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XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Giovedì 23 gennaio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

Audizione del Viceministro del lavoro e delle politiche sociali Maria Cecilia Guerra sugli esiti della IV Conferenza nazionale sulle politiche della disabilità e sul Piano d'azione biennale sulla disabilità (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
Guerra Maria Cecilia , Viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 3 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 9 
Biondelli Franca (PD)  ... 10 
Binetti Paola (PI)  ... 12 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 15 
Di Vita Giulia (M5S)  ... 15 
Argentin Ileana (PD)  ... 19 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 22 
Guerra Maria Cecilia , Viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 22 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 29

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Viceministro del lavoro e delle politiche sociali Maria Cecilia Guerra sugli esiti della IV Conferenza nazionale sulle politiche della disabilità e sul Piano d'azione biennale sulla disabilità.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Viceministro del lavoro e delle politiche sociali Maria Cecilia Guerra sugli esiti della IV Conferenza nazionale sulle politiche della disabilità e sul Piano d'azione biennale sulla disabilità.
  Ringrazio il Viceministro Guerra per la sua puntuale presenza ai lavori della nostra Commissione e le do la parola.

  MARIA CECILIA GUERRA, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie presidente, e grazie a voi che siete qui presenti. Questo era un impegno che avevo preso nei confronti della Commissione e sono contenta che mi sia data l'opportunità di mantenerlo.
  I temi che dobbiamo affrontare sono gli esiti della Conferenza nazionale ma anche il Piano d'azione. Vorrei spiegare rapidamente che le due cose, che avrebbero potuto viaggiare in modo assolutamente indipendente, in realtà sono state messe insieme, secondo un'ottica complementare, da un lato, e anche di prosecuzione dei lavori fatti, sotto l'ispirazione – che è quella che ha guidato tutti i lavori sia della Conferenza sia del Piano d'azione – dell'agire in stretto raccordo con le associazioni e le federazioni rappresentative delle persone con disabilità, secondo il principio ben noto del «nulla su di noi senza di noi», che nasce dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, che noi abbiamo ratificato nel 2009.
  La Conferenza nazionale si è tenuta a luglio, con una partecipazione notevolissima, di circa mille persone, al di là di tutte le aspettative, nonostante si sia svolta il 12-13 luglio, date che avevano suscitato qualche perplessità. Lo slogan che abbiamo dato a questa Conferenza, che è prevista dalla legge n. 104 del 1992, è stato «partecipazione», a sottolineare sia l'elemento dominante, quindi il fatto di avere un processo di continuo confronto e partecipazione attiva, sia il fatto che quella Conferenza costituiva per noi un momento di confronto e di validazione del percorso che ha portato alla definizione del Piano d'azione. Quindi, la Conferenza e il Piano d'azione hanno seguito percorsi che, come dicevo, si sono intrecciati.
  Devo fare un passo indietro per ricordare che abbiamo ratificato la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità nel 2009. A seguito di questa Pag. 4ratifica abbiamo istituito l'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, che ha concluso proprio lo scorso ottobre il suo primo mandato.
  L'Osservatorio ha lavorato con impegno, anche in vista della Conferenza nazionale, raggiungendo due obiettivi importanti (ripercorro questa storia, altrimenti non si capisce il Piano d'azione). Il primo è stata l'elaborazione del primo Rapporto italiano all'ONU, un rapporto in cui si deve valutare l'implementazione della convenzione. Non basta ratificare una convenzione. Bisogna monitorare i punti di forza e i punti di debolezza nelle azioni poi intraprese.
  I punti di debolezza e le difficoltà che sono emersi, a fianco anche di altri aspetti assolutamente positivi, hanno costituito la base di partenza per l'Osservatorio per approvare poi lo schema di Programma d'azione biennale sulle politiche per la disabilità, che è stato approvato in tutti i passaggi previsti, due in seno al Governo, uno prima e uno dopo la Conferenza unificata e, da ultimo, la pubblicazione il 28 dicembre dello scorso anno.
  Le attività dell'Osservatorio hanno anche focalizzato molto la necessità di lavorare con informazioni più accurate. In realtà, del mondo della disabilità e dei suoi problemi in termini statistici si sa poco. Nell'ambito delle attività dell'Osservatorio è stata, quindi, finanziata una convenzione con l'ISTAT volta a ricostruire per la prima volta il quadro delle condizioni di vita, dell'accesso ai servizi e dell'inclusione sociale delle persone con disabilità, coerente anch'esso con le indicazioni della Convenzione ONU. I risultati di quest'attività saranno disponibili nel 2014. Speriamo di avere la possibilità di presentarli anche in questo contesto.
  Sul Programma d'azione biennale sulla disabilità vi dico solo alcune cose. Voi sapete che è a disposizione sul sito del ministero. Posso mandarlo anche ai componenti della Commissione, se ritenete. I risultati della Conferenza sono stati inviati ieri o oggi – non mi ricordo – nella versione definitiva al Presidente della Camera.
  Il Programma d'azione è il risultato di un processo di partecipazione che è stato condotto attraverso la costituzione di gruppi di lavoro interni all'organismo. Per ciascuna delle sette linee di intervento il Programma individua l'obiettivo prefigurato e il tipo di azione necessaria a conseguirlo, con un dettaglio che permette di articolare un'azione complessa. Si tratta di un primo, fondamentale – a nostro avviso – contributo alla definizione di una strategia complessiva da parte dell'Italia sul tema della disabilità, in accordo con il quadro convenzionale ONU, ma anche coerente con la strategia europea sulla disabilità 2010-2020, che è stata anch'essa richiamata e presentata nell'ambito della Conferenza di Bologna.
  Vorrei però ricordare da subito che il Programma d'azione ha natura programmatica, quindi non è con il piano che si allocano le risorse specifiche relativamente alle politiche per la disabilità. Le azioni che vengono previste, nella misura in cui richiedano (e molto spesso lo richiedono) risorse, risultano finanziabili nei limiti progressivi in cui gli stanziamenti vengono individuati secondo le ordinarie procedure.
  Il Piano d'azione validato dal Consiglio dei Ministri e mandato in Conferenza Unificata è stato appunto l'oggetto principale della Conferenza di Bologna, che ha organizzato quindi i propri lavori attorno alle stesse linee di intervento del Programma d'azione, che vi richiamo brevemente.
  Quello che vorrei fare adesso è cercare – il più velocemente possibile, poi magari facciamo qualche approfondimento, rispondendo alle vostre domande – di richiamarvi queste sei linee di azione e per ciascuna di esse riportarvi uno o due dei punti focali del Programma, uno o due punti di approfondimento che sono emersi nel gruppo di lavoro, quindi il Programma d'azione, il gruppo di lavoro e quello che per il momento alcune amministrazioni stanno facendo.
  Su questo punto vorrei essere precisa: il Piano è stato pubblicato in Gazzetta il 28 dicembre; abbiamo fortemente voluto, Pag. 5ed è anche una richiesta che è venuta dalla Conferenza Unificata, oltre che dalla Conferenza di Bologna, che questo Piano sia monitorato e quindi che le azioni siano messe in fila rispetto alle loro priorità e si verifichi in corso d'opera quali siano state realizzate e per quali ragioni non siano state realizzate, favorendo anche una funzione di stimolo. Pubblicato il Piano il 28 dicembre, noi siamo qui, pronti a insediare al più presto la Commissione che dovrà monitorarlo.
  Per quanto concerne le linee di intervento, la prima linea riguarda la revisione del sistema di accesso, riconoscimento, certificazione della condizione di disabilità e modello di intervento del sistema socio-sanitario.
  Come sapete, uno dei punti più discussi su questo tema, richiamato dalla Convenzione ONU, è la necessità di superare la nozione di invalidità civile, così com’è formulata dalla legge n. 118 del 1971, quindi basata su percentuali di disabilità, e di guardare invece alla persona con disabilità nel suo complesso, con un approccio non solo centrato sulle sue condizioni di salute, ma che tenga conto anche della relazione tra il soggetto e il suo ambito esistenziale, quindi la dimensione sociale, familiare e l'inclusione lavorativa, al fine di cogliere nella loro complessità le difficoltà che il contesto socio-culturale di riferimento può causare alla disabilità.
  Il Programma è, cioè, centrato sull'idea di basarsi sul funzionamento globale della persona e di tenere conto delle facilitazioni e delle barriere che si incontrano nella piena esplicazione della propria persona, cosa che non può essere, ovviamente, ridotta a percentuali di inabilità e invalidità, ma richiederebbe una progressiva adozione di criteri molto discussi in letteratura e propri della classificazione OMS, l'Organizzazione mondiale della sanità, anche se non ancora applicati quasi in nessun Paese del cosiddetto ICF, Classificazione internazionale del funzionamento, delle disabilità e della salute, su cui magari vi dirò anche cosa stiamo facendo.
  Il gruppo di lavoro si è concentrato su questi aspetti, ha ribadito e confermato quest'approccio, ma ha anche posto il problema di arrivare all'individuazione di quale debba essere il soggetto istituzionale maggiormente idoneo per valutare, appunto, la disabilità. Si sono confrontate due linee diverse, che non hanno trovato una sintesi.
  La prima suggerisce che una politica di questo tipo deve rimanere in capo all'INPS per evitare sovrapposizioni e confusioni; l'altra, invece, vede l'opportunità di una ricomposizione complessiva in capo al sistema socio-sanitario, e quindi il Servizio sanitario nazionale, che agisca in modo integrato con il sistema dei servizi sociali.
  Vi anticipo che, nelle discussioni che sono seguite, per ora effettivamente non si arriva a una composizione neanche per quanto riguarda le posizioni espresse dalle singole regioni, che propendono per l'una o l'altra di queste linee.
  Il Ministero della salute ha recentemente comunicato agli altri ministeri competenti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e quello dell'economia, oltre che, ovviamente, alle regioni e all'INPS, la volontà di procedere al più presto al confronto che si era interrotto, come sapete, sulle tabelle per la valutazione dell'invalidità civile. Si prevede l'istituzione di un gruppo di lavoro ristretto che arrivi presto a superare le difficoltà che hanno reso impossibile, anche in ragione, se ricordo bene, della bocciatura del Parlamento, l'approvazione delle precedenti tabelle.
  La seconda linea di intervento riguarda il lavoro e l'occupazione, che ovviamente sappiamo essere, come è stato ribadito dal Programma d'azione, un elemento essenziale per l'inclusione sociale. L'indicazione fondamentale che viene dal Programma è quella di andare a un miglior funzionamento dell'approccio del collocamento mirato, che ha, in modo pioneristico – bisogna riconoscerlo – caratterizzato la nostra legislazione con la legge n. 68 del 1999, ma che evidentemente deve arricchirsi, da un lato, di tutti i maggiori approfondimenti che sono stati fatti nella Pag. 6conoscenza della disabilità e, dall'altro, anche nell'ottica ICF che avevo prima ricordato, per superare le difficoltà specifiche di applicazione che quella legge ha trovato.
  Il gruppo di lavoro ha sottolineato come, pure a fronte di una legislazione che si riconosce essere piuttosto avanzata, ci siano proprio delle difficoltà molto rilevanti dal punto di vista applicativo; i numeri degli inserimenti lavorativi rispetto alle potenzialità sono ancora piuttosto bassi e il gruppo di lavoro della Conferenza ha sottolineato con forza come la percentuale di posti disponibili si aggiri intorno a circa un quinto della quota di riserva, anche a causa della scarsa dinamicità del mercato del lavoro italiano. È, quindi, un problema che va indagato.
  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dal momento dell'approvazione del Piano, ha preso alcune decisioni sul profilo del lavoro e dell'occupazione.
  In primo luogo, si è proceduto al rifinanziamento del Fondo nazionale per le assunzioni di persone con disabilità che era previsto, dalla legge n. 68 del 1999 ma era stato definanziato. Il finanziamento è stato di 10 milioni di euro per il 2013, di 20 milioni per il 2014.
  Inoltre, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità nei luoghi di lavoro, è stato previsto – sempre nel decreto-legge n. 76 del 2013 – l'obbligo per i datori di lavoro pubblici e privati di adottare accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro; questo è un aspetto molto importante. C'era anche una richiesta specifica in questo senso che ci veniva dalla Corte di giustizia europea; ad ogni modo, avere introdotto immediatamente nel nostro ordinamento questo concetto, che però poi dovrà tradursi più operativamente in atti anche sui luoghi di lavoro, è fondamentale perché il concetto di adattamento ragionevole è proprio nella linea della considerazione delle persone con disabilità nei loro funzionamenti e non solo come portatori di patologie, come talvolta si continua a fare.
  Sempre a proposito di queste misure per favorire l'occupazione delle persone con disabilità, ricordo la disposizione contenuta nel decreto dell'estate, il decreto-legge n. 101 del 2013, che prevede che le pubbliche amministrazioni che non abbiano assolto agli obblighi di assunzione di persone disabili e le quote di riserva della predetta legge n. 68 possano determinare la quota d'obbligo e procedere ad eventuali assunzioni anche in deroga ai divieti di nuove assunzioni stabiliti dalla legislazione vigente.
  Infatti, avevamo avuto un blocco nel rispetto della suddetta legge nell'ambito degli enti pubblici perché c'era questo divieto di assunzione in caso di presenza di sovrannumero. Questa norma è stata rimossa e ovviamente il problema è, anche in questo caso, monitorare che si comincino a produrre gli esiti voluti, perché è evidente che si richiede comunque un passaggio da parte delle amministrazioni nel calcolare la base su cui la nuova quota di riserva deve essere indicata.
  La terza linea di intervento riguarda politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l'inclusione nella società. Il Programma d'azione sottolinea come siano centrali i progetti individualizzati, che richiedono il coinvolgimento diretto della persona, con un'attenzione adeguata nel caso in cui questa non sia in grado di autodeterminarsi.
  Quindi, vi è una sottolineatura in particolare dei cosiddetti progetti per la vita indipendente, con la proposta che è stata molto dibattuta in sede di Osservatorio, ed è molto delicata, di valutare l'eventuale abrogazione dell'interdizione e dell'inabilitazione mantenendosi, come sola misura di protezione giuridica, che va però adeguatamente modulata, l'amministratore di sostegno. Quindi, l'idea è appunto di valorizzare l'autonomia, fin dove questo è possibile, e il rispetto della persona.
  Il gruppo di lavoro ha sottolineato anch'esso la necessità di un insieme di processi volti a garantire le opportunità e i sostegni utili all'autodeterminazione, al proprio mantenimento, al potenziamento delle autonomie funzionali e il concetto Pag. 7più ampio di vita indipendente che è valido per la disabilità fisica e sensoriale, ma soprattutto – questa è una sottolineatura importante portata dal gruppo di lavoro – per la disabilità intellettiva e relazionale. Quindi, si evidenzia la necessità di investire contro l'isolamento sociale e culturale.
  In quest'ambito in particolare si è posto il problema delle risorse. Sappiamo, infatti, che questi progetti, che esistono anche a livello locale, sono particolarmente costosi. Questo è un dibattito di cui si è tenuto conto nel rifinanziare il fondo nazionale per la non autosufficienza, che può essere diretto anche a questi scopi. Inoltre, si è chiesto di vigilare sul nuovo ISEE per tener conto di eventuali criticità che si potrebbero porre nella valutazione della condizione economica delle persone con disabilità.
  L'Amministrazione ha fornito alcune prime risposte. Conoscete tutti, perché avete collaborato attivamente anche a migliorarlo, il percorso che è stato seguito nella definizione del Fondo nazionale per la non autosufficienza, dunque sapete che, per il mutuo intervento del Governo e del Parlamento, conta adesso su circa 350 milioni di euro, rispetto ai 275 dell'anno passato.
  In più, continuando un lavoro che è iniziato con l'Osservatorio, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha pubblicato sul sito internet lo scorso 31 ottobre delle linee guida per la presentazione da parte di regioni e province autonome di progetti sperimentali in materia proprio di vita indipendente e di inclusione nella società delle persone con disabilità. La scadenza era prevista per il 2 dicembre, le risorse disponibili ammontano complessivamente a 3 milioni e 200 mila euro ed è previsto un cofinanziamento da parte delle regioni.
  Questo ha permesso di attivare alcuni progetti che rispondono ad alcune linee guida. Si tratta di progetti che tendono a creare un modello di riferimento per gli altri che, si spera, seguiranno, e che sono stati attivati in 41 ambiti. L'aspetto importante è che hanno interessato praticamente tutte le regioni e province autonome italiane, tranne la Calabria e Bolzano.
  È un esempio piccolo, perché il budget di cui stiamo parlando è ovviamente limitato, ma di azione coordinata su tutto il territorio nazionale ed è il contributo che può dare il ministero, non avendo il ministero la competenza. La competenza in campo sociale, come sapete, è esclusiva regionale.
  Un'altra cosa che vorrei ricordare, sempre in quest'ambito, è l'intervento che abbiamo fatto adesso in materia di deroghe alla penalizzazione per l'accesso alla cosiddetta pensione anticipata. Il decreto-legge cosiddetto «Salva Italia» non permetteva di calcolare tra i periodi di prestazione effettiva di lavoro i congedi e i permessi fruiti ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 104 del 1992. Abbiamo rimosso questa penalizzazione rispetto alla pensione anticipata. Anche questi sono risultati ascrivibili a un dibattito intervenuto, ovviamente, fra il Governo, il Parlamento e la società civile.
  La quarta linea riguarda la promozione e l'attuazione dei princìpi di accessibilità e mobilità. L'accessibilità, come sappiamo, è un prerequisito per consentire alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani ed è richiamata con forza tra i princìpi generali della Convenzione.
  Il Programma d'azione, ispirato proprio alla Convenzione, delinea un percorso da attuare a livello nazionale e territoriale che è stato poi approfondito nella discussione del gruppo di lavoro. Si è chiesto di riattivare la Commissione di studio permanente e paritetica fra Stato, regioni e province autonome perché divenga il luogo di elaborazione e diffusione di questa cultura dell'accessibilità, di rafforzare l'efficacia di strumenti programmatori per l'eliminazione delle barriere architettoniche, di assegnare un ruolo primario alla formazione – questo è molto importante – affinché tecnici, architetti, ingegneri e tutti gli operatori si formino nella cultura dell’universal design, che pone al centro il tema dell'accessibilità universale.Pag. 8
  L'altro tema su cui è necessario riflettere è quello dell'accessibilità alle tecnologie, che porta anche con sé la necessità di arrivare all'approvazione del nuovo nomenclatore degli ausili.
  Il gruppo di lavoro ha svolto approfondimenti e ha di fatto validato quell'approccio con ulteriori approfondimenti e sottolineature. Rientra in questa linea quanto ho già richiamato, vale a dire la necessità di provvedere ad accomodamenti ragionevoli, il che significa eliminare le barriere per l'accesso all'attività di lavoro.
  I processi formativi di inclusione scolastica sono la quinta linea d'intervento. Il gruppo di lavoro del Piano d'azione ha riconfermato il diffuso riconoscimento dell'eccellenza e del primato italiano nell'inclusione scolastica. Ovviamente c’è però attenzione a che i livelli avanzati nel contesto internazionale che sono stati raggiunti non vengano erosi dalla situazione in cui ci troviamo. Il gruppo individua fra l'altro i temi della diffusione e dell'approccio ai bisogni educativi speciali (BES), potenziando l'inclusione scolastica degli alunni con BES attraverso il coinvolgimento di tutti gli operatori scolastici.
  Anche in questo caso si richiedono interventi coordinati fra le amministrazioni centrali, le regioni e le province in relazione all'accesso all'educazione per tutto l'arco della vita e alla formazione professionale.
  Il gruppo di lavoro ha sottolineato la necessità di adottare una prospettiva ICF, come linguaggio universale sia in fase diagnostica sia nella programmazione educativa e ha dato indicazioni sui vari percorsi del processo scolastico, ossia l'intervento educativo precoce nella fase da zero a tre anni, la semplificazione dell’iter diagnostico a fini scolastici, l'eliminazione delle barriere architettoniche e via elencando.
  In merito alle azioni, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) ha istituito già nel 2012 un osservatorio permanente per l'integrazione degli alunni con disabilità, cui è ricondotta una serie molto variegata di azioni, in parte sperimentali e in parte sistematiche. È inoltre prevista l'elaborazione di linee-guida sull'applicazione dell'ICF nella scuola. Uno dei punti focali è stata l'applicazione e la sperimentazione di questo approccio, a partire proprio dalla scuola.
  C’è stato poi l'investimento annuale pari a circa 4 miliardi di euro, con cui è stata attuata una serie di interventi molto ampi, articolata in sette azioni. Anticiperò solo qualcosa, poi invierò una copia della mia relazione, perché mi rendo conto che sta prendendo molto tempo e che vi sono molti elementi di dettaglio, ma è bene che queste azioni siano conosciute.
  In particolare, vorrei sottolineare il progetto «Nuove tecnologie e disabilità», finanziato con un importo iniziale di 10 milioni di euro, articolato appunto nelle sette azioni. Le nuove tecnologie sono uno degli elementi cruciali per permettere di eliminare le barriere di accesso anche nella formazione.
  È stato avviato un piano nazionale di formazione sui disturbi specifici dell'apprendimento con 35 master universitari, per i quali, a fronte di 3.500 posti disponibili, si sono registrate oltre 12.000 domande. Esiste anche un piano per monitorare i risultati di tutto ciò.
  Per quanto riguarda la salute, la sesta linea d'intervento (salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione), il Programma d'azione prevede tre distinte direttrici: l'applicazione operativa della legge n. 104 del 1992 per sviluppare servizi a sostegno della maternità e della primissima infanzia, perché, ovviamente, laddove si pongano problemi già in questa fase di disabilità del nascituro, ci siano le tutele e i sostegni necessari; l'attuazione di politiche in materia di salute delle persone con disabilità, che richiede soprattutto una presa in carico, un'integrazione socio-sanitaria; l'adozione di misure atte a garantire la partecipazione delle persone con disabilità a programmi e servizi di abilitazione e riabilitazione in un'ottica di empowerment.
  Anche il gruppo di lavoro ha sottolineato questi punti, dando enfasi all'uno e all'altro in maniera un po’ diversa rispetto al Piano d'azione, ma fondamentalmente Pag. 9in linea con esso. In particolare, ha sottolineato la necessità di partire da una valutazione di bisogni e funzionamenti con l'obiettivo di ottenere le condizioni affinché la persona eserciti al massimo le proprie potenzialità esistenziali.
  Come potrete capire, questi gruppi hanno lavorato in modo parallelo, ma l'ispirazione di fondo è quella della Convenzione ONU, cioè di riconoscere la persona con disabilità come persona che deve avere accesso a tutti i diritti che hanno le altre persone e che non si debbano fare piani, interventi di nessun tipo al di fuori di un'ottica di partecipazione, di coinvolgimento e di autodeterminazione.
  A proposito di queste azioni, il Ministero della salute ci ha informato che sta lavorando a un piano nazionale di prevenzione in cui sono previste un'area completamente dedicata alla prevenzione dell'ipovisione e della cecità e un'altra area dedicata alla prevenzione dell'ipoacusia e della sordità.
  Riguardo alla disabilità visiva, a ottobre è stata presentata la relazione annuale sulle politiche di attuazione della legge n. 284 del 1997, per la prevenzione dei problemi della vista. Anche in questo caso, ciò che vorrei sottolineare tra i punti che lascerò agli atti è il fatto che la persona con disabilità visiva viene presa in carico nella sua globalità, secondo l'approccio bio-psico-sociale ICF.
  Lo sottolineo perché è un punto che, come vedete, ritorna in più momenti delle azioni che si stanno intraprendendo, anche nell'ambito delle politiche del lavoro. Negli anni – non è un merito di questo Governo – sono stati finanziati progetti che hanno raccolto buone pratiche sull'applicazione dell'ICF perché l'idea di questo sistema di classificazione basato sui funzionamenti è sicuramente la scommessa che più si accompagna all'approccio alla persona con disabilità, considerata nella sua globalità. Ne abbiamo alcune applicazioni nel reinserimento lavorativo e in questi piani del Ministero della salute sulla disabilità visiva, mentre trova ampia applicazione – come veniva in particolare sottolineato dalla Conferenza – con riguardo alla disabilità nella scuola.
  Da ultimo vorrei informarvi del fatto che l'Osservatorio ha completato il suo lavoro. Le conclusioni della Conferenza sulla disabilità hanno richiesto tempo di elaborazione perché anche nelle conclusioni abbiamo voluto che il lavoro fosse partecipato.
  Come voi sapete, in queste Conferenze c’è un momento in cui i lavori svolti dai singoli gruppi confluiscono nell'assemblea. Si sarebbe quindi potuto prendere quelle relazioni, metterle insieme e avreste avuto la relazione subito. Invece, c’è stato un lavoro – c'era tutto il materiale registrato e tutta la documentazione – di riascolto. Tutti avevano lamentato di dover dedicare solo dieci minuti, al ritorno di una discussione che era stata molto, lo ripeto, partecipata. Mille persone che si sono iscritte e che hanno partecipato ai lavori della Conferenza hanno rappresentato un risultato epocale e anche un segnale importante della necessità e dell'urgenza di questi temi. Questo lavoro è stato svolto, quindi, per meglio riflettere la ricchezza del dibattito e delle proposte che erano venute fuori.
  L'Osservatorio ha concluso i suoi lavori, nel senso che ha finito la sua attività. Siamo quasi pronti. Ci manca una designazione sola per poter approvare il decreto per l'istituzione del nuovo Osservatorio. Tra pochissimo i lavori dell'Osservatorio, sempre nell'ottica della partecipazione, riprenderanno.
  Come ultimissima cosa, l'Osservatorio ha lavorato con una rappresentanza molto ampia, avvalendosi anche, nei gruppi di lavoro, di audizioni e di partecipazioni esterne, quando ciò era ritenuto necessario per un migliore approfondimento delle tematiche.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, viceministro. Credo che la relazione sia stata molto esaustiva e che abbia consentito di offrire tanti spunti per il dibattito.Pag. 10
  Do, quindi, la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCA BIONDELLI. Grazie, presidente. Ringrazio il viceministro per la relazione.
  È positivo che il Programma di azione biennale si ponga come un sistema integrato di proposte con una configurazione organica e completa e non come un insieme di azioni che hanno come unico punto di aggregazione l'argomento di cui trattano.
  Un altro aspetto positivo è costituito dal fatto di far coincidere le criticità rilevate nelle singole linee di intervento prioritario con gli obiettivi e le ipotesi di lavoro sui quali intervenire.
  Quello che emerge è che, a livello normativo generale, la legislazione italiana in materia di tutela della disabilità è complessivamente idonea a soddisfare i criteri di inclusione sociale e lavorativa. Tuttavia, a fronte di tale situazione a livello normativo, è necessaria una pluralità di interventi, dai regolamenti ai decreti ministeriali agli atti organizzativi regionali di diversa natura e da parte di organi diversi, finalizzati a dare concreta attuazione a quanto legislativamente previsto. Spesso capita che siano proprio questi adempimenti successivi che vengono a mancare, bloccando di fatto il pieno godimento del diritto riconosciuto dalla legge.
  Anche il Programma biennale sconta, o rischia di scontare, questo problema. Infatti, si pone come un documento esaustivo e completo che pone al centro dell'attenzione la persona in condizioni di disabilità e tratta «a trecentosessanta gradi» le problematiche che essa deve affrontare, delineando positivamente quali sono gli interventi necessari e chi li deve predisporre.
  Proprio questa completezza di analisi, cui è connessa la complessità degli interventi da attuare, con il conseguente necessario coinvolgimento di una pluralità di azioni e di attori diversi, potrebbe finire per costituire un elemento di criticità.
  In altri termini, il Piano d'azione biennale prevede la realizzazione di tutti gli obiettivi che vengono giustamente esplicitati nel corso del biennio. Oggettivamente, però, va riconosciuta una difficoltà a vedere il completo raggiungimento degli obiettivi fissati per tutte le linee di intervento delineate. Questa circostanza, per l'ennesima volta, potrebbe deludere chi da anni attende interventi concreti per vedere realizzati in pratica i concetti positivi che vanno, per esempio, sotto il nome di completa inclusione sociale, dalla riforma della legge n. 104 del 1992, che è sicuramente più che condivisa, alla facilitazione dell'accesso al lavoro ai disabili.
  Ferma restando la completezza e la positività – sottolineo che si tratta di un provvedimento positivo – dei contenuti e degli obiettivi, sarebbe stato opportuno magari indicare alcuni step di intervento che nel biennio di validità potessero avere una concreta attuazione. È vero che tutte le linee di intervento sono definite prioritarie, il che è giusto e doveroso soprattutto nei confronti di coloro che vivono in prima persona la condizione della disabilità. Tuttavia, appare difficile prevedere che tutto si possa completare. Occorre essere anche realisti. Magari diciamo che facciamo poche cose e poi facciamole davvero. In caso contrario si rischia poi, per l'ennesima volta, di provocare un senso di sfiducia nei confronti della politica e soprattutto dei politici.
  Prendiamo, per esempio, la prima linea di intervento prioritario, la revisione del sistema di accesso, al riconoscimento/certificazione della condizione di disabilità e del modello di intervento socio-sanitario. L'obiettivo dichiarato, sacrosanto, è costituito dalla riforma del sistema di valutazione e di accertamento della condizione di disabilità, obiettivo per il perseguimento del quale è necessario, però, procedere davvero alla riforma della legge n. 104 del 1992. Io spero che in queste condizioni di grave crisi le condizioni politiche che abbiamo davanti consentano di sperare che si possa pervenire a tale risultato in tempi ragionevoli.Pag. 11
  Oggi la persona in condizioni di disabilità, per veder riconosciuta la sua condizione e i benefici connessi, si trova alle prese con molte criticità: la moltiplicazione di momenti accertativi a seconda dell'obiettivo che intende conseguire – handicap, invalidità, disabilità, non autosufficienza, handicap ai fini scolastici, inserimento nel mondo del lavoro – e i tempi d'attesa per il rilascio dei certificati, dei verbali e delle attestazioni che aumentano, nonostante la disponibilità di nuovi strumenti informatici e telematici, proprio a causa dell'espansione dei momenti di controllo.
  Se una persona chiede il riconoscimento dell'invalidità civile in tale sede e si vede riconosciuto il 100 per cento e un suo congiunto intende ottenere i benefici previsti dalla legge n. 104 del 1992 per accudirlo, il medesimo soggetto deve sottoporsi a due visite collegiali, una prima per vedersi riconosciuta l'invalidità civile e aspettare il verbale, con tempi medi di 200 giorni, e una seconda per la quale deve presentare una nuova domanda e deve aver ricevuto il verbale della prima visita presso la stessa Commissione che l'aveva riconosciuto già invalido civile. Anche in questo caso aspetta il verbale per un tempo medio di 210 giorni. In totale, per aver riconosciuto il diritto di essere accudito da un proprio congiunto, un disabile deve aspettare circa 400 giorni prima di poter usufruire di un diritto previsto da una legge di Stato.
  Il legislatore nazionale ha già rivelato questo paradosso. I verbali che a vario titolo stabiliscono l'invalidità sono troppo spesso incompleti e costringono il cittadino a sottoporsi a ulteriori accertamenti. Tuttavia, sino a oggi il legislatore ha sanato due situazioni: l'agevolazione fiscale sui veicoli e il contrassegno invalidi. L'articolo 4 del decreto-legge 9 febbraio del 2012 n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012 n. 35, «Semplificazioni in materia di documentazione per le persone con disabilità e patologie croniche e partecipazione ai giochi paralimpici», ha previsto al comma 1 che i verbali delle Commissioni mediche integrate deputate al primo accertamento per il riconoscimento dell'invalidità civile riportino anche l'esistenza dei requisiti sanitari necessari per la richiesta del rilascio del contrassegno invalidi, nonché per le agevolazioni fiscali relative ai veicoli previsti per le persone disabili. È un piccolo passo, ma è stato fatto.
  Tuttavia, lo stesso articolo 4 conteneva altri due commi, il 3 e il 4, che purtroppo non sono ancora stati attuati. Il comma 3 recita testualmente: «Il Governo è autorizzato a emanare uno o più regolamenti volti a individuare gli ulteriori benefici per l'accesso ai quali i verbali delle commissioni mediche integrate attestano l'esistenza dei requisiti sanitari, nonché le modalità per l'aggiornamento di procedure informatiche e per lo scambio dei dati per via telematica.»
  Il comma 4 testualmente recitava: «I regolamenti di cui al comma 3 sono emanati su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dei Ministri interessati, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e col Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentito l'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità di cui alla legge 3 marzo 2009, n. 18».
  Cosa si propone allora, cosa si potrebbe dire ? Atteso che il Governo ha già una copertura legislativa per poter intervenire sulla materia, si potrebbe prevedere che, come primo step, sull'intervento del primo punto, si adottino tempi brevi per i regolamenti già previsti da una legge di circa due anni fa, fino a oggi rimasta inattuata.
  Con l'emanazione di tali regolamenti i casi delle persone descritte negli esempi precedentemente richiamati non si verificherebbero più. In altre parole, col verbale di accertamento di invalidità civile la persona, senza doversi sottoporre a una nuova visita collegiale, effettuata tra l'altro dello stesso collegio medico, potrebbe ottenere i diritti riconosciutile dalla legge n. 104 del 1992, oppure iscriversi alle liste Pag. 12speciali di collocamento. In questo modo, oltre a evitare un inutile doppione di visite, dimezzeremmo i tempi di attesa per far valere un diritto legislativamente previsto e direttamente esigibile.
  So che può sembrare un obiettivo ambizioso che tutti i certificati possano essere sostituiti con un solo verbale di accertamento. Tuttavia, l'unificazione e il riconoscimento della validità del verbale di accertamento di invalidità civile ai fini dell'ottenimento del beneficio di cui alla legge n. 104 o delle iscrizioni nelle liste speciali di collocamento a mio giudizio costituirebbe già un segnale importante e tangibile sulla semplificazione a vantaggio delle persone con disabilità. In questo Programma d'azione biennale, con le sue linee d'azione, sono coinvolti tutti i soggetti istituzionali, ministero, regioni, enti locali, Servizio sanitario nazionale. Esso vuole sicuramente promuovere la piena inclusione delle persone con disabilità.
  Ho apprezzato, tra l'altro, la linea di intervento 5 sui processi formativi di inclusione scolastica, in cui si va a potenziare l'inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali (BES), prevedendo sistematicamente il coinvolgimento di tutti gli operatori scolastici, con una particolare attenzione – vedo – ai disturbi specifici dell'apprendimento.
  Un altro punto molto importante, che condivido, è il sostegno alla fase prenatale o neonatale per tutelare i bisogni del bambino con disabilità, nonché per sviluppare l'accoglienza in contesti adeguati di bambini con disabilità abbandonati in culla. Si aggiungono servizi di supporto e di orientamento per le madri che decidono di portare a termine una gravidanza a rischio. Sono sicuramente punti cui va un plauso.
  Ringrazio comunque anche l'Osservatorio e tutti coloro che ci hanno lavorato. Grazie.

  PAOLA BINETTI. Ci sono vari motivi per ringraziare il viceministro. Io non trascurerei la chiarezza e la lucidità nelle informazioni che hanno permesso anche di seguirla con molta attenzione.
  In premessa rileverei la centralità della persona disabile all'interno di tutti i progetti che la riguardano e la capacità di andare verso progetti di formazione e di inclusione personalizzata. Io ho sintetizzato il concetto, mentre lei parlava, in «ogni persona è tutta la persona», cercando di guardare alla disabilità come quella forma mentis che ci permette di andare oltre l'anonimato dei problemi e di centrarli nella singolarità di ognuno, oltre la tendenza che in fondo tutti noi abbiamo, a volte, a razionalizzare, a inquadrare, a schematizzare, e con la capacità di uscire da questa logica, che è una logica sicuramente economica da un certo punto di vista, ma che impoverisce molto la ricchezza delle persone.
  Forse uno dei primi servizi che le persone disabili fanno a tutti noi è insegnarci a vedere la diversità e, quindi, a riposizionarci rispetto alla specificità di ognuna di loro. A me sembra che questo sia venuto fuori tante volte e in tanti momenti nella relazione che lei ha fatto.
  Allo stesso modo è venuto fuori molto chiaramente il tema dell'attenzione particolare all'autodeterminazione, quando si diceva «nulla sopra di noi senza di noi». Questo concetto, contenuto all'interno della Convenzione ONU, colpisce particolarmente per l'attenzione che è stata posta alla disabilità mentale. Io credo che sia molto bello affermare questo e non intendo bello di una bellezza estetica, ma proprio di una bellezza etica. Nello stesso tempo, però, credo che sarà molto difficile da realizzare nei fatti e nella concretezza, perché si tratta di una sensibilità del tutto particolare che mantiene alla persona con disabilità mentale tutto lo spazio che può occupare e ovviamente la tutela per lo spazio che non può occupare, ponendole dei limiti che sono solo a esclusivo suo vantaggio. È proprio questa zona di frontiera quella che a volte può risultare difficile stabilire. L'averla affermata come principio mi è sembrata una cosa molto bella e oggettivamente preziosa.
  Per quello che riguarda il tema della disabilità in modo particolare collegata al lavoro, due aspetti mi hanno colpito molto Pag. 13positivamente. Il primo è che il disabile possa chiedere l'eccezione alla norma e che, quindi, davanti al blocco del turnover, davanti alla misura colma delle assunzioni, si possa chiedere davvero spazio e attenzione concreta per queste persone. Questo tenendo conto che, in realtà, l'esperienza ci dice che queste sono state tra le prime i cui contratti non sono stati confermati, a seconda del grado di precarietà di cui partecipano rispetto alle politiche del lavoro.
  Aver assunto questa misura autenticamente di tutela e di difesa significa, ancora una volta, per noi prendere in considerazione l'idea che non si possano subordinare le persone a logiche prevalentemente economicistiche. Peraltro, è quello che sta dicendo in molte occasioni e in molti modi anche il Papa in questi giorni. Si tratta di utilizzare logiche che non siano esclusivamente economicistiche, ma che guardino alla persona come elemento centrale. In questo caso specifico il fatto di poter non aggirare la norma, ma superarla lucidamente e intenzionalmente significa riconoscere un principio che va oltre le persone con disabilità e riconoscere un diritto al lavoro, un diritto che attiene proprio alla persona anche per il suo pieno e completo sviluppo.
  L'altra questione che mi è sembrata particolarmente interessante, ma anche particolarmente difficile da attuare, è che all'interno del mondo del lavoro non venga tanto svolta una selezione a monte sulla base delle capacità e delle competenze e, quindi, sulla diagnosi di disabilità, quanto un accompagnamento ex post: una volta che ci sei, in questo momento, io modello anche strutture, percorsi e possibilità di intervenire sulla base della persona.
  Giustamente il viceministro sottolineava che questo costa, e non può che essere così. Tuttavia, io parlerei di una formazione on the job non tanto per le persone con disabilità, quanto per tutte le persone che dirigono, a qualunque titolo e a qualunque livello, una struttura di lavoro. Tutti ci dobbiamo sensibilizzare in quest'attenzione alla diversità e in questa capacità di riposizionarci nei confronti non tanto delle competenze residue, quanto proprio del bagaglio di ricchezza di competenze di cui ogni persona è portatrice. Troppe volte, invece, in noi prevale la logica della selezione: questo non serve, questo non vale. Occorre saper rovesciare lo sguardo che abbiamo sulle persone. Devo dire che questo mi è piaciuto molto.
  Aggiungo anche, passando con mano leggerissima, perché il viceministro sa che abbiamo idee diverse in proposito, che mi è piaciuto molto anche il fatto che sull'ISEE sia prevista la possibilità di rivederlo e di rileggere la concretezza dei casi. Vedremo poi che cosa si riuscirà a fare, ma mi è sembrato un dettaglio di grande delicatezza davanti a un problema che sappiamo avere aspetti particolari.
  Rispetto all'inserimento scolastico – ciò che sto per dire vale per quello che vale – in questi ultimi tempi io mi sono occupata abbastanza di autismo. Più di una volta sono rimasta colpita dai risultati positivi che le mamme hanno raggiunto. Sono soprattutto le mamme il grande patrimonio, la grande ricchezza della disabilità. In ogni caso sono le uniche che hanno l'istinto naturale del trattamento e della valorizzazione.
  Detto questo, penso alle madri che dicono: «Mio figlio, che è un Asperger ad alto funzionamento, non solo è laureato, ma è anche inserito professionalmente. Ovviamente ha delle difficoltà, ma ha fatto un percorso straordinario». Raccontano, quindi, come sulla strada di questi ragazzi ci sia sempre stato qualcuno che magari non aveva competenze tecniche specifiche, ma che ha avuto la sensibilità dell'accompagnamento della peculiarità.
  Il viceministro prima citava come un dato molto positivo l'esperienza dei master, se non mi sono confusa, per lo sviluppo delle capacità di insegnamento con questi ragazzi e forniva cifre che parlavano di 12.000 soggetti. Osservo la sproporzione: 23 master, mi è rimasto impresso, è un numero impressionante. Il viceministro sa perfettamente che molto spesso la gente si iscrive a questi master perché spera in questo modo di essere Pag. 14inserita in graduatorie particolari, con le quali spera di avere diritto poi a un inserimento professionale.
  Nihil obstat a tutto questo, ma noi avremmo bisogno di avere gente che frequenta questi corsi, che si inserisce in questi percorsi, non perché rappresentano una soluzione personale alla propria collocazione in graduatoria, ma perché sono mossi da un interesse reale per la sperimentazione didattica nel quotidiano, per la personalizzazione dell'insegnamento, nonché per l'incredibile arricchimento che viene a tutti noi attraverso le nuove tecnologie.
  Ci sono, per esempio, adesso forme di tecnologia a distanza anche per ragazzi disabili che possono essere messe a disposizione, sempre che il docente le conosca e il dirigente abbia voglia di investirci. Le possibilità che oggi la tecnologia offre sono davvero straordinarie, anche nel caso di quei bambini che vivono in condizioni di distanza, di difficoltà di accesso, oppure che devono passare periodi, per qualunque tipo di percorso e di processo di cura, lontani. C’è la possibilità di farli sentire costantemente e continuamente inclusi.
  Le persone brave, che maneggiano bene la tecnologia, riescono a farle cantare anche con costi molto ridotti. Il problema è: posseggo la cultura dell'inclusione attraverso lo strumento tecnologico ? Probabilmente da questo Osservatorio verranno fuori iniziative concrete che ci permetteranno nei fatti, un po’ come diceva la collega Biondelli, che questo non resti soltanto un quaderno di sogni e di belle speranze e che alcune iniziative specifiche si possano davvero mettere a contatto.
  Vorrei concludere con due osservazioni. Una l'abbiamo vissuta pochi giorni fa con grande gioia e un'altra ci si prepara presto. Mi riferisco allo screening neonatale per i bambini portatori di patologie – chiamiamole così – di tipo metabolico o di qualunque altro tipo. La diagnosi precoce, precocissima, è una garanzia di qualità di vita per queste persone. Se la vogliamo «buttare tutta in soldi», è un'economia di fatto molto grande per il sistema, non solo per il sistema socio-sanitario, ma anche per tutto il contesto del mondo lavorativo.
  Noi dobbiamo insistere molto sulla diagnosi precoce delle malattie rare e dobbiamo chiedere e pretendere che vengano fatti investimenti. Il viceministro sa sicuramente che questo lunedì e questo martedì – lunedì presso il Ministero della salute, martedì presso il Bambin Gesù di San Paolo – la Federazione Italiana Malattie Rare – Onlus (UNIAMO) svolgerà una grande e importante convention di tutte le associazioni di persone affette da malattie rare. Il viceministro sa anche, e comunque noi lo ricorderemo, che il prossimo 28 febbraio è la Giornata mondiale delle malattie rare.
  Se queste scadenze sono celebrative, non servono a niente. Se queste scadenze ci servono, invece, a incalzare le Istituzioni, il viceministro, il ministro, compreso quello dell'Economia e delle finanze, e tutti perché si esca dalla genericità delle promesse e dal facile ottimismo dell'ordine del giorno approvato e ci si cali davvero in una decisione che ricada immediatamente e direttamente per questi ragazzi, noi ne saremmo contenti.
  Il viceministro sa anche che noi stiamo molto interessati ai 3 milioni di euro della sperimentazione di Stamina, che noi vorremmo venissero immediatamente destinati alla ricerca per le malattie rare, o per quello che volete. Erano stati pensati per questo, sono in una legge. Dateli a un'attività di ricerca che sia seria.
  L'ultima cosa, ed è veramente l'ultima, riguarda il fatto che noi non possiamo guardare soltanto alla disabilità come a un grande momento ascensionale che porti la maggioranza possibile dei ragazzi a raggiungere i livelli essenziali di formazione e di autonomia. Noi dobbiamo fare un salto in più: dobbiamo riuscire a guardare all'eccellenza. Come tutte le eccellenze, sono pochi quelli che la raggiungono, ma per ognuno che raggiunge l'eccellenza noi impariamo tante di quelle cose che poi ridondano per tutti.
  Un esempio tra tutti è quello delle Paralimpiadi, non solo per l'eccellenza della formazione, della volontà, della fatica, Pag. 15dello sforzo, della determinazione e di tutte le virtù umane che queste persone ci mettono, ma anche per l'eccellenza tecnologica, per quell'area di frontiera che l'ingegneria biomedica deve necessariamente percorrere per permettere a queste persone di raggiungere risultati impressionanti.
  Ci impressionano tutti, quando li vediamo. Per molti di noi cosiddetti normali – io mi considero una disabile per altri motivi; non sarei mai capace di fare una cosa di questo genere – vedere quest'eccellenza significa poi immaginare tante altre possibilità che si possono rendere disponibili a un livello diverso e in modo diverso alla maggioranza dei ragazzi.
  La ringrazio e mi unisco davvero alla preghiera della collega Biondelli affinché queste cose si facciano e non si annuncino soltanto.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Binetti.
  Ci sono diversi altri iscritti a parlare. Io chiederei, quindi, ai colleghi, se possibile, di essere il più attinenti al tema proposto dal Viceministro Guerra, anche per consentirle di replicare, come puntualmente lei sempre fa, accogliendo magari molti spunti che vengono proposti dai colleghi.

  GIULIA DI VITA. Grazie, presidente. Grazie, finalmente, al Viceministro Guerra, la quale sa quanto noi teniamo al tema e quanto abbiamo insistito al fine di avere questo momento di confronto sul tema della disabilità. Com’è noto ai colleghi della Commissione, in dieci mesi di attività della Commissione affari sociali, infatti, non ne abbiamo mai parlato. Mi fa piacere iniziare in questo modo subito con uno scambio con il Governo, anche per decidere un po’ insieme, in condivisione, come portare avanti i temi che sono stati citati.
  Sarò sincera. Il grosso della relazione del viceministro era già noto. Chi è un minimo interessato, chi ha letto il Piano biennale sulla disabilità, chi ha letto la Convenzione ONU ratificata dall'Italia nel 2009, chi un minimo è interessato a questa materia già sapeva quanto è stato detto. Non che mi aspettassi niente di diverso. Mi rendo conto che il Piano comunque è molto ampio, molto complesso e che tratta vari argomenti in diverse maniere. Tra l'altro, coinvolge diverse competenze di diversi ministeri e anche vari tipi di amministrazioni, dagli enti locali al Governo centrale.
  Potremmo stare qui a sviscerare ciascuno dei punti e delle linee di intervento che fanno parte del Piano, ma non mi sembra la sede adatta, anche perché i tempi sono ristretti. A me sarebbe piaciuto sentirla parlare ancora più a lungo per entrare più nel dettaglio di ogni tema, ma immagino, anzi auspico, che ci siano altri momenti di incontro e di approfondimento di questo tipo. Infatti, poi farò delle domande proprio sul metodo di lavoro di cui vogliamo dotarci.
  Faccio solamente una precisazione sul Piano biennale che mi sembra molto importante riguardo la gestione delle informazioni e dei dati, cui anche il viceministro ha fatto riferimento. Questa è una delle carenze tipiche del nostro Paese, non solo nel settore della disabilità, ma in generale. Nel settore della disabilità, però, questo aspetto è stato fortemente trascurato. Non abbiamo dati. I dati che ci sono sono molto frammentari su diversi aspetti, come l'inclusione lavorativa e scolastica, oppure i casi di pluridiscriminazione. Pensiamo alle donne, che già subiscono una discriminazione di genere. Pensiamo, quindi, a che cosa subiscono le donne disabili. Questo è un caso di pluridiscriminazione. Sia il Piano, sia la Convenzione ONU parlano abbondantemente di questo tema.
  L'altro aspetto è proprio la creazione di questi indici di performance, di questi indicatori. Io sottolineerei l'urgenza di lavorare insieme al fine di crearli al più presto, altrimenti noi portiamo avanti azioni che, però, non siamo in grado di monitorare.
  Per esempio, una prima domanda che volevo porre riguarda il monitoraggio del Piano, che mi sembra fondamentale, altrimenti, come al solito, sono belle parole, Pag. 16come diceva anche la collega precedentemente, ma non sappiamo poi a che livello siamo arrivati.
  Io avevo capito che l'Osservatorio avesse tra i suoi compiti anche quello di monitorare il Piano biennale sulla disabilità per poi creare dei report e delle relazioni, mentre mi pare che lei abbia fatto riferimento a una Commissione. Le chiedo una precisazione per sapere chi è il responsabile di questo monitoraggio e con quali strumenti deve monitorare, visto che ancora dobbiamo costruire questi indicatori di qualità e questa raccolta dati.
  Non voglio scendere nel dettaglio di ciascun tema, anche perché riporto domande che mi sono pervenute dai cittadini. In vista di questa audizione, infatti, io ho chiesto direttamente in rete se qualcuno volesse fare domande e mi sono offerta di fare da portavoce a chiunque lo volesse fare. Ho anche un blocchetto, che ho stampato e che le consegnerò poi a mano. Vorrei, quindi, fare un discorso più di visione generale.
  Io sono stata molto critica sul fatto che questa relazione sul Piano biennale sulla disabilità venga presentata dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Capisco tutti i vari iter burocratici, ma è indiscutibile il fatto che il Parlamento in questo lavoro non sia stato coinvolto per niente, se non con riferimento a singoli parlamentari che, per iniziativa spontanea, hanno partecipato al convegno di Bologna. C'era, tra gli altri, anche il mio collega Dall'Osso. Rimane, però, sempre una singola iniziativa del deputato, che poteva essere anche di un cittadino comune.
  Secondo me, il nostro apporto è fondamentale, in quanto Parlamento. Due delle questioni che sono state citate come fondamentali, per esempio il riconoscimento dei congedi della legge n. 104 del 1992 per avere il diritto di accedere al prepensionamento o l'aumento del Fondo per la non autosufficienza, sono state ottenute grazie anche all'impegno del Parlamento. Pertanto, mi sembra imprescindibile il nostro coinvolgimento diretto nell'azione di governo.
  Dall'analisi del Piano biennale risulta chiaro che il grosso sforzo del Governo sia quello di coordinare tutte le attività, proprio perché le competenze sono trasversali e, quindi, la funzione di coordinamento è sicuramente nelle mani del Governo. Tuttavia, il fatto che il Parlamento e la Commissione che si chiama affari sociali non vengano minimamente coinvolti in questo processo e nella realizzazione di una qualsiasi di queste linee di intervento mi sembra piuttosto paradossale. Non voglio fare la solita polemica che faccio spesso sul fatto che la produttività della nostra Commissione è pari a zero, ma questo lo riconoscono anche i colleghi. Noi non abbiamo prodotto quasi niente, pur avendo uno stipendio abbastanza consistente. Siamo pagati profumatamente.
  Questa è la mia solita critica, che vuole essere, però, costruttiva. Noi possiamo decidere, come Commissione affari sociali, di adottare un cambiamento mentale a partire da noi stessi, un cambiamento culturale. Mi spiego. Il Piano biennale è fantastico, lo condividiamo in tutto, tra l'altro si ispira a una Convenzione ONU che, anche leggendola per puro piacere personale, è veramente bella e che in alcuni passaggi ricorda addirittura la nostra stessa Costituzione. È veramente qualcosa di importante e vi si fa molto spesso riferimento al principio di eguaglianza.
  La Convenzione impone un mutamento culturale che noi, o meglio la politica, la classe dirigente, non è stata, però, in grado di attuare, dando l'esempio. Il mutamento culturale a cui faceva riferimento lei all'inizio consiste nel non vedere la disabilità come una menomazione o come qualcosa da definire dal punto di vista sanitario-medico, facendo sempre riferimento ai problemi come se fossero patologie e malattie e vedendoli solamente sotto quell'aspetto. Si tratta proprio di portare avanti un cambiamento culturale. È chiaro che le leggi non lo possono imporre, ma possono aiutare questo cambio di mentalità.
  Io ho assistito, da quando sono qui dentro, a esempi opposti. A mio avviso, la Commissione affari sociali – metto in Pag. 17mezzo anche noi stessi del Movimento 5 Stelle; noi non siamo migliori di nessuno assolutamente, anzi, facciamo spesso anche errori – ha dato esempio di una società piuttosto retrograda.
  Faccio un esempio per essere il più chiara possibile. Anche la stessa collega Argentin, l'unica volta che abbiamo parlato di disabilità in un altro contesto, durante l'audizione del Sottosegretario Fadda per i fatti del Comitato del 16 novembre, disse: «Quando io parlo in Aula, essendo disabile e in carrozzina, magicamente c’è un silenzio religioso che, di primo acchito, potrebbe sembrare un silenzio di rispetto, ma che, in realtà, potrebbe celare una sorta di ipocrisia». Ovviamente non si tratta di un'ipocrisia in malafede, ma dovuta al fatto che siamo ancorati a un modo di ragionare abbastanza obsoleto.
  Io direi di sfruttare l'occasione che ci offrono questo Piano biennale e la Convenzione ONU, che, lo ricordo, è stata ratificata nel 2009. Noi siamo nel 2014 e io ancora mi ritrovo a dover fare queste riflessioni.
  Occorre, quindi, riconoscere che probabilmente questa classe dirigente, questa classe politica, non è stata all'altezza. Magari non lo è neanche ora. Dovremmo renderci conto che i cittadini che stanno fuori sono più avanti di noi, nel senso che portano avanti quel cambio culturale che vorrebbero vedere, invece, dentro questo Parlamento. Vorrebbero essere guidati in questa evoluzione e, invece, sono loro dal basso che la devono spingere.
  Noi dobbiamo decidere se farci spingere e, quindi, assecondare questa evoluzione, oppure continuare a essere un ostacolo. Io non mi vergogno a dirlo e non ho alcun problema a farlo: in questi ultimi vent'anni la classe politica è stata percepita dai cittadini come un ostacolo all'evoluzione, soprattutto sociale ed etica.
  Per esempio, quando io ho chiesto in rete la collaborazione dei cittadini, chiedendo di fornirmi suggerimenti e porre questioni, c’è stata una mobilitazione molto interessante, ma anche qualitativamente alta. Al di là delle varie lamentele – immagino che il ministero ne riceva anche più di noi; non sto a dire quante lamentele ho ricevuto io stessa sull'ISEE, di cui abbiamo già parlato abbondantemente – sono arrivate molte proposte veramente avanzate, che rivelano quanto i cittadini, anche associazioni piccole o singoli che vivono sulla propria pelle alcuni problemi, non stiano solamente a lamentarsi, ma avanzino anche suggerimenti concreti. Manca, secondo me, il modo di interagire tra Parlamento e cittadini.
  Un'altra domanda che volevo fare riguarda il modo in cui il ministero – ma posso allargare la domanda anche a tutta la Commissione – intenda interagire con i cittadini e accogliere questa forte voglia di partecipazione da parte loro.
  Non sto a leggere ovviamente tutte le e-mail che mi sono arrivate, la maggior parte delle quali evidenziavano problemi legati alla scuola e al lavoro che sono stati già affrontati, perché sono compresi nel Piano biennale sulla disabilità. Mi facevano notare comunque una questione intelligente sulle franchigie che sono state inserite nell'ISEE. Mi facevano notare, per esempio, che non sono previste – mi corregga se sbaglio – rivalutazioni di queste franchigie. Magari fra dieci anni ci si ritroverà in una situazione ancora più disastrosa. Chi riceve indennità perché è un cittadino svantaggiato si ritroverà magicamente a essere ricco in base al calcolo di questo ISEE. Non entro nel dettaglio, altrimenti dovremmo stare veramente qui a parlare per ore.
  Lei ha parlato di linee guida che sono state elaborate per quanto riguarda i progetti individualizzati. Parliamo della linea di intervento sulla vita indipendente. Le volevo chiedere semplicemente dove sono reperibili i dati e se possono essere facilmente consultabili, se sono anche pubblici online, oppure se dobbiamo fare una richiesta particolare per conoscerli.
  Le altre domande sono più di dettaglio e non mi sembra questa la sede adatta per porle. Io credo che la Commissione affari sociali sia composta da commissari che hanno tutti gli intenti di aiutare il Governo in questo lavoro di attuazione di un Piano Pag. 18biennale che è molto complesso. L'abbiamo capito. Io ritengo che, per esempio, se riuscissimo semplicemente ad applicare o a realizzare già solo la prima linea di intervento, cioè la modifica dei criteri di accertamento, in tutta la legislatura, e tornassimo a casa semplicemente con questo obiettivo, avremmo già risolto un grande problema. Per come siamo ridotti, sarebbe un grandissimo traguardo.
  Io chiedo sia al Governo sia ai componenti della Commissione quali siano le reali intenzioni circa il nostro metodo di lavoro, e se il Governo abbia già individuato tra queste linee prioritarie ulteriori priorità. Se noi ci vogliamo concentrare sulla prima linea di intervento, potremmo pensare che la Commissione Affari sociali possa fornire un sostegno al Governo da questo punto di vista. È chiaro che alcune cose possono essere modificate con proposte di legge d'iniziativa parlamentare, mentre altre di tipo più attuativo ed esecutivo saranno ovviamente realizzate sotto la responsabilità del Governo.
  Se, però, noi ci mettiamo d'accordo, se troviamo un coordinamento, almeno riusciamo a portare a casa qualche risultato. Altrimenti continuiamo con il Governo che fa determinate scelte e una Commissione completamente ingolfata da altri tipi di lavori che poi alla fine non portano a nulla. Almeno facciamo, come ha detto tra l'altro la collega intervenuta precedentemente, poche cose, ma facciamole bene.
  Soprattutto io chiedo – è un'altra piccola critica, che vuole essere sempre costruttiva – al Governo di essere chiaro. Il Piano biennale è bellissimo, l'illustrazione è stata anch'essa molto bella, ma all'atto pratico siete entrati in forte contraddizione.
  Viene sottolineato, infatti, che il Piano fornisce semplicemente alcune linee programmatiche e che, quindi, non vengono stanziate le risorse. Nella relazione illustrativa, però, c'era scritto che comunque si faceva riferimento alla legge di stabilità. Nella legge di stabilità – mi corregga se sbaglio – non c'era nient'altro, se non per il Fondo per la non autosufficienza.
  Io mi sento un po’ presa in giro nel momento in cui il Consiglio dei ministri adotta un Piano e si fanno i comunicati stampa – è un bel passo avanti sicuramente, non lo mettiamo in dubbio – e poi, al momento pratico, andando a guardare i soldi, si capiscono le vere intenzioni del Governo. Questo lo vediamo ogni giorno con l'esame di qualche decreto.
  Quando io sento delle belle parole, che condivido – non posso dire che non sono d'accordo; la mia contestazione non è nel merito, perché queste proposte sono sacrosante – ma poi mi si dice che la relativa realizzazione è in funzione degli stanziamenti economici e io questi stanziamenti non li vedo nella legge di stabilità, nonostante noi li abbiamo proposti e siano stati ripetutamente bocciati, allora non dico che si chiudono i ponti, ma non c’è più un confronto franco.
  Da parte nostra c’è tutta la disponibilità. Voi sapete benissimo che noi non facciamo ostruzionismo e non abbiamo un approccio chiuso a priori, ma cominciamo ad averlo nel momento in cui ci sentiamo presi in giro. Pertanto, io chiedo al Governo di essere franco anche se deve riferire comunicazioni negative, anche se, per esempio, si dovesse dire che il Governo non ha come priorità l'applicazione del Piano biennale sulla disabilità. Lo apprezzo molto di più, piuttosto che sentirmi dire il contrario, magari dal Ministro Giovannini, che comunque non è mai venuto in questa Commissione, tranne in fase di illustrazione delle linee programmatiche del suo Ministero. Sono state dette tante belle parole e fatti tanti buoni propositi, sembrava la letterina di inizio anno, ma a me non piace sentirmi dire belle cose che poi, alla prova dei fatti, vengono sempre smentite. Diventa un lavoro frustrante, non solo per noi che siamo all'opposizione, in quanto delegittima il Governo stesso. La mia è una critica anche per migliorare l'operato del Governo.
  Volevo chiudere con una nota di tipo culturale. Molto spesso mi sento dire in questo momento di crisi, in cui le cosiddette «persone normali» non riescono a svolgere gli atti quotidiani della vita e a Pag. 19trovare lavoro: «figurati in che situazione si trovano le persone disabili». L'approccio, cioè, dovrebbe essere quello di risolvere prima i problemi per le cosiddette persone «normali», per poi pensare alle persone disabili.
  Io contesto fortemente questo modo di vedere. Ritengo anzi che si debba fare l'esatto contrario. Se noi riusciamo a essere ambiziosi e, come dicevo prima, riusciamo a farci guidare dalla spinta dei cittadini, da una spinta sociale che è veramente forte e che è assolutamente contraria, se noi decidiamo di disegnare un futuro, una società, un ambiente calato e disegnato attorno alle persone disabili, attorno alle persone più deboli, tutto il resto non può essere che in discesa. Una volta che miglioriamo le condizioni di chi sta peggio, chi sta meglio deve per forza goderne e stare meglio.
  Questo è un invito che io faccio a tutta la Commissione: se noi ci mettiamo in quest'ottica, secondo me potremmo ottenere – per carità – piccoli risultati, che però il mondo della disabilità purtroppo aspetta da molto tempo.
  Un'altra domanda che mi ero dimenticata era se, in quanto parlamentari, noi possiamo partecipare a questi gruppi di lavoro che vanno avanti affrontando le varie linee di intervento del Piano o comunque a determinati altri gruppi di lavoro che il ministero vuole creare, in modo da non aspettare la proposta di legge che non sappiamo mai quando verrà calendarizzata in Commissione, portando magari il nostro contributo anche per vie traverse.
  Grazie.

  ILEANA ARGENTIN. Viceministro, comincio il mio intervento partendo dal fatto che vorrei sottolineare l'importanza di questo documento e la necessità che esiste nel nostro Paese di avere le linee programmatiche per i prossimi due anni.
  Non posso che ringraziare il viceministro e tutti coloro che hanno partecipato al lavoro della stesura di questo documento, che ritengo utilissimo e che ho avuto il piacere di analizzare e di leggere attentamente, proprio allo scopo di cercare poi in questa riunione – così la vivo io; correggetemi se non è così – di sottolineare alcune questioni che potrebbero essere poste in modo diverso oppure migliorate, anche con umiltà, perché magari uno legge e interpreta in modo confuso.
  In questa sede non addentrerò assolutamente specificità negli aspetti specifici; farò poi avere una lettera al viceministro sui temi più specifici che desidero sottolineare. Quello che mi piacerebbe dire è che fin dall'introduzione è chiaro che questo documento nasce con una grande voglia di far parlare democraticamente le persone che hanno difficoltà. I gruppi di lavoro e l'Osservatorio sono stati organizzati e gestiti da loro. Per chiunque è del settore è trasparente nelle pagine di questo documento la presenza di chi realmente vive una situazione di disagio e ne parla genericamente non in modo demagogico né, tanto meno, strumentale.
  Mi permetto di fare poi alcune sottolineature, visto che abbiamo avuto seri problemi per quanto riguarda la mia persona proprio con il ministero per quanto riguardava l'ISEE. Vorrei cercare di essere il più possibile trasparente in queste mie dichiarazioni affinché non nascano dubbi o situazioni che possano poi portare a problemi più «consistenti».
  Due cose mi chiedo. Nel documento non c’è traccia in alcun modo – capisco che parliamo di autodeterminazione – delle famiglie. Credo che questo sia da sottolineare per un motivo molto semplice: si parla di famiglie, ma sempre e soltanto riferite al contesto del ritardo mentale o cognitivo. Io credo, invece, che la famiglia, laddove c’è il disabile, spesso, non solo culturalmente, ma anche dal punto di vista sociale, si trovi a fare i conti con un sistema e con una società che la rendono a sua volta disabile. Io non credo che il fratello o la sorella di una persona che vive un deficit non siano in qualche modo disabilitati dalla società. Non so se riesco a essere chiara.
  Io credo che questa precisazione sia importante rispetto anche a una tutela e a un «garantismo», non negativo, ma positivo Pag. 20culturalmente, di come il disagio possa invalidare non solo il disabile in quanto tale, ma anche l'intero gruppo familiare. Credo che questa precisazione culturale sia fondamentale proprio per il riconoscimento che dobbiamo alle nostre famiglie. Non solo, anche il fatto che molte volte, laddove c’è un problema cognitivo grave o gravissimo, altri familiari si debbano sostituire alla persona comporta l'esigenza di sostenerli e guidarli, ma anche di tutelarli rispetto a momenti di eccessiva fatica e al contesto che vivono. Occorre considerare, secondo me, le famiglie come elemento fondamentale dal punto di vista dell'importanza nella sollecitazione del problema.
  Credo poi che questo documento – mi permetto di dirlo – possa costituire, come dice il documento stesso, una sorta di «cabina di regia». Io credo che di barriere architettoniche si debba occupare il Ministero dei lavori pubblici e non l'Assessorato alla formazione. Noi possiamo essere una cabina di regia che controlla e indirizza capitoli di bilancio che, proprio perché rivendichiamo pari opportunità, si trovano presso altri ministeri.
  Se parliamo di inserirci e di lavorare per garantire pari opportunità nella scuola e l'eliminazione delle barriere architettoniche, io credo che debbano essere i ministeri competenti ad occuparsene. Quando si parla di pari opportunità, ciò significa che i soldi vengono messi nello stesso modo e garantendo pari opportunità e non destinando un capitolo specifico per i disabili e, quindi, per un contesto diverso. Quando si parla di alunni, si deve parlare di tutti allo stesso modo.
  Credo che al Ministero del welfare spetti la parte più tecnologica, quella degli strumenti per rendere più forti i soggetti all'interno del contesto. Credo pure che la legge n. 13 del 1989, quella sull'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, o il decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996, sulle barriere negli edifici pubblici debbano rimanere responsabilità del ministero competente, altrimenti culturalmente si tornerebbe a un passo indietro molto forte.
  Analogamente, per la scuola credo che spetti al ministro competente occuparsi degli AIC, degli OS, degli insegnanti di sostegno e che questi lo debba fare senza scaricare sul capitolo della non autosufficienza o del sociale in genere questo tipo di responsabilità, che non gli compete in nessun modo. Questo, secondo me, va sottolineato fortemente. Se di regia dobbiamo parlare, noi indirizziamo e controlliamo, ma gli oneri finanziari competano a chi di dovere.
  L'altra questione che io ritengo importante è la conquista che noi abbiamo fatto del prepensionamento, conquista che questo Governo ci ha permesso di ottenere, e delle modifiche della legge n. 104 del 1992, sull'articolo 33. Credo che andrebbero ancor più rivisti alcuni altri punti, sempre dell'articolo 33, in modo specifico quelli relativi ai permessi lavorativi.
  Io credo che tali punti andrebbero rivisti in modo da tutelare realmente, anche con sanzioni verso le imprese, laddove non c’è rispetto. Noi ci troviamo quasi sempre di fronte imprenditori inadempienti. Si tratta di situazioni anche private. Il lavoro, come sappiamo, è difficile. Gli imprenditori sono sempre più in difficoltà, hanno sempre più difficoltà a dare spazi ai loro lavoratori. Pur comprendendo le ragioni dell'imprenditore, poiché parliamo di un diritto che comporta un dovere, si potrebbero immaginare anche forme sanzionatorie più gravi.
  Per quanto riguarda la legge n. 68 del 1999 e tutto il capitolo relativo all'inserimento e al collocamento mirato, viceministro, io credo che sia da denunciare, pur nel pieno rispetto per il lavoro di questo Governo, il fatto che ci sia una mancanza di rispetto della legge n. 68 da parte dell'intero Governo. Non c’è ministero che abbia il rispetto della legge n. 68. Mancano le persone disabili all'interno di ciascuno di essi. Si dia priorità alle assunzioni all'interno dei ministeri. I primi a essere fuori da un sistema di rispetto della legge n. 68 sono proprio gli apparati pubblici, dalle regioni a tutti gli enti locali, per arrivare ai ministeri.Pag. 21
  A me piacerebbe che perlomeno il Ministero del welfare, inteso come Ministero del lavoro e delle politiche sociali, fosse il primo ministero a essere in regola. Io non ho il dettaglio, ma le posso dire con sicurezza che il Ministero della difesa, per esempio, non è nel rispetto della legge n. 68, mentre lo è il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Non conosco in particolare la situazione del ministero che lei rappresenta, ma credo che sia necessario istituire un osservatorio di controllo su tutte queste realtà.
  Ne parlammo anche quando c'era il ministro Fornero. Io credo sia fondamentale che le assunzioni partano, come esempio, dallo Stato e dagli enti locali. Credo che sarebbe importante e che non costi nulla che il Presidente del Consiglio faccia un appello affinché sia assicurato da parte dei vari ministeri il rispetto di questa legge, ma soprattutto sia fatta rispettare a tutti gli enti locali territoriali.
  È pur vero che ci sono grandi tagli nei comuni e nelle regioni, ma è vero anche che da poco è stato fatto un bando di concorso a Roma sulla vigilanza urbana, poi bloccato e «incasinato». Per esempio, ne è stato fatto un altro sulle edicole. Perché sono situazioni in cui non si deve rispettare la normativa vigente ?
  Infine, non vorrei dilungarmi troppo, ma mi pare importante un'altra questione. Parlo degli indici sulla disabilità lieve, grave e gravissima, che sono inseriti come necessità della disabilità. Secondo me, questo rimane uno dei punti più importanti.
  Perché veniamo definiti medi, gravi o gravissimi ? Conosco la responsabilità grossa dell'INPS e delle visite mediche che andiamo ad affrontare, ma mi piacerebbe l'idea che finalmente si capisse perché, per esempio, un cieco abbia due pensioni. So che sono erogate da enti diversi, ma non capisco perché il disabile che non è non vedente non abbia diritto, quasi che essere ciechi sia la patologia più grave. Per carità, non è una guerra tra poveri, ma anche tra di noi ci devono essere pari opportunità.
  Sono molto preoccupata – e finisco qui – sulla questione che la disabilità in questo momento sia vista come una bandiera «di tendenza». Gliela pongo come riflessione perché ritengo che sia importante. Più che mai c’è la necessità di riflettere in questo momento, perché, a quanto pare, chi urla più forte viene ascoltato. L'abbiamo visto su tanti temi, dalla SLA fino alle ultime questioni delle staminali, che, anche se abbiamo detto di no, hanno comunque assunto culturalmente una forza contrattuale che forse non era loro neanche confacente e che non era loro dovuta. Molti vivono il disagio al di là dei disabili. Questa mi pare una situazione da tener sempre presente, anche se la battaglia è sempre quella. Mi piacerebbe, però, molto che ci fosse da parte del Governo e dei sottosegretari anche una cabina di regia comune. L'abbiamo visto per le SLA. Alcuni hanno firmato, altri no. C’è un po’ di confusione anche rispetto ai documenti che girano. Mi piacerebbe moltissimo che si tornasse ad ascoltare.
  Presidente, le assicuro che ho finito. È veramente l'ultima questione. Non faccio come la mia collega intervenuta precedentemente, o almeno ci provo. Vorrei dire una cosa oltre a quanto ho asserito sulla forza contrattuale, sull'Osservatorio. Credo che questo sia un tema che ci interessa molto.
  Quando abbiamo fatto una conferenza stampa sull'ISEE, eravamo in tanti tra coloro che sono in questa stanza. Invece, a quanto pare, risulta che ci sia stata soltanto io. Questa situazione, secondo me, va letta nel modo giusto. Quello che mi piacerebbe farle presente è che sull'Osservatorio c'erano molti miei colleghi oggi presenti e che è stato rivendicato fortemente che ci fossero dei dati e delle indicazioni affinché, oltre alla Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap (FISH) e alla Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili (FAND), potessero entrare nell'Osservatorio altre associazioni di categoria che hanno valenza nazionale. Si potrebbe ritenere che questo non sia possibile, tuttavia pensiamo che se ci fossero indici per la partecipazione, Pag. 22l'Osservatorio, tale struttura funzionerebbe meglio di quanto non abbia fatto finora.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, colleghi. Io mi rendo conto che è difficile su un argomento di questo genere contenere i tempi degli interventi e non sono intervenuto in alcun modo per comprimerli. Capisco bene che meriterebbero dibattiti molto prolungati, possibilmente anche con una grande attenzione e con la concretezza che ci aiuti a evitare sedi convegnistiche in atti che, invece, sono più propriamente tenuti alla concretezza, come i lavori della Commissione parlamentare.
  Do la parola, non essendoci altri interventi, al Viceministro Guerra per le considerazioni finali.

  MARIA CECILIA GUERRA, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie a tutti quelli che sono intervenuti, perché, oltre al merito delle cose che sono state dette, credo che questo confronto sia stato importante, seppure con i limiti del tempo e delle partecipazioni che vediamo, per condividere alcune questioni, obiettivo non facile da raggiungere.
  Avete manifestato tutti, ognuno con le sue parole e con la sua sensibilità, una condivisione sull'impianto della riflessione. Si tratta di una riflessione che, effettivamente, poggiando sulla Convenzione ONU, è bene che sia condivisa, anche se la Convenzione ONU è veramente molto ambiziosa e, come spesso accade con le convenzioni, richiede dei tempi di implementazione. Non è, però, così scontata nel sentire comune. Il salto epocale e culturale che quella convenzione ci ha fatto fare non è del tutto scontato e, quindi, a me ha fatto molto piacere trovare comunque sintonia su molte tematiche.
  Farò alcune considerazioni su alcuni dei temi che sono stati proposti, cercando anche di fornire alcune informazioni aggiuntive. C’è una preoccupazione sicura e ovvia che io condivido e che forse ho anche manifestato, cioè il fatto che abbiamo elaborato il Piano d'azione. Il Piano d'azione è stato un momento di riflessione e messa a punto fondamentale anche per individuare azioni che in parte sono generali, di filosofia dell'intervento, ma in parte sono anche molto dettagliate nell'indicare alcuni percorsi. Ovviamente questa, da un lato, è un'indicazione di cose che si possono fare in un menù molto ampio, ma, nello stesso tempo, dall'altro, costituisce anche un banco di prova che permette alcune verifiche. Questa è una delle funzioni di garanzia del Piano d'azione e mi sembra una delle più significative.
  Il monitoraggio non sarà banale. Avendo sentito discorsi fatti con molta schiettezza, voglio essere altrettanto schietta. Una delle difficoltà che si hanno nel mettere insieme un Piano così complicato è dettata dal fatto che i soggetti coinvolti nelle responsabilità dell'azione sono tanti – tante amministrazioni centrali, quasi tutte, in realtà, e le amministrazioni decentrate – ognuno con proprie competenze. Questo richiede un confronto costante e anche che ciascuno faccia la sua parte.
  Per questo nella discussione della Conferenza di Bologna è venuta fuori con forza ed è stata sottolineata dal Presidente della Conferenza delle regioni Errani, ma anche dal Ministro Giovannini e da altri che sono intervenuti, la necessità di un monitoraggio anche di tipo politico, cioè di un monitoraggio che riguardi i soggetti pubblici depositari delle politiche. A fronte degli impegni che hanno preso – questo Piano è stato approvato dal Governo, ma anche dalla Conferenza unificata; anche in Conferenza, come vi dicevo, è stato richiesto un monitoraggio e, quindi, si sono presi degli impegni rispetto a questo Piano – occorre che si vada a verificare che quegli impegni, con i tempi che saranno necessari, ma che devono essere definiti – il che veniva sottolineato – vadano avanti.
  Mi dispiace dirlo perché la frustrazione che talvolta emerge dai vostri interventi è una frustrazione che condivido. I tempi si dilatano sempre al di là delle nostre volontà. Non lo dico come giustificazione, ma come notazione di realtà. Anche solo per avere la pubblicazione in Gazzetta Pag. 23Ufficiale di un documento approvato dal Governo in otto ore ci vogliono due mesi. Capite che rispetto alla urgenza dell'esigenza, ma anche alla nostra volontà di fare, questi rallentamenti non sono molto simpatici.
  L'idea del monitoraggio, del tavolo politico, per intenderci, nel senso degli organismi pubblici che hanno la titolarità delle competenze, ha proprio la funzione di mettere in fila queste azioni, cioè di chiedere a ciascuna amministrazione coinvolta che cosa pensa di poter fare e quali impegni assume, in modo che possiamo verificarlo in un processo il più possibile trasparente.
  È una scommessa. Non dico di portarla a casa come risultato. Io sto lavorando su tantissimi Piani con questo metodo. Non c’è la possibilità di dividere le competenze in modo del tutto netto. È inevitabile, nella complessità del mondo, che le cose si intersechino. Pertanto, le amministrazioni a tutti i livelli devono abituarsi a lavorare insieme.
  Questa non è, però, un'abitudine che sia stata acquisita nel modo di lavorare delle nostre amministrazioni e, quindi, non è facile mettere sempre tutto in fila. Tuttavia, i risultati sono spesso più proficui di quello che ci si aspetta.
  L'idea è quella di partire con questo tavolo, che ha questa funzione. L'Osservatorio ha una funzione istituzionale di monitoraggio ampio della Convenzione, che è esattamente quello che ha fatto. Anche il rapporto di monitoraggio inviato all'ONU è molto importante, sebbene in buona parte, come vi dicevo, ha fatto da guida al Piano d'azione. L'Osservatorio ha anche un ruolo di monitoraggio ed è un organismo di lettura più ampia, che non riguarda solo le responsabilità politiche, del Piano. Ci sono, dunque, due soggetti che agiranno con modalità e con finalità diverse, ma che sono entrambi coinvolti.
  L'Osservatorio è un organismo molto ampio, in cui sono rappresentate non solo la Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap (FISH) e la Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili (FAND), che pure, non dimentichiamolo, sono federazioni composte da tante associazioni e rappresentano, quindi, una grande parte del mondo della disabilità, ma anche altre organizzazioni. Adesso non le ricordo in dettaglio. Forse il dottor Ferrante, che mi accompagna in maniera informale, potrà fornirvi informazioni più dettagliate. Comunque vi manderò la composizione, così sono sicura di non dire cose sbagliate. Come ripeto, l'Osservatorio è stato aperto anche a un confronto con altri soggetti ed esperti che sono stati chiamati sulla base delle concrete necessità che si sono poste.
  A parte ciò, questa è una modalità che personalmente ho seguito, per esempio, nella vicenda complessa dell'ISEE, ovvero di ascoltare anche soggetti che non potevo chiamare a un tavolo di rappresentanza, perché la rappresentanza va costruita. Non si possono incontrare milioni di persone e, quindi, per forza di cose si costruiscono tavoli di rappresentanza.
  Dal mondo del terzo settore e dell'associazionismo, che è assolutamente variegato, io ho ricevuto considerazioni anche sull'ISEE e ho esaminato e discusso nei tavoli di lavoro moltissime proposte che sono venute da singoli, come da associazioni minori, che magari si lamentano di non essere state ricevute. Non è vero. Io so benissimo che ci sono alcune associazioni, tipicamente di disabili romani, che si sono costituite. Il giorno in cui si sono costituite in piazza io ero là con loro. Hanno acquisito il filmato attraverso il sito Youtube e hanno detto che sono stata solo due ore con loro a parlare, anche con il dottor Ferrante. Io, però, li avevo già ricevuti e li ho ricevuti anche dopo. Molto spesso bisogna anche capire se l'informazione è riferita in modo compiuto e corretto.
  Detto questo, è ovvio che considerate le migliaia di lettere che si ricevono, non a tutto si possa singolarmente rispondere, anche se cerchiamo effettivamente di tenere in considerazione tutto e, soprattutto quando vengono sottoposti casi particolari, di dar loro seguito.
  Una modalità di lavoro che coinvolga Governo e Parlamento va sicuramente ricercata. Io, però, la vedo più nei termini Pag. 24di una trasparenza dell'azione e, quindi, di un'informazione il più possibile frequente e di sollecitazioni richieste, come quella di oggi. Sottolineo, ma capisco che non era questo l'intento, la richiesta della parlamentare Di Vita. La sollecitazione a venire in Commissione non era diretta nei miei confronti, perché io mi ero già offerta di farlo. Infatti, quando è stata rivolta a me, ha trovato immediatamente la definizione di una data.
  Penso che questo sia giusto e importante, ma penso anche che bisogna tener conto della diversità delle competenze. Un gruppo di lavoro in cui sia inserita anche una rappresentanza parlamentare faccio proprio fatica a figurarmelo. Sono proprio due ruoli molto diversi, ma sono aperta a qualsiasi possibilità di valutazione. Se devo rispondere così, a occhio, mi sembra poco immaginabile, anche perché c’è una diversità di ruolo e di tipologia di rappresentanza che non è proprio banalmente superabile. Invece il fatto che uno venga e riferisca di aver svolto un'istruttoria affinché possa essere di sollecitazione reciproca per capire, da parte nostra, dove possiamo intervenire e, da parte vostra, dove potete indirizzare l'attività legislativa, è una cosa che io considero assolutamente importante.
  Passo ad affrontare alcuni punti più di merito. Circa il regolamento sull'articolo 4 effettivamente noi abbiamo iniziato con il precedente Governo – sapete che io facevo parte anche di quello – un lavoro con l'INPS e con il Dipartimento della funzione pubblica. L'idea, però, era quella del coinvolgimento dell'Osservatorio. Il problema è che, se il processo è partecipato, richiede tempi più lunghi. Ci siamo un po’ impantanati su questo punto.
  C'erano anche alcune difficoltà, se ricordo bene, per quanto riguarda la stessa stesura della legge. Ci venivano segnalate dalle regioni alcune incongruenze che potevano far tornare indietro rispetto ad alcune semplificazioni che erano state introdotte a livello decentrato. Comunque, sicuramente il tema va ripreso e soprattutto va inquadrato nel complesso il discorso dell'accertamento.
  Vi dicevo che già c’è un passaggio concernente la salute. Noi, però, avevamo iniziato un percorso. C’è stato anche un cambio di responsabilità all'INPS e mi dispiace di non averlo ripreso con la tempistica che sarebbe stata necessaria. Pertanto, me ne scuso. Abbiamo fatto una prima verifica, per esempio, sui tempi dell'accertamento, che sono più o meno simili. C’è una varietà di risposte e si vedono responsabilità molto diffuse tra INPS, regioni, ASL e via elencando.
  Lavorare con le regioni non è facilissimo, perché la risposta da parte loro è veramente molto eterogenea, ma credo che quel tema vada assolutamente ripreso, perché i tempi per le risposte che venivano ricordati, al di là della normativa, che non semplifica, non sono da Paese civile. Credo, quindi, che questo sia un tema che spetta a noi affrontare. Prendo questa come una sollecitazione forte e importante.
  Questo discorso si intreccia con un tema altrettanto delicato, che è quello dei controlli straordinari, che effettivamente, rilanciati all'unanimità dal Parlamento nella scorsa legislatura, complicano un po’ la possibilità della semplificazione, perché introducono modalità di accertamento ulteriori.
  Noi abbiamo cercato, lavorando anche con l'INPS, di indirizzare, anche se non ci è riconosciuto un ruolo di indirizzo sulla scelta e su come compiere gli accertamenti, in modo tale da evitare che fosse sottoposto ad accertamento straordinario quell'insieme di persone che era comunque già in lista per l'accertamento ordinario. Diversamente, poiché le due cose hanno logiche diverse e l'una non sostituisce l'altra, si corre il rischio di vedere persone in difficoltà chiamate a sottoporsi a visite più volte. C’è molto lavoro da fare e sicuramente questo è un punto delicato.
  Un altro punto delicato è la legge n. 68 del 1999. Io ho provato a lavorare sulla legge n. 68 anche perché dovremo fare un regolamento sugli esoneri, ma quando ho provato a farlo, anche in quel caso sempre attraverso un confronto ampio con tutti i Pag. 25soggetti rappresentanti delle persone con disabilità e delle parti sociali, ho appurato che intervenire sulla legge n. 68 partendo dal regolamento concernente gli esoneri non era di fatto possibile.
  Abbiamo avviato, quindi, un'interlocuzione con le regioni, perché la legge n. 68 poggia sul collocamento e il collocamento è materia di competenza regionale. Abbiamo cominciato a ragionare con loro per cercare di capire dove fossero i punti di difficoltà. A parte l'ispirazione generale, la Classificazione internazionale del funzionamento (ICF) e via elencando, che sono la scommessa per il futuro, la legge si presta ad applicazioni molto più bieche, cioè ad aggiramenti in termini di esenzioni e di esoneri per sfuggire alla regola della quota di riserva.
  Abbiamo alcuni punti di contatto con le regioni e, in particolare, una prima norma in elaborazione. Troveremo la prima occasione utile per sottoporvela – ovviamente dobbiamo aspettare che ci sia un veicolo normativo omogeneo – per intervenire sul problema delle esenzioni ed evitare alcuni abusi che ci sono stati.
  È molto importante la norma sulle pubbliche amministrazioni, che sicuramente sono molto indietro. Anche quella è una norma che c’è e che sicuramente dal punto di vista segnaletico è fondamentale, ma che deve anche trovare applicazione. Su questo punto, la competenza è del Dipartimento della funzione pubblica, come vi dicevo, ma noi non ci tireremo indietro e abbiamo in mente di attivarci.
  Devo sempre dire: «abbiamo in mente di». Voi direte: «cosa state facendo» ? È una cosa che abbiamo in parte istruito. Dobbiamo confrontarci con il Dipartimento della funzione pubblica per cercare di fare il punto meglio e capire come si può intervenire. Bisogna, quindi, agire su più piani.
  Anche in questo caso, per fornirvi anche qualche informazione positiva, per esempio sull'inserimento lavorativo dei disabili con disabilità psichica, noi abbiamo fatto alcuni progetti con l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) e con Italia Lavoro, con ISFOL sui disabili e con Italia Lavoro sull'ICF, lavori che hanno dato risultati straordinari, attivando le amministrazioni locali e regionali che sono più avanti in queste sperimentazioni.
  Mi ricordo, in particolare, la questione della disabilità psichica, su cui i risultati sono straordinari. Sul disabile psichico pesa uno stigma molto particolare, che costituisce una barriera all'ingresso enorme. Ciononostante, le imprese che hanno aderito a progetti, reintervistate successivamente circa la loro disponibilità a ripetere l'esperienza, si sono in larga parte, in modo molto superiore alle attese, dichiarate favorevoli. L'inserimento di persone con gravi disabilità psichiche richiede anche un accompagnamento, che c’è stato, e una preparazione del contesto, ma i risultati sono stati molto positivi, tanto che le imprese sarebbero state e sono disposte a ripetere l'esperienza.
  Aggiungo una parola sulle pluridiscriminazioni che lei citava. Anche su quelle – metto l'altro «cappellino» – abbiamo l'Osservatorio sulle discriminazioni dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR), che ci dà evidenza. Si tratta di quelle segnalate e denunciate, non sono assolutamente tutte, ma ci dà proprio evidenza di questo fenomeno della pluridiscriminazione che spesso coinvolge le persone con disabilità. L'Osservatorio ci serve sia per gli interventi che di volta in volta con l'UNAR facciamo a difesa del denunciante, sia per avere un primo quadro statistico di quali sono i luoghi della discriminazione, oltre che le tipologie della discriminazione stessa.
  La questione degli indicatori e dei dati, come dicevo, è stata proprio uno dei punti molto sollecitati dalla Convenzione, anche perché guida le politiche, altrimenti ragioniamo al buio. La tematica è stata ben istruita dall'Osservatorio. È stata fatta questa convenzione con l'ISTAT e nel 2014 avremo i risultati. Abbiamo avuto anche qualche prima indicazione. Vengono fuori effettivamente indicazioni molto importanti.
  Ne cito una, che rappresenta un dato ancora molto grezzo. Quando vai a esaminare Pag. 26l'intreccio tra povertà e disabilità, vedi che – può sembrare banale, ma non lo è tanto – è proprio il costo della disabilità che porta in povertà le famiglie con persone disabili, piuttosto che l'esistenza di altre ragioni per cui la disabilità è maggiormente presente in quelle famiglie. Detta così, può sembrare una banalità, ma, quando vai poi a dettagliarla e quantificarla, capisci anche meglio. Anche questo discorso è molto significativo da portare avanti.
  Sulla questione della conoscenza, per esempio, degli interventi che vogliamo fare sulla legge n. 68 del 1999, siamo in un deficit di conoscenza fortissimo, perché la rilevazione che viene fatta per legge – voi ricevete tutti gli anni il rapporto al Parlamento sull'applicazione della legge n. 68 – è assolutamente insufficiente nel dettaglio per permetterci di andare avanti con sicurezza sulle proposte che vogliamo fare. Anche per questo motivo c’è una necessità di interlocuzione molto stretta con le regioni.
  Sull'ISEE non entrerò di nuovo in tutta la discussione che abbiamo fatto, ma sul tema della disabilità io vorrei continuare a tranquillizzarvi. Noi adesso stiamo preparando un Piano di comunicazione operativa che serva agli enti erogatori. Come sapete, gli enti erogatori debbono rivedere le tariffe, oppure le soglie di accesso, se hanno soglie di accesso, ma perlopiù si tratta di tariffe di compartecipazione, in generale, non per la disabilità. Devono rivedere, quindi, le tariffe in ragione del nuovo ISEE. Sappiamo, infatti, che il nuovo ISEE ha caratteristiche diverse e ha determinato anche alcuni spostamenti. Il comune lo deve sapere, altrimenti ci sono tariffe che sono o troppo alte per alcune platee che stringono l'offerta o che, viceversa, possono andare in deficit per altre. Al comune, quindi, dobbiamo fornire un'informazione molto dettagliata. Faremo anche una formazione specifica su questo tema.
  Questo ci ha portato a fare ulteriori verifiche, con ulteriori banche dati, sempre più dettagliate e sempre più vicine alle realtà, che riguardano l'universo della disabilità. Questo per non fermarci su singoli casi costruiti spesso ad hoc.
  Io posso dire in tutta tranquillità di coscienza che in tutto questo percorso la questione della disabilità è stata al centro della mia – non solo mia, ma di tutto il gruppo di lavoro – attenzione. Abbiamo l'evidenza inequivocabile che l'ISEE, nell'attuale formulazione, è comunque un riposizionamento, ma che nell'ambito del mondo della disabilità favorisce rispetto a prima le persone con disabilità più gravi e più povere. Questo a me sembra sia l'esito che dovevo conseguire e ne sono soddisfatta. Ovviamente, se io prendo il disabile meno grave e più ricco, può darsi che abbia un ISEE più alto anche relativamente ad altri contesti.
  Il compito dell'ISEE è mettere in fila le persone. È un misuratore della condizione economica. Non possiamo addossare all'ISEE il fatto che i servizi per i disabili non siano gratis. Questo è un altro problema, che non riguarda l'ISEE. Se è possibile per qualche contesto territoriale dare servizi gratis, non è l'ISEE che lo impedisce, comunque sia formulato. L'ISEE è il metro che serve quando si rende necessario o si sceglie di applicare alcune compartecipazioni.
  La questione della rivalutazione l'abbiamo esaminata in sede di predisposizione. Voi sapete che il tema delle franchigie in qualsiasi contesto, non solo sull'ISEE, è un problema che si pone anche in campo fiscale. Anche le franchigie che esistono sono in vigore da dodici anni.
  Noi l'ISEE, come sapete, anche in accordo con voi, sotto richiesta vostra, l'abbiamo messo nel decreto legislativo. È una misura che è soggetta a monitoraggio e che potrà permettere di effettuare alcuni interventi. Vedremo poi, facendo le stime sugli andamenti e sulle applicazioni, anche questo aspetto.
  Vengo alla sollecitazione politica che veniva fatta sempre dall'onorevole Di Vita. Occorre un'attenzione alta. Il fatto che la crisi stia comportando difficoltà maggiori nei soggetti più fragili, fra cui anche le Pag. 27persone con disabilità, è assolutamente vero. Abbiamo segnali in questo senso non solo per le persone con disabilità, ma anche, per esempio, per le donne in maternità. Tutti i segmenti del mercato del lavoro che sono più esposti e considerati più impegnativi tendono a soffrire della crisi e, quindi, accolgo la sollecitazione a prestare un'attenzione ancora più alta su questo tema come opportuno stimolo. Credo che la funzione di questo incontro sia non solo quella di darci la pagella, ma anche quella di fornirci dei suggerimenti e degli stimoli. La prendo in questo senso.
  È verissimo che noi abbiamo spesso miopia nell'agire sulle politiche per la disabilità, sia per l'inserimento lavorativo, sia per le nuove tecnologie, che non forniscono risposte fondamentali solo per il superamento di barriere. Io ho visto nei progetti che abbiamo fatto con Italia Lavoro persone cieche utilizzare benissimo l'iPad in un contesto lavorativo, non solo nel contesto che possiamo immaginare, situazioni che erano impensabili fino a poco tempo fa. Si tratta anche di settori in cui c’è possibilità di attivare ricerca e, quindi, anche sviluppo economico.
  Ci sono mille ragioni per investire in questo settore, ma noi siamo piuttosto indietro. Io, per esempio, seguo con preoccupazione il fatto che non riusciamo a risolvere un tema molto importante, quello dell'aggiornamento del nomenclatore degli ausili. Anche storicamente ci sono alcune incongruenze: magari sono ammesse cose più costose rispetto a cose più recenti e meno costose.
  Il tema non è di mia competenza, ma so che è molto delicato, perché è un problema di valutare e di trovare l'adeguata copertura finanziaria. Questa non è una scusa – sono d'accordo – perché bisogna identificare alcune priorità. Evidentemente, se non le si trova, vuole dire che quella non è riconosciuta come priorità, ma ritengo anch'io che questo sia un tema che non deve aspettare molto.
  L'eterogeneità delle prestazioni – veniva citato il caso delle persone cieche – è sicuramente un retaggio storico. Noi abbiamo una tradizione di protezione speciale, che io intendo in maniera neutra, cioè differenziata, per le disabilità che sono state riconosciute prima, soprattutto per quanto riguarda la vista. Un riordino che vada in contemporanea con un adeguamento dei criteri di accertamento nell'ottica della presa in carico delle valutazioni della persone nel loro complesso potrebbe essere il momento buono per affrontare anche quel tema.
  Noi abbiamo fatto un piccolo sforzo di sistematizzazione proprio nell'ambito dell'ISEE e proprio con l'aiuto della Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap (FISH) e della Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili (FAND) per provare a ricondurre una normativa molto complessa e articolata, che coinvolge settori diversi, dall'INPS, all'INAIL, allo Stato e a varie altre forme, in tre diverse categorie, riportando a una maggiore omogeneità per grado di disabilità, e non per patologia, il mondo della disabilità. Oltre ad avere un significato importante e applicativo per lo strumento che stavamo disegnando, è stato anche un passaggio, io credo, culturale di grande rilievo. È chiaro, però, che quel tipo di passaggio si deve portare dietro anche una sistemazione delle prestazioni.
  Bisogna muoversi con delicatezza in questo campo per far fare passi avanti e non rischiare passi indietro in un contesto che resta ostile. Sicuramente la campagna dei falsi invalidi e le notizie che la televisione enfatizza sui casi di indebita fruizione rischiano di trasmettere un'immagine che indirizza l'opinione pubblica e la politica a essa sensibile più verso un taglio che verso un miglioramento ragionevole delle prestazioni.
  Lo screening neonatale non è stato un'azione del Governo, ma va nell'ottica di alcune indicazioni che vengono dal Piano d'azione.
  Quanto alla presenza del Ministro Giovannini in Commissione, il ministro generalmente va in Parlamento nelle occasioni in cui è obbligatorio che ci vada lui, ma è proprio il ruolo dei viceministri e dei Pag. 28sottosegretari quello di mantenere i rapporti con il Parlamento. Io non vengo mai qui senza rappresentare anche il ministro. È vero che ho la delega sulle politiche sociali e su altre questioni – tra quelle di competenza di questa Commissione metterei il terzo settore e anche la parte di integrazione nell'ambito dell'immigrazione – ma l'indirizzo di coordinamento politico è in capo al ministro. In quest'Aula io non rappresento solo me stessa, rappresento il ministero e, in particolare, il ministro.
  Ovviamente, se ci fosse il desiderio specifico di rivolgere una richiesta al ministro, basta che questa arrivi e credo che lui offra la massima disponibilità, perché sui temi del sociale è un ministro particolarmente attento e presente. Potrei non dirlo, ma è assolutamente vero. Io credo che non ci sia nessuna delle cose che abbiamo fatto, e anche di quelle che non abbiamo fatto, che non sia anche responsabilità sua.
  La legge n. 104 del 1992 è un altro esempio di delicatezza. È una legge che, però, richiede una revisione in entrambi i sensi, ahimè, perché ha effettivamente dato luogo anche ad abusi. Nello stesso tempo, però, presenta alcuni elementi di debolezza. Bisogna trovare anche su questo il giusto equilibrio.
  Nell'esperienza del precedente Governo – giusto per darvi un'informazione – io mi sono opposta a un intervento che andava solo sul primo di questi aspetti. Ce l'ho fatta, ma con molta difficoltà, perché non si può non riconoscere che c’è un uso talvolta allegro di questa norma, che invece è una norma fondamentale e all'avanguardia e che, quindi, va difesa.
  Passo a un ultimissimo aspetto. Chiedo scusa perché sicuramente non ho risposto a tutto. O meglio, non ho risposto a tutto per niente, ma ci ho provato. L'ultima cosa che volevo dire riguarda un altro aspetto su cui stiamo provando a lavorare anche con il coinvolgimento del terzo settore. Voi sapete che esiste il programma della Youth Guarantee e sapete che la Youth Guarantee ha tra i suoi elementi di forza quello di intervenire sullo snodo fra scuola e inserimento lavorativo.
  Noi abbiamo evidenze di eccellenza nella formazione, ma abbiamo anche un dato drammatico che ci viene proprio dalla Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap (FISH) e dalla Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili (FAND). Mi è stato sottolineato in contesti molto diversi, anche al di fuori del rapporto con le federazioni, anche a livello locale, quando mi capita di andare in giro, il fatto che ci sono famiglie che chiedono alla scuola di bocciare il figlio per poterlo mantenere in un contesto in cui comunque è accudito ed è socializzante. C’è la paura di dover affrontare il dopo, perché il dopo non c’è.
  Nell'ambito della Youth Guarantee – non abbiamo ancora definito bene questa possibilità, ma è un'idea su cui si lavorava anche con il terzo settore, che è stato coinvolto per varie questioni – potrebbe esserci, e io spero che possa esserci, la possibilità di pensare a un percorso dedicato ai ragazzi con disabilità nel passaggio dalla formazione scolastica all'inserimento lavorativo.
  È un impegno molto ampio e variegato, con riflessioni collettive che abbiamo fatto e che abbiamo messo a punto. Si tratta di un processo, lo ripeto, in cui abbiamo privilegiato, anche sui tempi, la partecipazione. La scelta di tenere la Conferenza a luglio è stata proprio dettata dall'esigenza di non far passare troppo tempo, altrimenti avremmo dovuto aspettare il 28 dicembre, con l'approvazione definitiva e la pubblicazione del Piano d'azione, e poi tenere la Conferenza.
  Abbiamo pensato, invece, di unire tutti i possibili stimoli. La Conferenza è molto di più che l'Osservatorio e la partecipazione, lo ripeto, è stata molto «extra» rispetto alle persone che avevamo già visto. Gli stimoli sono stati tanti e ulteriori. Il fatto di avere ormai codificato in modo molto preciso e in buona parte condiviso alcune linee di azione toglie alibi a tutti, a partire ovviamente in primo luogo dalla responsabilità che, come Governo, noi abbiamo, per non dare conto di risposte. Vi lascerò la relazione e, come Pag. 29vedrete, alcune risposte, piccole, ma che non vanno sottovalutate, si è cominciato a provare a darle.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Io vorrei aggiungere qualche considerazione a ciò che ha detto il Viceministro Guerra, che ringrazio per la puntualità costante con cui fornisce una risposta a tutte le considerazioni che le vengono proposte durante il lavoro di Commissione.
  Credo che nessuno di noi fosse obbligato a rimanere sino a questo punto ad assistere all'audizione, ma ritengo che chi l'abbia fatto fosse evidentemente interessato a sentire sino in fondo ciò che il Viceministro Guerra aveva intenzione di dire e doveva dire. Io la ringrazio: è stata puntuale, precisa e anche lunga quanto è stato necessario che fosse.
  Vorrei svolgere due considerazioni a proposito di ciò che è stato detto. La prima è che sostanzialmente ci sono dei ruoli, che sono quelli prefissati dalla democrazia. La democrazia è complicata. Qualche volta in Italia richiede tempi molto più lunghi di quanto noi vorremmo che fossero, ma è anche un meccanismo che consente di portare tutti gli attori sociali a far conoscere la loro opinione e a confrontarla con quella di altri.
  Esistono un ruolo del Parlamento, un ruolo delle Commissioni e un ruolo del Governo. Noi cerchiamo di fare tutto il possibile perché tutti questi ruoli vengano rispettati e pensiamo che normalmente il rispetto di essi, se non viene gravato da passaggi burocratici assolutamente inutili o da riti della politica che nessuno di noi alla fine apprezza, costituisca la garanzia che il rispetto della democrazia avvenga in tutti i suoi passaggi. Credo che anche le precisazioni che in questo senso il Viceministro Guerra ha riferito, insieme alla massima volontà di collaborazione da parte del Governo nei confronti di chiunque intenda prestarsi alla collaborazione stessa, siano importanti.
  Passo alla seconda questione che io rilevo come importantissima. Guardate, colleghi, noi abbiamo fatto una cosa all'inizio di questa legislatura: abbiamo iniziato un percorso che è, secondo me, molto importante, quello di lavorare insieme alla Commissione bilancio alla famosa indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, un percorso rivolto a uscire dall'idea che il tema dei diritti sia un tema svincolato da quello delle risorse disponibili.
  Io credo che chiunque di noi sia per l'estensione massima del massimo numero dei diritti possibili al massimo numero di cittadini possibile. Abbiamo toccato con mano, però, che spesso sono necessarie delle scelte. Il Viceministro Guerra ci ha rispiegato per l'ennesima volta qual è il significato dei parametri dell'ISEE. Le scelte spesso sono dolorose. Chi siede nel Parlamento partecipa alla gestione delle scelte ed è spesso responsabile, autore e protagonista delle scelte stesse.
  Io credo che, anche quando dovremo elaborare la relazione conclusiva sul lavoro che abbiamo fatto sulla sostenibilità e soprattutto sulla qualità dell'erogazione delle prestazioni del sistema sanitario nazionale, su questo tema dovremo fare alcune riflessioni. Non dovremo ragionare come una Commissione che si occupa esclusivamente di diritti, ma come una Commissione che tende a fare delle scelte sulla base delle risorse disponibili, cercando di capire quali sono i primi diritti da soddisfare e quali sono quelli da mettere in graduatoria nella soddisfazione. Questo sapendo bene che è impossibile soddisfare tutti i bisogni nello stesso modo e con la massima disponibilità delle risorse economiche, che purtroppo non è data e non è nella nostra disponibilità.
  Credo che il ragionamento che oggi il Viceministro Guerra ha fatto insieme a noi ci aiuti a essere utili in maniera concreta. Alla fine il modo per essere utili è anche quello di avanzare, come i colleghi del Movimento 5 Stelle ci hanno ricordato, proposte concrete che possano diventare punti di riferimento del dibattito politico sugli argomenti su cui questa Commissione Pag. 30lavora e di cui si occupa con tutto l'impegno che questo pomeriggio abbiamo dimostrato.
  Vi ringrazio molto. Buona serata. Grazie ancora al Viceministro Guerra.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.50.