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XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 25 marzo 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, sulle linee programmatiche del dicastero per le parti di competenza (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Poletti Giuliano , Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 12 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 13 
Rizzetto Walter (M5S)  ... 14 
Polverini Renata (FI-PdL)  ... 15 
Airaudo Giorgio (SEL)  ... 17 
Pizzolante Sergio (NCD)  ... 18 
Tinagli Irene (SCpI)  ... 19 
Fedriga Massimiliano (LNA)  ... 19 
Damiano Cesare , Presidente ... 21 
Poletti Giuliano , Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 21 
Damiano Cesare , Presidente ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 11.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, sulle linee programmatiche del dicastero per le parti di competenza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, sulle linee programmatiche del suo dicastero per le parti di competenza.
  La Commissione XI dà il benvenuto al Ministro.
  Ricordo preliminarmente ai colleghi che attorno alle 13.00 dovremo concludere l'audizione, in relazione agli altri impegni del Ministro e della Commissione stessa. Avremo pertanto a disposizione circa un'ora e mezza.
  Faccio presente che dopo la relazione introduttiva del Ministro seguiranno gli interventi di un rappresentante per gruppo nonché, se vi sarà tempo, ulteriori interventi dei deputati che intendano prendere la parola. Prego di segnalare anticipatamente alla presidenza l'intenzione di intervenire.
  Per gli interventi i rappresentanti dei gruppi avranno a disposizione circa 30-35 minuti. Mi riservo di ripartirli tenendo conto delle richieste di intervento che perverranno alla presidenza.
  L'audizione si concluderà, quindi, con la replica del Ministro, per il quale, rispettando questi tempi, dovrebbe rimanere un ragionevole spazio di tempo.
  Ringrazio il Ministro per la sua presenza. Prima di dargli la parola, ribadisco che abbiamo un'ora e mezza di tempo. Ritengo che il Ministro svolgerà una relazione abbastanza lunga. Ai rappresentanti dei gruppi, in termini egualitari, verrà dato lo stesso tempo, che sarà conteggiato in qualche minuto per le domande. Naturalmente questa è la prima audizione, quella di rito, e non mancheranno altre occasioni.
  Do la parola al Ministro Poletti per la sua relazione.

  GIULIANO POLETTI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Ringrazio il presidente e l'intera Commissione. Cercherò di trovare un giusto equilibrio tra l'esigenza di contenere i tempi e quella di essere adeguatamente esplicito e chiaro nella rappresentazione delle linee di lavoro che il Ministero ha definito in questa fase, che naturalmente sono costruite dentro la logica delle scelte politiche che il Governo ha presentato in Parlamento.
  È del tutto evidente che le scelte che abbiamo compiuto e quelle che andiamo a proporre debbono essere lette all'interno di una logica generale di rilancio e sviluppo dell'economia e di costruzione della coesione sociale.
  Ovviamente mi occuperò dei temi che fanno riferimento al lavoro e ai compiti del mio Ministero, ma avendo sullo sfondo questo dato che è del tutto ovvio: se non Pag. 4ci sarà una fase di rilancio dell'economia italiana, le politiche del lavoro e le politiche sociali ne soffriranno in maniera del tutto evidente.
  Da questo punto di vista, credo che non sia necessario recuperare gli orientamenti preannunciati e votati in Parlamento, rappresentati dal Presidente del Consiglio, se non per costruire questa connessione. Alcuni interventi sul mercato del lavoro, che abbiamo affrontato attraverso un decreto, e quindi sono alla vostra attenzione, fondamentalmente sono figli dell'esigenza di fare in modo che le politiche che vogliamo fare e le scelte che stiamo facendo sul versante degli investimenti (dal pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni agli investimenti sulla scuola e agli investimenti sul territorio) abbiano, dall'altro versante, imprese capaci di reagire puntualmente.
  Se c’è una cosa che noi vogliamo è che nessuna impresa possa avere alcuna argomentazione per sostenere che non ha fatto ciò che avrebbe dovuto fare, in particolare sul piano degli investimenti, perché è stata in qualche modo «vincolata» da limiti, problemi, incertezze e difficoltà interpretative. Noi pensiamo che occorra produrre un contesto di condizioni che massimizzino l'effetto di tutte le politiche che andiamo a realizzare.
  Il nostro orientamento parte da un punto di tipo generale: noi siamo profondamente convinti che nessuna persona presente sul territorio di questo Paese debba rimanere a casa senza avere niente da fare, in attesa che avvenga qualcosa, che gli arrivi una proposta, un'offerta di lavoro o una cosa da fare. Noi pensiamo che non aver nulla da fare, e cioè sentirsi inutili a sé e agli altri, sia una condanna che nessun tribunale può comminare a nessuna persona. Valga per un carcerato, che ha comunque una condanna da scontare; valga per un immigrato, che sta dentro a un centro ad aspettare mesi di ricevere o non ricevere un'autorizzazione; valga per un cittadino italiano, giovane o meno giovane, che ha concluso i suoi studi e non trova un'occasione.
  Questa affermazione ovviamente non vuol dire che noi immaginiamo di avere un posto di lavoro per tutti. Avere una cosa da fare non vuol dire avere un lavoro, ma vuol dire avere un obiettivo, qualcosa che rende la propria giornata degna di essere vissuta. Fare questa scelta propone dei problemi che dovremo affrontare come Ministero del lavoro e delle politiche sociali e come Parlamento.
  Un mondo diviso in occupati e disoccupati, con contratto e senza contratto, è un mondo semplice. Un mondo dove ci sono persone che debbono occuparsi, ma non sono nella condizione tipica del lavoratore occupato con contratto, è un mondo un po’ più complicato, che presuppone delle sfumature, delle regolazioni, dei sistemi relazionali, dei sistemi di monitoraggio e di verifica di ciò che accade.
  Noi siamo convinti che non si possa pretendere un mondo semplice e risolvere il problema con delle enclave, dei gruppi, delle parti di società a cui si allunga qualche centinaio di euro e si dice di starsene a casa tranquilli e non «rompere le scatole». Noi non abbiamo questa idea, ma esattamente quella opposta. Questo vuol dire che tutte le nostre politiche devono avere questo tema davanti. La politica della giustizia che si occupa delle carceri, così come quella dell'immigrazione e qualsiasi altra politica, devono porsi l'obiettivo di avere una società aperta, con una partecipazione responsabile, inclusiva, capace di proporre opportunità. Questa è la logica di fondo a cui noi affidiamo le nostre politiche.
  Collegata a questa logica di fondo ce n’è una seconda, che dice che quando un cittadino, in una condizione di necessità, avendone le condizioni, viene aiutato dalla collettività con atti di solidarietà e di sostegno (è giusto che la collettività si faccia carico di quella condizione), questo deve sentirsi nella necessità di restituire alla collettività, per quanto gli sia possibile, una parte di quanto ha ricevuto.
  Noi pensiamo che questo meccanismo non configuri immediatamente i lavori socialmente utili. È esattamente l'opposto dei lavori socialmente utili. Quel cittadino Pag. 5che si trova in quella condizione non è a credito, ma è a debito. Dovrebbe sentirsi (usiamo il condizionale) nella condizione di restituire qualcosa alla collettività. Se questa scelta si praticherà, noi cercheremo di organizzare delle modalità che consentano che ciò accada. Peraltro, in alcune norme questa previsione c’è già. Il dato di fatto è che c’è la previsione, ma non è mai stata praticata.
  La nostra opinione è che questa condizione possa essere praticata se, da un lato, si costruiscono dei modelli organizzativi e delle infrastrutture che la rendono praticabile e, dall'altro, si coinvolge strutturalmente in questo tipo di impegno la vastissima area di organizzazioni, associazioni, volontariato, mutualità e terzo settore.
  Un conto è chiedere a una persona di venire a lavorare un po’ in comune, e 30 secondi dopo tutti immaginano di diventare dipendenti comunali, un altro conto è chiederle di venire un paio d'ore alla Caritas a «servire» un po’ di minestra. Io credo che quella persona approcci la cosa in termini piuttosto diversi. Continuo a pensare che, poiché fare del bene fa bene, ci sarà molta gente che, dopo aver fatto questo tipo di esperienza, continuerà a farla anche quando sarà tornata al lavoro o in famiglia, perché avrà fatto una cosa che le ha fatto maturare un'esperienza e che le ha dato un'opportunità.
  Noi ragioniamo sulle cose che andiamo a fare secondo queste direttrici: una società inclusiva, una società che propone opportunità, una società che offre solidarietà, ma chiede corrispondenza e altrettanta solidarietà. Pensiamo che questa sia la logica generale che dobbiamo utilizzare.
  Questo ci propone già un primo tema. In Italia ci sono 300.000 associazioni e 6 milioni di persone che vivono questa esperienza. Noi pensiamo che questa esperienza non possa essere considerata una sorta di appendice occasionale. Qualcuno dice: «quelli sono i buoni». Il mio problema non è dire se sono i buoni o meno. Il mio problema è immaginare una società dove tra Stato, istituzioni pubbliche, capacità del pubblico di far fronte ai bisogni della collettività, mercato capace di rispondere in termini di offerta di servizi, di prodotti e di prestazioni e società che si organizza, non giocano la partita soltanto i primi due e la società arriva dopo, se, quando e come può. Noi pensiamo che debba essere strutturalmente presente dentro i modelli che organizzano la società, il lavoro, la fruizione e la produzione dei servizi.
  È una logica diversa: la logica del protagonismo sociale, della partecipazione attiva dei cittadini, della responsabilità dei cittadini. È la logica che sta al fondo delle politiche che noi stiamo pensando. Faremo tutti i ragionamenti che dovremo fare sulle norme, sulle politiche e su tutte le problematiche che abbiamo, ma questo è il contesto entro il quale noi collochiamo le scelte che andiamo a fare.
  L'ultima considerazione di tipo generale riguarda l'approccio del sottoscritto al proprio lavoro. Il primo punto recita più o meno così: io non credo che sia una cosa saggia arrivare e smontare tutto quello che c’è, per dimostrare che quelli di prima hanno sbagliato, mentre tu sei un fenomeno e le cose che fai sono meravigliose. Io parto dall'idea che quelli di prima normalmente hanno lavorato in positivo, cercando di costruire. Si guarda ciò che c’è. Se c’è qualcosa di totalmente «non condivisibile», allora si smonta, diversamente si parte dal punto in cui le cose vengono trovate e si cerca di edificare un ulteriore passo avanti. Altrimenti è più il tempo che dedichiamo a smontare ciò che c’è del tempo che riusciamo a dedicare alla costruzione del nuovo. Di conseguenza, non mi troverete mai particolarmente impegnato a smontare qualcosa se non sono profondamente convinto che quella cosa, così come è fatta, è sbagliata e magari impedisce di fare ciò che reputo giusto fare.
  Mi sono confrontato col Ministro Giovannini e lo debbo ringraziare per la grande amicizia e disponibilità nel passaggio che abbiamo realizzato e dei consigli che mi ha dato. Io credo che per molte cose ci sarà un tratto di continuità, almeno Pag. 6sul piano dell'elaborazione, del lavoro e della predisposizione che è stata fatta.
  Passo alla seconda affermazione: io considero che nel nostro compito il mio obiettivo non sia quello di dimostrare una teoria. Io non ho una mia teoria del lavoro, non ho una mia teoria del giuslavorismo e non ho una mia teoria del contratto di lavoro. Non ho nulla di tutto ciò. Credo che sia necessario esaminare con puntualità i fatti, leggere i dati, i trend e gli stock, capire dove sei, immaginare dove vuoi andare, fare delle scelte e monitorare le scelte che hai fatto. Se dal monitoraggio emerge una conferma della tua scelta, si prosegue, mentre, se dal monitoraggio quella scelta viene dimostrata sbagliata, si cambia.
  Non sono interessato ad avere delle norme esteticamente meravigliose, ma drammaticamente dannose nella loro concreta effettività. Io sono pronto a discutere, a esaminare, a valutare, a prendermi la responsabilità delle decisioni, a monitorare ciò che accade e a cambiare qualora si dimostrasse che scelta compiuta sia inefficace, inefficiente o persino dannosa. Non ho niente da dimostrare, se non la volontà di cercare di migliorare la condizione attuale del lavoro nel nostro Paese, che, come voi sapete bene, è in una situazione di grande drammaticità.
  Certamente non ho bisogno di raccontare a voi qual è il panorama dell'occupazione e del lavoro nel nostro Paese, perché siete sicuramente più informati di me. Se c’è un elemento sul quale forse va fatta una valutazione è cosa ci aspettiamo per il 2014. Io credo che il 2014 sarà ancora un anno di grande sofferenza. Ce lo dice il dato secondo cui, indipendentemente dalla considerazione che noi facciamo sulle dinamiche del PIL, al +0,6, +0,8, +1 per cento (i dati sono lì ed è chiaro che +1 è meglio che +0,6), la dinamica dell'occupazione per il 2014 continuerà a essere molto pesante.
  Questo è immancabilmente l'effetto della crisi. Se noi guardiamo i dati della cassa integrazione, della cassa integrazione in deroga e di tutti gli altri strumenti, più ancora di quelli della cassa ordinaria e straordinaria, vediamo che abbiamo dei bacini di lavoratori che da anni sono in quella condizione. Quella situazione ci dice molto chiaramente una cosa: nove su dieci, cinque su dieci, sei su dieci di quelle imprese sono morte e non rinasceranno tra tre mesi. Noi avremo solo un'anagrafica che svilupperà una foto che è stata scattata quattro anni fa. Vedremo l'immagine nel 2014, ma il problema è nato nel 2009, nel 2010 e nel 2011. Quelli saranno gli esiti e noi nel 2014 avremo una sorta di incrocio tra gli effetti della coda della crisi che si materializzeranno, e, quindi, la fotografia delle crisi, e le dinamiche di ripartenza di alcuni segmenti.
  Ad esempio, abbiamo dati che ci dicono che il settore metalmeccanico sta significativamente riprendendosi e rispondendo. Abbiamo dati, anche informali, che ci confermano questo trend. Su quel versante probabilmente avremo anche dei recuperi occupazionali, però faremo dei saldi. Probabilmente avremo -10 da un lato e +3 dall'altro, e dunque -7, che sarà appunto la risultante del -10 di un versante e del +3 dell'altro. Noi nel 2014 incroceremo questi dati.
  Naturalmente le nostre politiche cercheranno di accelerare al massimo le dinamiche di entrata nel mercato del lavoro e di sviluppo e ripresa dell'economia. È chiaro, quindi, che le logiche che ci hanno animato sul versante del trattamento fiscale e sul versante del pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni sono tutte figlie della volontà di produrre una condizione per cui il sistema economico riparta e, dentro la ripartenza del sistema economico, ci sia un recupero di occupazione.
  È chiaro che i bacini di possibile occupabilità sono diversi. La ripartenza dei consumi non produce gli stessi effetti. Un consumo «turistico» (vado in vacanza a Firenze) produce tutto consumo interno. Se decido di comprare un abito in più dipende da dove quell'abito è stato prodotto e da come è arrivato sul mio mercato. Sono sempre gli stessi 100 euro, ma le due dinamiche producono effetti sull'economia Pag. 7e sull'occupazione significativamente diversi. Noi sappiamo che anche le politiche settoriali che andremo a fare avranno una loro efficacia.
  Vengo ai punti di merito, a partire dalla prima cosa che ho detto, e cioè che noi cerchiamo di dare efficacia e continuità a ciò che è già stato deciso. La prima cosa che voglio riferirvi riguarda la vicenda INAIL, cioè la riduzione degli oneri INAIL sulle imprese, che è stata deliberata nella legge di stabilità per il 2014. A noi competeva un provvedimento che abbiamo predisposto. Oggi è presso il Ministero dell'economia e delle finanze e crediamo che possa essere rapidamente applicato.
  Rispetto al tema della riduzione dei premi INAIL, vi do solo alcune rapidissime informazioni, che riguardano il fatto che noi abbiamo utilizzato criteri che tengono conto dell'andamento infortunistico e che hanno definito un'area d'imprese che potranno utilizzare questo vantaggio. L'area di imprese che potranno utilizzare questo vantaggio comprende circa l'80 per cento delle imprese e la riduzione dell'onere, secondo le stime che ha effettuato l'INAIL, sarà superiore al 14 per cento.
  Sappiamo che questa norma, peraltro, vale anche per i prossimi anni e, quindi, attraverso questo meccanismo, ci sarà un primo risparmio che le imprese otterranno, tenendo conto che le imprese italiane hanno visto slittare il pagamento a maggio. Per tutti questi mesi non hanno avuto questo onere e hanno mantenuto la loro liquidità, e a maggio pagheranno il 14 per cento in meno di quello che hanno pagato l'anno precedente. Ciò che noi dovevamo fare era predisporre gli atti perché la cosa avvenisse. Lo abbiamo fatto e a maggio questa cosa accadrà.
  Analogamente, abbiamo adottato il decreto ministeriale per aumentare l'indennizzo da parte di INAIL per il danno biologico. Anche questa era una scelta contenuta nella legge di stabilità. A noi competeva l'atto per renderla concretamente praticabile. La cosa è stata fatta e, quindi, coerentemente, cerchiamo di fare in modo che le decisioni che vengono assunte possano poi scaricare rapidamente i loro effetti sui cittadini o sulle imprese, laddove questo debba verificarsi.
  Il secondo tema su cui stiamo lavorando intensamente è la vicenda della «Garanzia giovani». Voi sapete che c’è un programma dell'Unione europea, finanziato pro-quota da fondi nazionali, che vale 1,5 miliardi di euro, e che partirà il 1° maggio. Abbiamo avuto un mese di slittamento rispetto al programma, figlio di due contingenze: da una parte la crisi di Governo e il passaggio necessitato, e, dall'altra, un complesso lavoro di relazione con le regioni, perché questo tipo di intervento è largamente innervato sulle competenze regionali.
  Abbiamo cercato di fare un lavoro importante (devo dire che è un lavoro fatto dal Ministro Giovannini e da chi ha collaborato con lui), attraverso un Piano operativo nazionale che definisce lo schema, gli obiettivi, regole comuni e condivise e meccanismi di relazione. Poi naturalmente ci saranno i piani regionali, che vedranno assegnate le risorse e svilupperanno l'azione sul territorio.
  Vorrei soffermarmi un attimo sulla vicenda «Garanzia giovani», perché credo che sia in qualche misura esemplare rispetto a come noi intendiamo impostare le politiche attive. Noi abbiamo bisogno di spostare in maniera significativa il nostro impegno dalle tutele (che sono necessarie e che oggi ci sono, attraverso la cassa integrazione, e via dicendo) al versante delle politiche attive.
  Tuttavia, bisogna che su questo facciamo un atto di chiarezza tra tutti i soggetti coinvolti. Dire che bisogna passare dalle tutele alle politiche attive è come dire ad un signore che è sulla riva di un fiume che deve andare sull'altra riva. Il guaio è che l'altra riva non si vede e non c’è il ponte per andarci. Noi a quelle persone stiamo dicendo in buona sostanza: «buttati e spera». La gente normalmente non è molto propensa a buttarsi e sperare. Quindi, se vogliamo fare questa operazione, dobbiamo produrre due effetti. Il primo è accendere qualche fuoco, qualche lume, qualche lampione sull'altra sponda, Pag. 8perché bisogna vedere l'altra sponda e sapere che c’è per decidere di andarci. Noi oggi non l'abbiamo ancora fatto e il tema «Garanzia giovani» ci aiuta a farlo.
  Il secondo tema è che bisogna costruire un ponte. Magari adesso possiamo fare solo un ponte di barche transitorio, ma abbiamo bisogno di farlo. Per noi il ponte sono i servizi per l'impiego, l'infrastruttura che regge le politiche. Questo Paese non può continuare a fare dichiarazioni di volontà, senza avere infrastrutture capaci di rendere concretamente praticabili ed efficaci le politiche che dichiara. Dichiarare che vogliamo politiche attive e non avere strumenti in grado di farle è fiato sprecato. Bisogna quindi fare questo tipo di passaggio.
  Con «Garanzia giovani» stiamo sperimentando questo impianto, nelle condizioni istituzionalizzate, e quindi nel rapporto tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Regioni, e attraverso un'operazione di forte partenariato col sistema delle agenzie, anche in questo caso superando una disputa, che io credo possiamo risparmiarci, tra il ruolo del pubblico, il ruolo del privato, la collaborazione tra A e B, il mestiere di uno e il mestiere dell'altro.
  Abbiamo una quantità industriale di cose da fare. Avremmo bisogno di molte risorse in più di quelle che abbiamo. Ben venga che abbiamo gli strumenti pubblici e ben venga che ci sia una cooperazione con quelli privati. Infatti noi non ce la faremmo neppure mettendo insieme e facendo girare al massimo il motore degli strumenti pubblici e degli strumenti privati, perché il problema che abbiamo davanti è enorme. Se c’è una cosa che ci possiamo evitare con cura è stare a perdere del tempo in ragione del fatto che ha più ragione A o B. Non credo proprio che sia il caso. Alla politica compete decidere cosa fa uno e cosa fa l'altro, come viene controllato il processo e come vengono verificati i risultati.
  Ad esempio, nel progetto «Garanzia giovani» ci sono meccanismi di premialità finalizzati e connessi al raggiungimento dell'obiettivo e, quindi, come dice qualcuno in maniera spicciativa, non paghiamo i colloqui. Intanto i colloqui bisogna farli. Pare niente, ma noi stiamo parlando di 900.000 giovani potenzialmente interessati. Provate a immaginare cosa vuol dire se una quota significativa di quei 900.000 giovani decide di registrarsi e di accettare l'invito che facciamo loro di recarsi ai centri per l'impiego o alle agenzie accreditate per il colloquio, che consiste nella profilazione, ovvero capire chi sono questi giovani, cosa vogliono fare, quali sono le loro propensioni, quali sono le loro aspettative e quali sono le loro competenze. I nostri uffici non sono allenati ad una massa di domanda di questo tipo. Avremo quindi un primo problema, che è gestire questo passaggio.
  La logica della «Garanzia giovani» prevede che il colloquio sia l'elemento preliminare per offrire un'opportunità a questi giovani e per proporre loro di fare qualcosa. Abbiamo uno schema, che prevede che le cose che possono essere proposte riguardano: specializzazione sul piano formativo, stage, servizio civile, proposte di lavoro, percorsi che aiutano a connettere l'esperienza di questi giovani, che possono essere disoccupati, usciti dalle scuole recentemente.
  È la prima volta che nel nostro Paese, dopo qualche mese dalla fine dei tuoi studi, c’è qualcuno che si occupa di te. Fino a ieri in questo Paese quando una persona finiva gli studi erano faccende sue. Si arrangiava con la sua famiglia, amici, parenti e conoscenti, ma il pubblico non era strutturato in nessuna maniera per cercare di accompagnarlo lungo questo percorso. Questa è la prima esperienza che facciamo in questo campo.
  La cosa a cui mi sto dedicando in questo momento è specificamente quella che viene dopo. Noi possiamo preparare al meglio il rapporto tra questi giovani e le agenzie, ma, quand'anche facessimo un meraviglioso lavoro di profilatura, se non sapremo cosa diavolo proporre loro, andrà a finire che proporremo loro un corso di formazione sullo stile di quelli degli anni Pag. 9andati, che non è esattamente quello che io penso sia giusto proporre a questi giovani.
  Il lavoro che stiamo facendo in questo momento è un confronto molto forte con i grandi gruppi imprenditoriali italiani da un lato e le organizzazioni degli imprenditori italiani, dall'altro. Infatti, o dietro gli uffici per l'impiego e le agenzie per il lavoro ci sono le imprese italiane piccole, medie e grandi, grandi gruppi e associazioni degli imprenditori, oppure quando avremo portato lì i nostri ragazzi non finirà nel modo giusto e produrremo un'altra delusione. L'ultima delle cose che noi vogliamo fare è produrre un'altra delusione. Noi andiamo su questa strada.
  Oggi c’è una notizia per me positiva: ENEL ha pubblicamente dichiarato che parte con 600 contratti di apprendistato. Sono pochi o sono tanti ?
  Faccio qui un'affermazione molto generale: io ho l'impressione che in questi anni, al di là delle volontà, il Ministero del lavoro sia diventato il Ministero della disoccupazione. A quel Ministero si sono rivolti coloro che avevano bisogno della cassa integrazione o di qualcos'altro. Per quel che dipende da Poletti, faremo tutto il possibile perché torni ad essere il Ministero del lavoro e della massima occupazione. Noi chiederemo a tutti, comprese le imprese, di passare attraverso gli uffici, il Ministero e gli strumenti non solo quando hanno un problema di esuberi, ma anche quando hanno un problema di assunzioni, un problema di opportunità o un problema di stage.
  Quando noi diciamo che chi ha ricevuto qualcosa dalla società deve mettersi nella condizione di restituirlo, non parliamo solo delle persone, ma pensiamo anche alle imprese, che dalla collettività ottengono tante cose. Credo sia un bene che queste imprese si mettano nell'ottica di essere parte attiva nel dare risposta ai bisogni che si propongono. «Garanzia giovani» per noi è una sorta di «nave-scuola». Sulla «Garanzia giovani» facciamo la prima sperimentazione della possibilità di passare verso le politiche attive in maniera strutturata.
  Il tema che è oggi sul tavolo è il decreto-legge che interviene sul versante dei contratti a termine, sull'apprendistato e sul DURC. Non vi sto a raccontare il merito, perché è vostra competenza e lo dovrete affrontare e discutere. Io vorrei fare solo un paio di affermazioni di tipo generale.
  La logica di questo intervento è finalizzata in primo luogo a dare certezza. Il tema del contratto a termine è stato largamente compromesso dalla vicenda della causale e della contestabilità della causale stessa. Se guardiamo la realtà, concretamente è successo che, al fine di evitare il rischio di vedersi contestata la causale, il problema è stato risolto pragmaticamente, sostituendo nella stessa posizione di lavoro una persona dopo sei o dodici mesi. Su quella posizione di lavoro abbiamo quindi avuto tre, quattro, cinque o sei persone che hanno svolto un'esperienza che è durata cinque, sei o sette mesi.
  In termini di possibile stabilizzazione, è più ragionevolmente immaginabile che venga stabilizzata una delle sei persone che per sei mesi ha svolto quell'attività oppure che, se quel contratto di sei mesi è ancora prorogabile fino a 36 mesi (era il limite precedente), venga stabilizzata questa figura rispetto alle prime sei ? In termini di ragionevole probabilità, io considero che sia più probabile la seconda ipotesi della prima.
  Io credo che su questo versante ci sia un altro punto che va sottolineato. Questa è una convinzione del tutto personale, che vi consegno. Io credo che quando un rapporto tra un lavoratore e un'impresa viene risolto da un magistrato o da una corte, e viene vissuto come una punizione o una pena, non sia mai soddisfacente né per il lavoratore né per l'impresa. Il rapporto di lavoro è un rapporto che riguarda la vita delle persone e, nella normalità dei casi, deve essere figlio di una libera pattuizione tra le parti. Ci sono fatti sui quali è del tutto legittimo che intervenga il magistrato, ma questa non può diventare una norma di fatto o una sostanziale soluzione del problema.Pag. 10
  Noi diciamo quindi che quando finiamo davanti a un magistrato per un problema di lavoro, non raramente quella è la dimostrazione che c’è un difetto nell'impianto. Questa è una delle ragioni per cui abbiamo fatto questa scelta. Abbiamo cercato di mantenere dei limiti (il 20 per cento) e il fatto che un lavoratore non possa essere spostato da una mansione ad un'altra e abbiamo cercato di produrre una condizione che elimini le ambiguità e produca questa opportunità.
  Vi do un numero che ho già citato tante volte: negli ultimi tre mesi del 2013 su 100 avviamenti 68 erano contratti a termine. Non partiamo da zero, ma partiamo dal fatto che il 68 per cento erano contratti a termine.
  Qualche ragionamento analogo si può fare sull'apprendistato. Tutti insieme abbiamo detto che l'apprendistato era la porta centrale attraverso la quale si accedeva al lavoro. Abbiamo un numero che dice che negli ultimi quattro anni l'apprendistato si è ridotto dal 14 al 10 per cento del numero degli avviamenti. Qualcosa da qualche parte non ha funzionato se, dopo aver detto che sarebbe stata una porta per tutti, dal 14 per cento siamo arrivati al 10. Evidentemente c’è qualche elemento di problematicità.
  C’è poi un altro elemento di problematicità: noi abbiamo notizia che non raramente i percorsi di apprendistato non si concludono e i ragazzi che fanno questo percorso non ottengono la qualifica. C’è un problema che va affrontato, perché in questo modo, per evitare l'obbligo della stabilizzazione, si produce l'effetto contrario: rimane inchiodato il ragazzo che avrebbe dovuto avere la qualifica. Bisogna che ragioniamo su questo terreno, perché produciamo due danni, anziché ottenere un risultato positivo. Lo spirito era utile, ma l'esito è stato dannoso. Quando succedono queste cose, bisogna pensare a come affrontare e risolvere il problema.
  Dentro questo decreto, peraltro, ci sono alcune altre cose interessanti che riguardano la messa on line dei documenti di regolarità contributiva, ovvero di 5 milioni di certificati che girano per l'Italia. Io credo che evitare a tanti imprenditori di dover «smanettare» da tutte le parti per mettere insieme il foglio di carta sia una buona cosa. Ci sono poi altri elementi che abbiamo introdotto e che servono a facilitare il nostro lavoro.
  Connesse al tema del decreto, ci sono le deleghe. Noi abbiamo proposto questo disegno di legge delega nella convinzione che le materie a cui intendiamo mettere mano hanno bisogno, da una parte, di essere affrontate rapidamente e, dall'altra, di un tempo congruo per essere puntualmente definite. Stiamo lavorando su materie di grande delicatezza. Noi non possiamo commettere errori, per cui, ad esempio, modifichiamo un impianto sugli ammortizzatori sociali e ci ritroviamo con parti della popolazione scoperte. Altrimenti poi per dieci anni dovremo tentare di rimontare una situazione che non avevamo adeguatamente previsto e per cui non avevamo preso le giuste cautele nelle transizioni.
  Noi abbiamo dichiarato esplicitamente nella delega quali sono gli indirizzi. Il Parlamento valuterà se li condivide. Ci siamo presi un tempo (mediamente previsto in sei mesi, e quindi non particolarmente abbondante) per fare un'opera profonda di rivisitazione di tutte le tematiche che riguardano il tema degli ammortizzatori sociali.
  Abbiamo scelto una strada che conferma il mantenimento della cassa integrazione ordinaria e straordinaria, porta all'esaurimento la cassa in deroga e presuppone la costruzione di uno strumento unico a copertura generale.
  Naturalmente anche su questo abbiamo bisogno di costruire le transizioni, perché ci sono situazioni diverse. Abbiamo detto che vogliamo la copertura anche delle collaborazioni coordinate e continuative e, quindi, bisogna costruire il meccanismo che ci porti a quell'esito.
  Colgo l'occasione per dire che concretamente nell'arco di quest'anno abbiamo un problema, perché manca all'incirca un miliardo di euro per la copertura della cassa integrazione in deroga. Se guardiamo le dinamiche dell'anno precedente e Pag. 11le dinamiche di quest'anno, emerge che questo è un problema presente. Questo problema è già stato posto all'attenzione del Governo, perché ha bisogno di essere affrontato.
  Teniamo conto che si corre un rischio: essendo prossimo l'esaurimento degli strumenti ordinari, il rischio è che la cassa integrazione in deroga diventi il rifugio ultimo di tutto ciò che non trova più una copertura, con un problema gigantesco, perché avremmo la traslazione sulla cassa in deroga di problematiche di tipo diverso. Bisognerà mettere mano rapidamente a questa materia, per evitare uno «slabbramento», e per avere le garanzie di copertura, perché se non le avremo rischieremo di avere problemi sociali immediatamente a valle di questa situazione. Il tema è presente e l'abbiamo all'ordine del giorno. Credo che sia giusto darvene conto.
  Oltre al tema degli ammortizzatori sociali, abbiamo affrontato il tema della riorganizzazione dei servizi per l'impiego, con l'ipotesi di costruzione dell'agenzia unica o dell'agenzia nazionale per il lavoro. Non aggiungo niente a ciò che ho detto prima. Il tema è questo: se non riusciamo a costruire una strumentazione di supporto, un'infrastruttura che regga le politiche, noi possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo, ma le cose non le affrontiamo. C’è un tema importante che va trattato.
  La delega affronta poi un altro paio di tematiche, tra cui la vicenda della semplificazione normativa, ovvero il codice semplificato del lavoro, e il tema dei contratti, cioè delle forme di contratto e della loro semplificazione. Anche su questo tema c’è un orientamento di fondo, che è quello di procedere in direzione di una semplificazione e di una riduzione al minimo dei potenziali contenziosi. Infatti, abbiamo molte materie su cui sistematicamente si innescano dei potenziali contenziosi. Naturalmente su questo versante bisogna fare un lavoro che abbia una sua organicità.
  Non voglio anticipare nessuna valutazione di merito rispetto alle deleghe, perché sono già contenute nel testo che abbiamo preparato, che è all'attenzione del Ministero dell'economia e delle finanze e poi verrà pubblicato. Noi abbiamo già abbondantemente concluso la parte che ci competeva.
  Sul piano generale, credo che sia necessario guardare a queste cose con un profondo spirito di innovazione, ma avere anche la consapevolezza della grande complessità del mercato del lavoro nel nostro Paese. Contratto unico o meno, dovremo discutere e valutare con molta attenzione questa tematica, perché c’è un bisogno di semplificazione del tutto evidente. Ci sono modalità che ci possono consentire di andare molto avanti su questa strada.
  Probabilmente avremo bisogno di riflettere su alcune specifiche situazioni che hanno una loro particolarissima complessità. Sto pensando a tematiche che nel nostro Paese hanno una peculiare situazione, ad esempio i contratti a chiamata. Abbiamo contingenze specifiche che difficilmente sono compatibili con strutture di contratto che, per quanto flessibili, per quanto aperte e per quanto dinamiche, sono difficilmente in grado di assorbire tutte le fattispecie.
  Da questo punto di vista probabilmente dobbiamo evitare di far finta, cioè di scrivere un articolato unico dove ad ogni articolo corrisponde un contratto, per cui diciamo di aver fatto un contratto unico ma ne facciamo quattro, cinque o sei, infilati dentro un articolato unico. Credo che sia più ragionevole una buona, franca e aperta discussione di merito, che valuti le cose che dobbiamo fare e poi costruisca un impianto ordinato e leggibile per gli imprenditori e per i lavoratori, perché questo rappresenterebbe una buona tutela dell'impresa e una buona tutela del lavoro. Sulle deleghe noi abbiamo intenzione di agire con questo spirito di approfondimento e di verifica.
  Aggiungo due battute sul tema del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea. Noi pensiamo che da questo punto di vista sia necessario un significativo cambiamento. Lo stiamo dicendo in generale oggi rispetto alle politiche europee. Credo che dobbiamo affrontare questo tema in modo forte in Pag. 12occasione della nostra presidenza. Ci sono per noi due priorità, che sono la disoccupazione giovanile, su cui pensiamo di sviluppare una particolare azione insieme agli altri Paesi, e il tema della povertà, delle nuove disuguaglianze e del fatto che la crisi ha pesantemente inciso sulle condizioni di vita dei cittadini europei. È assolutamente necessario rimettere mano su questo versante.
  Da questo punto di vista c’è un tema aperto. Qualcuno utilizza il parallelo con il numero delle riunioni. Io non credo che la produttività si misuri col numero delle riunioni, però qualcuno usa questo metro e qualche elemento di rappresentazione ce l'ha. Ci si chiede quanti Ecofin si fanno e quante riunioni sulle politiche sociali e sulle politiche del lavoro si fanno.
  Se l'Europa vuole essere l'Europa delle sue comunità, dei suoi cittadini e dei suoi lavoratori, non può continuare a fare dieci riunioni dell'Ecofin e una o nessuna sulle tematiche del lavoro, sulle tematiche sociali e sulle tematiche del welfare. Bisogna ribilanciare significativamente questa questione. Cito questo in termini esemplari, ma credo che questo sia un tema che il semestre italiano deve mettere nella sua agenda, perché è il cambio di visione che credo vada affrontato.
  Ho già parlato del tema degli ammortizzatori in deroga e del loro finanziamento. Concludo con due citazioni finali. Sappiamo bene che c’è un tema aperto, che riguarda gli esodati (uso questo termine, così semplifichiamo il concetto). So che in Parlamento e nella vostra Commissione c’è una discussione aperta e c’è un provvedimento in discussione. Sappiamo che sono previste audizioni con l'INPS. Insomma, c’è un lavoro di analisi che stiamo facendo anche noi. Come Ministero, stiamo provando a capire come, coagendo col lavoro che sta facendo il Parlamento, si possa addivenire ad una risposta strutturale e definita del problema.
  Noi, sinceramente, vorremmo evitare la sesta misura di tutela e di salvaguardia e vorremmo provare a immaginare una risposta che stabilizzi questa situazione e che gli dia nel tempo una sua definizione, quantomeno sul piano normativo. Sappiamo che dietro a questa vicenda ci sono sofferenze, preoccupazioni, persone e famiglie. Ovviamente è una cosa molto delicata e molto complessa, ma è nostra intenzione affrontarla e ci stiamo lavorando.
  Sappiamo di avere anche un tema che riguarda il riordino della governance degli istituti previdenziali e dell'INPS. Noi sappiamo che questo tema è presente. È stata scelta la strada del commissariamento, ma sappiamo che è una strada che ha un limite di tempo definito. Noi ci stiamo lavorando. Il Ministro Giovannini aveva già avviato elementi di analisi e approfondimento sulle possibili soluzioni da adottarsi. A partire da ciò che è stato fatto, è nostra intenzione rimettere mano rapidamente a questa vicenda e portarla ordinatamente alla sua conclusione. Non pensiamo di prorogare e prorogare, ma pensiamo di arrivare a definire puntualmente quali sono le nostre responsabilità e quindi quale deve essere la governance definitiva dell'INPS e in generale delle istituzioni a cui noi dobbiamo guardare.
  Ci sono molti altri temi. Io mi fermo qui e mi rimetto alle vostre considerazioni e alle vostre domande, per cercare di darvi al meglio informazioni sul lavoro e sugli indirizzi del mio Ministero. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Sono costretto ad essere draconiano. Non privilegerò i gruppi più grandi nel tempo a disposizione. Il tempo sarà di mezz'ora. I gruppi sono dieci, ma un gruppo è assente e quindi sono nove. Ogni gruppo avrà tre minuti a disposizione. Partiremo dai gruppi più grandi e finiremo con i gruppi più piccoli. Dopo tre minuti avvertirò che il tempo è scaduto. In questo modo avremo la possibilità di sentire tutti.
  Naturalmente, signor Ministro, mi riservo di convocare un'eventuale prosecuzione della nostra discussione, però sarebbe opportuno che per questo battesimo ciascuno dicesse rapidamente la sua opinione.Pag. 13
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  MARIALUISA GNECCHI. Cerco di essere rapidissima e vado per titoli. Noi del Partito democratico, che siamo il gruppo più grande in questa Commissione, vogliamo dire innanzitutto che auspichiamo, speriamo e contiamo su una vera concertazione e sull'ascolto delle parti sociali, perché ci sembra fondamentale su queste materie. Data la drammaticità della situazione legata alla disoccupazione giovanile e ai problemi che il Ministro ci ha elencato, dei quali ovviamente noi ci occupiamo quotidianamente, riteniamo che questo sia veramente fondamentale.
  Cerco  di suddividere le cose che dico in termini di emergenze e di riforme, ovviamente facendo domande. Noi riteniamo che la salvaguardia dei lavoratori e delle lavoratrici penalizzati dalla manovra Fornero sia veramente un'emergenza. Questa Commissione ha già licenziato un testo unificato.
  Sappiamo benissimo e possiamo condividere con lei che tutte le salvaguardie hanno creato grandi contraddizioni, però finora non siamo mai riusciti ad avere un tavolo vero. Chiediamo quindi a lei, che è il nuovo Ministro, un tavolo vero per verificare e per poter enunciare realmente le contraddizioni che si sono create. Anche se siamo comunque orgogliosi di aver conquistato almeno 162.000 salvaguardati, è evidente che ci piacerebbe capire quali sono le sue intenzioni.
  Soprattutto denunciamo la totale mancanza di dati da parte dell'INPS. Noi speriamo che, con questo ultimo testo unificato approvato, si riesca almeno ad avere un quadro, in modo che si possa discutere su quali possono essere le soluzioni da trovare. Poiché lei ha detto in modo molto esplicito che la scelta di monitorare è uno dei suoi cardini, noi vorremmo che ci fosse veramente la dimostrazione pratica di questa intenzione.
  Per quanto riguarda la cassa integrazione in deroga, noi chiediamo che almeno venga fatto subito il decreto di ripartizione dei soldi già stanziati. L'altra parte la metto nel discorso sulle riforme.
  Sempre in termini di emergenze, c’è quella di riuscire a chiudere tutta la partita degli appalti per le pulizie nelle scuole, perché il 31 marzo è vicino e sappiamo che siamo riusciti solo ad arrivare al 31 marzo.
  Riteniamo che sia un'emergenza anche quella dei redditi dei pensionati, perché il blocco dell'indicizzazione negli ultimi anni ha comportato una perdita del potere d'acquisto.
  Su quanto dice Cottarelli, ovvero che ci sono 85.000 possibili esuberi nella pubblica amministrazione, noi la invitiamo veramente a lavorare con la Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Ci sentiamo di dire che se dal 2009 non si fosse intervenuti alzando l'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego e se non ci fosse stata la riforma Fornero, magari non ci sarebbe bisogno degli 85.000 esuberi. Comunque, chiaramente, speriamo di poterne discutere.
  In termini di riforme, ci piacerebbe sapere che cosa pensa lei. Noi pensiamo che l'uscita flessibile dai 62 anni in su potrebbe essere una soluzione strutturale rispetto al problema delle salvaguardie. Le ricongiunzioni onerose, un problema già riconosciuto dal Ministro Sacconi, e poi in parte aggiustato dalla Ministra Fornero, rappresentano un tema ancora aperto.
  Sempre in termini di riforma, segnaliamo – e vorremmo veramente che ci fosse una risposta – che il comma 7 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 prevede che, se non si arriva almeno a una volta e mezzo l'assegno sociale, si vada in pensione a 70 anni. Lei ci ha già detto che non è sua intenzione smontare. Noi possiamo condividere il non voler smontare, ma magari sarebbe il caso di apportare delle correzioni significative rispetto a storture che si sono create in questi anni.
  Sempre in tema di non smontare ma di aggiustare, c’è anche la cosiddetta ”opzione donna”, che peraltro era stata prevista dal Ministro Maroni nel 2004, e quindi non da un ministro del PD. Noi Pag. 14diciamo che abbiamo già approvato due risoluzioni (una alla Camera e una al Senato) per la correzione della circolare dell'INPS che limita questa opzione, che sarebbe contributivo puro, entro il 31 dicembre 2015, inserendo anche aspettativa di vita e finestra mobile. L'opzione diventa non più utilizzabile dall'agosto del 2014. Anche questo per noi è un problema reale.
  Ovviamente siamo disponibili alla ridiscussione degli ammortizzatori sociali.
  Sul decreto-legge n. 34 del 2014 segnaliamo solo alcune criticità, secondo noi veramente da affrontare. Come pensare all'apprendistato senza una formazione obbligatoria ? Vorremmo inoltre sapere da lei se ritiene che la acausalità per 36 mesi sia una nuova tipologia di contratto, che non va nella direzione del contratto unico a tutele crescenti. Ovviamente non posso andare oltre.

  WALTER RIZZETTO. Signor Ministro, la ringraziamo per questa seduta. Presidente, mi prenderò qualche secondo in più, come ha concesso anche al gruppo del Partito democratico (impiegherò circa cinque minuti).
  Signor Ministro, ammetto che su qualche passaggio appena illustrato dalla collega Gnecchi noi possiamo trovarci assolutamente d'accordo. Il vostro piano indicativamente tratta di tagli IRPEF e di tagli IRAP per circa il 10 per cento, di tagli rispetto al costo dell'energia per le aziende, Piano casa, pagamenti della pubblica amministrazione, riforma del lavoro, eccetera. Tra questi «eccetera», tra l'altro, ci sono anche l'edilizia scolastica e il dissesto idrogeologico come strutture di missioni.
  Per ora, Ministro, registriamo sicuramente la buona fede, ma abbiamo visto soltanto la formalizzazione per quanto riguarda il passaggio rispetto alle detrazioni IRPEF e per quanto riguarda, in queste ore, il passaggio rispetto ai contratti di lavoro a tempo determinato. Tutto il resto, compreso il taglio dell'IRAP, è stato rimandato a data da destinarsi. A tutti gli effetti, noi stiamo vedendo i titoli di inizio di questo film. Le auguriamo senz'altro un grosso in bocca al lupo, perché il compito è sicuramente arduo.
  Per i debiti della pubblica amministrazione (ricordo, tra l'altro, i 68 miliardi di euro entro luglio nei proclami) serve un disegno di legge, con tutte le tempistiche connesse e annesse ai disegni di legge.
  Per quanto riguarda la tassa IRAP rispetto alle aziende, il gruppo del Movimento 5 Stelle (lei lo sa, e la prego di registrare questo passaggio) si è sempre dimostrato contro questa tassa ingiusta, che – lo ricordo a tutti – è proporzionale. Ricordo che Visco nel 1997 ha fatto qualcosa di interessante per quell'anno, che evidentemente non è stato un anno di crisi come quelli che stiamo vivendo adesso. Questa tassa è proporzionale al fatturato e non all'utile di esercizio delle stesse imprese. Va da sé che se un'azienda ha un bilancio in rosso paga ugualmente l'IRAP.
  Per quanto riguarda la macroarea delle famiglie, proclamate che per chi guadagna fino a 1.500 euro netti al mese, e quindi 25.000 mila euro lordi all'anno, ci saranno degli sgravi. Noi, Ministro, non abbiamo ancora capito, anche se abbiamo compreso quanto da lei affermato poche ore fa. Lei dice che non ci sarà un bonus, ma ci saranno delle detrazioni. In questo caso noi non sappiamo e le chiediamo dove sono le risorse per poter portare avanti questa misura.
  In questi passaggi, Ministro, non si parla di partite IVA, non si parla di sburocratizzazioni, non si parla di lotta alla corruzione, che in Italia quota 60 miliardi di euro all'anno. Un taglio a questi 60 miliardi all'anno potrebbe portare in Italia gli imprenditori che per paura della burocrazia italiana e per paura della corruzione non riescono a creare nuovi posti di lavoro. Lei prima parlava di giustizia sociale. Neanche per noi questa è giustizia sociale.
  Le faccio la seconda domanda sul taglio dell'IRAP. Mi chiedo se il paventato innalzamento dell'aliquota sulle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento non le faccia immaginare una fuga dei papabili investitori verso altri mercati. Per quanto Pag. 15riguarda, invece, la spesa energetica non mi dilungo perché per l'ennesima volta si propone un taglio agli incentivi per le rinnovabili. Ricordo che fino a qualche anno fa il mercato delle rinnovabili creava in Italia quasi 100.000 posti di lavoro all'anno.
  Quanto al Jobs Act, anche qui le tempistiche sono incerte. La novità principale è la maggior libertà sui contratti a termine, mentre del contratto unico di inserimento a tutele crescenti, come ha detto lei prima, non c’è più cenno. Viene svilita così l'idea di ridurre le quarantasei forme contrattuali oggi vigenti in Italia per andare verso, non dico una forma unica, ma quanto meno un taglio di queste quarantasei forme contrattuali.
  La nostra modestissima idea per creare nuovi posti di lavoro è l'abrogazione della manovra Fornero. Avete tra l'altro la possibilità di sfruttare la mozione sul precariato – tema che lei ha trattato prima – da noi consegnata e discussa ieri alla Camera. Come lei sa, la direttiva europea 1999/70/CE giudica inammissibile la differenza tra i precari a tempo determinato e coloro che lavorano nella pubblica amministrazione a tempo indeterminato. Siamo passibili di una multa pari a 10 milioni di euro in arrivo il 27 di questo mese. Avete in questo caso la possibilità di stabilizzare i precari.
  Sempre con riguardo ai contratti che lei vuole applicare, diceva giustamente che dobbiamo guardare a chi ha già fatto questo tipo di esperienze. In Spagna, ad esempio, sono stati attuati dei contratos temporales tali per cui chi vuole trovare lavoro compete con migliaia di altri lavoratori che passano da contratto a contratto di sei mesi in sei mesi. Prorogando otto volte in trentasei mesi i contratti dei precari italiani, lei riduce quella soglia di sei mesi a quattro mesi e mezzo, creando una vera e propria competizione nel mercato del lavoro.
  Se un'azienda, ad esempio, si ritrova con una dipendente che resta incinta durante il periodo di validità del contratto temporale, il datore di lavoro ha la possibilità di non rinnovare il contratto solo perché questa persona è rimasta incinta. Ci facciamo belli con le quote rosa, ma rispetto a queste cose non diciamo niente.
  Per concludere, Ministro, lei dice che quando andiamo davanti a un magistrato per risolvere una causa di lavoro c’è qualcosa che non va, escludendo di fatto la legge. Non parliamo poi dello sgravio fiscale e delle minori entrate per circa 6,6 miliardi di euro determinate dalle misure da voi proposte. Lei giustamente o ingiustamente dice che i nostri predecessori non hanno fatto tutto male, però hanno infilato nella Costituzione un nuovo articolo 81, attuato dalla legge n. 243 del 2012, in base al quale non solo non possiamo sforare il 3 per cento nel rapporto deficit/PIL, ma addirittura per calcolare aliquote differenti entro il 3 per cento dobbiamo passare dalla Commissione europea.

  RENATA POLVERINI. Ringrazio il Ministro per la sua relazione.
  Non mi concentrerò sulle riforme strutturali che il Governo assegna a una delega, anche perché avremo uno strumento sul quale poter incidere con tempi diversi. Cercherò di dire brevemente, a nostro modesto avviso, quali sono le esigenze immediate che abbiamo potuto riscontrare nel corso di quest'anno all'interno della Commissione e soprattutto cercherò di far notare al Ministro le contraddizioni in cui in questo mese il Governo è caduto troppo spesso attraverso le esternazioni pubbliche del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Lei ha iniziato con un ragionamento che partiva dalla costruzione della coesione sociale. Avendo sia lei che io militato in associazioni che hanno contribuito al valore del lavoro in questo Paese, mi risulta un po’ complicato immaginare un processo di coesione sociale che tenda a escludere aprioristicamente tutte le associazioni dei lavoratori e delle imprese. Lo dico perché, mentre noi siamo qui a discutere con lei, il Ministro Madia conferma che, poiché il Governo ha fretta, non intende confrontarsi con le organizzazioni sindacali neanche per quanto riguarda la parte pubblica.Pag. 16
  Credo che il suo obiettivo ambizioso di costruire un mondo migliore nell'ambito di un processo che non distrugga la coesione sociale in questo Paese rischi di fallire. È un appello che rivolgo a lei perché se ne faccia parte attiva con tutti i suoi colleghi. Il mondo delle associazioni, e del sindacato in particolare, in questo Paese ha una storia talmente straordinaria sotto tutti profili, compreso quello della sofferenza, che non merita di essere umiliato in questa maniera.
  Mi sono segnata pochissimi punti. Lei, per esempio, ha citato come una delle grandi questioni che inseguiamo sin dall'epoca del Governo Monti i pagamenti della pubblica amministrazione. Questo è in contraddizione con il vostro impegno sulle buste paga dei lavoratori. Ancora non abbiamo ben compreso se ci sarà un intervento sull'IRPEF o se sarà un bonus, più riconoscibile nell'ambito della competizione elettorale, oppure se ci sarà un processo di detrazione, soluzione che io privilegerei perché si andrebbe a premiare il carico familiare non soltanto dal punto di vista reddituale.
  Come stavo dicendo, stride con i pagamenti della pubblica amministrazione perché lei sa come so io che la maggior parte di questi debiti riguardano la sanità. Le regioni sottoposte al piano di rientro pagano attraverso mutui autorizzati dal Ministero dell'economia e delle finanze, che automaticamente aggraverà l'imposizione fiscale sulle stesse famiglie alle quali probabilmente vogliamo dare una mano.
  C’è un'altra piccola questione relativa alla riforma Fornero che stride con un'altra dichiarazione del Ministro Madia, la quale dice che nella pubblica amministrazione si prenderanno in considerazione i prepensionamenti per aiutare i giovani. Mi domando se è pensabile che in questo Paese si immagini di mandare in pensione i pubblici dipendenti quando abbiamo una forbice così importante di esodati ai quali non abbiamo dato alcuna risposta, al di là degli impegni straordinari.
  Per esempio, i lavoratori della cosiddetta «quota 96», che anche questa mattina erano qui fuori, meriterebbero uno sforzo che probabilmente non comporterebbe un impegno economico così straordinario. Una minima rivisitazione dei capitoli di spesa di alcuni Ministeri sicuramente renderebbe possibile un intervento.
  Poiché il tempo è poco, cercherò di dire solo pochissime cose ancora. Sulla cassa integrazione, vorrei capire se e in quali termini avremo questo miliardo di euro. Abbiamo compreso che lei è consapevole che si tratta di una somma importante che manca. Mentre però quei dieci miliardi in qualche modo verranno dati, non abbiamo capito come verrà recuperato il miliardo.
  Un'altra questione, secondo me, merita la sua attenzione, al di là dell'impegno che mi pare voglia dedicare ai giovani. È giusto, perché abbiamo il 42 per cento di disoccupazione giovanile e il 13 per cento di disoccupazione in generale, ma abbiamo anche, come lei ricordava, molti lavoratori attualmente in cassa integrazione in deroga e in mobilità, per i quali le aziende non riapriranno.
  Vorrei capire, considerando che sulla riforma Fornero ci ha dato solo un'indicazione di massima senza entrare nel particolare, come pensiamo di dare una risposta a queste persone che, tra la crisi dell'azienda e la riforma Fornero, probabilmente non accederanno mai a quell'agognato pensionamento che potrebbe toglierli da una situazione – quella sì – di povertà e di disagio sociale prodotto dalla crisi alla quale anche lei faceva riferimento.
  Non mi addentro sull'apprendistato, perché lei sa come la penso. So che la riforma Fornero non ha funzionato perché le Regioni non hanno legiferato e non si sono impegnate a sufficienza. Tuttavia, vorrei anche dire che, in questo qualunquismo al quale tutti siamo portati, andrebbero distinti i programmi regionali sui cicli formativi. Ci sono alcune regioni che hanno messo in campo cicli di formazione che non sono quelli, come si dice di solito, per le parrucchiere. Ci sono regioni, che hanno seguito l'andamento del mercato del lavoro, dove questa tipologia contrattuale sta funzionando.Pag. 17
  Concludo, anche se avrei molte altre cose da dire, chiedendole cosa pensa del dibattito che si sta aprendo – ieri sera ho visto una trasmissione televisiva – sul CNEL. Lei è il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il CNEL è un organismo costituzionalmente previsto che, funzionante o meno – non sto dando un giudizio –, credo meriti la sua attenzione. Prima abbiamo demolito la classe politica; adesso ci stiamo concentrando sui manager. Tra poco, attraverso il CNEL, distruggeremo il sindacato.
  Non capisco, a questo punto, chi possa dare un futuro a questo Paese.

  GIORGIO AIRAUDO. Pongo alcune questioni e svolgo alcune considerazioni perché penso che il Ministro abbia bisogno di aiuto. Noi non possiamo supplire all'assenza di dialogo con le parti sociali, ma secondo me è bene che la realtà sia dialettica, perché non è detto che si abbiano le informazioni necessarie.
  Di un'informazione, per esempio, avrei bisogno io. Vorrei sapere di che dati sulla ripresa metalmeccanica lei parla. Questa Commissione recentemente è stata in Friuli e ci hanno descritto un quadro preoccupante, in una regione che sta meglio di molte altre. Tralascio la mia regione, il Piemonte, ma io di dati non ne possiedo. Se lei ne ha, ci può aiutare e quindi sarei curioso.
  La seconda considerazione riguarda la cassa in deroga. Nella mia regione il 31 marzo scadrà per 23.000 lavoratori. È un'emergenza. Al di là degli impegni presi anche dal precedente Governo, o si è in grado di gestire una transizione e avere una soluzione o il 31 marzo ci saranno 23.000 licenziati in Piemonte. Se vuole, facciamo il giro delle regioni, ma i dati si sommano uno sull'altro.
  Come terza questione, a proposito della «Garanzia giovani», che tutti sappiamo essere uno strumento una tantum su cui fare un esperimento, vorrei sapere se la conferenza intergovernativa prevista per il 4 luglio è rimasta in capo alla Presidenza del Consiglio e che significato assume.
  Per quanto riguarda le causali, ho un'opinione diversa da lei. Ho i dati della Camera penale di Torino e, per quel che riguarda il Tribunale del lavoro, la causale che portava a contenziosi giudiziari era quella per aumento di attività produttiva. Queste erano le cause vinte, perché in tutte le altre i professionisti avevano ormai maturato sufficiente esperienza per aggirare qualunque norma.
  Non so se lei abbia i dati, ma sarebbe interessante confrontarli anche per capire quali siano i settori, ivi compreso il mondo della cooperazione da cui lei proviene e di cui forse conosce il numero di contenziosi. Così si potrebbe dire se serva e fin dove serva e debba intervenire il diritto. Io penso che di buon diritto abbiano bisogni i lavoratori, ma anche le imprese. Dove c’è cattivo diritto non c’è solo un problema di relazioni, ci sono anche cattiva impresa, cattivi prodotti, pessimo PIL e pessima coesione sociale. È un'impresa d'altro genere quella che non ha bisogno del diritto e può restarne al di fuori. Sono convinto che su questo la convincerei facilmente, ma bisogna essere coerenti.
  Trentasei mesi a me sembrano troppi. Le interruzioni erano un problema, ma trentasei mesi mi sembrano francamente troppi perché si sommano a una serie di altri strumenti. Le ricordo un'inchiesta, fatta dal quotidiano La Repubblica non più di un anno fa, dove si invitavano i precari a raccontare le tipologie di contratto. Il problema che abbiamo in questo Paese è che in gran parte chi è precario usa fino a quindici contratti diversi in luoghi diversi prima di arrivare a un posto di lavoro.
  L'idea è mantenere tutti i contratti, estendendone uno e svuotandone un altro, come l'apprendistato. Mi permetto di dirle che, se qualche intervento andava fatto sull'apprendistato, credo anch'io che bisognasse sollecitare le regioni in ritardo e intervenire sull'offerta di formazione, che è diventato un lavoro per alcuni anziché uno strumento di certificazione e di accesso al lavoro. Ce ne sarebbe da dire. Nella mia regione alcune imprese metalmeccaniche, per accedere alla formazione, Pag. 18hanno dovuto mandare gente al corso per parrucchiere per ottenere un certificato. Se vuole le faccio altri esempi, compreso qualche corso per «velina», dalla Liguria alla Lombardia, corsi fatti proprio in questo modo dalle regioni. Avendo i dati ci si potrebbe confrontare.
  Infine, convengo con la collega Gnecchi sui dati relativi agli «esodati». Dobbiamo arrivare a una conclusione e penso che bisognerebbe mettere mano all'età pensionabile. Sessantasette anni sono troppi e sono un «tappo» – questo sì – concreto e materiale per la possibilità di occupare i giovani.
  Lei è molto schietto e lo apprezzo. Con altrettanta schiettezza la invito a trovare un altro modo, Ministro. Trovo davvero irritante che lei descriva chi è in cassa integrazione come un profittatore. Se avrà tempo, una volta le farò conoscere diversi lavoratori della mia città che in famiglia, anche dopo anni, non dicono di essere in cassa integrazione. Le farò conoscere lavoratori cassa integrati che vanno alla Caritas per prendere un mestolo di minestra – non per versarlo – perché non ce la fanno.
  I dati della Caritas di Torino dicono che l'aumento dell'affluenza è prevalentemente legato a persone povere che hanno un lavoro, persone che spesso sono in cassa integrazione e lavorerebbero a qualunque costo, in qualunque condizione. I casi parassitari si possono punire, capita. Basta aumentare la vigilanza. Trovo irritante il suo modo perché sarebbe meglio parlare di questi, invece che di quelli che se ne approfittano.
  È facile prendere l'applauso su chi sfrutta la cassa integrazione, ma sarebbe importante raccontare coloro che soffrono in silenzio e tengono insieme questa comunità.

  SERGIO PIZZOLANTE. Signor Ministro, noi ci troviamo in totale sintonia con l'approccio e i principi che ci ha presentato. È un approccio pragmatico e riformista. Riformista non è chi fa le riforme. Le riforme possono essere buone o cattive, utili o dannose; possono creare problemi o risolverne. Il vero approccio riformista sta nel riuscire a rifare le riforme, a intervenire con pragmatismo e realismo per mettere in relazione i principi che ispirano un provvedimento e i risultati oggettivi, ripartendo dalla lettura della realtà.
  È un approccio, il suo, che noi condividiamo nella maniera più assoluta. Tutto quello che ha detto sui contratti a termine è condivisibile. Lo stesso vale per quanto ha affermato sull'apprendistato, sul rapporto tra datore di lavoro e lavoratore quando ci si rivolge al magistrato e sul contratto unico. Non ci può essere un contratto unico in Italia per le ragioni che lei ha detto. Noi condividiamo e sosteniamo con grande determinazione i suoi obiettivi e i primi provvedimenti che il Governo ha presentato.
  Condividiamo anche l'approccio sulla questione drammatica degli «esodati». Credo che sia arrivato il momento di interrompere i tanti interventi spot e di assumere un'iniziativa di sistema che definisca un perimetro entro il quale ragionare. Serve quindi una soluzione di sistema.
  C’è poi la questione di cui ha parlato il collega Airaudo. Eravamo il Paese in cui si andava in pensione prima di tutti in tutta Europa e nell'arco di qualche giorno siamo diventati il Paese in cui si va in pensione più tardi. È un problema gigantesco che col tempo, se le cose andranno meglio, dovrà essere affrontato.
  Infine, so che il Governo comprende che l'intervento sulla riduzione dell'IRAP del 10 per cento è un primo intervento e bisognerà cercare di andare avanti su quel versante. Penso che occorrerà un provvedimento sulle partite IVA delle dimensioni e del valore di quello che è stato fatto sul cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti. Una parte delle partite IVA rientrerà con il contratto a termine così come l'avete ridefinito voi. Una parte, invece, è fatta di partite IVA vere, persone che hanno scelto quell'approccio al mondo del lavoro.
  Non possono essere dimenticate così come non stiamo dimenticando i lavoratori dipendenti.

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  IRENE TINAGLI. Grazie, Ministro. Innanzitutto, mi riallaccio alla questione degli «esodati». È un tema di cui stiamo parlando molto in Commissione. Come ho detto ripetutamente anche in Commissione, sono convinta che la logica delle deroghe non sia l'approccio giusto perché ha creato tantissimi problemi. Ogni deroga, nel tentativo di rettificare un'ingiustizia, ne genera un'altra, perché c’è sempre una categoria che resta fuori per un giorno, per una settimana o per altri motivi.
  Come ho già detto ai colleghi, Scelta civica aveva delle proposte basate su logiche diverse per intervenire attraverso sistemi di ammortizzatori sociali che possano aiutare a coprire una platea maggiore in tempi più certi. Siamo quindi a disposizione del Ministro per eventualmente discutere di queste soluzioni alternative.
  Un'altra delle cose su cui abbiamo lavorato e che ci sta molto a cuore è il tema delle politiche attive. Sono d'accordo con lei quando dice che un Paese come l'Italia, che di questi temi si è sempre occupato poco e male, difficilmente può pretendere di rivoluzionare tutto dalla sera alla mattina. Tuttavia, anche su questo fronte, abbiamo lavorato e pensato a strumenti che siano anche concreti. Nella legge di stabilità siamo riusciti a creare un fondo per le politiche attive che potrebbe aiutare a far incontrare le politiche passive con quelle attive e a rendere efficaci alcuni meccanismi di condizionalità degli ammortizzatori sociali legati all'attivazione dei soggetti che operano nelle politiche attive, dai centri per l'impiego alle agenzie per il lavoro.
  Volevo segnalarle anche questa nostra iniziativa e in particolare lo strumento del contratto di ricollocazione, che viene già sperimentato in alcuni territori e regioni. È uno strumento molto interessante che consente di far leva sulle risorse esistenti sul territorio, quali agenzie private, cooperative e centri per l'impiego, cercando di attivare quello che già c’è e di costruire da lì. Anche su questo c’è la massima attenzione.
  Io sono un po’ preoccupata per il provvedimento relativo al superamento delle province, in previsione della loro abolizione, perché mi sembra che non sia stato specificato abbastanza bene come saranno riorganizzate le competenze in tema di politiche attive che sono in capo alle province. Vorrei evitare che questo ci gettasse nel caos proprio nel momento in cui abbiamo bisogno di rafforzare e riorganizzare le politiche attive. Le chiedo un commento su questo.
  L'ultima preoccupazione che le riporto riguarda il decreto-legge sulla flessibilità in entrata. Siamo consapevoli che in questo momento, come dice lei, dobbiamo dare strumenti alle aziende perché non abbiano alibi e assumano. Noi, però, siamo sempre stati per unire queste misure di flessibilità in entrata a misure, che stanno invece nel disegno di  legge delega, sugli ammortizzatori, la flessibilità in uscita e le tutele crescenti. Mi auguro che non ci sia uno sfasamento temporale troppo grande tra l'adozione delle prime misure e quella delle seconde.
  La solleciterei a pensare a un «piano B» nell'eventualità che la legge delega andasse troppo per le lunghe, magari cercando soluzioni per accelerare.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Cercherò di essere schematico e veloce, così da non rubare troppo tempo al Ministro. Se posso, vorrei fare una premessa che mi sembra doverosa, visto che il neo Ministro si troverà ad affrontare la questione degli «esodati». Il problema non è stato creato dalle salvaguardie, ma dalla nefasta riforma Fornero. Dare la colpa alle salvaguardie mi sembra una distorsione della realtà. Penso sia un punto da chiarire all'inizio.
  Rimanendo sul tema degli esodati, lei, Ministro, ha detto che state valutando e state facendo degli accertamenti. Le ricordo che la valutazione dovrebbe durare sette giorni, visto che la prossima settimana dovrebbe andare in Aula il testo unificato delle diverse proposte di legge in Pag. 20materia. Per quanto riguarda il mio gruppo, terremo altissima l'attenzione perché questi tempi vengano rispettati.
  Con molto senso di responsabilità abbiamo dato disponibilità ad aspettare questa settimana, considerato che il testo avrebbe dovuto arrivare in Aula il giorno 24 marzo. Ci auguriamo – e non voglio minimamente pensare che sia così – che la fretta di cui più volte ha parlato il Presidente del Consiglio venga meno quando si parla di «esodati». La prossima settimana, quindi, saremo in Aula con questo provvedimento e vorremmo trovare un Governo che dia risposte anche alle esigenze di copertura richieste. È chiaro che senza la collaborazione del Governo la strada diventa difficile. Però chi rendesse difficile questa strada si assumerà la responsabilità di averlo fatto.
  Lei ha detto che anche ottime misure – e mi auguro che il suo Governo le farà – per agevolare l'occupazione, per esempio incidendo sul costo del lavoro, cosa che ho sentito dire solo in minima parte per adesso, non potranno dare nuove prospettive occupazionali per il 12,7 per cento di disoccupazione nel nostro Paese. Condivido in pieno, ma sono convinto, Ministro, che lei sappia meglio di me che per dare risposta immediata a quel 45 per cento circa di giovani disoccupati l'unica cosa da fare è abolire la riforma delle pensioni dell'ex Ministro Fornero. Non esistono altre strade.
  Si può condividere o non condividere la scelta, ma sappiamo che è l'unica ricetta disponibile per liberare dei posti di lavoro per i giovani. Non si tratta di discutere di opinioni. Qualcuno può dire di essere favorevole a sacrificare l'occupabilità dei giovani alla stabilità dei conti INPS nel lungo periodo, perché nel breve con la riforma Fornero questa stabilità non c’è. È una scelta politica, ma oggettivamente non esistono altre strade per dare risposte alla disoccupazione giovanile.
  Per quanto riguarda gli ammortizzatori in deroga, il Presidente del Consiglio Renzi ha parlato di miliardi a disposizione per diversi interventi fantasmagorici, che ci ha presentato tramite importanti slide. Mi domando come faccia adesso il Governo a non trovare un miliardo di euro. Lasciando da parte questa che è una provocazione, benché drammaticamente vera, lei ha parlato di riforma degli ammortizzatori sociali con il mantenimento della cassa integrazione ordinaria e straordinaria e l'introduzione di questo NASPI al posto della cassa in deroga. Le chiedo se questi nuovi ammortizzatori, ad esempio, per le piccole e piccolissime aziende, terranno comunque il lavoratore collegato all'impresa.
  Non posso pensare che il passo avanti che era stato fatto con gli ammortizzatori sociali e la mobilità in deroga venga annullato da nuove formule che scolleghino il lavoratore dal posto di lavoro, impedendogli, per esempio, di rientrare dopo un periodo di breve crisi produttiva.
  Chiudo ringraziandola dall'opposizione per aver sbugiardato il Presidente del Consiglio sul contratto unico. La ringrazio perché io sono sempre stato un acerrimo nemico di questa banalità irrealizzabile, che serve solo a prendere in giro datori di lavoro e lavoratori. È impossibile fare il contratto unico. L'ha detto lei oggi e la ringrazio perché ha smentito quella e-mail sul Jobs Act anticipato a gennaio (adesso è posticipato, forse prima erano i tempi) mandata dal Presidente del Consiglio. La ringrazio di essere stato sincero.
  Condivido quanto ha detto sui contratti a termine e sui trentasei mesi; noi ci crediamo e il PD in passato ha votato in altro modo. Condivido quanto ha scelto di fare sull'apprendistato e anzi per me bisognerebbe ampliare ancora un po’ le maglie. Ho apprezzato quando ha detto che non serve la concertazione e la ringrazio. Condivido questo tipo di impostazione e mi auguro che anche la sua maggioranza la condivida perché si potrebbe procedere in modo più spedito.
  Chiudo facendole una domanda. Lei ha parlato di impiego, non con posti lavoro ma tramite occupazione, non solo di chi gode di ammortizzatori sociali ma anche di immigrati e carcerati. In questo caso, credo non si preveda una remunerazione economica.Pag. 21
  Non vorrei trovarmi nell'ipotesi, che esiste allo stato attuale, in cui un'impresa si trovi economicamente avvantaggiata nell'assumere un carcerato piuttosto che un giovane disoccupato.

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi. Prima di dare la parola al Ministro, vorrei confermare quanto ha detto testé l'onorevole Fedriga per quanto riguarda il tema degli «esodati», sollecitato dalla Presidente della Camera Boldrini. Stiamo aspettando la relazione tecnica e ricordo che domani avremo l'audizione del direttore generale dell'INPS. Ci auguriamo che il Ministro ci dia una mano per avere tutti i dati, soprattutto quelli relativi ai numeri e alle coperture.
  Per quanto riguarda il tema delle deroghe, siamo tutti d'accordo che sarebbe meglio una misura strutturale e la misura strutturale è la flessibilità del sistema, altrimenti non sapremmo quale.
  Vorrei porle una domanda semplice sulla «Garanzia giovani». Come lei sa, Ministro, noi investiamo dieci volte meno di quello che investe la Germania o la Gran Bretagna sull'intermediazione. Lei pensa che sia ipotizzabile la mobilità di personale della pubblica amministrazione verso i centri per l'impiego in alleanza con i centri privati ? Come seconda domanda, non pensa che sopravvivendo il Titolo V ci sia il rischio di avere venti diverse «Garanzie giovani» senza un'impronta di carattere nazionale molto forte ?
  Do, quindi, la parola al Ministro Poletti per la replica. Ricordo che alle 13.15 abbiamo un incontro informale, in congiunta con altre Commissioni, con una delegazione del Parlamento europeo sui temi dell'occupazione, scusandomi con il Ministro per la ristrettezza dei tempi.

  GIULIANO POLETTI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Anche per ragioni di tempo, cercherò di recuperare alcuni argomenti di fondo che avete proposto. Quando sia considerato utile un momento di confronto con la Commissione, presidente, la mia disponibilità è piena. Credo che ci siano elementi da approfondire perché le tematiche sono tante e molto complesse.
  Una prima questione di fondo riguarda la concertazione, le associazioni, il sindacato e il loro ruolo nella società. Credo che il tema possa essere affrontato in maniera assolutamente lineare, per quel che riguarda il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Ho detto e ripeto che credo necessario sviluppare in maniera ordinata e sistematica il confronto. Come Governo dobbiamo avere la responsabilità di fare delle proposte. Quando occorrono passaggi parlamentari, il Parlamento svilupperà la propria azione secondo le proprie valutazioni. Il Governo naturalmente fa riferimento a una maggioranza e le sue scelte debbono avere il sostegno di questa maggioranza. Questo confronto è nell'ordine delle cose e, per quello che riguarda il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, si è sviluppato in queste settimane e in questi giorni con tutti gli interlocutori.
  Detto questo, ribadire che il Governo deve assumersi la responsabilità delle decisioni che prende io credo che sia un dato delle cose. Se la condivisione o meno di un punto è stata la logica di una certa fase della nostra storia, credo che la fase odierna di questa storia ci porti a sviluppare in modo lineare e trasparente il confronto affinché emergano le posizioni, i valori e le valutazioni, ma la responsabilità della decisione immancabilmente compete al Governo e al Parlamento.
  Questo non vuol dire liquidare alcuno o togliere compiti e funzioni. Credo che, se ognuno di noi, i sindacati, le associazioni, le organizzazioni, il Governo e il Parlamento, farà bene la parte che gli compete in un ordinato svolgimento delle proprie responsabilità, ci sarà spazio per tutti. Il confronto è nell'ordine delle cose. La responsabilità della decisione compete a chi ha quella responsabilità, e io credo che ci comporteremo in modo lineare da questo punto di vista. Tutto questo avviene sotto gli occhi dei cittadini italiani, che ci valuteranno e ci giudicheranno in corrispondenza delle scelte e delle responsabilità che assumeremo. Da questo punto di vista Pag. 22posso ribadire una concezione che ho abbondantemente condiviso e continuo a condividere.
  Un secondo tema è quello degli «esodati». È un tema che avete discusso e c’è un problema di risorse che si ripresenta ogni qual volta questo Paese interviene su una materia. Che si parli di pensioni, di esodati o di altro, il tema è quello delle risorse, delle compatibilità, dei limiti e del debito pubblico italiano. Il punto è come costruire una coerenza sul piano economico e sul piano sociale tra le politiche che sviluppiamo.
  Credo che sia un problema che non può essere eluso. Spezzettando le cose e prendendole una per una, sono tutte sacrosante. Non credo che abbiate bisogno del Ministro del lavoro e delle politiche sociali per capire che esista un nesso tra il limite ai pensionamenti e le problematicità di ingresso al lavoro. Ma che questo dato sia incrociato con la sostenibilità del sistema e l'equilibrio dei conti di questo Paese è un dato altrettanto evidente. Ognuno di noi ha, secondo me, l'obbligo della coerenza. Dobbiamo sempre considerare che, quando esaminiamo un elemento che pone legittimamente un'urgenza o una problematicità, dobbiamo chiederci come possiamo trovare un punto di equilibrio.
  Il tema degli «esodati» lo stiamo affrontando nella logica che ho detto. Vorrei essere molto chiaro. Io non credo che il problema sia stato creato dagli interventi per tentare di rimediare alla situazione. Il dato di fatto è che il problema si è creato. Gli interventi hanno cercato di tamponare una situazione drammatica e, come spesso accade quando si cerca di tamponare, si fissano dei limiti, dei paletti, delle date, dei termini, ma c’è sempre chi ricade nel giorno prima o nel giorno dopo. Inevitabilmente si innesca un problema di «accettabilità» delle soluzioni.
  Abbiamo bisogno di fare un ragionamento più organico che perimetri il fenomeno e lo inserisca dentro logiche generali di soluzione. Se ce la faremo sul piano normativo e avremo bisogno di risorse, potremo anche coprirle in un arco di tempo più lungo. Dobbiamo provare a immaginare una modalità forte per affrontare questo tema.
  Sulla cassa in deroga il punto, secondo me, è piuttosto chiaro. Sappiamo che l'istituto va a esaurimento. Bisognerà che tutti insieme facciamo una riflessione. In questo Paese ci sono imprese e lavoratori che sopportano un onere per avere gli ammortizzatori e ci sono altre imprese e altri lavoratori che non sopportano l'onere per gli ammortizzatori. Dobbiamo metterci d'accordo perché delle due l'una. Se il meccanismo va a carico della fiscalità, abbiamo un problema che riguarda l'equità e la sostenibilità di questo onere. Se non è così, dobbiamo immaginare un meccanismo in cui i soggetti interessati compartecipano nel sostenere questi oneri.
  Se per produrre una transizione da una situazione a un'altra è utile creare ponti e fare scelte di investimento di risorse sul piano pubblico, sarà compiuta una scelta politica nello spirito di riprodurre quel tipo di situazione. Penso che questo tema vada affrontato in questo modo, cercando di non lasciare nessuno senza tutele, ma sapendo che il mantenimento delle tutele finisce per pesare per gran parte sul bilancio pubblico con uno sbilanciamento di fatto fra le situazioni imprenditoriali e i lavoratori che hanno pagato e quelli che non hanno pagato. È un tema aperto e credo necessiti di una risposta.
  Anche sul tema dei magistrati vorrei essere chiaro. Ho un grande rispetto della legge e della magistratura e considero del tutto normale che in una situazione in cui si produca un conflitto o un comportamento illegale intervenga un magistrato a ripristinare le condizioni. Quando però una tipologia di intervento che dovrebbe essere eccezionale, a fronte di un atto di illegalità, diventa una prassi eccessivamente costante, dobbiamo chiederci se abbiamo prodotto una norma che, per come impatta sulla realtà, ammette un tasso di precarietà del diritto o di incertezza del diritto che non rende tranquillo né il lavoratore né l'imprenditore.
  Vengo alla spending review e ai problemi collegati. Su questo versante conoscete Pag. 23come stanno le cose bene quanto me. Cottarelli ha presentato uno schema. Il Governo, rispetto alle scelte di merito, non ha ancora preso una decisione. Io, quindi, non sono nelle condizioni di anticipare, perché non posso e non voglio, valutazioni proprie della collegialità del Governo. Il sottoscritto affronterà la parte che gli compete in quella sede ed esprimerà le proprie opinioni.
  Concludo con una battuta sui servizi per l'impiego. Il Presidente mi segnalava un dato che credo sia realistico. Dobbiamo evitare di moltiplicare per venti le strumentazioni. Il Titolo V oggi è questo. Per la «Garanzia giovani» abbiamo costruito un piano nazionale e uno schema condiviso, cercando di fare in modo che, dato il Titolo V, le politiche regionali siano innestate in un progetto nazionale. In altre parole, abbiamo cercato di fare il meglio possibile di fronte alla norma attuale. Nel momento in cui questa dovesse essere modificata in qualche direzione, faremo i conti con le novità.
  Vi ringrazio per l'attenzione e mi scuso per non aver potuto reagire a tutte le sollecitazioni. Sicuramente avremo l'occasione per farlo.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro Poletti. A nome della Commissione  prendo atto della sua disponibilità a continuare questa discussione, concluso questo primo tempo. Ne avremo l'occasione, mentre i provvedimenti cominciano a entrare in opera.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.20.