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XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 22 gennaio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 2 

Audizione del sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria, in materia di dispersione scolastica (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 2 
Rossi Doria Marco , Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca ... 2 
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 8 
Rossi Doria Marco , Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca ... 9 
Santerini Milena (PI)  ... 9 
Coscia Maria (PD)  ... 10 
Capua Ilaria (SCpI)  ... 12 
Rossi Doria Marco , Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca ... 12 
Capua Ilaria (SCpI)  ... 12 
Marzana Maria (M5S)  ... 12 
Fratoianni Nicola (SEL)  ... 13 
Santerini Milena (PI)  ... 14 
Fratoianni Nicola (SEL)  ... 14 
Pes Caterina (PD)  ... 14 
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MANUELA GHIZZONI

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria, in materia di dispersione scolastica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria, in materia di dispersione scolastica.
  Il sottosegretario ha predisposto una relazione, che viene distribuita, in modo da poter seguire più agevolmente il suo intervento.
  Do la parola al sottosegretario Rossi Doria, ringraziandolo per essere intervenuto.

  MARCO ROSSI DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Prima di illustrare la relazione che il ministero ha predisposto, vorrei personalmente ricordare, per un attimo, Alessandra Siragusa.
  Su questa materia, molti anni fa, prima che lei diventasse deputato, e io sottosegretario, ci soffermavamo a discutere e a cercare di capire cosa fare tra Napoli, la Campania e la Sicilia, che sono tra le regioni più colpite dalla tenacia della dispersione scolastica (la voglio chiamare così). In questo momento mi trovo qui, dove ho ritrovato – dopo tanti anni – Alessandra, con cui ho avuto un rapporto anche complesso: aveva pepe, Alessandra, come si ricorderanno i membri della Commissione che erano allora presenti. Ci tengo, quindi, moltissimo a ricordarla in questo momento.
  Ringrazio la Commissione per questa opportunità e ringrazio il ministro per avermi dato la possibilità di essere io qui. Ho dedicato molto tempo a questa questione e, quindi, non nascondo e non voglio nascondere di esservi anche personalmente implicato. Come diceva don Lorenzo Milani, con una considerazione che purtroppo – e sottolineo purtroppo – è ancora attuale, il principale problema della scuola italiana sono i ragazzi che perde: è questa la questione fondamentale da cui voglio partire.
  Ha fatto bene il Ministro Maria Chiara Carrozza a sottolinearlo, a più riprese, e a iniziare quest'anno scolastico, l'anno scolastico in corso, a Casal di Principe, su questo tema. L'ha ripreso anche recentemente. C’è, quindi, una forte consapevolezza, una forte presenza del ministero, che ovviamente mi spinge a fare di più.
  La relazione che ho predisposto, d'accordo con gli uffici, che ringrazio formalmente anche qui per il lavoro fatto, è il risultato di un confronto anche metodologico su come presentare correttamente, come Governo, alla Commissione, un lavoro completo che possa essere utilizzato anche in seguito. Io sono disponibile a Pag. 3rispondere a domande e ad avere con voi momenti di approfondimento sull'insieme, o anche su uno qualsiasi dei temi.
  La relazione consta di molte pagine. Le illustrerò piuttosto brevemente.
  Come primo tema, tutta la letteratura ci conferma importanti correlazioni tra tassi di scolarità bassi e alcune grandi questioni della nostra società. La prima è la povertà.
  Sia nel mondo in generale, sia in Italia c’è una forte correlazione con tutte le diverse manifestazioni della povertà, non solo quella infantile e adolescenziale, ovviamente, ma anche quella per il corso della vita. La mancata scolarità, l'insuccesso formativo, è, quindi, correlato anche a tutte le questioni che aumentano con la povertà, quali l'illegalità, la minore attesa di vita, la maggiore possibilità di cadere nelle dipendenze, ricorrenti problemi di salute. Naturalmente, non bisogna mai in questo, come in altri campi, fare automatismi: non è necessariamente così, ma c’è una maggiore probabilità.
  La povertà è fortemente correlata anche con la mancanza di lavoro, con l'incertezza del lavoro, con la disoccupazione. Anche le aree – non solo gli individui – di un Paese dove c’è massima concentrazione della dispersione scolastica sono, in modo biunivoco, legate alla difficoltà della crescita e dello sviluppo e alla stasi nel mercato del lavoro. «Biunivoco» significa che c’è una correlazione nelle due direzioni.
  Inoltre, la povertà è correlata, sempre sia in Italia sia nel mondo, con i tassi di partecipazione democratica, anche questa nelle sue diverse forme, non solo politica, ma anche di tipo associativo, legato alla difesa e alla propugnazione dei diritti e via elencando. Su tutto questo non c’è una differenza di posizioni ideologiche o di pensiero. Le scuole socialdemocratiche, liberali o di altro tipo nel pensiero economico e sociale convengono, per la grande evidenza di dati, su queste correlazioni.
  Per battere la dispersione scolastica nelle politiche pubbliche, in Italia come nel mondo, sono necessarie alcune costanze di policy, di politiche pubbliche: innanzitutto, un forte coordinamento di queste politiche; una rigorosa valutazione dei risultati; un'ottimizzazione delle iniziative e delle risorse tra il decisore nazionale e – nel caso italiano – le scuole autonome e gli enti locali; uno sviluppo della scolarità precoce, almeno a partire dai tre anni, ma anche prima; un'attenta cura dell'apprendimento di ciascun bambino e ragazzo a scuola e fuori scuola.
  Nel mondo, come in Italia, uno degli elementi di contrasto di maggior successo alla dispersione scolastica è imparare presto e bene le competenze e le conoscenze cosiddette «irrinunciabili». Occorre dedicare una particolare attenzione proprio a queste nella scuola di base.
  Si aggiunge un sostegno a iniziative di sviluppo locale, perché c’è una forte correlazione tra lo sviluppo locale che funziona nelle zone di dispersione scolastica e la battaglia contro la dispersione scolastica. Noi possiamo avere efficaci politiche delle scuole autonome in una zona di forte dispersione scolastica, senza però altri significativi elementi di sviluppo locale. Se, finita la terza media, anche proficuamente, non c’è lavoro, non ci sono politiche per la legalità, non ci sono politiche di implementazione urbana – e potrei continuare –, ovviamente vengono non dico azzerati, ma messi in discussione anche i passi in avanti fatti dalle scuole o dagli altri attori educativi di un determinato territorio.
  Ci vuole un sostegno ai percorsi tra scuola e lavoro. Anche questo è molto importante. Nell'esperienza di tutte le scuole che hanno lavorato in questo campo c’è l'evidenza che, a un certo punto, bisogna avere una via di uscita legata all'integrazione con il mondo del lavoro. Stiamo parlando del periodo a valle della lotta alla dispersione scolastica vera e propria, ma noi abbiamo fortissima evidenza che le politiche attive contro la dispersione scolastica, negli ultimi 20-30 anni, funzionano meglio laddove ci sono, nei contesti dati – penso a determinate regioni o province – politiche forti di formazione professionale legate anche all'interazione con le imprese, in cui si Pag. 4continui ad apprendere e in cui, quindi, non ci sia l'allenamento solo al lavoro, ma anche il lavoro legato all'apprendimento per gli anni successivi alla scolarità vera e propria.
  Occorre anche un'alleanza territoriale tra tutte le agenzie educative e formative. Anche su questo abbiamo forte evidenza, in tutta la ricchissima interazione che c’è tra le scuole autonome, il privato sociale e il volontariato, che proprio l'alleanza tra scuole, privato sociale, centri sportivi, volontariato, parrocchie e le altre molteplici agenzie formative e le stesse imprese porti a risultati maggiori. Detto un po’ brutalmente, tale approccio, basato su una risposta multidimensionale ben articolata e coordinata nel tempo, non ha caratterizzato, francamente, il caso italiano. La persistenza della dispersione scolastica deriva, almeno in parte, proprio dal fatto che alcune stagioni della nostra vita pubblica, negli ultimi 20-30 anni, e i territori nei quali è prevalsa la buona politica su questo tema si sono alternati con anni peggiori e politiche locali peggiori.
  Abbiamo poi voluto sottolineare la questione di come viene calcolato – leggerete con cura il rapporto – il tasso di dispersione scolastica e i problemi di rilevazione che noi abbiamo avuto e che continuiamo ad avere.
  Non è una questione banale. Tenete conto che, nell'esaminare il fallimento formativo, è molto importante che i diversi organi siano d'accordo. Per esempio, nel nostro caso, noi siamo in una situazione di grande complessità. La persona che nel codice civile è responsabile dell'obbligo scolastico è il sindaco, o un suo delegato. Dal punto di vista delle politiche di offerta formativa, sono responsabili le scuole autonome, ma anche le province e le regioni, per quanto riguarda i percorsi di formazione professionale. Le forme complesse e di controllo di che fine faccia un ragazzino, quando non segue né l'una né l'altra strada, sono facili a dirsi, ma difficili a farsi.
  Anche la misurazione della relazione diretta tra lo stato di origine di una persona in crescita, cioè l'origine familiare – quello che don Milani chiamava il «carattere di classe» della dispersione scolastica – quello che tutti riconoscono, ossia che, se tu vieni da una famiglia con pochi mezzi, con poca istruzione e con poco lavoro, hai molte più possibilità di non terminare la scuola, è molto difficile da realizzare effettivamente in maniera dettagliata e scientificamente fondata, territorio per territorio.
  Uno dei motivi – lo segnalo anche per sollecitare tutti noi – per cui questa misurazione è particolarmente difficile in Italia, è dato dal fatto che c’è stata un'interpretazione delle norme sulla privacy tale per cui non si possono chiedere ai genitori, quando si iscrivono a scuola i bambini, che lavoro fanno e qual è il loro grado di istruzione, a differenza di tutti gli altri Paesi europei. Noi ci troviamo, peraltro, in difficoltà anche quando dobbiamo rispondere su alcuni indicatori che ci vengono utilmente richiesti dai Fondi sociali europei su questo tema. Ci sarebbe una riflessione istituzionale da fare.
  Si stanno trovando altri modi e forme di misurazione. Alcune province e regioni sono più avanti. Cito per tutte la provincia di Pisa, la quale ha approntato, da molto tempo, un sistema che, attraverso la Conferenza Stato-regioni, si sta diffondendo e che io menziono in questa relazione. Continuiamo ad avere comunque problemi, che stiamo, però, affrontando. Gli uffici del ministero – lo voglio sottolineare – sono molto migliorati, come vedrete dalle tabelle allegate, che sono alquanto dettagliate.
  Andando rapidamente al secondo capitolo della relazione, la notizia relativamente buona – tengo a sottolineare il «relativamente» – è che la dispersione è un fenomeno, come ho detto, persistente, oltre che multidimensionale e complesso, ma è anche un fenomeno in lento, ma continuo calo. Stiamo migliorando, come vedrete dalle tabelle, anche se stiamo migliorando troppo lentamente.
  L'indicatore che utilizziamo – su cui voglio dire qualcosa – è, in sigla, l'ESL, che vuol dire early school leavers, ossia, potrei tradurre, coloro che lasciano la Pag. 5scuola prima del tempo. Questo è già un punto di approdo al quale l'Italia ha partecipato insieme ai partner europei. Il sistema di scolarità europea, infatti, aveva Stati con il diritto, Stati con il diritto-dovere e Stati, come il nostro, con il vero e proprio obbligo. Inoltre, c'era una differenza di età in cui l'indicatore veniva misurato: in alcuni Stati a 13 anni, in altri a 14, in altri a 15, in altri a 18 e via elencando. Alcuni indicavano all'interno dell'obbligo la formazione professionale anche di tipo vocational, cioè l'allenamento al lavoro puro e semplice; altri, invece, il misto con la scolarità. In sostanza, era molto difficile dirimere questa matassa e arrivare a una comparabilità continentale su questo tema.
  Siamo arrivati a questa comparabilità con una rivoluzione che è avvenuta, metodologicamente parlando, circa sei o sette anni fa, in maniera definitiva: noi misuriamo a valle, misuriamo cioè i ventiquattrenni dei nostri Paesi. Quando una persona entra nei venticinque anni, e non ha in tasca né un diploma di scuola superiore, né un attestato di formazione professionale che la abiliti a entrare in una dimensione professionale nel mercato legale del lavoro, almeno triennale, allora questa persona è un early school leaver. Quando voi vedete scritto 16 per cento, 15 per cento o 21 per cento nelle tabelle allegate, è di quello che stiamo parlando.
  Naturalmente, dovete tener conto che questo è vero fino a un certo anno. Quando si guardano con più attenzione queste tabelle, se andate indietro, e vedete il 2001, il 2002 e il 2003, sappiate che non era stata ancora consolidata questa convenzione europea cui noi ci stiamo, invece, ora attenendo.
  C’è un'altra questione su cui vi voglio avvertire in merito alle tabelle: esistono eventi in un Paese, come spesso avviene nelle statistiche, che determinano dati strani nelle tabelle. Quando vedrete le tabelle, anche dettagliate per regione, sulla dispersione scolastica, noterete che a un certo punto c’è una drastica riduzione – intorno agli anni 2004, 2005, 2006 o 2007; ora non ricordo – seguita, di nuovo, da un brusco aumento. Questo è dovuto al fatto che durante il periodo di Governo col Ministro dell'istruzione Moratti, ci fu un calo di un anno dell'obbligo scolastico, da 16 a 15 anni, dopo un periodo in cui l'obbligo scolastico fu portato a 16 anni che durò meno di due anni. Ciò ha implicato il fatto che, quando si sono raccolti i dati, i sedicenni ovviamente erano inclusi e c’è stato un ulteriore rialzo. Poi c’è stato un abbassamento, perché questi andavano a scuola e poi c’è stato ancora un rialzo. Ci sono anche altri esempi di queste stranezze statistiche.
  Nel secondo capitolo della documentazione depositata noi mostriamo anche i quadri di significativo miglioramento e alcuni livelli di equità superiori alla media OCSE. Sottolineiamo, inoltre, le questioni, più volte riportate dalla stampa, sulle differenze di genere nella performance.
  In generale, in questo rapporto, che rappresenta un primo momento per poter creare, io auspico, una tradizione di riflessione su questo, che è il principale problema del nostro Paese – come più volte ho sentito giustamente dire da molti membri di questa Commissione – c’è un tentativo di correlare il grado di scolarità e il successo, cioè quello che si apprende veramente, quello che si impara.
  È lapalissiano che i bambini e i ragazzi che imparano meglio hanno meno tendenza ad andarsene dalla scuola. Sistemi scolastici meno standardizzati, meno rigidi e più capaci di includere tutti, ma anche ciascuno, sono più capaci anche di tenere «dentro» gli studenti. Nell'andare fuori dalla scuola c’è la parte dovuta alle condizioni di partenza, ma ci sono anche le parti legate agli individui. Una scuola più capace di intercettare le differenze, pur dentro un frame di equità e di eguaglianza, è un sistema, come ci insegnano anche la letteratura e l'esperienza internazionale, più capace di attuare il contrasto alla dispersione scolastica.
  Più successo abbiamo negli apprendimenti fondamentali – quelli che, lo ripeto, sono irrinunciabili, per esempio le competenze di lettura, di scrittura, di matematica, ma anche di orientamento nel Pag. 6tempo e nello spazio, ossia storia e geografia, intese non in senso banale e nozionistico, ovviamente; oggi si aggiungono anche le competenze digitali, legate ai contenuti e non semplicemente all'operatività digitale – più noi abbiamo competenze consolidate presto e bene e monitorate nel tempo, e meno probabilità sussiste che vi sia dispersione scolastica.
  Ormai in tutto il mondo, non solo in Italia, quando decidiamo una politica – vi dirò poi quali politiche abbiamo messo in essere nei prossimi capitoli in questo momento – noi continuiamo a vedere come molto importante la sorveglianza sugli apprendimenti di conoscenze e competenze. Queste sono fondamentali dal punto di vista del contrasto alla dispersione scolastica.
  Arriviamo brevemente, senza entrare troppo nel dettaglio, al terzo capitolo della relazione. Ci sono alcuni sottocapitoli che trattano le politiche pubbliche, in particolare quelle del MIUR. Tengo a sottolineare e a precisare che le politiche pubbliche sono, però, più complesse rispetto a quelle che espongo come sottosegretario del ministero. Le politiche pubbliche sono infatti anche quelle dei comuni, delle province e delle regioni. C’è anche la responsabilità di coordinamento di politiche comuni.
  Partendo dall'implementazione dell'anagrafe degli studenti, ho detto quali sono i problemi e le criticità su cui insieme dovremo lavorare, ma ci sono anche passi in avanti, su cui qui relaziono.
  Si aggiungono l'aumento della durata dell'obbligo scolastico e la grande attenzione alle conoscenze e alle competenze, a partire dalla scuola di base. Questa è una grande questione ancora aperta. Non c’è un automatismo per il quale andare a scuola più a lungo batte la dispersione scolastica. Essa dipende sicuramente dalla lunghezza degli studi, ma, al contempo – questo è un fatto piuttosto importante e anche questo è vero un po’ in tutto il mondo – da che tipo di studi si propone. Se l'obbligo è molto lungo, ma molto standardizzato, non è detto che si abbiano altrettanti risultati di quelli che si hanno con consolidati e lunghi periodi di studio durante l'adolescenza, ma con un'offerta più articolata.
  In generale, da questo punto di vista, un'idea di equità più ricca non è la soluzione, ma sicuramente un indirizzo importante che aiuta moltissimo. L'idea di fornire a tutti la stessa offerta, nello stesso momento, non è detto che sia la migliore. Ferme restando alcune attività che devono evidentemente esistere per tutti, è molto importante offrirne altre che consentano a ognuno di curare le proprie parti deboli e anche le proprie parti forti, nonché di scoprire le proprie parti sconosciute. Ciò ferma restando l'importanza delle competenze – ripeto e sottolineo – irrinunciabili.
  La didattica integrativa e un'apertura straordinaria delle scuole sono una politica che funziona a patto che ci sia una vera integrazione tra quello che si fa nella parte integrativa e quello che si fa a scuola. Su questo noi abbiamo una grande esperienza e io voglio, qui, fare una prima serena riflessione.
  Fare molti progetti che si affiancano senza sapersi integrare con la scuola di tutti i giorni non è detto che funzioni. D'altra parte, una scuola completamente separata dal territorio e dalle altre agenzie educative non è una scuola che funziona. Tutte le esperienze che hanno la capacità di integrarsi con altre esperienze educative del territorio in maniera ricca, ma anche di farle ricadere nella scuola di ogni giorno, senza dividere la scuola ordinaria dalla scuola «straordinaria», sono quelle che meglio funzionano. Noi abbiamo fatto una serie di esperienze sia in bene, sia in male, con criticità, ma anche con punti di forza, su questo punto.
  Ci sono poi altre questioni. Ve le elenco. Ho cercato di enumerare anche le cifre fornite. Il problema nostro – dico «nostro» volutamente, perché è un problema sia del potere esecutivo, sia del potere legislativo – sussiste nel fatto che sono stati spesi tanti soldi e che, sebbene i risultati ci siano – lo ripeto – sono ancora troppo lenti e poco consolidati. Pensiamo agli interventi ex articolo 9 CCNL Comparto scuola sulle cosiddette Pag. 7aree a rischio e al Piano nazionale di orientamento. Sono tutte cose che voi conoscete e che avete spesso nominato in questa Commissione. Pensiamo anche al Progetto nazionale per l'inclusione e l'integrazione dei bambini Rom, Sinti e Caminanti, che però è solo all'avvio e che ha rappresentato la risposta del nostro Paese a ingiunzioni da parte dell'Unione europea e a infrazioni in questo campo. C’è poi la formazione del personale scolastico e anche dei dirigenti.
  Il quarto capitolo della relazione consegnata parla dell'utilizzo dei soldi PON (Programmi operativi nazionali) in generale. Voi sapete che i fondi europei vanno alle regioni per una parte e che poi vi è una quota parte che va al ministero. Su questi fondi PON, senza che io mi ci soffermi – intendo poi rispondere alle vostre domande – noi abbiamo diversi ambiti di intervento.
  C’è una cosa da dire su questi fondi: sono massimamente concentrati, per la maggior parte delle quantità erogate, sulle regioni dell'Obiettivo convergenza, in cui effettivamente noi abbiamo i maggiori problemi. Non è vero, però, che i problemi della dispersione scolastica ci sono solo in queste zone. Per esempio, su questi fondi siamo intervenuti, come ministero, in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Ci sono altre realtà, però – penso alla Sardegna in particolar modo – dove i tassi sono molto alti e, anche, in particolare, nelle zone metropolitane del centro e soprattutto del nord, in cui noi abbiamo problemi analoghi, ma non abbiamo fondi strutturali della stessa capacity.
  Su questo tema c’è una discussione in corso. In parte, l'articolo 7 del decreto-legge n. 104 del 2013, che voi avete utilmente dibattuto, dovrebbe intervenire. Ringrazio soprattutto la vostra collega Santerini, che mi ha più volte stimolato su questo punto. Si dovrebbe intervenire in qualche modo, non dico solo nelle altre regioni, ma sicuramente in questa dimensione.
  Segnalo anche – bisognerà anche su questo attuare una politica comune – che l'obiettivo primario, condiviso tra l'Italia e i partner europei, della riprogrammazione dei fondi europei, tutti, anche quelli dati alle regioni per il 2014-2020, vede questo tema al centro. Nell'aprile scorso esso è stato discusso e accettato dalle parti a Bruxelles. Si sono già fatti tavoli comuni tra il Ministero dell'istruzione e quello del welfare, tra febbraio e marzo dell'anno scorso – anch'io personalmente vi ho partecipato – affinché potessero esserci fondi ulteriori – anche nelle altre regioni – su queste partite.
  In particolare, al punto 5 della relazione, noi abbiamo avviato, insieme con le quattro regioni obiettivo – i dati poi vi faranno vedere che c’è una ragione perché queste regioni obiettivo rimangano tali, anche se, lo ripeto e sottolineo, ciò non è esaustivo del problema – la misura detta F3, o Azione 3, del Piano di Azione coesione, che è la priorità istruzione. Essa vede tutta una serie di interventi, tra cui alcuni prototipi, nelle zone di massima concentrazione della dispersione.
  A tal proposito, a differenza della tradizione precedente dell'erogazione delle risorse «a pioggia», noi abbiamo deciso, a monte dell'erogazione dei soldi, di fare una piccola rivoluzione copernicana. Abbiamo deciso, cioè, di indicare dal ministero quali fossero le aree sulla base di alcuni indicatori, che erano quelli della dispersione scolastica, della disoccupazione, della disoccupazione giovanile e dei bassi livelli di apprendimento nella scuola di base e nel biennio delle superiori, soprattutto per le discipline considerate fondamentali e irrinunciabili.
  Sulla base di questo, territorio per territorio, con grande fatica e perizia, quasi a livello di codice postale, ossia per microterritori, siamo riusciti a individuare le varie zone e, quindi, abbiamo emesso un bando. Tale bando si è poi accresciuto, perché abbiamo fatto, d'accordo con le quattro regioni, alcune economie, e siamo arrivati a 56 milioni di euro, che di questi tempi non sono pochi. Stiamo ora monitorando il processo. Ho voluto fortemente che i primi dati di monitoraggio del processo venissero immessi in questa relazione. Pag. 8Sono presenti, quindi, in questa relazione, ma gli uffici della Commissione hanno a disposizione – ho appena fornito la «pennetta» informatica – anche il dettaglio delle aree geografiche. Avete tutte le mappature a disposizione. Sia la fine del capitolo 5 che i progetti di cui alla specifica Azione 6, con le prime analisi, fanno parte del vero e proprio rapporto.
  Infine, e concludo, ci sono gli allegati, che vi enumero. La prima tabella, che trovate a pagina 20 della documentazione consegnata, riporta, relativamente ai giovani che abbandonano prematuramente gli studi, i valori percentuali dal 2004 al 2012. Ho voluto anche aggiungere il target Italia del 2013 e il target Europa del 2020, per farvi capire come sia forte la divergenza territoriale.
  Attenzione, la divergenza territoriale è forte – c’è il solito Nord e Sud e poi ci sono le regioni – però, tengo a precisare che molti studi ci dicono che sono altrettanto importanti e da tenere sotto un accurato controllo le divergenze nei territori e addirittura nei microterritori. Questo è dovuto a molti e diversi fattori.
  A pagina 21 della relazione è riportato il grafico che mostra questa situazione per macroterritori.
  A pagina 22 trovate il tasso di abbandono alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori. Questo è un passaggio molto importante. La criticità fondamentale del nostro sistema, così come in altri Paesi del mondo (qui c’è il dettaglio molto attento dei dati regione per regione, sempre sulla base degli early school leavers) è appunto il passaggio dalle scuole cosiddette «medie» alle scuole superiori. A questo punto, infatti, noi abbiamo un tracollo.
  Un secondo tracollo lo abbiamo tra il biennio delle superiori e le annualità successive. Continuiamo ad avere un problema serio nell'interazione tra questi dati di crisi e il passaggio, anche semplicemente di monitoraggio – anche questa è una criticità che molto onestamente bisogna dirsi e che io intendo dire – alla formazione professionale. Tanto per essere brutali, non riusciamo veramente, in tutte le regioni, a sapere che, ad esempio, Pasqualino, che è stato bocciato nella prima superiore, in effetti sta andando alla formazione professionale e sta magari svolgendo un progetto proficuo triennale e che, anche nelle discipline non professionali, ha ripreso il corso: lo sappiamo meglio in alcune zone e in altre meno. Lo sappiamo bene in Toscana, laddove riusciamo addirittura a seguire ogni ragazzino tre volte l'anno (cito il primo esempio che mi viene in mente). Lo sappiamo, meglio oggi di ieri, in Puglia, dove c’è un sistema integrato molto simile. Lo sappiamo molto poco in Campania. Lo sappiamo molto poco nel Lazio. Lo sappiamo abbastanza bene in Piemonte o in Veneto. Insomma, è una situazione abbastanza differenziata.
  Il tasso di abbandono alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori, come trend generale, lo trovate a pagina 23 della relazione. Il resto lo vedrete da soli.
  Per concludere, io penso che questa sia una grande questione nazionale. Non è una questione di parte politica, non è una questione di parte ideologica, o di scuola di pensiero sociale ed economico, come ho cercato di dire all'inizio.
  Penso che in questo Parlamento, in particolare in questa Commissione, vi sia un partito, e alcuni di noi lo hanno detto stamattina in un convegno con le scuole autonome. Io l'ho visto durante la discussione sul citato decreto-legge sulla scuola e ne sono un piccolo testimone come sottosegretario all'istruzione: in questo Parlamento, e in questa Commissione in particolare, si è ricostituito ed esiste un partito per la scuola. Questa è la principale questione della scuola.
  Penso che vi siano tutte le condizioni per riprendere, secondo le cose che sappiamo che funzionano, una grande politica pubblica su questo tema. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, sottosegretario Rossi Doria.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare Pag. 9osservazioni, chiedendo di contenere in 5 minuti la durata di ciascun intervento.

  MARCO ROSSI DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Ho dimenticato un aspetto. Non l'ho inviato oggi, perché domani porto di nuovo in Conferenza unificata lo schema di decreto applicativo del citato articolo 7 del decreto-legge n. 104 del 2013, sulla dispersione scolastica, che voi avete utilmente emendato. Appena ho un testo, lo invio alla Commissione cultura, scienza e istruzione, in maniera che anche questo aspetto possa completare la vostra informazione.

  MILENA SANTERINI. Ringrazio davvero il sottosegretario Rossi Doria per questo articolato lavoro e per questo rapporto completo che, secondo me, ha un grande valore: quello di riportarci a fare il punto su un tema chiave e di aiutarci a passare dall'attenzione, solo o prevalentemente sulle politiche dell'occupazione, a quella sulla qualità della formazione.
  Permettetemi un accenno personale. Da tutto il lavoro del ministero e dalla relazione del sottosegretario traspare un tratto biografico. Noi sappiamo benissimo da dove viene l'attenzione a questi temi, in particolare del sottosegretario Marco Rossi Doria: dalla strada di Napoli. Credo che molti di noi possano presentare – per certi aspetti – lo stesso tratto biografico: nel mio caso, sicuramente, un lavoro decennale nelle periferie. La prima ricerca che ho svolto si intitolava «Giustizia in educazione». Credo che molti di noi abbiano questa biografia. Chiederei che noi del «partito della scuola» riprendiamo un'attenzione prioritaria piuttosto tenace e pervicace a temi di giustizia educativa, come quello della dispersione, senza lasciarci sviare dal fatto che i problemi sono tanti, che la realtà è complessa e che non si possono cercare soluzioni innovative.
  Ciò detto, il fenomeno dispersione, come sappiamo e come lei ci ha detto benissimo, è molto vasto. Non riguarda soltanto gli abbandoni, lo sappiamo benissimo. Dentro la dispersione c’è la «mortalità» scolastica; c’è l'evasione scolastica – che è quasi nulla in Italia per quanto riguarda la prima elementare, ma è ancora presente nelle fasce dei bambini rom e dei bambini immigrati, laddove è nascosta e sommersa –; e c’è la ripetenza e il perseguire un titolo di studio senza le adeguate competenze. Questo è un fenomeno sommerso, che non si vede: noi non sappiamo se i nostri ragazzi che arrivano a un titolo, in realtà, hanno le competenze corrispondenti.
  Ciò detto, in riferimento a questo tipo di enorme fenomeno, noi sappiamo benissimo quali sono le conseguenze del non avere imparato abbastanza sullo sviluppo umano, sociale e lavorativo. Sappiamo anche delle cose sul perché si crea, ma le sappiamo in modo piuttosto frammentario. Per esempio, abbiamo un'idea chiara, ma non è mai presa in considerazione sufficientemente, cioè che a influire sullo svantaggio e sull'abbandono vi è ancora il titolo di studio dei genitori. È uno dei pochi dati chiari. Questo tipo di lettura dei dati può portare a una deresponsabilizzazione della scuola: se noi diciamo che il fenomeno è prioritariamente sociale o familiare, allora dobbiamo concludere che la scuola non può fare niente. È esattamente il contrario, perché, mentre noi non abbiamo evidenze – con buona pace degli amici del Movimento 5 Stelle – che la quantità faccia la qualità (quantità di tempo, quantità di tutto), abbiamo invece evidenze che incidono sullo svantaggio il background familiare, la qualità della didattica e gli stili educativi. Guarda caso, indovinate come devono essere gli stili educativi: devono essere fermi ed esigenti, ma insieme anche caldi e avvolgenti. Qualsiasi educatore sa che questo è lo stile educativo, quello che bilancia l'esigenza con altri elementi.
  Andiamo a vedere cosa fa il sistema Italia per affrontare questa grande questione nazionale e che cosa può fare il partito della scuola, qui presente, per affrontarlo.
  Io vorrei fare tre domande al sottosegretario. La prima domanda è questa: noi Pag. 10abbiamo fatto uno sforzo ingente dal punto di vista economico soprattutto sui PON e soprattutto sui PON per il sud. Vorrei chiedere come possiamo mettere in cantiere una verifica dei risultati, in modo da creare modelli operativi e metterli a sistema. Di questo abbiamo bisogno. Questo enorme sforzo deve portare a modelli operativi e a una messa a sistema.
  Passo alla seconda domanda. Lei ha parlato giustamente di un'alleanza col privato sociale. Quasi tutti i ragazzi che salviamo, che recuperiamo, vengono da un lavoro extrascolastico. La domanda che io faccio, e su cui mi vorrei impegnare con la Commissione per lavorare sulla dispersione, è come possiamo valorizzare quest'alleanza e, quindi, come possiamo formalizzare che la scuola ha bisogno del territorio e che il territorio può lavorare con la scuola, a livello di insegnanti ed educatori, di privato sociale, di famiglie e via elencando. Che cosa significa che, se lo svantaggio nel sociale nasce, nel sociale deve essere anche combattuto ?
  Vengo alla terza domanda. Dopo la «scorpacciata» di intercultura degli anni scorsi è calato il silenzio sull'immigrazione e sugli alunni rom. Vorrei capire perché. Noi dobbiamo riprendere il tema.
  Noi sappiamo benissimo che una buona parte dei ritardi scolastici e anche della dispersione è dovuta, in questa prima fase dell'immigrazione – con le prime generazioni neoarrivate – allo svantaggio accumulato da bambini e ragazzi che arrivano da fuori, che non parlano la lingua, che hanno frequentato sistemi scolastici meno esigenti e che hanno delle difficoltà sociali, evidentemente, nell'inserimento. Questo avviene nella prima fase e ancora, forse, nelle seconde generazioni.
  Dalle terze generazioni arrivano – come esempio – gli Obama e, quindi, il problema si risolve. Non è l'immigrato che è svantaggiato, è il neoarrivato. Come tutti noi, anche un Einstein che andasse a parlare un'altra lingua, in un altro territorio, avrebbe le stesse difficoltà.
  Che cosa mettiamo in cantiere per risolvere questi aspetti specifici dello svantaggio e, in particolare, un tema cruciale che investirà la nostra società, quello che io chiamo l’«apartheid scolastico», ossia la distribuzione diseguale di alunni immigrati neoarrivati nelle scuole, con le scuole di serie A e le scuole di serie B e la fuga dei genitori italiani dalle «scuole degli immigrati» ?
  Che cosa stiamo mettendo in cantiere per dimostrare che, dopo un intervento forte, come quello che hanno fatto altri Paesi – cito, per esempio, l'Australia e Israele – sul neoarrivato, le disuguaglianze vanno quasi ad azzerarsi ? Va fatto, però, un intervento interculturale. Il problema risiede in un forte intervento interculturale nelle prime fasi. Abbiamo lavorato su questo ?
  Io credo che abbiamo steso il silenzio su questo campo, che invece deve riemergere.

  MARIA COSCIA. Ringrazio anch'io il sottosegretario, che ci ha fornito una relazione molto approfondita. Penso che sia una base molto importante per consentire a questa Commissione, come affermava poco fa la collega Santerini, di farci finalmente discutere sui temi della qualità della nostra offerta formativa e su come la Commissione possa dare un contributo per raggiungere l'obiettivo dell'Agenda 2020 e, cioè, arrivare almeno alla media europea del 10 per cento, rispetto a una media attuale che, in base ai dati che stavo guardando, è migliorata dal 2004 al 2012, ma certo abbiamo ancora molta strada da fare.
  Come dicevo, ho ascoltato con molta attenzione le considerazioni del sottosegretario e mi sembra che lui sottolineasse alcuni aspetti che sono causa di questo fenomeno, così drammatico per il nostro Paese. C’è, intanto, un contesto di vita dei bambini e dei ragazzi che è di tipo familiare e di tipo sociale; anche il territorio incide, così come la condizione economica e la condizione sociale. Giustamente si sottolineava che, spesso, il patrimonio di saperi e di competenze dei genitori, oltre che la condizione economica, incide sulle opportunità di bambini e ragazzi dal punto di vista non solo del diritto ad andare a scuola, ma anche del successo formativo.Pag. 11
  Penso che, accanto a queste cause esogene, ci sia anche un problema che riguarda le caratteristiche della didattica. Come sappiamo, le intelligenze dei bambini e dei ragazzi sono intelligenze multiple, mentre la didattica – in alcune situazioni – è prevalentemente centrata sul rapporto frontale e non tiene conto dell'esigenza e della necessità di avere classi più aperte e maggiori capacità di interagire in modo multidisciplinare.
  I ragazzi oggi hanno una velocità di apprendimento sulle nuove tecnologie molto maggiore. Hanno la capacità di accedere a linguaggi multimediali, alla musica, alle arti, alla creatività. La trasmissione dei saperi e delle conoscenze va bene ma, più in generale, bisogna anche suscitare interesse e passione nei ragazzi.
  Insieme alle condizioni di vita materiali, a mio avviso, la scuola dovrebbe essere capace di interloquire di più con gli interessi dei ragazzi e la loro capacità di misurarsi più degli adulti che svolgono attività di formazione con le nuove tecnologie e con i linguaggi più innovativi legati alla creatività, alla musica e così via.
  Secondo me dovremmo, dunque, tenere conto anche di questo secondo aspetto e dovremmo cercare di capire come la didattica e la programmazione potrebbero mettere maggiormente in relazione diversi linguaggi, riducendo l'approccio della lezione frontale e aumentando la capacità di lavorare in piccoli gruppi e coltivare le tante intelligenze che i nostri ragazzi e i nostri bambini possono esprimere.
  Detto questo, come considerazione di carattere generale, penso che la Commissione dovrà continuare a lavorare insieme al Governo su questo tema, facendo delle audizioni di buone pratiche. Le buone pratiche andrebbero in qualche modo scovate anche in relazione a un maggiore approfondimento di questi dati che ci vengono forniti dal Governo.
  Stavo notando, ad esempio, nella tabella 1 della documentazione depositata, regioni che sicuramente sono più avanti rispetto ad altre, che però, stranamente, sono ferme, come il Friuli-Venezia Giulia, che nel 2004 era al 13,6 per cento di abbandono scolastico prematuro, nel 2012 al 13,3 per cento. Analogamente è successo in Umbria, che stava al 13,2 per cento nel 2004 ed è al 13,7 per cento nel 2012. Non so se questo sia uno zoccolo duro, vorrei capire la dinamica in base alla quale ciò avviene.
  La Puglia, che aveva un indice molto negativo del 30,2 per cento nel 2004, poi, ha fatto un lavoro evidentemente straordinario, per arrivare al 19,7 per cento nel 2012. L'indice chiaramente è alto, però dobbiamo riferirci al dato di partenza. Credo quindi che sia importante una lettura attenta di questi dati.
  Mi dispiace poi per la collega Carocci, però il dato della Liguria, che era al 16,3 per cento nel 2004, è addirittura peggiorato, nel 2012, sino al 17,2 per cento. Da una lettura attenta di questi dati, quindi, potremmo trarre degli elementi che ci aiutino a lavorare nella giusta direzione.
  Penso che sia assolutamente importante individuare delle buone pratiche che siano legate ai territori dove possa emergere, con il presupposto che dicevo prima rispetto alla condizione sociale, alla condizione di svantaggio legata alla famiglia di provenienza – come nel caso dei bimbi migranti – o alla condizione di svantaggio come per i bambini diversamente abili, e anche rispetto alla capacità di innovazione della didattica, come queste abbiano inciso.
  Il problema è legato al contesto, all'ambiente, alla condizione di sviluppo socio-economico dei territori, però è anche vero che, forse, qualcosa di più si può fare sulla capacità della scuola di promuovere innovazione didattica.
  Dico un'altra cosa, sottosegretario, sulla rilevazione dei dati: ho capito che ci sono dei problemi, ma vorrei un chiarimento rispetto alle tabelle 5 e 6 della nota depositata che si riferiscono agli apprendimenti per la lettura e la matematica. Vedo dei dati un po’ strani, che non mi convincono: il Piemonte sta – nel 2012 – al 12,9 per cento per quanto riguarda lo scarso apprendimento della lettura, l'Emilia-Romagna al 18 per cento. Non vorrei che anche nella rilevazione dei dati ci fosse qualcosa da approfondire.

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  ILARIA CAPUA. Mi sono persa quest'ultima parte e non vorrei dire la stessa cosa. Non entro nel dettaglio, anche perché ci sono persone che conoscono questo problema molto meglio di me ma, guardando le tabelle del tasso di abbandono nel 1999, da allora è successo qualcosa.

  MARCO ROSSI DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Nel 1999 è successo che l'obbligo scolastico è prima salito di un anno e poi è sceso di un anno per misure normative del Governo e del Parlamento, cioè l'obbligo scolastico era prima a 14 anni, poi è salito a 16, poi è risceso a 15. Riscendendo a 15, chi era a 16 non risultava più computato: quindi il tasso è calato per un motivo endogeno e poi è risalito.

  ILARIA CAPUA. Ho capito che sul fenomeno della dispersione c’è stato un diverso parametro di riferimento.

  MARIA MARZANA. Abbiamo visto che quello della dispersione scolastica, nel nostro Paese, è un fenomeno di notevole entità, in particolare al sud, dove abbiamo percentuali del 22 per cento, contro il 18 per cento del nord, addirittura con delle punte del 30 per cento a Ragusa e Caltanissetta, a fronte di una media europea del 14 per cento.
  Tra l'altro, questa discrepanza che c’è all'interno del nostro Paese, riguardo alla dispersione scolastica, rispecchia anche quella dei risultati che sono stati verificati attraverso l'indagine internazionale PISA-OCSE, dove si è visto che i risultati del sud sono notevolmente inferiori rispetto a quelli che vengono conseguiti al nord.
  Si è visto che con il passare del tempo c’è stato un decentramento delle funzioni del Ministero dell'istruzione, il quale ha ceduto competenze amministrative e altre funzioni alle regioni, ai comuni e alle province. È anche vero che le scelte degli enti locali, riguardo all'istruzione e all'educazione, sono fortemente subordinate alle risorse che vengono stanziate dal ministero. È chiaro che una riflessione molto approfondita va fatta nell'ambito del Ministero dell'istruzione.
  Nel recente decreto si è visto che la misura più importante che è stata adottata per far fronte a questo fenomeno è stata lo stanziamento di 15 milioni di euro per la didattica integrativa, da attuare in tutti i gradi di scuola, solo per gruppi di studenti. Come si vede, è una cifra irrisoria. Tra l'altro, se andiamo a vedere, ad esempio, i dati della Puglia, che sono scesi notevolmente, vediamo che gli investimenti sono di 25 milioni di euro; invece qui parliamo di 15 milioni in tutta Italia. È chiaro che è veramente una cifra ridicola.
  Noi riteniamo che questa sia una problematica che vada affrontata seriamente e in modo complessivo, lavorando in particolare sulla prevenzione. Partiamo dalla scuola dell'infanzia: ad esempio, il Ministro Maria Chiara Carrozza è stata a Casal di Principe, dove ha annunciato la costruzione di una scuola dell'infanzia in un terreno confiscato alla mafia. Questo, naturalmente, è un dato di merito, però se non si inserisce in una serie di interventi per rispondere alla domanda di scolarizzazione e di educazione – su tutto il territorio nazionale – dai tre ai sei anni, chiaramente assume le connotazioni di uno spot.
  Un discorso simile va fatto per le sezioni primavera, che accolgono bambini dai 24 ai 36 mesi, visto che molte famiglie non possono permettersi la retta degli asili nido, oppure sono lunghissime le liste d'attesa.
  Passiamo alla scuola primaria, sempre perché per noi è importante prevenire il fenomeno. Occorre un vero investimento strutturale, contro la dispersione, sul potenziamento del tempo pieno. Questo investimento dovrebbe essere strutturale. Basta partire dal fatto che laddove il tasso di dispersione scolastica è molto alto, come al sud, solo il 5 per cento delle istituzioni scolastiche adotta il tempo pieno. Al nord, dove invece il tasso scende fino al 18 per cento, le scuole che adottano il tempo pieno sono oltre il 90 per cento.
  Si tratterebbe di subordinare il tempo-scuola alle richieste delle famiglie, piuttosto Pag. 13che alle disponibilità di organico e quindi di risorse, come ha stabilito la riforma Gelmini. Infatti, ogni anno la richiesta di 20.000 famiglie di un tempo-scuola di 40 ore, ossia del tempo pieno, non viene soddisfatta.
  Vorrei concludere concentrando l'attenzione su altri aspetti, in merito ai quali vorrei che il sottosegretario dicesse qual è la linea del Governo. Ogni nuovo Governo e ogni leader che ha ricoperto il ruolo di ministro ha sottolineato l'importanza della scuola e l'inversione di tendenza verso le politiche scolastiche, ma, alla fine, vediamo che si continua, invece, con i tagli strutturali. Basta guardare al dimensionamento della rete scolastica: infatti, stanno continuando le chiusure degli istituti scolastici, eliminando di fatto dei punti di riferimento sociale per le comunità.
  Pensiamo poi alla sperimentazione del taglio di un anno alle superiori: questo contraddice l'aumento della durata dell'obbligo scolastico. Adesso è una sperimentazione, però è chiaro che si vuole far entrare questa disposizione in tutto il sistema e, in questo modo, si lasciano a se stessi i giovani che non proseguono gli studi a causa dell'enorme difficoltà di trovare occupazione.
  Un chiarimento lo vorrei anche a proposito del fondo di istituto, che viene continuamente diminuito, oltre al fatto che, per il secondo anno consecutivo, sarà utilizzato per il pagamento delle progressioni di carriera dei docenti, anziché per il potenziamento dell'offerta formativa, in particolare delle aree più disagiate.
  Per noi è chiaro che la risoluzione di questo problema è strettamente legata allo stanziamento delle risorse. Possiamo parlare di progetti, di riforma del sistema scolastico, ma se prima non si stanziano effettivamente delle risorse non ci può essere un miglioramento dei dati relativi alla dispersione scolastica.

  NICOLA FRATOIANNI. Alcune domande e una considerazione rapidissima, anche perché è già stata svolta da chi mi ha preceduto; e ne sono contento.
  La prima domanda è la seguente. Il sottosegretario, che naturalmente ringrazio anch'io per la completezza dell'audizione, ci diceva che, oltre ai dati «macro», in particolare sull'andamento regionale, è molto utile, in un territorio come questo, provare a costruire elementi di indagine che ci raccontino qual è l'andamento della dispersione all'interno delle regioni e, perfino, delle aree metropolitane.
  Sappiamo che, per le ragioni che lei stesso ci ha raccontato, descrivendo alcune delle cause tipo che in modo più rilevante incidono sul fenomeno della dispersione, ci sono casi in cui in una stessa città, tra quartiere e quartiere – penso a Bari, dove ho avuto un'esperienza diretta come amministratore regionale –, misuriamo dei tassi di dispersione molto diversi. Le scuole collocate in quartieri a rischio e in particolari condizioni – in certi casi per deficienze strutturali o per il contesto più generale, socio-culturale – presentano rischi molto più alti su questo fronte.
  Dunque, la prima cosa che vorrei chiedere è se il ministero ha un quadro, e a che livello di approfondimento, che ci possa indicare questo aspetto della differenziazione di contesto; altrimenti, se non c’è, quali strumenti si stanno mettendo in piedi, per provare a raggiungere un meccanismo di monitoraggio più definito, per costruire modelli di contrasto che siano efficaci, anche qualitativamente e non solo quantitativamente.
  Rispetto a quanto diceva l'onorevole Santerini, devo dire che, su questo «non ci piove», nel senso che forse la quantità non risolve tutto, ma fa molto, come vediamo anche leggendo queste tabelle; poi dirò qualcosa a questo proposito.
  Vengo ai fondi strutturali europei. Siamo nel pieno della definizione del ciclo 2014-2020. È del tutto evidente che, in un periodo di riduzione della possibilità di trasferimento dal bilancio dello Stato, in particolare agli enti locali competenti per queste materie, i fondi strutturali per le regioni dell'Obiettivo convergenza in modo clamoroso, ma non solo per quelle, rappresentano sempre più una risorsa decisiva.Pag. 14
  Vorrei capire su questo a che punto stiamo. In particolare, nella definizione del Fondo sociale europeo – lo strumento più flessibile per interventi di questo tipo – vorrei sapere qual è il livello di discussione in atto, quali prospettive si intravedono e che ruolo stiamo giocando nella discussione a livello continentale su questo ciclo di programmazione.
  La terza e ultima questione che pongo, se l'onorevole Gallo e l'onorevole Santerini interrompono la loro conversazione...

  MILENA SANTERINI. Stavamo discutendo tra quantità e qualità, perché viene continuamente frainteso che cosa serve. Comunque, a un bambino date tre chili di pane, invece delle proteine, e vediamo come cresce bene ! È chiaro che ci vuole anche la quantità. Se vogliamo far polemica, facciamola.

  NICOLA FRATOIANNI. Per questo mi ero permesso di fare il mestiere della presidente, impropriamente.
  La terza e ultima cosa che dico, tornando al tema della quantità, è che non c’è dubbio che si tratti di articolare progetti che siano in grado di determinare, innanzitutto, un'adesione al contesto e, quindi, anche di sviluppare un'efficacia maggiore, ma c’è un problema di risorse. È del tutto evidente.
  Non voglio fare anch'io la polemica sulle risorse previste nel decreto-legge n. 104 del 2013, che poi non sono le uniche, naturalmente, rispetto a questo fronte. A chi citava, guardando le tabelle, il caso pugliese dico, però, che parliamo di una delle buone pratiche.
  Concordo con l'onorevole Coscia. Penso che sia molto utile immaginare un po’ di audizioni per cercare anche di condividerle. Credo di poter certamente affermare – il sottosegretario la conosce bene – che l'esperienza dei diritti a scuola, in Puglia, sia una buona pratica. Si tratta di un progetto sul quale, nei suoi sei anni di vita, sono stati investiti più di 120 milioni di euro, una cifra che va dai 25 ai 30 milioni di euro l'anno. Si capisce bene che questo volume di investimenti, naturalmente accompagnato anche da una costruzione – io credo, intelligente – produce risultati che hanno un riscontro più evidente.

  CATERINA PES. Anch'io ringrazio il sottosegretario Rossi Doria, perché la sua esperienza, la sua storia e la sua competenza gli hanno permesso di lavorare alla presentazione di questi dati in modo veramente esauriente. Per noi è stato molto utile.
  Io vorrei fare alcune considerazioni che mi vedono riprendere anche alcuni temi della collega Santerini e del collega Fratoianni. Se riuscissi a trovare un elemento di sintesi tra i due, non mi dispiacerebbe.
  Intanto voglio dire una cosa al sottosegretario. Io ho apprezzato molto gli indirizzi verso i quali si rivolge il tentativo del ministero di affrontare il tema e il problema della dispersione scolastica. Credo molto nella didattica integrativa e credo tantissimo nella valorizzazione delle competenze locali e nell'uso delle tecnologie.
  Vorrei, se possibile, parlare di questo per un semplice fatto, e parto da un presupposto. Se noi andiamo a vedere i dati che lei ci ha fornito, notiamo che ci sono tre realtà, tre regioni, in cui il tasso di dispersione scolastica è più alto che altrove. Non sto tirando l'acqua al mio mulino e al fatto che si parla di Sardegna, anche se continuo a essere estremamente perplessa dal fatto che la Sardegna, dal ministero precedente, non sia stata inserita nell'Obiettivo convergenza e che, invece, vi siano state inserite alcune regioni estremamente più virtuose da questo punto di vista di quanto non sia la Sardegna. Detto questo, considerato che anche a suo tempo io contestai questa scelta, vorrei ricordare che, oggi, tra le regioni nelle quali la dispersione scolastica è più evidente – escludendo la Sicilia – ci sono la Valle d'Aosta e la Sardegna, due realtà con un tasso di popolazione bassissimo. La Valle d'Aosta ha addirittura 39 abitanti per chilometro quadrato. Per farla breve, tra un po’ non avrà più un'autonomia scolastica. La Sardegna ha intorno ai 72 abitanti per chilometro quadrato.Pag. 15
  Non è un fatto secondario, se noi lo colleghiamo con il tasso di dispersione. Questi sono territori che possiamo portare come esempio. La dispersione scolastica la troviamo nelle città metropolitane, per altri motivi ancora, ma avviene anche, in realtà, dove, a poco a poco, stanno scomparendo i presìdi dello Stato, dove stanno scomparendo i presìdi anche della socialità importante. Mi riferisco a piccoli centri, dove non ci sono più le scuole, gli uffici postali, le caserme dei carabinieri, le parrocchie – perché c’è la crisi delle vocazioni –, dove non ci sono più quei luoghi di socialità che favoriscono sia le famiglie, sia i bambini a incontri e confronti, che hanno anch'essi un profondo valore di tipo culturale.
  Perché faccio questa premessa ? Perché, fermo restando il fatto che in questi territori le scuole vanno chiuse, perché la spending review non è una cosa improvvisata, non è stata un capriccio, ma si è dimostrata essere un fatto necessario; fermo restando anche il fatto che nessuno di noi vuole le pluriclassi e che, quindi, vuole che rimangano le classi in questi territori, ma vuole possibilmente scuole belle, luoghi dove i bambini si confrontino, dove i bambini stiano bene e dove si incontrino più culture, rimane il fatto che questi sono territori dove si perde il senso della scuola e dell'istruzione, se non si parte dal presupposto che il tempo dell'apprendimento è il tempo pieno.
  Io credo che un modo per combattere la dispersione sia legato anche al fatto che lo Stato si debba porre, insieme alle regioni, un obiettivo importante: fare in modo che, anche se non la didattica, che abbisogna di confronto e di incontro tra più esperienze, questi istituti, questi luoghi di cultura e di socialità mantengano la loro esigenza, investendo denaro in questo obiettivo.
  Io credo che la didattica integrativa e l'apertura straordinaria delle scuole significhino anche questo: fare in modo che questi presìdi, che sono presìdi di socialità, quelli che noi potremmo chiamare centri sociali, nelle zone più abbandonate della nostra periferia e dei nostri centri più disabitati d'Italia siano mantenuti aperti. Bisogna che lo Stato investa in tutto questo, bisogna che lo Stato investa in altre forme di didattica, nel tempo della scuola e in quello della trasmissione, non del sapere diretto, ma sicuramente del confronto.
  Altro tema importante e, secondo me, ugualmente fondamentale è quello della valorizzazione delle competenze locali. Lei ne ha parlato, sottosegretario. Io lo considero fondamentale. Il nostro Paese – l'ho già detto altre volte e mi è capitato tempo fa di parlarne, quando abbiamo audito i rappresentanti di Confindustria – si è ripreso negli anni Sessanta grazie alla presenza importante e capillare della competenza tecnica, della scuola tecnica. Svolgo solo due accenni al tema della competenza tecnica e professionale. Queste competenze sono fondamentali, perché legano e collegano la scuola e l'istruzione con la rete delle competenze locali, con le esigenze di sviluppo locale e con le imprese. Io penso che anche in questo senso bisogna maggiormente valorizzare il sistema dell'istruzione.

  PRESIDENTE. Ci sono ancora tre colleghe che avevano chiesto di intervenire, le onorevoli Bossa, Rocchi e Carocci. A questo punto, essendovi altre richieste di intervento, io proporrei di rinviare, con il consenso del sottosegretario, il proseguimento dell'audizione odierna ad un'altra seduta, anche per assicurare l'opportunità di una replica.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal sottosegretario Rossi Doria (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 16.05.

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