Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 2
Audizione del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, sulle linee programmatiche
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 2
Boschi Maria Elena (PD) , Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento ... 2
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 12
Toninelli Danilo (M5S) ... 12
Fiano Emanuele (PD) ... 13
Fraccaro Riccardo (M5S) ... 13
Fiano Emanuele (PD) ... 13
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 13
Fiano Emanuele (PD) ... 13
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14
Pilozzi Nazzareno (SEL) ... 14
Invernizzi Cristian (LNA) ... 15
Dieni Federica (M5S) ... 17
Giorgis Andrea (PD) ... 18
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 20
Bragantini Matteo (LNA) ... 20
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 20
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FRANCESCO PAOLO SISTO
La seduta comincia alle 14.10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, sulle linee programmatiche.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, sulle linee programmatiche.
Non dimentico che il Ministro Boschi è almeno ad honorem (ma prima lo era di fatto) componente di questa Commissione, il che ci rende particolarmente gradita la sua presenza.
Do la parola al Ministro Boschi per lo svolgimento della sua relazione.
MARIA ELENA BOSCHI, Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. Signor presidente, cari colleghi, nella giornata di ieri, come saprete, il disegno di legge costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri nella scorsa settimana è stato trasmesso, dopo aver acquisito l'autorizzazione alla presentazione alle Camere da parte della Presidenza della Repubblica, al Senato della Repubblica, con l'obiettivo di arrivare all'approvazione in prima lettura entro il prossimo 25 maggio.
È un obiettivo ambizioso, soprattutto alla luce dei numerosi tentativi di riforma del sistema bicamerale che si sono succeduti in questi ultimi trent'anni e che si sono arenati principalmente sulla questione della trasformazione del Senato o che comunque, non hanno trovato il richiesto riscontro nella volontà popolare.
È tuttavia un obiettivo realizzabile, necessario e non più rinviabile.
Noi, tutti noi, Parlamento e Governo, ci troviamo oggi dinanzi a un bivio tra la conservazione e il cambiamento, tra la difesa dello status quo e l'innovazione, dal quale dipende in definitiva la possibilità per la democrazia italiana di evolversi e rigenerarsi.
È per questo che, dopo un dibattito ultratrentennale, è necessario rompere ogni indugio e attuare quelle misure decisive di revisione della Parte II della Costituzione senza le quali ogni aspirazione di riscossa dell'Italia rischia di naufragare nel gioco dei veti incrociati, delle incrostazioni burocratiche, delle incertezze normative, se non di riprodurre quella situazione di paralisi e stallo istituzionale che ha caratterizzato l'avvio della legislatura.
L'Italia non può più permettersi di tergiversare. Lo testimonia la crisi economica e sociale i cui effetti ancora si ripercuotono pesantemente sulle famiglie. Lo esige il mondo produttivo, che per restare a testa alta nel contesto della competizione globale chiede a gran voce e all'unisono un sistema istituzionale moderno capace di offrire un quadro regolatorio Pag. 3orientato a favorire la crescita economica e caratterizzato da certezza, uniformità, stabilità e rapidità di processi decisionali e degli stessi procedimenti amministrativi.
Lo chiedono i cittadini, che non trovano più alcuna ragione di mantenimento di un bicameralismo paritario che non ha eguali nel panorama internazionale, in cui quasi mille parlamentari sono chiamati a fare le stesse cose e che per questa ragione viene sempre più percepito come costoso e inefficiente.
Lo richiedono, infine, le profonde trasformazioni che hanno interessato i rapporti dello Stato con l'Unione europea, registrando un significativo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione impressa al processo di integrazione, in particolare sul versante della governance economica, dal quale è disceso un sistema di governo multi-livello, assai più complesso e articolato rispetto al passato, in cui quasi tutte le politiche pubbliche si sviluppano in senso verticale e orizzontale, in un sofisticato intreccio tra livelli di governo nazionali e sovranazionali.
Il mondo intorno a noi è cambiato radicalmente.
Ma mentre le più avanzate democrazie, che sono nostri partner ma anche nostri competitor sui mercati internazionali, hanno saputo assecondare e gestire il necessario processo di adattamento dell'ordinamento interno alle nuove sfide, rinnovando profondamente le proprie istituzioni, l'Italia si è attardata in discussioni, rimanendo intrappolata in logiche, che si sono spesso rivelate di mera e sterile contrapposizione ideologica, che hanno fatto sfumare le occasioni di riforma ad ampio raggio, che pure non sono mancate.
In questo quadro, in questi ultimi anni sono stati adottati alcuni pur rilevanti interventi di revisione costituzionale che hanno da ultimo interessato gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Carta, ma essi non sono stati inquadrati in un processo organico di riforma in grado di razionalizzare a fondo il sistema istituzionale per consentire al Paese di superare definitivamente i principali ostacoli che hanno sinora impedito il pieno dispiegarsi delle sue straordinarie potenzialità.
Per questa ragione il sistema istituzionale ha finito per adattarsi in modo spontaneo ai mutamenti che hanno interessato la società, l'economia, i rapporti tra gli Stati e l'Unione europea, attraverso risposte, spesso di carattere emergenziale, che si sono rivelate talora anomale e contraddittorie e che non hanno in definitiva rimosso i problemi che abbiamo dinanzi.
Problemi che sono ormai a tutti noti e che riguardano la cronica debolezza degli esecutivi nell'attuazione del programma di governo e la lentezza e farraginosità dei procedimenti legislativi, ai quali è imputabile, almeno in parte, il ricorso eccessivo alla decretazione d'urgenza e l'emergere della prassi della questione di fiducia su maxiemendamenti. E, ancora, l'alterazione della gerarchia delle fonti del diritto – si pensi alla nuova categoria di atti di natura non regolamentare o al fenomeno delle ordinanze di protezione civile – e più in generale la crescente entropia normativa e le difficoltà di attuazione di una legislazione torrentizia e spesso confusa e oltremodo instabile, nonché l'elevata conflittualità tra i diversi livelli di governo e il conseguente – e crescente – contenzioso giurisdizionale: sono questi solo alcuni dei sintomi della patologia che affligge il sistema istituzionale italiano da troppi anni e per la cui rimozione è necessario un complessivo ripensamento dell'assetto dei pubblici poteri.
Le riforme costituzionali, assieme naturalmente a quelle elettorali, costituiscono dunque la premessa indispensabile per ricostruire un rapporto di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, per avviare un nuovo e più virtuoso ciclo politico, istituzionale, sociale ed economico, e – non meno importante – per rafforzare la credibilità dell'Italia nello scenario europeo e internazionale.
Poiché solo le istituzioni che sanno dimostrare di sapersi riformare possono ritrovare la propria forza e la propria legittimazione non solo nei confronti dei cittadini.Pag. 4
E non è del resto un caso se il carattere prioritario di tali riforme sia stato sottolineato con forza, a più riprese, anche dal Presidente della Repubblica, in particolare nel solenne discorso pronunciato innanzi alle Camere il 22 aprile 2013.
È dunque per queste ragioni e con questo spirito che il Governo, dopo aver deciso di imprimere una forte accelerazione al processo delle riforme istituzionali, in coerenza con quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio nel discorso sulle linee programmatiche, sul quale le Camere hanno conferito la fiducia, ha dapprima sostenuto con decisione l'approvazione, da parte di questo ramo del Parlamento, della legge elettorale e ha da ultimo presentato in Parlamento un disegno di legge costituzionale recante un ampio progetto di riforma, sul quale ora mi soffermerò brevemente cercando di illustrarne la filosofia complessiva, per poi svolgere alcune considerazioni sui temi che mi competono più specificamente come Ministro per i rapporti con il Parlamento – a cominciare dal ricorso del Governo alla decretazione d'urgenza – nel presupposto però che qualcosa di veramente nuovo e impegnativo su questi temi, che vada al di là delle dichiarazioni di buona volontà, può essere detto solo nel quadro delle riforme a cui è dedicata la parte principale di questa relazione.
Il progetto di revisione costituzionale delineato nel disegno di legge del Governo reca disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione.
Nel complesso, esso persegue una pluralità di obiettivi, prendendo tuttavia le mosse da due principali esigenze: da una parte, quella di rafforzare l'efficienza dei processi decisionali e di attuazione delle politiche pubbliche nelle quali si sostanzia l'indirizzo politico, al fine di favorire la stabilità dell'azione di governo e quella rapidità e incisività delle decisioni che costituiscono la premessa indispensabile per agire con successo nel contesto della competizione globale; dall'altra, quella di semplificare e impostare in modo nuovo i rapporti tra i diversi livelli di governo, definendo un sistema incentrato su un nuovo modello di interlocuzione e di più intensa collaborazione interistituzionale e, in alcuni ambiti, di co-decisione tra gli enti che compongono la Repubblica, volto a favorire il protagonismo dei territori nella composizione dell'interesse generale e la compiuta espressione del loro ruolo nel sistema istituzionale.
Il perseguimento di questi obiettivi comporta la definizione di un nuovo e delicato equilibrio istituzionale sia tra le due Camere che compongono il Parlamento, sia tra i diversi livelli di governo che compongono la Repubblica.
Equilibrio che il disegno di legge ha inteso perseguire portando a sintesi istanze diverse, evitando, in via generale, il rischio di un ritorno a logiche di contrapposizione tra centro e periferia, tra forze centripete e forze centrifughe, nella consapevolezza che questa impostazione è di ostacolo alla definizione di un nuovo e più funzionale assetto dei pubblici poteri.
Occorre invece partire dai princìpi fondamentali fissati negli articoli 1 e 5 della Costituzione, che rispettivamente sanciscono il principio democratico e quello autonomistico. Ed è proprio la ricerca di un nuovo equilibrio tra l'unità e l'indivisibilità della Repubblica e l'esigenza di promuovere le autonomie l'oggetto autentico, il cuore del progetto di riforma costituzionale.
In proposito, è bene evidenziare in via preliminare che nell'insieme la riforma, lungi dal voler comprimere gli spazi di autonomia degli enti territoriali, intende invece da una parte semplificare il sistema, sia confermando l'eliminazione dalla Costituzione del riferimento al livello di governo provinciale, sia riformando in modo incisivo i criteri di riparto delle competenze legislative; dall'altra valorizzare, declinandolo in modo nuovo, il pluralismo istituzionale, il principio autonomistico, Pag. 5con l'obiettivo ultimo di incrementare complessivamente il tasso di democraticità del nostro ordinamento.
Sotto il profilo della politica costituzionale, il Governo ritiene, infatti, che l'autonomia degli enti diversi dallo Stato costituisca un insostituibile elemento di arricchimento del sistema istituzionale, che quanto più il potere pubblico è prossimo ai cittadini tanto più è elevata la qualità della vita democratica e la capacità delle istituzioni di soddisfare i diritti civili e sociali ad essi riconosciuti.
Ferma restando questa ineludibile premessa di fondo, occorre tuttavia prendere atto del fatto che il principio autonomistico può effettivamente concorrere a elevare il tasso di democraticità dell'ordinamento solo laddove esistano sedi, strumenti, procedure e metodi che ne assicurino il coerente dispiegamento.
E sono proprio questi, a ben vedere, gli elementi che hanno impedito al nostro ordinamento di intraprendere una traiettoria evolutiva coerente con le ragioni, tuttora valide, che hanno animato il legislatore costituzionale quando fu definita la riforma del Titolo V, le cui travagliate vicende normative e giurisprudenziali sono ben note.
Oggi si tratta, quindi, di portare a compimento un processo che garantisca davvero alle autonomie regionali e locali un virtuoso coinvolgimento nei processi di decisione politico-amministrativa di livello nazionale, in modo meno conflittuale e più incisivo e flessibile di quanto sinora accaduto.
A questa logica risponde la trasformazione del Senato della Repubblica in un Senato delle autonomie, rappresentativo delle istituzioni territoriali, che si configura appunto come quella sede di raccordo tra lo Stato e gli enti territoriali la cui sostanziale assenza nel disegno di riforma del Titolo V ha impedito la realizzazione di un sistema di governo multi-livello, efficiente e non conflittuale, in grado di bilanciare interessi nazionali, regionali e locali e di assicurare politiche di programmazione territoriale coordinate con le più ampie scelte strategiche adottate a livello nazionale.
A tale riguardo, la scelta operata dal disegno di legge è quella di superare l'attuale bicameralismo paritario, che non ha eguali nel panorama internazionale, mediante la definizione di un nuovo assetto bicamerale differenziato, nel quale la Camera diviene titolare in via esclusiva del rapporto di fiducia con il Governo, esercitando la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo sull'operato del Governo, mentre il Senato delle autonomie si caratterizza come un organo rappresentativo delle istituzioni territoriali.
Quest'ultimo diviene, dunque, una nuova Camera dotata di caratteri propri, che concorre alla funzione legislativa – approvando insieme alla Camera dei deputati le leggi costituzionali e deliberando, negli altri casi, proposte di modificazione che in alcuni ambiti possono assumere una particolare forza nel procedimento – ed esercita l'essenziale funzione di raccordo tra lo Stato e le Regioni, le città metropolitane e i comuni, cui si aggiungono ulteriori rilevanti funzioni in materia di attuazione e formazione degli atti normativi dell'Unione europea, di verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato e di valutazione dell'impatto delle politiche pubbliche sul territorio.
La composizione del Senato delle autonomie definisce in modo univoco il suo nuovo ruolo costituzionale, che è al contempo di raccordo tra lo Stato e il complesso delle autonomie e di garanzia ed equilibrio del sistema istituzionale.
Mi vorrei quindi soffermare sulla logica che il Governo ha adottato nel delineare la composizione del nuovo Senato, perché solo così si possono correttamente inquadrare e, credo, comprendere le singole scelte compiute dallo stesso Governo.
Innanzitutto, un Senato che nasce per riportare ad unità il sistema delle autonomie, intese anzitutto come istituzioni piuttosto che come territori, deve necessariamente essere fino in fondo un'emanazione di quel sistema.Pag. 6
È un obiettivo che naturalmente si può non condividere, ma che appare difficilmente conciliabile con l'elezione diretta a suffragio popolare. Tale elezione, inevitabilmente, potrebbe trascinare con sé il rischio che i senatori si facciano portatori di istanze legate più alle forze politiche che alle istituzioni di appartenenza, ovvero di esigenze particolari circoscritte esclusivamente al proprio territorio, e che la loro legittimazione diretta da parte dei cittadini possa, inoltre, indurli a voler incidere anche sulle scelte di indirizzo politico che coinvolgono il rapporto fiduciario, riservate in via esclusiva alla Camera dei deputati, in tal modo contraddicendo le linee portanti cui è ispirato il disegno di riforma.
Anche la previsione di un ugual numero di rappresentanti per ciascuna Regione – e di una presenza paritetica di rappresentanti dei Comuni e delle Regioni – è strettamente connessa alla funzione del Senato come sede istituzionale di raccordo tra lo Stato e il sistema delle autonomie, in una logica che ricomprende, ma supera, sia gli equilibri politico-partitici sia quelli di rappresentazione di interessi di carattere meramente territoriale.
Ciò non toglie, naturalmente, che sulla questione dell'ancoraggio dei criteri di composizione del Senato alla dimensione demografica di ciascuna Regione il Governo confermi, anche in questa sede, la propria disponibilità a compiere una valutazione, purché tale ancoraggio sia modulato in modo tale da salvaguardare l'impianto complessivo di politica costituzionale sotteso al progetto di riforma.
Impianto che trova un ulteriore elemento di coerenza nella previsione che fa coincidere la durata del mandato dei senatori con quella degli organi delle istituzioni territoriali nelle quali sono stati eletti e che dispone la sostituzione dei senatori in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale, rendendo in tal modo chiaro il nesso che lega i nuovi membri del Senato alle istituzioni territoriali di appartenenza e che configura il Senato come un organo permanente i cui componenti, espressione delle autonomie, si rinnovano di volta in volta.
Sotto altro profilo, il nuovo Senato delle autonomie presenta, come accennato, anche i caratteri propri di un organo di garanzia che, oltre i poteri riconosciutigli nell'ambito del procedimento legislativo, è chiamato ad assolvere ad altre, non meno rilevanti, funzioni vitali nel sistema democratico.
A fianco delle citate funzioni di promozione e attuazione del diritto europeo e delle attività – di grande rilievo istituzionale ma non ancora sufficientemente valorizzate – di verifica dell'attuazione delle leggi e di valutazione delle politiche pubbliche, vanno aggiunte le funzioni di equilibrio e di garanzia rispetto all'insieme dell'ordinamento, condivise in forme anche articolate con l'altra Camera.
Tra queste funzioni – che assumeranno un particolare rilievo proprio quando, in questo ramo del Parlamento, prevarrà in modo strutturale per legittimazione elettorale il nesso maggioranza-Governo, sia pure sottoposto al necessario controllo delle minoranze – rientrano naturalmente il potere di revisione costituzionale, che il Senato delle autonomie eserciterà insieme alla Camera dei deputati, analogamente a quanto avviene in altri Senati a elezione indiretta – quale ad esempio quello francese e quello tedesco – nonché il potere di nomina di titolari di alti incarichi istituzionali culminanti con l'elezione, da parte del Parlamento in seduta comune, del Presidente della Repubblica, cui si aggiunge la messa in stato di accusa del medesimo Presidente, l'elezione di un terzo dei componenti del Consiglio superiore della magistratura e il potere di nomina di due dei cinque giudici della Corte costituzionale eletti dal Parlamento.
Talune di queste funzioni di garanzia e di equilibrio del sistema si riflettono anche nella composizione del nuovo Senato, nel quale, a fianco dei rappresentanti delle autonomie territoriali, si prevede la presenza di ventuno cittadini che abbiano illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, Pag. 7che possono essere nominati senatori dal Presidente della Repubblica.
La previsione di un numero non meramente simbolico di componenti del Senato nominati dal Presidente della Repubblica – i cui requisiti di nomina sono i medesimi attualmente previsti per i senatori a vita, il cui mandato è però limitato a sette anni – è intesa a sottolineare i connotati di garanzia del nuovo Senato, il suo proiettarsi anche al di là della rappresentanza delle istituzioni territoriali e delle stesse logiche di schieramento politico, accogliendo nella sede parlamentare quei talenti che hanno coltivato le proprie competenze lontano dalla competizione elettorale e che possono contribuire a dare voce ad altri settori di attività in modo alto e qualificato.
Nel complesso, mi pare che con questa nuova configurazione del Senato delle autonomie vengano superate le logiche di distinzione e competizione tra la dimensione autonomistica e quella statuale, che hanno sinora impedito alle autonomie di concorrere in modo incisivo al processo di formazione delle leggi e di far valere, nella sede più alta della rappresentanza democratica, le istanze dei territori, coniugandoli in una cornice unitaria con la tutela degli interessi generali e con l'esercizio di importanti funzioni di garanzia.
In definitiva, il nuovo Senato potrà essere non un duplicato parlamentare, quale è ormai percepito dai cittadini, ma un'istituzione dotata di caratteri propri, corroborati da funzioni assai rilevanti e persino risolutive riguardo a tante delle questioni che compromettono oggi il rendimento complessivo delle istituzioni rappresentative e alimentano la conflittualità tra i diversi livelli di governo.
La composizione del Senato delle autonomie è strettamente correlata con le funzioni ad esso attribuite ed è inscindibilmente connessa con il nuovo assetto della potestà legislativa derivante dalle modifiche proposte nel disegno di legge in tema di revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione.
La riforma del Titolo V, infatti, è concepita e strutturata nel disegno di legge in modo complementare con quella del bicameralismo, essendo diretta a rendere più fluidi i rapporti tra i poteri legislativi e più flessibili i criteri di riparto delle competenze legislative, secondo una logica che fa perno sull'integrazione strutturale delle istanze delle autonomie nel circuito della decisione legislativa. Logica che, a ben vedere, va oltre il principio della leale collaborazione, sul quale sinora, faticosamente e anche grazie all'opera della Consulta, è stata assicurata la tenuta del sistema istituzionale.
Il presupposto fondamentale da cui muove la riforma del Titolo V è, infatti, l'integrazione delle autonomie territoriali nelle politiche legislative, resa possibile dalla nuova composizione del Senato e dalla riconfigurazione del suo ruolo, in particolare dalla nuova disciplina costituzionale del procedimento legislativo, in base al quale alla Camera dei deputati spetterà la pronuncia in via definitiva sulle leggi, ma al Senato delle autonomie è riconosciuta la facoltà di deliberare, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, proposte di modificazione su ciascun disegno di legge approvato dalla Camera, ivi inclusi i disegni di legge di conversione dei decreti-legge.
Si dispone, inoltre, che quando le proposte deliberate dal Senato attengano a provvedimenti che incidono in ambiti di più stretto interesse degli enti territoriali, essi assumono una valenza rafforzata nel procedimento, atteso che l'altra Camera potrà discostarsene solo con una nuova deliberazione finale da adottare a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Gli ambiti di rilievo, ai fini di tale procedimento rafforzato, che tengono conto delle modifiche proposte in tema di revisione del Titolo V, sono indicati dal quarto comma del novellato articolo 70 della Costituzione e concernono, tra gli altri, i disegni di legge che riguardano il sistema di elezione dei membri elettivi del Senato delle autonomie, l'ordinamento, gli organi di governo, la legislazione elettorale e le funzioni fondamentali dei Comuni, Pag. 8comprese le loro forme associative, e delle Città metropolitane, nonché l'ordinamento degli enti di area vasta; le norme generali sul governo del territorio; il sistema nazionale e il coordinamento della protezione civile; l'esercizio della «clausola di supremazia» di cui si dirà oltre; le modalità di partecipazione di Regioni e Province autonome, nelle materie di loro competenza, alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e all'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea e la disciplina dell'esercizio del potere sostitutivo dello Stato; l'intera disciplina dell'autonomia finanziaria regionale e locale; il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità dei membri degli organi regionali, nonché la disciplina dei relativi emolumenti; la ratifica dei trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.
Al Senato delle autonomie sarà inoltre assicurata la possibilità di esaminare le leggi di bilancio senza necessità del richiamo, nonché di richiedere e ottenere, con una deliberazione a maggioranza assoluta, che la Camera dei deputati proceda all'esame di uno specifico disegno di legge e si pronunci entro un termine prestabilito, fermo restando il potere di iniziativa legislativa che rimane in capo ai componenti di entrambe le Camere.
In via generale, il Senato conserva, inoltre, ampi poteri di interlocuzione con il Governo, i cui membri continueranno ad avere il diritto e, se richiesti, l'obbligo di assistere alle sedute di entrambe le Camere, nonché con l'altra Camera, potendo formulare osservazioni su ciascun atto e documento nel corso del suo esame da parte della Camera dei deputati.
La portata di queste previsioni appare, a mio avviso, evidente, atteso che si attribuisce al Senato la possibilità di incidere significativamente sul processo decisionale.
Ed è proprio il maggior coinvolgimento delle autonomie sia nelle decisioni riservate alla potestà statuale, sia e ancor più in quelle di maggiore interesse territoriale che si realizza in forma articolata nell'ambito del procedimento legislativo, che rende compatibile con il rispetto e la promozione del principio autonomistico la definizione di una riforma radicale dei criteri di riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni contenute nel Titolo V della Parte II della Costituzione.
In questo senso si potrebbe affermare che tra la riforma del bicameralismo e del procedimento legislativo e la revisione del Titolo V esiste un nesso inscindibile che assicura un complessivo equilibrio del sistema istituzionale.
Sulla base di queste premesse, il disegno di legge presentato dal Governo prevede un'ampia revisione e razionalizzazione delle competenze legislative dirette a rimuovere le incertezze, le sovrapposizioni e gli eccessi di conflittualità che si sono manifestati a seguito della riforma del 2001 e che hanno avuto rilevanti ricadute sia sul piano dei rapporti tra i livelli di governo che compongono la Repubblica, sia su quello della competitività del sistema Paese.
La scelta di fondo che è stata operata è diretta a superare l'attuale assetto, fondato su una rigida ripartizione legislativa per materie, in favore di una regolazione della potestà legislativa ispirata a una più flessibile ripartizione anche per funzioni, superando il riferimento alle materie di legislazione concorrente e alla mera statuizione da parte dello Stato dei princìpi fondamentali entro i quali può dispiegarsi la potestà legislativa regionale, includendo nei criteri di ripartizione delle competenze legislative anche una prospettiva funzionale e teleologica che riguarda sia lo Stato sia le Regioni.
Da questa prospettiva, più orientata alle funzioni e agli obiettivi dell'azione dei pubblici poteri, discendono e in essa trovano coerente motivazione le principali innovazioni che interessano il Titolo V, quali la riconduzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato di alcune materie e funzioni originariamente attribuite alla legislazione concorrente, in relazione alle quali sono emerse esigenze di disciplina ispirate ai princìpi dell'unità giuridica ed economica della Repubblica e alla tutela dell'interesse nazionale, ovvero si sono Pag. 9manifestate sovrapposizioni che hanno dato luogo a incertezze normative in ambiti ritenuti essenziali in particolare per lo sviluppo economico o, ancora, che sono apparse strettamente connesse all'evoluzione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione europea e funzionali al rispetto dei vincoli di finanza pubblica derivanti anche da impegni internazionali. Nel nuovo elenco delle materie e delle funzioni di competenza statale esclusiva sono stati quindi inclusi, tra l'altro: il coordinamento della finanza pubblica del sistema tributario; le norme generali sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; le norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare, la tutela e sicurezza sul lavoro; l'ordinamento di Comuni, Città metropolitane ed enti di area vasta; il commercio con l'estero; il sistema nazionale e il coordinamento della protezione civile; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia; le infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale; i porti e aeroporti civili di interesse nazionale e internazionale.
Altra fondamentale innovazione è l'attribuzione alle regioni della potestà legislativa in ogni materia e funzione non espressamente riservata alla legislazione esclusiva dello Stato, consequenziale alla soppressione delle materie concorrenti, accompagnata dalla specificazione, ancorché non esaustiva e tassativa, delle finalità proprie della legislazione regionale, che sono state enucleate in una prospettiva attenta alle esigenze di tutela dei diritti e di incremento della competitività dei sistemi territoriali; tra queste finalità sono espressamente annoverate, tra le altre, la pianificazione e la dotazione infrastrutturale del territorio regionale e la mobilità al suo interno e l'organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e dei servizi sociali e sanitari.
Ulteriore innovazione è rappresentata dall'introduzione, quale norma di chiusura del sistema, di una «clausola di supremazia» in base alla quale la legge statale, su proposta del Governo che se ne assume dunque la responsabilità, può intervenire su materie o funzioni che non sono di competenza legislativa esclusiva dello Stato allorché lo richiedano esigenze di tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica o lo renda necessaria la realizzazione di programmi e di riforme economico-sociali di interesse nazionale:
Infine il disegno di legge prevede la previsione della facoltà per lo Stato di delegare, con legge approvata a maggioranza assoluta dalla Camera, l'esercizio della funzione legislativa, disciplinando al contempo l'esercizio delle funzioni amministrative corrispondenti in materie o funzioni di sua competenza esclusiva, salvo alcune eccezioni per le materie di maggiore delicatezza sul piano istituzionale, alle Regioni o alcune di esse, anche per un tempo limitato. Tale previsione sostituisce quella in materia di regionalismo differenziato ai sensi dell'attuale articolo 116, terzo comma, della Costituzione, di cui si prevede conseguentemente la soppressione.
Quanto ai poteri regolamentari, viene affermato, anche in coerenza con i nuovi criteri di riparto delle competenze, il principio della tendenziale simmetria tra potestà regolamentare e competenze legislative dello Stato e delle Regioni, fatta salva la possibilità di delega dello Stato di tale potestà nei confronti di queste ultime. Inoltre, per evitare fenomeni non infrequenti di sovrapposizioni di competenze è stato specificato che ai Comuni e alle Città metropolitane è riconosciuta una potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, nel rispetto però della legge statale o regionale competente.
Segnalo, inoltre, che all'articolo 118 della Costituzione è stata introdotta una rilevante previsione di carattere generale, la quale dispone che le funzioni amministrative devono essere esercitate in modo da assicurare i princìpi della semplificazione e della trasparenza dell'azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori. La Pag. 10nuova norma costituzionale concerne l'esercizio delle funzioni amministrative e si pone come complementare alle disposizioni e ai princìpi in materia di organizzazione dei pubblici uffici di cui all'articolo 97 della Costituzione.
Infine, all'articolo 119 è stata introdotta una modifica di coordinamento per tenere conto dell'assorbimento, nella competenza esclusiva, della materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; è stato inoltre rafforzato il principio in base al quale risorse derivanti dall'autonomia finanziaria regionale e locale devono assicurare il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite ai comuni, alle Città metropolitane e alle Regioni.
Nell'ambito della revisione del Titolo V, il disegno di legge introduce infine una previsione di carattere generale, diretta a specificare che le funzioni amministrative – i cui criteri di attribuzione tra i livelli di governo rimangono incentrati sui princìpi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione – debbono essere esercitate in modo da assicurare i princìpi della semplificazione e della trasparenza dell'azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori.
L'insieme degli interventi di riforma sinora tratteggiati, combinandosi in modo complementare con le funzioni e i poteri attribuiti al Senato delle autonomie, in particolare nel procedimento legislativo, dovrebbe favorire il superamento delle criticità sopra richiamate e l'affermarsi di un assetto istituzionale più stabile e coeso, fondato su basi cooperative e rivolto ad assicurare la condivisione e la ponderazione delle decisioni – e la stessa qualità della legislazione – senza compromettere la loro tempestività e la loro coerenza con l'indirizzo politico di governo.
Il disegno di legge del Governo completa la nuova cornice istituzionale attraverso l'introduzione di talune disposizioni dirette a rafforzare le prerogative del Governo in Parlamento e a rimuovere, al contempo, uno dei principali fattori che hanno sinora impedito un'ordinata regolazione dei processi di produzione normativa e reso talvolta più complessi i rapporti tra Governo e Parlamento.
In tale prospettiva si interviene, da una parte, sui tempi del procedimento di approvazione di provvedimenti rilevanti per l'attuazione del programma di governo, prevedendo l'introduzione dell'istituto del voto a data certa, in base al quale il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta – ovvero entro un termine inferiore che tenga comunque conto della complessità della materia – decorsi i quali il testo proposto o accolto dal Governo su sua richiesta è posto in votazione senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale.
Si tratta di un'innovazione importante, accompagnata, per evidenti ragioni di equilibrio del sistema, da un duplice intervento in materia di decretazione d'urgenza, finalizzato a contenere entro ambiti fisiologici il ricorso da parte del Governo a provvedimenti provvisori con forza di legge, costituzionalizzando a tal fine i limiti posti dalla legge n. 400 del 1988 alla decretazione d'urgenza, e a stabilire che in caso di rinvio alle Camere dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge da parte del Presidente della Repubblica il termine per la conversione in legge sia differito di trenta giorni.
Quanto ai nodi critici legati al ricorso alla decretazione d'urgenza, non si può che condividere quanto evidenziato dal presidente Sisto nella seduta di questa Commissione del 27 marzo scorso, allorquando ha rilevato come tali nodi presentino un'attualità che perdura da oltre trent'anni, atteso che la stessa Commissione già nel 1983 ne discuteva, individuandone i negativi effetti per i cittadini, il Parlamento e lo stesso esecutivo.
L'auspicio del Governo è dunque che gli interventi di riforma, con la previsione in termini certi per il procedimento legislativo e la limitazione del ricorso alla decretazione d'urgenza, possano concorrere Pag. 11a far sì che la produzione normativa assuma caratteri più organici e stabili nel tempo, nel presupposto che la definizione di regole certe e prevedibili in tutti i comparti normativi dell'ordinamento costituiscano fattori di sviluppo di legalità e di benessere economico, e per ogni ordinamento giuridico si pongano come reali indicatori della qualità del confronto democratico.
L'istituto del voto a data certa e, in generale, il tema del «Governo in Parlamento» si intreccia con il processo di riforma dei regolamenti parlamentari avviato ormai da entrambe le Camere. Se approvata in tempi brevi, questa riforma potrebbe anzi anticipare significativamente alcuni degli effetti positivi che il Governo si attende dal progetto di revisione costituzionale.
Il Governo è ben consapevole dei limiti che la consuetudine pone al suo intervento in questo ambito, ma segue con grande interesse la riflessione in corso e intende, entro quei limiti, stimolarla perché è noto che i regolamenti spesso incidono sulla forma di governo non meno delle norme costituzionali e possono condizionare profondamente il funzionamento e l'efficacia di queste ultime. Un Governo che si assume la responsabilità di proporre una revisione costituzionale non può dunque restare indifferente rispetto al tema delle riforme regolamentari.
Dal complesso degli interventi appena delineati emerge, a mio avviso, un impianto riformatore equilibrato, che consentirà di superare almeno gli aspetti più patologici del fenomeno sinora emersi.
Fin da subito, tuttavia, il Governo intende impegnarsi al rispetto più rigoroso dei requisiti costituzionali di necessità e urgenza nonché del requisito della omogeneità, auspicando che altrettanto facciano le Camere in sede di conversione nel rispetto di quanto, anche recentissimamente, ha rimarcato la Corte costituzionale e di quanto a più riprese ha sottolineato il Presidente della Repubblica con lettere ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio.
Oltre ai profili finora illustrati, che costituiscono le fondamenta della nuova architettura istituzionale, il disegno di legge del Governo prevede infine l'abolizione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) – organo che non appare oggi più rispondente alle esigenze di raccordo con le categorie economiche e sociali che in origine ne avevano motivato l'istituzione – nonché talune disposizioni finalizzate al contenimento dei costi delle istituzioni politiche.
A quest'ultimo riguardo, al fine del contenimento dei costi, si prevede in particolare che ai membri del Senato delle autonomie non spetti alcuna indennità per l'esercizio del mandato; che gli emolumenti spettanti ai presidenti delle giunte regionali e ai membri degli organi regionali non possano superare l'importo di quelli spettanti ai sindaci dei Comuni capoluogo delle Regioni; che non possano essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti monetari in favore dei gruppi politici rappresentati nei Consigli regionali.
Il progetto di riforma costituzionale reca, infine, le disposizioni necessarie per consentire l'entrata a regime del nuovo assetto bicamerale e della nuova ripartizione delle competenze tra lo Stato e le Regioni. Il nuovo impianto derivante dalla legge costituzionale troverà applicazione a decorrere dalla legislatura successiva a quella in corso, salvo le disposizioni in materia di soppressione del CNEL, introduzione dei limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali e divieto di corrispondere rimborsi ai gruppi politici presenti nei consigli regionali, che troveranno invece immediata applicazione a seguito dell'entrata in vigore della legge.
Queste sono le linee programmatiche con cui si presenta il Governo per quanto attiene alle materia che mi sono state affidate, da un lato i rapporti con il Parlamento e dall'altro le riforme costituzionali. A grandi linee vi ho descritto la proposta per la revisione della Costituzione che sarà all'esame del Senato nei prossimi giorni, e che mi auguro arrivi a una prima approvazione entro il prossimo Pag. 1225 maggio, per poi coinvolgere appieno i lavori di questa Commissione e di questo ramo del Parlamento.
Il mio augurio è quello di poter proseguire il lavoro fatto finora sotto altre vesti e con altre funzioni all'interno di questa Commissione e poter insieme collaborare al progetto di riforma del nostro Paese.
PRESIDENTE. Grazie, signor ministro. Il testo scritto che è stato oggetto dell'intervento del Ministro Boschi è in distribuzione.
Ringrazio gli studenti dell'università LUMSA di Roma che sono presenti ai nostri lavori odierni. Credo che un'audizione come quella di oggi sia un'utile palestra per comprendere come il Parlamento si interfacci con il Governo e cerchi di comprendere le ragioni di determinate scelte. Mi auguro che questa esperienza possa essere utile ai nostri ospiti per trovarsi magari un giorno tra questi banchi.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per un primo giro di domande.
DANILO TONINELLI. Grazie, Ministro, per quest'audizione immediata dopo il suo insediamento. Come gruppo parlamentare noi siamo molto preoccupati e non siamo gli unici. Mi permetta di chiederle – le chiedo scusa in anticipo – se ha capito il quadro generale di questa riforma. Se non lo ha capito, Ministro, vuol dire che è in malafede.
Abbinare questa riforma del bicameralismo e del Senato al progetto di legge «Italicum» significa trasformare il voto elettorale di un partito che ha un solo voto in più del secondo nella sua vittoria e nella costituzione di una Camera con una maggioranza certa, che è l'unico organo elettivo a dare la fiducia al governo. Il livello democratico non diventa una sorta di presidenzialismo o semipresidenzialismo, ma molto peggio.
Lei, Ministro, sicuramente saprà che negli Stati Uniti, ad esempio, dove il costituzionalismo liberale è molto avanzato, si eleggono il Presidente e un Parlamento autonomi e indipendenti. Se il Presidente vuole portare avanti un progetto di legge, non ha certamente di fronte un Parlamento disegnato a propria immagine e somiglianza, che adempia a qualsiasi richiesta o dettame, tutt'altro. I membri del Parlamento statunitense rispondono a un elettorato diverso da quello del Presidente e portano avanti battaglie che possono essere anche opposte a quelle del Presidente.
Il nostro quadro è esattamente l'opposto. Di fatto si elegge direttamente un Presidente del Consiglio che è capo del Governo e del Parlamento e con il monocameralismo la produzione legislativa verrà addirittura velocizzata. Lei saprà – non sono parole al vento, ma sono dati statistici – che il nostro Paese produce il triplo delle leggi di Francia, Spagna, Germania e Inghilterra al netto della legislazione delegata e della legislazione regionale. Questo è già un problema enorme per via dei costi amministrativi, per il livello del contenzioso, per gli obblighi di interpretazione delle norme che gravano sugli organi giurisdizionali e sugli organi amministrativi. Il tutto avviene in tempi molto più veloci rispetto a quelli delle democrazie europee avanzate e che si vorrebbero addirittura accelerare.
All'inizio del suo intervento, il Ministro ha detto che tra i motivi di questa riforma vi sono proprio la lentezza della produzione legislativa e la debolezza del Governo. È una falsità assoluta e sostanziale. L'80 per cento delle leggi approvate è di iniziativa governativa, mentre va a buon fine circa il 2 per cento delle leggi di iniziativa parlamentare. Mi dica lei se questi dati rappresentano un Governo debole. Noi pensiamo che sia l'esatto contrario.
La lentezza nella produzione legislativa non esiste nemmeno attualmente con il bicameralismo, che serve proprio negli Stati in cui il Governo è molto forte, come il nostro. La necessità di produrre leggi ancor più velocemente è un'altra falsità che non può giustificare il monocameralismo.Pag. 13
Produrre leggi ancora più velocemente e in modo ancora peggiore ci obbligherà a vivere in quell'incertezza del diritto che è una delle cause principali del nostro stato di arretratezza democratica.
EMANUELE FIANO. Voglio ringraziare il Ministro Boschi per la sua esauriente relazione sulle questioni che sono oggetto di discussione in questi giorni al Senato e che riguardano il futuro assetto della Repubblica.
Non so esattamente in quale Paese abbia vissuto il collega Toninelli, ma mi auguro sia stato felice. Io ho vissuto in un Paese nel quale l'assetto istituzionale di questi ultimi decenni ha comportato costi gravissimi per la qualità della vita dei cittadini, certo dovuti in alcuni casi alle inadempienze dei partiti.
Il collega Toninelli faceva riferimento a questa legislatura. Io ne ho vissute altre sia da dentro il Parlamento che da altre istituzioni come quella comunale. La mia esperienza, oltre che le statistiche che ho qui davanti a me, in una comparazione tra le trentasei principali democrazie del mondo, dicono esattamente il contrario di quello che ha asserito il collega con superficiale certezza. Nel mondo non vi è affatto una relazione certa tra la doppia istanza di controllo legislativo e la qualità della produzione legislativa.
Convengo sul fatto – credo che volesse significare questo, avendo citato anche altri Paesi – che esiste l'obbligo di un sistema di controllo e bilanciamento dei poteri, ma questo non è dato semplicemente, come tutti sappiamo, dalla doppia istanza parlamentare. Ci sono sistemi di controllo della produzione legislativa che in questo Paese, per esempio, afferiscono...
RICCARDO FRACCARO. Non rivolgerti a noi. Fai domande al Ministro.
EMANUELE FIANO. Io faccio come credo, se il presidente intende interrompermi lo farà. Non sei tu a presiedere la Commissione. Se non riesci a stare calmo, prendi le gocce...
PRESIDENTE. Colleghi, non interrompiamo e non scendiamo sul piano degli equilibri caratteriali. Tutti avremmo bisogno di gocce, io per primo.
Prego, onorevole Fiano.
EMANUELE FIANO. Io ritengo che il bicameralismo perfetto in questo Paese abbia danneggiato i tempi della produzione legislativa e che la questione del tempo sia correlata all'efficacia della produzione legislativa e in ultima istanza alla qualità del prodotto legislativo, al tipo e al numero di risoluzioni che si portano ai cittadini.
Al Ministro vorrei chiedere se nella proposta di riforma del Senato che il Governo ha inteso sottoporre al Parlamento, il punto del controllo possa essere una delle istanze che afferiscono al Senato delle autonomie, così come presentato in questa riforma, o se altri organi esterni al Parlamento debbano vedere aumentato, nell'opinione del Ministro, il loro istituto di controllo sulla qualità legislativa.
Infine, dal punto di vista dell'altra delega che lei ha, Ministro, cioè i rapporti con il Parlamento, ai quali credo afferisca in particolare la decretazione d'urgenza – punto che non abbiamo ancora sviluppato in sede di Commissione, ma che abbiamo iniziato ad esaminare, come richiesto dalla Presidenza della Camera e dalla Conferenza dei Presidenti di gruppo, con la relazione del Presidente – , penso che sia un punto anch'esso decisivo e necessario di pulizia dell'attività legislativa.
Complessivamente penso si possa affermare che in questi anni vi sia stato un uso non sempre coerente della decretazione d'urgenza, anche a nocumento dell'attività legislativa e parlamentare in termini di dinamica dei tempi prescritti per le opposizioni e per le maggioranze. Non ho avuto modo di leggere nel testo la parte della relazione che lei ha riferito e forse ho perso un passaggio, ma credo che, anche sulla base di quanto diremo in questa Commissione, vada fatto un passo in avanti.
PRESIDENTE. Abbiamo ampiezza di tempi ma invito i colleghi a concentrare gli interventi sulle domande al Ministro.
NAZZARENO PILOZZI. Signor presidente, di domande ne facciamo sempre tante. Sono le risposte che latitano in questo Parlamento.
Ringrazio il Ministro per la sua relazione molto corposa. Vorrei porre una domanda di principio. Noi ci stiamo apprestando a cambiare l'architettura dello Stato e della Repubblica, mettendo mano alla Carta costituzionale, che è il documento più importante che tiene unito il popolo italiano. È stata scritta dopo una guerra e ha tenuto insieme cittadini che avevano una visione completamente diversa dell'organizzazione della società e dello Stato e dopo tanti anni ancora ci tiene uniti. Prima di mettervi mano, credo che dobbiamo capire quale sia l'intenzione.
La mia prima domanda è la seguente. Il Governo intende venire in Commissione o in Aula con un accordo già fatto e con una proposta di legge di revisione costituzionale bloccata perché già discussa sui giornali, sui siti on-line e in sedi extra-parlamentari con pezzi di schieramento che sono buoni per una maggioranza che cambi la Costituzione, ma meno buoni per tenere in piedi il Governo oppure intende venire in Parlamento cercando di trovare una soluzione il più condivisa possibile ?
Questo, a mio avviso, è un punto fondamentale. La cifra politica dello screzio tra i rappresentanti del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico è che ormai un pezzo pregiudizialmente dice «no» e un pezzo pregiudizialmente dice «o questo o nulla». Vorrei evitare questa discussione. Io non sono ancora in grado di suggerire una proposta alternativa. Dobbiamo ancora discutere nel gruppo e capire bene cosa possa e debba essere migliorato, ma prima di cimentarci in questo esercizio vorremmo capire se, come si è fatto per la legge elettorale, verrete in Parlamento a dirci che si discute solo con l'accordo di tutti, intendendo tutti quelli che si sono accordati fuori dal Parlamento, il che vuol dire nessuna discussione.
Come ripeto, poiché dall'altra parte si vuole sostenere che è inutile entrare nella discussione perché ogni cosa che si fa è fatta per interesse, non vorrei che ci trovassimo nuovamente di fronte a passaggi parlamentari che servono a timbrare il cartellino, ma non a migliorare il testo. Nonostante la corposa relazione del Ministro, le prime battute in Commissione non mi fanno stare sereno, per usare un termine in voga. Il primo punto che il Ministro deve chiarire è, dunque, la volontà che sta dietro un progetto di legge di riforma costituzionale di iniziativa del Governo. Già questo di per sé dovrebbe indurre il Governo a porsi con maggiore umiltà nei confronti del Parlamento, facendo una proposta e rimettendosi a una discussione generale del Parlamento.
Nel merito della questione delle riforme, come dicevo siamo in una fase di studio per capire quale sia la soluzione migliore da adottare. Noi siamo favorevoli al superamento del bicameralismo e lo diciamo dall'inizio della legislatura, ma bisogna farlo in maniera seria. Tenere due Camere con competenze diverse è una modifica che va studiata bene.
La legge Calderoli era una legge elettorale che prevedeva un conteggio e un'attribuzione dei seggi diversi tra Camera e Senato e questa piccola novità rispetto alla lettura classica della nostra Costituzione è bastata a mandare in tilt le istituzioni a causa delle maggioranze diverse nelle due Camere. Quando si toccano questi equilibri, sia per quanto riguarda il suffragio sia per quanto riguarda le competenze, bisogna farlo con molta attenzione. Si arriva, invece, a una riforma che stravolge la Costituzione senza un approfondito dibattito preliminare tra i costituzionalisti italiani e in generale – ma non per partito preso – nel mondo accademico e politico.
C’è poi la questione del Titolo V. È vero che deve essere modificato, e proprio quella riforma fatta in fretta e furia tredici Pag. 15anni fa ci dimostra che, quando si mette mano alla Costituzione in maniera frettolosa e inadeguata, sorgono i problemi che ci troviamo di fronte. Nell'impostazione relativa al Titolo V credo vi siano scelte coraggiose. Per quanto mi riguarda, però, non si capisce dove si voglia andare a parare. Non si capisce cioè quale idea di Regione si abbia. Se non partiamo da qui, diventa più complicato. Il Titolo V, così com’è strutturato, può disegnare diversi tipi di Regione e io vorrei capire intanto a che tipo di Regione si stia pensando e che modello di amministrazione regionale vogliamo costruire in questo Paese.
In qualche modo bisognerà affrontare il tema della sanità perché credo che il diritto alla salute sia diventato uno dei temi fondamentali in questo Paese. Nascere in una zona del Paese piuttosto che in un'altra non è secondario per il diritto alla salute dei cittadini italiani. Lo Stato invece dovrebbe garantire un diritto minimo alla salute in ogni parte del Paese. La mia impressione, a una prima lettura, è che si voglia privilegiare, considerati anche altri aspetti, quali l'assetto del territorio, l'energia o l'urbanistica, un regionalismo spinto che premi le Regioni ritenute più virtuose e penalizzi invece le Regioni meno virtuose.
Io credo invece che con la riforma del Titolo V dovremmo avere la forza e la capacità di mettere tutte le aree del Paese nella condizione di raggiungere almeno i livelli minimi tanto nell'urbanistica, ad esempio, quanto nell'assetto del territorio. Non vorrei che si stesse facendo questo ragionamento sull'energia per depredare alcune parti del Paese o che la questione dell'urbanistica servisse ad agevolare altre parti, mentre sulla sanità, dove invece ci sarebbe bisogno di un livello minimo nazionale, ci si dimentica di intervenire.
Come ripeto, abbiamo appena letto il testo e siamo solo all'inizio della discussione. Al di là delle cose che ho detto, ritengo che l'aspetto fondamentale sia capire con quale spirito il Governo venga in Parlamento, che cosa chieda ai gruppi parlamentari e in che modo i gruppi parlamentari possano contribuire. Se ci troviamo di fronte a una riedizione dell’iter dell’«Italicum», è chiaro che il Governo dovrà assumersene le responsabilità.
CRISTIAN INVERNIZZI. Anch'io ho alcune domande da porre alla signora Ministro.
Concordo con quanto detto dal collega Pilozzi. È fondamentale capire quale sia il metodo. Se l'intenzione del Governo e della maggioranza è quella di proseguire sull'asse blindato tra Partito Democratico, Forza Italia e forse Nuovo Centrodestra – il famoso «patto del Nazareno» –, presentando un pacchetto «prendere o lasciare», la situazione diventa difficile soprattutto nell'ottica della maggioranza necessaria a superare l'eventuale referendum confermativo.
Penso che in una discussione così delicata, che coinvolgerà il futuro assetto istituzionale della Repubblica italiana, sia necessario aprirsi a contributi che, a questo punto, non possono più essere accusati, come spesso capita in Aula, di avere una funzione meramente ostruzionistica o qualche altra finalità politica. Sarebbe opportuno, quindi, sapere dalla viva voce del Ministro competente quale sia l'intenzione del Governo e della maggioranza relativamente al metodo da utilizzare nella discussione e nell'approvazione di questo pacchetto corposo di riforme costituzionali sia all'interno della Commissione sia in Aula.
Per entrare nel merito della questione, un'altra domanda che secondo me è fondamentale porre riguarda la modalità di elezione del Senato. Esistono sistemi federali nei quali le autonomie esprimono, indipendentemente dal numero di cittadini che appartengono alle diverse componenti territoriali, il medesimo numero di rappresentanti. Il caso emblematico è quello del Senato degli Stati Uniti, in cui la California esprime due senatori esattamente come il Nord Dakota, che non arriva al milione di abitanti. Il problema, quindi, non è il numero di esponenti delle varie Regioni, anche se vorrei capire come mai la Lombardia porterebbe nel Senato dalle autonomie sei rappresentanti e il Pag. 16Trentino-Alto Adige otto. È difficilmente comprensibile.
La questione vera sta nel fatto che un sistema elettorale come l’«Italicum» creerebbe qualche problema di rappresentanza territoriale. Per come è uscito dalla Camera, esso non prevede infatti una corrispondenza diretta tra numero di voti ed eletti sul territorio. Poiché la distribuzione dei seggi è nazionale, c’è il rischio che i voti espressi in una realtà regionale servano a eleggere alla Camera dei deputati esponenti di altre Regioni. C’è, a mio avviso, un problema di rappresentanza territoriale che dovrebbe essere considerato.
Non riesco nemmeno a capire come mai si sottolinei con tanta convinzione che il Senato delle autonomie non deve rappresentare interessi partitici. Forse nel migliore dei mondi possibili si fa politica in modo del tutto svincolato dalle proprie basi ideologiche o dagli interessi di partito. Non penso, però, che i futuri componenti del Senato delle autonomie saranno persone sconosciute ai partiti. Possiamo anche prenderci in giro, ma presumo, come sempre avviene negli enti di secondo livello, che ci sarà un accordo all'interno dei partiti per decidere chi rappresenterà le varie Regioni.
Pensare di svincolare il Senato dal voto popolare per sfuggire alle influenze dei partiti è un'ipocrisia che dovremmo evitare. Non riesco nemmeno a capirne la ragione. Al contrario, sarebbe necessario evitare, come è scritto proprio nella relazione del Ministro, che queste persone si sentano investite quasi della necessità di rappresentare anche i territori dai quali sono, in qualche modo, nominati. Non riesco a capire come mai un rappresentante del Senato delle autonomie dovrebbe andarci con l'idea di non dover quasi rappresentare il proprio territorio.
Altro aspetto che vorrei che il Ministro chiarisse è come sia possibile conciliare lo stesso nome dell'istituzione, Senato delle autonomie, con la previsione che ventuno rappresentanti, quindi un numero abbastanza corposo, siano nominati non dalle autonomie, ma dal Presidente dalla Repubblica. Si tratta di un numero importante, il che significa che il Presidente della Repubblica ha nel Senato delle autonomie un potere di nomina di tre volte e mezzo più grande di una regione come la Lombardia, che ne esprime solo sei. A mio avviso, anche questo è difficilmente concepibile.
Cosa c'entrano ventuno rappresentanti che hanno illustrato la Patria in ambito scientifico, letterario, culturale ? Rischiamo di trovarci un premio Oscar come Sorrentino, che ha dato lustro sicuramente alla patria in campo cinematografico, ma non riesco a capire che tipo di contributo effettivo possa dare all'interno di quella Camera. Ho citato un nome a caso, il primo che mi è venuto in mente, ma non voglio esprimere alcun giudizio sul regista né sulla persona in questione.
Non capisco, però, che tipo di contributo potranno offrire questi ventuno altissimi personaggi a una discussione fondamentale come quella del rapporto tra Stato e autonomie o nella decisione sui membri elettivi alla Corte costituzionale o, ancora, per altri alti incarichi istituzionali. Gradirei che la maggioranza chiarisse cosa c'entrano questi ventuno senatori di nomina presidenziale con un discorso legato alle autonomie.
Non ritiene, Ministro, che questo progetto di riforma sia monco ? Va benissimo ridefinire i rapporti tra Stato e Regioni, anche se a una prima lettura a me sembra che vi sia una fortissima impronta neocentralista di ritorno. Non si va sicuramente verso la valorizzazione delle autonomie, ma verso una valorizzazione del ruolo dello Stato centrale rispetto alle autonomie.
In ogni caso, al di là di questa valutazione, insisterei per sapere se, secondo il ministro, la riforma non è monca. Revisione del ruolo del Parlamento e fine del bicameralismo perfetto vanno bene, ma manca una revisione del ruolo del Governo. È vero, infatti, che abbiamo avuto parecchi problemi negli ultimi anni, ma questo non è imputabile soltanto a una Pag. 17mancata definizione dei rapporti tra Camera e Senato, ma anche a un ruolo del Governo sicuramente inadeguato.
Nella sua relazione, signor Ministro, infatti, fa riferimento alla difficoltà dell'Italia nei confronti dei competitor europei dal punto di vista istituzionale. A mio avviso, ha sicuramente ragione: esiste un problema di velocità nelle scelte e anche di rappresentanza, quanto meno non univoca, visto che i nostri competitor, soprattutto negli ultimi anni, sono abituati a trovarsi di fronte un Presidente del Consiglio diverso a ogni appuntamento internazionale. Forse si sarebbe dovuto compiere il passo successivo.
Ridefiniamo il Parlamento, i rapporti con le autonomie, ma attribuiamo anche al Governo un ruolo chiaro e identificabile. Diversamente, credo che il fatto che il Governo debba rispondere soltanto a una Camera anziché a due non lo renda sicuramente più veloce e agile, soprattutto con una maggioranza prevista come quella dell’«Italicum», che non ne consente una così ampia da metterlo al riparo da possibili transfughi e ricatti al Presidente del Consiglio, come abbiam visto anche negli ultimi anni.
Abbiamo visto maggioranze che si sono rette su pochi deputati, che sappiamo anche come siano ricattabili dal punto di vista di incarichi di sottogoverno, di tanti altri aspetti che non mi sembra il caso di citare, però, all'interno di una Commissione parlamentare.
FEDERICA DIENI. Comincio con un'osservazione di tipo metodologico. Non siamo contenti del fatto che molto spesso conosciamo le intenzioni del Governo, in questo caso di riforma costituzionale, più attraverso la televisione che le Aule parlamentari.
Vorrei ricordare in quest'aula che poco tempo fa la Corte Costituzionale ha definito la nostra legge elettorale, il «Porcellum», incostituzionale, per cui quella attuale è una maggioranza un po’ falsata. In uno stravolgimento tale della Costituzione bisogna tener conto di maggioranze e opposizioni e in questo caso bisognerebbe tener in considerazione ancora maggiore il dato, appunto, di una maggioranza falsata, con alcuni partiti premiati in maniera spropositata. I numeri eccessivamente grandi di questa maggioranza devono farci considerare che esiste un'opposizione che rappresenta nove milioni di elettori che non è totalmente concorde con questo stravolgimento della Costituzione.
Alcuni aspetti di contrarietà rispetto a queste modifiche sono stati evidenziati dal collega Danilo Toninelli. Riteniamo, ad esempio, che non sia questione di scarsa celerità e che sia il percorso legislativo a poter indurre a modificare, quindi a eliminare, il bicameralismo perfetto. Ricordiamo, il lodo Alfano e l'inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, per i quali sono serviti pochi giorni. Si tratta semplicemente non di emanare tante leggi, ma che siano fatte bene. Come osservavamo prima, conta la qualità delle leggi.
Per il resto, auspichiamo anche di intervenire con delle modifiche. Penso al referendum propositivo senza quorum, a inserire delle norme che possano tutelare i cittadini, e quindi favorire una maggiore partecipazione dei cittadini.
Riteniamo, però, che questo sia uno stravolgimento ambizioso. Non siamo concordi con molte parti di queste modifiche soprattutto per il bicameralismo. Non riteniamo che si possa inserire il Senato all'interno di una misura di spending review. In Italia, gli sprechi sono tanti e qualsiasi cittadino sarebbe contento che li riducessimo, ma il Senato ha un apparato che costa: non è tagliando il numero dei senatori o modificando il Senato che si ridurranno gli sprechi.
Possiamo ottenere risparmi diversamente. Pensiamo, ad esempio, al finanziamento pubblico ai partiti e agli sprechi veri che ci sono in questo Stato. Riconsideriamo anche il Senato per come è stato, appunto, considerato dai padri costituenti. Potrebbe essere un valore aggiunto. Faccio riferimento, in particolare, all’iter del provvedimento sul 416-ter: il ripensamento al Senato in seconda lettura aveva consentito un provvedimento più corretto dopo le osservazioni che ci sono state Pag. 18nell'opinione pubblica e da parte dei magistrati. La seconda lettura potrebbe essere utile, ovviamente se usata bene. Se, anziché utilizzare questo bicameralismo in maniera corretta, lo si utilizza in maniera falsata e una Camera non può legiferare di volta in volta, ovviamente questo non è un bene per la democrazia.
ANDREA GIORGIS. Ringrazio il Ministro e dico subito di condividere quelli che sono stati indicati come motivazioni e assi portanti della proposta che il Governo ha avanzato. Credo che sia urgente la necessità di ricostruire un rapporto di fiducia tra le istituzioni rappresentative e i cittadini e che, attraverso questo ricostruito rapporto di fiducia, si possa aumentare la capacità decisionale delle istituzioni politiche e, dunque, si possa intervenire con più efficacia sulla sfera economica, quindi sulla ridistribuzione dei beni, dei servizi e, più in generale, sulle condizioni materiali delle persone.
Condivido, quindi, l'idea secondo la quale, nell'occuparsi di riforme costituzionali, non stiamo parlando d'altro rispetto ai problemi concreti delle persone. Far funzionare bene la sfera politico-rappresentativa è una delle condizioni attraverso cui è possibile affrontare la crisi e dare maggiore attuazione a quei princìpi sostanziali che dovrebbero orientare l'azione politica nel quadro costituzionale.
In questa prospettiva, giustamente il Ministro sottolinea come sia necessario ridurre il conflitto tra Stato e Regioni e promuovere un federalismo di tipo cooperativo. Anche questa mi sembra un'esigenza reale che si inquadra in questa ricerca di istituzioni rappresentative più efficienti e corrispondenti ai compiti che oggi la dinamica economica sollecita.
Vorrei invitare non tanto il Ministro, che non vi ha fatto alcun cenno, come ho molto apprezzato, ma le altre forze politiche a ragionare della ridefinizione del rapporto Stato-Regioni e della forma di governo – nel ridisegnare il ruolo del Senato si incide, infatti, in maniera molto efficace e consistente sulla forma di governo – senza mettere in relazione di causa ed effetto la legge elettorale e, in particolare, quella che questa Camera ha approvato in prima lettura.
Non vorrei che ragionassimo della ridefinizione dell'assetto costituzionale e ci concentrassimo, per esempio, sulle buone ragioni per superare il bicameralismo paritario o su quelle per promuovere un federalismo cooperativo, su quelle per ricostruire una Camera maggiormente capace di decidere, avendo sullo sfondo la legge elettorale che abbiamo appena approvato. Rischieremmo, infatti, di sviluppare una riflessione che in qualche misura risulterebbe caratterizzata da un'ombra, per alcuni, una luce, per altri, che non aiuta, a mio avviso, per un'equilibrata ed efficace riforma costituzionale.
Evitiamo, quindi, di piegare la riforma costituzionale per questioni o preoccupazioni politiche, anche fondate in alcuni casi, originate dalla modifica della legge elettorale, che sarà comunque analizzata dal Senato. Come ebbi occasione di dire in sede di discussione in Aula, confido nella forza degli argomenti e nella possibilità che ci si persuada circa la necessità di riconsiderare alcuni aspetti di questa legge. Discuterei, dunque, della legge in altro momento.
Mi concentrerei sulla riforma senza condizionare la nostra riflessione sul punto in base al contenuto della legge elettorale che abbiamo appena modificato, altrimenti rischiamo di condurre una riflessione piegata e, soprattutto, di non produrre una buona riforma costituzionale.
Molto condivisibile, naturalmente, è il superamento del bicameralismo paritario. Qui vorrei dire che non si tratta di una proposta calata dall'alto, uscita dalla fantasia del Governo. Si discute in Italia da molti anni di superare il bicameralismo paritario.
Naturalmente, quest'operazione è soltanto un primo passo, dopodiché si tratta di ragionare su cosa si ritiene che debba fare il Senato. A questo proposito, l'idea di un Senato non direttamente eletto dai cittadini è abbastanza coerente con il superamento del bicameralismo paritario. Pag. 19Non si capisce per quale motivo un Senato che fosse direttamente eletto dai cittadini non dovrebbe essere coinvolto nell'espressione del voto di fiducia. Esiste, quindi, una stretta relazione tra superamento del bicameralismo paritario e legittimazione di secondo grado.
Anche per quanto riguarda la composizione e la scelta di fondo di essere una Camera espressione delle Regioni e delle autonomie territoriali, si fa tesoro dell'esperienza di altri Paesi, ma al tempo stesso la si caratterizza sulla base della specificità italiana. È giusta la previsione che anche gli enti locali siano, in qualche misura, coinvolti in un Senato descritto da stampa e vulgata politica come delle Regioni. In realtà, è il Senato delle Regioni e degli enti locali, perché l'Italia ha effettivamente una particolare caratteristica che si traduce in un protagonismo degli enti locali.
A questo proposito, però, forse varrebbe la pena riconsiderare, per esempio, la consistenza numerica dei senatori nominati dal Presidente della Repubblica. Effettivamente, il quindici per cento è una proporzione forse un po’ eccessiva. In questa prospettiva, forse andrebbe anche riconsiderata o, comunque, rimeditata la questione del divieto di mandato imperativo per i senatori. Anche questo è un tema sul quale bisogna approfondire. Se sono espressione delle comunità territoriali, è anche ragionevole che un qualche vincolo di mandato sia previsto.
Tralascio altri aspetti sui quali ci sarà modo di tornare, ma è molto condivisibile, a mio parere, la ridefinizione dell'articolo 117 della Costituzione nel verso di riattribuire allo Stato centrale alcune competenze. Dobbiamo guardare la realtà per quella che è e per quella che è stata in questi anni, in cui abbiamo sperimentato talvolta un'eccessiva attuazione del Titolo V.
Credo sia difficile non sostenere l'idea di materie che è ragionevole ritornino alla competenza esclusiva dello Stato. Il modo in cui sono state attuate concretamente alcune competenze delle Regioni dimostra la necessità di realizzare maggiore uniformità, e quindi di ridurre differenziazioni assolutamente svantaggiose sia per l'interesse generale sia per i cittadini regionali.
In questa prospettiva, andrebbe forse riconsiderata, a mio avviso, la soppressione della competenza concorrente, che non è stata la fonte di contenzioso, mentre lo è stata la competenza esclusiva dello Stato e la competenza residuale delle Regioni e soprattutto la presunta competenza residuale esclusiva delle Regioni.
Per certi aspetti, forse la competenza concorrente è ineliminabile in concreto. L'esigenza di uniformità – una volta si sarebbe detto dell'interesse nazionale – del preminente interesse a una coerente legislazione dello Stato, è qualcosa di irrinunciabile.
Allora, forse sarebbe meglio continuare a configurare il rapporto tra competenze regionali e competenze statali in termini di competenza dello Stato per quanto riguarda i princìpi generali e competenza regionale per quanto riguarda l'attuazione dei princìpi generali.
Si potrebbe prevedere magari esplicitamente la possibilità che lo Stato legiferi anche nel dettaglio e che la Regione, qualora decida di attivare le proprie competenze, approvi leggi che in questo caso si sostituiscono alla normativa statale attraverso un meccanismo elastico, che preveda la possibilità per lo Stato di intervenire in ogni ambito sulla base di princìpi generali e alle Regioni, in quasi tutti gli ambiti, di legiferare in maniera particolare.
Forse questa sarebbe anche l'occasione buona per sciogliere un'ambiguità che al nostro ordinamento costa tante risorse e produce anch'essa molto conflitto: l'ambiguità sulla natura degli enti regionali. Vogliamo che siano enti di legislazione, come era originariamente nel disegno costituzionale, oppure li assumiamo oramai, come di fatto è accaduto, alla stregua di enti di amministrazione, quindi con un apparato burocratico sempre più consistente ?
Credo che forse, in questo momento di condizioni politiche favorevoli a significative riforme, si potrebbe prendere coraggio e imboccare la strada, questa volta seriamente, Pag. 20della regione come ente di sola legislazione e non più come ente di amministrazione. Sono consapevole che in alcune materie delicatissime avrebbe conseguenze pratiche notevoli, ma non è detto che ente di legislazione significhi che l'amministrazione tutta debba essere portata sui livelli inferiori. Si potrebbe distinguere tra un'amministrazione accentrata e una che, invece, viene, come prevede peraltro il federalismo cooperativo, ulteriormente attribuita agli enti territoriali.
PRESIDENTE. Sono le 15.30 e dobbiamo interrompere l'audizione per svolgere altri punti all'ordine del giorno della Commissione prima della ripresa dei lavori d'Aula. Il Ministro ha dato informalmente la sua disponibilità a tornare in una prossima seduta. Avremo modo di leggere attentamente anche il documento da cui ha preso le mosse la relazione del Ministro, sicché saremo probabilmente in condizioni di rivolgere domande anche più calibrate proprio sul cuore dell'intervento.
MATTEO BRAGANTINI. Intervengo molto velocemente solo per chiedere se per le prossime audizioni la relazione potesse essere distribuita in anticipo. Sarebbe molto utile e così potremmo evitare di interrompere l'audizione.
PRESIDENTE. La scelta non è rimessa a noi, ma anche al modo e alle limitazioni di tempo in cui tutti, parlamentari e rappresentanti del Governo, lavoriamo. Qualche volta, quindi, non si fa in tempo a trasmettere una relazione in anticipo.
Ringrazio il ministro e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 15.35.