Camera dei deputati

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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (I Camera e 1a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 22 maggio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro per le riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello, sulle linee programmatiche (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 
Quagliariello Gaetano , Ministro per le riforme costituzionali ... 3 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 10 
La Russa Ignazio (FdI)  ... 10 
Fiano Emanuele (PD)  ... 12 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 13 
Morra Nicola  ... 13 
La Russa Ignazio (FdI)  ... 14 
Morra Nicola  ... 14 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14 
Gelmini Mariastella (PdL)  ... 14 
Balduzzi Renato (SCPI)  ... 15 
Migliore Gennaro (SEL)  ... 16 
Palermo Francesco  ... 18 
Romano Francesco Saverio (PdL)  ... 18 
Lo Moro Doris  ... 20 
Maran Alessandro  ... 20 
Bressa Gianclaudio (PD)  ... 21 
Gitti Gregorio (SCPI)  ... 22 
Pagliari Giorgio  ... 23 
Bindi Rosy (PD)  ... 24 
Ravetto Laura (PdL)  ... 25 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA I COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO PAOLO SISTO

  La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per le riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello, sulle linee programmatiche.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del Ministro per le riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello, sulle linee programmatiche.
  Ricordo che l'articolo 143, comma 2, del Regolamento prevede l'intervento dei ministri relativamente a chiarimenti su questioni di amministrazione e di politica in rapporto alla materia di loro singola competenza.
  Devo ringraziare innanzitutto la Presidente della 1 Commissione del Senato, Anna Finocchiaro, e il Ministro Gaetano Quagliariello, per la loro presenza. Ringrazio anche tutti i parlamentari presenti.
  Inoltre, non posso esimermi dal ringraziare, per la prestigiosa eredità che mi ha lasciato, il Presidente Donato Bruno, che è qui presente, e che ovviamente non posso che ritenere un punto di riferimento per gestire i lavori con la sua misura, anche se non raggiungerò la sua autorevolezza (Applausi).
  Do la parola al Ministro Quagliariello per illustrare la sua relazione.

  GAETANO QUAGLIARIELLO, Ministro per le riforme costituzionali. Grazie Presidente. È il primo incontro che ho in qualità di Ministro con le Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato. Sulle linee programmatiche, nonostante sia di solito preferibile la forma più diretta di un testo non letto, in questo caso la necessità di precisione mi ha consigliato di scrivere una relazione, che ho consegnato alla Presidenza. Ho diviso questo testo in tre parti.
  L'esposizione sarà un po’ lunga, ma spero di contenerla in trenta minuti. Oltre ad alcune premesse e alle linee programmatiche, vorrei soffermarmi sui problemi di metodo legati alle riforme, che maggiormente hanno interessato il dibattito politico e giornalistico in questi ultimi giorni. Le cose da dire sulle linee generali non sono poche. Ovviamente sono disponibile per qualsiasi chiarimento e approfondimento successivo.
  Parto dall'illustrazione delle premesse politiche. Il tema delle riforme costituzionali accompagna il dibattito politico italiano da oltre trent'anni. Da allora innumerevoli sono state le iniziative, le proposte e i tentativi di modernizzare la nostra democrazia. I risultati raggiunti, tuttavia, sono stati inferiori alle aspettative. Ci sono state alcune riforme settoriali, talvolta anche importanti (penso a quella dell'articolo 81 della Costituzione); la riforma del Titolo V, organica ma dall'esito contraddittorio; qualche piccolo aggiustamento e Pag. 4alcune limitate riforme regolamentari, che hanno però mantenuto sostanzialmente inalterato l'impianto del sistema.
  Ciononostante, il nostro assetto politico-istituzionale è cambiato profondamente. In primo luogo perché è mutata la domanda politica che viene dalla società: le identità novecentesche si sono sfarinate, le dinamiche sociali si sono velocizzate, l'internazionalizzazione ha rivoluzionato il ruolo dei pubblici poteri nel governo dei processi economici. Ma, a fronte di questi potenti fattori di cambiamento – se ne potrebbero aggiungere anche altri – l'onere dell'adeguamento del sistema è stato quasi interamente caricato sulle spalle delle riforme elettorali che si sono succedute nel tempo.
  La legge elettorale, sia chiaro, ha un peso non secondario nell'orientamento della configurazione istituzionale. Ma per essere realmente efficace deve essere inserita in un coerente contesto di norme costituzionali e regolamentari. Viceversa, è stata proprio la scelta di affidarsi completamente alle sole virtù salvifiche del sistema elettorale la causa prima delle difficoltà e delle inefficienze che sono sotto gli occhi di tutti. Del resto, si tratta di un errore – o, se volete, di una peculiarità – con il quale il nostro Paese fa i conti ormai da un secolo.
  Il tema del cambiamento istituzionale è dunque uno snodo ineludibile ed una priorità sia per il Governo sia per il Parlamento. Ciò è vero per molte ragioni, fra le quali, in questo momento di crisi, mi preme sottolineare il valore anche economico rappresentato da istituzioni che funzionano. Vi è un'ampia letteratura internazionale a dimostrare che l'architettura dello Stato non è un trastullo per politologi o costituzionalisti: al contrario, l'efficienza istituzionale è una variabile fondamentale per la competitività del sistema economico, e quindi per la sua capacità di affrontare la recessione in atto e le pesanti ricadute sociali ad essa connesse.
  Paradossalmente, il costo di istituzioni inefficienti può essere assorbito nelle fasi espansive del ciclo economico, ma diventa insopportabile proprio nelle fasi recessive. L'Italia ha pagato questo costo in misura crescente negli ultimi trent'anni. A differenza delle altre grandi democrazie dell'Occidente, da tempo interessate da processi di riforma, all'appuntamento con la competizione globale il nostro Paese si è trovato sprovvisto di strumenti adeguati alla portata delle decisioni da assumere. Fino alla situazione di stallo, che avrebbe potuto divenire di autentica paralisi, determinata da una crisi del sistema politico divenuto di fatto tripolare, e da una sorta di default del sistema istituzionale, gravato non solo dalla debolezza strutturale del potere esecutivo, ma anche da un bicameralismo paritario ormai unico al mondo e da una legge elettorale concepita per un quadro bipolare, con coalizioni che raggiungevano ciascuna quasi la metà dei consensi elettorali.
  L'eccezionalità della situazione è testimoniata dal fatto che per superare lo stallo si è dovuto ricorrere alla inedita rielezione del Presidente della Repubblica uscente, opzione che il dettato costituzionale – come sottolineato dallo stesso Presidente Napolitano – aveva riservato a tempi fuori dall'ordinario.
  Non a caso, all'atto del giuramento, il Capo dello Stato ha incentrato il suo messaggio sulle riforme non realizzate, fino all'estremo ammonimento, che ritengo doveroso ricordare: «Se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese. Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana».
  Del resto, tale consapevolezza è una delle «ragioni» costituenti dello stesso Governo, come dimostrato non solo dalla scelta di nominare un ministro per le riforme costituzionali, ma anche e soprattutto dal carattere «condizionante» delle riforme rispetto all'intero mandato dell'Esecutivo, solennemente sancito dal Presidente del Consiglio Enrico Letta, che nel Pag. 5chiedere la fiducia in Parlamento ha affermato: «Dal momento che questa volta l'unico sbocco possibile su questo tema è il successo nell'approvazione delle riforme che il Paese aspetta da troppo tempo, fra diciotto mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrà una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l'ennesima volta, non avrei esitazioni a trarne immediatamente le conseguenze».
  Perché dalle astratte declamazioni si possa giungere a risultati concreti, bisogna tuttavia guardarsi da due pericoli speculari: il conservatorismo costituzionale e l'accanimento modellistico.
  Il conservatorismo costituzionale, sulla scorta dell'idea che la nostra sia la Costituzione più bella del mondo, induce a rifiutare qualunque intervento su di essa che non sia di mera manutenzione. Ogni disegno di riforma viene bollato come attentato alla democrazia e come sintomo di una deriva autoritaria. In realtà, non è oggi in discussione il valore della Costituzione italiana; nessuno immagina di lavorare per adottarne una nuova e diversa; nessuno ne mette in discussione i principi fondamentali o la prima parte relativa ai diritti e doveri dei cittadini. La Carta del 1947 rappresenta storicamente un nobilissimo compromesso che ha reso possibile quello che chiamiamo «miracolo costituente». Oggi si tratta solo di verificare se la Parte seconda sull'ordinamento della Repubblica sia adeguata ai tempi o viceversa richieda un profondo ripensamento, soprattutto nei tre capitoli cruciali relativi alla forma di Stato, alla forma di governo e al bicameralismo, che i padri costituenti, nelle temperie della guerra fredda appena iniziata, affidarono alle generazioni successive.
  Il secondo pericolo da schivare è quello dell'accanimento modellistico. Tante discussioni senza risultati concreti hanno infatti confinato il tema delle riforme nella categoria delle dispute teoriche e accademiche, nella quale ognuno è portato a sostenere con rigore inflessibile la superiorità del proprio modello rispetto a tutti gli altri. Ma un approccio simile, per certi versi fisiologico in un ambito accademico o speculativo, se trasferito nella concreta dinamica politica non è solo sbagliato: è anche pericoloso, perché rappresenta il miglior modo per non concludere nulla. Lavorare sul tema delle riforme non vuol dire disegnare il modello costituzionale astrattamente ideale da calare dall'alto sul sistema sociale e politico. La Carta fondamentale di un Paese non è un bellissimo e solenne documento consegnatoci dalla storia. Le Costituzioni sono materia viva e vitale, che evolve continuamente e che, proprio per salvaguardare l'originario spirito costituente, in alcune fasi storiche richiede di adattare ai mutamenti intervenuti le regole che governano il funzionamento della nostra democrazia.
  È sulla base di questa premessa che passo alla seconda parte della relazione: il merito delle riforme.
  Il tema delle riforme istituzionali, come è naturale, abbraccia numerosi aspetti. Anche se si tratta di profili tutti meritevoli di attenzione, credo che in prima battuta sia opportuno focalizzare alcuni nodi che, se adeguatamente risolti, potrebbero preludere a un organico intervento di riforma.
  Naturalmente, il pilastro fondamentale del disegno riformatore è quello della forma di governo. L'obiettivo è un assetto che garantisca la formazione di esecutivi stabili, sorretti da maggioranze certe e durature, e in grado di assumere le decisioni necessarie per incidere con efficacia e risolutezza sul tessuto socio-economico del Paese, traghettandolo verso l'auspicata modernizzazione.
  A tale riguardo abbiamo di fronte due strade: la forma di governo parlamentare razionalizzata e quello che viene definito il semipresidenzialismo secondo il modello francese. Si tratta certamente di due forme di governo democratiche, ciascuna delle quali, con i necessari contrappesi istituzionali, può assicurare governabilità, equilibrio tra i poteri e garanzia per i Pag. 6diritti dei cittadini. La scelta fra le due opzioni è naturalmente delicata ma credo che non debba essere esasperata, perché si tratta in entrambi i casi di modelli che possono raggiungere risultati eccellenti. Piuttosto, tale scelta deve essere il frutto non tanto di una preferenza astratta e teorica, quanto di un'analisi puntuale e concreta del contesto storico, sociale e politico nel quale il nuovo modello andrà a calarsi. Grande attenzione va attribuita, ad esempio, all'evoluzione del sistema partitico italiano negli ultimi decenni, ai fenomeni sempre più marcati di scollamento fra politica e opinione pubblica, al contesto europeo che richiede un'accresciuta capacità di negoziazione.
  Tali elementi inducono a valutare se nell'attuale fase storica non sia preferibile adottare un sistema che, grazie all'elezione diretta del Presidente della Repubblica e all'introduzione di adeguati contrappesi istituzionali, sia più idoneo a restituire legittimazione e capacità decisionale alle istituzioni, elevando al contempo il grado di trasparenza e di accountability del potere.
  Qualora invece dovesse essere confermata la scelta in favore della forma di governo parlamentare, bisognerà naturalmente razionalizzare il sistema per garantirgli un adeguato grado di efficienza, evitando quelle degenerazioni del parlamentarismo che abbiamo sperimentato negli ultimi decenni e che erano già oggetto delle preoccupazioni dei padri costituenti, come testimonia il famoso quanto disatteso ordine del giorno Perassi approvato nel lontano 1946. In questa prospettiva occorrerà valutare interventi sul procedimento di concessione della fiducia parlamentare, sulla nomina e revoca dei ministri, sul potere di scioglimento delle Camere, sulle prerogative del Governo in Parlamento.
  Strettamente legata alla forma di governo è la questione della riforma della legge elettorale. La legge elettorale è uno strumento – decisivo, ma pur sempre uno strumento – che serve a rendere coerente ed efficace il modello istituzionale prescelto. Non avrebbe dunque alcun senso compiere oggi un'opzione stabile e definitiva in favore di questo o quel sistema di voto, senza sapere se la meta del percorso riformatore sarà Parigi, Londra o Berlino.
  Ciò, naturalmente, non esclude affatto la possibilità di interventi immediati e mirati sulla legge elettorale vigente, per eliminarne i difetti più evidenti, a più riprese segnalati dalla Corte costituzionale e dallo stesso Presidente della Repubblica. Del resto, l'iniziativa assunta dalla Corte di cassazione rende il tema non più rinviabile. Non sarebbe in alcun modo auspicabile che la scelta di proseguire la legislatura derivasse non dal perdurare dell'accordo che sostiene l'attuale Governo, ma dall'impossibilità di celebrare nuove elezioni per l'inidoneità del sistema di voto. Pertanto, ritengo che in questa prima fase sia necessario un intervento di «salvaguardia».
  A questo proposito, informo le Commissioni che stamattina c’è stato un primo confronto. Ovviamente, lo dico senza ipocrisie, il significato di «intervento di salvaguardia» è inteso in maniera diversa dalle differenti forze politiche, anche quelle che sostengono il Governo. Ciononostante, c’è stato un primo confronto che mira ad arrivare ad una soluzione che possa portare a varare prima della pausa estiva un provvedimento che metta in sicurezza l'attuale normativa; anzi, per essere più precisi, che renda certamente costituzionale il sistema vigente – sterilizzando, in questo modo, il problema immediato della legge elettorale – e che agevoli il percorso complessivo di riforma istituzionale, all'interno del quale anche il tema della legge elettorale troverà poi una compiuta definizione.
  Altro tema centrale è il superamento del bicameralismo paritario e simmetrico, una delle cause di malfunzionamento del nostro sistema istituzionale. La soluzione sulla quale si registra un ampio consenso è quella di una sola Camera politica che esprima la fiducia al Governo, e di una seconda Camera rappresentativa delle autonomie (Senato delle regioni e delle autonomie). La Camera dei deputati, eletta a suffragio universale diretto, diverrebbe Pag. 7così titolare dell'indirizzo politico, avrebbe competenza esclusiva sul rapporto fiduciario, ed esprimerebbe il voto definitivo sui disegni di legge. Il Senato sarebbe costituito da tutti i presidenti di Regione e dai rappresentanti delle Regioni e dei Comuni, eletti da ciascun consiglio in misura proporzionale al numero degli abitanti. Nel nuovo quadro il Senato, oltre ad assorbire le competenze del sistema delle Conferenze, parteciperebbe attivamente al procedimento legislativo.
  Ulteriore questione ampiamente condivisa è la riduzione del numero dei parlamentari. Il problema si pone autonomamente, ma, come è ovvio, dovrà trovare una soluzione coerente con la riforma del nostro assetto bicamerale. A mio avviso, l'obiettivo deve essere quello di un allineamento agli standard europei nel rapporto parlamentari-elettori, operando una forte riduzione del numero degli attuali deputati e degli attuali senatori che andranno a comporre la nuova Camera politica.
  In questo contesto, di grande importanza sarebbe anche una rivisitazione dei Regolamenti parlamentari – una materia che il Governo seguirà da lontano, per rispetto dell'assoluta autonomia che le Camere hanno in questo ambito – per migliorare il lavoro delle Camere e in particolare snellire l'iter di approvazione delle leggi. Nel momento in cui saranno messi a disposizione del Governo strumenti idonei a realizzare con efficacia e tempestività il proprio programma, tra l'altro, potrà concretizzarsi l'intenzione manifestata dal Presidente del Consiglio di porre un limite all'abuso della decretazione d'urgenza e al ricorso sistematico alla questione di fiducia su maxi emendamenti, che negli ultimi decenni hanno logorato il rapporto tra potere legislativo e potere esecutivo, e inciso negativamente sulla stessa qualità della produzione normativa.
  Veniamo dunque a prendere in esame gli istituti di democrazia diretta, da rivedere al fine di favorire una più intensa e più responsabile partecipazione dei cittadini alla vita politica della nazione. Penso, ad esempio, all'obbligatorietà del referendum confermativo sulle leggi di revisione costituzionale. Penso anche alla revisione della legge sul referendum abrogativo, per adeguare all'aumento della popolazione il numero di sottoscrizioni richieste; definire con maggior precisione i requisiti di ammissibilità e anticiparne il giudizio; modificare la disciplina del quorum di validità del risultato sulla base della percentuale dei votanti; formalizzare il divieto, per un periodo determinato, di ripristino della norma abrogata. Interventi ulteriori potranno riguardare le proposte di legge di iniziativa popolare e, su un piano differente, la disciplina che regola il dibattito pubblico sui grandi interventi infrastrutturali, sul modello adottato in altri Paesi europei.
  E ancora. È quasi unanime opinione che l'attuale «policentrismo» caotico debba essere superato attraverso la revisione delle ripartizioni delle competenze legislative tra Stato e regioni, come individuate oggi nel Titolo V della Costituzione. Diverse sono le opzioni sul tappeto. In ogni caso, appare indifferibile un riordino dei criteri di riparto delle competenze fra i diversi livelli di governo, che ponga fine all'eccessiva frammentazione che oggi rappresenta un fattore di grave complicazione istituzionale e molto spesso anche di spesa incontrollata. Allo stesso tempo, occorre restituire allo Stato quella essenziale funzione di coordinamento finalizzata da un lato a garantire i diritti fondamentali sul territorio nazionale, e dall'altro a promuovere i migliori modelli organizzativi recuperando le situazioni di inefficienza. Un equilibrato sistema di governo multilivello deve essere in grado di coniugare i principi di responsabilità e di solidarietà.
  Infine – concludo su questo capitolo – andranno portati a compimento anche interventi relativi alle istituzioni locali (parlo del problema delle province, rimasto bloccato, del governo comunque necessario delle aree vaste; della questione della dimensione ottimale di Regioni e comuni) e gli interventi relativi alla riforma della finanza locale e regionale avviata con il federalismo fiscale.Pag. 8
  Veniamo ora ai costi e al funzionamento della democrazia. L'esigenza di un rafforzamento complessivo dell'etica pubblica e di un recupero della fiducia dei cittadini nelle istituzioni impone una rivisitazione dei costi della politica e in particolare dei suoi meccanismi di finanziamento, secondo canoni di sobrietà e trasparenza che peraltro si coniugano bene con il processo in atto di contenimento della spesa pubblica. Tale consapevolezza, naturalmente, non può in alcun modo oscurare un altro dato incontestabile, sul quale, personalmente, non vorrei utilizzare ipocrisie: la democrazia ha un costo, che per una sua parte incomprimibile non può essere disconosciuto. Se dunque da un lato deve essere abrogata l'attuale legge sul finanziamento ai partiti, dall'altro è necessario definire nuovi meccanismi che rendano tale costo sostenibile.
  Diversi sono gli interventi possibili. Occorre, ad esempio, ricondurre i rimborsi elettorali alla loro reale funzione: non finanziamento elettorale mascherato, ma rimborso effettivo commisurato nei tempi e nelle misure alle spese sostenute e documentate per le campagne elettorali. Quanto invece alle necessità strutturali dei partiti, si impongono interventi fiscali e di semplificazione che incentivino la partecipazione diretta dei cittadini al finanziamento della politica. Infine, a me appare opportuno che lo Stato sostituisca l'erogazione diretta di denaro con la fornitura di servizi in ogni caso in cui ciò sia possibile.
  Il vero rischio da scongiurare, insomma, è quello di un cattivo finanziamento. Oltre al dato quantitativo, altrettanto importante è la questione dei criteri e delle modalità per l'utilizzo delle risorse. La completa assenza di regole in proposito ha reso possibile, e in qualche modo favorito, il diffondersi di gestioni opache e a volte «autoreferenziali». Accanto agli interventi sul versante del finanziamento, ritengo dunque opportuno che il Parlamento affronti il tema dello statuto dei partiti politici, in attuazione dell'articolo 49 della Costituzione.
  La rilegittimazione dei partiti politici come strumento a disposizione dei cittadini per partecipare alla vita politica del Paese passa, infatti, anche attraverso un aumento della trasparenza della loro vita interna, che ne garantisca un orientamento verso il bene comune e la responsabilità nazionale. Nessun sistema di finanziamento della politica può essere efficace nell'assicurare al contempo uguaglianza e trasparenza nella competizione, se lo stesso non è strutturalmente connesso a un sistema di regole che garantisca la democraticità dei partiti politici. Naturalmente – questa è la mia opinione – qualunque intervento in materia dovrà scrupolosamente farsi carico di trovare un punto di equilibrio fra il principio di libertà di associazione politica, fondamento di ogni democrazia, e le altrettanto importanti esigenze di legalità e trasparenza. In questo senso – è sempre un'opinione a titolo personale – ritengo che in nessun modo una disciplina dello statuto dei partiti politici possa diventare elemento condizionante la possibilità di movimenti e associazioni di partecipare alle competizioni elettorali.
  Concludo questa panoramica essenziale segnalando la necessità di una regolamentazione dell'attività di lobbying, in grado di evitare ingiuste demonizzazioni ma anche di scongiurare che l'attività dei gruppi di pressione possa indebitamente inquinare la vita democratica e alterare la concorrenza.
  Infine, vorrei dire alcune parole sul metodo della riforma, che spero siano chiare quanto quelle sul merito. Infatti, accanto alle questioni sostanziali, oggi assume un carattere dirimente e sostanziale la definizione di una procedura per le riforme, che renda il percorso allo stesso tempo più fluido e più solido. Su questo punto nelle ultime settimane si è concentrata l'attenzione dell'opinione pubblica, grazie anche al contributo di autorevoli commentatori.
  Al riguardo occorre grande chiarezza. La definizione di un metodo efficace per le riforme istituzionali è sicuramente importante. Se finora i tentativi di revisione organica del sistema non sono andati a Pag. 9buon fine, una parte di responsabilità – ma solo una parte – è da rintracciare nelle procedure seguite: in alcuni casi esse non sono state in grado di garantire la necessaria efficacia del circuito decisionale; in altri non sono riuscite a impedire che le tensioni politiche quotidiane interferissero con il processo fino a bloccarlo, né hanno favorito la necessaria convergenza delle forze politiche e dell'opinione pubblica.
  Fatta questa doverosa premessa, mi preme dire che comunque, al di là della definizione di un metodo efficace, il vero terreno sul quale si misurerà la capacità riformatrice del Parlamento e del Governo è l'individuazione di soluzioni di merito condivise e adeguate alle sfide che abbiamo di fronte. Il rischio che vedo in alcune delle polemiche di questi giorni, infatti, è che le obiezioni avanzate rispetto alla definizione di un metodo speciale di approvazione delle riforme costituzionali, alcune assolutamente fondate, altre francamente strumentali, nascondano una malcelata idea che sia meglio non riformare nulla. Ma questa strategia di dissimulazione dei più profondi istinti conservatori deve essere smascherata. Se qualcuno ritiene che l'assetto costituzionale disegnato nel 1947 sia perfettamente adeguato all'Italia di oggi, lo dica chiaramente e si apra un confronto pubblico sul punto.
  In questa prospettiva, le indicazioni contenute nella relazione del gruppo di lavoro sulle riforme, istituito dal Presidente della Repubblica rappresentano un contributo per tentare di definire un percorso che ponga la revisione costituzionale, per quanto possibile, al riparo dalle tensioni politiche contingenti. In particolare, la relazione sottende tre ordini di obiettivi che ritengo sia comunque necessario considerare adeguatamente.
  In primo luogo, la relazione pone l'obiettivo di coinvolgere soggetti esterni al Parlamento, legati al mondo accademico e ad altri ambiti istituzionali e sociali, nell'opera di attenta valutazione ed elaborazione dei progetti di riforma.
  In secondo luogo, pone l'obiettivo di definire un iter procedurale che consenta di impostare da subito e contestualmente un lavoro comune dei due rami del Parlamento su base paritaria, in grado di allargare le basi del consenso e sciogliere i principali nodi politici prima che essi emergano compromettendo, come accaduto in passato, il compimento del processo di riforma.
  In terzo luogo, il metodo prospettato è volto a potenziare significativamente la partecipazione democratica. Si prevede infatti l'attivazione di una procedura referendaria, da articolare in base ad ambiti di materia omogenei, per confermare il consenso popolare sulle leggi di revisione costituzionale anche qualora esse fossero approvate con la maggioranza dei due terzi.
  Sulla base di queste premesse, la relazione ipotizzava l'istituzione di una Commissione redigente mista, costituita su base proporzionale da parlamentari e non parlamentari. La proposta ha attirato l'attenzione di molti commentatori, che hanno sollevato perplessità di carattere giuridico e procedurale, molte delle quali ho condiviso.
  Quanto alle prime, sono state evidenziate le criticità connesse al ruolo che rivestirebbero nel processo di revisione costituzionale soggetti estranei al Parlamento, che, pur privi di legittimazione democratica non provenendo dalla fonte della sovranità popolare, sarebbero stati dotati di poteri legislativi (di iniziativa e deliberazione) al pari dei componenti parlamentari della Commissione.
  Sul piano procedurale, è stata invece rilevata la questione delle competenze da assegnare eventualmente alla Commissione, nelle more dell'approvazione della legge costituzionale che ne sancirebbe la formale istituzione, e delle possibili sovrapposizioni e interferenze che potrebbero determinarsi tra l'organismo e le Commissioni affari costituzionali dei due rami del Parlamento. Per dirla in maniera più prosaica, un così ampio intervento avrebbe avuto comunque bisogno della copertura di una legge costituzionale, il che avrebbe destinato questa Commissione a fare lavoro istruttorio fino a quando il Pag. 10processo di approvazione delle norma costituzionale non si fosse perfezionato. Quindi, invece di guadagnare tempo, in questo caso se ne sarebbe perso.
  Taluni hanno anche segnalato un'asserita compressione delle prerogative parlamentari che deriverebbe dall'adozione di modalità di esame in sede redigente.
  Si tratta di profili di indubbia complessità e delicatezza, che per alcuni aspetti appaiono fondati, e che dovranno essere adeguatamente esaminati in sede parlamentare. Ciò al fine di definire un iter che da un lato sia nella sostanza rispettoso dei principi che governano il processo di revisione di una Costituzione democratica, e dall'altro, per quanto possibile, soddisfi le esigenze cui prima facevo riferimento.
  Fine ultimo di tale esplorazione è individuare un percorso che, oltre a favorire il raggiungimento di una larga intesa fra le forze politiche presenti in Parlamento, sappia assicurare un pieno esercizio della libera sovranità del popolo, combinando assieme, e valorizzandole, le componenti della democrazia rappresentativa, della democrazia diretta e della partecipazione popolare, coinvolgendo nel processo di riforma le migliori energie e risorse politiche, istituzionali, sociali e culturali del Paese.
  Il futuro della nostra democrazia riguarda tutti. In questo senso, ritengo sarebbe opportuno attivare una grande procedura pubblica di consultazione, finalizzata a valutare spunti e riflessioni sulle materie in discussione. Tutto ciò, ovviamente, dovrebbe avvenire attraverso una procedura rigorosa, già sperimentata dai Ministri Brunetta, Barca e Profumo.
  Per garantire il «controllo democratico» sul processo riformatore, infine, si può prevedere – e io credo sia opportuno – che in ogni caso la legge o le diverse leggi di revisione costituzionale approvate dal Parlamento vengano sottoposte a uno o più referendum confermativi popolari, con quesiti distinti per materie omogenee, a prescindere dalla maggioranza ottenuta in sede parlamentare.
  All'esito di tale approfondimento, dovrà essere delineato un percorso delle riforme in grado di superare le difficoltà tecniche e le obiezioni politiche, e di produrre finalmente il risultato che tutti auspichiamo. L'unica cosa che il Governo non è disponibile a fare – e mi auguro non lo sia nemmeno il Parlamento – «è cincischiare» sulle questioni di metodo per arrestare il cambiamento, come siamo già stati accusati di fare da qualche commentatore.
  Mi avvio a concludere. Il percorso che il Parlamento e le forze politiche in esso rappresentate hanno davanti si presenta inevitabilmente complesso e non privo di ostacoli. Conforta tuttavia sapere che è diffusa la consapevolezza di come un fallimento questa volta non gioverebbe a nessuna delle forze parlamentari, ma avrebbe l'unico effetto di screditare l'intera classe politica, senza distinzione tra maggioranza e opposizione. Se terremo tutto ciò ben presente, credo che il lavoro che ci attende nei prossimi mesi potrà essere utile non per aggiungere un ennesimo capitolo al libro sui tentativi di riforma costituzionale nel nostro Paese, ma per garantire finalmente ai cittadini italiani un assetto istituzionale più efficiente, più moderno, e soprattutto più democratico. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Quagliariello. Fornisco alcuni chiarimenti relativi all'organizzazione dei tempi del dibattito, per dar modo al Ministro di poter replicare. Al Senato sono programmati lavori d'Aula per le ore 16. Quindi, inviterei i colleghi a limitare i loro interventi all'essenzialità, per dare poi – ripeto – al Ministro la possibilità di una congrua replica.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  IGNAZIO LA RUSSA. Vorrei ringraziare il Ministro per la sua relazione, che è non soltanto esauriente, ma anche di spessore. Credo che abbia voluto affrontare questo tema assai delicato, che abbiamo Pag. 11discusso in tante occasioni e per tanti anni, non soltanto da una prospettiva politica, sia pure ministeriale, ma anche da una prospettiva di attenta analisi culturale. Di questo, ripeto, voglio ringraziarlo.
  In sostanza, credo che ci sia una linea che personalmente posso condividere. In particolare, mi ha convinto la differenza che il Ministro ci ha indicato tra chi vorrebbe un accanimento modellistico e chi opterebbe per un conservatorismo costituzionale. Si tratta di individuare una linea mediana tra l'immobilismo, che appartiene a una logica di santificazione della nostra Costituzione così come è, anche nella seconda parte, e un accanimento di chi, come se stesse studiando qualcosa in vitro, vede una linea da seguire a tutti i costi, senza nessuna disponibilità a un vero reale confronto, e insiste su un terreno che magari non porta da nessuna parte.
  Credo che i nostri lavori dovranno orientarsi, prima di tutto, proprio sulla disponibilità a trovare linee di intesa. Lo dice il rappresentante del più piccolo dei Gruppi parlamentari presenti in Parlamento, ma lo dice in maniera convinta, anche sapendo che questo porta minore visibilità ai Gruppi più piccoli e ai Gruppi di opposizione. La materia su cui si discute qui è veramente delicata.
  Io frequento le aule parlamentari da qualche anno e ho visto i fallimenti più eclatanti dei buoni propositi di riforma costituzionale tentati in vari modi. Gli unici che sono stati coronati da un apparente successo sono stati i tentativi di parte, cioè adottati a maggioranza. Tuttavia, questi tentativi, a fronte di un successo parlamentare, si sono spesso dimostrati un insuccesso reale nel Paese, creando a volte più problemi di quelli che avevano cercato di affrontare e risolvere.
  In particolare, è assolutamente condivisibile la necessità che la legge elettorale sia conseguenza di una riforma costituzionale. Chi parla ha una netta predilezione per una riforma di tipo presidenziale, fosse anche di tipo francese, cioè semipresidenziale, senza bisogno di replicarla in maniera identica, ma prendendo, ad esempio, la consequenzialità che vi è tra una legge elettorale a doppio turno e un sistema istituzionale che con lo stesso metodo individua il capo del Governo e il capo dello Stato.
  Credo che sia innanzitutto su questa strada che bisognerà verificare la convergenza, senza accanirsi, come ho già detto, se poi non fosse possibile. Raccomando ai presidenti che questo sia il primo tentativo su cui verificare la concreta disponibilità. Se riuscissimo a trovare l'intesa, sia pure a maggioranza e con i limiti che ho detto prima, come riuscì a trovarla un ramo del Parlamento nella scorsa legislatura, questa non sarebbe la conclusione, ma il punto di partenza che fa risparmiare i lavori «preparatori» – uso un termine improprio – dell'iter parlamentare. Se noi partiamo da quel dato, per poi naturalmente modificarlo nelle Commissioni, o in qualunque altra forma si riterrà più opportuno svolgere l'iter di modifica, noi avremmo già fatto un tentativo serio. Se poi fallisce, vedremo magari di retrocedere a modifiche meno profonde dei poteri del Presidente del Consiglio.
  Credo che oggi l'esigenza avvertita dalla stragrande maggioranza dei cittadini sia quella di potere scegliere direttamente il capo dello Stato e il capo del Governo, per far sì che all'indomani delle elezioni non vi sia alcuna incertezza e non vi sia nessun balletto istituzionale, o comunque lo si voglia chiamare, magari con termini più eleganti. I cittadini scelgono con la formula del semipresidenzialismo il Capo del Governo. A quel punto, la legge elettorale per formare la Camera e l'altro ramo del Parlamento può conseguentemente essere una legge a doppio turno, che finora è stata invece motivo di divisione all'interno di questo Parlamento.
  Siccome ci è stata raccomandata la brevità, pur avendo molti altri argomenti, che riserbo per altre occasioni, mi fermo al punto che ho illustrato, che tra tutte le cose che si potrebbero dire – dato che la relazione è stata a più ampio spettro – mi Pag. 12sembrava il più importante da esporre alla riflessione delle Commissioni riunite. Grazie.

  EMANUELE FIANO. Signor Ministro, la ringrazio della sua relazione. Percepisco nelle parole che lei ha qui pronunciato la solennità del momento che viviamo e percepisco anche – e condivido – il rischio, da lei sottolineato, di un fallimento di tutta la procedura che viene illustrata, a prescindere dal merito dei nodi, che ovviamente qui sono stati solo aperti, e che rimangono aperti nel rapporto tra le forze politiche.
  Sottolineando questo rischio, lei ha citato anche le parole del Presidente del Consiglio. Io penso che il contenuto della sua relazione illustri il risultato di uno sforzo positivo.
  Innanzitutto vorrei dire che in questo percorso che viene delineato, anche se non ancora completamente, si riafferma la centralità del Parlamento, che credo sia una conquista del punto a cui siamo arrivati, e che lei ci riferisce come punto di vista del Governo, ma che, a poche ore dall'incontro che il Governo ha avuto con le forze di maggioranza, è apparso anche come punto di equilibrio nel rapporto con la maggioranza.
  A proposito di questo punto di convergenza al quale il Governo è arrivato con le forze di maggioranza, che lei ha riferito, vorrei sottolineare che sarebbe molto importante, anche se difficile da prevedere, che questo processo raccogliesse il consenso di tutte le forze politiche, e non solo di quelle di maggioranza. Come è evidente, infatti, la Carta costituzionale più è di tutti e meglio è. Di conseguenza, più questo processo di revisione della Carta costituzionale, nelle parti che sono qui illustrate, sarà largamente condiviso, più avrà forza quello che noi proporremo al Paese. È bene inoltre che la centralità della modifica avvenga in Parlamento.
  Vorrei altresì sottolineare il dovere di consultazione del popolo italiano, che si delinea come volontà politica, al di là delle maggioranze che verranno configurate in Parlamento al momento del voto, e quindi anche al di là di quanto prescrive l'articolo 138 della Costituzione. L'articolo 138 sarà al centro dei nostri ragionamenti anche per le procedure che illustra per la modifica della Carta costituzionale. Ovviamente, essendo alle soglie della scelta di indirizzare il Parlamento con una mozione sulle procedure che vogliamo avviare, che potranno in parte differire dai procedimenti ad oggi inscritti nell'articolo 138, mi pare un argomento sicuramente centrale nella nostra discussione affermare con forza che comunque, al di là delle maggioranze che si configureranno in Parlamento, noi chiederemo obbligatoriamente e, come lei dice, «per parti», con un referendum, una consultazione popolare.
  È evidente che lei ha illustrato una serie di capitoli che saranno oggetto, proprio nei prossimi mesi, di un confronto profondo e nel dettaglio tra le forze politiche. Mi auguro che sarà così. L'onorevole La Russa, che mi ha preceduto, ha già delineato, per esempio, una presa di posizione sulle forme di governo, peraltro già risaputa, che sarà oggetto di discussione e di confronto. È altrettanto evidente che il tema della salvaguardia e della modifica parziale della legge elettorale vigente, a latere del processo di riforma costituzionale, e anche di riforma della legge elettorale, che inizieremo e che dovrà mettere questo Parlamento al riparo dalla possibilità che il Paese torni a votare con l'attuale legge elettorale, come lei stesso ha sottolineato, è per adesso solo un titolo, che andrà riempito di contenuto. Ovviamente, anche questo sarà un aspetto delicato e di possibile differenziazione tra i gruppi politici.
  Tuttavia, io credo che oggi nella sua relazione, e quindi evidentemente anche in ciò che è stato pattuito tra le forze di maggioranza e il Governo, sia stato delineato un passo avanti significativo per il Paese e per le sue attese. Mi auguro che, sulla scorta di quanto da lei detto oggi, noi potremo avviare tra pochi giorni questo processo, con una mozione di indirizzo in entrambi i rami del Parlamento, e perlomeno avviarlo su binari giusti. Ovviamente, Pag. 13starà poi al Parlamento trovare il consenso, pezzo per pezzo, sui capitoli di riforma che qui sono illustrati.
  Concludo dicendo che credo che questo percorso non potrà portare ad un voto finale unico di riforma della seconda parte della Carta costituzionale. È evidente che noi tocchiamo aspetti di per sé molto complessi e quindi, a mio avviso, sarà un percorso che ci porterà a procedere per gradi. Tuttavia, credo che qui oggi abbiamo messo il primo mattone. Se le volontà politiche continueranno in questo senso, perlomeno verso l'apertura di una fase nuova, credo che ci indirizzeremo sui binari giusti. Mi auguro che si possa continuare così.

  PRESIDENTE. Devo pregare i successivi iscritti di voler cortesemente contingentare i tempi del proprio intervento, per dare al Ministro la possibilità di rispondere. Per darvi un'idea, che non è soltanto un'indicazione, l'intervento deve contenersi in tre o quattro minuti al massimo. Grazie.

  NICOLA MORRA. Ringrazio il Ministro, ma voglio esprimere, a nome del Movimento 5 Stelle, molte perplessità. Noi, a differenza di altri che hanno un'esperienza molto più sostanziosa della nostra in queste aule, viviamo e rappresentiamo il mondo reale, la cittadinanza, ossia coloro che da vent'anni stanno aspettando che qualche Commissione produca revisioni, riforme e via dicendo. Per il momento, tutto questo non è stato prodotto. Io, modestamente, sono convinto che quando le cose non si fanno, questo avvenga perché c’è un difetto di volontà.
  Voglio entrare subito nel merito. La nostra Costituzione è nata immediatamente dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale. Soprattutto nei suoi primi articoli, sono fissati dei principi che tutti quanti noi sposiamo. Sono principi di solidarietà e di equità, con cui si pongono le basi di una società effettivamente democratica e non classista. Sono principi che preludono all'affermazione di una democrazia in cui fra tutti i cittadini ci sia pari dignità; una democrazia della conoscenza in cui tutti abbiano libero accesso all'informazione.
  Mi sembra, però, che nelle parole del Ministro ci siano dei lati su cui bisognerebbe far più luce. Per esempio, il Ministro diceva che c’è necessità, ed è una necessità avvertita, di rendere efficiente lo Stato, perché lo Stato nelle sue istituzioni e nelle sue articolazioni territoriali costituisce un fattore di produttività economica. Questo è vero, ma allora per quale motivo noi istituiamo un'ulteriore Commissione che di fatto va ad aggiungersi alle Commissioni permanenti che il nostro Parlamento già da sempre prevede come organi preposti a lavorare su questi temi ?
  In secondo luogo, il nostro Stato costa e costa tanto, così come costa la politica. Tuttavia, il Ministro, nella relazione scritta che ci è stata consegnata, forse per un lapsus, parla di «attuale legge sul finanziamento ai partiti», mentre sappiamo che trattasi di ben altro.
  Noi vorremmo che su tante cose – e adesso gliele elenco – il Ministro, e di conseguenza il Governo e la maggioranza, facciano chiarezza. Per esempio, vorremmo capire sulla forma di governo, se c’è volontà da parte dell'attuale maggioranza di orientarsi verso un modello semipresidenziale, come mi sembra di aver capito, facendo riferimento al modello francese.
  Gli istituti di democrazia diretta che sono previsti dalla nostra Costituzione e che rispondono ad una logica di democrazia effettiva e partecipata, in cui il cittadino effettivamente si sente protagonista, come dovrebbe essere in una vera democrazia, possono veramente avere accoglienza nel nostro sistema istituzionale ? Ho sentito parlare di interventi a conferma, a prescindere dalla votazione parlamentare, delle leggi di revisione costituzionale, però, per esempio, non abbiamo sentito parlare di referendum propositivi, che rimangono ancora nel porto delle nebbie.
  Inoltre, sul Titolo V della Costituzione, e quindi sul rapporto con gli enti locali, e sull'abolizione delle Province, che ci è Pag. 14promessa da non so quanto tempo, ma che di fatto è tuttora disattesa, possiamo avere maggior luce su cosa si vuole fare ? Sappiamo anche che è stata proprio questa riforma a generare un appesantimento della spesa pubblica di cui noi oggi stiamo pagando scriteriatamente le conseguenze.
  Vorrei altresì sapere se c’è effettivamente la volontà di restituire centralità al Parlamento, per quanto effettivamente alleggerito, come da più parti si chiede di fare. Anche nelle passate legislature più volte ci si espressi a favore di una procedura di snellimento e di alleggerimento, anche per la produzione della norma, e non soltanto per ragioni economiche, del nostro Parlamento. Noi attendiamo da tanto. Tuttavia, queste forze politiche che ancora oggi dicono di voler fare queste cose, di fatto non hanno compiuto alcun passo in avanti. Io stesso sono rimasto colpito nel sentire il primo intervento, quello dell'onorevole La Russa, che, se non ricordo male, è il rappresentante di un Gruppo che è nato in deroga ad un Regolamento.

  IGNAZIO LA RUSSA. Non in deroga, ma in applicazione di una norma.

  NICOLA MORRA. Mi si insegnava che un certo Dante Alighieri ripeteva: «Le leggi son, ma chi pon mano ad esse ?». Pertanto, se effettivamente si vuole alleggerire lo Stato e renderlo al servizio del cittadino, noi siamo a disposizione, ma intanto vogliamo capire se effettivamente ci sia la volontà da parte dell'Esecutivo di fare questo lavoro, perché riteniamo che la situazione sia decisamente emergenziale. Grazie.

  PRESIDENTE. Desidero precisare che ho concesso qualche minuto ulteriore al senatore Morra perché, trattandosi dell'unico iscritto a parlare del Movimento 5 Stelle, mi è sembrato più che doveroso.

  MARIASTELLA GELMINI. Signor Presidente, devo dire che ho particolarmente apprezzato e condiviso l'intervento del Ministro, non solo con riferimento all'esposizione delle linee programmatiche, ma anche con riferimento al metodo, alle procedure da seguire e anche ai caveat che ha evidenziato. Certamente, il rischio di una disputa accademica che non produca risultati e quello di un conservatorismo costituzionale estremo sono due rischi in cui in passato siamo incorsi, con il risultato di essere in grave ritardo nell'approvazione delle riforme. Oggi, non riformare la nostra architettura istituzionale è sicuramente un lusso che non ci possiamo permettere ed ha anche un costo economico, che legato alla crisi diventa insostenibile.
  Credo che sia corretta l'affermazione del Ministro quando dice che comunque spetta innanzitutto al Parlamento decidere il percorso, in collaborazione con il Governo. Penso che un errore che dobbiamo evitare – e credo che la presenza in concomitanza di entrambe le Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, possa aiutarci – sono le interminabili navette tra le due Camere. La questione decisiva è dunque quella della volontà di addivenire ad una conclusione del percorso.
  Su questo il Popolo della Libertà, memore delle passate legislature, in cui alcuni nostri tentativi non andarono in porto, è sicuramente deciso e determinato a fare la propria parte, con riferimento alla riforma costituzionale attinente la forma di governo, al superamento del bicameralismo perfetto e anche alla riduzione del numero dei parlamentari.
  Credo che su questi temi siano state svolte tutte le necessarie valutazioni e i necessari approfondimenti. Oggi si tratta semplicemente, o faticosamente, di arrivare al dunque. Queste tematiche sono state ampiamente dibattute, e oggi sono attese alla svolta definitiva da parte dei cittadini.
  Per quanto riguarda la riforma elettorale, il Popolo della Libertà ritiene che essa sia strettamente connessa e conseguente alla forma di governo, e non possa pertanto essere realizzata prima e a prescindere dalla riforma costituzionale. Sappiamo tutti che senza una riforma costituzionale Pag. 15non esiste legge elettorale che possa assicurare la governabilità, a fronte di un sistema politico tripolare e di un sistema bicamerale paritario, addirittura con elettorato passivo diverso per l'elezione delle due Camere.
  Tuttavia, in relazione a quanto attiene ai problemi di costituzionalità della legge vigente, noi siamo pronti a fare in modo che possa definirsi un intervento di salvaguardia che consenta di rendere certamente costituzionale la legge elettorale vigente, così come illustrato oggi dal Ministro. Occorre un intervento limitato, volto ad eliminare i suoi difetti più evidenti, cioè la mancanza di una soglia minima per usufruire del premio di maggioranza, e il sistema dei premi regionali previsti per l'elezione del Senato.
  Un ritorno al Mattarellum significherebbe invece compiere già una scelta, anteponendo la legge elettorale alla riforma costituzionale. Questo non lo condividiamo e non potremmo accettarlo.
  Condivido anche il richiamo da parte del Ministro al lavoro svolto sulle riforme dal gruppo dei saggi, indicato dal Presidente della Repubblica.
  Con riferimento alla Commissione di esperti, riteniamo che questa debba essere una Commissione di cui si può avvalere il Governo, che può essere certamente di aiuto nel percorso complesso che abbiamo davanti. Il Governo può certamente coinvolgere costituzionalisti ed esperti in una prima fase, ma per il resto il percorso riformatore deve essere pienamente parlamentare e si deve basare innanzitutto sulle due Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, in modo che il lavoro congiunto di senatori e deputati agevoli l'individuazione di soluzioni condivise e si eviti in questo modo il rischio di interminabili navette tra i due rami del Parlamento.
  Valuteremo e metteremo a punto l'esatto procedimento da seguire, assicurando comunque a tutti i parlamentari – perché questo processo deve vedere la partecipazione di entrambi i rami del Parlamento, e non solo dei componenti di queste Commissioni – alla predisposizione delle riforme in questione.
  Guardiamo anche con estremo favore all'idea di potenziare significativamente la partecipazione democratica, coinvolgendo le migliori energie e risorse politiche, istituzionali, sociali e culturali del Paese.
  La mozione di indirizzo rappresenterà un primo momento di confronto tra le forze politiche, per dettagliare il percorso che abbiamo davanti e i contenuti, con la necessità di prendere alcune decisioni, con riferimento, in particolare, alla forma di governo.
  Mi ritrovo completamente nell'intervento dell'onorevole La Russa, con riferimento all'impostazione presidenzialista. Evidentemente se ne dovrà discutere e si dovrà trovare un accordo. L'importante è rivendicare la competenza del Parlamento, con un impegno di risultato in riferimento ai tempi. Riteniamo che i diciotto mesi indicati dal Ministro, ma anche dal Presidente Letta, siano un tempo congruo da sfruttare al meglio, posto che in quel lasso temporale è stata realizzata anche la nostra Costituzione. Crediamo quindi che queste modifiche, pur importanti, onerose e difficili, possano trovare una soluzione in diciotto mesi.

  RENATO BALDUZZI. Signor Ministro, grazie per la tempestività e per la chiarezza della sua esposizione. Ascoltandola, mi veniva in mente un episodio che la tradizione mette in bocca a Solone, il più saggio dei legislatori dell'antichità, il quale, di fronte alla domanda su quale fosse la migliore Costituzione, avrebbe risposto: «Dipende per quale popolo e per quale epoca». Tra l'altro, il generale De Gaulle, in un famoso discorso del 1946, mise proprio questo episodio alla base del disegno che poi avrebbe dato vita alla Quinta Repubblica.
  Io ho riscontrato in filigrana nelle sue parole proprio l'eco di questa impostazione: per quale popolo e per quale epoca ? Ciò richiede una capacità di leggere il nostro Paese che non dimentichi, tra l'altro, l'equilibrio tra le diverse parti Pag. 16della nostra Costituzione, e che stia molto attenta a non imputare alla Costituzione stessa ciò che invece va imputato ad altre cose (alla legislazione elettorale, ai regolamenti parlamentari, ai comportamenti e alle pratiche della politica e dell'amministrazione).
  Ho ritrovato questo equilibrio in filigrana nella sua relazione, soprattutto quando si sottolinea l'esigenza di valorizzare la partecipazione civica – questo aggettivo, naturalmente, non è senza raccordo con il Gruppo parlamentare di cui faccio parte – il protagonismo parlamentare, che richiede la riforma del bicameralismo perfetto per poter ridiventare tale; e l'equilibrio tra centro e periferia.
  Signor Ministro, noi dobbiamo e vogliamo fare sul serio, e si fa sul serio se si tiene in considerazione quell'ineludibile rapporto che c’è tra metodo e merito delle riforme, discostandosi il meno possibile, o non discostandosi affatto, da quell'articolo 138 della Costituzione, valicare il quale non ha portato fortuna a riformatori del passato, e che la migliore dottrina costituzionalistica ha sempre interpretato come richiedente riforme puntuali e condivise.
  Credo che proprio la centralità delle assemblee parlamentari, ricordata anche da lei, possa essere la premessa per la nostra capacità di mettere da subito in sicurezza la legge elettorale, rinviando evidentemente a possibili cambiamenti, una volta che la decisione eventuale sulla forma di Governo possa comportare delle ricadute obbligate sulla legge elettorale. Intanto, affermiamo con chiarezza che non dobbiamo soltanto superare l'assenza di soglia per il premio di governabilità della legge elettorale vigente, ma dobbiamo anche recuperare il rapporto eletto-elettore.
  Mi avvio alla conclusione. Signor Ministro e signor Presidente, verso quale meta vanno le riforme ? Le riforme vanno verso Roma, illuminate certamente da istituti tratti da altri ordinamenti, ma pensate per il nostro popolo oggi. Mi viene in mente una citazione, e spero che la memoria non mi tradisca. È una citazione, tra l'altro opportuna in questo maggio 2013, di una persona che ha frequentato queste aule, l'onorevole Aldo Moro, che in un articolo di metà degli anni settanta del secolo scorso diceva di essere più interessato a problemi di giusta attuazione della Costituzione che a problemi di cambiamento della medesima, ma diceva anche che se si deve riformare questo o quell'istituto, lo si deve fare con decisione, perché le istituzioni sono a servizio dell'uomo. Credo che il senso complessivo del mio intervento possa essere proprio nell'intreccio tra il richiamo di quell'antico legislatore e il richiamo saggio di un legislatore più moderno.

  GENNARO MIGLIORE. Signor Ministro, la ringrazio per la sua relazione. Vorrei fare molto brevemente, visto anche il tempo a nostra disposizione, alcune considerazioni. La prima riguarda la preoccupazione, che lei ha segnalato fin dall'inizio del suo intervento, di un possibile fallimento. Finora l'esperienza ci ha portato a vedere solo una storia di fallimenti. Su questo terreno, eviterei quindi di avere un atteggiamento che sento echeggiare ormai da molto tempo, ovviamente anche in altre parti della nostra azione politica e istituzionale, che è quello di agire sotto il vincolo dell'emergenza.
  L'emergenzialismo non porta mai bene, a maggior ragione quando si tratta di affrontare processi complessi e di riforma costituzionale. Veniva giustamente citato Aldo Moro. Io vorrei citare anche Luigi Einaudi, che non a caso esaltava la lentezza del processo legislativo, perché si potesse depositare anche nell'opinione pubblica e nel Paese il senso di riforme che hanno una portata storica, e che per quanto ci riguarda siamo interessati a portare avanti.
  Suggerirei anche di non attuare in nome dell'emergenza una contrapposizione manichea tra modelli e resistenze conservatrici, perché la definizione di quale sia il percorso maggiormente di manutenzione e quale quello principalmente di riforma radicale rischia di vertere solo sulla forma di governo e sulla contrapposizione, a questo punto quasi Pag. 17ideologica, rispetto alle forme del presidenzialismo e del semipresidenzialismo.
  Per quanto mi riguarda, il primo obiettivo deve essere quello di salvaguardare dagli eccessi che si sono manifestati nel corso di questi anni la funzione parlamentare, che è stata sistematicamente mortificata in nome della governabilità. Ciò ha portato all'alluvione legislativa, attraverso l'uso costante della decretazione d'urgenza, che peraltro ha introdotto questi maxi decreti omnibus rispetto ai quali il vincolo della fiducia ha anche impedito una discussione di merito.
  Per questo io mi permetterei di dire che nell'intenzione positiva, che lei, signor Ministro, manifesta, di riformare il bicameralismo paritario si debba tenere conto, innanzitutto, dei poteri del Parlamento, e stabilire, anche attraverso quell'ovvio principio di autodichia del Regolamento parlamentare, quali siano gli interventi che ne garantiscono la funzione nel senso della rappresentanza. Infatti, noi agiamo in una convinzione, che è quella di recuperare il rapporto con i cittadini, lacerato anche dalle degenerazioni partitiche a cui lei ha fatto riferimento.
  A proposito della degenerazione partitica, mi lasci dire che c’è anche una responsabilità oggettiva della legge elettorale vigente. Non si può pensare in questo caso di poter fare una microriforma. C’è una prescrizione che ha superato ogni limite. Essere addirittura richiamati per la costituzionalità di una legge elettorale è mortificante per una classe politica intera. Tuttavia, ciò non significa che quello sia l'unico punto da sanare, come se stessimo parlando di un graffio.
  Io penso che per una questione di igiene politica, e forse addirittura di risarcimento, l'abolizione sic et simpliciter dell'attuale legge elettorale debba e possa essere la via maestra. Dopodiché, avete i numeri e la maggioranza per eventualmente farne un'altra, non subordinando la legge elettorale, che non lo è, a nessun processo di riforma costituzionale. Da questo punto di vista, me lo lasci dire, in questa sede io non mi sento opposizione. Se questo sarà l'andazzo – scusi il termine un po’ greve – e cioè che il Governo assegna i compiti alle Commissioni parlamentari, penso che questo sia errato.
  Ho apprezzato il fatto che lei abbia affidato le considerazioni del Governo, che fanno tesoro anche di quelle della Commissione dei saggi, a queste Commissioni congiunte. Tuttavia, siamo noi, nella piena nostra potestà, ad avere una funzione eventualmente costituente e di riforma della Costituzione, e mi aspetto che le prossime volte la relazione possa essere tenuta dalla Presidente Finocchiaro o dal Presidente Sisto, cioè da coloro i quali governano queste commissioni, nella funzione di trovare un'intesa che non sia una proposta di Governo. Per me è importante che ci sia un Ministro delle riforme costituzionali, ma non è da quest'ultimo, e quindi dal Governo, che promana la proposta. Semmai, in questo senso, è l'indicazione che viene affidata correttamente.
  Riguardo alla procedura, io penso che dalle sue parole non sia chiaro l'utilizzo, e in che termini, dell'articolo 138 della Costituzione, rispetto alla riforma. Stante il fatto che fino ad oggi le riforme che sono state fatte in ottemperanza all'articolo 138 sono quelle che sono passate, io credo che su questo punto ci sia bisogno di chiarezza, che nelle sedi congiunte poi faremo. Evidentemente, secondo me, avere un atteggiamento «futurista», e quasi di compulsività regolamentare, non attiene all'esigenza di un vero deposito all'interno dell'opinione pubblica di queste necessità.
  Per questo le dico che, per quanto ci riguarda, vorremmo che il Governo presentasse subito le sue linee di indirizzo, e che poi il Parlamento assumesse l'incarico di governare i temi della riforma per questi diciotto mesi. Anche a me questa sembra infatti una temporizzazione sufficiente per affrontare questo percorso.
  Chiudo su questo punto. A proposito dei cosiddetti «costi della politica», vorrei sentire delle parole, anche in questo caso in modo più radicale, sulla riduzione di tutto ciò che appare privilegio. Non si tratta solo della riduzione, in linea con quanto avviene negli altri Paesi europei, nel rapporto eletto-elettore, ma anche Pag. 18della riduzione dei privilegi e delle retribuzioni dei parlamentari, che sono necessarie rispetto all'attuale funzione, così come è necessaria una dotazione strumentale adeguata per svolgere la nostra funzione. Su questo punto ci terrei che la nostra discussione prendesse una movenza più adeguata, in modo tale che la politica – ed è questo il vero problema delle leggi che hanno eluso i referendum di abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti – non si statalizzasse, ma si ritrovasse come strumento di partecipazione dei cittadini, piuttosto che come strumento di identificazione con le istituzioni, che sono, come sappiamo, cosa diversa e da salvaguardare rispetto al protagonismo politico dei cittadini.

  FRANCESCO PALERMO. Signor Presidente, sarò brevissimo perché è già stato detto quasi tutto dai colleghi che mi hanno preceduto.
  Mi congratulo anch'io con il Ministro per la sua relazione, perché c’è dentro tutto. Mi piace molto il riferimento all'accanimento modellistico che non ci ha portato finora da nessuna parte. Aggiungerei che il meglio è nemico del bene. Mi pare che la necessità di fare le riforme sia chiara. L'unico limite, che emerge peraltro bene anche nella sua relazione, è la funzionalità complessiva del sistema. Bisogna fare delle cose che funzionino.
  Faccio mio quanto già affermato dal professor Balduzzi: si possono, e forse si devono, seguire strade proprio per il modello italiano, ma essendo sicuri che funzionino. Faccio rapidamente tre esempi su questioni che non sono state discusse finora. Il primo esempio riguarda il ruolo del Senato. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di una riforma. Bisognerebbe chiarire maggiormente, cosa che non traspare nemmeno in filigrana rispetto alle sue dichiarazioni, se si vuole farne una Camera o un organo di rappresentanza territoriale. È evidente che sono due cose diverse e l'una tende ad escludere l'altra. Forse un po’ più di chiarezza su questo punto aiuterebbe. Diversi tipi di legittimazione possono essere un problema più che una soluzione.
  Il secondo esempio riguarda la democrazia diretta, da lei ampiamente citata. Sono molto d'accordo. Forse, però, è opportuno tenere distinte le funzioni di democrazia diretta da un lato e quelle di democrazia rappresentativa dall'altro. Sono due campi contigui, ma tuttavia distinti. Servono entrambe. In termini di partecipazione, forse molto si può fare anche con le modifiche ai regolamenti parlamentari. Tuttavia, forse, tenere distinte le due cose potrebbe aiutare a farle funzionare meglio.
  L'ultimo esempio – e mi stupisce che nessun altro lo abbia sollevato finora, e questo mi fa pensare che non ci sia una grande attenzione a questo tema – riguarda il punto da lei sollevato rispetto al Titolo V della Costituzione e al necessario riordino delle competenze. Questo riordino è certamente necessario, purché non significhi un accentramento delle funzioni. Le disfunzioni della riforma del 2001 sono sotto gli occhi di tutti, ma non si curano con un maggiore accentramento, come pare essere emerso da tutte le fallite riforme precedenti. Al contrario, queste disfunzioni si attenuerebbero implementando il ruolo, e soprattutto la responsabilità, delle Regioni. Su questo chiederei un po’ di attenzione.

  FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Signor Presidente, ho apprezzato la relazione ampia e approfondita del Ministro.
  Riscontro soprattutto una consapevolezza. C’è stato un tempo in cui nel nostro Paese, quando non si volevano affrontare i temi concreti e i problemi di ogni giorno, si parlava di riforme. Oggi la consapevolezza è quella che senza le riforme non si possono affrontare i problemi di ogni giorno. Questa è una consapevolezza comune, che non appartiene soltanto a un Ministro che ha il dovere di promuovere le riforme. Infatti, il Governo di cui lei fa parte vive se fa le riforme e, allo stesso tempo, senza questo Governo è difficile fare le riforme. Mi dispiace attribuirle Pag. 19questo ruolo di regolatore o di «pompa di galleggiamento», mi lasci passare il termine.
  Partendo da questa impostazione, a me sembra che sia utile e opportuno che sia stato il Ministro a farsi portatore di un'iniziativa che tutti attendevamo, dicendo anche alcune cose chiare su chi farà cosa e sul metodo che intende seguire. Colgo dalle parole del Ministro una sorta di «de profundis» a quella Commissione voluta da alcuni, con cui si immaginava di poter attribuire fuori dal Parlamento compiti non previsti dalla Costituzione. Quest'attribuzione, a mio avviso, non sarebbe ben accetta dall'opinione pubblica. Infatti, l'opinione pubblica ha un giudizio assai negativo della classe politica, soprattutto perché questa classe politica non riesce a dare delle risposte. Se la classe politica dovesse poi delegare ad altri il compito di articolare una proposta di riforma costituzionale, il monito del Presidente Napolitano, e quello espresso dagli elettori con la loro quota di astensionismo, potrebbero diventare qualcosa di più e di diverso.
  Riformare le istituzioni significa anche regolare la vita democratica e i poteri che si esercitano in una democrazia. Oggi si sono affermati dei poteri nel nostro Paese che non hanno controllo e responsabilità. Un tema che io mi permetto di suggerire in questa prima fase è quello di immaginare sistemi che riescano in qualche misura a controllare i cosiddetti «poteri finanziari», che sono coloro i quali, non soltanto in Italia, ma anche in Grecia, attraverso iniziative speculative, hanno messo Governi e Paesi in ginocchio. Ho voluto soltanto fare un esempio per affermare che le riforme istituzionali non devono guardare soltanto al quadro che già conosciamo, ma a un quadro nuovo che si è voluto nel nostro Paese, e che non bisogna avere paura di affrontare.
  Penso che lei, signor Ministro, debba dire qualche cosa in più in ordine alla cosiddetta «safety net», cioè all'intervento che siamo chiamati ad adottare, nelle more in cui, correttamente, vengono prima le riforme costituzionali e poi una legge elettorale «a cappello». Su questo dico la mia. Sono convinto che nel nostro Paese si sia ormai affermato il principio della democrazia dell'alternanza. Nessuno di noi vuole più rinunciare a scegliere direttamente non soltanto il capo del Governo, ma anche il capo della Repubblica. Inoltre, nessuno di noi vuole più rinunciare a scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.
  C’è un punto di incontro possibile per la modifica del nostro sistema vigente. La nostra oggi è una democrazia parlamentare. Al fallimento delle bicamerali precedenti, si è messa una toppa che è peggio del buco. Si è infatti trasformata, con un metodo elettorale, una modifica surrettizia della Carta costituzionale, intervenendo sulla scelta del Presidente del Consiglio, ma lasciando i limiti che questa legge, nel tripolarismo di oggi, ha dimostrato di avere.
  Si può intervenire con modifiche che siano veramente minime all'attuale legge, rispecchiando la nostra Carta costituzionale, cioè introducendo una soglia che dia la possibilità di governabilità, ma che sia anche abbastanza alta, per rispondere al principio secondo il quale governa chi ha la maggioranza degli elettori, e non chi ha una maggioranza quale che sia. Allo stesso tempo, secondo una mia opinione personale, si potrebbe introdurre un metodo di scelta dei parlamentari, che può essere quello delle preferenze, o modelli succedanei che comunque vi si avvicinino molto.
  Mi pare che su chi farà cosa sia stata data una risposta abbastanza chiara. Quella di oggi è una bicamerale di fatto, anche se non codificata, che affronta le riforme costituzionali. Se ho capito male me ne scuso, Ministro, ma vorrei che fosse superato ogni dubbio sul fatto che non ci siano «caminetti» paralleli a questa ipotesi di lavoro che oggi viene qui inaugurata. Durante un suo passaggio, lei ha affermato che oggi vi è stato un primo confronto –, non so tra chi – in ordine al disegno di legge che riguarda la cosiddetta safety net. Poiché, come lei sa, le sono Pag. 20amico, e apprezzo la sua persona e la sua competenza, sono sicuro che anche su questo punto lei sarà puntualissimo.

  DORIS LO MORO. Signor Presidente, parlerò soltanto qualche minuto, perché sono consapevole dei tempi stretti, visto che al Senato si vota alle 16.
  Vorrei anch'io ringraziare il Ministro, anche se lo faccio molto brevemente, e passo subito al merito. Lo ringrazio in particolare per il riferimento ai regolamenti parlamentari che c’è nella sua relazione, e che suona un po’ come una richiesta al Parlamento. Mi sembra assolutamente pertinente, perché un Governo che non vuole ricorrere ai metodi del passato ha pienamente legittimazione a chiedere anche un'inversione di rotta e dei regolamenti che consentano un lavoro più veloce.
  La ringrazio anche per il riferimento presente nella relazione alla necessità di dare attuazione all'articolo 49 della Costituzione sui partiti politici. Lei, Ministro, lo ha citato affrontando il problema dei costi della politica. Tuttavia, è bene che anche in questa sede autorevole sia chiarito che chi vuole dare attuazione all'articolo 49 lo vuole fare per ragioni che sono nobili, e che sono dettate non soltanto dalla necessità di dare finalmente attuazione a una norma costituzionale, dopo tanti anni, ma anche dall'esigenza di dare risposte ai tanti scandali, per aumentare la trasparenza della democrazia, e non invece per regimentarla. La ringrazio quindi di questo.
  Su un punto vorrei invece interloquire. Io ho apprezzato molto che lei abbia detto che non ci siano soluzioni precostituite su tante cose, come è ovvio che sia, e che abbia invece fatto riferimento ad una percorso di esplorazione. Vorrei che il Ministro chiarisse se questo percorso di esplorazione riguarda il merito o il metodo. Siccome per mercoledì è prevista l'approvazione di mozioni in entrambi i rami della Camera, io immagino che il percorso di esplorazione riguardi il prosieguo, e quindi il merito delle opzioni che si lasciano. Vorrei che questo fosse più chiaro.
  Mentre le dico che apprezzo questo, voglio aggiungere una cosa, per onestà e anche perché rappresento un partito politico che su questo ha una sua posizione e io stessa stavo lavorando a un progetto di legge su questo tema. In seguito, ne ho sottoscritto uno ancora più autorevole, perché era già in cantiere. Sulla legge elettorale vorrei un momento di chiarezza. Il testo della sua relazione, signor Ministro – glielo dico con assoluta trasparenza – non è omogeneo. Il livello di precisazione che c’è sulla norma transitoria non c’è sul resto. Io invece avrei apprezzato che anche sulla norma transitoria venisse lasciata aperta l'opzione. Noi dobbiamo discutere. L'intervento che lei sembra inserire nella relazione appare, almeno a me, minimalista.
  Per esempio, potrebbe sembrare sufficiente l'eliminazione di una o di qualche norma o l'adeguamento della norma che prevede il premio di maggioranza, con una nuova percentuale. Tuttavia, mi sembrerebbe veramente riduttivo un discorso di questo genere. Io non posso condividere alcuni discorsi che sono stati fatti in questa sede. Quando si dice, per esempio, che non è ammissibile un ritorno al Mattarellum, perché comporterebbe una scelta, si dimentica che anche riformare in maniera minimale il Porcellum comporterebbe una scelta. Io credo che il Parlamento debba fare una scelta, l'una o l'altra. Credo dunque che lei, Ministro, debba lasciare aperta questa opzione, che deve rimanere aperta anche nel testo delle mozioni e non può essere regimentata in modo che, leggendola, il problema appaia invece già risolto.

  ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, sono dell'opinione che l'attuale Governo abbia fatto bene a vincolare la propria durata ad un percorso efficace e tempestivo di riordino istituzionale, una promessa molte volte rinviata e contraddetta. La scommessa a cui i partiti di maggioranza hanno accettato di sottoporsi Pag. 21è proprio questa: allontanare il sospetto che non ci sia niente che si possa fare per salvare quel che resta del vecchio sistema parlamentare.
  L'inconcludenza della politica italiana degli ultimi anni e la mancanza di coraggio riformista hanno contribuito in modo determinante ad alimentare le forze della rivoluzione populista. Le definisco così. Una democrazia impotente lascia un vuoto di potere che viene sempre colmato, con le buone o con le cattive.
  Le questioni indicate (il Senato federale, il parlamentarismo limitato, il semipresidenzialismo francese con doppio turno, lo statuto dell'opposizione e via dicendo) sono state già ampiamente dibattute e precisate, anche con progetti di legge presentati in questa e nelle scorse legislature.
  Io vedo positivamente che si sia abbandonato lo strumento della convenzione. Per quanto sia auspicabile il coinvolgimento di esperti, che potrà comunque avvenire, è evidente che i principali nodi tecnici da sciogliere sono da tempo noti a tutti, grazie anche al lavoro dei saggi – tanto per citare l'ultimo contributo – e sono legati all'esercizio di una responsabilità politica che deve superare i vari conservatorismi. Questo vale anche per la legge elettorale e per la safety net.
  Dico anche una battuta per quel che riguarda la questione presidenziale. La politica presidenziale è diventata parte integrante della nostra scena nazionale da anni, anche se non si è ancora trasformata in un nuovo equilibrio istituzionale. Ho prestato attenzione al fatto che il Presidente del Consiglio ha proposto, giustamente, l'elezione diretta del Presidente della Commissione europea. Trovo singolare che si possa ritenere che l'elezione diretta vada bene per tutti i livelli (regione, provincia, comune, Commissione europea) e non possa andar bene per l'unico livello che ne rimane escluso, che è quello nazionale. Queste sono scelte che appartengono alle valutazioni.
  Per questo io ritengo che sia possibile, e anche auspicabile, che entro la pausa estiva le Camere procedano a una prima lettura della riforma, seguendo la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione, che non impedisce né interventi rapidi né interventi incisivi sulla seconda parte della Costituzione. Tra l'altro, nell'intervallo tra la prima approvazione e quella definitiva, le Camere potrebbero già iniziare a predisporre una legge elettorale coerente con la riforma costituzionale.

  GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, desidero ringraziare il Ministro Quagliariello. Vorrei ricordare che noi siamo in seduta congiunta per audire il Ministro, per cui è del tutto evidente, collega Migliore, che chi doveva parlare oggi era il Ministro, per indicare le linee direttrici del Governo su questo tema, dunque non c’è nulla di singolare.
  Concordo invece pienamente col collega Migliore quando afferma che non si sente opposizione in quest'Aula. Infatti, noi siamo qui per riformare la Costituzione, e questo significa anche creare il clima per poterlo fare. Evidentemente, nessuno può sentirsi maggioranza o opposizione, quando il compito è così alto.
  Da questo punto di vista, vorrei anche ricordare al senatore Morra che non aiuta l'affermazione che lui ha fatto, e cioè che il Movimento 5 Stelle rappresenta il mondo reale, e gli altri no. Il collega Morra e i suoi colleghi del Movimento 5 Stelle sono qui, a pieno titolo, e l'articolo 67 della Costituzione tutela loro come tutela tutti gli altri. Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Siamo tutti uguali, e non ci sono legittimazioni diverse. Chiamare a sé una legittimazione diversa non aiuta a creare un clima costituente per riformare la Costituzione.
  Non si può fallire. Il fallimento di questo nostro lavoro non rappresenterebbe un fallimento del Governo. L'emergenza non riguarda solo il Governo, ma è una emergenza nazionale. Abbiamo un'emergenza economica, ma abbiamo anche un'emergenza istituzionale e democratica. Per la prima volta nella storia repubblicana, si sta facendo strada l'idea che Pag. 22sia possibile una forma diversa dalla democrazia rappresentativa. Questa è un'emergenza fortissima che noi abbiamo il dovere di combattere, e il modo migliore per combatterla è correggere quella parte della Costituzione che non è più adatta ai tempi. Senza citare Solone, basta riprendere il dibattito parlamentare improduttivo di questi ultimi anni.
  Quello che ho apprezzato particolarmente nella relazione del Ministro è il riportare alla logica parlamentare il potere di riformare la Costituzione. Questo è importante. La convenzione che vedeva la presenza di personalità esterne, come è stato ricordato da più parti, mancava di una legittimazione democratica, fondamentale quando si sta facendo un'azione politicamente e istituzionalmente così importante.
  È altrettanto giusto che il Ministro abbia ricordato che dobbiamo aggirare i due limiti che hanno in qualche modo bloccato i precedenti tentativi: da un lato il conservatorismo costituzionale, e dall'altro l'accanimento modellistico. Io mi permetterei di aggiungere all'aggettivo «modellistico», l'aggettivo «ideologico». Faccio un esempio. Il semipresidenzialismo alla francese non è il Santo Graal, ma è una forma di governo, e come tale deve essere trattata, come il parlamentarismo razionalizzato. Di questo stiamo parlando. Io cito sempre uno degli ultimi scritti del presidente Elia, il quale diceva che le forme di governo non si distinguono più tra presidenziali o parlamentari, ma tra equilibrate e squilibrate. Di questo noi dovremmo occuparci.
  Ha ragione il collega Maran quando afferma che è il tempo delle scelte. L'istruttoria su questi temi si è consumata. Sappiamo tutto, dobbiamo semplicemente decidere come vogliamo cambiare. A questo proposito, vorrei fare un'ultima affermazione. Noi siamo in una fase di revisione costituzionale; non siamo un nuovo potere costituente. Noi vogliamo cambiare alcune parti della seconda parte della Costituzione. Da questo punto di vista, il fatto di avere restituito la centralità al Parlamento è fondamentale.
  Io direi che possiamo anche andare oltre quella che è la previsione dell'articolo 138 della Costituzione. Possiamo immaginare, in questa fase di revisione costituzionale, di lavorare anche in seduta comune, come nel modello francese. L'importante, nel momento in cui decidiamo di non seguire il percorso dell'articolo 138, è che non vengano meno le garanzie che questo articolo prevede. Questa è la vera scommessa e la vera sfida. Io credo che se noi ci atterremo a questo, il tempo della riforma sarà veramente il tempo di questo nostro lavoro.

  GREGORIO GITTI. Intervengo non solo per ringraziare, senza formalità, il Ministro Quagliariello per averci restituito un quadro molto consapevole e ampio del programma di riforme, ma soprattutto, anche alla luce del precedente intervento, per sottolineare che oggi il perimetro che ci viene proposto solleva una questione giuridica importante, che riguarda quello che Kelsen chiamerebbe «potere costituente».
  Peraltro, è un tema su cui la nostra letteratura costituzionalistica non si è mai esercitata con dovizia di sforzi monografici. È un tema nuovo. Oggi noi siamo fuori dall'ambito applicativo dell'articolo 138 della Costituzione, e di conseguenza il metodo è il tema fondamentale di questa nostra discussione. Ce lo dobbiamo dire veramente in modo trasparente.
  L'articolo 138, che disegna il sistema di Costituzione rigida che ci ha restituito l'Assemblea costituente del 1947, è oggi superato da un perimetro ampio sebbene limitato alla riforma della seconda parte della Costituzione. Non ci incartiamo dunque in discussioni sul rispetto dell'articolo 138, a proposito del quale si è prodotta molta letteratura, per dire che devono essere interventi omogenei e specifici. L'aggettivo «omogeneo» ricorre nella relazione. Noi siamo qui oggi a discutere su come fondare il potere costituente per una riforma larga della Costituzione.
  Lo dico brevemente. Potremo approfondire questo tema successivamente. L'idea del referendum, e quindi della consultazione Pag. 23popolare, sul lavoro fatto, e comunque legittimato democraticamente in base al criterio della sovranità parlamentare, cioè della sovranità popolare rappresentata dal Parlamento, è una via che mi convince.
  Aggiungo una battuta sul tema della legge elettorale, che affronto in due parti. La prima parte riguarda la rete di protezione e la salvaguardia. La seconda riguarda l'elemento di innesto rispetto ad una forma di governo, su cui noi rappresentanti di Scelta Civica stiamo riflettendo – come ha fatto il collega Balduzzi – senza pregiudizi né di tipo ideologico, né di tipo politico, né di tipo giuridico. Diciamo però che la nostra è una tradizione parlamentare e vorrei che ci fosse un minimo di consapevolezza, e anche di orgoglio, da parte di questo Parlamento nell'affrontare temi che spesso vengono liquidati in modo superficiale.
  Un sistema parlamentare razionalizzato, così come è stato definito, può consentire tranquillamente di costituire esecutivi stabili su maggioranze certe. Quindi, non facciamo entrare nei lavori delle nostre Commissioni la retorica dell'opinionistica, e quindi del vaglio e del commento giornalistico. Vorrei che la legge vigente e la legge previgente vengano chiamate così, e non con il «latinetto» di qualche commentatore.
  Vengo al punto riguardante la legge per la clausola di salvaguardia. Io credo che da questo punto di vista ci sia un'apertura da parte di tutte le forze politiche. Questo è un dato politico che oggi possiamo sottolineare con compiacimento. Credo tuttavia che la velocità possa andare sulla strada di un ritocco dell'attuale legge vigente, non solo con riferimento al tema del premio, e quindi della soglia per meritarselo, ma anche a proposito di quell'altro elemento, che è stato sollevato, del rapporto eletto-elettore.
  Credo che ci possa essere anche un vigile e consapevole ridisegno delle circoscrizioni elettorali, che porti a delle liste più corte, per candidati più riconoscibili rispetto alla comunità che accoglie la lista, e quindi più autorevoli.
  Per quanto concerne invece il tema del doppio turno non leghiamolo nuovamente in modo pregiudiziale a forme di governo che possono essere sposate a partire da modelli che chi ha conoscenza e frequentazione della pubblicistica francese, non solo giuridica, sa che a casa loro vengono, secondo me giustamente, criticati. Certamente la riedizione che ha avuto l'Italia con il passato passaggio al Senato rappresenta un modello nemmeno confrontabile con quello d'origine.
  Il doppio turno, anche con riferimento a una conferma del sistema parlamentare, ha degli originali e autorevoli precedenti, pure nell'ambito delle discussioni parlamentari. Ricordo, per esempio, quello promosso da Roberto Ruffilli, che prevedeva un primo turno proporzionale con un correttivo maggioritario, che faceva anche riferimento alla possibilità di arrivare a coalizioni politiche sottoposte al vaglio degli elettori.

  GIORGIO PAGLIARI. Signor Ministro, io credo che il primo tema da affrontare sia quello del metodo. Sul piano del metodo, credo che la relazione possa essere condivisa, anche perché non assume posizioni di eccessiva modificazione dell'articolo 138 della Costituzione, che erano state ventilate. La centralità del Parlamento e il rispetto delle procedure non significano necessariamente che, a fronte di una reale volontà e di accordi effettivi, non si possano realizzare gli obiettivi. Io credo che il rispetto delle procedure sia molto importante in questa fase.
  Non condivido l'ipotesi che si possa introdurre la riunione congiunta di Camera e Senato, perché credo che sarebbe una contraddizione rispetto al testo costituzionale. Noi abbiamo due Camere autonomamente elette, che devono determinare la propria volontà con le proprie maggioranze e con le proprie autonomie. Nel merito, credo che debba essere dato atto a questa relazione di lasciare delle soluzioni aperte, con la consapevolezza delle problematicità delle questioni in oggetto. Io non sono per la santificazione Pag. 24della Costituzione, ma sono per la sua riforma e non per il suo scardinamento.
  Sotto questo profilo, è chiaro che non tutte le soluzioni sono possibili. Credo anch'io che bisogni evitare l'accanimento modellistico. Il problema di fondo è recuperare efficienza al sistema. Il Ministro ha posto questo obiettivo, dando delle indicazioni non rigide. Credo che la discussione possa essere fruttuosa e non debba avvitarsi fin dall'inizio su una proposta piuttosto che su un'altra. Se creiamo i fronti contrapposti, ricadiamo in uno scontro ideologico e non arriviamo alla soluzione. Il problema è l'efficienza del sistema. All'efficienza del sistema si può arrivare proprio non partendo dai modelli, ma dall'individuazione di soluzioni che recuperino l'efficienza stessa.
  Credo, peraltro, che ci debbano essere delle priorità. Ho sicuramente apprezzato le parole del Ministro sulla necessità di misure di salvaguardia sulla legge elettorale. Tra le priorità delle riforme, credo che debba essere assunta la modifica del bicameralismo. Si tratta di una misura simbolo, alla quale dobbiamo dare una risposta nell'interesse complessivo della credibilità del sistema politico. Credo inoltre che il monocameralismo sia la strada da seguire.
  Anch'io attendo di vedere il testo, ma raccomando la chiarezza dei rapporti tra la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Infatti, nella prospettiva della modifica, noi avremmo una Camera dei deputati eletta dal popolo e un Senato che sarebbe un ente di secondo grado. Questo non può non creare delle questioni relativamente a un'eventuale competenza, o meglio, interferenza del Senato nel procedimento legislativo.
  Ritengo inoltre molto importante l'accenno fatto alla riforma del sistema delle autonomie. Va ripensato per efficientare questo Stato anche il sistema relativo a regioni, comuni e province. Sotto questo profilo ci vuole una riforma organica. Il taglio delle province, senza una riforma organica, aggraverebbe le inefficienze e non porterebbe effettivi risparmi.
  Sotto questo aspetto, sottolineo al Ministro un profilo. Bisogna che sulle province ci sia una risposta immediata, perché alla fine del 2013 ci troveremo a gestire un passaggio transitorio tutt'altro che indifferente.
  Finisco con questa considerazione: mi preoccupa rispetto al procedimento ipotizzato, sia pure per larghissime maglie, l'introduzione di molti referendum popolari sulle riforme. Ne capisco lo spirito, ma penso che, quantomeno, ci sia l'esigenza di disciplinare bene questo meccanismo. Semplifico il mio dubbio, per ragioni di tempo: cosa succederebbe se una riforma venisse approvata e un referendum la bocciasse ?

  ROSY BINDI. Grazie. Anch'io ringrazio il Ministro. È evidente che un Ministro per le riforme costituzionali significa un Governo impegnato nel processo riformatore della nostra Carta costituzionale. Le parole ricordate del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio testimoniano quanto sia legata la vicenda di questo Governo alla responsabilità per le riforme.
  Tuttavia, ho apprezzato quello che mi è stato dato di capire dalla relazione del Ministro, ossia che non solo viene restituita piena centralità al Parlamento e ai suoi strumenti ordinari, scongiurando così il ricorso a convenzioni con sapore costituente, ma che il Governo intende, anche con l'aiuto di esperti, accompagnare e sostenere il lavoro del Parlamento, al quale resta la stessa iniziativa legislativa sul progetto delle riforme.
  Credo che questo sia il cammino giusto, perché se è vero che il Presidente del Consiglio ha detto che trarrà le conseguenze da un eventuale blocco sul processo riformatore della Costituzione nella sua responsabilità di governo, è altrettanto vero che a noi spetta assicurare e garantire la centralità del Parlamento, dove non ci sono solo le forze di maggioranza che sostengono il Governo, ma anche tutte le altre forze politiche, che devono partecipare con lo stesso titolo e con la stessa dignità al processo riformatore della Costituzione.Pag. 25
  Intendo sottolineare questo con molta forza e voglio anche rilevare l'importanza della collaborazione a questo processo proprio di quelle forze politiche che più di altre hanno voluto sottolineare la crisi della democrazia rappresentativa e del Parlamento. Oggi rappresentano il popolo italiano dentro questo Parlamento, e in virtù di ciò non possono non impegnarsi a rendere efficiente la democrazia rappresentativa. Penso che dovremmo sentire con maggiore forza questa responsabilità, proprio perché più numericamente grande è una maggioranza che sostiene il Governo, più essa deve avere il senso del suo limite nei confronti della modifica della Carta costituzionale. In questo senso, credo che la strada intrapresa, e su cui penso lavoreranno le due Commissioni che sono oggi qui riunite, sia quella giusta.
  Credo anch'io che si debbano evitare modifiche o sospensioni dell'articolo 138 della Costituzione, verificando se per esempio la prassi delle Commissioni riunite possa essere sufficiente a garantire la velocità del nostro lavoro, al tempo stesso senza richiedere necessariamente delle modifiche di quell'articolo, che anch'io ritengo una salvaguardia molto importante. Il fatto di ricorrere alla procedura contenuta nell'articolo 138 è per me molto importante per un altro motivo, ossia che noi vogliamo riformare e non stravolgere o cambiare l'impianto della nostra Carta costituzionale.
  Io non mi sento una conservatrice, anzi penso che i conservatori siano coloro che ostacolano il funzionamento vero della Carta costituzionale. Credo d'altra parte che nel procedimento ordinario di modifica e di riforma della nostra Costituzione, non sia possibile il cambiamento e lo stravolgimento delle scelte fondamentali che sono state fatte dai nostri costituenti. In questo senso io procederei con gradualità. Va benissimo la messa in sicurezza della legge elettorale. Discuteremo poi su come intendiamo riempire di contenuto quella salvaguardia. Non cominciamo a discuterne oggi, perché ci divideremmo subito. Ne discuteremo più avanti.
  Il secondo invito è quello a procedere partendo dai punti che sappiamo essere condivisi e invocati dal popolo italiano: diminuzione del numero dei parlamentari e superamento del bicameralismo. Siccome io apprezzo che si proceda per referendum puntuali, e non per un referendum sul disegno complessivo di cambiamento, mi piacerebbe anche che procedessimo per gradualità, cioè per punti, sulla modifica della Costituzione, evitando di incominciare dal nodo o dai nodi più seri, ossia quelli su cui, come sappiamo, si consuma ancora una divisione trasversale all'interno del Parlamento, che chiaramente tocca anche i partiti della maggioranza.
  Penso che se riusciremo ad avere la consapevolezza che la Carta costituzionale si può riformare ma non stravolgere, che questo si fa con i procedimenti ordinari contenuti nell'articolo 138, e che si procede con puntualità e con gradualità, potremo ottenere i risultati più significativi, senza precluderci successivamente un confronto, anche sul nodo particolare della forma di governo, che forse può essere lo scoglio più complicato. Credo che se mai dovessimo partire da quello, potremmo forse rischiare di aggiungere, anche in questa legislatura, un capitolo dei fallimenti, mentre vorremmo un capitolo finalmente di successo del nostro impegno.

  LAURA RAVETTO. Signor Ministro, grazie per la sua relazione e per la determinazione che ha dimostrato. Io mi appello anche alla sua sensibilità. Lei ha parlato di legge elettorale, io le formulo l'appello che questa legge elettorale che andremo a discutere attui finalmente la sbandierata parità di genere di cui sento parlare da otto anni, da quando ho iniziato a svolgere l'attività parlamentare. Non so quale sarà il sistema elettorale, però le chiedo di porre massima attenzione a questa questione. So che i colleghi saranno con me in questa battaglia. So anche che la Presidente Finocchiaro ha una sensibilità su questi temi. Le chiedo, Pag. 26Ministro, di trovare dei meccanismi idonei, a seconda del sistema elettorale che verrà attuato.
  Abbiamo fatto dei passi avanti nelle elezioni per i comuni. Ho sentito il collega Romano parlare di sistema preferenziale. Abbiamo parlato di preferenza facoltativa. Non sono una fan delle preferenze, né delle preferenze facoltative. Capisco che la doppia preferenza obbligatoria avrebbe dei problemi costituzionali. Capisco anche che la candidatura 50 e 50 potrebbe porre delle tensioni interne ai partiti e alle forze politiche. Parliamo allora di 50 e 50 degli eletti, legandolo, ad esempio, al potenziamento dei rimborsi elettorali, se vorremo ancora parlare di rimborsi elettorali (magari verranno eliminati). Le chiedo di porre attenzione a questo tema.

  PRESIDENTE. In merito al prosieguo dei nostri lavori, considerato che il Senato è convocato alle ore 16 e che si rende pertanto necessario interrompere i lavori odierni della Commissioni riunite, avverto, acquisita la disponibilità del Ministro Quagliariello e d'intesa con la Presidente Finocchiaro, che il seguito dell'audizione, per la replica del Ministro, si svolgerà martedì 28 maggio a partire dalle ore 10 al Senato.
  Rinvio il seguito dell'audizione alla seduta di martedì 28 maggio.

  La seduta termina alle 16.