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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (XIV Camera e 14a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 28 maggio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bordo Michele , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, sulle linee programmatiche:
Bordo Michele , Presidente ... 3 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro per gli affari europei ... 3 
Bordo Michele , Presidente ... 14 
Buttiglione Rocco (SCPI)  ... 14 
Orellana Luis Alberto  ... 16 
Nesci Dalila (M5S)  ... 16 
Bordo Michele , Presidente ... 17 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro per gli affari europei ... 17 
Bordo Michele , Presidente ... 20 
Moscatt Antonino (PD)  ... 20 
Ricciatti Lara (SEL)  ... 21 
Prataviera Emanuele (LNA)  ... 23 
Mosca Alessia Maria (PD)  ... 23 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 24 
Bordo Michele , Presidente ... 25 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro per gli affari europei ... 25 
Bordo Michele , Presidente ... 28

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI MICHELE BORDO

  La seduta comincia alle 13.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, sulle linee programmatiche.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, sulle linee programmatiche. Ringrazio il Ministro per la presenza e gli do il benvenuto mio personale, del presidente Chiti e delle Commissioni politiche dell'Unione europea di Camera e Senato.
  Colgo l'occasione per rivolgere gli auguri di buon lavoro innanzitutto al Ministro e al presidente Chiti, che è stato eletto presidente della Commissione politiche dell'Unione europea del Senato la settimana scorsa.
  La seduta odierna si svolge in un momento molto particolare. Siamo alla vigilia della chiusura, che noi tutti speriamo, della procedura di infrazione per deficit eccessivo subita dal nostro Paese. Quella di oggi è anche un'occasione per ascoltare dalla viva voce del Ministro le sensazioni e le opportunità che questa eventualità aprirà per il nostro Paese e per la sua prospettiva.
  Cedo la parola al Ministro Moavero Milanesi.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Ringrazio i presidenti Bordo e Chiti per questa audizione nelle Commissioni congiunte, che ci permette di fare con alcuni di voi una prima conoscenza e di riprendere con altri un dialogo che è stato molto intenso nei mesi scorsi. Ringrazio gli onorevoli deputati e senatori presenti. Credo sia un'occasione doppiamente interessante quella di affrontare oggi, insieme, le questioni relative al programma dell'incarico ministeriale che mi è affidato in seno al Governo. Da una parte, come è stato appena ricordato, noi speriamo che nella giornata di domani si confermino le anticipazioni quanto alla chiusura della procedura per disavanzo eccessivo relativa al deficit, che era stata aperta nei confronti dell'Italia qualche anno fa. La chiusura della procedura sarebbe un importante riconoscimento per lo sforzo che noi tutti, cittadini di questo Paese insieme alle istituzioni democratiche che lo governano e lo rappresentano, abbiamo compiuto in questi mesi per portare ordine e rafforzare la tenuta dei nostri conti pubblici e sarebbe, inoltre, maggiormente importante perché, come sapete, ci troviamo all'indomani di un vertice straordinario a livello europeo dei Capi di Stato e di Governo, che ha avuto luogo il 22 maggio scorso.
  Ne riparleremo in maniera più dettagliata nell'audizione di giovedì, ancora una volta con la presenza congiunta di Commissioni di Camera e Senato. Inoltre, ci troviamo all'antivigilia del Consiglio europeo che si terrà alla fine del mese di giugno: sarà un Consiglio denso di appuntamenti e di elementi, di cui oggi anticiperò alcuni dei contenuti, perché fanno parte degli impegni programmatici dell'attività.
  Vorrei sviluppare la mia presentazione in cinque punti.
  Il primo fa riferimento alla legge n. 234 del 2012, una novella legislativa che, come sappiamo, ha cambiato anche in maniera rilevante la prospettiva delle modalità con cui l'Italia partecipa all'Unione europea.
  Il secondo punto riguarda un aspetto estremamente importante, anche se a stretto rigore patologico, della partecipazione Pag. 4dell'Italia all'Unione europea, vale a dire la gestione delle procedure di infrazione alle regole europee.
  Il terzo e il quarto punto riguardano i due Consigli dell'Unione europea ai quali il Ministro per gli affari europei partecipa: il Consiglio Competitività, con particolare riguardo alle questioni relative al mercato interno, e il Consiglio Affari Generali.
  Infine, il quinto punto consisterà nell'illustrarvi come stiamo iniziando a predisporre la preparazione del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, che coinciderà con il secondo semestre dell'anno 2014. Siamo a un anno da questa data, ma naturalmente i lavori di preparazione iniziano con grande anticipo.
  La suddivisione di questi cinque punti individua in un certo qual modo l'insieme delle competenze di riferimento del Ministro per gli affari europei, così come si configurano nell'attuale compagine governativa, e sostanzialmente in continuità con il precedente Governo.
  Faccio un rapido riepilogo storico. Il Ministero, che allora si chiamava «per il coordinamento interno delle politiche comunitarie», è nato verso la fine degli anni ’70 e riguardava soprattutto la fase di recepimento delle normative della Comunità europea dell'epoca. Mi riferisco a quella che poi abbiamo imparato a chiamare «fase discendente» e che vede protagoniste proprio le due Commissioni XIV.
  In seguito, questa competenza è stata via via ampliata, includendo un coordinamento delle altre amministrazioni, sia ai fini del recepimento delle normative europee sia ai fini degli adempimenti conseguenti alle regole e alle norme europee, e quindi un coordinamento proprio sotto il profilo delle procedure di infrazione.
  Nella seconda metà degli anni ’80 c’è stata una progressiva assunzione della competenza sul mercato interno da parte dei Ministri, che hanno assunto il nome di «Ministri per le politiche comunitarie», avendo abbandonato il suffisso un po’ riduttivo «per il coordinamento interno delle politiche comunitarie». Tra la fine degli anni ’80 e l'inizio degli anni ’90 la realizzazione del mercato interno era il cuore, per non dire l'azione, nettamente predominante, a livello di Comunità europea. Pensiamo al Libro bianco, alle 300 direttive, al 1992 come anno di svolta per il completamento di questo spazio senza frontiere, senza ostacoli, con libertà di movimento per persone, merci, servizi e capitali. Il Ministro per le politiche comunitarie rappresentava dunque il Governo in un settore molto importante.
  Con l'ulteriore evoluzione, anche a livello interno, il Ministro per le politiche comunitarie, che dopo il Trattato di Lisbona viene ribattezzato «Ministro per le politiche europee», incomincia ad occuparsi anche di un certo coordinamento nella “fase ascendente”, ambito che oggi fa ancora pienamente parte della mia delega, con l'istituzione di un Comitato interministeriale, che è stato confermato dalla legge n. 234 del 2012, e che oggi si chiama «Comitato interministeriale per gli affari europei».
  Infine, con il Governo immediatamente precedente all'attuale, e con la denominazione di «Ministro per gli affari europei», viene individuata una persona in seno al Governo con il compito di seguire l'insieme delle questioni che rilevano nell'ambito della partecipazione italiana all'Unione Europea. Tale funzione comprende quindi anche la partecipazione al Consiglio dell'Unione europea detto «degli Affari Generali», che, evoluto anche esso negli anni, è divenuto l'istanza preparatoria del Consiglio europeo.
  Il Consiglio europeo, al quale partecipa il Presidente del Consiglio insieme ai Capi di Stato e di Governo dei diversi Stati europei, costituisce l'istanza più elevata dell'Unione europea, intesa nella sua piramide di democrazia.
  Il Consiglio europeo è preparato dalla riunione dei ministri europei dei vari Paesi, i quali, a loro volta, si vedono mensilmente e hanno anche il compito di assicurare una sorveglianza generale sulla messa in opera delle linee politiche del Consiglio europeo, che – vi ricordo – non ha poteri legislativi. Il potere legislativo risiede infatti nel Consiglio dell'Unione europea, a cui partecipano per formazione Pag. 5tematica i vari ministri di volta in volta competenti per materia. Il Consiglio europeo ha invece il compito di dare le linee politiche di indirizzo base, di cui bisogna poi assicurare la messa in opera. Questo è il compito a cui sono dedicati i vari ministri per gli affari europei.
  Nel nostro ordinamento il Ministro per gli affari europei riceve una delega dal Presidente del Consiglio. La delega, che mi è stata conferita nel corso della seduta di venerdì scorso, è analoga a quella che avevo nel Governo precedente. Sono quindi pienamente operativo nell'esercizio delle mie esposizioni odierne di fronte a voi.
  Inizio con il primo punto. La legge n. 234 del 2012 è in vigore dal gennaio di quest'anno e ha portato un'importante innovazione nel nostro ordinamento, contribuendo soprattutto a rendere più direttamente partecipata dai due rami del Parlamento la vita istituzionale del nostro Paese nell'ambito dell'Unione. Ciò riguarda principalmente la “fase ascendente”, rispetto alla quale vi è stata una forte valorizzazione del ruolo del Parlamento che, situandosi in questa prospettiva, diventa in un certo qual modo più pienamente partecipe della funzione legislativa. Questo può agevolare molto il vostro ruolo nel rapporto con il Parlamento europeo, secondo i termini del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
  Inoltre, sono stati rafforzati diversi strumenti, tra cui la consultazione e l'informazione preventiva e successiva del Parlamento. In particolare, questo significa anche che il Ministro per gli affari europei viene a riferire prima e dopo i Consigli a cui partecipa. Assumo formalmente l'impegno a venire ogni qual volta lo riterrete necessario, anche al di là della periodicità già intensa che caratterizzerà i nostri rapporti.
  È successo frequentemente, nella vita dello scorso Governo, che il Presidente del Consiglio riferisse al Parlamento prima dei Consigli europei, soprattutto quando il Parlamento in Aula desiderava adottare atti di indirizzo, e poi, come accadrà giovedì, il Ministro per gli affari europei venisse a riferire di fronte alle sei Commissioni (tre più tre) che di solito seguono più da vicino le attività di competenza in questa fase del Consiglio dell'Unione europea.
  È successo anche, per alcuni Consigli europei di importanza politica minore, o che il Parlamento riteneva di rilievo politico minore, che fosse il Ministro per gli affari europei a riferire alle Commissioni riunite, anche prima del Consiglio.
  Il secondo aspetto rafforzato dalla legge n. 234 del 2012 riguarda l'attività delle Commissioni tematiche le quali hanno la facoltà di sentire il Ministro di riferimento prima e dopo le riunioni del Consiglio dei ministri dell'Unione europea. È una facoltà prevista come tale dalla normativa, per rispetto alla sovranità del Parlamento. Il mio modesto avviso è che bisogna avvalersene quanto più possibile, perché è proprio sentendo il Ministro dello sviluppo economico prima che partecipi a un Consiglio su industria o competitività a livello europeo, piuttosto che il Ministro dell'economia e delle finanze o il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, che le varie Commissioni competenti potranno rendersi conto della evoluzione della legislazione europea, che per un Paese come il nostro arriva a influire sul 70 per cento della produzione legislativa corrente.
  È quindi estremamente importante conoscere le leggi in preparazione il prima possibile, in maniera tale da non rendersi conto dell'esistenza di eventuali difficoltà normative, ordinamentali o anche materiali, al recepimento di queste regole europee, quando si sta già nella “fase discendente”, ossia nella fase che comporta la discussione delle norme nazionali di recepimento. È meglio saperlo prima, in maniera da poter consentire al Governo stesso, laddove occorra, con mandato anche vincolante del Parlamento, di far presenti questi problemi nella fase di formazione della legislazione europea.
  Naturalmente, la maggior parte delle norme europee sono ormai adottate a maggioranza. Di conseguenza, può anche accadere che, malgrado tutte le posizioni Pag. 6e l'impegno negoziale, il nostro Paese si trovi poi in minoranza in seno al Consiglio. Questo fa parte della fisiologia democratica.
  Francamente, quello che io trovo più mortificante – lo dico come cittadino, prima ancora che come ministro – è quando, col voto in ultima analisi favorevole del Governo italiano in seno al Consiglio e col voto in ultima analisi favorevole dei parlamentari italiani al Parlamento europeo, sono adottate a livello di Unione delle normative, che poi a livello nazionale non riusciamo a far entrare pienamente in vigore in maniera corretta. Spesso lo facciamo tardi o in maniera incompleta e finiamo in procedura di infrazione. Questo crea una patologia che non ha ragion d'essere.
  Per queste ragioni, credo che sia molto importante l'informazione preventiva. Mi riferisco soprattutto alle audizioni preventive prima dei Consigli.
  Un altro aspetto fondamentale è quello della trasmissione di relazioni generali sull'attività dell'Unione europea, che consentono una presa di visione panoramica su tutta l'attività che è prevista per l'anno europeo, e delle note informative predisposte dalla rappresentanza permanente.
  Su questo ci sono degli adempimenti indicati dalla legge n. 234 del 2012, molto puntuali e molto innovativi, che permettono al Parlamento di avere in tempo reale, parallelamente al Governo, ogni tipo di documento, nota o riflessione provenga dalle istituzioni europee o dalla stessa rappresentanza permanente. Quest'ultima è una diramazione del Ministero degli esteri, che rappresenta lo Stato e quindi l'insieme dei suoi organi istituzionali e costituzionali. Di conseguenza, questo elemento di informazione diretta è molto importante.
  La legge n. 234 del 2012 prevede la possibilità di una riserva di esame parlamentare. È inoltre fissato un rafforzamento di quella che viene chiamata «informazione qualificata». Mi riferisco anche in questo caso all'invio di documentazione, di tabelle, di note e di quant'altro venga elaborato a livello di Governo per agevolare il nostro lavoro, e che possa essere condiviso con il Parlamento laddove sia ritenuto utile.
  Al fine di mettere in opera al meglio queste novità in merito al flusso di informazione e all'ordine dei lavori, sono in corso dei contatti a livello tecnico fra i funzionari dell'esecutivo e i funzionari dei due rami del Parlamento, per individuare le modalità migliori per rendere questo flusso di informazione realmente utile. In particolare, sono in corso dei contatti fra i vostri funzionari e i funzionari del Dipartimento delle politiche europee, che è la struttura amministrativa di cui più direttamente mi avvalgo. In accordo col Ministro degli affari esteri, per la parte di mia competenza, mi avvalgo poi anche della Direzione generale per l'Unione europea.
  Per esemplificare, qualche settimana fa, tra la fine dell'attività del Governo precedente e l'inizio di quella attuale, mi sono posto un interrogativo. A distanza di pochi giorni ho firmato lettere di trasmissione per diversi pacchi, abbastanza compendiosi, di documentazione prevista, da inviare al Parlamento ai sensi della legge n. 234 del 2012. Mi domandavo se, anche in questo caso, non si sarebbe finito col passare da una situazione di informazione parziale a una situazione di informazione talmente massiccia da tradursi in una difficoltà di disporre materialmente degli elementi di reale interesse in essa contenuti. Abbiamo comunque inviato tutta la documentazione, ma la riflessione che è in corso a livello tecnico è proprio diretta a trovare le soluzioni migliori. Naturalmente, si dovrà poi trovare l'opportuno accordo politico, ma su questo interverremo nel momento in cui le soluzioni tecniche saranno state identificate.
  A giorni, nel mese di giugno, partirà una fase transitoria sperimentale, sulla base della quale potremo valutare se e come stiamo dando attuazione corretta alla volontà del legislatore, che, come ho già detto, è quella di assicurare al Parlamento, e in particolare alle due Commissioni XIV, l'informazione maggiore e più tempestiva possibile.Pag. 7
  Parallelamente, come dicevo, esiste un flusso autonomo che – sempre novità della legge – arriverà attraverso la rappresentanza permanente a Bruxelles. Ci sarà quindi un diretto flusso informativo verso il Parlamento da parte della Rappresentanza, più l'informazione che sarà data a livello di esecutivo.
  L'importante è essere ben sensibilizzati su tutti questi aspetti che possono migliorare il funzionamento della cosiddetta «fase ascendente», cioè di formazione degli atti, in sede europea.
  La “fase discendente” è quella del recepimento delle normative europee, in particolare delle direttive. Le direttive sono particolarmente importanti perché, come sappiamo, lasciano un certo margine di manovra al legislatore nazionale chiamato a recepirle. Dagli anni ’80 abbiamo adottato uno strumento legislativo, la cosiddetta «legge comunitaria», anche nota come «legge La Pergola», dal nome di un illustre predecessore nonché Presidente di Corte costituzionale, grande giurista, Ministro e deputato europeo, Antonio La Pergola, scomparso pochi anni fa. La Pergola aveva pensato questo strumento per consentire al Parlamento un esame complessivo di tutte le normative adottate in sede europea che dovevano essere recepite nell'ordinamento nazionale, portando un netto miglioramento alla capacità del nostro Paese di recepire queste norme.
  Negli anni, tuttavia, lo strumento di un'unica legge annuale ha mostrato alcuni problemi. Ne cito due più specifici e più frequenti. Il primo problema è che quando la legge veniva finalmente approvata da entrambi i rami del Parlamento, ci trovavamo con un contenuto massiccio di disposizioni legislative da attuare, e a volte l'iter legislativo durava molto tempo. Nel frattempo si accumulava ritardo rispetto alla legge successiva.
  La seconda patologia riguarda anch'essa il fattore tempo. Come molte leggi cosiddette «omnibus» nel nostro ordinamento e nei nostri meccanismi parlamentari, anche la legge comunitaria era diventata una sorta di «omnibus» nella quale si infilavano anche altri provvedimenti che di volta in volta potevano essere ritenuti urgenti o necessari dal legislatore, ma che erano ultronei rispetto al corpo base della normativa stessa o avevano dei tenui legami di collegamento con essa.
  Tutto questo portava a un allungamento dei tempi e ad un appesantimento dello strumento normativo. Il risultato è che noi, soprattutto nel corso degli ultimi anni, abbiamo accumulato un notevole ritardo. La legge comunitaria 2010 impiegò più di due anni e mezzo ad essere finalmente approvata; la legge comunitaria 2011 si è fermata in Senato nella scorsa legislatura e non è andata avanti; infine, la comunitaria 2012, come nei classici convogli dei treni, è stata frenata dal fatto che fosse ferma la comunitaria 2011.
  Abbiamo ricompattato e ripresentato immediatamente questi disegni di legge all'inizio della legislatura. Penso che l'incardinamento avverrà oggi stesso alla fine della nostra audizione. Inoltre, le abbiamo inserite nella nuova duplice strumentazione della legge n. 234 del 2012: una legge cosiddetta «di delegazione europea», che riunisce tutti i provvedimenti che necessitano di una delega al Governo, e una legge cosiddetta «europea», che invece riunisce tutti gli altri interventi legislativi di carattere più puntuale.
  Il duplice strumento dovrebbe evitare, in caso di difficoltà legislativa, un effetto di stallo totale. Nel caso in cui ci fossero difficoltà con riguardo a una delega, piuttosto che a un provvedimento, fatta salva l'opportunità di stralcio che il Parlamento potrà sempre valutare, c’è comunque la possibilità di sdoppiare e di ridurre quindi più o meno a metà il rischio di difficoltà.
  Le due leggi che sono state presentate con l'inizio della legislatura, la legge di delegazione europea 2013 e la legge europea 2013, contengono naturalmente anche tutti i provvedimenti contenuti nei disegni di legge comunitaria 2011 e 2012. Le chiamiamo «europea», perché la denominazione «comunitaria» è scomparsa con gli ultimi trattati europei, che hanno superato le comunità europee. Adesso parliamo di Unione europea, per cui la denominazione più semplice è quella di Pag. 8«legge europea». L'alternativa poteva essere quella di usare il termine «unitario», che alcuni giuristi usano, ma che rende un po’ meno l'idea. Alla fine ci ritroviamo tutti in questa nuova denominazione.
  Noi speriamo che il rapido incardinamento dei due disegni di legge possa portare a una discussione approfondita, col coinvolgimento di tutte le Commissioni dei due rami del Parlamento e ad una spedita adozione. Se noi non procediamo rapidamente e compiutamente al recepimento delle nuove normative europee, cadiamo nella patologia delle infrazioni. Questo è il secondo punto. Le infrazioni riguardano sia ritardi nel recepimento rispetto ai tempi prescritti dalle normative europee, sia recepimenti di carattere incompleto, per esempio con aggiunte o sottrazioni che portano a una violazione dello spirito e della lettera della norma europea.
  A queste si aggiungono altre tipologie frequenti di violazioni, rappresentate dalle violazioni a norme già esistenti nell'ordinamento europeo, cioè alle norme dei trattati o alle normative di diritto derivato. Fra le infrazioni più frequenti a norme dei Trattati, abbiamo quelle in materia di tutela della libera concorrenza, in particolare per gli interventi pubblici nell'economia che si concretizzano nei cosiddetti «aiuti dello Stato alle imprese». Quando un aiuto dello Stato alle imprese viene giudicato illegittimo, allo Stato viene richiesto di ripristinare la situazione antecedente di par condicio tra concorrenti, che era stata falsata da un aiuto ad un'impresa a detrimento delle altre, con una lesione della concorrenza.
  Ripristinare la situazione anteriore all'aiuto significa recuperare l'aiuto presso i beneficiari. Sovente noi abbiamo delle grosse difficoltà nel recupero dell'aiuto. Queste difficoltà non insorgono unicamente a livello di atti dell'esecutivo, tra cui anche gli atti degli enti locali che hanno in precedenza erogato l'aiuto, ma riguardano anche gli atti della magistratura. Infatti, esiste la possibilità di ricorrere ai tribunali amministrativi per opporsi agli atti amministrativi di recupero e accade non di rado che i tribunali amministrativi dichiarino che quel recupero dell'aiuto vada sospeso o non vada effettuato.
  Una sentenza della Corte di giustizia europea ha detto con grande chiarezza in una causa che riguardava proprio il nostro Paese, cosiddetta « sentenza traghetti del Mediterraneo », che quando un giudice, pur nella sua indipendenza, senza porre un quesito pregiudiziale alla Corte europea stessa, applica male o viola una disposizione del trattato, lo Stato ne è responsabile. La Corte va anche oltre, indicando che dovrebbe essere identificata una forma di responsabilità del magistrato.
  Di fronte a questo, insorge per lo Stato il problema di trovarsi in una situazione in cui, in termini di diritto interno, non si ha materialmente la possibilità di procedere ad atti esecutivi per il recupero dell'aiuto, laddove, in termini di diritto europeo, si rischia di essere condannati di fronte alla Corte di Giustizia per il mancato recupero dello stesso.
  Le infrazioni hanno quindi una tipologia molto diversa e riguardano situazioni anche molto differenti fra loro. Il nostro Paese ha tradizionalmente una sofferenza sul fronte delle violazioni alle norme europee. Purtroppo, noi siamo stati per anni e siamo tuttora, seppur il differenziale si sia notevolmente ridotto, il Paese con il maggior numero di infrazioni alle norme europee. Attualmente abbiamo 98 procedure di infrazione aperte, istruite dalla Commissione europea, che ci possono portare in ultima analisi alla Corte di giustizia, e in ultimissima analisi si possono tradurre in sanzioni pecuniarie anche onerose, come vi dirò fra breve.
  Di queste 98 procedure, 83 riguardano casi di violazione del diritto dell'Unione europea e 15 casi di ritardato o mancato recepimento. Tra queste 15 ci sono alcune direttive che sono già scadute e che fanno parte di quelle che noi abbiamo inserito nella Legge europea o nella Legge di delegazione europea, anche se avevamo fatto dei decreti d'urgenza per evitare di cadere in procedura di infrazione, immediatamente Pag. 9battezzati «decreti salva-infrazioni». Si trattava appunto di infrazioni del diritto europeo.
  Nel corso degli ultimi dodici mesi c’è stato un grande sforzo per scendere, per la prima volta da quando esistono le rilevazioni, sotto le cento infrazioni. Novantotto procedure sembrano tante, e sono ancora tante, ma c’è stato uno sforzo molto imponente per scendere al di sotto delle cento infrazioni.
  Considerando che nel frattempo due disegni di legge comunitaria, che avrebbero potuto ridurre ulteriormente il numero delle infrazioni, erano fermi nelle discussioni parlamentari, questo risultato è stato raggiunto, per altra via, chiedendo ai Ministri di procedere all'emanazione di quei decreti a cui erano stati delegati dal Parlamento. Siamo chiari: le responsabilità legislative in termini di infrazioni gravano in modo equamente ripartito tanto sull'Esecutivo, quando spesso ritarda l'attuazione dei decreti ministeriali o legislativi per il recepimento delle direttive, quanto sul Parlamento, se ci sono ritardi nell'approvazione dei disegni di legge che contengono le soluzioni normative per quelle infrazioni.
  Ottantatré casi su 98 sono casi di violazione, quindi riguardano in generale atti dell'Esecutivo. Si tratta di leggi e di atti amministrativi che contrastano con le norme europee. Se guardiamo la ripartizione settoriale delle attuali infrazioni, giusto per darvi un'idea approssimativa, appare che la maggior parte di esse avviene nel settore ambiente. Abbiamo ben 31 infrazioni che a titolo diverso rilevano in materia ambientale, di cui circa 28 sono di competenza più specifica del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ciò avviene innanzitutto perché molte di queste normative ambientali trovano il nostro sistema Paese abbastanza impreparato, e di conseguenza c’è una difficoltà di adempimento. Inoltre perché queste normative chiamano in causa non solo l'esecutivo, ma molto spesso anche le Regioni e gli enti locali. Questo naturalmente allunga la catena.
  Abbiamo poi 11 infrazioni nel settore della fiscalità; 7 infrazioni nel settore del lavoro e degli affari sociali; 7 nel settore degli appalti; 5 nel settore dei trasporti. Una ventina delle 98 infrazioni totali riguarda regioni o enti locali. Sotto questo profilo, i ministeri che hanno il maggior numero di infrazioni, e quindi la maggiore esposizione, sono nell'ordine: il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della salute e via scendendo.
  Ci sono alcune infrazioni che presentano una situazione di particolare gravità. Ve ne sono 11 su 98 in cui siamo a forte rischio di condanna a sanzioni da parte della Corte di giustizia. Fino a prima del Trattato di Lisbona occorreva una prima sentenza della Corte che sancisse l'esistenza di un'infrazione. Di fronte all'inadempimento a questa prima sentenza, c'era un secondo ricorso alla Corte da parte della Commissione europea, come guardiano del rispetto del diritto europeo. In questa seconda sentenza la Corte poteva comminare delle sanzioni. Attualmente, le norme del Trattato di Lisbona prevedono la possibilità di incorrere immediatamente in sanzioni, già nel primo ricorso alla Corte.
  Le sanzioni possono essere molto pesanti. Attualmente pochi Paesi dell'Unione europea hanno subìto sanzioni. A noi è accaduto in un unico caso, nel 2011, che riguardava un mancato recupero di aiuti statali, considerati illegittimi ai sensi del diritto dell'Unione europea e quindi censurati dalla Corte di giustizia. È bene ricordare di che cosa si trattava. Si trattava di sgravi contributivi per i cosiddetti «contratti di formazione-lavoro». Parliamo quindi di un istituto che all'apparenza ci troverebbe tutti positivamente sensibili. Questi sgravi creavano, però, una situazione di aiuto illegittimo, che favoriva le imprese beneficiarie rispetto ad altre imprese non solo italiane, ma anche europee.Pag. 10
  Questi aiuti sono stati, pertanto, dichiarati illegittimi alla fine di una lunga procedura, costituita da una decisione della Commissione; da un ricorso alla Corte di giustizia; da una prima sentenza della Corte di giustizia; e infine da una seconda sentenza, che ci ha condannato a una sanzione di 30 milioni di euro di cosiddetta «somma forfetaria», tradotta in termini più correnti «multa» o «ammenda», e di altri 30 milioni di euro per ogni sei mesi di ritardo nel recuperare questi aiuti considerati illegittimi. Secondo la sentenza della Corte di giustizia, questi 30 milioni potevano essere ridotti a seconda della velocità di adempimento. Le penalità cosiddette «di mora», cioè di ritardo, sono studiate per vincolare lo Stato ad un adempimento veloce.
  Fino ad oggi abbiamo pagato 16 milioni 500 mila euro nel primo semestre, avendo beneficiato di questa riduzione, perché il meccanismo di recupero si è messo in moto. Comunque, questa violazione è costata allo Stato, e quindi ai cittadini contribuenti, 46 milioni di euro.
  Siamo a rischio di una seconda procedura di infrazione, che è attualmente di fronte alla Corte di giustizia con richiesta di sanzioni e che riguarda i meccanismi e le misure di controllo delle discariche abusive. Il problema, come sappiamo tutti, anche solo dalla lettura dei giornali, è molto grave. In questo caso c’è un inadempimento di direttive europee e la Commissione ha chiesto alla Corte di giustizia di comminare una multa di 61,5 milioni di euro – la multa non è ancora stata decisa e naturalmente noi resistiamo nel ricorso – e una penalità semestrale di mora di 46 milioni di euro, in caso di ritardo nella messa in opera di queste misure di controllo delle discariche.
  Se dovessimo essere condannati e se avessimo un ritardo di sei mesi dopo la condanna, questo costerebbe ai cittadini contribuenti 100 milioni di euro. Stiamo quindi parlando di somme importanti, che dobbiamo assolutamente cercare di salvare, evitando di portare alle estreme conseguenze la patologia delle infrazioni.
  Nel 2006 le infrazioni a carico del nostro Paese erano 276. Oggi ne abbiamo 98. Devo qui dare merito all'intuizione dell'allora Ministro per le politiche europee, oggi nostro Ministro degli affari esteri, Emma Bonino, che istituì presso il Dipartimento delle politiche europee una struttura di missione esplicitamente vocata alle infrazioni. Queste persone, alcune delle quali giovani e molto dinamiche, hanno contribuito nel corso di questi sei anni a ridurre le procedure di infrazione da 276 a 98. Penso sia importante che ne abbiate piena conoscenza. Ci sono strutture amministrative, anche extra amministrazione ordinaria – le strutture di missione sono spesso costituite anche con personale chiamato dall'esterno, con contratti temporanei – che possono rendere dei grandissimi servigi al Paese.
  Noi dobbiamo rafforzare i meccanismi di coordinamento con i ministeri e l'interazione Parlamento-Governo. È in questo che si rivelano essere molto importanti le disposizioni che troviamo nella legge n. 234 del 2012 agli articoli 14 e 15, proprio sull'informazione relativa a queste procedure.
  Il terzo punto della mia esposizione riguarda il Consiglio competitività. Il Consiglio competitività è un Consiglio che include una serie di formazioni diverse, che trattano questioni d'industria, di infrastrutture e anche di mercato interno. Alla componente mercato interno, per il Governo del Paese, partecipa il Ministro per gli affari europei. È un Consiglio importante in cui, anche nella componente mercato interno, transitano numerose misure che sono legate ad elementi che possono favorire la crescita e dunque la creazione di posti di lavoro.
  Nella formazione mercato interno del Consiglio competitività passano i cosiddetti «atti per il mercato interno», che sono atti annuali, e a volte ve ne sono anche due per anno. Questi atti contengono numerose e importanti misure per la crescita. Cito il pacchetto appalti, che sta rivedendo tutta la normativa relativa agli appalti pubblici. C’è poi il pacchetto di disposizioni sul riconoscimento dei diplomi, Pag. 11dei titoli universitari e delle qualifiche professionali, elemento fondamentale se vogliamo creare un vero mercato del lavoro europeo e offrire delle opportunità di lavoro, a chi lo desidera anche fuori dei confini del nostro Paese. Occorre infatti lavorare sul reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali e dei titoli di studio.
  Penso poi alle questioni legate all'economia digitale, e quindi all'agenda digitale e alla creazione di quel mercato interno unico digitale entro il 2015, che è stata ripresa ancora recentemente anche dal Consiglio europeo.
  Mi riferisco anche, all'interno del tema dell'economia digitale, alle questioni per la tutela della proprietà intellettuale, e del diritto d'autore in particolare. Il diritto d'autore non riguarda più solo il libro, la scultura, il quadro o l'opera musicale, ma anche la diffusione di opere musicali attraverso gli strumenti più moderni dell'informatica, e quindi la via digitale. Si tratta di capire in che modo si può tutelare la remunerazione degli autori in un'economia di grande e libera diffusione e in che modo si può evitare che questo si traduca in una limitazione della possibilità per l'utenza di fruire di queste opere. Si lavora su normative che vanno in questo senso, in particolare su un progetto di direttiva che riguarda proprio i diritti sulle opere musicali per l'uso on line e la lotta alla pirateria on line. Infatti, di fronte all'evoluzione degli strumenti, si deve far evolvere anche la normativa.
  Fanno capo al Consiglio competitività e alla sua sezione mercato interno, anche quelle questioni relative alla tutela della proprietà industriale. In questo campo sapete che l'elemento più importante dell'azione europea attualmente in atto riguarda il brevetto unitario per l'Unione europea, un nuovo istituto che unifica in un unico strumento europeo i vari brevetti nazionali. L'Italia a suo tempo non ha aderito alla cosiddetta «cooperazione rafforzata». Si tratta quindi di un'azione legislativa che riguarda solo alcuni Paesi, visto che non era possibile procedere tutti insieme. L'Italia e la Spagna non hanno aderito alla cooperazione rafforzata per l'adozione dei regolamenti istitutivi del brevetto unitario per l'Unione europea.
  Abbiamo anche presentato un ricorso, che è stato respinto dalla Corte di giustizia. La sentenza è del 16 aprile scorso. Con questo ricorso noi contestavamo che in materia di mercato interno si potesse fare uso della cooperazione rafforzata. La Corte di giustizia, dando un'interpretazione peraltro interessante e chiarificatrice, ha giudicato differentemente. Nel ricorso noi contestavamo anche il fatto che il brevetto unitario per l'Unione europea avrebbe adottato come lingue ufficiali l'inglese, il francese e il tedesco, e non l'insieme delle lingue dell'Unione europea, per motivi di semplificazione. Anche questo non è stato giudicato dalla Corte una violazione del diritto dell'Unione.
  A questo punto si pone per il nostro Paese la questione se aderire a questa cooperazione rafforzata. La segnalo ai due Presidenti perché questo tema dovrebbe formare l'oggetto di una riflessione in Parlamento. Infatti, a suo tempo, la decisione di non aderire alla cooperazione rafforzata fu presa anche a seguito di atti di indirizzo del Parlamento stesso.
  Peraltro, noi abbiamo firmato il trattato sulla costituzione di una Corte unitaria per il brevetto europeo, che dovrebbe assorbire l'insieme delle competenze che riguardano i brevetti già esistenti a livello europeo.
  Per essere concreti, un inventore italiano che desidera brevettare, attualmente brevetta in Italia secondo le procedure italiane. In seguito, se desidera una tutela anche negli altri Paesi europei, brevetta secondo il sistema del brevetto europeo, che fa riferimento ai regolamenti di cui abbiamo parlato. Se ci sono contestazioni giudiziarie del suo brevetto italiano, comparirà di fronte a corti italiane; se ci sono contestazioni della tutela del suo brevetto in sede europea, comparirà di fronte alla Corte unitaria per il brevetto europeo cui accennavo.
  Ci sembrava molto importante garantire che in questa Corte, istituita attraverso un accordo a cui abbiamo partecipato Pag. 12come firmatari, ci potesse essere anche un giudice italiano, e che questa potesse essere una Corte a noi non straniera, seppur utilizzante lingue diverse a seconda della situazione, bensì una Corte della quale facciamo parte. Resta però la questione base se aderire pienamente o meno al sistema del brevetto unitario e quindi ai due regolamenti.
  Il quarto punto concerne il Consiglio affari generali. Il Consiglio affari generali, come vi ho già anticipato, sostanzialmente prepara e cura il seguito delle linee del Consiglio europeo. I dossier e le questioni che sono trattati dal Consiglio affari generali sono di grande importanza e normalmente investono anche la competenza di altri Consigli. Vi cito alcune questioni più recenti.
  È stato discusso, nell'ambito del Consiglio affari generali, per poi approdare al Consiglio europeo, il quadro finanziario pluriennale, cioè la legge di bilancio dell'Unione europea per il periodo 2014-2020. L'attuale periodo 2007-2013 si concluderà con la fine di quest'anno. C’è stato un negoziato molto complesso, che si è concluso nel Consiglio europeo di febbraio con un accordo che, quando ho riferito in Parlamento nella precedente legislatura, è stato criticato da alcuni dei deputati e senatori che vi hanno preceduto, in quanto considerato un compromesso al ribasso.
  In effetti, per la prima volta nella storia dei bilanci dell'Unione europea, il bilancio 2014-2020 è leggermente inferiore, di 15 miliardi di euro, al bilancio del periodo 2007-2013. Nel nuovo bilancio ci sono 15 miliardi in meno ripartiti su sette anni e, tra l'altro, la somma accordata in sede di Consiglio europeo il febbraio scorso è addirittura inferiore rispetto a quella originariamente proposta dalla Commissione.
  In proposito è utile ricordare per memoria reciproca gli ordini di grandezza. Il bilancio su cui il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo corrisponde all'1 per cento del reddito lordo dell'Unione europea. La proposta della Commissione, che spesso viene definita in linguaggio corrente «la più ambiziosa proposta della Commissione», corrispondeva all'1,09. Ciò determina in termini assoluti una differenza, tra ciò che è stato deciso col compromesso e ciò che aveva proposto la Commissione europea all'origine, di 73 miliardi in meno su sette anni, divisi tra 28 Paesi. Dal mese di luglio la Croazia si aggiunge al numero dei Paesi dell'Ue, e quindi da 27 passiamo a 28 paesi. Stiamo parlando di cifre assolute abbastanza relative. Tuttavia, simbolicamente, c’è stata un'effettiva riduzione del bilancio.
  La mia personale opinione era e rimane che, tenuto conto della crisi economica e guardando a ciò che è avvenuto – per esempio – negli Stati Uniti, visto che l'Unione europea ha richiesto una forte disciplina agli Stati nella tenuta dei propri conti pubblici nazionali, si poteva immaginare di devolvere un bilancio realmente ambizioso a livello di Unione europea, per poter fare in quella sede delle politiche anticicliche, visto che si chiedeva agli Stati di fare politiche sostanzialmente procicliche.
  Negli Stati Uniti il bilancio federale è pari al 24,7 per cento del reddito lordo del Paese. Da noi è pari all'uno per cento. Se si fosse seguita la proposta più ambiziosa della Commissione, sarebbe stato pari all'1,09. Temo che siamo su ordini di grandezza radicalmente diversi. Pur rammaricandomi anch'io del fatto che per la prima volta si arretra, non posso non constatare che anche la proposta cosiddetta «ambiziosa» lo era relativamente rispetto a questo tipo di obiettivi che sono stati invece perseguiti negli Stati Uniti.
  Un altro dossier molto importante seguito dal Consiglio affari generali è quello che riguarda i seguiti del cosiddetto «Patto per la crescita e l'occupazione», deciso dal Consiglio europeo del giugno 2012, che comprende una serie di misure importanti che sono in fase di attuazione, anche se effettivamente con una visibilità scarsa anche per gli addetti ai lavori. Il Consiglio europeo del giugno prossimo si occuperà di seguire questa componente, anche per renderla più visibile, e chiederà al Consiglio affari generali un impegno ulteriore.
  Il Consiglio affari generali è anche incaricato dei seguiti di questa sorta di Pag. 13cammino futuro, o road map, che è costituito dal rapporto per un'unione economica e monetaria più efficace e ben funzionante, il quale prevede i cosiddetti «quattro pilastri». Il primo riguarda l'unione bancaria, che vuol dire la sorveglianza unica della BCE, un meccanismo comune per fronteggiare le crisi bancarie e la garanzia armonizzata dei depositi dei risparmiatori nelle banche a livello europeo. L'Unione sta andando avanti, seguita anche dal Consiglio di economia e finanza, l'ECOFIN, anche se vi sono alcune difficoltà di percorso di cui poi, se volete, vi posso parlare più in dettaglio.
  Il secondo elemento concerne una disciplina ulteriore a livello di garanzia reciproca sulla tenuta dei conti pubblici. Anche in questo caso non si tratta di rigorismo fine a se stesso, ma di una disciplina che possa far sì che gli Stati che condividono la stessa moneta abbiano fiducia l'uno nell'altro. C’è una legislazione adottata recentemente dal Parlamento europeo, denominata in gergo «Two Pack». Si tratta di un pacchetto di due regolamenti che si aggiungono ai sei regolamenti che componevano il cosiddetto «Six Pack», e che sono stati anche integrati nel «Trattato internazionale del Fiscal Compact», che prevede le regole di disciplina nella tenuta dei conti pubblici, e che si accompagna a quel Patto per la crescita e l'occupazione di cui vi dicevo in parallelo.
  Il terzo elemento riguarda la possibilità di rafforzare la disciplina nell'arco del semestre europeo, che è proprio quello che si conclude con il Consiglio europeo di giugno, e che prevederà le raccomandazioni specifiche ai Paesi. Tra le anticipazioni che sono uscite sulla stampa, avete letto, oltre all'anticipazione sulla possibile chiusura della procedura per disavanzo eccessivo, anche il testo delle raccomandazioni che vengono fatte al nostro come ad altri Paesi. Queste raccomandazioni non sono solo di contabilità e non sono neanche solo economiche, ma investono altri settori. Per esempio, a noi chiedono di ridurre il tasso di abbandono scolastico e universitario e di rendere più rapida la giustizia civile e amministrativa. Sono elementi che creano una disparità di condizioni tra i diversi Paesi, e che, tra l'altro, giocano anche contro la propensione all'investimento nel nostro Paese.
  Infine, l'elemento più interessante sotto il profilo della prospettiva, e il quarto di questa road map, è costituito dal rafforzamento della legittimità democratica e della pienezza della funzionalità democratica dell'Unione europea. Mi riferisco alla prospettiva dell'unione politica, il che si tradurrà, forse, nella creazione di una struttura realmente federale a livello di Unione europea. Sono dunque elementi di grande importanza.
  Passo molto rapidamente all'ultimo punto, che riguarda le questioni legate alla preparazione del semestre europeo di presidenza italiana che si svolgerà nella seconda metà del 2014. La nostra legislazione tradizionale, che risale agli anni ’80, prevede che presso il Ministero degli affari esteri si formi un gruppo di lavoro volto alla costituzione di una cosiddetta «delegazione rafforzata» per la gestione generale del semestre, con dei fondi di bilancio che fanno capo al bilancio del Ministero degli affari esteri, anche se poi le spese della gestione generale del semestre rilevano anche nel bilancio dei vari ministeri.
  Ovviamente io seguo la questione molto da vicino, in accordo con il Ministro degli affari esteri. L'organizzazione del semestre comporta certamente degli elementi di stanziamento di fondi, e quindi di rilievo per la competenza di bilancio del Parlamento, ma comporta anche degli elementi di carattere organizzativo, che rilevano sull'attività dell'esecutivo. Inoltre, l'organizzazione del semestre prevede l'individuazione delle priorità per il semestre stesso e questo è l'elemento più importante. Per queste ragioni, credo diventi fondamentale un'interlocuzione con il Parlamento, in maniera che le priorità siano realmente condivise tra legislativo ed esecutivo, per la buona prestazione dell'Europa durante questo periodo in cui avremo la presidenza, ma anche per quell'impronta che l'Italia intenderà lasciare, durante il suo semestre di presidenza, sull'attività dell'Unione europea.Pag. 14
  Concludo qui. La mia relazione ha occupato metà del nostro tempo e me ne scuso. Ho cercato di darvi degli elementi nella maniera più esaustiva possibile. Spero che la mia relazione sia stata sufficientemente dinamica da non annoiarvi o farvi distrarre troppo.
  Sono ovviamente a disposizione, oggi e in futuro, per qualunque tipo di domanda e di chiarimento. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Moavero Milanesi. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie signor presidente, ringrazio anche il Ministro per il grande lavoro che ha svolto e per questa relazione così ampia e corposa.
  Intendo intervenire su una serie di questioni. È una bella cosa che il Ministro sia nel Consiglio affari generali. Non sarebbe bene che anche la Rappresentanza fosse posta alle dipendenze funzionali della Presidenza del Consiglio – Dipartimento per le politiche comunitarie ? Lei ha ricostruito l'arco della vicenda della legge italiana sulla partecipazione alle istituzioni comunitarie. A partire dalla legge n. 11 del 2005, e con la legge n. 234 del 2012, noi abbiamo seguito un disegno riformatore fondamentalmente unitario. Mi sembra che la dipendenza funzionale della Rappresentanza dal Ministro per gli affari europei sia il completamento di questo disegno. In realtà, ciò che fa la Rappresentanza corrisponde esattamente all'azione del Ministero. Capisco che ci sono problemi burocratici di rivalità fra diversi ministeri, però mi sembra che questo migliorerebbe naturalmente l'efficienza del vostro lavoro.
  È importante il tema della disinformazione per eccesso di informazione. L'informazione deve arrivare essendo già in qualche modo processata. Altrimenti, bisogna che la Camera dei deputati si dia gli strumenti per processare l'informazione, in modo che i parlamentari siano portati tempestivamente a conoscenza delle questioni effettivamente rilevanti. Oggi l'eccesso di informazione rende difficile avere l'informazione rilevante. Mi domando se questa trasmissione di informazione avvenga nel modo corretto. Una volta c'era l'idea di una banca dati da costituire, con diversi livelli di accessibilità, messa a disposizione di tutti coloro che hanno titolo. Questo non semplificherebbe il vostro lavoro ? Spero che la trasmissione non avvenga ancora in via cartacea, ma ho il sospetto che sia così.
  Sul tema delle procedure di infrazione, a mio avviso, un aspetto della legge n. 234 molto importante è quello dei nuclei presso i diversi ministeri che devono seguire sia la fase ascendente che la fase discendente. Un problema grave che noi abbiamo è che chi ha trattato una questione nella fase ascendente, poi si occupa di altro. Quando arriva il tempo dalla fase discendente, il dossier viene preso in mano da qualcuno che non ha seguito la fase ascendente. Magari nella fase ascendente si era trattato duramente per avere una virgola o una parola in più o in meno, per difendere importanti interessi nazionali. Se chi prende in mano il dossier non è pienamente a conoscenza della trattativa, c’è il rischio che questi vantaggi guadagnati duramente al tavolo negoziale vengano in larga misura perduti. L'istituzione di nuclei che seguono sia la fase ascendente che la fase discendente aiuterebbe. Per di più la legge n. 234 ci fornisce dei criteri generali di delega, in modo che siano già più o meno noti a coloro che devono cominciare a scrivere i decreti. Inoltre, se il Parlamento ha intenzione di intervenire in modo più puntuale, ha lo strumento della legge europea. A me sembra che questo aiuterebbe a recuperare molti ritardi.
  Sulle procedure di infrazione mi permetto di dare un suggerimento. Si potrebbe istituire una Commissione d'indagine, oppure firmare un contratto con una università che faccia un'indagine sul sistema europeo degli aiuti alle imprese, ovviamente non nella dimensione giuridica, ma nella dimensione fattuale. Vedo che altri Paesi, che spesso ci rimproverano per il nostro sistema di aiuti di Stato, Pag. 15hanno livelli reali di aiuto di Stato autorizzati più elevati, anche di molto, rispetto ai nostri. Come mai avviene questo ? Siamo noi che non sappiamo utilizzare bene lo strumento ? Siamo troppo ingenui ? È colpa delle differenti strutture dei sistemi produttivi ? Non lo so. Su questo varrebbe la pena di fare un'indagine approfondita, per individuare, eventualmente, quali modifiche vadano apportate al nostro sistema di gestione degli aiuti di Stato. Penso prima di tutto al tema del de minimis, ma ce ne sono anche molti altri.
  Sulla difficoltà nel recupero degli aiuti, dobbiamo ammettere che noi abbiamo molte colpe, come Governo italiano e come Parlamento italiano. A volte abbiamo emanato dei regolamenti fatti per non essere applicati, per l'intenzione politica di favorire determinate categorie. Visto che non sono politicamente corretto, dirò esplicitamente che sto parlando del sistema delle quote latte. Non mi riferisco solo a questo, ma il sistema delle quote latte è quello in cui è più evidente che noi abbiamo fatto di tutto per metterci nell'impossibilità di assolvere impegni che pure avevamo assunto.
  Passando al tema della responsabilità dei magistrati, devo dire ai colleghi che, a suo tempo, io presentai un emendamento, che non passò, per mettere ordine nella legislazione italiana. La difesa a ogni costo della corporazione dei magistrati è impossibile e inaccettabile. Dobbiamo difendere la magistratura contro attacchi politici indebiti, ma la difesa della corporazione dei magistrati contro responsabilità che sono loro proprie non è possibile. Un magistrato che compia un errore inescusabile di diritto, ossia che non conosca il massimario della Corte europea o quello della Corte di cassazione, e che ignori dati di fatto documentati non può essere difeso. Bisogna che su questo punto, come Commissione, ma anche come Parlamento, facciamo una riflessione.
  Si pone poi il tema delle regioni e dell'adempimento comunitario. In merito io credo che bisognerebbe svolgere una riflessione insieme alle regioni stesse. Le regioni utilizzano troppo il fatto che il Governo, sulla base della clausola di flessibilità e cedevolezza, legifera al posto loro e, quando poi si trovano ad agire nell'ambito determinato dalla norma, spesso la ignorano. Su questo credo che bisognerebbe fare un lavoro con le regioni.
  Al brevetto unitario dobbiamo aderire. Nel momento in cui il futuro del Paese dipende dallo sviluppo dell'economia della conoscenza e, quindi, dalla capacità di investire conoscenza nei processi produttivi in modo sistematico, non possiamo stare fuori dal brevetto unitario, duplicando i costi per gli italiani che devono brevettare. So che il problema è complesso. Noi abbiamo un sistema di piccole e piccolissime imprese, le quali non sanno l'inglese e dovrebbero sapere più o meno quali sono i limiti del loro diritto di copiare. Perché c’è anche un diritto di copiare, che, però, ha dei limiti.
  Non potremmo noi proporre che lo Stato italiano si faccia carico della traduzione delle pretese – non del brevetto, solo delle pretese – in modo che il piccolo imprenditore che si muove in un'area sappia dove esiste il rischio di infrangere la legge e magari si faccia tradurre poi a spese sue il resto del brevetto, visto che non può farselo tradurre tutto a spese sue ? Una soluzione di questo tipo, io credo, potrebbe riconoscere le legittime domande della nostra piccola impresa, ma non escluderci dal sistema europeo della ricerca. Questo è il rischio che corriamo stando fuori dal sistema del brevetto europeo, ossia che i programmi di ricerca comuni a cui partecipano italiani vengano brevettati fuori d'Italia e da altri. Non è possibile.
  Infine, nel semestre europeo io mi auguro che ci sia uno stanziamento importante per l'informazione italiana sull'Europa. Noi abbiamo un pubblico italiano che ignora in larga misura come funzionano i sistemi europei, ragion per cui si diffondono sull'Europa leggende totalmente fuori dalla realtà. L'Europa merita di essere criticata in tanti aspetti, ma spesso è criticata per quelli sbagliati.
  Forse è altro il luogo dove parlare dei quattro pilastri. Andate avanti sul tema Pag. 16dell'unione politica, che è la condizione anche per dare certezze ai mercati e per affrontare e risolvere i problemi di una necessaria politica economica comune europea.

  LUIS ALBERTO ORELLANA. Porrò solamente due brevissime domande.
  La prima riguarda il caso virtuoso – mi sembra che sia stato così definito – della riduzione del numero di infrazioni. Pur rimanendo il numero alto, la riduzione è avvenuta grazie all'intervento, che lei ha citato, del Ministro Bonino, la quale ha creato una struttura dedicata a questo tema. Volevo sapere se questa struttura esiste ancora, se è stata potenziata e qual è la situazione in questo ambito.
  Passo alla seconda domanda, che mi preoccupa di più. Negli atti per il mercato interno del Consiglio di competitività si è parlato della revisione della normativa sugli appalti pubblici. Io, invece, in altri momenti, in questo Parlamento leggo interventi del Governo sull'Expo 2015 in cui si sta proponendo un Commissario unico che deroghi tutto pur di mandare avanti gli appalti. Non rischiamo in questo modo di incorrere in procedure di infrazione da parte dell'Unione europea proprio perché andiamo in deroga a normative sia nostre, sia, immagino, europee nella materia degli appalti pubblici ? Peraltro, stiamo parlando di cifre veramente elevate.

  DALILA NESCI. Buongiorno Ministro, grazie per questo incontro. Essendo la prima volta che ci incontriamo, vorremmo condividere con lei alcune nostre riflessioni.
  L'attuale modello di Europa, secondo noi, va cambiato, puntando consapevolmente alla politica dell'Unione. Questa è la base per il futuro, soprattutto per quello delle ultime generazioni. L'europeismo che informa le scelte concrete in Italia – ricordiamo la tassazione disumana sotto il Governo precedente – non ha alcun contatto con lo spirito dei padri dell'Europa.
  Costoro pensavano a un'Europa unita nelle singole diversità, a un'Europa delle opportunità, della coesione e del benessere. Pensavano, per sintetizzare, all'Europa dei cittadini, all'Europa della loro sovranità. Al contrario, l'Unione europea oggi è creatura e strumento di potere e di interessi forti che a Bruxelles trovano canali adeguati a veicolare le loro richieste.
  L'Europa unita di oggi è ben altro dall'insieme di popoli e civiltà dell'iniziale progetto di integrazione. Comunemente oggi si associa all'Unione europea l'ombra del potere finanziario, delle banche e delle loro relazioni. D'altra parte, c’è una rabbia diffusa e profonda, con la consapevolezza che l'euro non può essere arma contro la vita.
  Gli italiani non conoscono le decisioni assunte a Bruxelles, perché assunte attraverso procedimenti complessi da istituzioni estranee alla rappresentanza politica, anche se, come lei stesso ha detto prima, e questo ci fa molto piacere, il Parlamento, unica istituzione democratica, finalmente sta acquistando un ruolo più rilevante nel processo decisionale dell'Unione.
  Il Parlamento europeo ha acquisito dignità pari a quella delle altre istituzioni, il che era giusto e anche auspicabile. È di fondamentale importanza che ora esso possa intervenire nelle decisioni sul bilancio annuale, laddove le determinazioni finali sulle spese vincolate erano, invece, appannaggio del Consiglio dei ministri.
  In ogni caso, noi non vogliamo che in futuro si stravolga questo assetto. In merito vorrei una sua valutazione, per quanto riguarda, per esempio, gli atti delegati, che potrebbero mutare in delega in bianco per l'esecutivo comunitario senza partecipazione del Parlamento e, perciò, dei cittadini. Al riguardo ci siamo già espressi in questi termini con il Presidente del Consiglio e impegneremo anche il Governo alla vigilanza.
  Per quanto riguarda, invece, le procedure di infrazione, da parte nostra ci sarà l'impegno, in XIV Commissione, a verificare sempre la compatibilità delle proposte legislative con la normativa comunitaria, proprio per evitare sanzioni europee a Pag. 17carico dei cittadini. Parimenti, procederemo perché l'esercizio delle competenze dell'Unione sia il più possibile vicino ai cittadini.
  Lei ha già, in realtà, anticipato nel suo discorso che è giusto concorrere all'unità politica dell'Europa. Servono da subito misure per la crescita e programmi di specie, come il reddito minimo garantito, misura per un'esistenza libera e dignitosa, con una disciplina che ovviamente incentivi la ricerca di occupazione. Occorrono, inoltre, piani concreti contro la disoccupazione e accordi flessibili affinché il rigore, ove necessario, sia applicato in subordine alla specificità e alla potenzialità degli Stati membri.
  Un'altra riflessione riguarda la legittimità comunitaria, che non può essere il fondamento, né il pretesto della politica nazionale. Noi abbiamo detto che in Italia si fa il TAV perché lo chiede l'Europa, ma non si vara la legge anticorruzione, che invece Bruxelles domanda dal 1999.
  Bisogna, secondo noi, rilanciare l'idea di Europa federalista, caduta con l'arresto del progetto costituzionale. Per noi la crisi dell'Europa può diventare occasione di confronto e di vera ingegneria politica, se insieme sapremo uscire dagli schemi del potere per il potere e avviare politiche comuni in grado di generare benessere e prosperità per i cittadini, come sta già succedendo per le riforme in politica agricola e in politica della pesca.
  Le chiediamo se, secondo lei, l'Italia sarà veramente parte propulsiva della nuova stagione della fase costituente. Noi crediamo che solo se rilanciamo il progetto di una Costituzione europea possiamo condividere valori e intenti con gli altri Stati, in modo da orientare le politiche europee nel senso di un progresso non solo materiale, ma anche spirituale, così come stabilisce l'articolo 4 della nostra Costituzione. Va da sé che si restituisce sovranità al popolo se lo rendiamo veramente partecipe delle scelte.
  Un altro aspetto importante è quello di tutelare il risparmio privato e la sovranità pubblica, favorendo la disponibilità di denaro per le attività produttive e tutte le misure effettive contro la speculazione finanziaria. Secondo noi, va cassato il meccanismo europeo di stabilità, che non ha alcuna ragione giuridica.
  Per ultimo, nel quadro europeo occorrerà trovare il coraggio per togliere agli istituti finanziari privati il controllo dell'economia pubblica.
  Chiudiamo, signor Ministro, con un breve accenno a quanto sta avvenendo in queste ore, ossia l'archiviazione della procedura per deficit eccessivo a carico del nostro Paese. È una notizia molto importante e sicuramente positiva. Speriamo che il Governo sappia indirizzare le risorse liberate dai vincoli europei per rilanciare politiche a favore dell'occupazione giovanile e degli investimenti produttivi.
  Sappiamo anche che la disponibilità di risorse non è immediata, ma riteniamo auspicabile che, almeno in un primo tempo, possa essere scorporata dal calcolo del disavanzo almeno la parte della quota di cofinanziamento nazionale dei Fondi strutturali della prossima programmazione 2014-2020.
  Inoltre, le voglio semplicemente annunciare che, a nome del Gruppo, vogliamo presentare una richiesta per l'avvio, all'interno della Commissione XIV, di un'indagine conoscitiva che abbia come oggetto lo stato dell'arte dei rapporti tra il nostro Paese e l'Unione europea e, in particolare, lo stato della preparazione del semestre italiano di Presidenza. Si tratterebbe di un'indagine da svolgere tramite audizioni nell'ottica di una partecipazione e di una attività di monitoraggio del Parlamento in tale processo, così come auspicato dalla legge n. 234, di cui lei ha parlato prima.
  Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Propongo di far intervenire il Ministro in risposta a questo primo blocco di domande, altrimenti la lista delle risposte diventa lunghissima.
  Do la parola al Ministro Moavero Milanesi.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Grazie. Per quanto riguarda il primo gruppo di domande del Pag. 18presidente Buttiglione e la questione della banca dati, la banca dati esiste e fa parte della riflessione a cui facevo cenno a livello tecnico, in relazione al modo di renderla fruibile. La legge n. 234, tuttavia, richiede un invio specifico di informazione, per la quale usiamo strumenti informatici e non carta, a meno che non si tratti di comunicazioni molto brevi. Per esempio, io ho mandato recentemente alcuni cd, accompagnati da una lettera di cortesia. Il materiale hardware, però, era su supporto informatico.
  Per quanto riguarda i nuclei presso i ministeri, io ho ricordato a tutti i miei colleghi, in due occasioni dal tono vagamente pedagogico, ma comunque concreto, l'importanza di creare questi nuclei bivalenti, con fase ascendente e fase discendente.
  Per quanto riguarda il coinvolgimento delle regioni, di cui ho parlato ancora recentemente, io sono stato diverse volte alla Conferenza Stato-regioni, nonché alla Conferenza Stato-città, proprio per sensibilizzare. Quando si maneggiano le famose «patate bollenti», l'arte nel farle saltellare da enti locali a regionali fino allo Stato vede altri maestri oltre a noi. La sensibilizzazione esiste, dunque. Recentemente, parlando con il Ministro dell'ambiente, abbiamo discusso proprio su come, in merito alle infrazioni ambientali, si possa mettere in chiaro la responsabilità delle regioni.
  A proposito di responsabilità, pur essendovi nella sentenza della Corte di giustizia sul mancato recupero degli aiuti per i traghetti del Mediterraneo, il riferimento alla responsabilità dello Stato ed eventualmente del magistrato che coscientemente non chiede l'interpretazione della norma europea alla Corte, io credo che comunque la sede per disciplinare una materia di questa sensibilità e delicatezza sia una sede ad hoc e non un derivato delle norme europee, che in materia, in quanto tale, non dicono nulla. Questa era anche la linea che il Governo aveva, a suo tempo, adottato e, quindi, è in sede di Commissione giustizia e di attività del Ministro della giustizia che va stabilito se e come individuare le piste necessarie.
  Più importante è, viceversa, la responsabilità che noi tutti condividiamo sul fronte della riduzione delle procedure di infrazione. Questo tema mi porta alla domanda che è stata posta dal senatore Orellana.
  La struttura di missione esiste ed è rimasta operativa. Attualmente nell'ambito dei derivati della cosiddetta revisione della spesa c’è una certa tendenza a guardare queste strutture di missione, in generale, non con l'attitudine più aperta. Io credo, tuttavia, e se in merito esiste anche un'opinione del Parlamento la farò presente in sede di Governo, che, in particolare in questo caso, il tracciato dei risultati ottenuti e l'importanza di acquisire esperienze e capacità professionali, che non sempre ci sono nelle amministrazioni, ne giustifichi pienamente l'esistenza e la continuazione del lavoro.
  È stata evocata la questione legata alla collocazione della Rappresentanza permanente, che rappresenta lo Stato. In questo momento è una diramazione del Ministero degli affari esteri, come ricordavo già nella presentazione, ed è, tuttavia, a disposizione dell'insieme del Governo e delle altre istituzioni nazionali. Naturalmente, potrebbe, ma occorrerebbe una legge, essere collocata altrimenti. Nell'attuale collocazione opera comunque, io credo, con soddisfazione generale. La stessa legge n. 234 ha conferito alla Rappresentanza in quanto tale dei doveri precisi di informazione nei confronti del Parlamento a livello di trasmissione di documenti. Ciò ne dimostra, al di là della collocazione amministrativa, la plurivalenza.
  Per quanto riguarda la questione appalti ed Expo, dovrà essere, mi permetto di dire, nostra cura – mia e anche vostra – vigilare sul fatto che non si attuino deroghe che poi ci portino, paradossalmente, in una procedura di infrazione. Dico «paradossalmente» a doppio titolo. In primo luogo, perché è una questione talmente visibile che si finirebbe proprio in una vetrina amplificata. Laddove Pag. 19l'Expo è un'occasione per amplificare le qualità del Paese, se parallelamente finiamo nelle procedure di infrazione, sarebbe proprio una storia triste. In secondo luogo, perché l'attuiamo in una fase in cui tutti conclamiamo a tutti i livelli la grande attenzione alle norme europee, cerchiamo, quindi, di non violarle.
  Per quanto riguarda la serie di questioni che venivano sollevate dal deputato Nesci, forse la mia risposta emergeva anche da quanto lei diceva: in realtà, noi condividiamo molto la visione dell'Europa. Io personalmente, avendo passato nell'impegno nelle istituzioni europee e, più in generale, per l'Europa, la maggior parte della mia vita non solo professionale, ma anche, nel frattempo, personale – non voglio mettere limiti, ma ho passato numerosi anni a lavorare nelle istituzioni europee – io credo che non ci sia un'Europa realmente unita, se non è un'Europa col pieno sostegno dei cittadini.
  Perché ci sia il pieno sostegno dei cittadini io credo che sia fondamentale far funzionare la cinghia di trasmissione delle democrazie rappresentative. Da ciò viene l'attenzione con cui nella passata legislatura ho cercato di stimolare il rafforzamento della legge n. 234, pienamente sostenuto e, anzi, ulteriormente sopravanzato dallo stesso Parlamento, affinché i due rami del Parlamento fossero sempre più coinvolti a uno stadio, come dicevo prima, sempre più precoce.
  È questo il modo per far non solo ben metabolizzare le fasi legislative, ma soprattutto per realizzare un controllo democratico dei cittadini, attraverso i loro rappresentanti nei Parlamenti, su ciò che viene deciso a livello di Unione europea. Senza dubbio gioca un ruolo il Parlamento europeo, unica istituzione eletta a suffragio universale dell'Unione, che poi, indirettamente, ma in modo atipico rispetto a ciò che avviene in molte democrazie rappresentative, esprime la Commissione europea, sul cui operato esercita un sindacato.
  È molto importante il Parlamento europeo e sono importanti, parallelamente, i Parlamenti nazionali, non solo nell'interazione prevista dal Trattato di Lisbona, ma anche in questo loro ruolo di controllo sui Governi e su quanto i rappresentanti dei Governi vanno a discutere in sede di Consiglio dell'Unione europea.
  Io ho cercato, e ci sono riuscito, nel corso del mio mandato nel precedente Governo, di incontrare tutti i mesi i membri italiani del Parlamento europeo, condividendo con loro, che rappresentano la componente italiana del legislatore Parlamento europeo, l'insieme di riflessioni e di opzioni da prendere insieme a me, che rappresento pro quota la componente italiana in seno al Consiglio, l'altro ramo legislativo dell'Unione.
  Questo aspetto è fondamentale, soprattutto in questa fase, come Lei diceva, realmente costituente, che si sta ulteriormente aprendo a livello europeo. Dico ulteriormente perché non si è mai chiusa. Conosciamo, però, le vicende della cosiddetta Costituzione europea, le vicende successive e le difficoltà delle diverse riforme dei trattati, soprattutto quando sono sottoposte a verifica del voto dei cittadini per quei Paesi che lo prevedono.
  Io credo che sia fondamentale, nel rispetto della nostra Costituzione, quanto l'Italia farà in questa fase costituente. In materia c’è la grande volontà di questo Governo, mia in particolare, ma anche del Presidente del Consiglio, che l'ha espressa in Parlamento, e del Governo nel suo insieme, di essere protagonisti propositivi, non solo protagonisti di discussioni che comunque si svolgono, ma anche portatori di temi per discussioni che magari ancora non si svolgono.
  Il Parlamento va, ancora una volta, coinvolto. Se poi, alla fine di questo percorso, dovesse mutare la forma istituzionale dell'Unione europea ed essa dovesse diventare una realtà federale – esprimo una mia personalissima opinione – io credo che, in quel momento, mutando la natura della partecipazione degli Stati in seno a un'unità di carattere federale, bisognerà inevitabilmente chiedere ai cittadini di esprimersi direttamente. Così come quando i diversi Stati italiani, centocinquantuno Pag. 20anni fa, si riunirono nel nascente Stato unitario e ci furono alcuni plebisciti, con gli istituti attualmente a disposizione si dovrà probabilmente operare. Questa è una mia personale opinione. Ciò avviene al termine di un processo che porta eventualmente alla nascita dei cosiddetti Stati Uniti d'Europa, o comunque di un'Unione europea compiutamente federale.
  Nel frattempo, però, c’è un ampio margine di partecipazione democratica dei cittadini attraverso gli istituti della democrazia rappresentativa e i nostri istituti costituzionali. Su questo fronte ci sarà grande impegno, che vale anche per le altre questioni che sono state menzionate: infrazioni, azioni per la crescita e azioni per l'occupazione. Non c’è crescita economica, se non si creano occasioni di lavoro per tante persone che ne hanno bisogno. Questo fa parte della stessa natura umana e trova fondamento nel primo articolo della nostra stessa Costituzione.
  Noi coniughiamo il binomio crescita e occupazione non in modo antinomico alla disciplina o al rigore. La disciplina e il rigore dei conti pubblici sono una precondizione anche di onestà nei confronti del cittadino contribuente, che vede il suo contributo al funzionamento dello Stato non sprecato, ma correttamente utilizzato e amministrato, nella logica del padre o della madre di famiglia. Vediamo, però, la crescita e l'occupazione come il reale segno tangibile di un'Europa presente, che vuole superare la fase più difficile della crisi economica. È in questo senso che, lanciando nel febbraio del 2012, con altri undici Primi ministri, una lettera che chiedeva al Consiglio europeo azioni di questo tipo, siamo approdati nel giugno del 2012, al cosiddetto Patto per la crescita e l'occupazione, di cui avremo a poche settimane da oggi una verifica di tappa molto importante, al Consiglio di giugno del 2013.
  Anche su questo punto penso che ci sarà un grande impegno, proprio nel senso di un coinvolgimento pieno della partecipazione il più possibile ampia degli italiani al momento europeo.

  PRESIDENTE. Grazie. Do nuovamente la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANTONINO MOSCATT. Signor Ministro, la ringrazio. Mi associo ai ringraziamenti per la relazione esaustiva e puntuale e per il quadro che ci ha fornito. Mi permetto di intravedere in questo quadro anche un forte ottimismo europeo rispetto all'operatività, al compito che ci viene affidato e alla sfida che attende questo Parlamento.
  Mi piace e ci piace l'idea di una ritrovata sinergia, di una forte collaborazione. Noi riteniamo di avere la necessità di sfruttare al meglio tutte le leggi e tutti i canali che permettono a questo Parlamento di poter essere propositivo e produttivo, di poter aiutare il ministero e, insieme, di poter creare tutte le soluzioni utili per uscire dallo stato che lei definiva di «patologia».
  Dopodiché, concentriamoci su questo obiettivo: usciamo dallo stato di patologia e diventiamo, come lei stesso ha detto prima, protagonisti. Guardiamo all'Europa con ottimismo. Proprio adesso che stiamo provando, si spera, a uscire dallo stato di infrazione, proviamo a guardare all'Europa non, come in alcuni casi si è fatto per lungo tempo in passato, come a una realtà negativa e oppressiva, ma una realtà in cui noi giochiamo un ruolo di governance, di governo delle proposte e degli eventi. Dobbiamo provare a essere un soggetto che guarda all'Europa come a uno spazio condiviso che offra cittadinanza all'innovazione, ai diritti e alle opportunità. Penso che su questo dobbiamo giocare un ruolo fondamentale.
  Io mi permetto di suggerire alcuni ragionamenti che sono propri di quello che ci aspetta per il futuro e che si rifanno anche, per esempio nella politica legata all'agricoltura, al nuovo sistema di politica agricola. Io penso che dobbiamo essere promotori di una politica che metta davvero al centro, in maniera concreta ed efficace, la sostenibilità ambientale, la competitività e l'efficienza.Pag. 21
  Parliamo di un sistema di politica agricola che inizia a puntare, per esempio, sulla biodiversità agroalimentare, sull'incentivazione delle filiere, sulla difesa e promozione della locazione delle aree territoriali. Parliamo di un sistema di politica agricola che noi possiamo iniziare a porre come questione importante a livello europeo.
  Lo stesso dicasi per le politiche energetiche. Noi non possiamo più demandare ad altri le scelte strategiche europee. Dobbiamo essere coloro che per primi pongono una questione forte sulle strategie rispetto alle politiche energetiche e sulle cosiddette alleanze rispetto alle politiche energetiche. Dobbiamo iniziare a inquadrare una politica che investa molto di più sulla produzione di energia da fonti rinnovabili e sul risparmio energetico.
  Dopodiché, come ultimo tema, mi permetto di fornire un suggerimento sul tema dell'immigrazione. Signor Ministro, l'Italia da sola non può sobbarcarsi un tema tanto importante. Questo fenomeno rischia di diventare, in questo momento storico, se sobbarcato solo sulle spalle del nostro Governo, un problema.
  Noi non solo siamo una nazione che vive ai confini di frontiera, ma dobbiamo anche avere l'ambizione di non essere territorio di periferia, bensì porta del Mediterraneo. Dobbiamo provare a chiedere all'Europa che investa sull'accoglienza, ma soprattutto su nuove forme di integrazione. Dobbiamo provare a immaginare che il nostro territorio diventi complessivamente il laboratorio per l'intercultura dell'Europa, non più solo una periferia di approdo per la disperazione, ma una realtà che appartenga un po’ a tutti. Questa è una tematica che appartiene all'intera Europa. Io penso che sulle tematiche dell'immigrazione dobbiamo iniziare a fare la differenza e a lanciare temi chiari, non una richiesta d'aiuto, ma una richiesta di condivisione di un'esigenza, che è quella di accogliere e di accogliere bene, nel rispetto dei diritti, ma soprattutto di salvaguardare anche le economie dei nostri comuni, che molto spesso devono caricarsi il peso dell'accoglienza.
  Come ultima considerazione, e chiudo, proviamo a portare l'Europa nei territori, nelle città, nelle amministrazioni. Non è facile. Molto spesso ci si lamenta che le amministrazioni comunali e gli enti territoriali non riescono a recepire le normative e i cosiddetti finanziamenti pubblici. Noi dobbiamo provare, però, a svolgere una formazione istituzionale rispetto non solo alla capacità di nuova programmazione da parte degli enti locali, ma anche alla capacità di accesso alle forme di finanziamento. Molto spesso i finanziamenti non si perdono perché siamo uno Stato menefreghista, ma perché probabilmente non c’è una precisa formazione rispetto ai temi dell'apparato burocratico e amministrativo delle sedi periferiche.
  L'Europa è un lungo cammino, che parte da lontano, ed è un cammino entusiasmante. Ministro, questo è un Parlamento particolare, anche molto giovane, ed è un Parlamento a forte vocazione europea. Noi saremo animati, in questi termini, non solo da una forte vocazione europea nella capacità di aiutarci a vicenda per risolvere le patologie, ma anche dalla voglia di essere ancora di più europei e di costruire un'Europa che rispetti il grande sogno che ognuno di noi ha, quello di un'Europa grande, in cui ognuno di noi si senta realmente cittadino.

  LARA RICCIATTI. Signor Ministro, signor presidente, onorevoli colleghi, quest'audizione avviene immediatamente dopo l'annuncio della decisione della Comunità europea di chiedere la chiusura della procedura di infrazione. Questa è una notizia indubbiamente positiva per l'Italia e anche per l'Europa.
  Rispetto, però, a questa notizia positiva e, quindi, anche alla spinta di entusiasmo che ha caratterizzato quest'audizione, che è stata molto ricca, noi di Sinistra Ecologia Libertà dalla sua relazione e soprattutto dalle sue priorità sul dibattito istituzionale e politico europeo ci saremmo aspettati una serie di punti, rispetto a quelli che lei ha presentato, strutturati in maniera un po’ differente.Pag. 22
  Abbiamo dimostrato che esiste una struttura europea che ha ancora bisogno di essere costruita. Nella sua eccellente e accademica, sebbene piuttosto tecnica, relazione lei ce lo dimostra, ma noi pensavamo che al primo punto della sua relazione ci sarebbe stata la proposta, anche a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal Ministro degli affari esteri Emma Bonino, di realizzazione di una vera unione politica del continente in senso federale. Questo al fine di realizzare l'obiettivo degli Stati Uniti d'Europa sulla base delle proposte avanzate in merito dal Presidente Hollande.
  Ovviamente siamo d'accordo con lei sull'importanza della legge n. 234 del 2012 per sostenere il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, aggiungendo anche e soprattutto, però, l'elezione diretta del Presidente della Commissione europea.
  Ci saremmo aspettati, tuttavia, parole un po’ più forti rispetto alla richiesta e alla volontà politica di modifica del Trattato europeo sulla convergenza dei bilanci, il cosiddetto Fiscal compact, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore della crescita e prevedendo anche una parziale europeizzazione del debito sovrano per la quota che supera il 60 per cento del PIL.
  Fra le proposte che noi abbiamo avanzato anche in sede di discussione del DEF e del Consiglio europeo del 22 e del 24 maggio vi erano quelle di chiedere lo slittamento della scadenza per il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali e per l'avvio della riduzione dello stock del debito, l'esclusione di alcune spese per investimento dai saldi del Patto di stabilità e il fatto che la riforma del Fiscal compact preveda la possibilità di un rientro più morbido e dilazionato nel tempo. Appare, infatti, piuttosto irrealistico che l'Italia preveda un rientro dal debito nel 2015 di oltre 15 miliardi l'anno.
  Ci saremmo aspettati anche di concordare con gli organismi dell'Unione europea l'applicazione della golden rule che escluda dalle regole di spesa introdotte dal Patto di stabilità e di crescita rivisto nel 2011 gli investimenti degli enti territoriali in svariati campi.
  Ci saremmo aspettati di utilizzare a livello europeo una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond, per finanziare e promuovere l'occupazione giovanile e la riconversione ecologica.
  Rispetto alla BCE, noi immaginiamo di ridefinirne il ruolo come prestatrice di ultima istanza.
  Ci sono anche alcune esigenze che l'Italia avverte, come membro dell'Unione europea. Rispetto alla sua relazione a noi piacerebbe proporre un programma europeo, una sorta di social compact, che è una questione un po’ diversa. Si tratta di un programma per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, per la lotta alle disuguaglianze e alla povertà, da concordare con gli altri partner continentali. Esso, peraltro, promuove un'iniziativa europea per combattere la disoccupazione giovanile e istituire un reddito minimo garantito per i cittadini europei a partire dalla proposta contenuta nell'ICE, l'iniziativa dei cittadini europei sull'argomento.
  C’è anche tutta una questione ambientale, che comprende, per esempio, la richiesta di ridurre l'emissione di carbonio, di rafforzare gli impegni degli Stati membri per raggiungere una quota di energia da fonti rinnovabili e il superamento di questa quota entro il 2020.
  Noi sosteniamo l'idea della cooperazione rafforzata per l'adozione della tassa sulle transazioni finanziarie e proponiamo che i proventi siano destinati a misure specifiche, tra cui quelle a sostegno dell'occupazione giovanile. Proponiamo, inoltre, una rapida approvazione e attuazione delle misure per la realizzazione di un'effettiva e completa Unione bancaria europea.
  Ci piacerebbe anche, ma siamo sicuri che questo avverrà, magari in una futura audizione, capire come il Governo decide di impegnarsi, soprattutto per il semestre della presidenza italiana.

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  EMANUELE PRATAVIERA. Signor Ministro, grazie per la sua disponibilità, che è stata anche ampiamente riconosciuta dagli interventi che mi hanno preceduto.
  So che dovrò essere brevissimo e per questo motivo non intendo assolutamente dilungarmi in concetti che sono già stati espressi. Proprio perché lei è stato molto disponibile con noi, io credo che anche noi dovremmo essere altrettanto disposti in termini propositivi.
  Mi spiego meglio: io condivido quando si parla di Stati federali europei; si può, però, ragionare sul modo. Come Paese noi abbiamo già perso molta della nostra autonomia in favore di un organismo che io definirei «ectoplasmatico»: è difficile definire i confini che l'Europa ha le sue specificità.
  Noi dovremmo ricostruire l'Europa non tanto sulla base delle nazioni che la compongono, quanto sulla base dei popoli che la compongono e, quindi, sfruttare l'esperienza, per esempio, delle macroregioni, in particolare quella del Baltico e quella, che è appena stata definita, dell'arco alpino. Dovremmo pensare di ampliare eventualmente il sistema delle macroregioni, pensando a quelle del Mediterraneo.
  Dobbiamo poi concentrarci sulle definizioni dei grandi temi che hanno a che fare con tutta l'unione politica, come le politiche migratorie che sono state appena ricordate.
  Inoltre, dovremmo ragionare anche sul suo inciso, per esempio, relativo agli aiuti di Stato. L'Unione europea ha saputo indebolire in maniera sostanziale la nostra cultura del lavoro. Mi riferisco all'artigianato, alle produzioni tipiche locali e anche ad attività annoverabili tra quelle millenarie, come la pesca. Noi abbiamo adottato sistemi che hanno distrutto una nostra specificità.
  Se l'Europa ci chiede di non adottare politiche a favore delle nostre produzioni, noi dovremo lottare contro chi, invece, non va a contrastare coloro che vogliono indebolire le nostre produzioni. Mi riferisco all’Italian sounding. È inaccettabile che l'Europa, che chiede, da una parte, di limitare le nostre specificità, dall'altra non vada a colpire chi produce merce di fatto contraffatta. Pensiamo al prosecco svedese o alla mozzarella di bufala cosiddetta campana, ma prodotta a Norimberga.
  Io credo che su questi temi si ricostruisca concretamente l'immagine di un'Europa vicina ai cittadini, nonché tutte le fasi di avvicinamento delle istituzioni al processo di riscossa economica dei nostri territori.
  Credo anche che il tema dei finanziamenti comunitari meriti una specifica azione da parte del Governo, soprattutto in materia di formazione. Questa è assolutamente una piaga del nostro sistema italiano. So che forse lei avrà poca competenza in questo settore, ma noi dovremo per forza riuscire ad agire su questa leva.

  ALESSIA MARIA MOSCA. In relazione alla brevità del tempo rimasto a nostra disposizione svolgerò solo alcune considerazioni in riferimento al suo intervento, che abbiamo apprezzato molto per la puntualità, anche nelle risposte che sono state fornite al primo giro di interventi.
  Dal nostro canto, anche noi, come gruppo del Partito Democratico, vogliamo offrire tutta la nostra disponibilità, in tutti i passaggi che ci saranno, sia nel breve, sia nel medio termine, in modo particolare per quanto riguarda la preparazione del semestre di presidenza. Ne sentiamo non solo il peso, ma proprio la responsabilità, perché pensiamo che questo percorso di costruzione passi anche attraverso ciò che questa Commissione potrà fare in relazione al lavoro del Governo.
  Mi soffermo solo su alcuni punti specifici. Ci saranno tante occasioni di incontro e, quindi, avremo modo di approfondire tutte le altre tematiche.
  Il primo punto è in relazione alle questioni, che sono state sollevate, di maggiore vicinanza e di maggiore coinvolgimento con i cittadini. Io credo che sia importante, nel percorso che abbiamo davanti, nel prossimo anno di preparazione alla tornata elettorale per il Parlamento europeo, promuovere una grande iniziativa che coinvolga proprio tutti i cittadini. Si tratta, infatti, del più alto momento Pag. 24democratico di coinvolgimento di un organismo sovranazionale che viene eletto da tutti i cittadini.
  Molto spesso questa viene colta e vissuta come un'elezione di secondo grado. Noi crediamo, invece, che sia opportuno concentrare subito gli sforzi perché si sappia per che cosa vengono eletti i parlamentari europei e qual è il loro ruolo, affinché non prevalgano, come è spesso accaduto, le logiche nazionali.
  Credo che questo sia un percorso da fare da subito perché si possa arrivare all'appuntamento del prossimo anno con un lavoro di preparazione che necessita chiaramente di tempi non immediati.
  Colgo uno spunto che è stato sollevato da colleghi di altri gruppi, in modo particolare dal Movimento 5 Stelle, per quanto riguarda il tema Expo, che mi sta particolarmente a cuore e che io voglio ribaltare. Io credo che Expo sia una grande occasione, non solo per l'Italia, ma anche per l'Europa. Esiste un protocollo che l'Unione europea ha firmato e sottoscritto con la società Expo di Milano perché questa non sia un'opportunità né della sola città, né del nostro Paese, ma anche dell'Europa tutta. Chiedo, quindi, quali azioni possano essere condotte perché effettivamente questa diventi un'occasione europea per parlare di temi che all'Europa sono molto cari.
  Ne cito due. Come sappiamo tutti, il tema di Expo è «Nutrire il pianeta, energia per la vita». Pensiamo a che cosa significa questo per quanto riguarda, per esempio, il tema della cooperazione internazionale e i temi dell'alimentazione e della sicurezza alimentare. Sono questioni su cui l'Europa ha molto potere di intervenire anche da un punto di vista normativo.
  Aggiungo un ultimo punto, molto brevemente, per quanto riguarda il quadro finanziario pluriennale e i limiti che esso comporta. Io credo che sia utile, dal nostro punto di vista, che il nostro Governo possa avanzare alcune proposte che sono già state discusse, legandole magari ai temi che ci stanno particolarmente a cuore.
  Tra questi ci sono soprattutto quello della creazione di lavoro per i giovani. Si potrebbero, quindi, utilizzare strumenti tipo eurobond o project bond che vadano a finanziare azioni molto concrete, per esempio di formazione, di scambi e di occasioni di lavoro per i giovani. Questo sarebbe un altro modo per poter avvicinare i giovani cittadini a quello che l'Europa può fare per loro.

  ADRIANA GALGANO. Signor Ministro, noi siamo molto contenti del fatto che usciamo dalla procedura di infrazione europea e ci auguriamo che questo serva ad acquisire, oltre che più credibilità, anche più peso.
  L'impressione che si ha dall'Italia su quello che accade nell'Unione europea, infatti, è che l'Italia non pesi per quanto paghi. Siamo il terzo contribuente dell'Unione europea, ma continuiamo ad avere decisioni che danneggiano le nostre imprese. Potrei partire da Basilea 2 e da Basilea 3, per arrivare all'ultima decisione sui brevetti.
  La nostra è una struttura di piccole aziende. L'80 per cento delle aziende italiane è piccolo, a differenza di quanto avviene negli altri Paesi. Non è possibile che non sia stata inserita la lingua italiana, ma soprattutto che le Corti non siano in Italia, ma in tre Paesi stranieri. Ho letto un report che dice che una causa può costare come minimo 200.000 euro e quindi avrebbe costi per una piccola impresa assolutamente proibitivi. Questo è un punto da considerare con molta attenzione.
  L'altra impressione che si ha, sempre da qui, è che gli altri Paesi giochino coordinati e che abbiano una struttura di sostegno per i loro interessi più forte della nostra. Parlo dell'ultima vicenda che ci riguarda, la vicenda della Thyssen Krupp – AST Terni. L'impressione netta che si ha è che Germania e Finlandia giochino insieme, dandosi di spalla con la Francia, e che a rimetterci poi saremo noi. In merito le chiedo una grandissima attenzione, anche nel chiedere che sia resa pubblica la data ultima entro cui Outokumpu deve Pag. 25formalizzare l'accordo per la vendita di Thyssen Krupp e AST.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Moavero Milanesi per la replica.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Grazie. Svolgo una serie di chiarimenti puntuali su alcuni punti e poi una considerazione conclusiva di insieme.
  Innanzitutto, più interventi hanno sollevato la questione della formazione, soprattutto a livello di enti territoriali e regionali. Uno dei compiti del Dipartimento per le politiche europee è proprio quello di intraprendere, in collaborazione con la Rappresentanza della Commissione europea in Italia – si tratta di fondi misti nazionali ed europei – azioni di formazione che sono state nel corso degli ultimi mesi, anche su mio impulso, focalizzate proprio sulla formazione dei funzionari, degli operatori a livello locale, regionale e, parallelamente, anche nazionale. L'Europa è vicina, ma nel quotidiano è anche piuttosto lontana.
  Sull'energia e su alcuni aspetti legati a questo tema io mi permetto – faccio uno spot pubblicitario – di rinviare all'audizione esagonale di giovedì prossimo, 30 maggio. Uno dei grandi temi del Consiglio di maggio è stato proprio quello dell'energia e, quindi, vi ritorneremo.
  Sono assolutamente d'accordo sull'idea che le questioni collegate all'immigrazione, oltre che essere portatrici indubbiamente – bisogna anche prenderne atto – di elementi di inquietudine nei cittadini, sono anche una grandissima opportunità, come tutti sappiamo bene, oltre ad avere una valenza etica nella quale dobbiamo necessariamente riconoscerci, alla luce dei nostri valori nazionali ed europei. La questione va affrontata in sede europea, sotto il profilo sia di una strutturazione e di un'integrazione culturale, materiale ed economica, sia delle politiche collegate, quali visti asilo e via elencando.
  Non dimentichiamo che una persona che entra in qualunque punto del territorio dell'Unione europea, se non ha situazioni penalmente rilevanti o di altro genere, ma che rilevano di pochissime eccezioni, come sanità o questioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica, circola liberamente. Un soggetto può entrare nell'estremo Nord della Finlandia e gironzolare fino alla nostra Sicilia, o viceversa.
  Dobbiamo assolutamente affrontare il tema in chiave europea. Io ne ho parlato con i colleghi ministri che sono più direttamente coinvolti. Proprio ieri ho avuto una riunione col direttore generale della Commissione europea che segue queste questioni, il quale era in visita a Roma.
  Ci sono elementi che fanno già parte della realtà attuale, oltre che di quella in divenire dell'Europa. Un esempio è proprio quello delle macroregioni. Le macroregioni, o euroregioni, sono uno degli elementi costitutivi di questa realtà europea, che punta a superare la tradizionale divisione unicamente tra Stati nazionali.
  Per quanto riguarda le misure di aiuto e di finanziamento, dobbiamo essere bene attenti nelle nostre categorie di discussione: un conto è quando parliamo di finanziamenti del bilancio dell'Unione europea, che possono essere preassegnati agli Stati – agricoltura, Fondi di coesione e, più in generale, i cosiddetti Fondi strutturali europei – un altro è quando parliamo di risorse nazionali. Le seconde sono sottoposte a un esame europeo di compatibilità alla luce delle pari condizioni di concorrenza che devono caratterizzare un mercato aperto di livello europeo. Ed è lì che noi abbiamo patologie. Non le abbiamo solo noi, anzi, noi ne abbiamo meno che in passato. Il problema è che dove le abbiamo diventano molto rapidamente acute e magari sfociano nella giurisprudenza di cui parlavamo prima.
  Il Paese che fornisce il maggior numero di aiuti pubblici alle proprie imprese è la Germania. Se andiamo indietro di una ventina d'anni, vediamo che l'Italia e la Germania si contendevano questa prima posizione come erogatori di aiuti. In quegli anni c'era chi diceva che il debito pubblico italiano esplodeva perché noi non avevamo sufficienti risorse in surplus da dedicare al sostegno dell'economia. Lo facevamo a Pag. 26debito e prima o poi questo debito accumulato sarebbe arrivato a un redde rationem.
  La Germania ha attuato analoghe politiche partendo probabilmente da situazioni di tenuta dei conti pubblici e di funzionamento generale della propria economia, senza entrare nei dettagli, che hanno funzionato meglio. La Germania è il Paese che eroga il maggior numero di aiuti ed è anche quella che riceve sovente il maggior numero di pronunce di divieto di aiuti.
  Prendiamo l'esempio degli aiuti de minimis che erano stati citati prima dal presidente Buttiglione. Si tratta degli aiuti di minima entità, sotto i 250.000 euro per impresa o per iniziativa, molto importanti per le imprese di micro e piccola dimensione e, quindi, fondamentali per l'Italia. Questa è probabilmente la ragione per cui, quando nel 2009-2010 si decise provvisoriamente di raddoppiare questa soglia, portandola da 250.000 a 500.000 euro, il nostro Paese, con il Governo dell'epoca, aveva sostenuto l'azione. Ebbene, il rapporto della Commissione su questo periodo di ampliamento della soglia cosiddetta de minimis ha portato a un risultato che francamente merita di essere ricordato: oltre l'80 per cento degli aiuti cosiddetti de minimis a 500.000 euro a soglia allargata sono stati erogati unicamente in Germania. Ciò significa che meno del 20 per cento sono stati erogati negli altri 26 Paesi, incluso il nostro.
  Questo punto ci deve far riflettere. La normativa sugli aiuti di Stato non va vista, soprattutto da un Paese come il nostro è attualmente, come una normativa di divieto potenzialmente repressivo dei nostri desideri di sostegno all'economia. La normativa sugli aiuti di Stato tutela un Paese che ha minori margini nei propri conti pubblici dal rischio di una concorrenza da parte di Paesi che hanno maggiori margini.
  Io personalmente mi muovo, ma è bene che voi lo sappiate, in controtendenza rispetto a quella che fu – usiamo il passato remoto – una tradizione italiana, quella di chiedere sempre maggiori margini di manovra negli aiuti pubblici. Io tendo a raccomandarmi, quando incontro il Commissario alla concorrenza, di applicare il massimo rigore e la massima severità su tutti gli aiuti erogati in giro per l'Europa, che sono in misura nettamente maggioritaria erogati in Paesi diversi dal nostro. Credo, quindi, che, fintanto che noi abbiamo margini più limitati nei nostri conti, abbiamo un interesse notevole acché la normativa sugli aiuti di Stato sia applicata con la dovuta severità, per evitare che altri Paesi, e quindi imprese stabilite in altri Paesi, ricevano un vantaggio competitivo maggiore. Questa è una delle componenti di quegli elementi di vigilanza europea sulla spesa in generale che sovente tendiamo a dimenticare, ma che in realtà vanno viste un po’ tutte per avere il quadro completo.
  La deputata Ricciatti elencava una serie di questioni, che effettivamente io non avevo necessariamente menzionato tutte, per cercare di concentrarmi più su altri aspetti. Vorrei, però, riprenderle molto rapidamente.
  Io ho inserito l'unione politica – si può discutere sulla sistematica degli interventi facendone seminari interi – verso la fine per concludere con un tono alto. L'idea è che faccia parte proprio della pietra angolare del nostro orizzonte e, quindi, la si può tranquillamente spostare all'inizio.
  Suggerirei, però, e sono pronto a discuterne qualora lo riteniate utile e necessario, un'attenta lettura delle, pur importanti, proposte avanzate dal presidente francese Hollande, il quale ha parlato non di unione politica, ma di rafforzamento della governance dell'unione economica. È una proposta che senza dubbio ci porta su quella strada, ma che per il momento riguarda essenzialmente il funzionamento dell'unione economica e monetaria, riprendendo, peraltro, proposte che erano già state avanzate. È una rifocalizzazione molto importante, ma che sconta ancora una certa distanza dalla prospettiva dell'unione politica in quanto tale.
  Per quanto riguarda la modifica del trattato sul Fiscal compact e le misure per la crescita, noi mettiamo il Fiscal compactPag. 27– non a caso, si usa un'espressione analoga – accanto al cosiddetto «growth compact», ossia mettiamo il Patto per la disciplina dei conti pubblici accanto al Patto per la crescita e l'occupazione. Non a caso i due arrivano a emergere in parallelo nel giugno del 2012.
  Leggiamo anche attentamente – qui esce fuori il giurista che giace in me – il trattato sul Fiscal compact. Non è così rigido e monolitico come si tende a volte a leggerlo. Prova ne è che noi abbiamo ottenuto, tra il Consiglio europeo di dicembre 2012 e il marzo 2013, l'importantissima affermazione, nelle conclusioni formali del Consiglio, sull'utilizzazione dei margini di flessibilità consentiti dal Patto di stabilità e, dunque, anche dal Fiscal compact, sulla possibilità di fare investimenti pubblici produttivi, pur tenendoci al di sotto del 3 per cento.
  Questo va proprio nel senso di affermare che non si va a tappe forzate verso l'assoluto pareggio del bilancio, ma soprattutto che, fintanto che perdura la situazione di crisi, si possono fare investimenti pubblici produttivi senza superare il tetto del 3 per cento.
  È una situazione molto interessante per un Paese che si augura mercoledì di avere riconosciuta formalmente, non solo attraverso anticipazioni, l'uscita dalla procedura di disavanzo. Ciò significa che noi rientriamo in quel braccio preventivo, in quella parte preventiva del Patto di stabilità che comprende i Paesi che stanno sotto il 3 per cento col deficit, il che ci consentirà di avere un polmone di investimenti. Chi sta nel braccio correttivo, nella parte correttiva, sopra il 3 per cento, non potrà averlo. Vi assicuro che la suddivisione è ben percepita anche da chi è rimasto, seppur ottenendo tempi più lunghi di rientro, al di sopra del 3 per cento e che, quindi, c’è un importante margine. Dopodiché, all'occorrenza, come tutte le norme giuridiche, si può ridiscutere anche un trattato internazionale, pur rimanendo nell'ottica del rispetto dei patti stipulati.
  Preciso questo punto anche per riprendere il concetto di quella che non è proprio la golden rule classica: questi investimenti, infatti, verrebbero computati in bilancio, ma valutati positivamente. La valutazione viene esaminata non solo a livello istituzionale, ma anche dai cosiddetti mercati. I mercati, per un Paese che ha un alto debito pubblico, sono molto importanti, perché è di fronte ai mercati che noi rifinanziamo il debito. Peraltro, uno degli elementi positivi dell'uscita dalla procedura di disavanzo eccessivo è che la riduzione del rischio Paese dovrebbe portare una riduzione dei tassi di interesse sul nostro debito pubblico, con un immediato beneficio in termini di minor spesa per il debito. Ciò significa minor richiesta ai cittadini di partecipare anche a questo tipo di spesa.
  Per la tassa sulle transazioni finanziarie ricordo, ma certamente lo sapete, che l'Italia ha aderito alla cooperazione rafforzata e che il destino di questa tassa è ancora aperto. È materia di riflessione aperta e si deve vedere anche quale sarà il gettito effettivo.
  Sono stati menzionati a varie riprese i cosiddetti eurobond. È una nozione che non ha una risposta unica. A questa categoria viene ricondotta una pluralità di strumenti.
  Vi espongo la mia personale idea. Io penso che l'area dell'euro, la cosiddetta zona euro, come evocato dal Rapporto dei quattro presidenti, quello sullo sviluppo dell'unione economica e monetaria, potrebbe dotarsi di una capacità di bilancio autonoma, diversa dalla capacità di bilancio nazionale degli Stati e anche dal bilancio dell'Unione europea. Naturalmente, questa capacità di bilancio autonoma avrà tanto più un senso quanto più questo bilancio sarà nutrito da nuovi strumenti. Uno strumento che potrebbe nutrire questo bilancio autonomo dei Paesi della zona dell'euro in quanto tale sarebbe proprio quello delle emissioni di titoli di debito pubblico. Le potremmo chiamare eurobond, ma non sono gli eurobond che mutualizzano il debito esistente, bensì gli eurobond che creano un nuovo debito, chiamiamolo federale, un po’ sul modello di quanto si fece negli Stati Uniti con la Pag. 28riforma di Hamilton, che sovente ormai troviamo nella stampa. Si tratta, secondo me, di una pista molto importante.
  Quanto ad ambiente e altri elementi, sono fondamentali. Io penso, peraltro, che molti degli investimenti produttivi di cui andiamo parlando dovrebbero rivolgersi proprio a settori come l'ambiente e la manutenzione del sistema Paese più in generale. Questo potrebbe offrire anche grandi opportunità di lavoro a piccole e medie imprese e ai giovani, in una visione di economia un po’ più moderna, ed è uno degli elementi essenziali del nostro progredire.
  Concludo con due considerazioni. Apprezzo molto quanto detto dal parlamentare Moscatt sul fatto che questo è un Parlamento a forte vocazione europea, un Parlamento giovane. Io penso che questo punto sia molto importante. Condivido pienamente, onorevole Moscatt, quello che lei diceva e penso che sia un tema su cui possiamo veramente costruire un lavoro insieme, perché l'Europa non è un'entità terza. Lo diciamo molto spesso anche a livello di frasi pronunciate da esponenti di Governo al livello più alto. L'Europa siamo tutti noi. Se l'Italia conta di meno o conta di più in Europa dipende da tutti noi.
  Per questo motivo è stato così importante avere il Governo, al vertice del mese di maggio, con una forte risoluzione parlamentare, così come fu importante avere il Presidente del Consiglio al Consiglio europeo di giugno 2012 con una forte risoluzione parlamentare. È dalla collaborazione reale tra Parlamento e Governo che può nascere una maggior forza dell'Italia.
  Naturalmente, gli esponenti del Governo devono essere ben attenti alle diverse vicende europee, io per primo, e riportare prontamente, come vi ho più volte detto che è mia intenzione fare, sulle eventuali questioni che possono sorgere.
  Tuttavia, solo insieme possiamo far contare il Paese. Non è una questione di altri: riguarda noi. Riguarda, come è stato ricordato, gli enti locali e le regioni, il Parlamento come il Governo. Il dovere di essere protagonisti in Europa include anche la necessità di poter contare realmente in Europa. Vi ringrazio ancora. (Applausi)

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Moavero Milanesi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.