione europea con l'obiettivo di affrontare le cause profonde delle migrazioni con un budget di quasi tre miliardi di euro di risorse per la lotta alla povertà ed è il risultato di oltre 40 interviste condotte nella primavera del 2017 a Bruxelles, in Niger e in Senegal, due Paesi considerati prioritari dall'Unione sul tema della migrazione;

              il rapporto denuncia, inoltre, come i quasi 3 miliardi di euro siano stati usati privilegiando soluzioni rapide a problematiche nazionali europee, mentre al contrario gli aiuti allo sviluppo hanno l'obiettivo di finanziare programmi a lungo termine per sradicare la povertà,

impegna il Governo

ad assumere iniziative nelle sedi opportune affinché venga rivisto l'impiego del Fondo fiduciario di cui in premessa e si avvii una riflessione sul rapporto di partnership tra l'Unione europea e i Paesi africani, al fine di adottare politiche di sviluppo sostenibili e coerenti con la missione degli aiuti allo sviluppo e di lotta contro la povertà e ogni causa delle migrazioni.
(7-01384) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Scagliusi, Di Battista, Grande, Del Grosso».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


      BIANCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          appena qualche mese fa, inizio 2017, l'Istat rendeva noto che la speranza di vita media per gli italiani si era abbassata di 6 mesi e veniva notato che ciò accadeva per la prima volta, dopo gli esiti della prima guerra mondiale e la congiunta e successiva epidemia di febbre cosiddetta «spagnola» e nonostante la mortalità infantile (fondamentale ai fini della rilevazione dell'età media) fosse in costante diminuzione;

          non è il caso in questa sede di evidenziare le cause di questo dato statistico, ma piuttosto interessa mettere in luce come oggi inopinatamente si parli di un dato statistico di segno completamente opposto, al fine dell'innalzamento dell'età pensionabile;

          la questione appare di rilevante gravità perché fa interrogare – quantomeno – sulla oggettiva attendibilità dei dati statistici recenti, peraltro funzionali ad un risparmio di spesa pubblica;

          non a caso la stampa specializzata ha evidenziato che i meccanismi della cosiddetta legge Fornero sarebbero estranei alla realtà fattuale e dunque andrebbero rivisti, non di modo che avvenga più’ che, come si legge (si veda la rivista «La legge per tutti» di consulenza legale per professionisti, ottobre 2017), «la vita media si abbassa ma per la legge Fornero si alza» –:

          se si sia a conoscenza della questione descritta in premessa;

          se non si ritenga di assumere iniziative per porvi rimedio senza ritardo per sanare quella che pare un'evidente iniquità sostanziale.
(3-03336)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          il decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, all'articolo 5 (comma 1), ha previsto che l'attuazione degli interventi funzionali a risolvere la situazione di criticità ambientale, socio-economica e di riqualificazione urbana, riguardante la città e l'area di Taranto, sia disciplinata da uno specifico contratto istituzionale di sviluppo (Cis) attraverso l'attivazione di un tavolo istituzionale permanente per l'area di Taranto (Tip), costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o giugno 2014 e decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 giugno 2016) incaricato di definire il contenuto operativo dello strumento di programmazione e di coordinare l'attuazione. Il contratto e stato sottoscritto in data 30 dicembre 2015;

          in merito all'avanzamento del programma di interventi del Cis aggiornato al 30 giugno 2017, tra gli «interventi non avviati/in programmazione» è presente l'intervento «2.10. Completamento del progetto dell'utilizzo industriale (ILVA) delle acque reflue di Taranto per uso potabile ed irriguo». L'intervento consiste nella realizzazione di un impianto di ultra-affinamento delle acque reflue civile trattate nell'impianto di depurazione di Taranto e del collettamento delle stesse fino all'area dello stabilimento siderurgico ILVA al fine di utilizzo industriale delle suddette acque reflue per riservare all'uso potabile ed irriguo le acque del Sinni e del Tara che attualmente vengono prelevate dall'Ilva;

          la «prescrizione T.26» dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata all'Ilva prescrive che «il Gestore dovrà predispone, entro 6 mesi dal rilascio dell'AIA, uno studio di fattibilità finalizzato a ridurre il prelievo primario del 20 per cento entro 3 anni e del 50 per cento entro la scadenza dell'AIA mediante il riuso delle acque dolci usate nel ciclo produttivo e attraverso il riutilizzo delle acque degli impianti di trattamento reflui civili della zona, secondo accordi da stipulare ai sensi del decreto ministeriale 185/03»;

          tale intenzione di riutilizzo dei reflui non è nuova; infatti nel 1994 la regione Puglia (assessorato all'agricoltura), a seguito di apposita convenzione stipulata tra la stessa Italsider e la provincia di Taranto, finanziava il progetto per il riuso delle acque reflue provenienti dagli impianti di affinamento, consistente nella costruzione di una adeguata condotta in acciaio (il cui percorso si svolgeva necessariamente sui fondali del Mar Grande) che, prelevando le acque reflue trattate negli impianti di affinamento Gennarini e Bellavista, le convogliava al recapito finale dell'allora Italsider. Di fatto tale intervento non si è mai realizzato;

          in attuazione dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri (O.p.c.m. 3536/2006), il presidente della regione Puglia – commissario delegato per l'emergenza idrica in Puglia (C.d.e.i.), con il decreto n. 8/CD/EI del 20 ottobre 2006, disponeva il trasferimento delle residuali risorse economiche pari a 35.360.382,35 nel bilancio della regione Puglia per la prosecuzione degli interventi non conclusi nel periodo di emergenza idrica. La giunta regionale, con successiva deliberazione n. 1716 del 21 novembre 2006 autorizzava il dirigente del settore risorse naturali ad assumere tutte le iniziative attuative delle disposizioni. Con determinazione del dirigente del settore risorse naturali n. 103 del 6 luglio 2007, si impegnavano le somme relative alle accertate obbligazioni a carico della regione Puglia. Tra gli interventi da proseguire vi era quello relativo «Completamento del progetto dell'utilizzo industriale (ILVA) delle acque reflue di Taranto, al fine di riservare all'uso potabile ed irriguo le acque del Sinni e del tara», per un impegno di spesa pari ad euro 14.000.000,00, come da decreto del commissario delegato per l'emergenza idrica n. 16 del 24 giugno 2004 –:

          quale sia lo stato dell'avanzamento dei lavori dell'opera in questione prevista dal Cis per Taranto, che prevede il riutilizzo dei reflui dei depuratori di Taranto per usi industriali e l'Ilva e quando siano previsti la conclusione dei suddetti lavori e la relativa messa in funzione;

          se nel suddetto progetto sia previsto che l'intera quantità dei reflui in uscita dai depuratori «Bellavista» e «Gennarini» di Taranto sia impiegata per uso industriale all'Ilva di Taranto, o per uso irriguo, ovvero se una parte dei suddetti reflui non utilizzata verrà scaricata in mare.
(5-12588)


      CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          nonostante l'amministrazione controllata, la situazione e il futuro del gruppo Mercatone Uno e di tutti i lavoratori in esso impiegati non sono affatto delineati;

          oltre alle tre precedenti interrogazioni a prima firma dell'interrogante sul tema, l'ultimo aggiornamento con nota stampa da parte dei commissari risale al 19 luglio 2017;

          con tale nota, i commissari rendevano conto di un incontro tenutosi proprio in quella data al Ministero dello sviluppo economico tra i commissari straordinari stessi, le organizzazioni sindacali ed i rappresentanti di gran parte delle regioni interessate;

          i commissari avrebbero comunicato l'avvio della procedura di cessione dei complessi aziendali mediante trattativa privata con i «soggetti interessati»;

          a tale riguardo hanno inoltre segnalato che, a seguito dell'avviso pubblicato in data 18 luglio 2017 sulle principali testate nazionali e internazionali, sarebbero pervenute nuove manifestazioni di interesse in aggiunta a quelle esaminate alla scadenza del secondo bando e che sarebbero stati avviati i primi contatti con i potenziali investitori;

          i commissari avrebbero poi illustrato le linee guida del piano economico-finanziario, già presentato al Ministero dello sviluppo economico, che è necessario, a loro dire, al fine di garantire la continuità aziendale nei mesi avvenire;

          il piano prevedeva una serie di azioni, volte a contenere e razionalizzare ulteriormente i costi diretti e indiretti, che sono state avviate dal mese di agost o 2017 e avrebbero riguardato un maggior ricorso agli ammortizzatori sociali, sia in sede sia nei punti di vendita, sempre nell'ambito degli accordi sindacali in essere, nonché una razionalizzazione del perimetro operativo;

          secondo quanto testimoniato direttamente da alcuni lavoratori, nel dicembre 2016 diversi punti vendita Mercatone Uno sono rimasti aperti per il solo periodo natalizio, per poi tornare inattivi dal gennaio 2017;

          secondo alcune indiscrezioni, sarebbero stati richiesti dall'amministrazione straordinaria un totale di 475 volontari per poter gestire anche quest'anno i punti vendita «temporary» per il solo periodo natalizio di dicembre 2017;

          considerando che, come già accennato, diversi di questi punti vendita sarebbero chiusi da circa 11 mesi, ci si interroga sulle reali condizioni da un punto di vista igienico e di misure di sicurezza degli stessi siti –:

          se il Governo intenda fornire aggiornamenti riguardo alla situazione della procedura di vendita del gruppo Mercatone Uno;

          se il Governo intenda indicare «i soggetti interessati» e se, al di là delle sole manifestazioni di interesse, si sia passati ad una reale e concreta fase di offerta;

          se trovino conferma le voci riguardo all'apertura di alcuni punti vendita per il solo periodo natalizio e se si possano elencare tali centri;

          se tutte le misure essenziali per la sicurezza dei lavoratori risultino rispettate in tali centri (presenza di riscaldamento, igiene e altro), considerando che alcuni di essi sarebbero chiusi da quasi un anno.
(5-12594)


      FREGOLENT. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          da oltre tre settimane numerosi incendi stanno devastando vasti territori della regione Piemonte;

          si contano ad oggi centinaia di sfollati (soltanto 180 in una casa di riposo) ed oltre 2000 ettari bruciati, soprattutto nella zone della Val di Susa, del Cuneese, del Canavese, del Pinerolese;

          numerose sono le strade interrotte a causa del fuoco e del fumo ed anche molte scuole sono rimaste schiuse;

          dal 10 ottobre 2017, quando la regione Piemonte ha dichiarato lo stato di massima pericolosità per gli incendi boschivi, si sono registrati 130 incendi e sono state impiegate più di 2.000 unità di personale e più di 500 mezzi. Al momento attuale sono 2200 i volontari antincendi boschivi presenti in zona, oltre a vigili del fuoco e protezione civile, impiegati su tre turni giorno e notte;

          il 27 ottobre 2017 presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino, ha inviato al Governo la richiesta di stato di emergenza per le zone colpite dagli incendi boschivi;

          il 30 ottobre l'Unione europea ha attivato il meccanismo di protezione civile europeo, su richiesta dell'Italia, per contrastare gli incendi in Piemonte;

          secondo una prima stima occorreranno oltre 15 anni per poter recuperare gli ettari di bosco che sono stati distrutti in Piemonte dagli incendi;

          secondo quanto riporta la stampa, tali incendi, favoriti anche dalla siccità che sta colpendo l'Italia da mesi, potrebbero essere stati innescati in parte dai piromani, anche se l'estensione dei focolai è comunque conseguenza di anni di incuria e di abbandono del sottobosco –:

          in quali tempi verrà dichiarato lo stato di emergenza richiesto dalla regione Piemonte a causa degli incendi che hanno devastato il territorio;

          se ritenga necessario prevedere misure specifiche, fin dalla prima iniziativa normativa utile, per indennizzare i danni ai beni mobili ed immobili e per promuovere il recupero degli ettari di foresta distrutti;

          se ritenga opportuno intraprendere iniziative specifiche per evitare che tali eventi possano ripetersi a partire da una corretta e continua manutenzione dei boschi.
(5-12595)


      RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

          il prestito ponte di mezzo miliardo di euro che il Governo aveva destinato a fine 2015 al piano di risanamento per il disastro ambientale e sanitario dell'Ilva di Taranto non è stato erogato, poiché è stata modificata la destinazione di queste risorse che verranno utilizzate a copertura di altre misure come: la sterilizzazione delle clausole Iva, la sanatoria bis sulle cartelle di Equitalia e l'estensione dello split payment a tutte le società controllate dalla pubblica amministrazione;

          tali misure sono previste dal decreto-legge n. 148 del 2017, il cosiddetto «decreto fiscale» collegato alla legge di bilancio per il 2018 recentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale;

          pertanto, non solo i fondi in questione destinati al piano di risanamento sopra citato non sono stati utilizzati sebbene il loro stanziamento risalga al 2015, ma, a quanto è dato sapere, non verranno definitivamente impiegati nell'Ilva, né sembra siano state adottate iniziative alternative per provvedere comunque ad attuare il suddetto piano;

          l'esecutivo dovrebbe chiarire per quali ragioni migliaia di euro, che erano stati messi a riserva per far fronte ad un disastro ambientale, sanitario, industriale e occupazionale come l'Ilva di Taranto, saranno utilizzati per manovre di differente natura –:

          per quali motivi il prestito ponte in questione per il piano di risanamento dell'Ilva non sia stato erogato;

          se e quali iniziative intenda adottare il Governo per risanare l'Ilva e con quali risorse, considerato il cambio di destinazione delle stesse che dovevano servire per il prestito ponte sopra citato previsto nel 2015.
(5-12597)


      GALGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          è trascorso un anno da quando, alle 7,41 del 30 ottobre 2016, una scossa di terremoto di magnitudo 6.5 ha colpito Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio causando migliaia di sfollati ed enormi danni che si sono andati a sommare a quelli conseguenti agli eventi sismici di agosto 2016;

          tantissime sono state le denunce da parte degli abitanti dei comuni danneggiati per i gravi ritardi sul fronte della ricostruzione e dell'assegnazione delle soluzioni abitative di emergenza;

          secondo i dati dell'Osservatorio per la ricostruzione di qualità di Fillea-Cgil e Legambiente sono state richieste 3570 casette (205 in Abruzzo, 775 nel Lazio, 1824 nella Marche e 766 in Umbria) da 43 comuni sui 140 danneggiati. Al 17 ottobre 2017 ne sono state consegnate 995 (27,87 per cento) così distribuite: in Abruzzo una sola casetta, nel Lazio 616, nelle Marche 167, in Umbria 211;

          al 26 ottobre, la Protezione civile calcola che sono 6.486 le persone assistite nelle quattro regioni: la maggioranza, ovvero 4.652, vive in albergo; gli altri, al momento, risiedono nei container o negli alloggi realizzati in seguito ai terremoti del 1997 e del 2009. In particolare, in Umbria 1.000 persone vivono negli hotel e 2.600 famiglie sono in affitto;

          numerose sono state anche le aziende che hanno subito danni: solo in Umbria 192 su 285 imprese verificate. Dopo un anno, solo ora sono stati sbloccati i fondi del danno indiretto, ma il 31 dicembre 2017 scadrà, per le imprese del cratere, la cassa integrazione e ci sono preoccupazioni per il periodo invernale. Inoltre, le risorse previste sono quasi tutte riconducibili al regime «de minimis» cioè ad un tetto massimo di 200 mila euro cui servirebbe derogare per evitare gli imprenditori siano costretti a scegliere su quali interventi puntare, tralasciandone altri. Infine, l'articolo 24 del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, concernente «interventi a favore delle micro, piccole e medie imprese nelle zone colpite dagli eventi sismici» prevedeva finanziamenti agevolati a tasso zero fino a 30 mila euro che non sono stati attivati;

          ritardi notevoli si sono accumulati anche sul fronte della ricostruzione delle scuole: delle 108 da ricostruire, previste dai due piani straordinari approvati dal commissario, soltanto una è stata realizzata e un'altra è in costruzione. Dei 18 edifici scolastici da ricostruire entro l'inizio dell'anno scolastico in corso, con un importo di 110 milioni di euro a carico dello Stato, i lavori sono iniziati soltanto nella primaria a «Romolo Capranica» ad Amatrice. Il resto delle gare non risulta assegnato;

          il 4 agosto 2017 Invitalia ha pubblicato un secondo «avviso esplorativo» e si è così arrivati a 1.119 aziende interessate, ma, tre mesi dopo, ancora nessuna gara è stata aggiudicata;

          a questi edifici, in base al secondo programma straordinario per la riapertura delle scuole, se ne sono aggiunti altri 87 con uno stanziamento complessivo di 231.038.692. A differenza delle 18 scuole inserite nel primo programma, i committenti di queste sono comuni e province. Invitalia dovrà svolgere le gare di appalto, ma, ad oggi, non c'è alcun bando;

          in tema di ricostruzione, nella maggioranza dei comuni colpiti dal terremoto ci sono ancora le macerie da rimuovere. Su 87 comuni colpiti sono ancora 52 quelli del cratere che continuano ad avere macerie. Soltanto nelle Marche, con l'area del cratere più vasta, se ne stima un totale di 1,1 milioni di tonnellate. In Umbria ne è stato rimosso soltanto il 18 per cento del totale –:

          quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare il Governo per velocizzare l'assegnazione delle soluzioni abitative di emergenza, sbloccare gli aiuti alle aziende e accelerare il programma di ricostruzione.
(5-12602)


      RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

          a parere dell'interrogante, è necessario adottare urgenti provvedimenti per contrastare le continue violazioni di legge che si riscontrano nella gestione delle agenzie fiscali, come emerge dalle illegittimità riscontrate negli ultimi anni dalla Corte costituzionale, dai giudici amministrativi e contabili, che cagionano un evidente danno erariale, a partire dal reclutamento dei dirigenti, che avviene troppo spesso attraverso procedure discrezionali;

          la predetta situazione, in cui versano le agenzie, sarebbe di certo aggravata se si procedesse ad una riorganizzazione di questi enti che conferisce più poteri al direttore dell'Agenzia delle entrate e, in generale, riconoscesse maggiore autonomia di bilancio, contabile e finanziaria, indebolendo contestualmente i poteri di controllo ministeriale;

          eppure, sembra che proprio in tal senso voglia andare una riforma, voluta anche dal Ministro dell'economia e delle finanze Padoan come si evince dall'articolo di Panorama del 20 ottobre 2017, «La riforma delle agenzie fiscali: perché è stata bloccata. Le difficoltà incontrate dal ministro Padoan e le novità (discutibili) sui criteri di selezione dei dirigenti»;

          anche rispetto alle regole di accesso alla dirigenza e ai criteri di gestione del personale, sarebbe opportuno prevedere il conferimento di un maggiore potere ai vertici delle agenzie, non solo a quella delle entrate, ma anche del demanio e della riscossione;

          occorrerebbe evitare l'incremento del numero di dirigenti esterni nominati senza procedure concorsuali pubbliche;

          tra l'altro, conferire eccezionale autonomia a questi enti riconoscerebbe una totale autoreferenzialità, incompatibile con una loro gestione virtuosa;

          a parere dell'interrogante, ciò darebbe luogo a una riorganizzazione malfatta che, inoltre, metterebbe a rischio i contribuenti, poiché sarebbe escluso un incisivo controllo esterno sulle dinamiche di accertamento;

          è poi evidente che l'ulteriore rischio da evitare è quello di una gestione politicizzata delle agenzie –:

          quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere in merito per garantire una riorganizzazione delle agenzie fiscali, anche nelle procedure di reclutamento dei dirigenti e nella gestione del personale, che eviti la crescita dell'autonomia da parte dei vertici delle stesse e preservi il potere di vigilanza ministeriale.
(5-12609)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RIBAUDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con decreto ministeriale n. 104 del 10 novembre 20111 istituiva le nuove graduatorie di circolo e di istituto di terza fascia per il personale amministrativo, tecnico ausiliario;

          ai fini dell'inserimento in graduatoria veniva riconosciuto valido il servizio prestato in scuole statali di ogni ordine e grado, scuole non statali paritarie, in scuole dell'infanzia non statali autorizzate, in scuole parificate, convenzionate, sussidiarie o sussidiate, in scuole di istruzione secondaria o artistica non statali pareggiate, legalmente riconosciute;

          con decreto ministeriale n. 374 del 2017 del 1° giugno 2017 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha riaperto le graduatorie d'istituto del personale docente ed educativo per l'aggiornamento della seconda e della terza fascia considerando valido, tra gli altri, il servizio svolto presso i centri di formazione professionale limitatamente ai corsi accreditati dalle regioni per garantire l'assolvimento dell'obbligo formativo;

          la legge 28 marzo 2003, n. 53 (delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale), ha introdotto un sistema di istruzione e formazione articolato «nella scuola dell'infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell'istruzione e della formazione professionale» (articolo 2, comma 1, lettera d));

          i due sistemi che compongono il secondo ciclo di istruzione (quello liceale e quello della formazione professionale) sono distinti, ma funzionalmente integrati, dal momento che: a) entrambi concorrono all'adempimento dell'obbligo di istruzione; b) è possibile transitare dall'uno all'altro; c) da ambedue, con diverse modalità (fissate con legge statale), è consentito l'accesso all'esame di Stato;

          i percorsi IeFP sono realizzati, oltre che dalle strutture formative accreditate dalle regioni, secondo criteri condivisi a livello nazionale, anche dagli istituti professionali (articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87), in regime di sussidiarietà, se previsto dalla programmazione regionale, ai sensi dell'intesa in Conferenza unificata del 16 dicembre 2010 con lo scopo comune di favorire i passaggi tra i sistemi di istruzione e formazione attraverso l'acquisizione di crediti scolastici e formativi riconosciuti da entrambi i sistemi;

          sfugge all'interrogante come sia possibile che per il personale docente venga riconosciuto ai fini del punteggio il servizio prestato presso i centri di formazione professionale, mentre al personale amministrativo, tecnico ausiliario venga negato, considerato che anche quest'ultimi svolgono un servizio parificato a quello svolto nelle scuole statali di ogni ordine e grado, in scuole non statali paritarie, in scuole dell'infanzia non statali autorizzate, in scuole parificate, convenzionate, sussidiarie o sussidiate, in scuole di istruzione secondaria o artistica non statali pareggiate e legalmente riconosciute –:

          se e quali iniziative di competenza il Governo intenda urgentemente adottare in merito a quanto esposto in premessa, per porre fine a questa palese discriminazione.
(4-18337)


      MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          il Presidente del Consiglio dei ministri è in visita in India con una delegazione di una ventina di industriali, durante la quale riceverà il Primo Ministro Narendra Modi e anche il Presidente della Repubblica indiana Ram Nath Kovind;

          si apprende da note di stampa che uno dei temi della discussione sarà la richiesta indiana riguardo al riconoscimento da parte del nostro Paese del culto degli Hare Krishna;

          segnatamente l'Italia non ha ancora riconosciuto il culto degli Hare Krishna, anche se risulta che l'istruttoria del Ministero dell'interno e degli uffici legislativi di Palazzo Chigi dovrebbe essersi conclusa da diversi mesi;

          emerge quindi una situazione di stallo nelle procedure per il riconoscimento da parte dello Stato italiano;

          la «Congregazione italiana per la coscienza di Krishna» ha presentato nel 2010 la richiesta di riconoscimento da parte dello Stato italiano come «ente di culto»; la richiesta ha ricevuto un parere favorevole del Consiglio di Stato nel 2014 e, come previsto dalla legge, il Ministero dell'interno ha preparato uno schema di decreto del Presidente della Repubblica, trasmesso alla Presidenza del Consiglio di cui però dopo 3 anni non si conoscono gli esiti;

          nell'ottobre del 2016, su sollecitazione dell'ambasciata indiana in Italia, la Camera dei deputati ha ospitato una conferenza della Congregazione in occasione del loro 50° anniversario di attività in Occidente, alla presenza dell'ambasciatore dell'India, di rappresentanti delle altre religioni e di molti parlamentari;

          nel gennaio del 2017 un'interpellanza urgente venne firmata da trenta parlamentari per avere notizie del ritardo la risposta del Governo sembrava incoraggiante, visto che nulla ostava alla trasmissione degli atti alla Presidenza della Repubblica per l'atto finale del riconoscimento, ma da allora ancora nulla si è mosso –:

          quali siano le ragioni ostative alla conclusione dell’iter relativo all'accordo che permetterebbe agli Hare Krishna di godere delle garanzie che vengono offerte ad altri culti;

          se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per sbloccare in tempi celeri l’iter in questione.
(4-18341)


      SANTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          la legge 15 dicembre 1990, n. 395, ha istituito il Corpo di polizia penitenziaria, prevedendo la confluenza degli appartenenti e delle dotazioni dell'ex Corpo degli agenti di custodia nel nuovo Corpo ormai smilitarizzato;

          la polizia penitenziaria svolge compiti di polizia giudiziaria, pubblica sicurezza e gestione delle persone sottoposte a provvedimenti di restrizione o limitazione della libertà personale. Espleta inoltre attività di polizia stradale ai sensi dell'articolo 12 del codice della strada, partecipa al mantenimento dell'ordine pubblico, svolge attività di polizia giudiziaria e pubblica sicurezza anche al di fuori dell'ambiente penitenziario, così come tutte le altre forze di polizia, nonché attività di scorta a tutela di personalità istituzionali e di magistrati. Di recente, in quanto forza di polizia a competenza generale, la polizia penitenziaria è entrata a comporre la direzione investigativa antimafia e l'Interpol;

          malgrado il quadro normativo sinteticamente descritto, la polizia penitenziaria è stata di recente oggetto di interventi che vanno ad incidere massicciamente sulle funzioni di polizia e che si ripercuotono direttamente sulla sicurezza delle carceri, come testimoniano le numerose evasioni, oltre che gli atti di aggressione verso il personale;

          in primis, si fa riferimento alla chiusura delle centrali operative regionali della polizia penitenziaria che saranno chiuse a partire dal 2018, determinando un rischio crescente nelle carceri e abbassando notevolmente il livello di sicurezza dei centri detentivi, oltre che dell'intero territorio nazionale;

          le competenze operative della polizia penitenziaria venivano svolte in sicurezza proprio grazie alle centrali operative regionali, che costituiscono non soltanto dei presidi di sicurezza, ma anche dei ponti di coordinamento tra i corpi impiegati nelle operazioni di sicurezza;

          chiudere le centrali operative significa minare al funzionamento dell'attività delle forze dell'ordine, mettendo a repentaglio indagini in corso e future impedendo una corretta programmazione degli interventi e una efficace sorveglianza;

          altro intervento nefasto risulta quello che dispone il rientro nelle rispettive sedi di lavoro tra i reparti delle varie carceri del personale di polizia penitenziaria impiegato a garantire la sicurezza dei varchi dei palazzi di giustizia. Una decisione per «recuperare» poco più che un centinaio di agenti per distribuirli nei reparti delle carceri con meno personale. Tale provvedimento appare in evidente antinomia con quanto emerso in sede di «Stati generali dell'esecuzione penale», istituiti con decreto ministeriale 8 maggio 2015 (integrato dal decreto ministeriale 9 giugno 2015), in particolare attraverso il «tavolo 15», e soprattutto con il progetto pubblicato nel 2015 da una commissione presieduta dal super procuratore Nicola Gratteri e voluta dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Matteo Renzi che voleva attribuire nuove funzioni esterne alla polizia penitenziaria, in tutto il sistema dell'esecuzione penale esterna, compresa la sicurezza di tutti i palazzi di giustizia, facendo diventare il Corpo di polizia penitenziaria alla stregua dei «Marshall americani» –:

          quali siano, anche alla luce dei recenti accorpamenti tra forze di polizia, le ragioni per cui si stia andando in controtendenza rispetto a quanto previsto in sede da Stati generali dell'esecuzione penale e soprattutto di quanto previsto dalle disposizioni di delega contenute nella recente legge n. 103 del 2017 recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario» che, all'articolo 1, comma 85, indica, tra i princìpi e criteri direttivi, la «previsione di misure per rendere più efficace il sistema dei controlli, anche mediante il coinvolgimento della polizia penitenziaria»;

          considerato l'inopportuno ridimensionamento delle funzioni di polizia della penitenziaria, soprattutto a scapito dei 40 mila uomini del Corpo, se intendano assumere iniziative per pervenire all'accorpamento della polizia penitenziaria nella polizia di Stato, quale specializzazione dell'intera polizia dell'esecuzione penale.
(4-18342)


      MINARDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          secondo quanto si apprende da diverse fonti giornalistiche, Inarcassa e la sua Fondazione avrebbero lanciato nei giorni scorsi un appello al Governo, al Parlamento e alle altre istituzioni interessate alla sentenza del Consiglio di Stato che ritiene ammissibile il compenso di un euro per i liberi professionisti che scelgono di lavorare per la pubblica amministrazione;

          il comune di Catanzaro, infatti, aveva proposto appello al Consiglio di Stato contro una sentenza del tribunale amministrativo regionale per la Calabria che ha accolto il ricorso dell'Ordine degli architetti pianificatori paesaggistici e conservatori, dell'ordine degli ingegneri, dell'Ordine dei dottori agronomi e dottori forestali della provincia di Catanzaro, dell'Ordine dei geologi della Calabria, del Collegio dei geometri e del Collegio dei periti industriali della provincia di Catanzaro avverso i provvedimenti dirigenziali comunali dell'ottobre 2016 di approvazione del bando e del disciplinare di gara della «procedura aperta per l'affidamento dell'incarico per la redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro e relativo regolamento urbanistico», nonché del capitolato speciale, e ancora contro la delibera di giunta comunale del 17 febbraio 2016 con cui è stata condivisa la possibilità di formulare un bando contemplante incarichi professionali a titolo gratuito;

          la sentenza del Tar della Calabria appellata aveva affermato che non è configurabile un appalto pubblico di servizi a titolo gratuito, ovvero atipico rispetto alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016;

          ribaltando la sentenza del Tar della Calabria, il Consiglio di Stato (sez. V) nella sentenza n. 4614 del 2017, ha accolto l'appello avanzato dal comune di Catanzaro, osservando che anche un affidamento concernente servizi a titolo gratuito configura un contratto a titolo oneroso, soggetto alla disciplina del codice dei contratti pubblici. La garanzia di serietà e affidabilità, intrinseca alla ragione economica a contrarre, infatti, non necessariamente trova fondamento in un corrispettivo finanziario della prestazione contrattuale, che resti comunque a carico dell'amministrazione appaltante, ma può avere analoga ragione anche in un altro genere di utilità, pur sempre economicamente apprezzabile, che nasca dal concreto contratto;

          in conclusione, secondo il Consiglio di Stato non vi è estraneità sostanziale alla logica concorrenziale che presidia, per la matrice «eurounitaria», il codice degli appalti pubblici quando si bandisce una gara in cui l'utilità economica del potenziale contraente non è finanziaria, ma è insita tutta nel fatto stesso di poter eseguire la prestazione contrattuale;

          con l'appello «#SEVALGO1EURO», lnarcassa invita dunque tutti gli architetti e tutti gli ingegneri a sostenere con forza l'esigenza del rispetto da parte delle istituzioni dei principi sanciti dall'articolo 36 della Costituzione italiana, in particolare il diritto, che verrebbe negato dalla sentenza, ad una retribuzione che sia proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato;

          il presidente di Inarcassa, Giuseppe Santoro, ha affermato che questa «È una campagna a salvaguardia della dignità professionale, perché sono migliaia in Italia i liberi professionisti che operano con la P.A. Se si consente alle pubbliche amministrazioni di bandire gare con compensi pari a un euro, come potranno versare i contributi previdenziali o investire parte del proprio fatturato in aggiornamento e formazione? Governo e Parlamento devono stabilire con urgenza un percorso legislativo che individui soluzioni ed inquadri il tema della giusta retribuzione all'interno della certezza normativa» –:

          quali siano gli orientamenti del Governo in relazione alla vicenda esposta in premessa e se intenda, per quanto di competenza, intraprendere le opportune iniziative di carattere normativo finalizzate ad escludere l'erogazione di un compenso pari ad un euro, come nel caso sopra citato, per i liberi professionisti che optino per l'instaurazione di un rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.
(4-18352)


      CHIARELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          è nota, anche per le diverse ripetute condanne inflitte al nostro Paese da parte della Commissione europea per i diritti umani (vedi, tra le tante, la nota sentenza Torreggiani), la situazione di assoluta criticità delle strutture carcerarie italiane;

          è altresì noto che tale situazione critica è dovuta ad una serie di circostanze che possono sinteticamente indicarsi in: 1) tagli alle spese per l'adeguamento delle strutture 2) sottodimensionamento degli organici di polizia carceraria e in generale, del personale che opera nelle carceri italiane 3) numero significativo di detenuti in attesa di giudizio, di cui molti stranieri;

          il carcere di Taranto, in particolare, soprattutto negli ultimi anni, ha evidenziato, nonostante una encomiabile e meritoria gestione da parte della direttrice e di tutto il personale impiegato, molti episodi che hanno messo a rischio la sicurezza dei detenuti e degli operatori;

          mercoledì 23 marzo 2016 è giunta la notizia che verso le 15.30, un cittadino di origine egiziana di circa 30 anni, in attesa di giudizio (sembrerebbe uno scafista di profughi), avrebbe tentato il suicidio attraverso una corda rudimentale attaccata alle inferriate del bagno. In questo caso, il pronto intervento dell'agente che ha dato subito l'allarme, seguito dal personale medico, ha evitato che ci fossero gravi conseguenze;

          un detenuto italiano, sembrerebbe originario di Massafra (TA), anch'esso in, attesa di giudizio per reati contro la famiglia, avrebbe tentato il suicidio attraverso il solito metodo (corda rudimentale). In questo caso nonostante il rapido intervento dell'addetto alla vigilanza e dei sanitari, il detenuto è apparso molto grave, tanto da essere trasportato presso il locale ospedale per essere ricoverato in rianimazione;

          nel corso della recente Messa di precetto Pasquale presso suddetto carcere, un gruppo di detenuti, all'arrivo dell'arcivescovo di Taranto, hanno inscenato una forma di protesta, allontanandosi dalla sala, creando ad avviso dell'interrogante situazioni di potenziale pericolo, prontamente e positivamente gestite dal personale di custodia;

          quanto sopra evidenziato in presenza di un organico di polizia penitenziaria assolutamente sottodimensionato;

          il perdurare dell'attuale stato di cose lascia ipotizzare che quanto accaduto nei giorni scorsi, non solo possa ripetersi, ma si possa assistere ad un ulteriore escalation, con grave rischio per tutta la popolazione carceraria, detenuti e personale –:

          se il Ministro interrogato ritenga di adottare iniziative urgenti per l'invio con immediatezza a Taranto del personale necessario a completare l'organico, che si valuta in almeno trenta unità di polizia penitenziaria;

          se ritenga di affrontare in generale il problema del sovraffollamento delle carceri attraverso iniziative straordinarie, soprattutto in caso di carcerazione cautelare, quali l'impiego del braccialetto elettronico, salvo che non ritenga di assumere le iniziative di competenza ai fini dell'adozione di più utili iniziative straordinarie di clemenza.
(4-18360)


      CHIARELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          in data 6 aprile 2016, nella seduta n. 603, l'interrogante depositava interpellanza n. 2-01334 avente ad oggetto l'emergenza del carcere di Taranto, con la quale si denunciavano le molteplici criticità presenti all'interno dell'istituto di pena, correlate essenzialmente al sovrannumero di detenuti e alla significativa carenza di personale penitenziario;

          la situazione nel carcere di Taranto, nel frattempo continua ad aggravarsi, con il reiterarsi di numerosi episodi di violenza tra detenuti e nei confronti della polizia penitenziaria;

          il perdurare dell'attuale stato di cose lascia ipotizzare non solo che quanto accaduto negli ultimi tempi, e anche nei giorni scorsi, possa ripetersi, ma che si possa assistere ad un ulteriore escalation con grave rischio per tutta la popolazione carceraria, detenuti e personale;

          in data 5 ottobre 2016 l'agenzia ANSA diffondeva la seguente nota: «Una quarantina di poliziotti penitenziari che vivono a Taranto con le loro famiglie, dopo aver girovagato per le carceri della nazione, domani chiederà di andare via dal carcere del capoluogo ionico». Lo annuncia Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), precisando che «le motivazioni di tale estremo gesto di protesta sono riconducibili alla impossibilità di lavorare più volte denunciate e rappresentate con manifestazioni di protesta davanti al carcere, con scioperi della fame, con autoconsegna e finanche con incontri dal prefetto e dal sindaco di Taranto». La carenza «di personale di Taranto (oltre 60 unità) – sostiene Pilagatti – è arrivata a livelli così drammatici che costringe i poliziotti a carichi di lavoro sovrumani e non più tollerabili, e con eventi critici (aggressioni, minacce anche di morte) che avvengono ormai con cadenza giornaliera». Soprattutto «nelle ore pomeridiane e notturne – osserva il segretario del Sappe – il carcere di Taranto è pressoché sguarnito nonostante la presenza di circa 500 detenuti, e le poche unità in servizio devono preoccuparsi di più sezioni detentive contemporaneamente (200 detenuti) in cui sono presenti detenuti con gravi patologie croniche, problemi psichiatrici, di droga, che rendono ancora più problematico un lavoro già tanto difficile». La protesta «dei lavoratori di Taranto – conclude Pilagatti – sarà seguita anche dai poliziotti di Lecce che da settimane sono in stato di agitazione, sempre a causa della grave carenza di organico (quasi 150 unità) che diverrà sempre più pesante con l'imminente apertura di una sezione per detenuti con problemi psichiatrici»;

          quanto denunciato dal sindacato Sappe, più volte reso pubblico dai mezzi di comunicazione, è confermato sulla base di recenti visite al carcere di Taranto di parlamentari ionici, e dalla verifica quotidiana che l'interrogante ha modo di effettuare nell'ambito dell'attività professionale forense –:

          se siano a conoscenza delle criticità esposte e delle azioni che il sindacato intende promuovere, con ogni prevedibile conseguenza;

          se si ritenga di adottare iniziative di urgenza, inviando con immediatezza a Taranto il personale necessario a completare l'organico;

          se si ritenga di affrontare, in generale, il problema del sovraffollamento delle carceri attraverso iniziative straordinarie, soprattutto in caso di carcerazione cautelare, quali l'impiego del braccialetto elettronico, salva l'adozione di più utili provvedimenti straordinari di clemenza.
(4-18361)


      PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          a Girifalco (CZ), le piogge del mese di gennaio 2017 hanno portato al collasso della sezione stradale antistante il liceo scientifico «Ettore Majorana» e di alcune opere di sostegno del sito ospitante stesso. Il fenomeno franoso, da quanto si apprende dalla lettura delle relazioni redatte dai tecnici comunali, è stato innescato da una serie di concause quali le copiose piogge, la natura del terreno e gli altri cantieri presenti in zona e ha avuto come conseguenza l'ampia fessurazione in più parti della scala di accesso al liceo stesso;

          l'intera area su cui sorge il liceo è nota per la sua vulnerabilità come si evince dai documenti di rischio. Nel verbale di sopralluogo redatto in data 23 gennaio 2017 dalla protezione civile in merito al dissesto che ha interessato l'area prospicente la struttura scolastica è stato precisato che: «La futura utilizzazione dell'area interessata dal dissesto e delle relative opere che su di esse insistono (edificio scolastico, strada ecc.) non può prescindere da una verifica di stabilità globale dell'area in dissesto e dal risanamento idrogeologico e ambientale della stessa»;

          a ciò si aggiunga che, nel mese di settembre 2017, a seguito del ripristino della sezione stradale da parte di Erg, per la presenza di un cavo di proprietà in essa interrato, sono cominciati fenomeni gravitativi che in meno di un mese hanno avuto come conseguenza l'abbassamento della sezione stradale di oltre un metro e venti centimetri. Il 4 ottobre 2017, il sindaco di Girifalco ha informato la regione Calabria di tali movimenti sotterranei che avrebbero potuto creare seri problemi all'accesso del liceo e ha sollecitato gli opportuni finanziamenti;

          nel rapporto tecnico di sopralluogo dello studio tecnico incaricato si precisa che, dall'ultima lettura del 26 ottobre 2017 dei due inclinometri posizionati in prossimità dell'istituto, «non sono stati rilevati movimenti geotecnicamente significativi in termini di spostamenti assoluti», tuttavia, «si evidenzia un aumento significativo delle velocità a seguito dei primi eventi meteorologici»; si precisa altresì che: «In virtù delle misure strumentali effettuate, dall'analisi dei dissesti di superficie riscontrati sulla strada di circonvallazione e nel tratto di versante immediatamente a valle, emerge in modo chiaro che lo stato tensionale esistente non garantisce le adeguate condizioni di stabilità in conseguenza di una possibile evoluzione delle deformazioni generate. Si evidenzia che è necessario intervenire con estrema urgenza considerato che i movimenti assoluti sono ancora limitati con volumi coinvolti contenuti in virtù di aliquote parziali di spinta attiva mobilizzata»;

          l'interrogante, in data 3 novembre 2017, ha effettuato personalmente un sopralluogo nell'istituto scolastico vedendo con i propri occhi che, allo stato attuale, non è stata intrapresa alcuna opera di risanamento ambientale o idrogeologica dell'area – come il sindaco stesso sottolineava all'atto di richiesta di fondi alla regione Calabria – ed è stato informato che è stata portata avanti una mera azione di monitoraggio per di più per un tempo relativamente breve rispetto alla complessità dell'area;

          a parere dell'interrogante sarebbe opportuno trasferire con estrema urgenza le attività didattiche dall'attuale sede in altra sede disponibile nello stesso territorio comunale fino a che non verranno effettuati gli opportuni lavori di risanamento ambientale –:

          se il Governo non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza in relazione alla vicenda descritta in premessa che non può e non deve essere sottovalutata considerando che a rimetterci sono giovani innocenti.
(4-18368)


      AIRAUDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

          la Val di Susa è stata devastata dagli incendi, che hanno mandato in cenere centinaia di ettari di bosco, hanno messo a rischio la sopravvivenza di centri montani e hanno fatto evacuare centinaia di persone, compresi i circa 200 pazienti di una casa di cura;

          il primo rogo è scoppiato domenica 22 ottobre a Bussoleno, in località Calusetto. Si pensava all'inizio che si trattasse di fiamme che potevano essere circoscritte nel giro di poco tempo, invece si è verificato un danno incalcolabile;

          quanto accaduto ha fatto tornare gli interrogativi che erano già emersi in estate, quando in Campania le fiamme hanno avvolto buona parte del parco nazionale del Vesuvio;

          le responsabilità degli incendi vanno certamente individuate nella mano dell'uomo, perché è chiara la natura dolosa del disastro, ma va evidenziato anche come ci siano palesi difficoltà sul fronte degli interventi;

          Silvano Landi, ex generale del Corpo forestale dello Stato in pensione ed ex direttore della scuola di Cittaducale, dove è stato docente per generazioni di forestali, e in passato anche docente universitario di lotta agli incendi, ha rilasciato un'intervista al quotidiano La Stampa, nella quale spiega che «è stato un anno disastroso sul fronte degli incendi», anche per colpa della «disorganizzazione»;

          Landi ha dichiarato: «Quest'estate in Abruzzo i boschi del monte Morrone sono bruciati per venti giorni consecutivi, altrettanti al monte Giano, ora in Val di Susa. Ritengo che in parte la colpa dipenda dalla riforma Madia, con il passaggio di consegne dal Corpo forestale agli altri corpi, i carabinieri e i vigili del fuoco, la cui specificità erano fino a poco tempo fa le città e gli edifici, non i boschi»;

          l'ex generale lamenta una scarsa preparazione e denuncia il fatto che i mezzi restano fermi: «Ogni giorno ricevo lettere di ex forestali, transitati nei pompieri, che non vengono impiegati per gli incendi boschivi. Tra loro ci sono anche piloti. E, per problemi burocratici, una parte degli elicotteri passata ai vigili del fuoco non si è alzata in volo. Problemi che probabilmente si risolveranno, ma non si deve perdere tempo»;

          l'errore, secondo Landi, è pensare che per spegnere gli incendi siano sufficienti lanci d'acqua dal cielo, ma non è così, perché bisogna affiancare altri interventi a terra che richiedono preparazione anche dei volontari, che purtroppo invece a volte non hanno specializzazioni, e occorre fare la prevenzione;

          la prevenzione comporta l'esigenza di avere un censimento aggiornato delle risorse idriche, di conoscere i sentieri per poter penetrare nel bosco quando c'è l'emergenza, di sfruttare tecnologie come il telerilevamento, di fare turni di vigilanza, di educare ai comportamenti corretti da tenere nel bosco. Invece, uno dei problemi del passaggio di consegne è che i comandi dei vigili del fuoco sono in genere nei capoluoghi, mentre i forestali stavano più vicini ai boschi;

          è ormai chiaro che lo scioglimento del Corpo forestale dello Stato ha disperso un enorme patrimonio di professionalità, competenza e specializzazioni. In questo momento ci sono tanti ex forestali trasferiti presso altre amministrazioni dello Stato, ad esempio le sovrintendenze ai beni archeologici, mentre si hanno bravi carabinieri, ma senza esperienza e professionalità specifica, che devono fare anche i forestali –:

          se non intenda assumere iniziative normative per rivedere radicalmente la «riforma Madia», ricostituendo al più presto il disciolto Corpo forestale dello Stato o provvedendo ad un intervento che possa risultare equivalente, considerato che, ad avviso dell'interrogante, è stato commesso un errore dalle conseguenze devastanti.
(4-18373)


      DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

          la trasmissione Le Iene del 29 ottobre 2017 ha mandato in onda un servizio di estrema gravità in cui si dimostrerebbe l'inattendibilità dei risultati delle votazioni all'estero, almeno nella circoscrizione Europa, a seguito di gravi irregolarità compiute nel momento del voto e in sede di spoglio delle schede;

          ciò che viene denunciato, attraverso svariate testimonianze, sarebbe anzitutto che i plichi contenenti le schede elettorali destinate ai cittadini italiani residenti al di fuori del territorio nazionale, cadrebbero in alcuni casi in mano degli stessi candidati, che le reperirebbero o attraverso la corruzione di addetti al servizio postale locale, o tramite la sottrazione dai recapiti postali delle stesse, o ancora a seguito della corresponsione di un pagamento agli stessi elettori disposti a cederle;

          tale fenomeno non avrebbe peraltro carattere residuale, dato che la trasmissione fa riferimento a diverse migliaia di schede votate attraverso l'organizzazione di un solo candidato, segnatamente l'onorevole Mario Caruso;

          tuttavia, questo comportamento non sarebbe limitato al solo deputato citato, ma risulterebbe diffuso;

          nel contempo sarebbero stati disattesi anche i controlli incrociati da compiersi presso i seggi nazionali del centro di Castelnuovo di Porto, dato che, da quanto emerge dallo stesso servizio, sarebbe prassi diffusa di non procedere all'esame delle schede ad una ad una, come previsto dalla legge, ma cumulativamente e senza un controllo del codice identificativo associato ad ogni iscritto all'Anagrafe degli italiani residente all'estero;

          è stato denunciato inoltre, per accelerare i tempi, il ricorso per le operazioni di spoglio di personale esterno a quello designato dalle strutture competenti –:

          se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda adottare, in vista delle prossime tornate elettorali, per verificare la sussistenza delle gravi violazioni segnalate e impedirne il perpetuarsi.
(4-18375)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BUSINAROLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

          il 19 ottobre 2017 sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato pubblicato il progetto «linea AV/AC Torino-Venezia – Tratta Verona-Vicenza-Nodo AV/AC di Verona: ingresso est»;

          nel relativo «avviso al pubblico» si legge che entro 30 giorni dalla data di pubblicazione chiunque abbia interesse può visionare sul sito web il progetto e presentare in forma scritta proprie osservazioni;

          l'articolo 216, comma 27, del decreto legislativo n. 50 del 2016 prevede che: «(...) le procedure per la VIA delle grandi opere avviate alla data di entrata in vigore del presente decreto secondo la disciplina già prevista dagli articoli 182, 183, 184 e 185 di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono concluse in conformità alle disposizioni e alle attribuzioni di competenza vigenti all'epoca del predetto avvio e che le medesime procedure trovano applicazione anche per le varianti», mentre la documentazione di cui all'avviso pubblico, a quanto risulta all'interrogante, è stata depositata solo il 19 ottobre 2017;

          la delibera dell'Anac n. 924 del 7 settembre 2016, prevede che i progetti delle infrastrutture strategiche già inserite negli strumenti programmatori approvati, e per i quali la procedura di Via è già iniziata al momento dell'entrata in vigore del cosiddetto «nuovo codice degli appalti», sono approvati secondo la disciplina vigente, mentre le procedure e i contratti per cui i bandi sono pubblicati successivamente, rientrano nell'ambito di applicazione del nuovo codice;

          l'articolo 11, comma 5, legge n. 152 del 2016, precisa che: «La VAS costituisce per i piani e programmi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione. I provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge»;

          l'articolo 34, comma 4, della legge n. 221 del 2012 è stato abrogato dall'articolo 217, comma 27, del decreto legislativo n. 50 del 2016;

          il progetto preliminare è stato depositato per la procedura di Via il 19 ottobre 2016;

          il «nodo AV/AC di Verona» non è riferibile agli interventi prioritari previsti dall'allegato «Fabbisogni e progetti di infrastrutture» al Def 2017 e non è stato sottoposto a valutazione ambientale strategica;

          il nodo di Verona est non è mai stato in procedura di valutazione di impatto ambientale, dunque non rientra nella fattispecie prevista dalla direttiva dell'Anac;

          l'8 febbraio 2008 la Commissione Via del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rilasciava il parere sullo studio di impatto ambientale accluso al progetto preliminare e riguardante tutto il odo di Verona;

          il 13 novembre 2008 la Corte dei Conti rigettava la registrazione della delibera del Cipe n. 10 del 2008;

          il 18 ottobre 2006 sul quotidiano L'Arena di Verona veniva comunicato l'avvio del procedimento denominato «Nodo Av/Ac di Verona – ingresso ovest»;

          il frazionamento degli interventi che modificano un'area territoriale sono inammissibili perché potrebbe portare a risultati ben diversi nella valutazione di impatto ambientale rispetto ad una valutazione globale sull'incidenza complessiva di tutte le modifiche effettuate (si veda la pronuncia della Corte Costituzionale n. 209 del 2011);

          la direttiva 2014/52/UE pone la consultazione al pubblico come fase centrale della intera procedura di valutazione di impatto ambientale –:

          se prima dell'inizio della procedura di valutazione di impatto ambientale, il nodo «AV/AC» di Verona debba essere sottoposto a valutazione ambientale strategica, pena l'annullamento del procedimento, e se non si ritenga che comunque la procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto preliminare del «nodo AV/AC di Verona» debba essere annullata, poiché tale progetto va sottoposto alla normativa prevista dal decreto legislativo n. 50 del 2016, articoli 23 e 24, che prevede il termine di 60, anziché 30 giorni, per le osservazioni del pubblico.
(5-12603)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

          nel 2012, la giunta comunale di Matelica (Macerata), nella persona dell'allora sindaco Paolo Sparvoli, adottava una parziale variante urbanistica al piano regolatore generale di quattro lotti in località Cavalieri, con la possibilità di insediamento per industrie insalubri di prima classe;

          il comune di Matelica acquisiva, peraltro, il lotto 26, opzionato nel 2007 dalla Fidea - azienda produttrice di diluenti, solventi, sverniciatori, sgrassanti e prodotti per il fai da te, con sede a Matelica - che a sua volta non aveva mai provveduto all'acquisto definitivo del terreno opzionato; pertanto, come da regolamento comunale, dopo quattro anni ogni diritto dell'imprenditore sul lotto, decadeva;

          diverse sono state le manifestazioni di protesta dei cittadini di Matelica e dei comuni limitrofi proprio per la decisione dell'amministrazione comunale di modificare la variante del piano regolatore generale e consentire nel territorio l'insediamento di industrie insalubri ad incidente rilevante;

          da notizie di stampa del 26 ottobre 2017, si apprende che si è svolta una complessa operazione finalizzata a stroncare un traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi tra le province di Ferrara e Macerata;

          oltre 40 carabinieri forestali impegnati, coordinati dal nucleo investigativo di polizia ambientale, agroalimentare e forestale di Modena, coadiuvati dai colleghi della stazione carabinieri forestale di Argenta (Ferrara), dai gruppi carabinieri forestale di Macerata e Lodi e del comando regione Emilia-Romagna, hanno eseguito i sequestri e le perquisizioni disposti dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bologna su richiesta della procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna;

          le operazioni poste in essere dai carabinieri forestali hanno permesso di accertare il traffico illecito di svariate migliaia di tonnellate di rifiuti industriali pericolosi da parte di una società di Argenta (Ferrara) che, seppur regolarmente autorizzata al recupero di rifiuti, in realtà li immetteva in commercio quali prodotti senza idonei trattamenti preliminari;

          la società di Argenta è di proprietà della Fieda di Matelica (Macerata);

          i reati contestati al momento sono la frode in commercio, e il traffico illecito di rifiuti pericolosi, poiché si ipotizza che l'azienda rimettesse sul mercato rifiuti industriali pericolosi, attraverso il meccanismo del «cambio bolla» e facesse ripartire i furgoni carichi di residui industriali verso la società di Matelica senza lavorarli e quindi ancora tossici;

          in seguito all'operazione dei carabinieri della forestale, è stata posta sotto sequestro l'azienda di Argenta, per cui è stato nominato un amministratore giudiziario, per consentire ai venti dipendenti, ignari di tutto, di continuare a lavorare, mentre all'azienda di Macerata sono stati sequestrati anche i beni (macchinari, auto e terreni), in quanto questi sono stati considerati frutto di proventi ottenuti con attività illecite;

          va ricordato che il traffico illecito di rifiuti è una delle attività più fruttuose delle ecomafie; come denunciato dal dossier «Rifiuti spa» di Legambiente, il ciclo illegale dei rifiuti tra 2002 e 2012 ha fruttato alle ecomafie 43 miliardi di euro –:

          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto narrato in premessa, e se intenda acquisire ulteriori informazioni ed eventualmente attivare verifiche, per quanto di competenza, in ordine alle possibili ripercussioni a danno della salute umana e degli animali;

          considerato che «il giro bolla» è una metodologia scelta ed utilizzata all'interno di un meccanismo che muove dalla irregolare tenuta dei registri di carico-scarico e termina con la destinazione ad altri impianti di prodotti diversi per caratteristiche rispetto a quanto dichiarato, se non ritenga di dover assumere iniziative per modificare la normativa vigente in materia di trasporto dei rifiuti, al fine di evitare situazioni analoghe a quelle indicate in premessa.
(4-18345)


      SENALDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          il testo unico sull'ambiente ha riconfermato una specifica disciplina per gli imballaggi ed i rifiuti di imballaggi, di qualunque materiale costituiti, già introdotto con il decreto n. 22 del 1997;

          il medesimo testo unico dell'ambiente, all'articolo 234, al fine di razionalizzare, organizzare e gestire la raccolta ed il trattamento dei rifiuti di beni in polietilene destinati allo smaltimento, ha pure istituito il Consorzio per il riciclaggio dei rifiuti di beni in polietilene, esclusi gli imballaggi di cui all'articolo 218, comma 1, lettere a), b), c), d), e);

          in attuazione delle citate previsioni normative nel 1998 sono stati costituiti: il CONAI (dedicato alle imprese produttrici ed utilizzatrici di imballaggi) ed il POLIECO (dedicato ai produttori, distributori ed importatori di beni a base di polietilene);

          le aziende produttrici di film adesivizzato in polietilene hanno aderito al consorzio obbligatorio POLIECO ed hanno provveduto a versare a POLIECO il contributo ambientale;

          dopo circa un decennio dall'istituzione dei menzionati Consorzi, il CONAI ha invocato nei riguardi dei ricordati produttori del film adesivizzato in polietilene l'obbligo degli stessi di aderire al consorzio CONAI unilateralmente, qualificando il prodotto sopra descritto quale imballaggio e, dal 2015, ha attivato in danno dei produttori del film adesivizzato in polietilene plurime procedure giudiziali nelle quali la richiesta di accertamento dell'obbligo di iscrizione dei ricordati produttori al CONAI è stata accompagnata da ingenti pretese economiche (decine di milioni di euro), la cui portata si palesa come costo insostenibile per le aziende;

          le aziende operano, quanto al contributo ambientale, quali soggetti preposti alla riscossione dello stesso, provvedendo quindi a girare al consorzio di appartenenza (POLIECO) le somme riscosse;

          chiaramente gli importi richiesti dal CONAI corrispondono a cifre mai incassate e neppure trattenute dai produttori, i quali, nell'ipotesi di soccombenza, quanto alla pretesa economica di cui sopra, si troverebbero, ferma l'incertezza circa la prosecuzione dell'attività d'impresa, a dover intraprendere in danno dei propri clienti iniziative finalizzate a conseguire da quelli il reintegro postumo di quanto eventualmente versato dai medesimi, in esecuzione della pronuncia giudiziale;

          la situazione di incertezza ed il potenziale grave danno economico che potrebbe derivare in capo alle aziende e/o a talune di esse, laddove non via sia uniformità di giudizio, mettono a repentaglio la sopravvivenza stessa del settore, con ricadute a livello sociale esclusivamente per questioni interpretative che vedono le aziende del settore coinvolte in un potenziale contenzioso fra consorzi ex lege previsti –:

          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione;

          se intendano assumere iniziative volte a chiarire quale sia la corretta interpretazione della norma per dare certezza ad un settore di nicchia altamente considerato nel mondo;

          quali modalità possano essere messe in campo per risolvere il potenziale contenzioso tra i due consorzi preposti allo smaltimento.
(4-18364)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CENNI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

          in località Campiglia d'Orcia, nel comune di Castiglion d'Orcia in provincia di Siena, è presente una fortificazione denominata «Torre di Campigliola», edificata nel Medioevo e menzionata dai documenti fin dal 973. Tale monumento è inserito nel territorio Val d'Orcia, già patrimonio Unesco dell'umanità, ed è dislocato lungo la Via Francigena;

          la fortificazione, di proprietà privata, è riconosciuta dal 1983 (ai sensi della legge n. 1089 del 1939 e successivamente del decreto legislativo n. 490 del 1999) come bene culturale nazionale sottoposto a vincolo;

          la torre versa da anni in condizioni fatiscenti, di degrado e pericolo ed i proprietari dell'edificio, sollecitati più volte dalle amministrazioni locali e dalla Soprintendenza di competenza affinché mettessero in sicurezza l'area e rendessero fruibili il monumento, non hanno mai operato, nessun intervento;

          in questi anni la comunità locale e le istituzioni territoriali hanno promosso progetti ed iniziative al fine di recuperare e valorizzare la «Torre di Campigliola»;

          i proprietari della Torre hanno recentemente comunicato al sindaco di Castiglion d'Orcia di essere disposti a vendere il bene all'amministrazione comunale;

          il sindaco ha però risposto che la normativa vigente (legge n. 111 del 2011) pone stringenti limiti per gli enti locali in materia di acquisti di immobili, impedendo di fatto ogni trattativa;

          questa situazione di stallo sta creando gravi problematiche:

              di pubblica sicurezza: le condizioni fatiscenti in cui versa la torre potrebbero causare crolli in un'area in cui non sono stati apposti divieti o recinzioni;

              di carattere artistico: ritardando ulteriormente con i restauri il bene culturale potrebbe essere compromesso irrimediabilmente;

          l'articolo 30, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio) dispone che «I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione»;

          gli articoli 32, 33 e 34 del medesimo decreto dispongono comunque che il Ministero, in seguito ad una relazione tecnica del Soprintendente territorialmente competente, può imporre al proprietario, gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali. In determinati casi di urgenza, il Soprintendente può adottare immediatamente le misure conservative necessarie ed il Ministero può concorrere in tutto o in parte alla relativa spesa;

          è emerso da organi di stampa che la «Torre di Campigliola» è stata oggetto, nelle scorse settimane, di una riunione presso la regione Toscana a seguito della quale verrà chiesto un intervento diretto della Soprintendenza per una verifica delle condizioni di precarietà del manufatto;

          la tematica relativa al restauro ed alla fruizione di beni culturali di proprietà di soggetti privati è oggetto di discussione di molte aree dell'Italia e sono già sorte problematiche sulla mancanza di finanziamenti pubblici adeguati;

          per il caso specifico della «Torre di Campigliola» potrebbero essere presi in considerazione anche gli strumenti normativi e le risorse economiche previste dalla legge n. 77 del 2006 per i siti italiani inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco –:

          se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematiche relative alla «Torre di Campigliola» esposte in premessa;

          quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere per assicurare la messa in sicurezza dell'edificio e per promuovere il recupero e la fruizione di tale bene artistico nazionale;

          se non ritenga necessario assumere iniziative volte a destinare le risorse ad oggi stanziate per le misure conservative urgenti ed inderogabili di cui il Sovrintendente territorialmente competente può disporre, come prevede il decreto legislativo n. 42 del 2004, per assicurare la conservazione di quei beni culturali di proprietà privata in stato di pericoloso degrado.
(5-12596)

Interrogazione a risposta scritta:


      PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          dal 12 al 14 ottobre 2017 si è tenuta, presso la Fiera di Rimini, la cinquantaquattresima edizione di TTG Incontri 2017, il principale marketplace del turismo B2B (business to business) in Italia;

          durante la seconda giornata, è stato presentato lo studio elaborato dall'Osservatorio innovazione digitale nel turismo della School of management del Politecnico di Milano. Come riportato dall'articolo pubblicato il 14 ottobre 2017 da TTGItalia.com, «la ricerca ha analizzato i comportamenti nel web di chi cerca, sceglie e prenota un viaggio, ma anche di chi si occupa dell'offerta al consumatore, dai grandi player del settore ai piccoli esercenti»;

          secondo la relazione, «a fine 2017 il mercato Travel italiano varrà oltre 55 miliardi di euro, con una crescita del 4 per cento rispetto al 2016. La crescita è generata principalmente proprio dalla componente digitale che, con un valore complessivo di quasi 11,2 miliardi di euro, rappresenta oltre un quinto del mercato e fa segnare un aumento del 9 per cento rispetto a dodici mesi fa (quando l'incremento annuale si era fermato all'8 per cento); mentre la componente tradizionale cresce del 3 per cento e raggiungerà quota 43,8 miliardi»;

          Filippo Renga, direttore dell'Osservatorio, ha spiegato che «il mercato dei viaggi in Europa vive un momento di ripresa e cresce grazie, anche, alle nuove opportunità offerte dal digitale agli attori tradizionali, e alla capacità delle Internet Company di espandere il proprio business. In Italia, dove il contesto competitivo è molto più frastagliato, il mercato comunque cresce del 3-4 per cento.
          Per gli attori del sistema di offerta è quindi un momento propizio per costruire quelle reti digitali: big data analytics, intelligenza artificiale e realtà aumentata diventeranno sempre più centrali e la velocità con cui si sapranno comprendere e sfruttare questi nuovi fenomeni nei prossimi 3-5 anni stabilirà chi subirà l'innovazione rispetto a chi riuscirà a darsi un ruolo sul mercato»;

          la ricerca ha delineato anche l'identikit del turista digitale italiano, mettendo in evidenza che «non esiste più una categoria omogenea di questo utente, piuttosto esistono macro-classi di viaggiatori che utilizzano Internet con intensità e scopi diversi». In merito, esistono i «voraci digitali», pari al 42 per cento che utilizzano prevalentemente internet per le prenotazioni come un marketplace, in cui i molteplici stimoli in logica di cross-buying fanno sì che l'acquisto di un prodotto traini altri. Nello specifico, questi utenti spendono più della media, fanno maggior uso del mobile e prenotano con maggior anticipo; i «selettivi digitali», pari al 58 per cento che invece prenotano last minute e utilizzano la Rete in modo meno intenso, soprattutto per ricerca e condivisione;

          per quanto concerne l'offerta del sistema turistico italiano, il comparto nel quale la trasformazione digitale si è maggiormente sviluppata è quello delle «strutture ricettive, che si trovano in questo momento a gestire il passaggio dall'adozione degli strumenti digitali a un governo efficace degli stessi (...). Le strutture che riescono ad avere una percentuale maggiore di prenotazioni dirette sono quelle che puntano su una relazione stabile con il cliente e usano strumenti promozionali come email marketing verso i propri contatti»;

          Eleonora Lorenzini, dell'Osservatorio innovazione digitale nel turismo del Politecnico di Milano, ha spiegato come «nel mercato italiano, siano diversi i macro-trend trasversali che è importante non trascurare. Si stanno costruendo enormi flussi turistici digitali legati al business travel che vanno intercettati nel breve termine da parte dell'offerta. (...) Le attività in destinazione (come ristorazione, musei, parchi, escursioni) si stanno digitalizzando e la fisicità che comportano può garantire una difendibilità superiore rispetto ai servizi che i grandi player internet internazionali possono offrire con economie di scala impareggiabili». Infine, «alcune aziende esponenti del mondo tradizionale dei viaggi stanno iniziando a collaborare con startup e fornitori di tecnologia, anche se non sempre in modo efficace e con eccessiva rigidità da entrambe le parti. Questo percorso verso smart working, open innovation e approccio basato sui dati dovrà continuare con costanza, mutuando esperienze che da anni sono state fatte in altri settori per evitare di commettere errori già visti» –:

          se il Governo intenda definire chiaramente le strategie future volte a potenziare l'offerta digitale dei servizi turistici;

      come si intenda sviluppare e rafforzare l'utilizzo degli strumenti digitali e tecnologicamente avanzati, con l'obiettivo di valorizzare e incrementare l'attività turistica italiana.
(4-18335)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CATALANO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          nel mese di agosto del 2017 è stato pubblicato un articolo scientifico, finanziato dal Ministero della difesa (domanda di sovvenzione di progetto: D85D10000250001), riguardante uno studio dal titolo: «Lack of evidence for post-vaccine onset of autoimmune/lymphoproliferative disorders, during a nine-month follow-up in multiply vaccinated Italian military personnel»;

          tra gli autori risultano essere ben 5 esponenti militari coinvolti a vario titolo, 7 esponenti del mondo universitario e uno dell'Istituto superiore di sanità;

          l'ultima riga dell’abstract recita così: «le vaccinazioni multiple nei giovani adulti sono sicure e non associate allo sviluppo di auto immunità e linfoproliferazione durante un monitoraggio di nove mesi»;

          a pagina 61 si afferma che: «Nonostante i meriti innegabili delle vaccinazioni nel controllo delle malattie infettive [3] e della notevole sicurezza dei vaccini [4], recentemente *, specialmente nei paesi sviluppati, i mass media hanno dedicato un'attenzione particolare ai danni causati dal vaccino. L'emergere di alcuni casi di linfomi di Hodgkin e non Hodgkin in personale militare delle forze armate italiane altrimenti sano ha alimentato l'argomento che le vaccinazioni, specie le vaccinazioni multiple, possono rappresentare importanti cofattori per l'induzione di disturbi linfoproliferativi. Questo clima di opinioni probabilmente ha contribuito al giudizio che attribuiva la morte di un militare arruolato per linfoma non-Hodgkin alle vaccinazioni multiple obbligatorie somministrate al soldato durante il suo servizio militare [5]»; la nota 5 rimanderebbe esplicitamente al caso di Francesco Finessi –:

          quali siano le motivazioni che hanno spinto il Ministero della difesa a finanziare questo studio, chi abbia assunto l'iniziativa, quanto sia costato lo studio nel dettaglio e quali siano le finalità dello studio medesimo, posto che di fatto esso risulta contestare Signum e/o il caso del militare citato in premessa.
(5-12590)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GUERRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

          con la legge n. 386 del 26 luglio 1975, è stato approvato ed è stata data piena esecuzione all'accordo stipulato a Roma, in data 3 ottobre 1974, tra l'Italia e la Svizzera con il quale, allo scopo di evitare la doppia imposizione in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio dei lavoratori frontalieri, è previsto il versamento ai comuni di confine, da parte dei Cantoni Svizzeri dei Grigioni, del Ticino e del Vallese, di una determinata somma a titolo di compensazione finanziaria operata a carico dei lavoratori frontalieri sulle retribuzioni ai medesimi corrisposte;

          l'articolo 5 della citata legge stabilisce, tra l'altro, che il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le regioni Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta e la provincia autonoma di Bolzano, nonché i comuni frontalieri interessati, determinerà annualmente i criteri di ripartizione e di utilizzazione dei fondi che saranno versati dai Cantoni Svizzeri;

          l'ultimo dei decreti emanati recante i criteri di ripartizione e utilizzazione delle compensazioni finanziarie operate dai Cantoni Svizzeri a favore dei comuni italiani di confine, per gli anni 2014-2015, è quello del 4 agosto 2016, il cui articolo 2 prevede testualmente che «Ai fini della rilevazione della situazione del frontalierato, esistente in ciascun comune, si assumono i dati rilevati dalle competenti autorità dei cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese alla data del 31 agosto del 2014 e 2015. I dati sono acquisiti direttamente dalle autorità italiane presso quelle svizzere»;

          ai fini dell'assegnazione delle somme ai comuni, per quanto riguarda quelli della provincia di Como oggetto della presente interrogazione, occorre rilevare che le somme vengono assegnate non solo ai comuni, ma anche alle comunità montane o alla stessa regione secondo i seguenti criteri:

              a) ai «comuni di confine» in cui il numero dei frontalieri residenti nel corso di ciascun anno, cui si riferisce la ripartizione, rappresenti almeno il 4 per cento dell'intera popolazione risultante residente nel comune, rispettivamente al 31 agosto dell'anno in questione 2014 e al 31 agosto 2015;

              b) alle comunità montane, qualora il suddetto rapporto tra numero di frontalieri e l'intera popolazione sia inferiore al 4 per cento ed il «comune di confine» sia compreso in tutto od in parte nella comunità montana;

              c) alla regione Lombardia, qualora il «comune di confine» con numero di frontalieri inferiori alla detta percentuale, non sia compreso neanche in parte nelle comunità montane;

          alcuni comuni della provincia di Como, tra cui ad esempio il comune di Cerano d'Intelvi, hanno riscontrato e segnalato significativi scostamenti tra il numero di frontalieri comunicato dalle autorità svizzere ed il numero effettivo di frontalieri attivi risultante ai comuni stessi. Il comune di Cerano d'Intelvi, i cui dati risultano particolarmente significativi, a fronte del numero fornito dalle autorità elvetiche di 13 frontalieri per l'anno 2014 e 15 per l'anno 2015, ha accertato, per entrambi gli anni, un numero effettivo di 32 frontalieri; si tratta di un disallineamento di cifre assolutamente rilevante e gravemente pregiudizievole per il bilancio del suddetto comune che, non avendo superato la soglia del 4 per cento, non ha potuto introitare i ristorni fiscali dovuti –:

          se risultino o siano stati segnalati al Ministro interrogato altri casi analoghi a quello del comune di Cerano d'Intelvi;

          quali siano i criteri e le modalità sulla base dei quali le competenti autorità svizzere acquisiscono e determinano il numero dei frontalieri per ciascun comune di residenza che viene poi comunicato alle autorità italiane;

          se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per verificare, d'intesa con le competenti autorità elvetiche, le difformità segnalate riguardo alle reali entità numeriche dei frontalieri riconosciuti residenti in ciascun comune, in relazione all'attuazione di quanto previsto dall'accordo stipulato in data 3 ottobre 1974 tra l'Italia e la Svizzera, con particolare riferimento al ristorno fiscale ai comuni di confine, alle comunità montane ed alla regione Lombardia, nonché al riparto tra questi enti.
(5-12587)


      BECATTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

          la gestione degli incentivi pubblici erogati dal Gestore dei servizi energetici (Gse) a favore degli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile entrati in esercizio dal 1° gennaio 2009 sono disciplinati, ai fini della cumulabilità con altri incentivi pubblici, dall'articolo 2, comma 152, della legge n. 244 del 2007. Questa norma prevedeva un divieto assoluto di cumulo tra incentivo erogato dal Gse e altri incentivi pubblici;

          nel corso del 2011 il legislatore ha introdotto un significativo chiarimento sulla portata del divieto assoluto di cumulo degli incentivi erogati dal Gse con altri incentivi pubblici. Ha infatti introdotto una norma di interpretazione autentica prevedendo all'articolo 26, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2011 che il disposto dell'articolo 2, comma 152, primo periodo, della legge n. 244 del 2007 comunque non si applica nel caso di fruizione della detassazione dal reddito d'impresa degli investimenti in macchinari e apparecchiature, così come precedentemente previsto dall'articolo 6 dalla legge n. 388 del 2000 (cosiddetto «Tremonti ambiente»);

          tale quadro normativo consente, quindi, di cumulare la detassazione di cui alla normativa «Tremonti ambiente» con tutti gli incentivi erogati da parte del Gse (certificati verdi, tariffa onnicomprensiva e tariffa incentivante) per gli impianti entrati in esercizio ai fini dell'erogazione dell'incentivo da parte del Gse a decorrere dal 1° gennaio 2009;

          allo stato solo per gli impianti fotovoltaici allacciati indistintamente a tutti i conti energia è previsto un limite quantitativo di cumulabilità, introdotto con l'articolo 19 del decreto ministeriale 5 luglio 2012 ed indicato dal legislatore medesimo nella misura del 20 per cento del valore dell'investimento sostenuto. Ai fini del rispetto del limite di cumulabilità, il risparmio d'imposta conseguito a seguito di applicazione della detassazione ex «Tremonti ambiente» non può quindi eccedere il limite del 20 per cento rispetto al costo sostenuto dall'impresa e iscritto a bilancio per l'acquisizione dell'impianto fotovoltaico;

          in un primo momento alcune direzioni delle Agenzie delle entrate contestavano una ipotetica non cumulabilità tra tariffa incentivante e detassazione. La questione è stata risolta in sede contenziosa con diverse pronunce (Commissione Tributaria provinciale Genova 737/1/2017, Commissione Tributaria provinciale Bergamo 284/4/2017, Commissione Tributaria provinciale Milano passata in giudicato, Commissione Tributaria provinciale Ancona 328/2/2017 passata in giudicato e soprattutto Commissione Tributaria regionale Milano 3656/45/2016 passata in giudicato e divulgata anche dal Ministero dell'economia e delle finanze ad uso studio e ricerca) che riconoscono la cumulabilità;

          a seguito di tali importanti pronunce diversi uffici dell'Agenzia delle entrate hanno iniziato a rinunciare al contenzioso e a riconoscere le agevolazioni ex normativa «Tremonti ambiente» con tutti i conti energia;

          altri uffici dell'Agenzia delle entrate, al contrario, stanno ponendo in essere attività di accertamento e controllo con modalità atipiche, non tenendo conto delle pronunce giurisprudenziali sopra richiamate e rischiando così di mettere a repentaglio i principi di efficienza ed efficacia che dovrebbero ispirare l'azione amministrativa;

          il Ministero dello sviluppo economico preso atto delle pronunce giurisprudenziali con la nota ufficiale del 18 giugno 2015 ammettendo la cumulabilità per tutti gli investimenti avviati entro il 26 giugno 2012. Infine anche il Gse ha confermato la cumulabilità con esito positivo risultante dal verbale del 16 maggio 2016 di conclusione di una verifica effettuata –:

          se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative volte a confermare che il legittimo esercizio del potere accertativo e di controllo dell'Agenzia delle entrate possa avvenire esclusivamente ai sensi, per gli effetti e nei limiti di cui alle disposizioni del titolo IV «Accertamenti e controlli», del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 e quindi in forza di atti tipizzati dal legislatore che diventano vincolanti per il contribuente e per i terzi solo a seguito di acquiescenza amministrativa, decorso del termine per impugnazione in sede giurisdizionale o passaggio in giudicato di sentenze.
(5-12589)

Interrogazione a risposta scritta:


      PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

          l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, con il comunicato stampa del 29 settembre 2017, ha annunciato l'avvio all'utilizzo del sistema unionale delle customs decisions, sviluppato dai servizi della Commissione europea, «per la presentazione delle domande da parte dell'operatore economico e per il rilascio e la gestione delle relative decisioni doganali, ai fini della gestione di istanze e decisioni (autorizzazioni) aventi ad oggetto la corretta applicazione della normativa doganale. L'utilizzo del sistema si pone come un'alternativa alla forma cartacea per la gestione delle predette istanze e decisioni»;

          come riportato dal sito www.fiscopiu.it, «il Codice Doganale dell'Unione Europea (CDU) ha stabilito regole generali per il processo autorizzativo e per la gestione delle decisioni relative all'applicazione della normativa doganale». Le decisioni doganali sono autorizzazioni concesse dall'autorità doganale competente sulla base delle richieste presentate dall'operatore economico. Il CDU stabilisce il principio che «tutti gli scambi di informazioni, richieste o decisioni, tra autorità doganali, nonché tra operatori economici ed autorità doganali, e l'archiviazione di tali informazioni richiesti dalla normativa doganale siano effettuati mediante procedimenti informatici. Da ciò la necessità di sviluppare il Customs Decisions System (CDS)»;

          nello specifico, «il sistema è costituito da due componenti: l'EU Trader Portal (TP), attraverso cui l'operatore economico presenta le domande di decisione e segue il ciclo di vita della domanda e della connessa decisione (rilascio, diniego, richieste di integrazioni...) ed il Customs Decisions Management System (CDMS), attraverso cui gli uffici competenti dell'Agenzia centrali e territoriali gestiscono le domande e il ciclo di vita delle decisioni»;

          dal 2 ottobre 2017, le domande di decisione sono presentate dagli operatori economici esclusivamente in forma elettronica tramite il Trader Portal. «Gli operatori economici interessati e gli uffici competenti devono monitorare rispettivamente TP e CDMS, in quanto la normativa che regola il processo delle decisioni prevede precisi vincoli temporali il cui mancato rispetto può comportare conseguenze sfavorevoli sia per gli operatori economici sia per gli uffici competenti.»;

          i portali web «EU Trader Portal e Customs Decisions Management System (sistema di gestione delle decisioni doganali a disposizione degli uffici doganali)», sono stati sviluppati in lingua inglese, in quanto risulta essere la lingua franca ufficiale nelle istituzioni europee, dalla Commissione europea per poter essere accessibili a tutti gli operatori economici dell'Unione europea;

          come riportato dal sito www.europarl.europa.eu «il rispetto della diversità linguistica è uno dei valori fondamentali dell'UE (....). Il primo regolamento del 1958 che stabilisce il regime linguistico dell'allora Comunità economica europea è stato modificato dalle successive adesioni all'UE e definisce, insieme all'articolo 55, paragrafo 1, del TUE (Trattato Unione Europea), le lingue ufficiali dell'Unione. In conformità dell'articolo 24 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione europea), ogni cittadino dell'Unione può scrivere alle istituzioni o agli organi dell'UE in una di tali lingue e ricevere una risposta nella stessa lingua»;

          a quanto risulta agli interroganti, l'accessibilità ai portali Trader Portal e Customs Decisions Management System, esclusivamente in lingua inglese, sta creando notevoli difficoltà agli operatori nazionali, paralizzando, in alcuni casi, l'operatività e causando un rallentamento delle attività economiche. Sarebbe in corso, da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, la traduzione di entrambe le applicazioni in lingua italiana;

          peraltro, a differenza delle precedenti modalità, risulta poca chiara l'introduzione del nuovo e obbligatorio sistema, senza che siano stati resi noti i collaudi, né i necessari e preventivi test di corretto funzionamento. In ultimo, a quanto consta all'interrogante, il sistema delle customs decisions non sarebbe stato accessibile e/o sarebbe stato non funzionante per gli utenti esterni fino al 23 ottobre 2017. E, ad oggi, risulterebbe nuovamente non disponibile –:

          se il Ministro interrogato intenda spiegare le cause del ritardo nella traduzione in lingua italiana dei portali web «EU Trader Portal e Customs Decisions Management System»;

          se intenda chiarire secondo quali tempistiche saranno tradotti in italiano i portali web menzionati, fondamentali per agevolare le attività degli operatori nazionali nella presentazione delle domande riguardanti le decisioni doganali;

          come si spieghi la mancata effettuazione dei necessari e preventivi test di corretto funzionamento del sistema sopra citato.
(4-18358)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


      ALLASIA e MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          da notizie pubblicate su alcune testate on-line, tra cui (torino.repubblica.it), un ex terrorista Sergio Segio «uno dei fondatori di Prima Linea (..) ha partecipato a un incontro nel teatro del carcere delle Vallette insieme con il garante dei detenuti Bruno Mellano e il direttore Domenico Minervini, “una passerella inopportuna che ci indigna”, dicono i sindacati del carcere torinese dedicato proprio a due vittime del terrorismo delle Brigate rosse Giuseppe Lorusso e Lorenzo Cotugno. “La nonchalanche con cui è stato accolto un ex terrorista che sempre assassino rimane, condannato per gravi fatti di sangue, tra cui l'omicidio di un agente di custodia, dimostra la mancanza di rispetto per le vittime del terrorismo e per i caduti del corpo”, commenta il segretario generale dell'Osapp Leo Beneduci che ha denunciato il fatto. “Esprimiamo profondo sconcerto per l'ingresso di Segio, è una ferita ancora aperta per gli agenti di custodia prima e per la polizia penitenziaria adesso. Tra l'altro proprio ieri, il carcere di San Vittore è stato intitolato al maresciallo degli agenti di Custodia Francesco Di Cataldo vittima del terrorismo”. Non è la prima volta che il carcere di Torino è protagonista di polemiche simili. A febbraio dell'anno scorso un'altra ex di prima linea Liviana Tosi aveva fatto visita al carcere sollevando le proteste dei sindacati della polizia penitenziaria (...)»;

          purtroppo, appare inaudito e sconcertante come si possa invitare un ex terrorista, che si è macchiato tra l'altro dell'omicidio di un agente di custodia, in un dibattito all'interno del carcere;

          è del tutto evidente, secondo gli interroganti, che vi sono gravi responsabilità del direttore del carcere di Torino e del Ministero della giustizia in relazione alla partecipazione al dibattito in parola di Sergio Segio –:

          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza, anche di natura urgente, intenda adottare, da un lato, per evitare che fatti similari si ripetano nel futuro e, dall'altro lato, per verificare le responsabilità, sul piano amministrativo e disciplinare, in relazione alla partecipazione di un ex terrorista, che si è macchiato, tra l'altro, dell'omicidio di un agente di custodia in un dibattito all'interno del carcere.
(4-18344)


      CHIARELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          è nota la situazione di grave emergenza che interessa gli istituti di pena italiani in termini di sovraffollamento e di carenza di organici;

          il decreto 146 del 2003 di recente convertito in legge non affronta in modo strutturale la problematica ed interviene in modo molto marginale, potendosi applicare la nuova norma esclusivamente ai detenuti che scontano una pena definitiva;

          si rileva in particolare uno squilibrio nelle dotazioni organiche che vede penalizzati soprattutto gli istituti di pena allocati al Sud;

          il carcere di Taranto, che ha funzione di casa circondariale, dall'interrogante conosciuto in modo diretto per propria attività professionale, e di recente visitato in veste istituzionale, presenta numerose carenze che riguardano le condizioni generali di manutenzione della struttura ed in particolare la dotazione organica;

          l'organico in base a quanto previsto dal decreto ministeriale del 2001 prevede 357 unità di polizia penitenziaria;

          in data 25 febbraio 2014 presso il provveditorato regionale di Bari si è tenuto l'incontro tra i sindacati, il provveditore ed il direttore di Taranto in cui è stata esposta una tabella da cui si evince che il numero di personale effettivo presso il carcere di Taranto è 299, compreso il comandante e tolto l'UEPE che è di competenza provveditoriale, a fronte di un numero previsto in una proposta dal Ministero di 403 e del provveditore di 340;

          con questi numeri si vuole anche aprire un nuovo padiglione indipendente, per 48 detenuti a regime di sorveglianza remota, con problemi logistici con solo l'unità recuperate dagli uffici già sommersi di lavoro –:

          se ritenga di sospendere l'apertura del nuovo padiglione al fine di evitare il rischio di determinare situazioni di possibile grave pericolo, nelle more di un necessario approfondimento della intera materia;

          se ritenga di intervenire in direzione di un ormai inderogabile adeguamento della pianta organica, acquisendo come dato il numero di 42 (quarantadue) unità necessarie per raggiungere il livello minimo di dotazione.
(4-18359)


      ATTAGUILE, LO MONTE, PAGANO e MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          purtroppo si continua ad assistere ad evasioni dal carcere da parte di detenuti. L'ultima, in ordine di tempo, e la più «pericolosa» è quella avvenuta al carcere di Favignana di tre detenuti, e precisamente l'ergastolano Adriano Avolese e di altri due detenuti Giuseppe Scardino e Massimo Mangione, trasferiti, questi ultimi due, nel carcere di massima sicurezza di Favignana proprio perché avevano già tentato un'evasione da un'altra casa di reclusione;

          come indicato dal quotidiano «Libero» (liberoquotidiano.it) del 29 ottobre nel 2017 «... oltre a fughe in senso stretto dalle carceri, vanno conteggiate 17 evasioni da permessi premio, 11 da lavoro esterno, 11 da semilibertà e 21 mancati rientri»;

          come si comprende dai quotidiani, nello specifico dalla testata on-line repubblica.it (palermo.repubblica.it) del 29 ottobre 2017, gli evasi «... hanno segato le sbarre e sono fuggiti. Alle 24, nell'ultima ronda durante la quale si effettua solo la ronda, i quattro detenuti dormivano. Alle 3,30 la ronda notturna si è accorta di quanto accaduto ... . “Alle 16 di venerdì quelle sbarre erano integre, lo giuro”, ha detto agli investigatori il poliziotto penitenziario che aveva sbattuto il ferro sulle sbarre per verificare eventuali tentativi di evasione»;

          si apprende che il sistema di videosorveglianza del carcere di Favignana non era funzionante e quindi non è possibile nemmeno visionare le immagini dell'evasione; è alquanto preoccupante che in un carcere di massima sicurezza l'impianto fosse malfunzionante;

          inoltre, si evince dagli articoli indicati che il personale di polizia penitenziaria in servizio effettivo è di 63 unità per 46 detenuti, ma nella notte tra venerdì e sabato al momento dell'evasione, avvenuta pare, come detto alle 2.30, in tutto l'istituto c'erano solo tre agenti: uno alla sorveglianza generale, uno in sala di regia ed un altro tra il primo ed il secondo piano. Non solo. La zona dove è avvenuta la fuga è praticamente al buio e come indicato più volte dai sindacati di categoria, era stato più volte segnalato di intervenire sul fronte dell'illuminazione, ma pare che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) abbia risposto che non vi fossero risorse per fare l'intervento;

          di poi, si aggiunga che ai fini dell'evasione in parola ha contribuito sicuramente l'aver eliminato le sentinelle di sorveglianza dalle mura del carcere, senza dimenticare l'istituto della vigilanza dinamica che consente ai detenuti di non restare nelle celle ma di muoversi liberamente all'interno del carcere;

          tutte queste gravi carenze come evidenziate confermano una mala gestio delle carceri italiane che ha provocato, e sta provocando, le evasioni, nel caso di specie dei tre detenuti Adriano Avolese, Giuseppe Scardino e Massimo Mangione, oltre a creare un grave allarme sociale l'opinione pubblica;

          se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative per riportare con urgenza la sicurezza nel carcere di Favignana, anche con interventi di natura emergenziale, in primo luogo ripristinando e potenziando il sistema di videosorveglianza del carcere, in secondo luogo intervenendo sull'impianto di illuminazione affinché il carcere in questione sia «coperto» per la sua interezza o comunque nelle parti ritenute più a rischio o sensibili, ed in terzo luogo ripristinando il servizio di sentinelle di sorveglianza dalle mura del carcere, oltre a verificare eventuali responsabilità della direzione del carcere o del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che hanno consentito, nei fatti, l'evasione dei tre detenuti in parola.
(4-18371)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          Ativa s.p.a. è la società che gestisce il sistema tangenziale di Torino e l'autostrada A5 Torino-Ivrea-Valle d'Aosta;

          la concessione trentennale in capo ad Ativa s.p.a. è scaduta il 31 agosto 2016 e contestualmente alla scadenza veniva chiesto da parte della società un rinnovo fino al 2030;

          in presenza della normativa europea che non consente agli Stati membri il rinnovo in automatico delle concessioni autostradali, è stata disposta una proroga di entrambe le concessioni per 18 mesi, in modo da poter predisporre il bando per una nuova gara di affidamento;

          l'ente concedente avrebbe deciso di unificare in un'unica concessione la gestione del sistema tangenziale di Torino con la gestione dell'asse autostradale che unisce Torino e Piacenza e questo ostacola l'obiettivo di istruire bandi più corrispondenti alle esigenze dei vari territori su cui le tratte autostradali insistono;

          il sistema tangenziale di Torino rappresenta ormai un asse di sviluppo sia per la mobilità e la pendolarità di area vasta, sia per lo sviluppo economico delle aree perimetrali, che ospitano numerose attività produttive e commerciali;

          per tali ragioni il nuovo bando di gara e la relativa concessione dovrebbero tenere in debito conto nuova realtà urbana e la funzione importantissima che la tangenziale svolge nel sistema urbano torinese, aprendo una fase utile per considerare una diversa modulazione del sistema dei pedaggi e delle tariffe, anche valutando l'introduzione di forme forfettarie di pagamento, evitando in tal modo di creare, disparità tra i cittadini dell'area metropolitana;

          l'attuale sistema di rodaggio della tangenziale, a differenza di altri raccordi autostradali come il grande raccordo anulare di Roma, comporta fenomeni distorsivi del traffico, anche pesante, che per sottrarsi al pagamento del pedaggio, si riversa nei comuni della cintura metropolitana, contribuendo ad elevare i livelli degli inquinanti e a peggiorare la qualità dell'aria;

          sarebbe quanto mai opportuno che le società concessionarie diano piena attuazione, per la parte ancora in fieri, al piano dei parcheggi d'interscambio sulle aree nella loro disponibilità, realizzando in via prioritaria un sistema di sosta di lungo periodo tra le interconnessioni autostradali, della tangenziale e della rete di mobilità pubblica –:

          di quali elementi sia a conoscenza il Ministro interrogato e, se trovi conferma e, in caso affermativo, per quali motivazioni, l'intenzione di unire, in un'unica gara, l'affidamento dell'intero sistema autostradale piemontese alla gestione dell'asse Torino-Piacenza;

          se non si ritenga opportuno, nell'affidamento della nuova concessione, assumere iniziative per riconsiderare l'attuale sistema di pedaggio della Tangenziale di Torino.
(5-12599)


      GINEFRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

          la gestione delle Ferrovie dello Stato, in ambito Ferrovie Sud Est, ha, nel corso di un recente incontro svolto alla presenza delle organizzazioni sindacali, confermato la volontà di chiusura della officina e della rimessa automotrici con sede a Bari entro il 31 dicembre 2017;

          nell'ambito della riunione la dirigenza aziendale ha ipotizzato l'introduzione del sistema Srms per il controllo della manutenzione dei rotabili e della gestione dei materiali di magazzino, e una complessiva rivisitazione delle attività manutentive con esternalizzazioni, confermando, quindi, il trasferimento del personale in diversa residenza per effettuare la manutenzione dei rotabili;

          declinata sui lavoratori, tale volontà si traduce in circa 60 lavoratori che rischiano di dover essere trasferiti da Bari a Taranto ed anche Foggia;

          l'incontro si è concluso con un mancato accordo e il prosieguo delle procedure di raffreddamento e conciliazione di cui alla legge n. 146 del 1990 e successive modificazioni;

          le organizzazioni sindacali hanno conseguentemente invocato l'intervento del prefetto al fine di prendere in considerazione la delicata vertenza –:

          se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, con la massima urgenza per un ripristino delle corrette relazioni sindacali, con l'obiettivo di scongiurare il trasferimento dei lavoratori e garantire la operatività della officina e della rimessa di Bari.
(5-12605)


      AMODDIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          i dati sull'inquinamento dell'aria relativi al settore dei trasporti in Italia, evidenziano livelli preoccupanti di emissioni di gas serra che, negli ultimi anni, sono cresciuti fino a raggiungere il 25 per cento del totale dell'Unione europea;

          a livello nazionale l’e-mobility rappresenta solo lo 0,1 per cento dell'intero mercato dell'auto. Una crescita lenta e quasi impercettibile dovuta alla mancanza quasi totale di incentivi per l'acquisto di auto elettriche. Nel corso del 2016, i dati del pubblico registro automobilistico mostrano come in Italia il 90 per cento delle auto immatricolate sia costituito da autovetture tradizionalmente alimentate. Altri Paesi europei come Francia, Germania, Olanda e Svezia hanno annunciato una strategia che porti, entro il 2040, al divieto di vendita di auto diesel e benzina; inoltre, la grande maggioranza dei Paesi europei ha stabilito l'adozione di politiche mirate ad incentivare l'acquisto, la vendita e la promozione di veicoli elettrici ed il potenziamento della rete di ricarica nazionale. Appare evidente, come suggeriscono le azioni intraprese dagli altri Stati europei, che una politica capace di raggiungere risultati in questo settore, non può limitarsi esclusivamente agli incentivi economici, ma deve attuare un corollario di provvedimenti che spazino dal parcheggio gratuito all'esenzione dell'iva. Un cospicuo incremento della mobilità elettrica, infatti, potrebbe permettere il raggiungimento degli obiettivi dell'accordo di Parigi sul clima e rendere più vivibili e meno inquinate le città –:

          se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per stanziare adeguate risorse economiche, per incentivare l’e-mobility nel nostro Paese.
(5-12610)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GUIDESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          in questi giorni è stato raggiunto un accordo a livello europeo per una proposta di riforma del trattamento dei lavoratori «distaccati», rivedendo una direttiva in vigore dal 1996, al fine di contrastare il fenomeno del dumping fra Stati membri dell'Unione europea, e obbligando così le aziende a retribuire i dipendenti secondo il contratto previsto nel Paese di destinazione e non più in base agli standard di quello di origine;

          il testo, attualmente in attesa del giudizio dell'Europarlamento, non contempla il settore dei trasporti, uno di quelli maggiormente esposti ai rischi della concorrenza sleale, causati soprattutto dalla penetrazione sul mercato di aziende dall'Est europeo;

          in Italia le condizioni fiscali e burocratiche sono scarsamente competitive e molte aziende, ritenendole svantaggiose, sono costrette a chiudere l'attività oppure a delocalizzarsi. Le possibilità date dal distacco transnazionale del personale e dalle attività di trasporto in regime di cabotaggio, permettono alle imprese di continuare a lavorare in un determinato Paese, ma alle condizioni fiscali e contributive più favorevoli dello Stato nel quale hanno spostato la sede e immatricolato i veicoli;

          secondo i dati forniti da Conftrasporto, i Paesi che sono entrati per ultimi a far parte dell'Unione europea hanno sfruttato la leva dei lavoratori distaccati per far crescere la propria quota di mercato nel traffico di merci su gomma dal 15,5 per cento del 2005 al 55,5 per cento del 2015, una crescita che contrasta con il calo registrato invece in Italia, ove tale quota è scesa dal 36,4 per cento al 15,5 per cento con una diminuzione delle merci in entrata o uscita su mezzi immatricolati nella Penisola per oltre il 69 per cento;

          negli ultimi anni il settore dell'autotrasporto ha vissuto una drammatica crisi che ha fatto registrare, (dal 2006 al 2016) la perdita del 69 per cento dei traffici delle merci trasportate da veicoli immatricolati in Italia, mentre contestualmente nei Paesi dell'Est Europa le imprese di autotrasporto continuano ad aumentare, con un miglioramento dei traffici di merci di quasi il 200 per cento –:

          quali siano le motivazioni che hanno portato all'esclusione del settore dell'autotrasporto dall'accordo raggiunto in sede europea di cui in premessa e se il Governo non ritenga doveroso, a tal proposito, farsi promotore di una tempestiva iniziativa, nelle sedi competenti, affinché gli autotrasportatori e le aziende di trasporto del nostro Paese non continuino a subire i gravi danni legati alla concorrenza sleale.
(4-18338)


      SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          in relazione alla project review in corso sul progetto di autostrada della Maremma, decisa dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e contenuta nell'allegato infrastrutture 2017, si è appreso che, in data 14 settembre 2017, presso la regione Toscana Anas S.p.a. ha presentato un primo studio di adeguamento della strada statale Aurelia;

          lo studio presentato da Anas presso la regione ed alla presenza dei sindaci interessati dal tracciato, rappresenta una prima ipotesi di adeguamento della strada statale 1 Aurelia per la sua trasformazione in superstrada, ai fini del superamento definitivo del progetto autostradale SAT;

          dai contenuti diffusi in modo pubblico e secondo i documenti inviati ai sindaci coinvolti risulta che lo studio presentato da Anas riguarda il solo tratto dalla strada statale 1 da Grosseto ad Ansedonia, mentre non riguarda il tratto Ansedonia-Tarquinia, che, allo stesso modo, necessita di essere adeguato. Nello specifico, si sottolinea che il tratto Ansedonia-Capalbio contiene ancora 12,5 chilometri completamente a due corsie, rappresentando quindi il tratto maggiormente critico ed insicuro di tutta la strada statale Aurelia da Tarquinia a Rosignano. Eppure, su questo tratto, che dovrebbe avere la priorità per la messa in sicurezza da parte di Anas, non è stato presentato alcuno studio e nessuna ipotesi di adeguamento della strada statale Aurelia –:

          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative affinché l'Anas predisponga uno studio di adeguamento dell'intera tratta tra Grosseto-Tarquinia della strada statale Aurelia e affinché, a breve presenti un elaborato completo, in modo tale che conseguentemente venga approvato e realizzato un adeguamento della strada statale Aurelia da Grosseto a Tarquinia, con priorità di intervento sui tratti a due corsie in quanto maggiormente critici ed insicuri.
(4-18349)


      RUSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          il viaggio Napoli centrale - Roma Termini, con un treno dell'alta velocità costa al viaggiatore che sceglie la tariffa standard 45 euro, ed il tempo di percorrenza per raggiungere la meta, secondo quanto riportato dal sito internet di Trenitalia, è di 1 ora e 10 minuti;

          dall'11 giugno 2017 è stata attivata anche la stazione di Napoli-Afragola, attraverso la quale si raggiunge la destinazione di Roma Termini in 55 minuti;

          il costo del biglietto Napoli (Afragola)-Roma applicato per la tariffa standard è sempre di 45 euro, nonostante la differenza esistente tra i due percorsi–:

          quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per mettere fine alla ingiustificata disparità di trattamento riservata ai viaggiatori che si recano da Napoli-Afragola a Roma in treno, percorrendo una tratta inferiore per durata e distanza rispetto a quella che va da Napoli centrale alla stazione della capitale.
(4-18355)


      FAUTTILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          la gestione del sistema aeroportuale della capitale è stata regolata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2012 che ha approvato l'atto unico convenzione-contratto di programma stipulato il 25 ottobre 2012 tra Enac e società Aeroporti di Roma;

          il citato atto unico individuava Fiumicino quale hub principale, mentre Ciampino sarebbe diventato un city airport. Nello stesso piano era previsto un terzo aeroporto, per i voli low cost, nel territorio del comune di Viterbo;

          in data 19 settembre 2017 il Governo rispondendo all'atto di sindacato ispettivo n. 4-16087 relativo alla costruzione di un terzo polo aeroportuale per la regione Lazio, reso necessario dal congestionamento dell'aeroporto di Fiumicino e dal previsto ridimensionamento di quello di Ciampino, ha ricordato che la Commissione europea considera compatibili con la disciplina comunitaria gli aiuti agli investimenti che, tra le altre condizioni, sono considerati come «contributo al raggiungimento di un obiettivo comune», ma che il moltiplicarsi degli aeroporti non può essere considerato tale. Per questo, dunque, sarebbe stato cancellato il terzo aeroporto previsto;

          la Commissione specificava, tuttavia, che «si ritiene che un aiuto agli investimenti negli aeroporti contribuisca al conseguimento di un obiettivo di interesse comune se: a) serve ad incrementare la mobilità dei cittadini dell'Unione e la connettività delle regioni mediante la creazione di punti di accesso a voli intraunionali; b) aiuta a combattere la congestione del traffico aereo nei principali hub aeroportuali unionali; c) facilita lo sviluppo regionale»;

          appare evidente all'interrogante che almeno in ossequio ai punti b) e c) vi sia spazio per un terzo aeroporto;

          l'aeroporto principale del Lazio, quello di Fiumicino, è saturo, anche se ne è stato previsto il potenziamento infrastrutturale, mentre di quello di Ciampino, come ricordato, è previsto il ridimensionamento;

          secondo il Governo un terzo aeroporto non sarebbe necessario, visto che molti dati parlano di una contrazione del traffico di merci e persone, tale che esso potrebbe essere smaltito dai due aeroporti esistenti;

          il piano di sviluppo aeroportuale al 2044, infatti, prevede la riconversione di Ciampino in secondary airport, con operatività dello scalo ridotta;

          in realtà, i dati sui quali si basa la risposta del Governo non sembrano, a parere dell'interrogante, esatti, in quanto riferiti ad un momento di crisi del sistema low cost, al quale era seguito una riduzione del traffico merci/passeggeri su i due aeroporti maggiori, che appare ormai in via di superamento. Dati più recenti, infatti, fanno pensare che, a fine 2017, si avranno gli stessi numeri, molto ampi, del 2003;

          appare, dunque, poco comprensibile la scelta di non dar vita ad un terzo scalo aereo regionale nel Lazio;

          sarebbe auspicabile, invece, che esso venisse realizzato a Latina, dove l'attuale scalo militare può vantare un buon collegamento con la rete ferroviaria e la vicinanza con Roma e Napoli, la mancanza di vincoli ambientali ed archeologici che consentirebbero lavori di ammodernamento rapidi, nonché potenzialità di crescita notevoli vista la scarsa antropizzazione dell'area circostante che rende possibile l'acquisizione di superfici in grado di programmare l'investimento sino al limite fisiologico del traffico degli scali con singola pista d'atterraggio;

          di recente la regione Lazio e gli enti locali interessati, provincia e comune, si sono espressi favorevolmente in merito alla realizzazione del terzo aeroporto regionale a Latina nel sito dove è già presente lo scalo aeroportuale militare –:

          se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per quanto di competenza, al fine di rivedere la decisione di fermare la realizzazione di un terzo scalo aeroportuale nel Lazio, con particolare riferimento all'utilizzazione della struttura aeroportuale di Latina.
(4-18357)


      GIACHETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          a causa dell'alluvione del 18 novembre 2013 la strada provinciale sarda 38-bis, che collega la Bassa all'Alta Gallura, veniva completamente spezzata in due tronconi;

          per detta tragedia persero la vita tre persone e da quel giorno l'arteria stradale non è più utilizzabile;

          la strada provinciale 38-bis collegava in maniera efficiente un vasto ed importante territorio del nord della Sardegna;

          detto percorso stradale era utile per rendere facilmente raggiungibile anche il tribunale di Tempio Pausania e il carcere di Nuchis;

          da quel giorno tutti i cittadini e gli utenti dei vari comuni interessati sono costretti a percorrere una strada secondaria disastrata e molto pericolosa (vedasi i numerosi incidente anche degli ultimi giorni);

          in data 23 dicembre 2016 l'Anas s.p.a. pubblicava un bando per l'affidamento dei lavori di ripristino della strada provinciale 38-bis, denominazione appalto CA 77/16, codice CIG: 6910177°72;

          detto appalto prevedeva il termine a fornire offerte entro il 10 febbraio 2017;

          le aperture delle offerte dovevano avvenire dal 15 febbraio 2017;

          il termine dei lavori era fissato in 17 mesi;

          ad oggi detto bando risulta chiuso senza alcuna aggiudicazione;

          pertanto, alla luce di detta grave situazione, la strada provinciale 38-bis è ancora ferma alla tragica alluvione del 18 novembre 2013;

          a giudizio dell'interrogante non è tollerabile che un'importantissima arteria stradale sia abbandonata e non ripristinata, mettendo a rischio ogni giorno l'incolumità pubblica di migliaia di utenti –:

          quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro, per quanto di competenza, al fine di ripristinare la strada provinciale sarda 38-bis.
(4-18369)

INTERNO

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

          il decreto del Presidente della Repubblica n. 87 del 2016 attua la legge n. 85 del 2009, sull'istituzione della banca dati nazionale del Dna e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna;

          la banca dati del Dna si occupa di facilitare le attività di identificazione delle persone scomparse, mediante acquisizione di elementi informativi delle stesse allo scopo di ottenere il profilo del Dna e di effettuare i confronti con i cadaveri non identificati;

          la banca dati è collocata presso il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno e il decreto stabilisce le tecniche e le modalità di acquisizione dei campioni biologici, di gestione e tipizzazione dei profili del Dna, nonché di alimentazione della banca dati, di trattamento e di accesso per via informatica e telematica ai dati raccolti da questa e nel laboratorio centrale. Il decreto, però, non stabilisce i tempi e le procedure per l'acquisizione del Dna dei familiari delle persone scomparse e le modalità di comparazione con quelli dei cadaveri non identificati;

          la XVII relazione del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse del giugno 2017 indica 2539 corpi non ancora identificati, censimento effettuato tramite le prefetture;

          dal registro generale cadaveri non identificati emerge una differente classificazione delle caratteristiche dei corpi presenti in tutti gli obitori italiani;

          al di là delle comprensibili difficoltà dovute alle condizioni dei corpi al momento del loro ritrovamento, si auspica che tutti gli obitori facciano riferimento ad uno schema e a delle modalità standardizzate di descrizione delle loro caratteristiche, con particolare riferimento ai segni caratteristici di ognuno di essi (ad esempio, cicatrici, angiomi, tatuaggi), questo potrebbe consentire un più rapido riconoscimento da parte dei congiunti;

          un caso concreto è quello Giuseppe Di Meglio scomparso da Torre del Greco in Campania nel giugno 2015; nel registro generale cadaveri non identificati del commissario straordinario in Italia ci sono 28 corpi per età e caratteristiche fisiche compatibili con lui; l'autorità giudiziaria per altri casi ha disposto l'estrazione del Dna di 3 corpi che potrebbero essere compatibili anche con Giuseppe, ma ciò non avviene per tutti gli altri casi;

          nell'aprile 2017 le forze dell'ordine hanno proceduto, per volontà dei suoi familiari, al prelievo di due campioni di mucosa orale della madre e del fratello, ma sono ancora in attesa di una risposta;

          emergono molte domande dovute alla scarsità di informazione del registro generale dei cadaveri: ad esempio, c'è un cadavere non identificato il cui ritrovamento è avvenuto in Calabria nel 1975, altri sono stati ritrovati negli anni Ottanta;

          l'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 87 del 2016 (il decreto attuativo della legge n. 85 del 2009 che prevedeva l'istituzione della banca dati del Dna) nulla dispone circa l'utilizzo del Dna per il riconoscimento dei cadaveri non identificati. Mentre la norma del 2009 prevedeva espressamente all'articolo 7, lettera c), la possibilità di utilizzo della banca dati anche ai fini della identificazione di cadaveri di persone ignote;

          il decreto ministeriale del 2016, invece, ha del tutto trascurato quanto previsto sul punto dalla legge del 2009, «dimenticando» di disporre circa i tempi e le modalità (autorità disponente e procedimento esecutivo) del prelievo di Dna dai cadaveri non identificati e di individuare le modalità pratiche e burocratiche attraverso le quali dovranno effettuarsi i prelievi dai familiari delle persone scomparse;

          si è determinato un vuoto normativo tra la disposizione del 2009 e quella attuativa del 2016, con notevoli conseguenze circa l'applicazione pratica della norma;

          gli altri Paesi europei dispongono già di un sistema efficiente per la banca dati del Dna dei corpi non identificati; l'Italia dovrebbe velocizzare il suo iter procedurale al fine di permettere la comparazione del Dna dei nostri concittadini che risultano scomparsi;

          vari deputati hanno presentato una proposta di legge, la n. 1608 che è stata assegnata in 1ª Commissione permanente (Affari costituzionali) nel 2014 relativa all'istituzione di un Fondo di solidarietà per i familiari delle persone scomparse; ma non è ancora iniziato l'esame della proposta dopo i pareri delle Commissioni giustizia, difesa, bilancio, attività produttive, lavoro e affari sociali –:

          se il Ministro sia a conoscenza di dove si trovino quei 2.539 corpi non identificati, se siano in obitorio o siano stati seppelliti e se sia stato prelevato un campione biologico;

          quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Ministro interrogato e se non ritenga opportuno assumere iniziative per un'integrazione al decreto del 2016, al fine di renderlo effettivamente applicabile a quanto previsto espressamente dall'articolo 7 della legge n. 85 del 2009 e per far sì che tale regime entri in vigore;

          se non ritenga necessario assumere iniziative per l'istituzione di un Fondo di solidarietà per i familiari delle persone scomparse.
(2-01993) «Scotto, Bossa».

Interrogazioni a risposta scritta:


      ALLASIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

          è in atto in Piemonte, da oltre due settimane, una situazione di emergenza collegata allo scoppio di incendi simultanei e di vaste proporzioni in Val di Susa, con gravi conseguenze sul patrimonio boschivo locale, sulla sicurezza degli abitanti, alcuni dei quali hanno dovuto essere evacuati, e, da ultimo, anche sulla respirabilità dell'aria di Torino;

          sono all'opera, con la consueta generosità ed efficienza, molte unità dei vigili del fuoco e tanti volontari, ma non è chiaro chi stia gestendo l'emergenza, chi assuma le decisioni e ne controlli l'esecuzione;

          non ha contribuito a far chiarezza il silenzio delle istituzioni coinvolte che, nell'ordine, dovrebbero essere la prefettura territorialmente competente, la presidenza della regione e il sindaco della città metropolitana di riferimento;

          nei giorni scorsi, è circolata la notizia della disponibilità delle Forze armate a fronteggiare le fiamme, inviando in situ unità dipendenti dal comando truppe alpine;

          la stampa ha dato inoltre notizia dell'invito rivolto dal sindaco di Torino al prefetto, affinché mobiliti tutte le risorse disponibili –:

          quali istituzioni siano responsabili della gestione dell'emergenza determinata dagli incendi boschivi in Val di Susa ed, in particolare, chi sia competente ad emanare gli ordini e a controllare l'esecuzione delle decisioni concernenti le azioni da assumere per bloccare ed estinguere le fiamme, nonché per porre in sicurezza la popolazione civile.
(4-18343)


      MINARDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          secondo quanto si apprende da diverse fonti giornalistiche, nei giorni scorsi si sarebbe verificato un episodio di rapina a mano armata portata a termine da quattro malviventi ai danni del centro commerciale Bruno Euronics di Modica, al piazzale Bruno polo commerciale;

          circa un'ora prima dell'accaduto, era stata eseguita la chiusura della cassa con il prelievo dell'incasso dell'intero pomeriggio che era stato di svariate migliaia di euro. Nel negozio sono entrati in tre col volto coperto da passamontagna, dei quali solo uno, armato di pistola, è rimasto davanti alla porta. Secondo la ricostruzione, una volta all'esterno, i tre malviventi sarebbero saliti a bordo di una Peugeot 307 grigia, alla cui guida vi sarebbe stato un quarto complice, parcheggiata davanti all'uscita con le targhe coperte da nastro adesivo utilizzato per gli imballaggi. A seguito dell'accaduto, i carabinieri starebbero indagando, senza escludere alcuna pista, ed avrebbero sotto osservazione un giovane dall'apparente età di 20 anni;

          la vicenda, sintomo dell'aumento dell'azione criminale nella città, ha visto cittadini ed esercenti, che in quel momento si trovavano all'interno dello stabile, vittime indifese di un modus operandi della criminalità molto preoccupante. Ed è per questo che essa rappresenta un'occasione ineludibile per riflettere sull'esigenza di porre in essere tutte le adeguate misure al fine di mettere in sicurezza il territorio che, con coraggio, non si sta dimostrando «omertoso», ma vuole reagire con forza e decisione di fronte a tali gravi episodi delinquenziali;

          il presidente provinciale Confcommercio Ragusa, Gianluca Manenti, nell'esprimere solidarietà ai titolari di Bruno Euronics, al direttore Giorgio Moncada e a tutti i lavoratori che si sono resi, loro malgrado, protagonisti della vicenda, ha dichiarato: «Siamo increduli per la dinamica dell'azione criminale. Al contempo, siamo certi che le forze dell'ordine cercheranno di fare immediata chiarezza sull'accaduto anche e soprattutto allo scopo di consegnare alla giustizia i malviventi che si sono resi protagonisti di questo increscioso episodio come mai si era verificato, prima d'ora, nella città di Modica» –:

          se il Ministro interrogato intenda chiarire i termini della vicenda esposta in premessa e, per quanto di competenza, se intenda intraprendere le opportune iniziative dirette, in primo luogo, ad un tempestivo rafforzamento degli organici delle forze di polizia per garantire la sicurezza dei cittadini e, secondariamente, per il tramite della prefettura di Ragusa, all'immediata convocazione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica in città, al fine di predisporre azioni coordinate di salvaguardia e tutela della collettività e del territorio.
(4-18353)


      RONDINI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          notizie di stampa riportano del prepotente ritorno nel mercato degli stupefacenti dell'eroina. È un ritorno in grande stile, che riguarda tutta Italia e che le statistiche della Presidenza del Consiglio dei ministri riassumono in cifre: 17 mila studenti delle superiori ammettono di usare eroina più di dieci volte al mese, spesso comprata a scuola; il dato è quasi raddoppiato in un anno;

          l'eroina che sbarca in Italia segue mille rotte, quasi sempre passando per le mani della mafia albanese ma poi frantumandosi in vie e corrieri diversi: il carico più grosso sequestrato quest'anno in Italia è stato trovato dalla Guardia di Finanza a Como nella macchina di un albanese, 32 chili. Ma a Fiumicino è stato fermato un pakistano passato da Dubai, a Foggia un italiano, a Roma un afghano proveniente dal Pakistan, tutti con decine di chili;

          le irruzioni da parte delle forze dell'ordine nel «Boschetto di Rogoredo» a Milano, che pur con impegno e dedizione si sono mosse al fine di eliminare una enorme piazza di spaccio, senza la presenza di presidi fissi hanno solo fatto in modo che il banchetto di vendita degli stupefacenti si sia spostato di cinquecento metri, oltre il deposito delle Ferrovia dello Stato italiane, a ridosso del tunnel dell'alta velocità sotto il raccordo della tangenziale. Alle dieci c'è già la coda, il flusso è continuo, dalle sette e mezza del mattino fino a mezzanotte;

          le analisi sui campioni recuperati sulla piazza di spaccio di Rogoredo dicono molto sulla composizione della dose acquistata: c'è il 9,4 per cento di eroina, insieme a un miscuglio di eccipienti innocui. Negli anni dell'ecatombe, la «roba» venduta a Milano superava il 30 per cento di purezza. Significa che il marketing dei narcotrafficanti oggi si muove secondo una strategia precisa: rimettere sulle piazze eroina leggera e a basso prezzo, allargare la platea dei consumatori, portarli alla dipendenza. Non serve troppa fantasia per capire quale sarà la prossima mossa: alzare la percentuale di principio attivo e i prezzi. Se le strade di Milano e del resto d'Italia torneranno a riempirsi di disperati in crisi d'astinenza, pronti a tutto per una dose, non si potrà dire che le avvisaglie non c'erano state;

          gli operatori che agiscono nel campo della lotta alle dipendenze lanciano un grido di allarme ricordando come ci si debba preparare a rivedere i disperati che rubano per comprarsi la dose, «come trent'anni fa». Il mercato si rinnova di prodotti, i trafficanti ragionano come una multinazionale che inventa le nuove «merendine» studiando i consumatori. Le multinazionali della droga hanno deciso che, per l'eroina a basso prezzo, c'è un mercato, pianificandone l'espansione;

          i dati presentati dalle autorità di pubblica sicurezza riportano come Milano, oggi come un tempo, sia la principale piazza di spaccio: lo raccontano bene le carte di identità dei ragazzi che la polizia ha fermato quando ha fatto irruzione a Rogoredo, a novembre dell'anno scorso; provengono da quasi tutto il Nord Italia. E in città non c'è solo Rogoredo: da viale Monza al Parco Lambro, da viale Espinasse via Anselmo da Baggio fino ai Bastioni di Porta Venezia; i punti di spaccio di eroina funzionano praticamente alla luce del sole; vicino a via Amadeo, si dice, gli stupefacenti si comprino al bar –:

          se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se intenda intervenire aumentando la presenza di forze dell'ordine a Milano e nel suo hinterland al fine di combattere il prepotente ritorno degli stupefacenti in tale città, soprattutto per prevenire una deriva che, con il crescere del numero dei tossicodipendenti, porterebbe ad una recrudescenza dei fenomeni di criminalità.
(4-18354)


      ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          in seguito al decreto del Ministro dell'interno n. 2394 del 2015 è stata effettuata la ripartizione del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la revisione complessiva dei distaccamenti, dei reparti e nuclei speciali;

          la revisione ha comportato la chiusura del distaccamento terrestre operante al porto di Ravenna, provocata dalla riduzione del 33 per cento del numero di personale specialista nautico nella sede di Ravenna (da 36 unità a 24), dalle carenze di organico del 15 per cento (da 24 unità a 20) e dalla nascita del distaccamento permanente di vigili del fuoco a Cervia;

          la copertura del distaccamento portuale – che garantiva gli interventi nell'area industriale, che ora devono partire dalla sede centrale del comando provinciale oppure dai distaccamenti di Cervia, Lugo o da altri più lontani – ora compete al distaccamento specialistico che però riesce a garantire il solo soccorso in mare aperto;

          per gli interventi porto, dove sono collocate tutte le aziende ad alto rischio, non vi è più, quindi, la possibilità di intervenire prontamente;

          con la ripartizione territoriale decisa con decreto ministeriale n. 1546 del 2017, che incrementerebbe di 400 unità il personale dei Vigili del fuoco (legge n. 160 del 2016), il comando di Ravenna dovrebbe disporre di sole 268 unità. Un numero oggettivamente insufficiente se paragonato sia ad altre province della regione, sia ad altre città italiane meno estese, considerando che, con una superficie di 653,82 chilometri quadrati, Ravenna è, dopo Roma, il secondo comune italiano per estensione e, con il suo polo petrolchimico, il primo per numero di stabilimenti a rischio di incidente rilevante;

          il decreto legislativo n. 105 del 2015 «Attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose» («Seveso III») identifica come stabilimenti a rischio di incidente rilevante (Rir) quelli nei quali, un evento quale un'emissione, un incendio o un'esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi incontrollati, dia luogo ad un pericolo grave (immediato o differito), per la salute umana o per l'ambiente, all'interno o all'esterno dello stabilimento, e in cui intervengano una o più sostanze pericolose. Gli stabilimenti sono suddivisi in due grandi gruppi, di «soglia inferiore» – con quantità inferiori di sostanze pericolose – e di «soglia superiore», con quantità più elevate;

          dai dati aggiornati a gennaio 2017 nel territorio di Ravenna sono in attività 24 stabilimenti Rir, di cui 2 di soglia inferiore e 22 di soglia superiore (33 in totale su base provinciale);

          la normativa nazionale di riferimento lascia alla regione le competenze relative agli stabilimenti di soglia inferiore, mentre conferma allo Stato quelle degli stabilimenti di soglia superiore. Ma, per entrambe le tipologie di stabilimenti il piano di emergenza esterno (PEE) deve essere redatto dalla prefettura e l'effettuazione dei controlli (verifiche ispettive) è sottoposta ad una attenta pianificazione e programmazione annuale assicurata dal coordinamento tra Ministero dell'interno e regioni;

          anche il nuovo comandante provinciale dei vigili del fuoco di Ravenna ha auspicato la ripartenza del distaccamento del porto, nato dopo il disastro della Mecnavi e strategico per la copertura della zona considerata ad alto rischio –:

          se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se, soprattutto nell'ambito delle competenze e responsabilità relative agli stabilimenti Rir stabilite dal decreto legislativo n. 105 del 2015, non ritenga urgente ripristinare il distaccamento terrestre dei vigili del fuoco operante nel porto di Ravenna;

          se non consideri opportuno, stante l'oggettiva rischiosità della vasta area industriale portuale, dotare il distaccamento suddetto di un numero adeguato di uomini e mezzi necessari per la copertura della zona considerata ad alto rischio.
(4-18363)


      FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          per effetto della sentenza del Tar del Lazio n. 01439/2016 conseguente alla class action N.R.G. 7489 promossa dagli ispettori apicali ante-riforma di cui al decreto legislativo n. 197 del 1995 contro l'Amministrazione dell'interno, con il decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, è apparso il nuovo «ruolo direttivo speciale della polizia di Stato», istituito con l'articolo 14, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 334 del 2000 ma mai costituito a causa della mancata indizione dei concorsi previsti;

          non fornendo alcun ristoro, né restituendo le opportunità perdute con la mancata istituzione del ruolo direttivo speciale, il ruolo direttivo ad esaurimento non soddisfa però gli ispettori della polizia di Stato;

          il ruolo direttivo speciale per la polizia di Stato prevedeva, infatti, uno sviluppo di carriera fino alla qualifica di vice questore aggiunto, mentre nel ruolo direttivo ad esaurimento odierno non si può oltrepassare l'inferiore qualifica di commissario capo, senza la maggiorazione garantita alla dirigenza;

          il nuovo ruolo direttivo ad esaurimento tradisce, altresì, lo spirito di equi-ordinazione predicato dalla «legge delega Madia», poiché i sottufficiali delle altre forze di polizia militari e civili transitati nel proprio ruolo direttivo speciale dopo il 1995 sono stati «dirigenzializzati»;

          per effetto dell'età avanzata degli ispettori apicali destinatari del concorso per 1.500 posti dell'odierno ruolo direttivo ad esaurimento, inoltre, i candidati non potranno sviluppare la carriera prospettata dalla norma, con ulteriori danni economici;

          il concorso per il ruolo direttivo ad esaurimento non prospetta nemmeno il riconoscimento di una decorrenza giuridica che possa compensare l'enorme danno causato agli interessati da un'Amministrazione che invece ha già applicato a tutti gli altri ruoli la regola dell'annualità a ritroso, andando indietro anche di decine d'anni;

          il transito dall'attuale qualifica di sostituto commissario coordinatore a vice commissario del ruolo direttivo ad esaurimento determinerà, per tutti i vincitori del concorso, una retrocessione economica, in quanto essi passeranno dal parametro stipendiale 148 al 136,75, mentre l'assegno ad personam riassorbibile previsto coprirà solo le voci «fisse e continuative», che costituiscono una parte del reddito mensile derivante dalla loro attività istituzionale ed operativa di vice commissari;

          l'11 maggio 2017 le commissioni riunite 1ª e 4ª del Senato espressero parere favorevole sullo schema di decreto legislativo n. 395 con la «raccomandazione» di tenere conto della posizione giuridica differenziata in cui si era venuto a trovare il personale della polizia di Stato che alla data del 31 agosto 1995 rivestisse una delle qualifiche dell'originario ruolo degli ispettori, alla data del 1° gennaio 2017 prestasse servizio con la qualifica di ispettore superiore s.u.p.s. «sostituto commissario» e risultasse altresì privato della possibilità di progredire gerarchicamente nel superiore ruolo direttivo) –:

          se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative, in tempi brevi, per correggere la situazione generalizzata in premessa, eventualmente valutando la possibilità di intervenire nell'ambito della delega di cui alla legge n. 124 del 2015.
(4-18366)


      GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          nella seduta del 31 ottobre 2017 la giunta provinciale della provincia autonoma di Bolzano ha approvato la deliberazione n. 1155, avente ad oggetto il disegno di legge recante «Disposizioni collegate alla legge di stabilità 2018»;

          in particolare, l'articolo 8 del disegno di legge, rubricato «Utilizzo di edifici come strutture di accoglienza per richiedenti protezione internazionale», prevede che, in caso di necessità ed urgenza, il presidente della provincia possa autorizzare, anche mediante trasformazione d'uso, con o senza interventi edilizi, l'utilizzo di edifici o di prefabbricati di proprietà provinciale come strutture di accoglienza per i richiedenti asilo, nell'ambito del sistema nazionale di accoglienza, «indipendentemente dalla destinazione urbanistica della zona interessata e in deroga alla normativa vigente in materia urbanistica»;

          ancora, successivamente al comma 4 dell'articolo 8, viene previsto che tale autorizzazione può avere ad oggetto anche edifici o prefabbricati pubblici o privati messi a disposizione o locali, per una durata massima di quattro anni, alla provincia autonoma di Bolzano ed è eventualmente anche rinnovabile;

          difatti, nella relazione accompagnatoria al disegno di legge si specifica che, al fine di individuare ulteriori strutture di accoglienza per richiedenti asilo, possono essere presi in considerazione anche immobili di proprietà di privati e che «possono essere dichiarati idonei gli immobili aventi le più disparate destinazioni urbanistiche e destinazioni d'uso quali caserme militari dismesse tuttora classificate come zona militare, immobili in zone residenziali, zone produttive...»;

          inoltre, sempre secondo lo stesso articolo 8, si rende necessaria la trasformazione d'uso con o senza interventi edilizi, tale autorizzazione da parte del presidente della provincia «sostituisce la concessione edilizia o altro equipollente titolo edilizio»; l'approvazione del progetto «prescinde da qualsiasi parere, concessione, autorizzazione e nulla osta e accerta la conformità degli interventi edilizi alle norme vigenti in materia di prevenzione incendi, igienico-sanitaria, di sicurezza e statica.»;

          sempre come specificato nella relazione accompagnatoria, l'articolo 8 dispone, anche, una sanatoria retroattiva degli interventi già attuati con riguardo all'utilizzo di immobili o prefabbricati pubblici o privati già messi a disposizione per l'accoglienza di richiedenti protezione internazionale, «anche indipendentemente dalla destinazione urbanistica della zona interessata e in deroga alla normativa vigente in materia urbanistica» –:

          se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di garantire il rispetto, su tutto il territorio nazionale, delle norme vigenti in materia di urbanistica ed edilizia ed il possesso dei requisiti previsti dalle stesse in capo alle strutture da adibire a centri di accoglienza per i richiedenti protezione internazionale, con particolare riguardo a quanto accade nella provincia autonoma di Bolzano.
(4-18374)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


      TERZONI, VACCA, AGOSTINELLI, CECCONI, MASSIMILIANO BERNINI e CASTELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

          in un articolo del Corriere Adriatico del 24 ottobre 2017, sulla pagina di Ascoli Piceno, si legge la grave situazione della scuole comprese nel cratere sismico;

          si evidenzia, infatti, che, a causa di un ritardo nella registrazione del decreto-legge n. 189 del 2016 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229 che, all'articolo 18-bis ha messo a disposizione delle scuole 10 milioni di euro (in tranche mensili di poco più di 340 mila euro), la prima rata di settembre sarebbe andata persa;

          tali fondi sono stati stanziati dal predetto decreto-legge n. 89 del 2016 per implementare il personale docente e amministrativo tecnico e ausiliario nelle scuole all'interno del cratere, ma si stanno verificando casi in cui degli istituti scolastici compresi nell'area del cratere non hanno ricevuto fondi, mentre altri, al di fuori, hanno ricevuto un nuovo professore o implementato il personale;

          inoltre, sono stati ritirati senza preavviso molti posti già assegnati ad inizio 2017, lasciando così delle scuole con posizioni scoperte;

          inoltre, nel citato decreto, non è garantito che il personale verrà riconfermato negli anni a venire, per cui, se una scuola dovesse aumentare le classi ma poi nei prossimi anni si trovasse senza docenti, dovrebbe accorpare due classi, arrivando ad un numero di alunni anche superiore a 30, così come previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81 –:

          se quanto sopra riportato corrisponda al vero e, in caso affermativo quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per garantire l'erogazione dei fondi stanziati per il personale scolastico nei comuni del cratere;

          se il Governo intenda comunicare le risultanze del monitoraggio delle spese per il personale docente e amministrativo tecnico e ausiliario ai sensi dell'articolo 18-bis, comma 3;

          quali iniziative intendano assumere affinché, anche negli anni successivi al 2018, sia confermato o comunque garantito il personale docente o amministrativo tecnico e ausiliario negli istituti ricadenti nel cratere sismico.
(3-03334)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

          la mensa scolastica rappresenta anche un momento formativo con molteplici funzioni; attraverso il cibo si trasmettono, infatti, valori come l'integrazione, la socializzazione, la prevenzione e l'educazione alimentare;

          secondo una indagine Isos per l'86 per cento dei genitori intervistati la mensa è prima di tutto un luogo dove i bambini accrescono l'indipendenza e la socialità, una occasione di educazione alimentare (per l'81 per cento) e per ricevere un pasto completo (71 per cento). Un'alta percentuale di genitori intervistati riconosce poi l'importanza della mensa come fattore incidente nella formazione della personalità del bambino: il 74 per cento ne riconosce il ruolo di integrazione tra culture diverse e il 60 per cento come strumento di contrasto alla dispersione scolastica;

          Save the Children denuncia da anni, attraverso il rapporto «(Non) Tutti a Mensa», le disparità di accesso al servizio mensa nelle scuole primarie e la mancanza di equità; il quadro che emerge dal monitoraggio di 45 comuni con più di 100.000 abitanti mostra una possibile correlazione tra dispersione scolastica, tempo pieno a scuola e presenza del servizio di ristorazione scolastica;

          se la prima causa della disparità di accesso al servizio mensa è rappresentata proprio dalla carenza di refettori che interessa il 40 per cento delle istituzioni scolastiche, è altrettanto incisiva la mancanza, in molti comuni, di tariffe agevolate per i ceti meno abbienti;

          sono moltissimi, infatti, gli episodi in cui alcune amministrazioni comunali non permettono agli alunni non in regola con i pagamenti di usufruire della mensa scolastica: l'ultimo in ordine di tempo si è verificato a Grosseto dove il nuovo regolamento ha impedito alle famiglie inadempienti di iscrivere i propri figli al servizio;

          le tariffe delle mense scolastiche, deliberate dalla giunta comunale di Grosseto il 29 dicembre 2016, in base alle fasce di reddito Isee, sono tra le più care d'Italia;

          il regolamento del comune di Grosseto, che esclude, a differenza di altri comuni, la possibilità per i bambini di consumare il pasto portato da casa, costringerà i figli dei genitori morosi a non poter condividere con i compagni i momenti di socialità ludica ed aggregazione che la scuola offre, a giudizio dell'interrogante causando di fatto umiliazioni e discriminazioni nei confronti dei minori;

          il servizio di refezione scolastica è qualificato dalla normativa come servizio pubblico a domanda individuale, ovvero un servizio posto in essere direttamente dall'ente non per obbligo istituzionale e che viene utilizzato a richiesta dell'utente;

          l'accesso gratuito al servizio a tutti i minori in condizioni di povertà come livello essenziale delle prestazioni sociali per l'infanzia è però garantito dall'articolo 117, secondo comma, della Costituzione (alla lettera m);

          il Governo, nell'attuale legislatura, ha ribadito in numerose occasioni la necessità di affrontare e risolvere la problematica relativa ai casi di esclusione di minori dalle mense scolastiche: in risposta alla interrogazione n. 5-00854 l'Esecutivo pro tempore aveva infatti annunciato «forme di monitoraggio per verificare sistematicamente se siano garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale i diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, comma 2 lettera m) della Costituzione con riferimento ai minori, in particolare su come gli enti locali garantiscano un servizio di refezione coerente con i principi sopra elencati»; unitamente, sempre nel 2013, il Parlamento aveva approvato ordini del giorno che impegnavano il Governo a «trovare, rispetto alla questione degli insoluti nelle mense scolastiche, soluzioni diverse dall'esclusione dei minori da un fondamentale momento non solo di alimentazione, ma anche di educazione e socializzazione» (n. 9/01574) e a «valutare l'introduzione di premialità per gli enti locali che si distinguano per accessibilità, fruibilità e qualità delle mense scolastiche» (n. 9/02994) –:

          quale sia lo stato di attuazione di quanto indicato negli ordini del giorno citati in premessa e se ritenga opportuno assumere iniziative normative per prevedere strumenti e risorse economiche adeguate per evitare casi come quello del comune di Grosseto e qualificare quindi il servizio di ristorazione scolastica quale servizio pubblico essenziale.
(5-12592)


      DI BENEDETTO, MARZANA, BRESCIA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA, SIMONE VALENTE, MANNINO, DI VITA e NUTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

          dall'anno accademico 2011-2012 il maestro Giovanni Puddu insegna come collaboratore esterno all'istituto superiore di studi musicali «V. Bellini», a Caltanissetta;

          lo stesso maestro, componente la segreteria della regione Sardegna del Partito democratico, durante l'assemblea di presentazione della neonata corrente «Fronte democratico», svoltasi a Roma in data 7 luglio 2017, afferma di essere stato responsabile nazionale per il settore musica per il partito, nonché di aver amministrato per molti anni la città di Cremona;

          con decreto di nomina n. 12-2015, il maestro Angelo Licalsi, direttore dell'istituto musicale, affida al maestro Puddu l'incarico per l'insegnamento di due materie del biennio di specializzazione, considerata l'impossibilità per il docente titolare di coprire tale ruolo e considerata la pregevole attività artistica e riconosciuta professionalità del maestro Puddu;

          nel decreto direttoriale si definisce il rapporto intercorrente tra quest'ultimo e l'istituto come rapporto intuitu personae, senza spiegarne le motivazioni; non si fornisce prova dell'impossibilità di assegnare l'insegnamento ad altro docente interno; inoltre, le materie assegnate sono definite come «moduli», al contrario di quanto dettato dal decreto 8 gennaio 2004, n. 1, che le definisce «discipline»; il compenso orario viene fissato nella cifra di euro 78,125, con un aggravio di spesa rispetto ai 50 euro previsti per ore aggiuntive ai docenti interni ma senza fornire prova del possesso della specializzazione universitaria, come richiesto dal decreto legislativo n. 165 del 2001;

          l'articolo 7, comma 6, di tale decreto dispone che le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratto di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria, solo dopo aver accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al proprio interno. In ogni caso, l'incarico deve essere assegnato in via temporanea, senza possibilità di rinnovo se non in casi eccezionali stabiliti dalla legge; il ricorso ai contratti di lavoro autonomo per lo svolgimento di funzioni ordinarie è causa di responsabilità per il dirigente che ha stipulato il contratto;

          per l'assegnazione dell'incarico si deve procedere previa emanazione di avviso pubblico e procedura comparativa, eccetto i casi di collaborazione caratterizzata da intuitu personae, per il raggiungimento di varie finalità tra le quali, per quel che ivi interessa, la temporanea docenza relativa a specifici «moduli didattici», ovvero l'individuazione di professionalità di chiara fama;

          il prioritario ricorso alle risorse interne all'amministrazione si ricava anche dall'articolo 23 del contratto collettivo nazionale Afam del 16 febbraio 2005, oltre che dall'articolo 2, comma 2, del decreto ministeriale 8 gennaio 2004 n. 1/Afam e, infine, dagli articoli 4 e 5 del regolamento di istituto;

          sul sito dell'istituto non risulta agli interroganti traccia del curriculum vitae del maestro Puddu, né tantomeno della verifica di insussistenza, anche potenziale, di conflitto di interesse; come non risultano reperibili informazioni relative alle materie da lui insegnate, alle sessioni di esami e di profitto cui sono sottoposti i suoi studenti -:

          se il Governo sia a conoscenza dei fatti su esposti e se intenda promuovere ulteriori approfondimenti sugli stessi;

          quali elementi si intendano fornire circa le ragioni che hanno portato al conferimento della docenza allo stesso maestro, posto che, ad avviso degli interroganti, la sovrapposizione dei ruoli potrebbe compromettere il buon andamento dei corsi e della didattica;

          sulla base di quali criteri e attraverso quali procedure selettive sia stato conferito l'incarico al maestro Puddu dal 2012 ad oggi;

          se si intenda valutare se sussistano i presupposti per promuovere iniziative ispettive al fine di verificare il rispetto della normativa citata, nonché le ragioni di quella che gli interroganti giudicano una mancata trasparenza e pubblicità dei corsi tenuti dal maestro Puddu.
(5-12606)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GIANCARLO GIORDANO e PANNARALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

          notizie della stampa nazionale, riprese diffusamente dai social network più seguiti del web riportano la notizia documentata dell'adozione, da parte di diversi istituti scolastici, di un testo sussidiario «Diventa protagonista», destinato alle quinte classi delle elementari (Scuola primaria), i cui autori sono Berardi, Giorgi e Rubaud, stampato dall'Editore «Il capitello»;

          in esso vi è un piccolo capitolo evidenziato attraverso alcune parole chiave riportate in rosso e neretto per spiegare agli alunni che cosa è il fenomeno dell'immigrazione e quali conseguenze esso produce nel nostro Paese;

          esso testualmente dice che: «È aumentata la presenza di stranieri provenienti soprattutto dai paesi asiatici e dal Nordafrica. Molti vengono accolti nei centri di assistenza per i profughi e sono clandestini, cioè la loro permanenza in Italia non è autorizzata dalla legge. Nelle nostre città gli immigrati vivono spesso in condizioni precarie: non trovano un lavoro, seppure umile e pesante, né case dignitose. Perciò la loro integrazione è difficile: per motivi economici e sociali, i residenti talvolta li considerano una minaccia per il proprio benessere e manifestano intolleranza nei loro confronti»;

          si condivide e raccoglie l'appello dell'associazione romana «Baobab Experience», protagonista di una straordinaria esperienza di volontariato di accoglienza per immigrati la quale ha dichiarato: «Speravamo che fosse tutto finito, invece è vero. Questo è quello che si racconta su un sussidiario di 5a elementare. Qualcuno deve risponderne» denunciando la fuorviante e diseducativa rappresentazione del fenomeno immigratorio;

          si ricorda che solo un anno fa il primo firmatario del presente atto ha presentato un'interrogazione parlamentare con la quale si denunciava un simile episodio di disinformazione imputabile a testi scolastici alla vigilia del referendum costituzionale, attraverso un volume pubblicato dal medesimo editore;

          in quell'occasione in sede di risposta all'interrogazione il Governo precisava che «l'adozione dei libri di testo rappresenta una delle fondamentali espressioni della libertà di insegnamento e dell'autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Tale adempimento, che rientra tra i compiti attribuiti al collegio dei docenti, sentiti i consigli di classe, coinvolge l'intero corpo docente di ciascuna istituzione scolastica e garantisce una puntuale verifica dei testi e un attento esame di quelli in uso e delle nuove proposte editoriali (...) In particolare, la scelta dei testi avviene, di norma, attraverso una fase preliminare, nel corso della quale si procede a una verifica sia dei testi in uso che di quelli proposti all'attenzione delle scuole da parte degli operatori accreditati dalle case editrici o dalle associazioni di categoria... Peraltro, la legge 23 dicembre 1998, n. 448 (finanziaria 1999), nel disciplinare, all'articolo 27, la fornitura gratuita dei libri di testo nella scuola secondaria di primo grado, ha abrogato la norma che, limitatamente alla scuola elementare, consentiva al Ministro della pubblica istruzione di disporre, con provvedimento motivato, il divieto di adozione dei libri di testo nei quali il contenuto o l'esposizione della materia non corrispondessero alle prescrizioni didattiche o alle esigenze educative»-:

          quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere in relazione all'ennesimo episodio di non corretta e imparziale informazione agli studenti;

          se intenda assumere iniziative, anche normative, volte a promuovere e favorire più attente procedure di selezione nell'adozione dei libri di testo, in particolare nella scuola primaria e per le materie di interesse geo-storico-civico-letterario, da parte degli organismi scolastici deputati, nel rispetto della riconosciuta libertà di espressione degli autori e della libertà di pensiero, in modo da salvaguardare i princìpi costituzionali, in particolare per ciò che concerne i delicati temi dell'uguaglianza, dei diritti civili e della solidarietà.
(4-18348)


      GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

          è stato pubblicato il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che indice la procedura per aggiornare gli elenchi relativi alle graduatorie di circolo e di istituto di III fascia del personale amministrativo-tecnico e ausiliario con i modelli per le domande (D1, D2 e D4), che dovevano essere presentate entro il 30 ottobre 2017;

          il bando «Ata 2017» fa riferimento al rinnovo delle graduatorie di terza fascia del personale amministrativo tecnico e ausiliario per il triennio scolastico 2017-2020 ed è rivolto agli aspiranti che desiderino conseguire contratti a tempo determinato nelle scuole italiane svolgendo ruoli ausiliari, tecnici e amministrativi (personale non docente);

          la nota trasmissione televisiva «Striscia la notizia» del 30 ottobre 2017 ha trasmesso un servizio informativo, curato da Luca Abete, relativo a una vera e propria vendita di titoli di accesso e culturali per consentire agli aspiranti privi di titolo l'accesso alle graduatorie nonché l'incremento del punteggio in maniera illegale;

          l'azione illecita, documentata dal vivo attraverso delle riprese video, era organizzata da un sindacalista che prometteva ai potenziali concorrenti di ottenere diplomi di qualifica triennale, attestati «Eipass» e similari, dietro corrispettivo di un vero e proprio tariffario, senza alcuna frequentazione didattica e senza svolgimento di esami in merito, verosimilmente con la complicità di istituti e centri di formazione professionale;

          il riprovevole fatto di cronaca, rispetto al quale è giusto attendere gli eventuali sviluppi, non è da circoscrivere a una episodicità e getta un'ombra inquietante sulla modalità di acquisizione di alcuni titoli per l'accesso alle graduatorie e l'incremento del punteggio, per l'estrema facilità con cui si procurano false attestazioni e abilitazioni, inficiando la correttezza nella costituzione delle graduatorie;

          per verificare questo convincimento è sufficiente effettuare una ricerca di stampa oppure più semplicemente scorrere una schermata web e leggere del reiterarsi e della diffusione di questo fenomeno illegale in tutto il Paese che evidenzia una vera e propria filiera corruttiva, meravigliando per la sconcertante facilità con cui si acquisiscono titoli abilitativi scolastici e titoli formativi illegittimi –:

          quali iniziative urgenti intenda attivare per garantire la correttezza e la trasparenza della procedura di accesso alle graduatorie dell'anno 2017/20 inerenti alla III fascia del personale Ata, al fine di evitare le sperequazioni di fatto già prodottesi, se dovesse essere confermato dall'inchiesta giudiziaria che determinati centri di formazione professionale abbiano rilasciato titoli di accesso in cambio di un corrispettivo di denaro;

          quali iniziative intenda attivare al fine di contrastare il riprodursi di simili iniziative illegali e garantire una selezione corrispondente ai canoni della correttezza, della trasparenza e della legittimità;

          se intenda assumere una puntuale iniziative normativa, per eliminare la diffusa pratica delle certificazioni e dei titoli illegittimi, che sono peraltro richiesti e regolamentati da decreti ministeriali relativi alle procedure di accesso alle graduatorie, introducendo severi meccanismi di controllo sugli istituti e sui centri professionali abilitati;

          come si intenda procedere per verificare l'effettiva conformità alle norme dei corsi che rilasciano tali certificazioni, avvalendosi di verifiche incrociate più puntuali e metodiche e mettendo in campo una sinergia di azioni da parte del Ministero, in collaborazione con le regioni, che hanno la potestà legislativa esclusiva in materia di formazione professionale, l'Agenzia delle entrate e l'Istituto nazionale di previdenza sociale, al fine di verificare il concreto adempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali.
(4-18356)


      PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI, AIRAUDO e MARCON. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

          da notizie di stampa consultabili su Fanpage.it, Roma Today e nelle pagine di cronaca romana di alcuni quotidiani è emersa nelle settimane scorse la vicenda che riguarda alcuni progetti di alternanza scuola-lavoro svolti dal liceo scientifico statale «Isacco Newton» di Roma;

          dalle denunce di un gruppo di studenti e dell'associazione «Rete degli studenti medi» emergerebbe che quaranta ragazzi del suddetto istituto, nell'ambito di un progetto di alternanza scuola-lavoro, sarebbero impegnati presso un call-center in un'attività totalmente lontana dal loro percorso di studi di carattere scientifico, dove il loro unico compito sarebbe quello di contattare telefonicamente vari clienti che molto spesso rispondono insultandoli. Gli studenti avrebbero inoltre denunciato alcuni episodi di maltrattamento in cui sarebbero state pure utilizzate citazioni antisemite;

          dalle suddette denunce emergerebbe che uno dei due proprietari dell'azienda coinvolta sia un ex docente dello stesso liceo Newton e che svolge il ruolo di referente del progetto per la stessa scuola;

          gli stessi organi di informazione riportano che la dirigente scolastica del liceo Newton ha affermato di «aver verificato e accertato la bontà del progetto», e confermato che uno dei proprietari dell'azienda è un professore che lo scorso anno era in forza all'organico di potenziamento del Newton e pertanto è stato inserito nel coordinamento del progetto di alternanza scuola-lavoro. La stessa dirigente ha affermato: «(...) mi capita spesso, vista la difficoltà di avere dei progetti in linea, di attingere a contatti interni come anche genitori che hanno delle attività o studi in grado di ospitare delle convenzioni» nel nostro Paese, per la totale assenza di regole etiche e di forme di condivisione tra scuola, territorio e mondo del lavoro ci si allontana da ogni profilo formativo e da ogni terreno di crescita e di progresso;

          si moltiplicano in tutto il Paese episodi in cui lo spirito della normativa introdotta nel 2015 sarebbe stato ampiamente tradito da situazioni ai limiti dello sfruttamento gratuito di manodopera, dimostrando, in tal modo, come l'alternanza scuola-lavoro sia in realtà un dispositivo di asservimento al profitto ed al mercato del precariato, come testimoniato dai frequenti casi di abuso e di utilizzo degli studenti per mansioni dequalificate ed estranee al loro percorso di studio –:

          se i fatti descritti in premessa corrispondano al vero ed, in caso affermativo, quali iniziative di carattere ispettivo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda attivare immediatamente;

          ove i fatti denunciati corrispondano al vero, quali iniziative intenda assumere in relazione a questo utilizzo degli studenti nell'ambito dell'alternanza scuola-lavoro che appare non corretto e alle argomentazioni e alle giustificazioni usate dalla dirigente scolastica nel coinvolgimento di soggetti interni alla scuola per l'attivazione di progetti.
(4-18372)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

          ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2015 «sono considerati disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all'articolo 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l'impiego»;

          risulta agli interpellanti che alcuni centri per l'impiego, sulla base di tale norma, considerino coloro che hanno un contratto di lavoro intermittente come persone occupate, con la conseguente impossibilità, per tali soggetti, di fruire dei servizi previsti per i disoccupati;

          ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 81 del 2015, per contratto di lavoro intermittente si definisce il contratto, anche a tempo determinato, con il quale il lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che può utilizzarne «la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente, a seconda delle esigenze individuate dai contratti collettivi anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno»;

          numerose imprese, al fine di regolare le prestazioni lavorative precedentemente gestite con lo strumento dei buoni-lavoro, abrogati nel marzo di quest'anno dal decreto-legge n. 25 del 2017, si sono orientate all'uso di contratti di lavoro intermittenti, così incrementatosi – alla luce dei dati raccolti dall'Osservatorio sul precariato dell'Inps – del 129,5 per cento nel 2017;

          molti di questi lavoratori risultano d'altra parte occupati per un monte ore mensile estremamente basso o addirittura nullo per assenza di chiamata e, mentre col regime dei buoni-lavoro fruivano dello status di disoccupati, si vedono oggi negare i servizi e i benefici previsti per questi ultimi –:

          se sia corretta l'interpretazione di cui in premessa dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2015, in base alla quale i lavoratori intermittenti sono esclusi dallo status di disoccupato, se non ritenga di assumere iniziative al fine di garantire anche a tali lavoratori, qualora non raggiungano un determinato monte ore mensile, lo status di disoccupazione.
(2-01992) «Catalano, Pisicchio».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MASSIMILIANO BERNINI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          l'anticipo pensionistico («Ape sociale») e il beneficio per i lavoratori precoci, rappresentano delle misure assistenziali introdotte sperimentalmente dalla legge di bilancio n. 232 del 2016;

          l’«Ape sociale» rappresenta uno sconto rispetto ai criteri della legge n. 214 del 2011, consentendo a chi è disoccupato di poter andare in pensione 3 anni e 7 mesi prima rispetto al raggiungimento dei requisiti anagrafici stabiliti. I criteri di accesso all’«Ape sociale», tuttavia, si sono da subito rilevati sin troppo stringenti a causa dei numerosi paletti introdotti nella norma;

          il 15 luglio 2017 si sono chiusi i termini di presentazione delle domande per accedere all’«Ape sociale» e al beneficio per i lavoratori precoci, per quanti maturano i requisiti entro il 2017. Il 15 ottobre 2017, l'Inps ha concluso le operazioni di verifica delle condizioni di accesso;

          nell'audizione del 19 ottobre 2017 del direttore generale dell'Inps in Commissione lavoro della Camera, sono stati anticipati i dati presentati nella conferenza dei servizi del 25 ottobre 2017. In merito all’«Ape sociale» sono pervenute all'Inps 39.721 richieste, di cui 13.601 accolte e 25.895 respinte, con una percentuale di dinieghi del 64,89 per cento. Per i lavoratori precoci sono pervenute 26.251 domande, di cui 7.356 accolte e 18.411 respinte, con una percentuale di dinieghi del 70,13 per cento;

          nonostante i richiedenti l’«Ape sociale» non debbano essere titolari di pensione diretta e l'assegno sia compatibile con lo svolgimento di lavoro dipendente soltanto nel caso in cui i relativi redditi non superino gli 8.000 euro annui e con lo svolgimento di attività di lavoro autonomo nel limite di reddito di 4.800 euro, molti dei soggetti al di sotto della soglia di povertà assoluta richiedenti l'accesso, hanno visto la loro domanda respinta;

          tra i numerosi soggetti la cui istanza è stata respinta vi sono anche coloro che, per far fronte alle necessità proprie e familiari, hanno accettato un contratto di lavoro saltuario o stagionale prima o dopo la presentazione della domanda, nonché i percettori di pensioni di riversibilità diretta o indiretta. In taluni casi trattasi di soggetti ultrasessantenni o che vivono al di sotto della soglia di povertà stabilita dall'Istat;

          con una nota del 13 ottobre 2017, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha annunciato nuovi criteri per la rivalutazione delle domande respinte, chiedendo all'Inps l'applicazione di misure più estensive in coerenza con le volontà espresse dal Parlamento. A tal proposito, gli interroganti tengono a precisare che più volte hanno rilevato, nella stesura delle leggi riguardanti il mondo del lavoro, deleghe all'Inps definite in maniera poco chiara che hanno creato «rimpalli» di responsabilità tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e lo stesso ente e che hanno inevitabilmente svantaggiato il fruitore finale, ossia il lavoratore –:

          se il Ministro interrogato non ritenga urgente assumere iniziative per modificare le norme vigenti riguardanti i parametri di accesso all’«Ape sociale» e al beneficio per i lavoratori precoci, al fine di poter ampliare la platea dei richiedenti il beneficio, applicando criteri più estensivi, soprattutto nei confronti dei lavoratori precoci e di tutti quelli che risultano essere al di sotto della soglia di povertà assoluta;

          se non si ritenga opportuno consentire l'accesso all’«Ape sociale» e al beneficio per i lavoratori precoci in qualsiasi caso di cessazione del rapporto di lavoro anche a tempo determinato, e non solo in caso di licenziamento, e nei casi in cui si siano svolti lavori saltuari prima o dopo i termini di presentazione delle domande;

          se non ritenga doveroso promuovere, nella prima iniziativa normative utile, un aumento del budget finalizzato all’«Ape sociale» e al beneficio per lavoratori precoci.
(5-12600)


      ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          gli istituti pubblici di assistenza e beneficenza (Ipab) sono organismi di diritto pubblico esistenti sul territorio nazionale che prestano servizi socio-assistenziali e sanitari a soggetti fragili, anziani, disabili e minori in situazione di disagio. Istituiti con regio decreto n. 2841 del 1923, hanno nel tempo subito numerosi interventi di riforma, da ultimo con il decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207;

          da articoli di stampa si legge che l'Ipab Oasi Cristo Re di Acireale, uno dei centri d'eccellenza, in provincia di Catania, per l'assistenza agli anziani (al suo interno vi è anche uno dei migliori reparti Alzheimer della Sicilia) sta attraversando un momento di gravissima crisi finanziaria;

          la mancanza di liquidità e la perenne insicurezza sul futuro delle Ipab sta causando ritardi macroscopici nel pagamento degli stipendi del personale: alla data odierna si è giunti al trentaseiesimo mese di ritardo, in pratica è quasi da tre anni che i lavoratori dell'Ente acese non percepiscono i dovuti emolumenti pur continuando a lavorare;

          in questi giorni è nuovamente esplosa la protesta dei lavoratori dell'Ipab di Acireale, quattro dipendenti donne hanno trascorso l'intera giornata sul tetto della struttura con pochissimo cibo e un po’ d'acqua e, non sembrano volere desistere;

          dopo anni in cui si sono succeduti commissari liquidatori e numerosi tavoli tecnici con le autorità competenti, la situazione non cambia;

          di fatti il riordino del sistema delle Ipab è iniziato con la legge n. 328 del 2000, legge quadro sul sistema integrato di servizi e interventi sociali; a tale legge ha fatto seguito il decreto di attuazione n. 207 del 4 maggio 2001, che individua i requisiti per definire la natura giuridica delle Ipab e ne prevede, a seconda delle caratteristiche, la trasformazione in aziende pubbliche di servizi alla persona o in enti di natura giuridica privata, oppure l'estinzione;

          la regione siciliana a ben 16 anni di distanza dall'entrata in vigore della normativa nazionale di riforma non ha ancora approvato una legge di riordino;

          in ogni caso, al di là della vicenda della regione siciliana, la situazione delle Ipab sull'intero territorio nazionale sembra necessitare di un intervento complessivo di riorganizzazione in questo fondamentale settore dell'assistenza alla persona –:

          se il Ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza e in sinergia con le regioni, per un monitoraggio delle modalità di funzionamento e dell'efficacia di tali enti, nell'ottica di un riordino del settore che possa aiutare a superare criticità come quelle sopra evidenziate, con particolare riferimento alla tutela dei diritti dei lavoratori.
(5-12611)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SCOTTO e BOSSA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          il piano industriale presentato ed approvato con il bilancio 2016 della Unicoop Tirreno prevede, tra l'altro, la chiusura dei negozi Coop campani di Santa Maria Capua Vetere e Napoli-Arenaccia entro il 31 dicembre 2017 qualora non si riesca a cedere le due strutture e i relativi organici a terzi;

          sono dunque mesi che le circa 100 famiglie dei dipendenti dei due negozi in questione, per la maggior parte con contratti di lavoro part time, vivono con una spada di Damocle sulla loro testa;

          con un'ipotesi di accordo quadro del 9 maggio 2017 la Unicoop Tirreno ha annunciato l'attivazione di un percorso di licenziamento collettivo per 421 FTE, oltre al ricorso alla cassa integrazione straordinaria e ai contratti di solidarietà per altri dipendenti;

          in un accordo tra azienda e sindacati del 23 dicembre 2013 Unicoop Tirreno si era impegnata affinché la gestione dei suoi punti vendita campani restasse in capo al sistema cooperativo, ma ciononostante la situazione economica è terribilmente peggiorata fino a portare alla decretazione della chiusura dei due punti vendita;

          alla base di queste forti scelte c'è il fatto che nel 2016 Unicoop Tirreno ha vissuto una perdita di esercizio pari a 38,7 milioni di euro, con una svalutazione di obbligazioni bancarie subordinate per diversi milioni;

          il costo del personale incide solo l'11 per cento sui costi della produzione, praticamente quanto viene sprecato in costi per servizi;

          è dunque evidente agli interroganti che il problema di Unicoop Tirreno non sia legato ai dipendenti e non possa su questi essere riversato;

          va peraltro sottolineato come i lavoratori abbiano fortemente contribuito alla permanenza del gruppo in Campania, accettando già alla fine del 2013 di compiere gravose rinunce in termini di salario, ore e anzianità di servizio;

          la chiusura dei due punti vendita di Santa Maria Capua Vetere e Napoli-Arenaccia rappresenterebbe una tragedia per la Campania, poiché in questi anni la presenza della Coop in un'area martoriata dalla disoccupazione (specie giovanile e femminile) e dalla crisi economica globale ha garantito un irrinunciabile presidio di legalità e di rispetto dei diritti dei lavoratori;

          per questi motivi diventa imprescindibile la ricerca in tempi rapidissimi di una soluzione diversa dalla chiusura o cessione a terzi privati dei suddetti punti vendita;

          un'opzione auspicata dai lavoratori potrebbe essere rappresentata da un investimento da parte di Coop Alleanza 3.0 (fusione di tre cooperative storiche e già collaborante con Unicoop Tirreno nella gestione dei tre Ipercoop campani di Afragola, Quarto e Avellino attraverso la costituita Distribuzione Centro-Sud s.r.l.), così da garantire il mantenimento degli attuali standard commerciali, qualitativi e occupazionali –:

          se non ritengano doveroso, urgente e necessario convocare immediatamente un tavolo di confronto coinvolgendo tutte le parti interessate, al fine di evitare la chiusura dei due punti vendita campani di Unicoop Tirreno e di trovare una soluzione alternativa che garantisca pienamente il mantenimento degli standard commerciali ed occupazionali attuali.
(4-18339)


      PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          Teva Italia srl è il ramo italiano della multinazionale israeliana Teva Pharmaceutical Industries Ltd, operante nella produzione e distribuzione di farmaci equivalenti;

          si parla di una delle prime 10 società globali nel settore farmaceutico, con un fatturato di 21,9 miliardi di dollari;

          in Italia opera con 1 filiale commerciale, 1 sito di prodotto finito e 5 di principi attivi e detiene il 20 per cento del mercato dei farmaci equivalenti;

          da notizie giornalistiche, si apprende che nei giorni scorsi ha licenziato, da un giorno all'altro e senza informare il sindacato, una donna di 51 anni, con 33 anni e 8 mesi di lavoro alle spalle e 3 figli a carico, per soppressione della mansione, che sarebbe stata esternalizza;

          il sito di Rho impiega 180 persone e appare difficile credere che non fosse possibile un reimpiego, ma l'azienda ad oggi ha offerto solo un indennizzo economico, dopo l'intervento delle organizzazioni sindacali e un primo incontro presso l'Ispettorato del lavoro;

          all'interrogante appare assolutamente intollerabile che una società che prospera nel nostro Paese grazie al servizio sanitario nazionale e che gode di buona salute possa adottare politiche di licenziamento individuale –:

          se e come intenda attivarsi, per quanto di competenza, affinché l'azienda assuma comportamenti conformi ai valori della Costituzione italiana e ritiri quindi la procedura di licenziamento.
(4-18362)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GAGNARLI, GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          il 10 ottobre 2017 è stata pubblicata la relazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio, riguardante i piani di azione nazionale (Pan) degli Stati membri ed i progressi compiuti nell'attuazione della direttiva 2009/128/CE sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari;

          la direttiva 2009/128/EC si pone il principale obiettivo di ridurre notevolmente i rischi derivanti dall'uso dei prodotti fitosanitari. Tuttavia, come si evince dalla relazione, finché non verrà attuata più rigorosamente dagli Stati membri, produrrà miglioramenti limitati e certamente insufficienti per raggiungere i progressi auspicati sull'ambiente e sulla salute dei cittadini. Ad otto anni dalla sua approvazione, infatti, risulta in gran parte non applicata dagli Stati membri;

          la relazione indica significative lacune in molte parti dei Pan degli Stati membri: in primo luogo, la mancanza di obiettivi e indicatori specifici e misurabili per una strategia a lungo termine per la riduzione dei rischi e degli impatti derivanti dall'uso di antiparassitari, in secondo luogo, le carenze in relazione all'irrorazione aerea, all'informazione al pubblico, alla raccolta di informazioni riguardanti i casi di avvelenamento, alle misure per la protezione dell'ambiente acquatico, alla diffusione delle buone tecniche di gestione del suolo, come la rotazione delle colture;

          la gestione integrata dei parassiti, inoltre, fulcro della direttiva 2009/128/EC, desta particolare preoccupazione, in quanto gli Stati membri non hanno ancora fissato obiettivi chiari e non hanno assicurato alcuna implementazione;

          alcuni Stati membri, tra cui l'Italia, hanno vietato l'uso di pesticidi a base di glifosato nelle aree non agricole, mentre la Germania ha fatto lo stesso nei parchi nazionali e nelle riserve naturali. Questi sono certamente dei passi in avanti nell'attuazione della direttiva, ma secondo il dossier della Commissione è ancora troppo poco;

          i miglioramenti chiesti dalla Commissione europea dovrebbero essere inclusi nella rivisitazione dei piani nazionali, su cui attualmente gli Stati membri risulta stiano lavorando. La Commissione europea continuerà a valutare i piani ed a monitorare l'attuazione della direttiva attraverso audit, attività di follow-up, ed altre azioni, se necessario prendendo in considerazione l'adozione di procedure di infrazioni nei confronti degli Stati membri inadempienti;

          nel report del 10 ottobre 2017, inoltre, risulta che la Commissione abbia scritto agli Stati membri in cui sono state constatate omissioni, sia nei piani che nella loro attuazione, per rammentare gli obblighi e l'importanza dell'attuazione della direttiva 2009/128/EC –:

          se l'Italia sia tra gli Stati membri destinatari dell'ammonimento scritto della Commissione europea e, in tal caso, in merito a quali aspetti;

          quale sia il livello di attuazione della revisione del piano di azione nazionale di cui al decreto del 22 gennaio 2014 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12 febbraio 2014.
(5-12598)


      FALCONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

          secondo quanto risulta da un documento del 20 ottobre 2017 della Confagricoltura, nel corso di un incontro con l'Ente Risi, al quale hanno partecipato fra gli altri, anche rappresentanti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Cia, Coldiretti, Airi ed Assosementi, è emersa una condivisione comune, in merito al protocollo da adottare, per la tracciabilità del riso classico, con riferimento alle recenti disposizioni introdotte, concernenti il mercato interno del riso, che riformano la legge 18 marzo 1958, n. 325;

          in particolare, i partecipanti alla riunione hanno evidenziato la necessità che il protocollo di tracciabilità si debba basare su alcuni criteri fondamentali che includono, per quanto riguarda la fase agricola: la valorizzazione del prodotto italiano; l'utilizzo di sementi certificate; l'esclusività della produzione «di classico», nel senso che la produzione aziendale della varietà (o delle varietà) scelte da destinare a alla produzione di riso «classico» deve essere conforme al protocollo di tracciabilità per l'intero quantitativo;

          al riguardo, Confagricoltura ha proposto in aggiunta al previsto percorso di tracciabilità, una procedura basata sull'identificazione delle varietà, ottenuta tramite analisi del Dna del riso, confermando comunque la disponibilità a valutare congiuntamente le modalità di definizione e attuazione di questa procedura: campionamento, controllo, verifica dei quantitativi, rapporti con gli altri operatori della filiera;

          da parte dei presenti al suesposto incontro, tuttavia è stato opposto un fermo rifiuto alla proposta della Confederazione degli agricoltori, sulla base di una serie di osservazioni, contrarie all'introduzione dell'esame del Dna sul riso, in quanto a loro giudizio, l'analisi del Dna determina risultati non sempre univoci, ed è sensibile al campionamento;

          a fronte della predetta opposizione, l'unico risultato raggiunto, prosegue il documento della Confagricoltura, risulta la disponibilità espressa dal rappresentante del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di riconsiderare, dopo una prima fase di applicazione di questo protocollo di tracciabilità, la proposta della medesima Confederazione;

          anche le due organizzazioni agricole presenti alla riunione, evidenzia ancora la lettera di Confagricoltura, si sono schierate con l'amministrazione ed Ente Risi contro la proposta citata, di cui sono ovviamente stati evidenziati i vantaggi in termini di minore burocratizzazione e vincoli a carico dei risicoltori a partire dall'obbligo di utilizzo della semente certificata che, sia da Cia che Coldiretti, è stata ritenuta essenziale per garantire qualità ed alti standard al prodotto «classico»;

          in definitiva, dall'esito dell'incontro, è emersa la necessità di comprendere quali iniziative le organizzazioni agricole e soprattutto il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali intendono assumere nei prossimi mesi in considerazione del fatto che il prossimo 7 marzo 2018 sarà predisposta l'adozione del protocollo conclusivo sulla tracciabilità del riso, attraverso il decreto ministeriale –:

          quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato, con riferimento alle proposte della Confagricoltura in merito all'introduzione dell'esame del Dna sul riso «classico», in aggiunta alle procedure già previste, riferite al percorso di tracciabilità.
(5-12607)


      FALCONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

          il sito internet «risoitaliano.it» che rappresenta una testata giornalistica rivolta agli agricoltori che coltivano il riso in Italia e nel mondo, in un articolo pubblicato il 23 ottobre 2017, riporta la risposta della Federbio, (la Federazione italiana che sostiene l'agricoltura biologica e biodinamica) all'Ente Risi, a proposito della richiesta di inserire la qualifica di riso biologico nei moduli che l'agricoltore deve compilare nel denunciare la superficie e la produzione, per una migliore collaborazione tra certificatori e istituzioni all'insegna della massima trasparenza;

          al riguardo la Federbio evidenzia il disaccordo con il suesposto ente, in relazione ai presupposti normativi richiesti in merito all'obbligatorietà della norma, che a giudizio dell'ente s'intendono necessari al fine di una collaborazione con l'Icqrf (l'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari) e con gli organismi di certificazione autorizzati per intensificare i controlli sul riso biologico;

          il Presidente del suesposto Ente evidenzia a tal fine, che (a differenza del marchio riso italiano che risulta volontario), per quanto riguarda Igp e Dop riso, l'ente è stato incaricato, dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di operare controlli, coinvolgendo anche l'Icqrf nonché ha manifestato la disponibilità a collaborare con gli enti certificatori incaricati della vigilanza sul riso biologico, ma che tuttavia è necessario che il suddetto Ministero definisca le modalità operative attraverso l'emanazione del decreto attuativo;

          a parere della Federbio invece, l'introduzione di una norma appare non necessaria, in considerazione del fatto che, sebbene il riso biologico rientri certamente nel campo di applicazione della legge istitutiva dell'Ente, (il quale anche in anni recenti non ha certo limitato le sue attività visto quanto realizzato anche nel campo della registrazione di un proprio marchio di «riso italiano») lo strumento delle convenzioni con l'Icqrf appare sufficiente e consente all'Ente stesso, di svolgere le attività di vigilanza per la repressione delle frodi nel commercio interno del riso e delle sementi di riso in tutto il territorio della Repubblica;

          la suesposta Federazione a tal fine rappresenta, in realtà, la necessità che l'Ente Risi solleciti l'Icqrf a svolgere il ruolo che le compete nel sistema di vigilanza e coordinamento del sistema di certificazione del biologico italiano, pur condividendo con la stessa Federazione dati e informazioni sulle rese effettive del riso biologico, che rappresentano uno dei punti critici su cui da tempo si concentra il massimo impegno;

          a giudizio dell'interrogante, in considerazione dell'importanza del riso biologico nel mercato nazionale e del successo crescente dei marchi Dop e Igp, (a conferma che la valorizzazione delle produzioni in Italia rappresenta uno strumento indispensabile per la conquista del vantaggio competitivo su questo segmento di domanda) occorre un chiarimento da parte del Ministro interrogato, in merito all'intenzione di assumere eventuali iniziative normative in merito ai soggetti che devono operare i controlli sul riso biologico per quanto riguarda i marchi Igp e Dop così come richiesto dall'Ente Risi, o viceversa se ritenga, come espresso dalla Federbio che risulti sufficiente lo strumento delle convenzioni con l'Icqrf, così come in precedenza riportato;

          quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa, in merito all'eventualità di assumere iniziative normative, come in precedenza richiamato, e se, al riguardo, non ritenga opportuno convocare un tavolo tra i rappresentanti dell'Ente Risi e della Federbio, al fine di evitare contrapposizioni fra i oggetti citati e addivenire ad una soluzione condivisa sia sul piano normativo, che organizzativo finalizzata alla tutela e alla valorizzazione del comparto risicolo italiano.
(5-12608)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      RIZZETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          la diastasi dei retti addominali è una patologia che si verifica successivamente al parto, nelle donne i cui muscoli addominali non tornano nella loro sede naturale rimanendo distanziati;

          nello specifico, si tratta di una dislocazione laterale dei muscoli retti della parete addominale il cui cedimento può compromettere sia funzionalità statiche, contenitiva e protettiva dei visceri addominali, che dinamiche/muscolari della parete addominale;

          la diastasi dei muscoli retti si presenta in circa il 60 per cento delle donne al termine della gravidanza, ma in circa il 30 per cento delle gestanti assume un carattere irreversibile non regredendo a distanza di 12 mesi dal parto;

          sebbene non vi sia una classificazione ufficiale, la gravità di una diastasi dei muscoli retti viene comunemente individuata in base alla distanza esistente tra i due ventri dei due muscoli retti (normalmente 2,5 centimetri) ed alla consistenza e continenza della linea alba;

          nei casi più seri, correlati ad una eccessiva distanza dei muscoli retti o ad una particolare cedevolezza dei tessuti fasciali, interposti tra i due muscoli retti, può comportare disturbi aspecifici della regione pelvica, incontinenza urinaria, gastralgie o disturbi statico-dinamici della colonna vertebrale;

          pur trattandosi di una patologia spesso poco conosciuta negli ambienti medici, il sospetto di diastasi dei muscoli retti può essere verificato, con una semplice visita medica che può evidenziare una estroflessione verticale mediana della parete addominale e può essere confermata con una mera ecografia della parete addominale;

          l'intervento necessario per risolvere questa patologia e l'addominoplastica con plicatura dei retti, intervento che non è convenzionato in tutte le regioni, poiché solo poche Asl riconoscono la diastasi come una patologia meritevole di terapia chirurgica. Questa condizione comporta una migrazione delle pazienti attraverso il territorio nazionale verso quelle strutture che erogano interventi plastico-ricostruttivi per la ricostruzione della parete addominale;

          il mancato riconoscimento della diastasi a livello nazionale impedisce a molte donne la giusta diagnosi e il necessario intervento risolutivo –:

          se e quali iniziative di competenza intenda adottare affinché la diastasi sia riconosciuta tra i trattamenti in convenzione con il servizio sanitario nazionale e siano garantiti la diagnosi e l'intervento terapeutico necessari, eliminando gli attuali disagi conseguenti alle migrazioni verso le sole strutture che riconoscono la patologia in questione.
(5-12601)

Interrogazione a risposta scritta:


      PELUFFO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          la terapia con cui si eliminano le scorie dall'organismo, quando i reni non sono più in grado di farlo, si definisce dialisi;

          il tipo di macchinario comunemente utilizzato per tale processo è chiamato rene artificiale e permette in modo extracorporeo di ripulire il sangue dalle scorie accumulate. Un processo delicato, che deve rispondere a requisiti di disinfezione e sterilità, sia degli ambienti dove viene praticata, che delle apparecchiature usate;

          la dialisi può essere eseguita presso centri ospedalieri o in strutture esterne pubbliche accreditate definite Cal, acronimo che sta per centro ad assistenza limitata per la dialisi;

          la terapia è fisica e il sangue prelevato dal corpo deve essere ripulito tramite il passaggio attraverso una membrana che permette gli scambi di sostanze dal sangue a quell'acqua che deve essere trattata e preparata ad hoc;

          l'acqua per la purezza e l'importanza che ha in dialisi è considerata alla stregua di un farmaco e deve avere purezza assoluta altrimenti può causare infezioni acute e/o croniche:

          le immagini del servizio andato in onda presso la trasmissione Striscia La Notizia del 27 ottobre 2017 hanno documento in Lombardia, nella Città Metropolitana di Milano una situazione non degna di un Paese industrializzato;

          in primis, la situazione del Centro extraospedaliero ad assistenza limitata di Via Costant n. 7, ora gestito dalla azienda sociosanitaria territoriale Santi Paolo e Carlo e quella del reparto dialisi ospedaliero devono far riflettere sull'importanza di erogare una terapia classificata «salva vita» in un contesto di sicurezza, igiene e accessibilità per pazienti e operatori;

          una situazione che certo non è nata oggi ma che è figlia di responsabilità che vanno ricercate in chi per anni ha permesso lo stato attuale documentato;

          si rileva inoltre che, nell'intera azienda sociosanitaria territoriale santi Paolo e Carlo sono compresi – oltre al centro extraospedaliero ad assistenza limitata e al reparto oggetto del suddetto filmato – altri due centri esterni in Via Mompiani, n. 5, a Milano e in Via Lazio, n. 56, a Rozzano;

          sarebbe utile conoscere le motivazioni per le quali il progetto preliminare approvato con deliberazione n. 1126 del 23 dicembre 2014 dell'ex azienda ospedaliera per la realizzazione di un nuovo centro dialisi non abbia avuto il dovuto seguito, nonché le motivazioni che hanno determinato il blocco dell'utilizzo del finanziamento per la sistemazione del nosocomio a fronte della situazione in essere –:

          alla luce di quanto descritto in premessa se non ritenga necessario promuovere un'ispezione urgente da parte del Comando dei carabinieri per la tutela della salute al fine di verificare le condizioni igienico-sanitarie del centro dialisi ad assistenza limitata dell'ospedale San Carlo di Milano, e delle altre strutture sanitarie sopra citate, considerato il continuo incremento dei pazienti con insufficienza renale cronica in un'area densamente abitata della città di Milano.
(4-18346)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta orale:


      MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, BASILIO, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          all'articolo 9 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, si legge che al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (CNVVF) sono attribuite le seguenti competenze del Corpo forestale dello Stato in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento con mezzi aerei degli stessi: a) concorso con le regioni nel contrasto degli incendi boschivi con l'ausilio di mezzi da terra e aerei; b) coordinamento delle operazioni di spegnimento, d'intesa con le regioni, anche per quanto concerne l'impiego dei gruppi di volontariato antincendi (AIB); c) partecipazione della struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali;

          purtuttavia, nella legge 6 febbraio 2004, n. 36, «Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato» non vi è traccia di competenze esclusive del Corpo forestale dello Stato in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi, piuttosto all'articolo 2, comma 1, lettera l), tra le competenze del Corpo forestale dello Stato si annoverano: pubblico soccorso e interventi di rilievo nazionale di protezione civile su tutto il territorio nazionale, con riferimento anche al concorso con le regioni nella lotta attiva agli incendi boschivi e allo spegnimento con mezzi aerei degli stessi;

          la «legge quadro in materia di incendi boschivi», legge 21 novembre 2000 n. 353, all'articolo 7 «Lotta attiva contro gli incendi boschivi», comma 5, riporta che «le regioni assicurano il coordinamento delle operazioni a terra anche ai fini dell'efficacia dell'intervento dei mezzi aerei per lo spegnimento degli incendi boschivi. A tali fini, le regioni possono avvalersi del Corpo forestale dello Stato tramite i centri operativi antincendi boschivi articolabili in nuclei operativi speciali e di protezione civile (...)»;

          dalla legge delega n. 124 del 2015 (cosiddetta «legge Madia») si evince che il coordinamento per lo spegnimento degli incendi boschivi viene affidato ai Vigili del fuoco e non più alle regioni come da legge n. 353;

          i Vigili del fuoco subentrano nel coordinamento, ad avviso degli interroganti, senza un'adeguata implementazione di personale, mezzi e trattamento economico; infatti, dal Corpo forestale dello Stato transitano ai vigili del fuoco solo 390 unità contro le 7.177 passate ai carabinieri (CC), di cui solo 10 dirigenti ai Vigili del fuoco e 95 ai carabinieri; inoltre, su 33 aeromobili, transitano ai Vigili del fuoco solamente 16 elicotteri;

          gli incendi boschivi che hanno interessato la regione Liguria nel mese di gennaio 2017 hanno costretto i Vigili del fuoco a turni massacranti per fronteggiare al contempo più focolai vista l'esiguità delle dotazioni: un vigile ogni 15 mila abitanti, una caserma ogni 300 chilometri quadrati età media superiore a 50 anni, carenza e inadeguatezza dei mezzi di soccorso;

          ad oggi, sul sito della protezione civile sulla pagina «attività rischio incendi» si legge che alle regioni compete, innanzitutto, l'attivazione delle sale operative per consentire il coordinamento dei diversi soggetti che concorrono alla lotta agli incendi; spetta alle stesse inoltre attivare i piani regionali di previsione, prevenzione e d'intervento aggiornati ogni anno ed elaborati su base provinciale –:

          se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

          se l'articolo 9 del decreto legislativo n. 177 del 2016 debba essere interpretato come un trasferimento delle competenze in materia di coordinamento delle operazioni di spegnimento dalle regioni al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco;

          se non ritengano urgente assumere iniziative per un chiarimento della normativa sulle funzioni di coordinamento;

          se non ritengano urgente in vista delle prossime campagne antincendio, implementare l'organico e le risorse economiche e strumentali dei Vigili del fuoco, viste le nuove competenze attribuite agli stessi, dalla legge delega n. 124 del 2015;

          se non si ritenga urgente assumere iniziative per rivedere la tabella A del decreto legislativo n. 177 del 2016 al fine di incrementare le dotazioni organiche trasferite dal Corpo forestale dello Stato ai Vigili del fuoco; parimenti, se non si intenda trasferire un maggior contingente di mezzi terrestri ed aerei dell'ex Corpo forestale dello Stato ai Vigili del fuoco.
(3-03335)


      TERZONI e BUSTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

          la regione Piemonte in data 28 febbraio ha comunicato delle disposizioni operative relative all'applicazione della legge n. 353 del 2000, «Legge quadro sugli incendi boschivi», al Comando Regione Carabinieri Forestali, alla direzione regionale Vigili del Fuoco e al Corpo Volontari AIB;

          nel testo della comunicazione, in cui si fa riferimento a «disfunzioni operative su recenti incendi» avvenuti nel territorio regionale, si dispone che «i mezzi aerei, regionali e nazionali necessari per il supporto alla lotta attiva, vanno richiesti esclusivamente, da parte delle forze operative in campo, alla sala operativa 1515 — Carabinieri Forestali» la quale dovrà poi informare la sala operativa dei Vigili del Fuoco;

          per i mezzi aerei regionali si dispone che la richiesta venga fatta e concordata tra la sala operativa 1515 Carabinieri Forestali, che viene indicata come centrale per la segnalazione di tutti gli incendi boschivi, e Settore regionale competente;

          infine il ruolo di coordinatore delle forze operative in campo viene assegnata ad un rappresentante dei carabinieri forestali inviato sul sito degli incendi dal comandante regionale; il suo ruolo oltre a quello di coordinatore sarà anche quello di dettare le strategie da attuare per il contrasto agli incendi boschivi;

          di fatto la regione Piemonte demanda il coordinamento e la direzione degli interventi in contrasto agli incendi boschivi ai carabinieri forestali anche per «garantire l'efficacia degli interventi, la sicurezza degli operatori Volontari del Corpo AIB Piemonte, nonché dirimere eventuali controversie di tipo operativo che dovessero sorgere.»;

          questo nonostante con l'emanazione della legge n. 124 del 2015 e del decreto legislativo n. 177 del 2016, si disponga il trasferimento delle funzioni e delle risorse correlate alle competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi al Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In particolare, all'articolo 9 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, si legge che al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (Cnvvf) sono attribuite le seguenti competenze del Corpo forestale dello Stato in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento, con mezzi aerei degli stessi: a) concorso con le regioni nel contrasto degli incendi boschivi con l'ausilio di mezzi da terra e aerei; b) coordinamento delle operazioni di spegnimento, d'intesa con le regioni, anche per quanto concerne l'impiego dei gruppi di volontariato antincendi (AIB); c) partecipazione della struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali;

          di fatto nonostante la «legge quadro in materia di incendi boschivi», legge 21 novembre 2000 n. 353, all'articolo 7 «Lotta attiva contro gli incendi boschivi», comma 5, riporta che «le regioni assicurano il coordinamento delle operazioni a terra anche ai fini dell'efficacia dell'intervento dei mezzi aerei per lo spegnimento degli incendi boschivi. A tali fini, le regioni possono avvalersi del Corpo forestale dello Stato tramite i centri operativi antincendi boschivi articolabili in nuclei operativi speciali e di protezione civile (...)», dalla legge delega n. 124 del 2015 (cosiddetta «legge Madia») si evince che il coordinamento per lo spegnimento degli incendi boschivi viene affidato ai Vigili del fuoco e non più alle regioni come da legge n. 353 –:

          se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

          se non ritengano di dover chiarire quali siano le competenze circa il coordinamento degli interventi per il contrasto agli incendi boschivi;

          quali iniziative intendano assumere per garantire omogeneità sul territorio nazionale nelle procedure di intervento in caso di incendi boschivi;

          se non ritengano che nella riorganizzazione del servizio per lo spegnimento degli incendi boschivi debba essere chiarita anche la titolarità della gestione della sala operativa 1515.
(3-03337)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PARIS, GIACOBBE, ALBANELLA, ARLOTTI, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DAMIANO, DI SALVO, CINZIA MARIA FONTANA, GNECCHI, GRIBAUDO, INCERTI, LAVAGNO, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, ROSTELLATO, ROTTA e TINAGLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

          l'articolo 20, comma 1, del decreto legislativo n. 75 del 2017, che reca misure volte al superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni, stabilisce che le medesime amministrazioni, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni, possano assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l'amministrazione che procede all'assunzione; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all'assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell'amministrazione che procede all'assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni; ai fini di tali assunzioni ha priorità il personale in servizio alla data di entrata in vigore del citato decreto n. 75;

          il comma 2 del medesimo articolo 20 prevede che le pubbliche amministrazioni, nel medesimo triennio 2018-2020, possano bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni e ferma la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, procedure concorsuali riservate, in misura non, superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga-tutti i seguenti requisiti: a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l'amministrazione che bandisce il concorso; b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso;

          il medesimo articolo 20 precisa che: per il personale tecnico-professionale e infermieristico del servizio sanitario nazionale, nonché per il personale delle amministrazioni finanziate dal fondo ordinario per gli enti e istituzioni di ricerca, il periodo di tre anni di lavoro negli ultimi otto anni possa essere maturato rispettivamente presso diverse amministrazioni del servizio sanitario nazionale o presso diversi enti e istituzioni di ricerca;

          in caso di processi di riordino, soppressione o trasformazione di enti, con conseguente transito di personale, si considera anche il periodo maturato presso l'amministrazione di provenienza;

          appare necessario acquisire indicazioni utili ai fini dell'attuazione delle medesime disposizioni –:

          quale sia lo stato del processo di adozione dei piani triennali dei fabbisogni, con particolare riferimento agli enti locali; a quali procedure di stabilizzazione possa accedere il personale precario dei centri per l'impiego; quali iniziative si intendano adottare per tutelare i lavoratori assunti con contratti a tempo determinato che abbiano maturato il requisito dei tre anni di servizio continuativo e non potranno beneficiare di proroghe né essere assunti in assenza di nuovi bandi di concorso; se vi sia la possibilità di assumere a tempo indeterminato lavoratori assunti con contratti a tempo determinato che, alla data del 31 dicembre 2017, non abbiano maturato il requisito dei tre anni di servizio continuativo, ma abbiano svolto in modo prolungato le medesime funzioni sulla base di contratti di collaborazione.
(5-12591)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GINEFRA e PELILLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          il 10 novembre 2017 è prevista la presentazione del documento finale sulla nuova Strategia energetica nazionale, che è stata preceduta da una fase di consultazione pubblica conclusa il 12 settembre 2017;

          uno dei principali propositi del documento posto in consultazione consiste nella decarbonizzazione, rispetto al quale sono stati presentati due scenari, che ne fissano la data di raggiungimento al 2025 o al 2030, con relativa stima degli investimenti diretti aggiuntivi e delle azioni da mettere in atto;

          a margine della presentazione del rapporto «Greenitaly 2017» il 24 ottobre 2017, il Ministro interrogato ha dichiarato che «L'obiettivo è di far uscire l'Italia dal carbone entro il 2025»;

          un traguardo così ambizioso implica l'adozione di misure che investano in modo coerente, trasversale e integrato diversi settori;

          sotto questo aspetto, la strategia relativa al futuro del complesso industriale del gruppo Ilva avrebbe potuto rappresentare una importante occasione –:

          come e attraverso quali iniziative il Ministro interrogato intenda raggiungere l'obiettivo della decarbonizzazione entro il 2025 e per quali ragioni non solo non sia stato considerato l'obiettivo della decarbonizzazione tra i requisiti per l'aggiudicazione della gara relativa al complesso industriale del gruppo Ilva ma sia risultato aggiudicatario un soggetto il cui piano di acquisizione non prevedeva tale prospettiva.
(5-12593)


      GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          il 23 ottobre 2017, presso l'assessorato al lavoro della regione Puglia, si è riunita la task force per l'occupazione alla presenza delle componenti datoriali, sindacali e degli enti locali interessati con all'ordine del giorno la vertenza ex OM Carrelli Elevatori – Tua lndustries;

          nel corso della riunione l'azienda è stata invitata a riferire sulle iniziative intraprese per superare la grave crisi di liquidità che ha portato alla messa in liquidazione volontaria della società, sulle prospettive industriali a seguito dell'esposizione del quadriciclo omologato all'ultima Fiera del Levante di Bari;

          in quella quella sede la Tua lndustries ha dichiarato che «la presentazione del veicolo alla Fiera del Levante ha avuto un ottimo riscontro in termini di potenziale commercializzazione del prodotto nazionale e internazionale, il rapporto con il fondo di investimento americano (attuale azionista dell'azienda) non ha visto variazioni di rilievo e pertanto prosegue la ricerca di nuovi investitori. Attualmente sono in corso trattative con tre grossi investitori italiani e internazionali destinate probabilmente a sfociare entro 7/10 giorni nella formalizzazione di lettere d'interesse e/o accordi preliminari per l'acquisizione della società o del ramo d'azienda e che sono in corso contatti, monitorati da regione Puglia, con il sistema creditizio per ottenere, un prestito ponte al fine di far fronte ai debiti correnti»;

          le organizzazioni sindacali hanno espresso la loro forte preoccupazione «per l'enorme ritardo accumulato nella conclusione dell'operazione e per l'attuale stato di incertezza sull'effettiva possibilità di avviare l'attività produttiva nello stabilimento di Modugno»;

          il quadro è ancora più grave in considerazione della scadenza della Cassa integrazione guadagni in deroga prevista il 22 dicembre 2017;

          per i sindacati è allarmante il disimpegno del fondo di investimento americano LCV, pur in presenza di un accordo di programma firmato in sede ministeriale, e per questo hanno chiesto la riattivazione del tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico;

          il presidente della task force, confermando la presenza delle trattative richiamate dall'azienda, ha poi sostenuto che il tavolo di monitoraggio dovesse trasformarsi in tavolo di crisi, con il pieno coinvolgimento delle altre istituzioni locali riportando la suddetta vertenza al Ministero dello sviluppo economico;

          la regione Puglia ha già chiesto ai Ministri competenti di valutare ipotesi di finanziamento di ulteriori misure di sostegno al reddito per gli ex dipendenti OM carrelli impegnandosi a riconvocare il tavolo entro una decina di giorni per verificare l'eventuale formalizzazione di accordi con nuovi investitori;

          in data 25 ottobre 2017 le organizzazioni sindacali hanno scritto alla Ministro dello sviluppo economico chiedendo la riapertura del tavolo di crisi per la suddetta vertenza e, a tal fine, di promuovere un incontro in sede ministeriale –:

          quali iniziative il Governo intenda assumere per dar seguito a tale richiesta e se ritenga di valutare l'opportunità di un possibile coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti qualora non dovessero andare a buon fine le ricerche in corso di nuovi investitori;

          se siano state già valutate le iniziative da assumere per far fronte al possibile ritardo di attuazione del cronoprogramma, al fine di dare ai lavoratori ogni garanzia sulla possibile attivazione di nuovi ammortizzatori sociali che diano loro copertura oltre il termine del 22 dicembre 2017.
(5-12604)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          negli ultimi anni, come riportato da diverse fonti di stampa, «aumenta il rischio di attivare servizi a pagamento indesiderati sui dispositivi elettronici quali telefoni cellulari, palmari, smartphone e tablet». Il sito www.laleggepertutti.it ha informato come la «particolarità di questi servizi sia legata allo sviluppo delle tecnologie touchscreen»;

          Secondo Repubblica.it del 19 febbraio 2015, «gli italiani che utilizzano servizi aggiuntivi via internet dal proprio smartphone sono 10 milioni. Il 4 per cento di loro non ha mai chiesto di farlo, ma si è ritrovato abbonato al prezzo di centinaia di euro, oppure si è imbattuto nelle offerte più strane»;

          l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il 21 gennaio 2015, ha dichiarato di aver «irrogato, ai principali operatori del settore delle comunicazioni mobili (Telecom, Wind, Vodafone e H3G), una sanzione pari a 1.750.000 euro ciascuno per Telecom e H3G, e a 800.000 euro ciascuno per Wind e Vodafone, per aver adottato pratiche commerciali scorrette nell'ambito della commercializzazione dei servizi premium utilizzati via Internet da terminale mobile»;

          nel corso del 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ricevuto varie segnalazioni con le quali associazioni di consumatori e utenti di telefonia mobile denunciavano la fornitura non richiesta, e il relativo addebito da parte del proprio operatore sul credito telefonico della SIM, di servizi a sovrapprezzo (i cosiddetti servizi premium) accessibili durante la navigazione in mobilità mediante banner, pop up e landing page;

          durante le ispezioni eseguite con l'assistenza della Guardia di finanza, l'Autorità ha accertato che «i quattro operatori citati hanno attuato una pratica commerciale scorretta riconducibile a due condotte: da un lato, l'omissione di informazioni circa il fatto che il contratto di telefonia mobile sottoscritto pre-abilita la SIM alla ricezione dei servizi a sovrapprezzo, nonché circa l'esistenza del blocco selettivo per impedire tale ricezione e la necessità per l'utente che voglia giovarsene di doversi attivare mediante una richiesta esplicita di adesione alla procedura di blocco; dall'altro, l'adozione da parte dell'operatore di telefonia mobile di un comportamento qualificato come aggressivo, consistente nell'attuazione di una procedura automatica di attivazione del servizio e di fatturazione in assenza di qualsiasi autorizzazione da parte del cliente al pagamento, nonché di qualsiasi controllo sulla attendibilità delle richieste di attivazione provenienti da soggetti quali i fornitori di servizi estranei al rapporto negoziale fra utente e operatore»;

          nei confronti delle società H3G e Tim, la pratica si è articolata in un'ulteriore condotta consistente nella diffusione di messaggi che omettono informazioni rilevanti o che determinano l'accesso e l'attivazione del servizio a sovrapprezzo senza un'espressa manifestazione di volontà da parte dell'utente. Secondo l'Antitrust, «la responsabilità delle quattro aziende discende, anche, dal fatto che gli operatori traggono uno specifico vantaggio economico dalla commercializzazione dei servizi premium, in quanto condividono con i fornitori i ricavi dei servizi erogati, trattenendone un'elevata percentuale. E inoltre, si sono dimostrati ampiamente consapevoli circa la sussistenza di attivazioni e di addebiti relativi a servizi non richiesti da parte dei propri clienti mobili. Ai sensi del Codice del Consumo, l'Agcm ha giudicato questa pratica contraria alla diligenza professionale e idonea a falsare il comportamento economico del consumatore. La stessa Autorità ne ha vietato, perciò, la diffusione o continuazione, oltre a irrogare le sanzioni, stabilendo che gli operatori comunichino entro 60 giorni le iniziative assunte per ottemperare alla diffida»;

          secondo l'articolo di Repubblica.it del 2 agosto 2017, «a nulla, o poco, sembrano essere valsi i pesanti provvedimenti emessi dall'AGCM, secondo gli utenti e le associazioni dei consumatori, c'è ancora molto da fare. Accettando di continuare la navigazione, o anche solo scrollando la pagina sul proprio smartphone, si finisce per pagare qualche centesimo a pagina, oppure somme uniche scalate dal credito disponibile su base settimanale o mensile»;

          il sito www.federconsumatori-fvq.it ha evidenziato che «le imprese responsabili di queste pratiche scorrette hanno sede in territori extra europei, e perseguirle legalmente risulta quasi impossibile; gli operatori telefonici, che cedono i numeri a queste grandi aziende pubblicitarie, secondo l'Antitrust non solo non tutelano sufficientemente i loro utenti, ma sono accusati di aver costruito un sistema di per sé lesivo dei diritti degli utenti stessi» –:

          alla luce dei fatti esposti in premessa, quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere per tutelare i consumatori ed evitare le pratiche scorrette menzionate;

          quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato affinché le aziende telefoniche non addebitino tali servizi premium in assenza di un esplicito consenso all'abilitazione da parte degli utenti.
(4-18336)


      DELL'ORCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          Vapor Europe, ditta di Sassuolo produttrice di porte per treni e metro, è parte della multinazionale americana Wabtec che di recente ha acquisito la multinazionale francese Faiveley. Secondo quanto riportato sulla stampa dai sindacati, Wabtec, dopo la fusione con Faiveley, ha trasferito nella Repubblica ceca la produzione delle porte MP14 assegnate inizialmente a Vapor Europe con l'intenzione di trasferire definitivamente l'intera produzione fuori dall'Italia, relegando il sito di Sassuolo a mera assistenza post commerciale. A conferma di tali intenzioni l'azienda, che non risulta soffrire di problemi di natura economica e con commesse in atto, ha aperto deliberatamente le procedure di licenziamento per 30 dei 50 dipendenti. I lavoratori hanno conseguentemente, proclamato lo sciopero e il presidio permanente davanti allo stabilimento;

          il tavolo di confronto con l'azienda, aperto a livello regionale e svoltosi il 26 ottobre 2017, non risulta aver portato ad accordi fruttuosi ed è stata pertanto chiesta l'apertura di un tavolo istituzionale a livello ministeriale;

          i lavoratori sostengono che sarebbe utile attivare vincoli di local content nei bandi delle maggiori aziende di trasporto che operano in Italia, al fine di garantire la produzione di almeno parte dei treni in Italia, così come fatto in altri Paesi europei e anche da una multinazionale italiana, quale l'Eni, nei Paesi in via di sviluppo;

          il Ministro dello sviluppo economico è stato tra l'altro promotore insieme a Francia e Germania della nuova proposta di regolamento dell'Unione europea e presentata il 13 settembre 2017 [COM(2017) 487 final], che istituisce un quadro di riferimento per i meccanismi di controllo degli investimenti esteri diretti (IED) –:

          se il Governo intenda assumere iniziative che tengano conto della strategicità della Vapor Europe come azienda che opera in un settore chiave quale quello del trasporto su ferro e quali strumenti intenda mettere in campo per tutelare gli interessi dei lavoratori;

          se sia allo studio un'iniziativa a livello nazionale che estenda, al massimo del perimetro consentito dalla suddetta proposta di regolamento dell'Unione europea, la possibilità di intervento del Governo in casi come quello in premessa, in cui le politiche industriali di una multinazionale extraeuropea creano evidenti disequilibri economici all'interno dei Paesi europei;

          se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza per garantire che i bandi per la fornitura delle vetture delle maggiori aziende di trasporto che operano in Italia introducano vincoli di local content che garantiscano la produzione di almeno parte dei treni in Italia.
(4-18340)


      RICCIATTI, MELILLA, EPIFANI, SIMONI, FERRARA, ZARATTI, D'ATTORRE, QUARANTA, PIRAS, NICCHI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, SANNICANDRO, ALBINI, MURER, BOSSA, SCOTTO, KRONBICHLER e FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          il terremoto ha danneggiato con forza anche il tessuto imprenditoriale della provincia di Fermo, oltre che delle Marche, come riportano gli ultimi dati della Cna. A livello regionale in un anno il sistema produttivo del cratere marchigiano ha visto la scomparsa di 483 imprese e di 2.000 posti di lavoro, mentre il fatturato delle aziende che hanno resistito è diminuito del 5 per cento. Entrando nel dettaglio locale, sono 135 le attività artigianali che hanno definitivamente ceduto alle scosse;

          al primo posto c'è Montegiorgio dove hanno chiuso trenta imprese, Seguono Servigliano con 16, Amandola con 12, Montelparo, Massa Fermana e Falerone con 10. Il settore più colpito nelle Marche è stato quello dell'agroalimentare, con la perdita di 249 aziende e quasi 1.000 occupati. «Servono interventi che garantiscano la ricostruzione e la rinascita del tessuto sociale ed economico, indicando le priorità e i programmi su cui intervenire sia nel breve periodo che a lungo termine. Siamo convinti che sia necessario cominciare dal territorio, attraverso l'agroalimentare di qualità, il turismo e la cultura» spiegano Paolo Silenzi e Alessandro Migliore, presidente e direttore di Cna Fermo;

          tra i 177 comuni marchigiani coinvolti, ovvero il 77 per cento, al secondo posto per imprese danneggiate ci sono quelle del commercio, 155 hanno registrato la chiusura e 500 sono i disoccupati in più. Ma proprio a causa della vastità dei danni, i problemi non hanno risparmiato nemmeno i seguenti settori: manifatturiero (- 46 per cento) edilizia (- 42 per cento), trasporto (- 24 per cento) e ricettività (- 21 per cento). È per questo che non c'è comune fermano che si sia salvato: cinque imprese chiuse a Monteleone, sei a Belmonte, sette a Monte Vidon Corrado, otto a Ortezzano e quattro a Monsampietro Morico e Montappone. Chi resiste, e non potrebbe essere diversamente considerato che il sindaco Ciaffaroni ha affrontato il post sisma in modo efficace, è Montefortino che ha perso solo un'attività –:

          quali iniziative s'intendano assumere al fine di rilanciare il tessuto delle imprese artigiane dei territori colpiti dai recenti eventi sismici.
(4-18347)


      BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          l'impianto Fabbricazioni nucleari di Bosco Marengo è entrato in funzione nel 1973 e ha prodotto elementi di combustibile per centrali nucleari in Italia e all'estero;

          nel 2005, la Sogin è divenuta proprietaria dell'impianto con l'obiettivo di realizzarne la completa disattivazione;

          a fine 2016, il volume dei rifiuti radioattivi presenti nel sito è di 480 metri cubi;

          con decreto del Ministero dello sviluppo economico 23 dicembre 2016, la Sogin è stata autorizzata ad effettuare il trattamento e il condizionamento dei rifiuti radioattivi di Bosco Marengo trasportandoli presso la Nucleco nel centro di Casaccia (Roma) per poi riportarli a Bosco Marengo dopo tale condizionamento;

          alcune pubblicazioni della regione e dell'Arpa Piemonte riportano come geologicamente la zona di Bosco Marengo sia interessata dalla cosiddetta linea Villalvernia Varzi, considerata faglia attiva, responsabile dell'ultimo importante sisma della zona;

          in data 21 maggio 2015 si è tenuto a Torino un convegno di studi organizzato dalla Sogin che ha trattato, tra l'altro, le caratteristiche geologiche e ambientali del Monferrato e dell'Alessandrino (intervento del professor Livio Bonadeo dell'università dell'Insubria, dipartimento di scienza ed alta tecnologia). Lo stesso ha esposto in più note scientifiche del gruppo di lavoro dell'università dell'Insubria, e in particolare in una pubblicazione di alcune settimane fa, ulteriori evidenze di faglie recenti (datate almeno 4 mila anni) ed evidenzia possibilità di sismi di 6-6,5 ML (magnitudo locale Richter), al pari della adiacente catena appenninica, anche per l'arco del Monferrato e dell'Alessandrino;

          nelle osservazioni al programma nazionale da parte di Legambiente e di numerosi cittadini è stata sollevata la preoccupazione sull'inidoneità del sito nucleare di Bosco Marengo ad ospitare depositi nucleari, anche se temporanei, a fronte del rischio sismico, della vicinanza ad un importante arteria stradale e a ben due aziende a rischio di incidente rilevante, e della sua collocazione sopra una delle tre falde acquifere più profonde della Pianura paadana occidentale;

          nel rapporto finale dello studio dell'Istituto superiore di sanità «Stato di salute della popolazione residente nei Comuni già sedi di impianti nucleari», del gennaio 2015, si conclude che «a Bosco Marengo la mortalità generale risulta in eccesso, rispetto alla popolazione regionale, così come la mortalità per le malattie del sistema circolatorio. Tra le patologie con una evidenza sufficiente o limitata di associazione con esposizioni a radiazioni ionizzanti, il tumore della tiroide risulta in eccesso nel trentennio, anche se basato su un numero esiguo di casi e in eccesso, seppur non significativo, nelle singole decadi. Il tumore del polmone risulta in eccesso nella prima decade e sull'insieme dei 30 anni e in eccesso, seppur non significativo, nelle altre decadi. Il tumore dell'utero risulta in eccesso a partire dal 1990, eccesso che si riscontra anche nell'analisi sull'intero trentennio. La mortalità per la malattia di Hodgkin risulta in eccesso sin dal secondo periodo analizzato, compreso nell'intero trentennio» –:

          se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra riportato e che cosa abbia concertato con la società Sogin per la completa e tempestiva disattivazione del sito, vista la inidoneità dello stesso a ospitare depositi nucleari per ragioni idrologiche, sismiche e di rischio industriale, e considerato il rischio di ulteriori danni alla salute degli abitanti;

          se si sia tenuto conto di tutte le sopra elencate recenti evidenze scientifiche nella redazione della «carta Cnapi»;

          se il Governo non ritenga di riconsiderare la scelta di riportare a Bosco Marengo i rifiuti radioattivi dopo il loro trasferimento per il condizionamento presso la Nucleco della Casaccia (Roma), prevedendo di inviare tali rifiuti condizionati direttamente al deposito nazionale.
(4-18350)


      BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

          la costruzione dell'impianto Cemex nel sito nucleare di Saluggia (Vercelli), per la solidificazione dei rifiuti radioattivi liquidi attualmente conservati e del deposito D3 per lo stoccaggio provvisorio post-solidificazione è stata interrotta a seguito della risoluzione, per grave inadempimento e ritardi nell'esecuzione dei lavori, del contratto d'appalto tra Sogin spa – che ha quale socio unico il Ministero per lo sviluppo economico – e il raggruppamento temporaneo di imprese Saipem più altri;

          la risoluzione dei contratto comporterà, secondo quanto riferito dai vertici di Sogin spa, il fermo dei lavori e un ulteriore allungamento dei tempi di realizzazione delle due opere, già in forte ritardo rispetto ai cronoprogrammi;

          le operazioni di solidificazione delle scorie liquide nel Cemex, tenendo conto dei ritardi di progettazione e costruzione accumulati finora e delle necessarie preventive operazioni di collaudo e di prove a freddo, non potranno presumibilmente iniziare prima dell'anno 2024;

          il «Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e delle scorie radioattive» recentemente redatto dai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prevede che, entro il 2024/2025, sarà operativo il deposito nazionale di stoccaggio delle scorie, e che entro il 2035 i siti nucleari (compreso quello di Saluggia) dovranno essere rilasciati senza vincoli radiologici;

          in seno alla Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti e alla Corte dei conti sono stati espressi dubbi sull'utilizzo delle risorse economiche da parte di Sogin a fronte delle operazioni sinora completate;

          nel corso della legislatura sono stati presentati dagli interroganti diversi atti di sindacato ispettivo volti ad esprimere perplessità sull'edificazione dei depositi temporanei, tra cui il deposito D2 e il D3, verso la cui costruzione la cittadinanza si è fortemente opposta. La richiesta degli interroganti è stata, inoltre, quella di avviare un'analisi puntuale sull'opportunità e sull'idoneità dei depositi provvisori, per individuare una strategia complessiva di gestione in accordo con il progetto del deposito nazionale. La strategia di «brownfield», infatti, con la realizzazione del deposito nazionale, non avrebbe più alcun senso e risulterebbe inopportuno costruire nuovi depositi temporanei in siti che entro il 2035 dovranno essere abbandonati. Già il comune di Saluggia, a tal proposito, aveva proposto una moratoria per la costruzione di nuovi depositi nelle osservazioni al rapporto preliminare del programma nazionale –:

          se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, per motivi di economicità e di rispetto delle scadenze previste dal citato programma nazionale, dare indicazioni a Sogin spa in merito all'affidamento nel breve periodo dei lavori di completamento dell'impianto Cemex, necessario per la solidificazione dei rifiuti radioattivi che, da oltre trent'anni, si trovano allo stato liquido;

          se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative ai fini dello stralcio dall'appalto per la costruzione del deposito temporaneo D3, in vista della costruzione del deposito nazionale, provvedendo per contro, all'individuazione di adeguate «aree buffer» all'interno dell'impianto Cemex stesso, oppure di edifici già esistenti, nelle quali transitoriamente ospitare i rifiuti radioattivi trattati e condizionati per il loro progressivo trasferimento al deposito nazionale.
(4-18351)


      SCOTTO e BOSSA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          venticinque uffici sportelli della Marca Trevigiana rischiano nelle prossime settimane di dover abbassare le serrande o comunque limitarsi ad aprire solo in alcuni giorni;

          si tratta di quelli dei comuni di Borso del Grappa, Cavaso del Tomba, Cessalto, Chiarano, Cison di Valmarino, Follina, Fregona, Gorgo al Monticano, Mansuè, Maser, Miane, Monastier, Monfumo, Nervesa della Battaglia, Paderno del Grappa, Portobuffolè, Possagno, Revine Lago, Sarmede, Segusino, Tarzo, Valdobbiadene e Zenson di Piave, coinvolti dal piano di riorganizzazione di Poste Italiane;

          il contratto di programma 2015-2019 tra Poste Italiane e Ministero dello sviluppo economico, che ha introdotto la consegna a giorni alterni della corrispondenza e ha dato il via alla chiusura di numerosi uffici postali nei piccoli centri, rischia di privare molti comuni italiani del servizio postale e del servizio universale di corrispondenza su tutto il territorio nazionale (per il quale Poste Italiane incassa 262,4 milioni di euro l'anno di soldi pubblici);

          il piano di riorganizzazione, strutturato con il benestare del Governo, andrà a regime ad inizio 2018 e coinvolgerà circa 4.300 comuni, che potrebbero incorrere negli stessi problemi citati per l'area della provincia di Treviso;

          ciò contrasta con le norme dell'Unione europea che obbligano gli Stati membri ad assicurare la raccolta e la distribuzione degli invii postali al domicilio del destinatario come minimo cinque giorni lavorativi a settimana (e non 5 giorni ogni 2 settimane come previsto da Poste Italiane);

          sempre secondo la normativa comunitaria solo la presenza di circostanze o condizioni geografiche eccezionali rende ammissibile la fornitura per un numero inferiore di giorni, ma non è questo il caso (come in passato ammesso anche da Poste Italiane);

          va peraltro specificato come i comuni di Fregona, Revine Lago e Segusino siano riconosciuti da leggi regionali e nazionali come «comuni montani» ed in quanto tali, come affermato da recenti sentenze emesse dai T.a.r., non intaccabili dal piano di razionalizzazione di Poste Italiane –:

          come si intenda evitare, per quanto di competenza, che il piano di riorganizzazione di Poste Italiane leda il diritto al servizio postale della cittadinanza e le norme dell'Unione europea in materia;

          quali iniziative intenda assumere per evitare la chiusura dei succitati uffici sportelli e di tutti quelli che versano nella stessa situazione;

          se non ritenga di dover intervenire al fine da escludere, comunque, dal piano di riorganizzazione i comuni montani;

          quali iniziative intenda assumere per rendere la normativa italiana coerente con le indicazioni europee che prevedono la raccolta e la distribuzione degli invii postali al domicilio del destinatario almeno cinque giorni lavorativi a settimana.
(4-18365)


      RICCIATTI, EPIFANI, FERRARA, SIMONI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, NICCHI, MELILLA, QUARANTA, PIRAS, SCOTTO, SANNICANDRO, DURANTI, KRONBICHLER, FRANCO BORDO, FOLINO, CARLO GALLI, MURER, ALBINI e BOSSA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          secondo quanto riferisce la Fiom-Cgil i lavoratori della fabbrica ex Merloni, nemmeno dopo il via libera dato dai commissari al pagamento di alcune spettanze relative a tre mesi del 2008, avrebbero ancora ricevuto quanto loro dovuto: si tratta delle spettanze relative al periodo ottobre-dicembre 2008, delle ferie maturate e di una percentuale dei premi come quattordicesima e presenza;

          inoltre, per 200 lavoratori della ex Merloni, dal 13 ottobre 2017 è terminata la mobilità, mentre per gli oltre 300 lavoratori della JP Industries la cassa integrazione è scaduta il 23 settembre e gli stessi sono in attesa che il Governo mantenga gli impegni presi prolungando la cassa integrazione per tutto il 2018;

          si tratta di una situazione di grave disagio soprattutto per i lavoratori in stato avanzato di età che non possono usufruire della cosiddetta mobilità lunga –:

          quali iniziative di competenza si intendano intraprendere al fine di garantire un adeguato livello di protezione sociale ai lavoratori di cui in premessa, anche garantendo la liquidazione di quanto autorizzato dai commissari liquidatori.
(4-18367)


      PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          con l'interrogazione n. 4-18244 si era segnalata la vertenza che coinvolge la società Vapor Europe spa e, in particolare, il suo stabilimento di Sassuolo;

          a distanza di 16 giorni dall'avvio della procedura di licenziamento e quindi dall'inizio del presidio permanente dei lavoratori assistiti dalle organizzazioni sindacali, in data 3 novembre 2017 alcuni dirigenti della Vapor hanno tentato di forzare il blocco ai cancelli, chiedendo anche l'intervento delle forze dell'ordine;

          tale episodio finisce, ad avviso dell'interrogante, per essere una chiara e irresponsabile provocazione, dopo l'incontro in regione Emilia-Romagna del 26 ottobre 2017 e in attesa dell'apertura del previsto tavolo al Ministero dello sviluppo economico;

          ancor più inaccettabile appare l'appello che sarebbe stato indirizzato all'utilizzo della forza pubblica contro il picchetto dei lavoratori da parte degli stessi dirigenti;

          se lo Stato deve scegliere una parte in questa vertenza è infatti quella di chi si sta battendo in difesa del proprio posto di lavoro, contro una strategia di delocalizzazione e trasferimento all'estero di produzioni, conoscenze e portafoglio clienti –:

          se sia stato convocato il tavolo al Ministero dello sviluppo economico e per quale data, anche in considerazione della necessità di rispondere rapidamente a lavoratrici e lavoratori a rischio di licenziamento;

          quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire che non sia mai utilizzata la forza pubblica contro persone che difendono il diritto al lavoro.
(4-18370)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Fanucci n. 5-12563, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bini.

      L'interrogazione a risposta scritta Attaguile n. 4-18326, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pagano, Lo Monte.

Pubblicazione di testi riformulati.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Brignone n. 1-01734, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 873 del 18 ottobre 2017.

      La Camera,

          premesso che:

              la violenza sulle donne è un fenomeno trasversale, che colpisce tutte le età, anche quelle più giovani. Il contrasto e la prevenzione della violenza richiedono necessariamente un cambiamento culturale profondo che va costruito con il contributo di tutti: la cultura del rispetto e della parità tra gli uomini e le donne deve essere uno degli obiettivi fondamentali di ogni livello istituzionale;

              le violenze sulle donne sono un intollerabile attacco alla persona e alla libertà individuale, in violazione dei diritti umani delle donne come riconosciuto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cosiddetta Convenzione di Istanbul), ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77;

              la violenza contro le donne è costituita da «qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata», come ebbe già a definirla la «Dichiarazione Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne» del 1983;

              nonostante la Convenzione di Istanbul costituisca uno dei più recenti strumenti giuridicamente vincolanti per prevenire gli atti di violenza, proteggere le vittime e perseguire gli aggressori, la situazione relativa alle violenze sulle donne e ai femminicidi rimane grave sul piano fattuale, si pone la necessità di monitorare la sua concreta attuazione e che le istituzioni, pubbliche e private, adottino rapidamente e ad ogni livello tutte le misure utili a produrre risultati positivi e duraturi;

              il Senato della Repubblica nel gennaio 2017 ha istituito una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, che include tra i suoi ambiti di competenza anche l'indagine sulla concreta attuazione della Convenzione di Istanbul e l'accertamento del livello di attenzione e della capacità di intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni, centrali e periferiche, competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza alle vittime di violenza di genere;

              in attesa di potersi avvalere anche delle conclusioni dei lavori di questa Commissione, si rileva la gravità della situazione che è resa evidente dai numeri diffusi dall'Istat: 1 milione 150 mila donne hanno subito stupri o tentati stupri nel corso della vita, quasi 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica o sessuale, il 36 per cento delle donne che hanno subito violenza da partner ha avuto paura per la sua vita;

              i numeri di cui si dispone non consentono, tuttavia, di affermare come la situazione stia cambiando, come ricordato da Linda Laura Sabbadini, perché le indagini statistiche sono costose e in Italia quelle «di genere» non sono svolte ogni anno. Alle rilevazioni del 2006 e del 2014 ne seguirà un'altra solo nel 2019, nonostante già nel 1995 la Conferenza mondiale sulle donne di Pechino abbia dichiarato l'importanza degli studi statistici sulla condizione femminile;

              il bilancio dei primi mesi del 2017 in Italia è drammatico per il ripetersi quotidiano di fatti di cronaca di donne ammazzate, anche se gli ultimi dati del Viminale riferiscono che le denunce per stupro sono in diminuzione;

              la «forza» dei numeri di cui si dispone non è però in grado di rappresentare effettivamente la realtà in quanto la stragrande maggioranza delle donne continua a non denunciare le violenze subite;

              una grandissima parte di stupri non è denunciata, ad esempio, perché si consuma in famiglia, ad opera di mariti, ex mariti, compagni o ex compagni. Altrettanto sommerse rimangono le altre violenze che avvengono tra le mura domestiche (circa il 90 per cento del totale);

              tutelare le donne che non riescono a denunciare una violenza per paura o per vergogna deve divenire anche un obbligo istituzionale a fronte di un 56,3 per cento delle donne vittima di violenze che non trova un confidente cui rivolgersi anche per la mancanza di fiducia verso le istituzioni;

              i centri antiviolenza e le case rifugio sono nel nostro Paese, gli unici presidi a protezione e sostegno delle donne vittime della violenza maschile;

              in Italia, da Nord a Sud, sono presenti 160 strutture, a fronte di quasi 7 milioni di donne italiane che hanno subito violenza almeno una volta nella loro vita. La sproporzione è impressionante e nonostante si facciano carico quasi per intero degli interventi a supporto delle vittime, sopperendo alle mancanze delle istituzioni, quello che viene fatto è svolto in larga parte senza l'aiuto del Governo e di risorse pubbliche;

              numericamente insufficienti, privi di risorse umane e materiali rispetto all'entità del fenomeno, i centri anti-violenza non riescono a fare fronte a tutte le richieste di sostegno, soccorso e appoggio da parte delle vittime;

              i centri antiviolenza sono coinvolti nei tavoli istituzionali e agli incontri voluti dal Dipartimento Pari Opportunità in vista del nuovo Piano nazionale antiviolenza, ma sono sistematicamente messi da parte nella fase decisionale;

              i fondi, già insufficienti, sono spesso assegnati ad enti e associazioni che decidono di occuparsi di violenza all'ultimo minuto, spesso senza professionalità da spendere e progetti validi. La realtà racconta quanto manchi una visione che valorizzi il patrimonio rappresentato dai Centri antiviolenza;

              un aspetto della violenza che non viene quasi mai preso in considerazione dagli interventi pubblici sono i costi diretti della violenza che vengono sopportati dalle donne, a tacere di quelli pubblici e sociali. L'Istat nel 2015 ha calcolato che tra le vittime, una quota di poco inferiore al 15 per cento (14,3 per cento) ha dovuto sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, spese per farmaci (18,6 per cento), spese legali (12,3 per cento) e per danni a proprietà (5 per cento; molte donne si sono dovute assentare dal lavoro e hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane (rispettivamente 5,7 per cento e il 6,7 per cento), nella maggior parte dei casi per più di 10 giorni;

              un altro corno del problema è rappresentato dalle azioni che vanno adottate per cambiare il paradigma della cultura patriarcale e violenta, permettendo di uscire dalla logica degli interventi emergenziali, che spesso sono frutto di improvvisazione e poco efficaci, come quelli individuati dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, che usa la norma penale quale strumento privilegiato di protezione delle vittime percepite come soggetti deboli da tutelare;

              presso la VII commissione della Camera dei deputati, da oltre un anno e mezzo è in corso l'esame di una serie di proposte di legge abbinate che recano l'introduzione dell'educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione. Sarebbe assai auspicabile che tutte le forze politiche si adoperassero per portare a conclusione l’iter in questione molto rapidamente;

              le notizie di stupri, di donne morte ammazzate per mano di un uomo sono oggetto della cronaca quasi ogni giorno, ma le parole e le analisi che le accompagnano, sia nei media che da parte delle istituzioni, spesso costituiscono esse stesse un'ulteriore forma di violenza poiché le donne, i loro corpi e le loro sofferenze vengono sovente strumentalizzate in occasione di un evento tanto drammatico e doloroso;

              quando si parla della violenza di genere il corpo delle donne è presentato spesso come oggetto di conquista, visto con lo sguardo della cultura patriarcale che porta al conseguente gesto della violenza maschile e alle sue molteplici giustificazioni;

              quando a compiere la violenza è un migrante le donne diventano le «nostre donne» – proprietà dei «patri uomini» – da difendere contro l'invasione straniera. Se, invece, autore della violenza è un maschio italiano, a volte il messaggio che passa è che la violenza possa essere colpa delle donne, delle loro abitudini, nel fatto che credano nel principio dell'autodeterminazione, nell'autodifesa, nella libertà. Il corpo allora andrebbe coperto, circondato da una «corazza protettiva», secondo le parole del «manuale per le donne» di recente pubblicato da Il Messaggero. Oppure, come ripetuto sempre di recente da un rappresentante delle istituzioni, le donne dovrebbero tenere conto che il desiderio maschile è «istinto primordiale», quasi che, se lo dimenticassero, la responsabilità della violenza possa essere loro;

              l'omicidio di una ragazza di 16 anni, uccisa da un ragazzo di 17, ha svelato nella cronaca il comune tentativo di derubricare la violenza a fatto di gelosia e devianza e a occultare questioni ben più scomode, che porterebbero a interrogarsi sui modelli dell'identità maschile piuttosto che stilare vademecum antistupro;

              contrastare gli stereotipi e contribuire ad un cambiamento culturale a partire da un'informazione corretta e un uso consapevole del linguaggio, dovrebbe essere alla base di qualunque attività di formazione e aggiornamento dei giornalisti e di chiunque lavori nel campo dei media, nonché patrimonio di tutti e tutte coloro che operano nelle istituzioni;

              nonostante il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 prevedesse l'adozione di un Piano nazionale antiviolenza, che considerato il contesto normativo nel quale era inserito avrebbe dovuto essere adottato con urgenza, ci sono voluti ben due anni perché questo fosse approvato; il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, è stato infatti adottato dopo una lunga gestazione tra polemiche e dubbi sull'utilizzo dei fondi da parte delle Regioni;

              i contenuti di quel Piano sono stati contestati da associazioni di donne, centri antiviolenza, sindacato, che hanno espresso delusione e rabbia per un'occasione mancata. Il risultato è stato un Piano che appare non innovativo e per certi aspetti peggiorativo della situazione esistente; sarebbe opportuno – a distanza di due anni – produrre un'analisi degli effetti e dei risultati conseguiti da tale piano per non ripetere gli stessi errori;

              a distanza di due ulteriori anni, risulta ancora in gestazione il nuovo piano nazionale antiviolenza, che la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità a settembre 2017 ha annunciato essere in corso di definizione, e che sarà oggetto dell'approvazione finale da parte della Conferenza unificata e del Consiglio dei ministri insieme con la proposta di linee guida per le aziende sanitarie e ospedaliere per il soccorso e l'assistenza sociosanitaria alle donne vittime di violenza;

              mentre l'Italia, seguendo la logica emergenziale, continua a procedere molto lentamente, ignorando che le donne vittime della violenza maschile non possono aspettare, altri Paesi si dotano di piani complessi e molto articolati per tentare di risolvere alla radice il problema;

              è il caso, ad esempio, della Spagna, il cui Parlamento il 28 settembre 2017 ha adottato in via definitiva, all'esito di un iter parlamentare di soli sei mesi, un piano che include ben 213 azioni puntuali, che dovranno essere realizzate nella scuola, nell'informazione e nella pubblicità, nel Parlamento e nelle altre istituzioni, nella pubblica amministrazione e nelle forze armate, nell'assistenza alle vittime di violenza alle donne;

              per realizzare le azioni del piano nazionale spagnolo è stato stanziato un miliardo di euro in 5 anni, mentre – per fare un esempio – la legge di bilancio per il 2017 ha incrementato di soli 5 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, lo stanziamento destinato al finanziamento delle azioni per i centri antiviolenza e le case-rifugio, la cui dotazione ammontava a soli 10 milioni di euro annui, a cui sono stati aggiunti ulteriori 12 milioni di euro, a marzo 2016, mediante un bando per il potenziamento delle attività sopra citate. Si tratta di previsioni finanziarie obiettivamente incommensurabili;

              la disattenzione del Governo si è vista, secondo i presentatori del presente atto, anche nelle recenti iniziative normative, che consentono di considerare il reato di stalking fatto di lieve entità, come è accaduto nel recente procedimento svoltosi dinanzi al tribunale di Torino, nel quale uno stalker offriva 1550 euro di risarcimento alla vittima, che rifiutava, per estinguere il reato. Nonostante il rifiuto, il giudice decideva di «non doversi procedere» in quanto la proposta di risarcimento veniva considerata congrua e il reato era da considerarsi estinto,

impegna il Governo:

1) a dare piena applicazione alla Convenzione di Istanbul, quale strumento che punta a favorire l'autodeterminazione delle donne e a non considerarle soggetti deboli da tutelare;

2) a mettere in atto strategie e azioni strutturali ed integrate per affrontare il problema della violenza maschile sulle donne da un punto di vista educativo e culturale, assumendo come impegno prioritario quello di favorire, per quanto di competenza, un rapido iter delle proposte di legge in materia, con particolare riferimento a quelle in materia di educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione;

3) ad assumere iniziative volte a finanziare attività di formazione dei giornalisti e degli operatori dei media, all'interno di università e scuole di giornalismo, sul tema del contrasto della violenza di genere, favorendo l'utilizzo di un uso consapevole del linguaggio e un'informazione corretta;

4) ad assumere iniziative per rafforzare, con la massima urgenza, gli strumenti di tutela delle donne già vittime di violenza, garantendo la presenza capillare sul territorio dei centri antiviolenza e il numero delle case rifugio, destinando a tali strutture adeguate risorse economiche per conseguire almeno quanto indicato dal Consiglio d'Europa che raccomanda la presenza di un centro antiviolenza ogni 10.000 abitanti e un centro d'accoglienza ogni 50.000 abitanti (Raccomandazione Ue – Expert Meeting sulla violenza contro le donne – Finlandia 8-10 novembre 1999, sugli standard dei centri), prevedendo in particolare almeno 5700 posti letto (a fronte delle poche centinaia oggi esistenti);

5) a riconoscere i centri antiviolenza operanti sul territorio nazionale, innanzitutto attraverso una mappatura ufficiale, sostenendo una veloce conclusione delle ricerche in corso da parte dell'Istat e del Cnr e indicando chiaramente tali centri come strutture fondamentali del Nuovo piano nazionale antiviolenza;

6) a finanziare le statistiche di genere correlate al fenomeno della violenza maschile sulle donne, aumentandone il numero e la frequenza, quali strumenti indispensabili per l'elaborazione e l'attuazione di politiche efficaci;

7) ad assumere iniziative finalizzate a promuovere l'approvazione di una legge specifica contro la violenza di genere che preveda, oltre al potenziamento dei consultori, il riconoscimento del ruolo delle case delle donne maltrattate, dei centri antiviolenza e delle associazioni che svolgono sul territorio azioni di sostegno alle vittime, nonché l'incremento del Fondo che consenta di garantire continuità all'erogazione dei servizi;

8) ad assumere iniziative volte a garantire il rimborso da parte dello Stato – in forma di indennizzo o di risarcimento – di tutti i costi diretti della violenza che vengono sopportati dalle donne;

9) a estendere e finanziare i centri di ascolto per uomini maltrattanti (Cam), autori di comportamenti violenti, con l'obiettivo di incoraggiarli a riflettere sul comportamento nelle relazioni affettive e aiutarli a uscire dalla situazione di violenza perpetrata ai danni delle donne;

10) ad assumere iniziative normative al fine di escludere che, con riferimento al reato di stalking, possa in alcun modo trovare applicazione l'istituto dell'estinzione del reato per condotte riparatorie, previsto dall'articolo 162-ter del codice penale;

11) ad assumere iniziative per stanziare una congrua e specifica provvista finanziaria, che incrementi le ridotte risorse previste, da impegnare per tutti gli interventi contro la violenza maschile sulle donne;

12) a mettere in campo strumenti d'intervento volti a contrastare ogni tipo di abuso e molestia, sia essa psicologica che fisica, nei confronti delle donne appartenenti al mondo dello spettacolo ove siano previste forme di finanziamento pubblico, nonché forme di tutela delle donne che denunciano gli atti a sfondo sessuale perpetrati nei loro confronti.
(1-01734) (Nuova formulazione) «Brignone, Pannarale, Costantino, Gregori, Pellegrino, Marcon, Civati, Fratoianni, Andrea Maestri, Pastorino, Palazzotto, Airaudo».

      Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Fraccaro n. 5-12575, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 879 del 26 ottobre 2017.

      FRACCARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          la società Sait-Consorzio delle cooperative di consumo trentine, con sede legale e stabilimento a Trento, a seguito di congiuntura economico-finanziaria negativa, ha pianificato un progetto di razionalizzazione aziendale, attraverso misure di contenimento che hanno portato alla riduzione dei costi del personale, culminato nel mese di aprile 2017 con la sospensione a zero ore per 389 lavoratori ad oggi applicata a 83 lavoratori;

          la società in parola, con il verbale di consultazione sindacale (ex articolo 24 del decreto legislativo n. 148 del 2015), siglato in data 21 marzo 2017, si era impegnata a salvaguardare i lavoratori in esubero, attraverso una serie di misure, tra cui l'eventuale richiamo formale da parte del datore di lavoro dell'azienda, la ricollocazione degli stessi a scopo formativo e di riqualificazione professionale, la frequentazione di corsi di formazione/riqualificazione, la diversa ricollocazione esterna post licenziamento;

          Sait ha aperto in data 6 ottobre 2017 una procedura di licenziamento collettivo di 116 lavoratori;

          risulta all'interrogante che la Sait avrebbe già da qualche anno esternalizzato parti di lavori di movimentazione merci alla cooperativa Movitrento, con cui avrebbe stipulato un contratto di esternalizzazione ancor prima dell'avvio della sospensione e del collocamento in cassa integrazione guadagni straordinaria dei dipendenti;

          risulterebbe infatti alla Filcams-Cigl del Trentino che Movitrento, oltre ad occuparsi di movimentazione merci nel magazzino ortofrutta, si occupi anche dello scarico di merci presso il magazzino «generi vari e di pulizie» e dell'organizzazione del magazzino «Salumi e latticini» (attività affidate precedentemente al personale della Sait sospeso e in cassa integrazione guadagni straordinaria), nonché del servizio di navetta tra i magazzini «salumi e latticini» e «ortofrutta»;

          Filcams ritiene che se la predetta situazione trovasse conferma, sarebbe in contrasto con le norme relative alla Cassa integrazione guadagni straordinaria. Per verificare lo stato dell'arte, vista l'assenza di risposta a tre richieste di chiarimento, l'organizzazione sindacale ha richiesto a fine agosto un intervento ispettivo dell'Ufficio del Lavoro. A tal riguardo, non è noto se tale richiesta abbia avuto seguito e quali siano gli esiti dell'eventuale verifica;

          va considerato che la situazione si sta aggravando, che appare indispensabile fare piena chiarezza sulle ipotesi di sostituzione di lavoratori in cassa integrazione e che il risparmio o la contrazione dei costi da parte di una qualunque azienda non possono essere un «alibi» destinato a procurare un incremento di profitto, bensì deve corrispondere a un mutamento nell'organizzazione tecnico-produttiva oggettivo e non strumentale a espellere personale a vario titolo non gradito –:

          quali urgenti iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per favorire un riassorbimento o un ricollocamento dei lavoratori licenziati e l'applicazione delle misure di salvaguardia per i lavoratori della società Sait, che in base alle clausole contenute nel verbale di consultazione sindacale citato in premessa, potrebbero essere ricollocati anche a scopo formativo o di riqualificazione professionale;

          se i Ministri interrogati non intendano adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a verificare i presupposti e la trasparenza della procedura di licenziamento collettivo del personale dipendente avviata dalla Sait.
(5-12575)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

          interpellanza Chiarelli n. 2-00426 del 27 febbraio 2014;

          interpellanza Chiarelli n. 2-01334 del 6 aprile 2016;

          interpellanza Chiarelli n. 2-01495 del 6 ottobre 2016;

          interpellanza Catalano n. 2-01985 del 23 ottobre 2017;

          interrogazione a risposta scritta Busto n. 4-18287 del 25 ottobre 2017.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:

          interrogazione a risposta scritta Massimiliano Bernini e altri n. 4-15564 del 14 febbraio 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03335;

          interrogazione a risposta scritta Terzoni n. 4-16107 del 30 marzo 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03337;

          interrogazione a risposta orale Ribaudo n. 3-03150 del 10 luglio 2017 in interrogazione a risposta scritta n. 4-18337.