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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (IV Camera e 4a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 19 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 3 

Audizione del Capo di stato maggiore della Marina militare, Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Vito Elio , Presidente ... 3 
De Giorgi Giuseppe , Capo di stato maggiore della Marina militare ... 3 
Vito Elio , Presidente ... 13 
Albertini Gabriele  ... 14 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 14 
Corda Emanuela (M5S)  ... 15 
Vito Elio , Presidente ... 15 
Divina Sergio  ... 15 
Corda Emanuela (M5S)  ... 15 
Cicu Salvatore (PdL)  ... 15 
Duranti Donatella (SEL)  ... 15 
Mastrangeli Marino Germano  ... 16 
Artini Massimo (M5S)  ... 16 
Alicata Bruno  ... 17 
Marcolin Marco (LNA)  ... 17 
Battista Lorenzo  ... 17 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 18 
Vito Elio , Presidente ... 18 
De Giorgi Giuseppe , Capo di Stato maggiore della Marina militare ... 18 
Vito Elio , Presidente ... 20 

ALLEGATO: Documentazione presentata dal Capo di stato maggiore della Marina militare ... 21

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ELIO VITO

  La seduta comincia alle 14,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Capo di stato maggiore della Marina militare, Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno delle Commissioni congiunte IV della Camera e 4 del Senato reca – ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento – l'audizione del Capo di stato maggiore della Marina militare, Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi.
  Do il mio benvenuto personale nonché quello della Commissione difesa della Camera, del presidente Latorre e dei colleghi della Commissione difesa del Senato al Capo di stato maggiore, Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi, al quale aggiungo il saluto al capitano di vascello Pierpaolo Ribuffo, al capitano di vascello Gianfranco Annunziata, al capitano di corvetta Enrico Vignola e al capitano di fregata Mauro Panebianco, che lo accompagnano.
  Prima di dare la parola al nostro illustre ospite, desidero solo ricordare che lo scorso 10 giugno si è celebrato il 152 anniversario della costituzione della Marina militare italiana, che rappresenta una componente fondamentale delle nostre Forze armate. Rivolgo, pertanto, a nome dei colleghi delle due Commissioni, l'augurio più caloroso unito a un sentimento di gratitudine per il lavoro quotidiano che la Marina militare assicura al servizio delle istituzioni sia in Italia sia all'estero.
  Desidero, altresì, rivolgere anche un caloroso pensiero ai nostri due fucilieri di Marina, Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, tuttora trattenuti in India.
  Ricordo, infine, come i colleghi sanno, che l'audizione che ci accingiamo a svolgere rappresenta il terzo appuntamento, dopo quelle svolte con il Capo di stato maggiore della Difesa, Ammiraglio Binelli Mantelli, e con il Capo di stato maggiore dell'Esercito, Generale Graziano, di un ciclo di approfondimenti istruttori con i vertici delle Forze armate al fine di fare il punto sulle maggiori questioni di interesse all'avvio dei lavori di questa legislatura.
  Do adesso la parola al Capo di stato maggiore della Marina, Ammiraglio De Giorgi, ricordando ai colleghi che, per impegni dovuti ai lavori dell'Assemblea sia della Camera sia del Senato, dovremo improrogabilmente concludere l'audizione entro le ore 16. Naturalmente, cercheremo di organizzare i nostri lavori in modo che, dopo la relazione dell'Ammiraglio, possa intervenire almeno un rappresentante per gruppo.

  GIUSEPPE DE GIORGI, Capo di stato maggiore della Marina militare. Saluto i signori senatori e i signori deputati. Procederò a un rapido esame della situazione Pag. 4della Marina militare soprattutto nell'ottica di indicare le sue linee programmatiche nel prossimo decennio.
  Oggi, la Marina militare ha in forza 31.000 unità di personale militare, di cui 1.000 donne, circa 10.000 civili, 60 navi e 26 unità del naviglio minore. Gli aeromobili sono 70 e siamo suddivisi in tre poli aeronavali.
  La Marina spende ogni anno sul territorio nazionale circa 2,4 miliardi di euro. La regione in cui si spende di più, sia pure di poco, è la Puglia, con 897 milioni; seguono la Liguria e la Toscana, con 842 milioni, la Sicilia, con 267 milioni, il centro Italia, con 317 milioni, e la Sardegna, con quasi 62 milioni.
  L'organizzazione attuale vede una serie di ispettorati e di comandi che organizzano e gestiscono il territorio, soprattutto per quello che riguarda l'organizzazione logistica. Attualmente, siamo nel pieno di una trasformazione radicale, avviata per ridurre soprattutto gli aspetti di impegno di risorse umane. Abbiamo, infatti, costituito un comando logistico che fa convergere in un unico comando tutti gli elementi di organizzazione precedentemente preposti alla logistica con la Forza armata e il comando scuole che regola tutto quanto riguarda la formazione.
  L'attuale struttura logistica dalla Marina territoriale è quella rappresentata nella cartina della prima delle due slide intitolate «il comando logistico»: come si può vedere, una molteplicità di enti, a loro volta già ridotti negli anni Settanta e Ottanta. A mano a mano che la Marina si rimpiccioliva, infatti, la struttura a terra subiva una sorte analoga.
  A oggi, impegniamo in questa struttura 2.300 persone. La nuova organizzazione taglia i comandi più grandi e concentra l'organizzazione su due macroaree, nord e sud. Il risultato finale è che sarà impegnato nel supporto logistico alla Forza armata almeno un 25 per cento in meno delle persone.
  Quanto al personale, siamo autorizzati ad avere 34.000 uomini: in pratica, ne abbiamo 31.000, ossia un 10 per cento in meno. Questo dipende, essenzialmente, dalla minore attrazione che la Forza armata esercita rispetto alle altre per vari motivi, soprattutto, ad esempio, perché la qualità della vita che la Forza armata offre è mediamente peggiore rispetto alla «concorrenza».
  Presentiamo delle carenze molto accentuate: nella truppa, siamo sotto del 54 per cento rispetto ai livelli autorizzati; siamo molto sotto coi graduati, circa del 30 per cento, mentre siamo sopra per i sottufficiali anziani. Questo comporta, ovviamente, una serie di problematiche, tra cui il sottoimpiego dei sottufficiali.
  Vengo alle criticità che sentiamo per il nostro personale. Vi è, innanzitutto, il blocco stipendiale che, come sapete, si applica a prescindere dalle responsabilità maggiori che il personale va ad assumere a mano a mano che progredisce in carriera. Questo, naturalmente, ha un effetto demotivante sul personale, che si sente un po’ abbandonato rispetto agli obblighi che ha. Esiste anche, però, un effetto molto grave per i più giovani: questi, infatti, avendo uno stipendio più basso dalle promozioni possono trarre quel delta che gli consentirebbe di vivere un po’ meglio. Questo problema è estremamente sentito.
  La situazione alloggiativa è altrettanto critica, in parte, perché gli alloggi non sono sufficienti, in parte, per il fenomeno di chi, pur non avendo titolo, mantiene l'alloggio. Gli strumenti di cui disponiamo al momento non ci consentono di mandare via queste persone che, a volte, sono anche pensionati o gente di tutti i gradi – non si sottrae nessuno a questa pessima abitudine – dagli ammiragli ai più giovani.
  Vi è poi il problema di una parte di personale divorziato che non vive dignitosamente. Divorziando, i cosiddetti nuovi poveri della Forza armata – in genere i sotto capi, persone di grado molto basso – hanno grandi difficoltà nel vivere.
  L'esiguità delle risorse del compenso forfettario di impiego e la rigidità gestionale del capitolo, è un altro punto dolente che vale soprattutto per la Marina perché condiziona non solo la retribuzione, ma anche l'impiego delle navi. Disporremmo, infatti, anche del carburante Pag. 5per un maggior numero di attività in mare, ma spesso non possiamo espletarle perché il capitolo che riguarda il compenso forfettario di impiego, ciò che sostituisce per la Marina lo straordinario in navigazione, è bloccato.
  Naturalmente, con le navi ferme in banchina, il morale del personale scende, fomenta il malcontento e, comunque, operiamo peggio perché le carene delle navi si sporcano, consumano di più, tutta la manutenzione costa di più. Meno la nave naviga, più costa mantenerla.
  È, inoltre, ormai insufficiente e inadeguata l'indennità per le attività pericolose e usuranti per sommergibilisti, incursori, piloti e anfibi. Si tratta di attività intrinsecamente pericolose e stressanti sotto il punto di vista sia psicologico sia fisico, con la conseguenza di carenze di vocazione.
  Anche in relazione alla gestione dello sviluppo dell'impiego del personale, essendo la Marina una Forza armata molto piccola, non disponiamo della massa critica per tenere le persone in bacini regionali a lungo, a meno di non stravolgere l'impiego del personale. Se, infatti, si riceve una promozione, il grado superiore dovrebbe comportare un'altra destinazione per essere sfruttato, assieme all'esperienza maturata, e invece si resta, all'occorrenza, a svolgere compiti che potrebbero essere svolti da un'unità di grado più basso in quanto non abbiamo i soldi per pagare il trasferimento.
  Il blocco dell'arruolamento sta creando il problema dell'invecchiamento del personale di truppa e comporta anche il sottoimpiego qualitativo dei sottufficiali perché, in ogni caso, la nave va manutenuta. Alcuni di questi compiti sono svolti di solito da personale più giovane e, invece, devono essere svolti da sottufficiali più anziani. Anche questo genera, ovviamente, insoddisfazione.
  Il ruolo truppa, come ho già detto, è sotto del 54 per cento. Vanno aggiunte le criticità del personale civile, fondamentale per il funzionamento della Marina in relazione anche, come dicevo, alla dimensione estremamente ridotta della Forza armata.
  Uno dei problemi più gravi per il personale degli arsenali è il mancato riconoscimento della specificità della loro professionalità tecnica. Questo è trattato, infatti, come il personale amministrativo di tutta l'amministrazione dello Stato e non gli sono riconosciute alcune specificità. I nostri palombari civili, ad esempio, svolgono un lavoro rischioso e indispensabile per mettere le navi dentro i bacini: ne abbiamo solamente 5 in tutta Italia e questo significa che, se uno di loro si ammala, la nave non entra in bacino.
  Inoltre, abbiamo un innalzamento dell'età media – i nostri operai hanno circa 52 anni d'età – e l'obsolescenza delle infrastrutture su porto. Quest'ultimo, tuttavia, non è l'aspetto più grave, mentre è gravissimo quello del turnover.
  Abbiamo bisogno di nuovi operai, più giovani e in grado di acquisire le necessarie conoscenze prima del pensionamento del personale più esperto. Diversamente, l'arsenale si blocca, per cui bisognerebbe intervenire su questo problema del turnover, al limite, con una piccola deroga all'attuale provvedimento che blocca le assunzioni. Peraltro, si parla di numeri relativamente contenuti, appena 300 persone.
  Occorre riaprire la formazione del personale civile, le scuole operai, reperire risorse finanziarie per l'attività formativa a carico della Marina, al momento limitata ai soli corsi di sicurezza obbligatori, e accelerare il processo di adeguamento del patrimonio infrastrutturale snellendo i processi burocratici che rallentano il piano di rinnovamento. Il problema è che abbiamo delle regole estremamente farraginose, per cui, per passare all'impiego dei fondi, nel settore infrastrutturale trascorre moltissimo tempo.
  Venendo alla flotta, i nostri arsenali sono tre: La Spezia, Taranto e Augusta. Le criticità di questi arsenali riguardano soprattutto il personale civile, con l'aggiunta dell'obsolescenza di alcune infrastrutture e delle officine. La consistenza è di 60 unità; siamo una Marina molto piccola, ma attualmente bilanciata nelle sue componenti.Pag. 6
  Siamo stati fino a pochi anni fa dopo la Francia. Adesso, però, siamo caduti dopo la Germania, Paese continentale, storicamente con una marina piccola, ma il dato più grave e direi paradossale, vista la nostra situazione, è che si sia finiti dopo la Spagna. Siamo quasi pari con la Turchia e ci segue da vicino la Grecia.
  Passo alla descrizione di alcuni dei fattori condizionanti che ritengo importanti sottoporvi. Il primo è che la nostra Marina è estremamente vecchia. L'età operativa di una nave è in media di vent'anni, mentre l'età media attuale è molto superiore. Inoltre, il numero di navi è influenzato, ovviamente, dalle manutenzioni: un terzo di queste è sempre in manutenzione programmata, ma solo quando si dispone delle risorse.
  Inoltre, sulle navi pronte esiste il problema delle avarie, che non sono programmabili, eppure la statistica media degli ultimi anni ci fornisce questo quadro, per cui a oggi la nostra Marina dispone di 20 unità pronte a muovere. Come potete apprezzare, è molto poco.
  La situazione è divenuta così grave perché, a fronte di un fabbisogno di circa 850 milioni di euro, viaggiamo dal 2003 in forte discesa e ci attestiamo a un gap del 50 per cento circa, cioè abbiamo solo 400 milioni di euro. Ciò comporta la riduzione della prontezza e della disponibilità delle navi, la scorta di munizionamento sotto i livelli minimi e il potenziale operativo ridotto. A fronte di un investimento di un certo livello per avere queste navi, quindi, il fatto di mantenerle poco ci dà una riduzione in efficienza e una minore potenzialità. Le navi manutenute meno del livello ottimale invecchiano prima e questo è un ulteriore aggravio.
  I costi aumentano. L'addestramento, come accennavo, sia per la minor disponibilità di navi sia perché mancano i soldi per pagare gli equipaggi in modo adeguato, produce uno scarso addestramento, quindi un aumento degli infortuni sul lavoro e una minore efficacia dello strumento.
  L'ulteriore aspetto gravissimo è che la Marina italiana vede una presenza ridotta sulle linee di comunicazione strategiche con l'Italia da e per le zone da dove importiamo e, soprattutto, un problema di carburanti.
  Quanto alle attività fondamentali svolte dalla Marina, tre sono i pilastri che fanno la capacità marittima nazionale: il comando e controllo; la presenza e la sorveglianza delle nostre navi; infine, la proiezione di capacità.
  La prima delle due slide denominate «Controllo integrato spazi» rende l'idea, più o meno, del numero delle navi che ogni giorno sono in mare e di cui sarebbe necessario conoscere l'identità. Come si può notare, si tratta di un traffico estremamente elevato. Abbiamo avviato da tempo una centrale operativa che vuole essere interforze. La Presidenza del Consiglio l'ha avviata appunto alcuni anni fa e stiamo cercando di far convergere su questa centrale tutti gli aventi causa dell'attività in mare per ridurre le sovrapposizioni, le duplicazioni di sforzo ed evitare che una stessa nave sia cercata da più mezzi in luoghi diversi mentre sarebbe possibile individuarla con precisione mettendo a sistema le informazioni.
  Per presenza e sorveglianza – in gergo viene chiamata maritime homeland security – si intendono quelle funzioni che servono a mettere in sicurezza il Paese dal punto di vista marittimo: sicurezza e integrità delle vie di comunicazione; controllo dei flussi migratori – è inutile che enfatizzi quest'aspetto, evidentemente sotto gli occhi di tutti – vigilanza sulla pesca, meno nota, ma che è una delle attività che la Marina esercita per legge; contrasto della minaccia asimmetrica, che diventa sempre più attuale in relazione alla situazione del Nord Africa; sicurezza delle rotte di accesso ai porti, anche questa è un'attività poco nota, ma i nostri dragamine nei porti mercantili vanno a controllare che non ci siano mine o bombe messe da terroristi, da altri elementi oppure retaggio delle vecchie guerre, per cui controllano gli accessi alle rotte dei mercantili; sorveglianza antinquinamento; sorveglianza ai siti archeologici; protezione degli obiettivi strategici. Quanto al controllo dei flussi migratori, il dato che vi Pag. 7fornisco è quello di 2.586 migranti localizzati e salvati. La vigilanza pesca è in atto dal 1959. Nel 2012 abbiamo impegnato 27 navi in quest'attività.
  Quanto alla proiezione delle capacità, la flotta ha un'alta flessibilità operativa sia per fini militari sia per soccorso alla popolazione italiana o di Paesi amici in caso di calamità. Fu il caso dell'Irpinia, quando schierammo tre navi a Napoli, che furono le prime a poter impiegare gli elicotteri perché tutto il resto era stato distrutto e danneggiato dal terremoto; è stato anche il caso di Haiti con il Cavour.
  Le navi hanno un'elevata prontezza e rapidità di intervento massiccio, per cui una volta arrivate in teatro sono già in grado di operare, non essendo necessario alcun build-up. L'intervento è modulabile perché la nave può essere ben visibile e minacciosa o può essere anche fuori dall'orizzonte. In sostanza, le navi presentano una flessibilità operativa notevole e rappresentano, da questo punto di vista, una grande risorsa.
  Un altro aspetto che vorrei evidenziare riguarda la capacità duale delle navi, ossia la capacità di essere impiegate per compiti non militari. Viene subito in mente l'assistenza in caso di calamità naturali. Nel corso di un'importante esercitazione, abbiamo imbarcato sul Cavour un comando della Protezione civile grande quanto quello che c’è in Sala Italia, ossia la loro massima espressione, che ha potuto operare da bordo compiutamente.
  Le navi possono fornire energia elettrica, acqua potabile, pasti caldi alle popolazioni delle zone sinistrate, aiuti umanitari, evacuazione delle popolazioni da zone pericolose. Possono essere, altresì, snodo di smistamento dei soccorsi e degli aiuti indipendentemente dall'uso delle infrastrutture della zona sinistrata, un aspetto spesso non chiarito.
  In caso di calamità, infatti, i soccorritori – nel prestare la loro opera di soccorso – creano ulteriori problemi, perché devono mangiare, dormire, essere protetti a loro volta, e tutto questo genera colonne, intasamenti e così via. La nave, invece, libera il territorio da tutto questa impronta logistica fornendo un aiuto senza, appunto, interferire.
  L'altra questione è l'elevata autonomia logistica. Le navi hanno tutto al seguito, dalle officine per gli aeromobili all'acqua, al condizionamento. Sono pezzi d'Italia che possono essere portati vicino all'obiettivo o in un punto da cui partire per recare aiuti. Peraltro, non hanno bisogno di autorizzazione da parte di nessuno. I minori costi operativi e logistici sono evidenti perché, per operare e fornire assistenza, non abbiamo bisogno di costruire un aeroporto in sede o campi militari a terra.
  Quanto al supporto alla collettività, le navi, particolarmente il Cavour, progettato fin dall'inizio con questa capacità, sono eccellenti piattaforme per portare assistenza sanitaria in caso di calamità. Della fornitura di energia elettrica e acqua potabile ne abbiamo già parlato. Ricerca, soccorso e interventi antinquinamento sono tutti i compiti che le nostre navi compiono e che sono poco noti.
  Nella slide intitolata «Le missioni» sono state riepilogate le missioni cui ha partecipato la Marina. Siamo abituati ormai a sentire parlare soprattutto delle missioni in Afghanistan, in Libano e ci ricordiamo solo di quelle, ma la nostra prima missione risale al 1979, quando andavamo a recuperare i profughi vietnamiti alla deriva in mare. Sono seguite quelle in Irpinia – che cito come esempio interessante di un intervento di navi nel porto di Napoli per la capacità di supporto alle persone colpite da calamità – Libano 1, Libano 2 e Suez, anche questa poco conosciuta, ma dove abbiamo effettuato lo sminamento del Canale di Suez dopo la guerra tra egiziani e israeliani. Infatti, il Canale di Suez era stato bloccato e il Mediterraneo rischiò la marginalizzazione perché le navi erano costrette alla circumnavigazione dell'Africa.
  Anche l'operazione Girasole è poco nota: qui le navi facevano da barriera antimissile e antiaerea quando Gheddafi lanciò i missili Scud contro Lampedusa. Altre operazioni furono Golfo 1 e Golfo 2. Pag. 8Nell'operazione Golfo 1, la Marina fu impegnata nella scorta alle navi mercantili attaccate dai Pasdaran (come per esempio, la Jolly Rubino); quanto a quella chiamata Golfo 2 tutti conoscono l'operazione Desert Storm.
  Ci sono, inoltre, le missioni in Somalia, in Albania e quella in Kosovo dove, per la prima volta, i nostri aerei effettuarono bombardamenti a protezione della popolazione civile. Timor Est è, invece, un'operazione dall'altra parte del mondo in soccorso alla popolazione stremata da guerre religiose. In seguito all'attacco alle Torri Gemelle ci fu l'operazione Enduring Freedom, mentre l'operazione Antica Babilonia ha riguardato l'Iraq. Quanto, invece, alla missione ISAF, la Marina partecipa con elicotteri e incursori e con il Reggimento San Marco. Nel 2006, l'operazione Leonte servì a portare i rinforzi all'ONU e a sbloccare il blocco navale israeliano che metteva a dura prova il Libano, ormai stremato dalla guerra. Del 2010 è la missione per Haiti. Infine, del 2011 è l'operazione in Libia.
  Ho citato alcuni case study perché spesso sulla stampa si legge a cosa servono le portaerei, come se ogni volta dovessimo riscoprirlo. In realtà, il primo impiego dalla portaerei italiana risale al 1994, quando ha rappresentato l'unico modo di portare in Somalia la protezione aerea per il nostro personale. Avevamo imbarcato tre aerei a vuoto, che però effettuarono da soli 102 sortite di ricognizione scorta.
  In Kosovo, all'epoca delle stragi perpetrate per finalità di pulizia etnica, le missioni furono moltissime, impiegando per la prima volta armamento di precisione.
  Anche questo aspetto della missione Enduring Freedom è poco conosciuto: dopo l'attacco a New York alle Torri Gemelle, abbiamo schierato la portaerei Garibaldi con otto AV-8, unico assetto nazionale che abbia potuto entrare in azione data la natura del territorio.
  A questa distanza incredibile abbiamo registrato 900 ore di volo sul cielo dall'Afghanistan, a 1.500 chilometri di distanza, unico assetto nazionale, come ricordavo, che ha potuto entrare in gioco.
  La Leonte è un esempio della flessibilità operativa. Siamo partiti per sbarcare delle forze di rinforzo, poi il Governo libanese ci ha chiesto se potevamo aiutarli a rimuovere il blocco navale israeliano. Ci siamo offerti di farlo e poiché avevamo gli assetti migliori in zona, gli israeliani a un certo punto hanno concordato sul fatto che potesse essere l'Italia con i suoi assetti navali ad assumersi questa responsabilità. Questo ha consentito al traffico mercantile di riprendere, all'elettricità di ripartire, agli aerei di arrivare e, all'epoca, il Libano si è stabilizzato. Consideriamo, quindi, quell'operazione un case study perché dimostra la flessibilità operativa delle navi.
  La Libia è un caso classico di impiego delle portaerei. L'ho citato perché molti non hanno chiaro che il Mediterraneo è relativamente piccolo. Per andare dalle basi della Sicilia alla Libia e per operare a sufficienza sul cielo della Libia, per esempio, bisognava disporre di molti rifornimenti in volo. Nei 78 giorni che la nostra nave è stata in mare, ha effettuato otto sortite al giorno e 1.200 ore di volo.
  Con l'impiego di soli quattro aerei, si è riusciti a effettuare, vista la vicinanza degli obiettivi, ben il 62 per cento delle missioni di ricognizione rispetto allo sforzo nazionale e ben il 53 per cento delle missioni di attacco al suolo. Sono stati, inoltre, impiegati solo quattro AV-8, 11 piloti, 68 specialisti e otto addetti intelligence. Eravamo l'unico assetto Combat SAR della NATO in grado di intervenire su tutto il territorio nazionale.
  Nel corso della missione Haiti 2010, la portaerei è stata usata per finalità di soccorso. In dieci giorni, è riuscita ad arrivare in zona andando anche a prendere una team brasiliano che collaborava con noi.
  Infine, il 24 e 25 maggio di quest'anno, a Taranto, abbiamo dato il via all'attività denominata un Mare di sorrisi che proseguirà sempre. Si tratta di interventi maxillo-facciali, realizzati dalla Onlus che imbarcammo per Haiti, su bambini le cui famiglie bisognose non potrebbero sostenere Pag. 9da sole i costi. Lo scopo è la correzione di malformazioni gravi che compromettono la qualità dalla vita di questi ragazzini.
  Abbiamo allora deciso di sfruttare sempre la nave in porto – quando non esplica attività militari – e, con una certa facilità, abbiamo già effettuato tre interventi. In ogni caso, tramite Operation Smile si può fruire del Cavour. Quando il Cavour è in altri porti italiani, Operation Smile si fa carico di concentrare i pazienti e di utilizzare le sale operatorie risultate molto avanzate ed ergonomiche. Si riesce a usare tutte e due contemporaneamente, con l'aggiunta di una sala monitorata molto avanzata. Si tratta, in conclusione, di sale davvero moderne ed efficaci.
  L'esercitazione effettuata con la Protezione civile è servita a testare la capacità del Cavour, progettato anche per questo compito. Abbiamo imbarcato un comando della Protezione civile e in una mattinata siamo riusciti, con gli elicotteri, a mettere a terra un centro di assistenza per 250 persone, con mensa e tutto quanto serviva.
  A bordo, abbiamo 700 posti letto per questo tipo di compiti e per sfollare profughi, garantendo loro docce, bagni e tutto quanto è necessario. La nave, ovviamente, è molto veloce, reattiva alle emergenze e indipendente logisticamente dal territorio. Inoltre, può trasportare mezzi ruotati, cingolati, oltre ad aerei ed elicotteri. Ha delle rampe che le normali portaerei non hanno. Inoltre, è presente, ovviamente, una grossa struttura ospedaliera. Naturalmente, è un eliporto mobile.
  Va sottolineato che questa nave è pronta tutti i giorni, quando è efficiente, e la sua attività di protezione civile non richiede investimenti ulteriori, che risultano a ricaduta dalla struttura così com’è. Non è necessario portare a bordo qualcosa per farla diventare idonea. La capacità militare, in questo caso, è del tutto equivalente a ciò che serve.
  Oltretutto, abbiamo visto che il nostro addestramento in campo anfibio era perfettamente coerente con le esigenze della Protezione civile per tutto quanto riguardava l'attività di intervento. La capacità di ricognizione notturna, per esempio, è servita per accertare se i ponti fossero ancora in piedi o il terremoto avesse distrutto le strade. Lo stesso vale per una serie di altre funzioni molto simili a quelle utili alla Protezione civile.
  L'Italia è un Paese accessibile dal mare ovunque – il raggio di azione degli elicotteri EH 101 è evidenziato nella slide intitolata «Sicurezza a 360» – e, pertanto, il Cavour può posizionarsi e intervenire in qualunque parte dell'Italia.
  Un esempio è dato da cosa abbiamo fatto nel 1980 con sei elicotteri imbarcati su tre navi nel porto di Napoli.
  Vengo alle prospettive della Marina nel prossimo decennio. Innanzitutto, c’è un incremento ovvio della dipendenza economica globale dal libero utilizzo delle vie di comunicazioni marittime. Più del 90 per cento dei beni e delle materie prime viaggia, infatti, via mare. C’è una crescente competizione per le risorse energetiche e per lo sfruttamento economico del mare e dei suoi fondali e un inasprimento del conflitto tra il regime convenzionale dell'alto mare, che privilegia la libertà di navigazione, e la territorializzazione di superfici marine sempre più ampia. Questo è tipico di Paesi emergenti che vogliono l'esclusiva sulle zone precedentemente sottoposte a libera navigazione.
  Esistono, inoltre, la concentrazione ulteriore della popolazione mondiale nei 200 chilometri dalla costa per tanti motivi, tra cui il cambiamento del clima; il prevedibile incremento dei flussi migratori dall'Africa per spinta demografica e per conflitti etnici tribali – basti pensare al Mali – e l'incremento delle contese per risorse vitali, tra cui a breve il problema dell'acqua potabile a livello internazionale (basta pensare, per esempio, al Medioriente).
  Il Mediterraneo rappresenta l'1 per cento della superficie acquea globale, ma il 20 per cento del traffico marittimo mondiale si svolge in questo mare. Il 54 per cento delle merci, il 75 per cento del petrolio, il 42 per cento del gas che viene in Italia viaggia via mare e il nostro Pag. 10Paese è il primo in Europa per volume di importazione via mare, con 185 milioni di tonnellate.
  Un ulteriore aspetto che non va dimenticato riguarda lo spostamento del focus strategico americano verso il Pacifico, che è già iniziato ed è ancora in corso. Ciò ha comportato che nel Mediterraneo ci fosse, oggettivamente, una minor presenza di unità navali alleate. Anche l'effetto deterrenza che queste esercitavano nei confronti dell'uso illegittimo del mare è, chiaramente, diminuito.
  L'allargamento della NATO è avvenuto inglobando nazioni a vocazione continentale. Basti pensare, appunto, a Romania, Ungheria, cioè tutte le nazioni del blocco di Varsavia dotate di grandi eserciti e grandi aeronautiche, per motivi storici e per motivi geografici, ma che in pratica non hanno marine. Questo significa che l'Alleanza atlantica adesso ha molte truppe e poche navi, per cui, anche in un'ottica di difesa integrata, l'aspetto navale è carente.
  Nella prima delle slides chiamate «Lo scenario» è fornita una rappresentazione di alcune delle situazioni che ci caratterizzano. Abbiamo, come vedete, la colomba o mano aperta dove, con la cooperazione del Ministero degli affari esteri, esistono attività in corso; il teschio con le ossa per indicare le zone in cui la pirateria opera maggiormente; Illy Caffè, Armani e altri simboli per i Paesi del Medioriente e, soprattutto, del Golfo, dove l'Italia ha forti interessi di esportazione e grandi traffici. Lo stesso discorso vale per il Sudafrica. Inoltre, siamo caratterizzati dal problema dell'immigrazione.
  La successiva slide mostra il flusso principale delle rotte del traffico mercantile che va verso l'Italia. Pensate che più di 1.600 navi di bandiera italiana all'anno attraversano quelle acque e ogni giorno ci sono almeno tre navi italiane in quella zona.
  Se continuasse il trend iniziato tre anni fa e che vedeva molte navi preferire la rotta a sud dell'Africa, il Mediterraneo vedrebbe i suoi accessi abbandonati o ridotti e i porti italiani – Trieste, Genova, Gioia Tauro, Livorno, per citarne alcuni – perderebbero una buona parte del loro significato come HUB europei per lo smistamento delle merci in e out dall'Europa, con vantaggio per i porti del nord Europa. Questo vantaggio, questa scommessa in atto, si riscontra dal potenziamento non solo dei porti del nord Europa, ma anche del Nordafrica occidentale.
  Da una parte, dunque, è chiaro lo scenario inequivocabilmente marittimo, dall'altra, tuttavia, esiste il paradosso tipicamente italiano dell'inconsapevolezza del destino marittimo dell'Italia, nonostante la sua storia e la sua posizione nel Mediterraneo dovrebbero in automatico farci pensare diversamente e nonostante gli 8.000 chilometri di coste che rappresentano, tra l'altro, le ultime frontiere aperte al mondo extraeuropeo. Tutte le altre nostre frontiere sono, infatti, frontiere con Paesi alla stregua di regioni di una grande nazione europea.
  L’import e l’export avvengono prevalentemente via mare. Le linee di comunicazione marittime sono vitali per la nostra economia e sicurezza nazionale. Siamo ancora l'11 flotta mercantile al mondo per stazza e la 3 flotta peschereccia d'Europa, con 12.700 pescherecci e 60.000 addetti. Il cluster marittimo italiano rappresenta da solo il 3 per cento del PIL nazionale e ha un moltiplicatore economico di investimento pari a 2,9.
  Ciononostante, è diffusa l'inconsapevolezza dell'opinione pubblica della dipendenza dal mare per la nostra prosperità e sicurezza – ossia, tutto è dato per scontato e garantito – e, ovviamente, dell'importanza del ruolo della Marina, principale custode del destino marittimo della nazione. A mio avviso, questa è una delle criticità più difficili da affrontare.
  Stiamo, quindi, cercando di aprire la Marina alla società civile per farla conoscere meglio stabilendo nuove sinergie interministeriali col Ministero dell'istruzione e il Ministero dell'ambiente, cooperando in maniera molto più spinta – mi riferisco all'uso, per esempio, dei cacciamine che, mentre svolgono attività di sorveglianza dei porti mercantili, imbarcano ricercatori Pag. 11del CNR e dell'ENEA per verificare la qualità dell'acqua e la situazione ambientale – diffondendo la cultura del mare nelle scuole, per esempio con ONLUS per bambini sfortunati, ma anche con scuole normali, utilizzando le navi scuola della Marina quando non portano gli allievi a bordo.
  Inoltre, abbiamo mandato le nostre navi nei porti nazionali aprendole alla società civile e abbiamo incrementato la collaborazione con gli altri protagonisti della ricerca marina per mettere a sistema il patrimonio delle varie realtà operanti nel Paese, ad esempio con l'imbarco sulle navi idrografiche di rappresentanti delle università e della ricerca, ma anche del WWF, cioè anche di altre realtà che hanno a cuore il mare, la sua qualità e la sua sicurezza. Esistono, inoltre, tutte le altre opportunità offerte dall'Europa, che finora abbiamo sfruttato molto poco.
  In ogni caso, il punto è che il destino marittimo dell'Italia e il futuro centro di gravità operativo ed economico è sul mare. Dunque, è sul mare che si giocherà il destino dell'Italia sia sul piano nazionale sia come membro attivo e responsabile della comunità europea internazionale. Il concetto è che non ci sono giri di giostra gratis. Se si vuole essere parte rispettata, attiva e utile, è inevitabile fornire un contributo concreto fatto di professionalità e di capacità da mettere a sistema. Nel mondo dei grandi, la mosca cocchiera che sta sul cavallo e che suda senza fare niente non esiste.
  Passo ora a trattare della Marina di domani, fulcro del nostro problema. Da troppi anni, l'assegnazione di fondi alla Marina non ha consentito di sostituire le navi al termine dello loro vita operativa. Le risorse per l'esercizio e del supporto in generale sono al 50 per cento del fabbisogno.
  Nel prossimo decennio saremo costretti a radiare per fine vita 47 unità navali, 4 sommergibili e 14 unità del naviglio minore a fronte di un previsto ingresso di sole 8 fregate FREMM, 1 unità supporto subacqueo polivalente, che sarebbe l'unità di soccorso sommergibili, e di 2 sommergibili, che sono già in costruzione.
  Il restante programma approvato dalla Difesa prevede due sole unità aggiuntive non finanziate ancora, una logistica e una anfibia. La cantieristica militare è impegnata solo al 50 per cento delle sue capacità. È inevitabile, quindi, la cassa integrazione e la perdita di competitività sui mercati esteri. Va tenuto presente che questo spazio è estremamente ambìto perché il mercato delle marine estere è in crescita fenomenale per l'importanza, come sottolineavo, che il mare riveste nell'economia e nella sicurezza globale.
  Questo vuol dire, ad esempio, che il Marocco ha appena comprato quattro fregate, una dalla Francia e tre dall'Olanda anziché da noi, che saremmo un naturale fornitore di queste capacità. Lo stesso sta accadendo con l'Algeria, che prenderà tutte le sue fregate nientedimeno che dalla Germania. La Turchia sta investendo molto nelle costruzioni navali e, quindi, è un competitore importante.
  Quello su cui, però, vorrei essere certo di essere chiaro è che perderemo la capacità marittima italiana entro i prossimi dieci anni per un fatto matematico. Questa è la tendenza della flotta. Oggi abbiamo 60 navi; nel 2025 saranno 22. Avremo le 8 fregate nuove, 1 rifornitrice in più che ha sostituito 2 navi uscite, solo 4 sommergibili, 2 piccole unità idrografiche, 1 sola unità anfibia laddove ne servirebbero 3.
  A tutto questo va applicata la manutenzione. Tale dato è, infatti, quello che avremmo con la manutenzione corretta, ma bisogna applicarci le avarie. Ci troveremo, dunque, nella situazione di un totale spreco di risorse, la nullità e l'irrilevanza del settore marittimo, che è il cuore della nostra sicurezza. La slide intitolata «La flotta 2000-2025» mostra attraverso un grafico ciò che accade e che sta già accadendo, tant’è vero che molto presto sarà radiata la nave Granatiere, una fregata che ha servito ormai per più di 30 anni.
  Vengo al piano emergenziale. Per mantenere l'attuale consistenza della flotta, Pag. 12occorrerebbe introdurre in servizio 4-5 navi all'anno per 12 anni. Le costruzioni programmate prevedono, invece, solo una nave in costruzione all'anno e perderemo il 63 per cento dalla flotta entro il 2025. Ripeto che l'impegno dei cantieri è al cinquanta per cento.
  Quando cito la cassa integrazione, parlo di 20.000 addetti in prevista messa in cassa integrazione nel prossimo decennio. È, a mio avviso, quindi, ineludibile adottare provvedimenti idonei perché questo non accada. Non parlo di potenziare la Marina, ma di far sopravvivere la capacità marittima nazionale ed è chiaro che solo il Parlamento può prendere in mano la situazione e invertire questa tendenza. Si tratta, infatti, di impostare provvedimenti di sviluppo di ampio respiro e non può essere un'iniziativa affrontata solo da noi militari.
  Vengo alla descrizione dei riflessi sull'industria. Innanzitutto, la cantieristica militare è il settore più redditizio per investire in quanto volano economico, industriale, culturale e sociale difficilmente uguagliabile. Coinvolge la più vasta gamma dei settori industriali, dal metalmeccanico siderurgico – il riferimento è facile, perché il 90 per cento dell'acciaio usato per le nostre navi proviene dall'ILVA – alla meccanica di precisione, all'elettronica, agli armamenti, alla robotica, ma anche agli arredi. Il campo di coinvolgimento, dunque, è amplissimo.
  I cantieri navali hanno un indotto qualitativamente variegato e distribuito sul territorio nazionale. Le navi tecnologicamente avanzate come quelle militari hanno un moltiplicatore occupazionale di 1 a 6. Per un addetto, cioè, nell'industria principale primaria – Fincantieri e Finmeccanica – si hanno sei addetti nell'indotto. Il moltiplicatore di reddito è di 3,43, in assoluto il più alto di qualunque investimento militare.
  Le navi sono un ottimo integratore di prodotti innovativi, ma non sono improvvisabili, necessitano di forte progettualità a lungo termine e rappresentano un investimento per il futuro. Nel settore è presente un'elevata concorrenza e una necessità impellente di avviare un adeguato piano di costruzioni assicurato nel tempo per mantenere margini di vantaggio nei confronti della competizione e per evitare, appunto, la morte del comparto. L'altro aspetto importante è che si tratta di un prodotto made in Italy al 90 per cento, nel senso che il 90 per cento delle nostre navi è pensato e costruito in Italia, non solo assemblato in Italia.
  Parlando adesso di numeri, ipotizziamo, a titolo di esempio, che il Parlamento volesse approvare un piano per la sopravvivenza della capacità marittima nazionale rendendo disponibili 10 miliardi di euro spalmati in dieci anni. Non è un enorme investimento perché parliamo di 1 miliardo l'anno, ma contano i dieci anni, che darebbero all'industria la possibilità di assumere persone in modo permanente, di creare nuovi corsi di formazione e potrebbe fare vero sviluppo senza cercare di ricorrere a scorciatoie.
  I posti di lavoro interessati sono 25.000. Il PIL è al 90 per cento, per cui andremmo ad agire in modo virtuoso, a mio modesto parere, dal momento che, anziché tagliare le spese, e quindi il debito pubblico, creeremmo l'aumento del PIL, per cui il rapporto tra PIL e debito pubblico sarebbe comunque attaccato in modo favorevole.
  Dei 10 miliardi, 5 ritornerebbero allo Stato tramite le tasse e i contributi, ma ben 6,8 miliardi rappresenterebbero il risparmio per la mancata erogazione dalla cassa integrazione per 20.000 occupati. Si tratterebbe di ricadute importanti su tutto il settore. Il lavoro sarebbe suddiviso nella seguente proporzione: 55 per cento al nord e 45 al centro e al sud. Avremmo un sostegno importante all'esportazione, un incremento del know how nei settori di eccellenza a fronte di una forte espansione della domanda delle navi da parte delle marine estere; coinvolgeremmo in maniera massiccia le piccole e medie imprese non solo in fase di costruzione, ma anche in quella di supporto in esercizio per circa trenta anni.
  In sintesi, per 10 miliardi di euro che escono, 5 rientrano in tasse, 6,8 sono risparmiati e le casse dello Stato ne riceverebbero, Pag. 13quindi, un vantaggio di 1,8 miliardi, oltre a 34,3 miliardi di reddito prodotto, 18 al nord, 15 al sud.
  Quanto alla distribuzione sul territorio delle aziende coinvolte, questa interessa la gran parte della Nazione e direi, anzi, tutta. Basti pensare a Castellammare di Stabia, che sta per chiudere: la nave che vogliamo realizzare per il soccorso sommergibili, pronta ad andare al cantiere, per esempio, fermerebbe questo processo.
  Non intendo, tuttavia, parlare solo di richiesta di risorse, ma anche di razionalizzazione della flotta, per cui stiamo studiando, per esempio, una nave (il pattugliatore d'altura multiruolo) che dovrebbe sostituire ben sei tipi di navi diverse. Si tratta di una nave robusta, costruita per durare nel tempo, quindi molto resiliente, con le lamiere grosse, ma anche inizialmente poco armata, eppure pensata fin dall'inizio, come il Cavour, per l'uso duale. È pensata anche per disporre di spazi per imbarcare carichi operativi di tipo modulare.
  Altri aspetti sono interessanti: il fatto di essere disegnata per essere impiegata da soli 90 uomini d'equipaggio, ma avere a bordo 230 posti letto, che possono servire nei casi di soccorso calamità naturali, antimmigrazione, evacuazione di connazionali, sia per imbarcare equipaggi più robusti in caso di missioni di lunga durata, per esempio nell'Oceano Indiano.
  Questa nave presenterebbe altre caratteristiche abbastanza peculiari. Sotto al ponte di volo, ad esempio, ci sarebbe un ulteriore hangar, dove possono essere imbarcati sistemi d'arma, di soccorso, antinquinamento o, per esempio, un ospedale prefabbricato. La nave sarebbe dotata di una capacità autonoma di imbarco e sbarco container, che deriva dalla capacità da progetto della nave di uno spazio centrale per imbarcare sistemi di soccorso. Si tratta della nave di cui dicevo, che è pronta ad andare a Castellammare. C’è poi un'unità supporto subacqueo polivalente per il soccorso dei sommergibili, progettata però anche per essere nave idroceanografica.
  Le risorse possono essere reperite, innanzitutto, in ambito difesa in conseguenza della ristrutturazione dello strumento militare e dell'evoluzione dello scenario – cambiato lo scenario, riteniamo che la Marina debba ricevere un'attenzione maggiore – e nell'ambito di altri dicasteri poiché stiamo progettando queste navi multiruolo e potremmo anche immaginare dei finanziamenti congiunti, ma soprattutto tramite un provvedimento legislativo pluriennale ad hoc mirato al rilancio dello sviluppo economico e sociale del comparto marittimo nazionale. Questo, come dicevo, investe settori trainanti per il PIL e genererebbe un grandissimo beneficio per l'occupazione e per il rilancio del settore. È importante, però, che tale provvedimento sia blindato dal Parlamento per evitare i cambi di rotta sull'argomento, come in passato è accaduto, cioè inversioni, per cui sono vanificati lo sviluppo e la linea d'azione.
  La Marina attraversa uno dei periodi più difficili della sua storia, sicuramente di quella postbellica. Tutti i settori risentono di anni di sottofinanziamento a partire dal personale, includendo le infrastrutture e gli arsenali. Il problema di fondo resta, però, la graduale estinzione dalla flotta. Nell'ultimo decennio, sono entrate in linea 10 navi a fronte della radiazione di 20, mentre nel prossimo decennio prevediamo la dismissione di 51 navi, le 47 più i 4 sommergibili, fatto che rischia di portare alla pressoché completa estinzione delle forze navali come forza combattente. La cantieristica nazionale militare, già oggi al 50 per cento delle sue capacità produttive, rischia di perdere irreversibilmente la sua competitività e le conoscenze pregiate con importanti ripercussioni sull'occupazione.
  Per garantire la sopravvivenza della flotta, ancorché con numeri più ridotti, salvando al contempo il settore strategico della cantieristica militare, occorrerebbe avviare urgentemente un programma organico di costruzione, finalizzato anche alla razionalizzazione dello strumento.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto l'Ammiraglio De Giorgi per la completezza Pag. 14della sua esposizione ed anche per la documentazione di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico dell'audizione.
  Do adesso la parola ai colleghi dei vari gruppi che ne hanno fatto richiesta. Ricordo che, dovendo concludere in nostri lavori entro le 16, abbiamo a disposizione circa 30 minuti per le domande e per un'eventuale replica che l'Ammiraglio vorrà fare. Mi rimetto, quindi, alla disponibilità dei colleghi che hanno fatto richiesta di intervenire.

  GABRIELE ALBERTINI. Ringrazio l'Ammiraglio De Giorgi per aver svolto un intervento così esaustivo, ma anche nell'insieme analitico e di una chiarezza impressionante. Impressiona davvero molto, infatti, l'incongruità tra i mezzi a disposizione della nostra Marina e le esigenze di sicurezza, ma anche di protezione internazionale, di controllo di area e di profilo di integrazione con le altre Marine e le altre Forze armate sia in ambito NATO sia in ambito di azioni collettive. Mi riferisco, in particolare, alla repressione della pirateria.
  Ho per il nostro ospite un'affermazione, una domanda forse impropria (l'Ammiraglio mi permetterà di essere impertinente, poi comprenderò le sue riserve nel rispondere) e un commento generale.
  Con riguardo all'affermazione, da quanto ho ascoltato e visto e, soprattutto, dai numeri così interessanti, direi estremamente confortanti in un quadro di insieme davvero pessimistico, 10 miliardi di euro di investimento nell'ammodernamento della nostra Marina genererebbero alla fine – bottom line – 1,8 miliardi di riduzione, in sostanza di risparmio, di spending review, aumentando il profilo sia di sicurezza sia di affermazione internazionale del ruolo del nostro Paese, come accade in altri eventi in cui le nostre Forze armate sono impegnate insieme ad altre nel mantenere la pace e altri interventi umanitari.
  Aggiungo che la Marina, come Lei ha indicato, ancora più di altre Forze armate, ha la possibilità di intervenire in aree di impiego di protezione civile, come è stato dimostrato, e questo aumenta una componente importante dell'attuale impiego delle nostre Forze armate. Io sono socio benemerito dell'Associazione Nazionale Carabinieri e di solito porto un distintivo, che oggi ho dimenticato – non l'ho fatto per altre ragioni di natura diplomatica – ma, se me lo consente, da oggi mi sento impegnato a essere un lobbista istituzionale della Marina militare italiana.
  Questi numeri, infatti, il nostro profilo di penisola, l'incremento delle necessità di impiego sia per il controllo sia per il traffico marittimo sia per la dimensione geografica sull'acqua della nostra Nazione, sono importanti.
  Vengo alla domanda impertinente. Non riesco a comprendere la ragione per cui, con questo contesto, con la posizione geografica del nostro Paese, con la circostanza per cui altre potenze mondiali si stanno profilando su altri scenari – penso al Pacifico per gli Stati Uniti – con il fatto che in ambito NATO cresce e si espande la dimissione territoriale delle Forze armate e meno quelle di impiego, la nostra Marina sia stata quella delle nostre Forze armate, per quello che so da quello che ho ascoltato finora, che più ha risentito: a che cosa attribuire questa «disattenzione» ?
  In terzo luogo, vorrei che le questioni sollevate oggi non finissero con la vostra illustrazione ma che, nell'ambito delle nostre Commissioni – oggi non c’è il presidente della Commissione difesa del Senato, ma è presente il vicepresidente Conti – questo argomento specifico e puntuale della reintegrazione della nostra Forza armata marittima fosse davvero posto all'attenzione primaria dei nostri lavori.

  GIAN PIERO SCANU. Desidero anch'io, signor Ammiraglio, complimentarmi per l'esaustiva e, allo stesso tempo, puntuale relazione. Vorrei porre una domanda che avrebbe come finalità una verifica in ordine a questioni che, a mio giudizio, Lei ha indotto nel suo ragionamento pur non avendole esplicitate.
  Mi pare che abbia sottolineato la centralità del Mediterraneo nell'ambito della Pag. 15funzione di difesa e di peacekeeping del nostro Paese. Ha evidenziato, naturalmente, le caratteristiche del nostro Paese che, per le ragioni che tutti conosciamo, comportano la necessità di una Marina adeguata ed efficiente e – allo stesso tempo, ritengo non casualmente – ha espresso delle valutazioni, che il collega Albertini ha ripreso, conducendo dei ragionamenti molto puntuali in ordine all'utilità di certi investimenti.
  La domanda è la seguente: signor Ammiraglio, ritiene forse che la politica di difesa del nostro Paese, in relazione a quello che dovrebbe essere il suo modello di difesa, debba essere concentrata sia da terra, sia da mare, sia dal cielo nel Mediterraneo, lasciando fare ad altri la loro parte sul versante del Pacifico ?

  EMANUELA CORDA. Scusi Presidente, è stato fissato un tempo per gli interventi ?

  PRESIDENTE. Sì, tre minuti.

  SERGIO DIVINA. Le Forze armate, comprese la nostre, sono sempre più impegnate in operazioni interforze, che necessitano di dialogo, di raccordo e di affidabilità reciproca. Abbiamo percepito in altri settori che c’è poca affidabilità nei confronti del nostro Paese per il fatto che l'Italia da anni non è riuscita ad ammodernare il parco mezzi. Addirittura, nel nostro piano di ristrutturazione si chiede alla Difesa di attuare un miracolo: aumentare l'efficienza del sistema pur stringendo notevolmente sulle risorse finanziarie.
  Abbiamo percepito che abbiamo mezzi obsoleti non solo nell'Esercito, non solo nell'Aeronautica, dove necessitano di immediate sostituzioni, ma anche nella Marina. Lei ci dice che andranno dismesse 51 navi, ma non abbiamo sicuramente la capacità di un ricambio, anzi sicuramente non avremo la capacità di un rimpiazzo totale. Addirittura Paesi continentali che non hanno una storia come la nostra dispongono di dotazioni e di una strutturazione addirittura migliore di quella del nostro Paese, che è un pontile nel Mediterraneo.
  Ci dice, inoltre, che la cantieristica militare batte il passo. Bene, la cantieristica civile non sta meglio, è in una situazione catastrofica e, con una serie di interventi normativi gli ultimi governi – come il Governo Monti, che ha individuato la cantieristica nautica abbinata al lusso – hanno distrutto quel poco che ne rimaneva e, probabilmente, i due settori faranno sempre più fatica a sopravvivere.
  Vorrei spendere qualche considerazione sull'Ammiraglio Di Paola, che ha rivestito i ruoli più importanti all'interno della Difesa, non ultimo quello di ministro. La mia è una provocazione: come abbiamo fatto a ridurci così, noi che siamo il Paese delle Repubbliche marinare ?

  EMANUELA CORDA. Ringrazio l'Ammiraglio anche per la chiarezza della sua spiegazione.
  Vorrei porre una domanda abbastanza specifica: alcuni studi nei primi anni Duemila hanno portato i cittadini a conoscenza dell'esistenza di porti nucleari, ovvero interessati dal passaggio o dall'attracco di navi o di sommergibili a propulsione nucleare.
  Si tratta, peraltro, di porti che appartengono a città anche abbastanza importanti dal punto vista storico e ambientale, come La Maddalena, Cagliari, ma anche Napoli, persino Venezia. Vorremmo capire se la Marina ha previsto dei piani anche di evacuazione, magari con le amministrazioni locali, nell'eventualità di incidenti che potrebbero interessare queste navi e questi sommergibili.

  SALVATORE CICU. Sarò telegrafico. Naturalmente, ringrazio l'Ammiraglio per l'esauriente relazione. La mia è una richiesta specifica. Vorrei capire meglio il coordinamento tra la nostra Marina e la nostra Aeronautica rispetto all'uso dell’F35. Mi riferisco alla portaerei Cavour: vorrei capire in che modo abbiamo investito e quale proiezione vogliamo dare all'attuazione di questo investimento.

  DONATELLA DURANTI. Anch'io ringrazio l'Ammiraglio per la sua disponibilità. Pag. 16Voglio solo aggiungere un'osservazione all'intervento della collega Corda. Tra i tredici porti che possono ospitare i sommergibili a propulsione nucleare, c’è anche quello di Taranto, che ospita la più grande base della Marina militare.
  A questo proposito, sono molto d'accordo con quanto ha detto rispetto alla necessità dello sbocco del turnover dei lavoratori civili della Difesa e della loro riqualificazione. Si tratta di un problema vero e che segnala anche una controtendenza della nostra Marina militare: in molti posti prima rivestiti dal personale civile, infatti, adesso abbiamo i militari.
  Inoltre, Lei ha citato il piano Brin: immagino che sappia che quei finanziamenti, nonostante siano stati appunto impegnati, non stanno dando risultati. Il progetto del piano Brin, almeno per quello che riguarda gli arsenali di Taranto e di La Spezia, è completamente bloccato.
  Vorrei, inoltre, segnalare, Ammiraglio, poiché conosco molto bene l'area tecnica industriale della Difesa, il problema degli alloggi del personale militare quando si trova nelle basi, appunto, per lavori a bordo delle unità navali. Dico questo perché ci è stato segnalato spesso proprio dai nostri militari.
  Quanto all'utilizzo degli F35, nella slide che ci ha illustrato si parlava di una sola portaerei, ma a me risulta che ne abbiamo 2, la portaerei Garibaldi e la Cavour, l'ammiraglia della nostra flotta. È vero che, secondo il principio del dual use, quest'ultima è utilizzata anche a fini di protezione civile, ma ci risulta, appunto, che ospiterà gli F35 e vorremmo capire se questo progetto è ancora in piedi.
  Infine, a differenza del collega Scanu, che Le ha chiesto se intende che la nostra Marina militare debba occuparsi solo del Mar Mediterraneo, penso che dovremmo far tornare la Marina militare e le Forze armate del nostro Paese a compiti specifici. Credo che le nostre navi militari non dovrebbero avere il compito di rimandare indietro i migranti o di proteggere le vie di comunicazione per l’export e l’import di Armani, ma dovrebbero servire per fare quello per cui sono nate, ossia difendere i confini nazionali.
  Vorrei, dunque, capire se questa impostazione, che è anche quella dell'Ammiraglio Di Paola e di tutti i ministri che si sono succeduti, è alla base di questa richiesta forte di nuovi investimenti. Noi crediamo che, appunto, si debba ridiscutere di questo prima di parlare di nuove risorse.

  MARINO GERMANO MASTRANGELI. Buongiorno, Ammiraglio. Della Sua relazione molto interessante, ciò che mi ha colpito di più è il numero dei cassa integrati, ossia 20.000. Vorrei capire se si tratta di una cifra attendibile o arrotondata per eccesso.
  Inoltre, vorrei chiederLe se, a Suo giudizio, la cantieristica militare, in qualche modo, possa essere magari anche parzialmente riconvertita in cantieristica civile. Capisco che, come ha evidenziato il collega Divina, la cantieristica civile già soffre per suo conto, ma comunque si tratterebbe di disporre di una doppia possibilità.
  Le chiederei un suggerimento anche sul possibile impiego alternativo dei 20.000 cassa integrati. Capisco che Lei giudicherebbe più opportuno farli lavorare nei cantieri. Se, tuttavia, la decisione del Parlamento non fosse quella, cos'altro ci suggerisce, visto che alla fine ci interessa che questi 20.000 italiani non se la passino male come Lei ci ha poco fa delineato ?

  MASSIMO ARTINI. La ringrazio, Ammiraglio, perché il Suo è veramente uno dei migliori interventi tra quelli svolti nelle varie audizioni che si sono succedute. Mi preme notarlo perché è veramente quello più completo e dà veramente il senso di una visione da qui a dieci anni.
  Lei ha puntato molto l'accento sul mantenimento della flotta per determinate esigenze di sicurezza e di controllo dello spazio marittimo – se non ho capire male alcuni suoi passaggi – e, siccome gli investimenti potranno avere o non avere una determinata consistenza, vorrei sapere qual è il rapporto rispetto alle altre forze Pag. 17di marina europee come risultati nel controllo dello spazio marittimo.
  Vorrei in sostanza capire se ai fini del lavoro svolto dalla Marina militare italiana – pur essendo decisamente frastagliato per via del fatto che tali controlli sono effettuati anche dalla Guardia di finanza, dalla Guardia costiera e da una serie di altre forze – gli investimenti portino risultati effettivamente utili per la nazione. Vorrei anche capire se l'ottimizzazione, l'integrazione o, comunque, l'unificazione sotto un unico sistema di controllo, potrebbe portare a migliorie in questo tipo di azione.

  BRUNO ALICATA. Ero entrato in quest'aula con animo abbastanza sereno e quasi gioioso e ne uscirò quasi sconfortato per la realistica illustrazione a tinte fosche fatta dall'Ammiraglio De Giorgi, che ringrazio.
  Commentavo con il senatore Albertini che, se tra dieci anni effettivamente la consistenza della flotta dovesse essere quella illustrata, ci sarebbe da chiudere bottega oggi stesso.
  Il problema è dato dalla mancanza di risorse, dalla necessità di reperirle e da come si conciliano i due aspetti. Per essere sintetico, vorrei chiedere all'Ammiraglio se non sia opportuno rinunciare a qualcosa che in questo momento, come Paese, non possiamo permetterci, per recuperare risorse in modo da ridare alla Marina militare quella dignità che non ha mai perso.
  Mi riferisco alla possibile acquisizione degli F35, il cui costo ammonta a circa 15 miliardi di euro, e al fatto che in questo momento l'Italia dispone dei caccia F16 in leasing, la cui scadenza contrattuale avverrà nel 2013. Mi chiedo, dunque, se non è forse il caso di tenere ancora in essere questo contratto di leasing.
  Vengo a un aspetto che era stato toccato in una precedente audizione dall'onorevole Cicu. L'Italia partecipa a numerose missioni all'estero: mi chiedo e vorrei chiedere all'Ammiraglio cosa ne pensa, se non sia il caso, sempre al fine di reperire risorse, che il nostro Paese rinunciasse a qualcuna di queste non per fuggire, ma proprio in quanto poveri. In questo momento non possiamo permettercelo. Mi chiedo se sia ancora il caso di insistere con la presenza militare in Libano, mentre altri Paesi più ricchi di noi, come la Germania, mantengono un atteggiamento assolutamente indipendente e non impiegano risorse, così come è accaduto con la crisi libica.
  Ricordo anche, con dolore e con rammarico, Ammiraglio De Giorgi, che la portaerei Cavour è il fiore all'occhiello del nostro Paese, della nostra Marina (aggiungo che sono un appassionato di tali navi), ma il costo per mantenerla ferma è di 100.000 euro al giorno e di 200.000 – credo – per tenerla in movimento. Se la prospettiva, tra dieci anni, è quella di arrivare alla situazione che ha brillantemente illustrato, mi chiedo se non sia il caso di trovare forme di risparmio.

  MARCO MARCOLIN. Andrò per flash. La situazione descritta dall'Ammiraglio, che ringrazio, è veramente catastrofica. Mi chiedo se il disegno di legge di riforma dello strumento militare varato dal precedente ministro abbia una valenza proprio per la Marina militare o se, onestamente, è un'autosponsorizzazione per la Marina a scapito delle altre due Forze armate. A questo punto, infatti, vorrei capire dov’è il problema. Dobbiamo ridisegnare praticamente tutto l'impianto del disegno di legge ?
  La situazione esposta sia dall'Ammiraglio Binelli sia dal Ministro Mauro non risultava catastrofica come ho sentito oggi e sono veramente preoccupato, al di là poi della difesa delle coste per i nuovi sbarchi o altro su cui possiamo dissentire, ma su cui al momento sorvolo.

  LORENZO BATTISTA. Ringrazio anch'io l'Ammiraglio per la sua esposizione. Io provengo da una città di mare, Trieste, e guardo sempre nel mio golfo le pilotine della Polizia, dei Carabinieri e anche quelle della Capitaneria, oltre a quelle della Guardia di finanza. Mi domando se, per ridare appunto dignità alla Marina, non si possa puntare a un'unificazione o a Pag. 18affidare solo alla Marina, attraverso il corpo della Guardia costiera, il controllo delle nostre coste. Potrebbe essere di giovamento al comparto che Lei dirige.

  GIAN PIERO SCANU. Impiegherei ancora pochissimo tempo per una precisazione anche in considerazione del fatto che sono l'unico del mio partito ad essere intervenuto.
  La collega di SEL ha voluto onorarmi di un'esegesi indiretta su quanto, a suo giudizio, avrei detto e che è l'esatto opposto di ciò che ella ha ritenuto di dover dire. Questo mi induce, in maniera che non rimanga nessun tipo di equivoco, a essere esplicito.
  Ho letto la relazione dell'Ammiraglio come una seria, onesta presa di coscienza delle condizioni generali rispetto alle quali dare una risposta esplicita. A me è parso che l'Ammiraglio ci abbia detto che in queste condizioni dobbiamo dimenticare tentazioni neoimperialiste, che abbiamo il Mediterraneo in cui operare e di organizzarci per lavorarci bene. Altri sono invece chiamati a lavorare sul versante del Pacifico. Questa è anche una domanda, Ammiraglio, così siamo ancora più chiari.

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'Ammiraglio De Giorgi per la sua replica.

  GIUSEPPE DE GIORGI, Capo di Stato maggiore della Marina militare. La domanda sulla ragione per cui siamo messi così male, nonostante tutto dovrebbe scongiurarlo, in effetti è proprio il centro del problema. Abbiamo un problema culturale e storico italiano che ha radici lontane, che vedono nel mare non un'opportunità, ma una minaccia. Non a caso, la maggioranza dei nostri Paesi costieri è costruita sulle montagne perché dal mare venivano i pirati. Sicuramente, quindi, l'Italia, nei confronti del mare e della Marina, ha avuto atteggiamenti oscillanti, ambivalenti e storicamente vediamo che la Marina cade sempre più in disgrazia, esce dal centro dell'attenzione a eccezione di ciclici provvedimenti, solitamente da parte del Parlamento, che riprendono la situazione in mano, propongono investimenti mediamente decennali e la Forza armata riprende respiro.
  Come fatto di storia più recente, l'Italia è stata inserita, prima del muro di Berlino, sostanzialmente tra le tre Forze armate complementari a quelle della NATO. Di conseguenza, essendo la Marina americana così grande e preponderante, come pure la Marina inglese e quella francese, lo sforzo era indirizzato ad arrestare le forze del Patto di Varsavia sulla soglia di Gorizia. C'erano, così, un Esercito massiccio, soprattutto pensato in chiave d'arresto, e un'Aeronautica estremamente potente, e la nostra è stata la seconda in Europa, perché dovevano contribuire al contro attacco.
  Esistono poi altre considerazioni di varia natura, anche banali. L'esiguità numerica delle nostre Forze armate fa sì che la nostra presenza in tutti i centri dove si forma il pensiero nazionale, dove si prendono le decisioni, sia estremamente rarefatto. Non riusciamo a esprimere con continuità quella presenza che altre Forze armate riescono a mettere in campo, e quindi sono da questo punto di vista Stati spesso più efficaci di noi a far capire le loro esigenze.
  La situazione è diventata ormai importante perché non parliamo di costruire o meno un certo tipo di nave, ma di perdere le due facce della stessa medaglia, tra cui la capacità di costruire navi. Oltretutto, la costruzione militare è strumentale anche alle costruzioni civili. Tutti i grandi progressi compiuti nel mondo della cantieristica civile derivano da quella militare. Mi riferisco alla sicurezza della nave in caso di falla – è ovvio perché venga da quelle militari – alla navigazione elettronica, al contenimento del personale per condurre la nave e a una serie di altre questioni facilmente immaginabili, come la propulsione diesel elettrica, che va tanto adesso sui grandi mercantili, e così via.
  Ecco perché ci rivolgiamo al Parlamento. L'attuale Governo e il Ministro Mauro hanno da subito compreso la situazione. Il Ministro ne ha, appunto, immediatamente preso atto e credo che molti Pag. 19abbiano avuto l'opportunità di sentire le sue dichiarazioni, che inequivocabilmente hanno rappresentato concetti affini a quelli che io ho appena espresso.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Scanu sulla centralità del Mediterraneo, indubbiamente questo mare è quello che più da vicino ci coinvolge. Purtroppo, però, il Mediterraneo è fortemente legato all'Oceano Indiano sia per via degli accessi attualmente più importanti ai nostri porti, sia per il fatto che importiamo il petrolio massicciamente, soprattutto da quelle aree geografiche e adesso abbiamo anche il Mozambico, dove è stato trovato forse il giacimento più grande del mondo e dato in esclusiva all'ENI, quindi un'altra zona di forte investimento nazionale.
  Da circa quindici anni, peraltro, parliamo di Mediterraneo allargato, come aspetto di valutazione nostra, che è convalidata però da alcuni fatti concreti, come la pirateria. Non è un caso che sia stata la Marina italiana per alcuni anni a essere l'unica forza navale presente in Oceano Indiano contro la pirateria.
  Questo è un fatto poco noto, ma abbiamo effettuato almeno tre operazioni, tutte nazionali, perché il problema della pirateria colpisce soprattutto e prima di tutto l'Italia, perché i Paesi atlantici non dico che beneficino, ma certamente ricevono più navi nei loro porti, per cui il problema è drammatico per noi. Ora, per operare in mari lontani, chiaramente abbiamo bisogno di navi in grado di farlo.
  Lo stesso Mediterraneo è un mare piccolo solo in apparenza. Oltretutto, presenta delle caratteristiche meteo-marine particolarmente difficili, per cui non bastano le motovedette. D'altra parte, quando il mare è mosso anche il soccorso in mare può essere effettuato solo dalle navi della Marina in quanto le altre sono motovedette più piccole.
  Al senatore Divina dico che, in parte, ho già risposto al problema della nostra tradizione marittima, ma noi che siamo marinai nel dna dovremmo avere ben altra Marina e ben altre potenzialità. Da questo punto di vista, possiamo dire che, sotto il profilo qualitativo, abbiamo avuto in passato alcuni tipi di navi molto avanzate e mi riferisco alla classe Maestrale. In quel caso, riusciamo a esprimere delle capacità di élite.
  Anche il Cavour è una nave progettata in maniera straordinaria, che funziona molto bene. Abbiamo ancora le professionalità ed è evidente che, se si dovesse continuare su questa rotta, perderemmo tutto. Ripeto, il fatto che siamo così tanto marinai e così poco, in realtà, Marina esistente in lamiera, dipende dalle cose che ho detto.
  Ribadisco che, a mio avviso, solo il Parlamento può invertire questa situazione drammatica. Non parliamo dell'opportunità di costruire un caccia o un altro tipo di nave, ma di perdere la capacità nazionale. Siccome per costruire una nave servono molti anni, non ci si può affidare a un provvedimento estemporaneo o all'orientamento del capo di Stato maggiore della Difesa di un dato momento perché i successori potrebbero invertire le cose in base alla loro sensibilità. Qui parliamo di qualcosa che sta a monte di tutto il resto, della possibilità di prendere decisioni. Si può, poi, sindacare sulle decisioni prese, ma il problema è se essere o meno presenti in mare nella quantità minima.
  Parlo, infatti, di sostituire 51 navi con solamente 30 navi nuove. Tra le 8 per cui abbiamo già le risorse, e le altre 20-25, si arriva a una quantità ancora ridotta rispetto a ora, più razionale, più moderna, più economica da gestire, ma sicuramente più ridotta, però almeno continueremmo a esistere abbastanza da avere una rilevanza ancorché minima sul piano nazionale e interessante su quello internazionale.
  Quanto alla possibilità di incidenti nucleari, esistono dei piani consolidati che naturalmente vedono protagonista la Protezione civile, la parte sicurezza nazionale, tutte le prefetture e anche la Marina, ma la responsabilità è della Protezione civile, come per qualunque grande calamità naturale.
  Come sapete, da molto tempo i sommergibili nucleari non si fermavano alla Maddalena. Qualcuno vorrebbe vederli Pag. 20tornare indietro per il beneficio che portavano, ma adesso non ci sono e le soste della Marina americana nei nostri porti si sono molto rarefatte.
  Nella sinergia tra Aeronautica militare, Stato maggiore e Marina, gli F35 costituiranno il sistema d'arma del Cavour sostituendo l'attuale sistema d'arma, l’AV-8, attualmente in servizio, macchina estremamente efficace, che però raggiunge il fine vita tra non molto.
  I primi F35 saranno operativi, quindi la capacità operativa del sistema d'arma del Cavour, a partire dal 2023. Questo sulla base delle consegne e dell'addestramento dei piloti. Naturalmente, non basta avere un aereo per operare. Il primo nucleo di 6-7 aeroplani operativi è previsto per il 2023.
  Con l'Aeronautica cercheremo una condivisione, su cui stiamo già lavorando, per la parte logistica delle basi, in modo da ridurre tutti i costi non essenziali. È già in corso una buona attività per ottenere questo scopo.
  Lo sblocco del turnover è un provvedimento che ritengo fondamentale. I dipendenti civili degli arsenali hanno una media di 52 anni d'età, decisamente eccessiva per lavorare nella plancia delle navi in situazioni estremamente impegnative. Ritengo stia a voi promuovere queste soluzioni. Sono soluzioni politiche.
  Il piano Brin è avanti al 61 per cento e lo seguiamo quotidianamente. I suoi problemi derivano soprattutto da quelli generati dal cambio delle leggi sulla perenzione dei contratti dello Stato, per cui il contratto perde di validità e ci sono tempi morti. Come dicevo, dipende molto anche dalla procedura necessaria per le infrastrutture militari, estremamente obsoleta.
  Attualmente, il Garibaldi è stato declassato a portaelicotteri anfibio perché non è stata approvata la costruzione, nel 2006, di una nave anfibia. Gli spagnoli, invece, l'hanno fatto e hanno una splendida nave anfibia che hanno appena venduto all'Australia.
  Avevamo, in quell'epoca, esattamente una nave di quel tipo. Non è stato possibile costruirla. Nel frattempo, la Difesa aveva investito per dare vita a una capacità interforze e mettere insieme tutto quello che potevamo fare tra Esercito e Marina. Abbiamo bisogno di una piattaforma per gli elicotteri che possa portare a terra il personale quindi per il momento ci accontentiamo del vecchio Garibaldi.
  Quanto alla domanda dell'onorevole Cicu sul Cavour, il dual use e gli F35, le due cose non sono in antitesi, come adesso non lo sono con l’AV-8. L’F35 è un aeroplano che decollerà dal Cavour quando servirà, ma questo non gli impedirà di essere nave dual use.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto l'Ammiraglio per la completezza e la franchezza della sua esposizione e delle sue risposte.
  Ringrazio anche il vicepresidente della Commissione difesa del Senato e tutti voi della cortesia e dell'attenzione con cui avete seguìto lo svolgimento di quest'audizione, che dichiaro conclusa.

  La seduta termina alle 16,05.

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