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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 14 gennaio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Seguito dell'audizione del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Giarrusso Mario Michele  ... 4 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 4 
Giarrusso Mario Michele  ... 4 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 4 
Mattiello Davide (PD)  ... 4 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 4 
Mattiello Davide (PD)  ... 5 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 5 
Picierno Pina (PD)  ... 6 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Giarrusso Mario Michele  ... 8 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 8 
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 8 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 9 
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 9 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 9 
Sarti Giulia (M5S)  ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Moscardelli Claudio  ... 9 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 9 
Fava Claudio (SEL)  ... 10 
Tamburino Giovanni , capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 10 
Fava Claudio (SEL)  ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 10

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 9.35.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

  Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, iniziata la scorsa settimana, del dottor Giovanni Tamburino, Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, sul tema del regime detentivo speciale previsto dall'articolo 41-bis della legge sull'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354), con particolare riferimento anche alle modalità di attuazione di tale regime carcerario nei confronti del detenuto Salvatore Riina.
  Ringrazio il dottor Tamburino per la sua presenza e per la documentazione che ci ha fornito facendo seguito alle nostre richieste. Prima di cedergli la parola, consentitemi di esprimere, a nome di tutta la Commissione, solidarietà al nostro collega Esposito, che come sapete è stato fatto oggetto di un atto intimidatorio molto grave. Nell'esprimere la solidarietà ribadiamo ancora una volta la nostra visione della democrazia, che è confronto di idee, anche duro, forte, ma non deve mai trascendere nell'uso della violenza e delle minacce, segno di vigliaccheria e non certamente di democrazia.
  Ho avuto la possibilità di parlare con il nostro collega, ma ritengo importante che arrivi da tutta la Commissione un atto di solidarietà.
  Il dottor Tamburino ha chiesto di segretare la prima parte di questa audizione perché, a seguito delle domande che gli erano state poste e della lettura del verbale della seduta precedente, intende iniziare con una sua ulteriore introduzione.
  Do la parola al dottor Tamburino, che ringrazio nuovamente per la sua presenza.
  Dispongo la disattivazione dell'impianto audio.

  La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica.

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Rimaneva da dire qual è il rapporto tra i detenuti sottoposti al 41-bis, che sono 706, e i detenuti – senza distinguere tra imputati e condannati – per reato del 416-bis, che sono 5.863. Naturalmente sono numeri da prendere con qualche minima cautela perché possono cambiare da un momento all'altro. Il rapporto, quindi, è dell'11 per cento del totale dei detenuti per reato del 416-bis.
  Un ulteriore dato che avevo in precedenza riferito solo a memoria riguarda il numero dei detenuti in 41-bis da oltre dieci anni, che sono in totale 159, di cui 34 non hanno la qualifica di capi.

  PRESIDENTE. Prima di passare ad altre domande secondo l'ordine di iscrizione, Pag. 4il senatore Giarrusso intende chiedere una precisazione su questo aspetto.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Il regime della videosorveglianza h 24 è tipico del 41-bis oppure è specifico di alcuni trattamenti ?

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. È una misura specifica di alcuni trattamenti. Attualmente, come dicevo, sono circa 30 i detenuti sottoposti a questo tipo di videosorveglianza così intenso rispetto al totale di 706. Il regime del 41-bis non prevede, a norma di legge, questo tipo così esteso di videosorveglianza. Torno a dire che vi è anche qualche problema sotto il profilo della compatibilità con le norme della Convenzione europea.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Quindi, Totò Riina era sottoposto alla videosorveglianza h 24. Bernardo Provenzano perché non lo era ?

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Non sono in grado di rispondere se Bernardo Provenzano non lo fosse, né perché, eventualmente, non lo fosse. Mi sembra di ricordare – circa un anno e mezzo fa, un caso che ha riguardato Provenzano ha avuto notevole rilevanza arrivando alla mia attenzione – che, in effetti, Provenzano non fosse sottoposto ventiquattro ore su ventiquattro a videosorveglianza, però non ne ho la certezza. Forse la riduzione era legata alle condizioni di salute di Provenzano che erano – e credo lo siano tuttora – alquanto complesse.

  DAVIDE MATTIELLO. Vorrei porre una questione più generale. Lei ritiene che le modifiche relative alle modalità applicative che sono intervenute sul 41-bis nel corso degli anni, dovute ad alcune normative o dipendenti da sentenze della Corte costituzionale o, ancora, probabilmente da una prassi amministrativa, abbiano svuotato il significato di questo regime ? Vorrei capire se possiamo ancora pensare che il regime del 41-bis sia applicato in maniera coerente ai motivi per i quali è stato introdotto, cioè fare in modo che in particolare i capi, come lei diceva, non continuino a mandare messaggi all'esterno, a comandare, a esercitare il proprio potere.
  Visto che questa Commissione avrà anche il compito di suggerire delle proposte legislative, se la sua risposta è affermativa, in cosa secondo lei il regime del 41-bis dovrebbe essere ancora o nuovamente ritoccato ? Mi riservo, in base alla sua risposta, di fare ancora una precisazione.

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sul 41-bis il legislatore è intervenuto molte volte e, in qualche momento, mi sono chiesto se non sia intervenuto troppe volte. Nell'ultimo intervento del 2009 credo che sia stata data una buona strutturazione a questo regime.
  Nella prassi applicativa – penso adesso soprattutto alla prassi giudiziaria – probabilmente un punto critico riguarda non tanto l'applicazione del regime quanto le sue proroghe. Qui forse c’è da domandarsi se non ci sia uno snaturamento o una possibile tensione logica rispetto alle origini dell'istituto. L'origine dell'istituto, nella legge del 1975, all'articolo 90, poi appunto ricollocato come 41-bis, prevedeva l'applicazione a situazioni di emergenza; era nato in relazione soprattutto a fenomeni di terrorismo o alle grandi rivolte degli anni Settanta, quindi aveva di per sé una natura temporanea.
  Il 41-bis rimane, come impianto, anche oggi una misura temporanea, tant’è che inizia con un decreto e poi ci sono le proroghe. Proprio su questo aspetto della temporaneità vi è forse oggi una tensione interna, se non una certa contraddizione nell'istituto. Per quanto attiene, però, alla sua efficacia, direi che essa mi sembra evidente. Al riguardo, c’è un dato impressionante: la drastica riduzione, fino alla scomparsa, degli omicidi ordinati dall'interno del carcere. Naturalmente questo risultato non è da attribuirsi solo, ma Pag. 5anche al 41-bis, ne sono convinto. Dopo gli anni 1992-1994, c’è stato un calo verticale, che arriva quasi all'azzeramento, mentre prima abbiamo avuto – nell'atrio del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ci sono i nomi – 76 persone uccise.
  Credo che di questo si debba avere la consapevolezza. È uno strumento che ha una sua funzionalità e questo rispecchia anche l'opinione direi generale dei magistrati; credo infatti che non esista un magistrato che si occupa di questi settori particolari della criminalità, che non sia convinto che questo regime ha una sua funzione.
  Non sarei in grado di fare un discorso articolato, che poi sarebbe probabilmente anche troppo lungo, rispetto a trasformazioni e miglioramenti, ma forse l'unico ritocco che considererei possibile – parlo in base alla mia esperienza di presidente del tribunale di sorveglianza di Roma – è sul piano delle proroghe. La norma è oggi formulata, infatti, in termini tali che se applicata non rigorosamente, direi, ma correttamente dal giudice, difficilmente consente di negare la proroga nei casi in cui il ministero abbia adottato il decreto di proroga.
  In effetti, come dicevo, abbiamo numeri non propriamente bassi di persone che si trovano da 20-21 anni in questo regime. Questo ha un significato per i capi supremi, che in qualche modo rimangono tali a vita, ma se questo abbia lo stesso significato per livelli inferiori e intermedi è una domanda che forse ha senso di essere posta.

  DAVIDE MATTIELLO. Vorrei aggiungere solo una specificazione. Riguardo ad alcune dichiarazioni che sono arrivate sui giornali – faccio riferimento a brani di conversazioni, minacce e quant'altro – vorrei sapere se è stata avviata un'inchiesta interna al DAP per capire eventualmente se qualcuno dall'interno dell'amministrazione abbia fatto arrivare ai giornali quelle informazioni. Credo, infatti, che in questo stia il senso del 41-bis: un detenuto sottoposto al 41-bis può sfogarsi come vuole, ma il problema è che quegli sfoghi sono arrivati sulla stampa e sono stati puntualmente descritti.
  Se esiste un'inchiesta interna al vostro dipartimento per capire se, chi e come, vuol dire che in qualche modo si ipotizza una responsabilità altrimenti vuol dire che è stato qualcun altro a far arrivare quelle dichiarazioni sui giornali.

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Io non faccio deduzioni perché non trovo che sia possibile. Il regime, come ho detto nella scorsa seduta, mediamente funziona bene. Noi verifichiamo che questa impermeabilità mediamente funziona, sebbene non in modo assoluto, perché comunque vi sono i colloqui e via dicendo. D'altra parte, sapete che oggi esiste una norma apposita, sorretta da sanzione penale, per evitare che avvenga la diffusione di notizie, che credo abbia anche la sua capacità di deterrenza.
  In questo caso specifico – sempre ribadendo che non voglio fare deduzioni – all'interno delle dichiarazioni di Riina vi erano anche minacce nei confronti di un funzionario dell'amministrazione penitenziaria, il direttore – minacce che noi consideriamo anche preoccupanti, tant’è che abbiamo chiesto, e la richiesta è stata accolta, di valutare una protezione per questo funzionario – ma di questo non si è avuta notizia all'esterno. Non dico che sia una conferma del fatto che il regime funziona bene, mostra però quello che è il comportamento normale, anche perché il personale addetto a questo settore dei detenuti è motivato e mediamente ben addestrato, e conosce anche a che cosa può andare incontro. Credo, quindi, che si tratti di un elemento che lascia pensare che il regime, nel suo aspetto amministrativo tipico, ha funzionato.
  In secondo luogo, non ho nessuna ragione di ritenere che gli ufficiali di polizia giudiziaria, che intervenivano in questo caso per le intercettazioni di Riina, in collegamento con l'autorità giudiziaria palermitana, siano stati infedeli. L'idea di fare un'indagine amministrativa interna – che non mi è stata proposta né mi è stata Pag. 6rappresentata – non vedo a che cosa avrebbe potuto portare, dal momento che sotto il profilo amministrativo non abbiamo indicatori di disfunzioni. Se disfunzioni ci sono state, riguardano un momento e un settore diverso, rispetto al quale un'indagine amministrativa non potrebbe arrivare a nulla.
  Sarebbe assolutamente inaccettabile se io avessi riscontrato che ci fosse stata una sottovalutazione o un ritardo nel considerare un certo tipo di possibili minacce. Il dato di fatto, però, che ho appreso successivamente, esclude che questo sia avvenuto perché vi è stata un'immediata comunicazione e anzi, più esattamente, un'apprensione diretta da parte dell'autorità giudiziaria competente, quella stessa autorità giudiziaria che, come abbiamo sentito, aveva fatto divieto assoluto di riferire a chicchessia notizie relative all'attività investigativa che stava svolgendo, cosa che – ripeto ancora – ha fatto benissimo a ribadire nonostante non fosse necessario.

  PINA PICIERNO. Vorrei rivolgere al dottor Tamburino alcune domande anche rispetto a quanto detto nella passata seduta.
  Riguardo al protocollo di cui ci parlava anche oggi, all'inizio dell'audizione, vorrei sapere come esso si concilia con il monitoraggio tecnico che si espleta sui detenuti al 41-bis, in particolare ai sensi del comma 2-quater, lettere b) e f), dove si disciplinano la videosorveglianza, il controllo dei colloqui e la limitazione della permanenza all'aperto.
  Cercherò di formulare più chiaramente la domanda. Quando il controllo che viene effettuato sulla socialità (e quindi sulla permanenza all'aperto, sui colloqui e così via) dà dei risultati, ovvero consente di acquisire delle informazioni, queste informazioni vengono condivise ? Se la risposta è «sì», tra chi vengono condivise ? Inoltre, nei momenti in cui emerge una notizia di reato, questa viene comunicata ai sensi di questo protocollo – di cui ovviamente non conosco i contenuti e per cui chiedo chiarimenti – all'autorità giudiziaria ?
  In secondo luogo, sempre rispetto ai detenuti al 41-bis, vorrei un ulteriore approfondimento riguardo al metodo con il quale vengono scelti i gruppi di socialità: come è applicato il controllo previsto alla lettera f) del comma 2-quater del 41-bis ?
  Inoltre, mi sembra che lei oggi abbia ritrattato alcune delle dichiarazioni rilasciate nell'ultima audizione. Farò riferimento ai miei appunti per ricordarle che quando ci raccontava, nella passata audizione, delle difficoltà sul piano pratico-applicativo nel seguire questi soggetti di elevato spessore criminale diceva che molto spesso finiscono per diventare routine eventi che routine non sarebbero affatto. Inoltre, lei affermava che il DAP cerca di selezionare al meglio il personale di sorveglianza ma, in definitiva, lo attinge dallo stesso bacino di persone che lavorano per tanti anni a contatto con questi detenuti, quindi in qualche modo ci si deve rassegnare a certe cadute di tensione professionale.
  Ho trovato queste affermazioni molto gravi e vorrei chiederle se ce le conferma. Vorrei inoltre sapere – mi ricollego alla domanda del collega Mattiello – se lei ritiene che la vicenda delle minacce al dottor Di Matteo, trapelate poi sui giornali, abbia in qualche modo a che fare con queste cadute di professionalità. Se la risposta è «no», le chiedo quale idea si è fatto in merito. Poc'anzi lei ha escluso anche l'ipotesi di un'inchiesta amministrativa interna: come è stato possibile che quelle minacce, o presunte tali, siano finite sui giornali ?
  Infine, vorrei sapere se lei ritiene che l'amministrazione penitenziaria controlli efficacemente il trattamento di questi detenuti, alla luce delle cose che ha detto. Oppure ritiene che ci siano troppe interferenze e un po’ di disorganizzazione ?

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. La domanda è complessa, anzi sono una serie di domande. Come l'altra volta, parlerei più esattamente di «convenzione» anziché di «protocollo»: è una distinzione terminologica, ma serve per distinguere Pag. 7questa convenzione che ho consegnato oggi, i cui contenuti quindi saranno pienamente conoscibili, da eventuali altre forme di collegamento che siano eventualmente e ipoteticamente esistite in passato.
  Questa convenzione prevede che rispetto alle notizie che possano avere rilevanza per le finalità dell'Agenzia, dei servizi, vi possa essere una richiesta, rivolta al Dipartimento, di acquisizione di informazioni; questa richiesta verrebbe accolta, alle condizioni previste dalla convenzione stessa, dal Dipartimento che fornirebbe le notizie richieste.
  Questo è peraltro basato su norme di legge, su norme primarie che prevedono, almeno così sono state interpretate, l'obbligo, il dovere di collaborazione di tutte le pubbliche amministrazioni con l'Agenzia.
  Per quanto riguarda l'ipotesi di notizie di reato, come già detto, queste vengono trasmesse immediatamente all'autorità giudiziaria, come è obbligo di ogni pubblico ufficiale e, in particolare, come è obbligo della Polizia giudiziaria. La Polizia penitenziaria ha la qualifica, nell'ambito della sua competenza, di Polizia giudiziaria, quindi è doppiamente tenuta a farlo: in quanto pubblico ufficiale e, specificamente, in quanto Polizia giudiziaria. Non vi è, dunque, alcun dubbio che tutte le notizie di reato vengono immediatamente trasmesse all'autorità giudiziaria penale; se questo non avvenisse, si commetterebbe un reato.
  Per quanto riguarda, invece quella, che chiamavo l'acquisizione in via amministrativa, in quanto sia documentato e documentabile, vi è certamente la possibilità, alle condizioni che dicevo prima, quando ne sia fatta richiesta, che vengano trasmesse le informazioni all'Agenzia che ne fa richiesta. Nei 14 casi in cui questo è avvenuto, abbiamo fornito le informazioni coerenti con la richiesta pervenuta.
  Va tenuto presente che la legge istitutiva e di riforma dell'Agenzia ha previsto anche ulteriori poteri nell'esercizio dell'attività di informazione per la sicurezza dello Stato; questi poteri vanno molto al di là e molto al di fuori dei poteri comuni ma, per quanto mi risulta, non sono mai stati utilizzati nelle relazioni con il Dipartimento successive alla convenzione del 2010.
  Rispetto al punto nel quale lei ha ravvisato una mia ritrattazione, devo dire che non è affatto così. Io confermo esattamente quello che ho detto, ma quello che ho detto è molto diverso da quello che lei mi fa dire. Io non ho detto affatto che «spesso» questo avvenga, bensì che questo può accadere, che vi è il rischio che accada, ma non che questo accada spesso.
  Ho detto, inoltre, rispetto al bacino dal quale noi attingiamo le forze, che queste 588 persone che oggi prestano servizio nei reparti del 41-bis sono le forze della Polizia penitenziaria e vengono selezionate ma che, come in tutte le cose umane (e questo potrebbe valere per i primari ospedalieri come per i magistrati) vi è un rischio di assuefazione o di routine. È un rischio, però, di carattere generale che chiaramente, essendosi a contatto con i livelli massimi di pericolosità cioè con le persone che la società considera il punto più elevato della pericolosità criminale, terroristica, mafiosa o di altro genere, richiede una particolarissima attenzione. Nessun allarme, quindi, perché non ne ho ragione, ma estrema attenzione. Questo spiega anche perché vi sia un certo turnover, proprio per evitare che si crei questa routine, che è paventata, ma non è affatto vero che io abbia detto o che abbia pensato che è frequente o che questo accada spesso.
  Riguardo al fatto che in questo caso qualcosa sia finita sui giornali, a differenza di altri casi, ripeto, non voglio fare delle deduzioni. Mi limiterei a constatare i fatti e le circostanze. Come ho già detto, ogni altra deduzione o illazione sarebbe arrischiata, anche perché i passaggi possono essere vari una volta che una certa notizia giunge in un determinato ufficio o in una determinata sede. Mi guarderei bene dal parlare di cose che non sono state in nessun modo accertate e che noi, come Dipartimento, non possiamo certamente accertare.
  Infine, lei mi chiedeva se ritengo efficace questo regime. Mi sembra di avere già Pag. 8risposto: credo che, come tutto, sia migliorabile, ma abbia una buona efficacia.

  PRESIDENTE. Collega Giarrusso, non può prendere la parola tutte le volte che vuole.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Il dottor Tamburino non ha risposto sulla questione della socialità posta dalla collega Picierno. Dopo l'audizione del dottor Tamburino è uscita una notizia di stampa gravissima: la figlia di Riina si è trasferita in Puglia, nel territorio di riferimento del mafioso della Sacra corona unita che aveva la socialità con Riina, e addirittura il marito della figlia di Riina si sarebbe successivamente recato a Trapani per incontrare Matteo Messina Denaro.
  Alla luce di questi fatti, come è possibile che non si apra un'inchiesta interna per stabilire chi, come e perché sia stato scelto proprio quel detenuto per la socialità con Totò Riina ? Questo è quanto vorrebbe sapere il Movimento 5 Stelle.

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. È vero, a questa domanda non ho risposto, ma ne avevo parlato già in precedenza, e la questione è documentata (lascio anche questo documento al presidente).
  Tutte le volte in cui si deve decidere se fare un abbinamento con un altro detenuto di 41-bis si chiede all'autorità giudiziaria. Anche in questo caso è avvenuto così; è stato mandato un elenco di nomi alla Direzione nazionale antimafia e, all'interno di questo elenco, la Direzione nazionale antimafia ha scelto il nome di Lorusso.
  La Direzione nazionale antimafia è l'unico organo giudiziario che ha una visione complessiva, nazionale appunto, e dal momento che in questo caso, come in altri, si tratta di scegliere eventualmente se mettere un detenuto che appartiene a un'altra organizzazione – in questo caso pugliese ma poteva essere diversa o venire dal terrorismo – chi può valutare l'opportunità o meno, il rischio e le tante altre valutazioni non può essere altri che un organo centrale, che conosce e domina, per così dire, tutta la materia. In questo caso, la Direzione nazionale antimafia, che ha un magistrato specializzato, che di questo si occupa, ha indicato quel nome nell'ambito dell'elenco di nomi che erano stati trasmessi come possibili persone da mettere insieme a Riina. Tutto questo è documentato.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Molto brevemente – ho trovato risposta già a molte questioni – vorrei ricapitolare quanto detto. Mi sembra di capire che il cosiddetto «protocollo farfalla» o, quantomeno, i suoi contenuti non siano più sostanzialmente attuali e che il rapporto con la nuova organizzazione dei Servizi segreti sia basato semplicemente sullo scambio di questioni documentali – questa è la mia prima domanda – ovvero di banche dati.
  La mia seconda domanda è ancora conoscitiva: non ricordo se è stato precisato, nell'ambito dei 706, quanti sono i detenuti riconducibili alla ’ndrangheta e, rispetto alla cifra complessiva, quanti sono quelli in condanna definitiva e quanti, invece, ancora in attesa di giudizio, appellanti o ricorrenti.

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Del protocollo farfalla, come ho detto più volte, non so nulla. Non l'ho visto, non so nemmeno se esista. Non ho alcuna ragione per conoscerne l'esistenza, posto che c’è un procedimento penale in corso che riguarda quel periodo. Questo è l'unico dato certo che ho. Quindi, ripeto, non so se il protocollo farfalla esista, se abbia questo nome o quali contenuti abbia.
  Oggi il contenuto della collaborazione è definito in modo preciso in questa convenzione che ho lasciato, ed è sicuramente prevista la possibilità di accesso alla banca dati, che peraltro mi risulta non sia ancora mai avvenuto, nel senso che in tutti i casi che ho avuto modo di conoscere non c’è stato un accesso diretto alla banca dati, Pag. 9come pure sarebbe possibile, ma c’è stata una richiesta di informazioni alla quale noi abbiamo risposto con le informazioni che ci venivano richieste.
  Per quanto riguarda la ’ndrangheta, come abbiamo visto – durante la passata audizione avevo letto male la colonna – i detenuti sono 130, ricordo a memoria il numero.
  Per quanto concerne il numero dei detenuti in attesa di giudizio rispetto ai cosiddetti «definitivi» posso fornirvi numeri dettagliati: i condannati con sentenza passata in giudicato sono 279, di cui 142 all'ergastolo; 58 sono gli appellanti, di cui 9 condannati in primo grado all'ergastolo; 27 i ricorrenti; soltanto 46 in attesa di primo giudizio e 229 con posizione giuridica mista, ovvero detenuti con alcuni titoli definitivi e altri titoli in corso di procedimento. Se aggiungiamo i 229 ai 279 arriviamo a circa 500 detenuti che hanno una condanna su 706.

  PRESIDENTE. Gli ergastoli ?

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sono 142 più 128, quindi 270 detenuti in totale condannati all'ergastolo.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Cinquantotto appellanti e ventisette ricorrenti.

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Esatto.

  GIULIA SARTI. Presidente, chiedo di segretare le domande dal momento che riguardano i dati che il dottor Tamburino ci ha fornito sulla convenzione.

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audio.

  La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta segreta.

  CLAUDIO MOSCARDELLI. Vorrei porre alcune domande su questioni diverse.
  La prima domanda verte ancora sul 41-bis. Abbiamo avuto notizia dalla stampa del caso di Giuseppe Setola ovvero dell'ipotesi secondo la quale il boss dei Casalesi, in regime di 41-bis, è riuscito a impartire ordini attraverso i suoi familiari. Mi risulta che la procura di Napoli abbia aperto un fascicolo al riguardo. Vorrei pertanto sapere se e che tipo di provvedimenti sono stati adottati dall'amministrazione penitenziaria.
  La seconda domanda riguarda i disordini del primo gennaio al carcere di Viterbo fra due gruppi di detenuti, uno di nazionalità romena e uno di nazionalità italiana. Vorrei capire le dinamiche e gli esiti di questa vicenda.
  Infine, abbiamo visto in passato come il carcere è stato terreno in cui detenuti comuni sono stati politicizzati o, attraverso il contatto con altri detenuti, hanno avuto l'opportunità di entrare in organizzazioni criminali. Vorrei sapere se esiste un fenomeno di questo tipo rispetto al radicalismo religioso e quindi se è ipotizzabile, all'interno delle carceri, un pericolo di reclutamento di detenuti da parte di organizzazioni tipo Al Qaeda o simili.

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Il regime dell'articolo 41-bis non è a impermeabilità assoluta, perché prevede i colloqui con i familiari e con i difensori. Proprio riguardo ai colloqui con i difensori è intervenuta la recente sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 2013, che ha ritenuto illegittimo il limite che ne riduceva la possibilità.
  Non esiste, quindi, e non è mai esistita un'impermeabilità assoluta dell'articolo 41-bis. Peraltro, citavo prima la norma introdotta nel 2009 nel codice penale con l'articolo 391-bis, «Agevolazione ai detenuti e internati sottoposti a particolari restrizioni delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario», che fa riferimento proprio ai detenuti sottoposti al 41-bis con una nuova ipotesi che prevede un'aggravante (porta la pena da 2 a 5 anni) che riguarda i pubblici ufficiali, incaricati di pubblico Pag. 10servizio, o chi esercita la professione forense per attività come questa agevolazione. Nessuno può far filtrare fuori informazioni e se questo avviene – e purtroppo certamente avviene – si commette un reato e la competenza è dell'autorità giudiziaria del luogo in cui il reato è stato commesso.
  Noi quindi non solo non facciamo nulla, ma non avremmo neanche la competenza per fare qualcosa. Se, per fare un esempio, la moglie del detenuto dopo il colloquio va a Napoli e spiffera quello che il congiunto le ha detto di fare per uccidere il rivale, noi non abbiamo nessuna competenza, perché nulla è avvenuto nell'ambito della nostra competenza e nulla possiamo fare perché questo non avvenga, neanche in previsione di altri casi, perché non possiamo impedire alla moglie di ascoltare l'ordine che le venga eventualmente impartito (in modo criptico o meno) e neanche possiamo impedirle di tornare a Napoli o in Puglia per fare quello che deve fare. Nel farlo però commette un reato e la competenza sarà dell'autorità giudiziaria. Leggiamo, purtroppo, queste cose sui giornali, ma non possiamo fare altro che alzare le mani e, naturalmente, intensificare i livelli di attenzione e di captazione di quel che avviene nell'ambito di questi reparti e di questi colloqui.
  Inoltre, il senatore Moscardelli mi chiedeva notizie a proposito del proselitismo. Vi è naturalmente, anche a questo riguardo, un'attività di attenzione che viene seguita soprattutto dalla segreteria di sicurezza che è diretta da un magistrato – se la Commissione lo volesse, sarebbe a completa disposizione per essere sentito – ed è un'attività che cerca di cogliere attraverso le informazioni di carattere amministrativo e preventivo che riceviamo se vi siano dei segnali di attività di proselitismo o predisposizione di attività criminose. Questo è evidentemente di interesse comune e peraltro non riguarda solo il 41-bis, ma è una cosa generale che riguarda tutti i detenuti.
  Per quanto concerne Viterbo, dove abbiamo un reparto di 41-bis e altri reparti con detenuti di alta sicurezza, cioè detenuti particolarmente pericolosi, mi sembra che l'episodio della rissa al quale fa riferimento non sia accaduto nel reparto di 41-bis ma in un altro. Nello specifico, accadono episodi di contrasto tra singoli o tra gruppi all'interno del carcere – e questo ne è un esempio – ma, per fortuna, non sono così frequenti. Viterbo è un carcere abbastanza problematico rispetto al quale si sta anche ipotizzando se fare degli interventi di modifica dei criteri che si sono adottati finora per trasferirvi detenuti o per assegnarli.

  CLAUDIO FAVA. Molto rapidamente vorrei chiedere anzitutto una precisazione: il direttore di Opera, Giacinto Siciliano, è lo stesso direttore di Opera che si trova in questo momento sotto processo coimputato con Salvatore Leopardi nella vicenda penale di cui parlava ?

  GIOVANNI TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, mi risulta di sì.

  CLAUDIO FAVA. Inoltre, lei ci diceva di aver appreso di una nota del 3 settembre della procura di Palermo sulle intercettazioni...

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audio.

  La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.40.