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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 38 di Giovedì 5 giugno 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del vice presidente della Confindustria, Ivan Lo Bello e del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Lo Bello Ivan , vice presidente della Confindustria ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Montante Antonello , presidente di Confindustria Sicilia ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Montante Antonello , presidente di Confindustria Sicilia ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Montante Antonello , presidente di Confindustria Sicilia ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Montante Antonello , presidente di Confindustria Sicilia ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Montante Antonello , presidente di Confindustria Sicilia ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Mattiello Davide (PD)  ... 11 
Lo Bello Ivan  ... 11 
Fava Claudio (SEL)  ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Mineo Corradino  ... 13 
Lo Bello Ivan  ... 13 
Montante Antonello , presidente di Confindustria Sicilia ... 15 
Fava Claudio , Presidente ... 15 
Lumia Giuseppe  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Lumia Giuseppe  ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Lo Bello Ivan , vice presidente della Confindustria ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Montante Antonello , presidente di Confindustria Sicilia ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 18 
Buemi Enrico  ... 19 
Bindi Rosy , Presidente ... 19

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.45.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del vice presidente della Confindustria, Ivan Lo Bello e del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del vice presidente della Confindustria, dottor Ivan Lo Bello, e del presidente di Confindustria Sicilia nonché incaricato del tema della legalità a livello nazionale, dottor Antonello Montante.
  Ricordo, come di consueto, che la seduta odierna si svolge nella forma dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
  Ringrazio il dottor Lo Bello e il dottor Montante per la loro presenza e cedo la parola prima di tutto al dottor Lo Bello per gli aspetti di carattere più generale.

  IVAN LO BELLO, vice presidente della Confindustria. Entro subito nel merito di alcuni temi. Fornirò alcuni dati sulle estorsioni e, più che dati, le dinamiche in corso sul sistema dell'estorsione e dell'usura, poi illustrerò velocemente un quadro generale.
  Ritengo di non seguire il documento già consegnato agli atti per rendere anche più semplice il rapporto con la Commissione. Non c’è dubbio che il sistema delle estorsioni ha subìto una modifica estremamente significativa – ovviamente, parlo del Mezzogiorno e della Sicilia, dato che conosciamo molto meglio per operare in quel territorio – rimanendo capillare come nel passato, ma lasciatemi dire con un costo medio dell'estorsione più basso.
  Oggettivamente, il quadro economico di tante regioni del Mezzogiorno è estremamente complicato e ha avuto un impatto significativo sul settore commerciale, sul quale avvengono le principali logiche estorsive. Esiste, dunque, oggettivamente una presa d'atto della difficoltà commerciale del sistema, e quindi un abbassamento complessivo del prezzo dell'estorsione.
  Voglio dirlo perché la mafia opera, nella sostanza, attraverso una dinamica di mercato. Se cala la domanda, si abbassano i prezzi. Questo va valutato, perché non è solo un meccanismo di controllo del territorio, lo è in maniera prevalente, in maniera molto importante, ma ha delle dinamiche che riguardano anche i cicli economici.
  Le estorsioni rimangono rilevanti e importanti anche perché nella dimensione mafiosa l'estorsione è, sostanzialmente, lo strumento con cui si supporta il welfare mafioso: gli introiti delle estorsioni servono a finanziare i carcerati e le loro famiglie. È il primo elemento, quindi, con cui cosa nostra, ma anche le altre mafie, cercano di mantenere coeso il sistema Pag. 4mafioso, costituito non solo da mafiosi, ma da una ampia e larga capacità di consenso a tutti i livelli. L'estorsione è il primo tema con cui si pagano i costi del welfare mafioso. Questa è la questione principale. Sta avvenendo un po’ in tutto il Paese.
  Andando poi verso le questioni generali, il ruolo della mafia non è la diretta funzione dell'usura. La mafia fa da banca, rende disponibili quelle risorse economiche gestite in maniera più professionale – lo dico tra virgolette e con tutto il disprezzo nei confronti di queste funzioni – oggi fornisce liquidità che usurai di professione utilizzano nel territorio. Certo, su questo tema i dati sono difficili da far emergere.
  Uno dei temi difficili per capire le dinamiche dell'usura è legato anche alla scarsissima collaborazione delle persone. Sul pizzo abbiamo trovato significative collaborazioni, specialmente in Sicilia, e abbiamo un quadro abbastanza chiaro delle dinamiche di questo settore. L'usura, per quante attività siano state svolte – ricordo le camere di commercio che avevano e hanno ancora uffici antiusura, visitati però veramente da pochissime persone – presenta, invece, una dinamica profondamente diversa e sono pochissime le persone che denunciano gli usurai. Questo è un tema rilevante perché ripeto che le poche evidenze che emergono rappresentano un elemento in cui la provvista economica viene dalle mafie insieme agli usurai e gli usurai sono gli strumenti locali di gestione dell'usura.
  Dico senza elementi oggettivi che credo che, sotto questo profilo, sicuramente l'usura ha avuto un boom enorme in questa fase recessiva, durante la quale, di fronte a una difficoltà di accesso al credito – dal 2007 a oggi abbiamo perso il 9 per cento del PIL, ossia una guerra, uno sconvolgimento economico e sociale enorme e rilevante – di fronte alla marginalità di molte aziende, la nostra valutazione è che il sistema dell'usura si sia ampliato enormemente.
  L'usura, però, non riguarda solo le realtà del Mezzogiorno, ma è diffuso in tutto il Paese, diffusissimo in questa città. La città di Roma è stata, come è emerso da mille storie, una realtà in cui l'usura ha avuto un ruolo fondamentale. È stata sempre legata alle logiche criminali. Penso alla banda della Magliana o ad altro. C'erano ragioni di usura molto forti.
  Su questo credo che bisognerà fare qualcosa, perché è un reato odioso, che mortifica e rende ancor più marginali tantissime persone che pensano di poter tornare attraverso l'usura alla propria attività. Purtroppo, è anche quello meno rilevante. Ripeto che è diffusa su tutto il territorio.
  L'usura ha, come dicevo, una cassa mafiosa, ma ha una presenza capillare in tutte le parti del nostro Paese. Paradossalmente, ha una presenza capillare più forte nelle parti più ricche del Paese, che sono quelle che hanno avuto, peraltro, il maggiore effetto negativo della crisi economica, per cui è una questione che si diffonde su tutto il territorio nazionale e non nelle aree del Mezzogiorno. Queste sono un po’ le valutazioni. Se ci sono delle osservazioni, sono pronto a rispondere.
  Vorrei qui concludere con una valutazione di tipo generale. Oggi la mafia militare oggettivamente è in grande difficoltà sui territori perché la crisi ha avuto su di essa un effetto rilevante. Insieme al welfare estortivo, la mafia ha avuto un ruolo rilevantissimo e forte nel settore degli appalti, che in molte parti del nostro Paese ha trovato una sostanziale governance economica, spesso con altri soggetti.
  Il crollo del sistema degli appalti è stato rilevantissimo nel nostro Paese. È stato uno dei settori che più ha subìto la crisi economica. Emerge anche da tantissime inchieste giudiziarie che prontamente hanno reagito a questa realtà, che la mafia sta tornando per esempio, almeno cosa nostra, a spacciare droga, come prima non faceva, quindi c’è un ritorno molto forte.
  Conosco bene il caso siciliano, meno gli altri: la mafia oggi in Sicilia è il dettagliante di prodotti che vengono prevalentemente dalla Calabria, dalla ’ndrangheta, e un po’ anche dalla camorra. C’è un ritorno fortissimo, capillare della vendita Pag. 5di cocaina ed eroina sul territorio. Questo è un segnale anche di alcune difficoltà.
  La mafia era uscita dal circuito della droga in quanto più rischioso, le pene molto elevate, ma oggi assume un rischio maggiore perché hanno perso fonti di guadagno in altri settori. Queste sono dinamiche che vanno analizzate attentamente, perché possono anche determinare delle policy precise anche di contrasto ai fenomeni mafiosi.
  L'altro tema che, a mio avviso, meriterebbe una riflessione molto più ampia è quello del riciclaggio. Credo che sia la questione vera, fondamentale per sconfiggere le mafie. Purtroppo, oggi non abbiamo strumenti veri per sconfiggere le mafie. Il caso esemplare del riciclaggio – ne parlavamo col professor Razzante mentre aspettavamo di entrare in questa sala – oggi è diventato il problema serissimo.
  Anzitutto, rappresenta una fortissima distorsione del mercato e in tutti i mercati. Oltre alla distorsione, inquina in maniera molto forte i nostri mercati. Faccio un esempio breve e poi mi avvio a chiudere. Il riciclaggio, specialmente sulle piccole attività commerciali, bar o ristoranti, è semplicissimo: basta erogare più scontrini. È anche una dinamica banale.
  Nella sostanza, un ristorante che ha emesso 20 scontrini ne fa 40. Non se ne accorge nessuno, perché nessuno è in grado di valutare il magazzino del ristorante e cosa esso possa produrre. Paradossalmente, quindi, le mafie fanno più scontrini e pagano anche le tasse. In questo modo, nell'arco di tre o quattro anni, un'azienda che ha un fatturato di 10 può arrivare a uno di 100 pagando le tasse e riciclando queste somme senza alcune rischio. Ripeto, infatti, che il magazzino di molte attività commerciali può fare 10 o 100. Di un whisky possono esserci venti, trenta, dieci bicchieri.
  È una questione su cui sto riflettendo da tempo anche in chiacchierate con la Guardia di finanza anche qui a Roma e il tema centrale è che credo che si debba mettere in campo un collegamento elettronico in cui tutti i passaggi di proprietà delle attività commerciali devono essere subito localizzati in un nucleo della Guardia di finanza, la più esperta sotto questo profilo, per un'analisi di questi temi. Bastano dei software semplicissimi per questo. Nel tempo, bisognerebbe valutare anche le crescite di fatturato di queste realtà.
  Questo sarebbe un controllo sociale non invasivo. Bisognerebbe solo verificare le anomalie che emergono. Questo avrebbe un effetto enorme e significativo sotto il profilo della lotta al riciclaggio, che è diventato il vero business della mafia. La mafia sta sui territori per non perdere il ruolo sociale e territoriale, ma oggi il business vero sono soldi che ricavano dalla vendita di droghe nelle varie categorie, dalle altre attività economiche e che vengono riciclati. Si produce una distorsione del mercato e loro arricchiscono.
  Questo accade prevalentemente nelle grandi città. In una piccola città si capisce subito se è arrivato un mafioso in un negozio o in un bar. In una grande città, nelle città metropolitane, questo è difficilissimo da evidenziare. Credo che su questo bisognerebbe concentrare le attenzioni, nella fase iniziale sulle grandi capitali, Roma tra tutte, dove ci sono anche alcune realtà, poi Milano e altri grandi poli.
  Infine, ci troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa, che riguarda – voglio portarla all'attenzione della Commissione antimafia – il ruolo dei consorzi di sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di essere un luogo di presenza capillare e diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la regione ha riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei consorzi ASI, oggi IRSAP, è oggetto di continue intimidazioni.
  Peraltro, da tempo ha avuto un aumento della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti soggetti con minacce significative, su cui voglio richiamare l'attenzione della Commissione antimafia. Mi riservo anche di fare arrivare alla Commissione antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo industriale, tema centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e sistema mafioso.

Pag. 6

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Lo Bello. Colgo l'occasione per esprimere la soddisfazione per l'operazione di questa mattina. I Carabinieri di Palermo hanno assicurato alla giustizia con 31 arresti i capi del mandamento di Bagheria. Tutto questo è stato reso possibile da 44 imprenditori e commercianti che si sono ribellati al racket e hanno denunciato. Questa è un'occasione per fare i complimenti ai Carabinieri, nel giorno in cui si celebrano i 200 anni della loro esistenza, e anche agli operatori economici, industriali e commercianti che hanno denunziato, appunto, resistendo e ribellandosi a questo sistema.
  Do ora la parola al presidente Montante per lo svolgimento della relazione.

  ANTONELLO MONTANTE, presidente di Confindustria Sicilia. Il mio collega Lo Bello ha illustrato un'analisi dal punto di vista di Confindustria, perché sicuramente la Commissione è molto più aggiornata sui fenomeni più generici che riguardano anche il Paese. Questo è il nostro punto di vista. Aggiorniamo continuamente il dato grazie al nostro ufficio legislativo, che segue da vicino queste vicende, le denunce all'interno delle associazioni e anche l'esposizione da parte dei nostri imprenditori.
  Vorrei descrivere velocemente Confindustria e il motivo per cui tratta quest'argomento. Non siamo un'associazione antiracket, il nostro è un sindacato delle imprese, quindi seguiamo da vicino le imprese sull'internazionalizzazione, sul sindacato generale, sulle trattative sindacali, su qualsiasi esigenza che l'imprenditore ponga al nostro sistema.
  Una di queste è la convenienza al libero mercato, quindi a un mercato non controllato, dall'illegalità diffusa. Come bene è stato detto da tutti in questi anni, in Sicilia o nel Mezzogiorno d'Italia – oggi forse riguarda tutto il Paese – il controllo delle organizzazioni criminali sui veri mercati era molto asfissiante. Obbligava culturalmente i nostri imprenditori a rivolgersi non allo Stato, non alle banche, ma alle organizzazioni criminali. Questo è il dato di fatto.
  Nel 2005, nel 2007, con il mio collega Lo Bello abbiamo fatto una sorta di due diligence a tutti quegli imprenditori che si sono succeduti negli anni, prima in Sicilia, e abbiamo visto che facevano tutti la stessa fine: quando si avvicinavano dei criminali, o lo Stato prima o poi confiscava loro l'azienda o la mafia si impossessava delle quote sociali o a volte ci perdeva la vita lo stesso imprenditore.
  Abbiamo divulgato una cultura di impresa nuova, sostenendo che forse era il caso di cambiare rotta, considerato che nel 2005 e nel 2007 i presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati tutti indagati o arrestati per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta, Enna. Il problema del consorzio ASI si conosceva, ma non era emerso. Anche il collega Vecchio faceva parte del gruppo del rinnovamento di Confindustria Sicilia.
  La difficoltà era convincere l'imprenditore, indipendentemente dall'aspetto etico morale, proprio sugli aspetti economici, quindi sulla premialità. Con una delibera a sorpresa mia e del collega Lo Bello a Caltanissetta nel 2007, all'insaputa dei nostri colleghi – era informato solo Vecchio, vittima di un problema qualche settimana prima – che non sapevano di cosa bisognasse parlare perché forse all'epoca non avremmo raggiunto il numero legale, e deliberammo l'espulsione per chi fosse coinvolto in fatti di mafia e non li denunziasse. È stata, naturalmente, una novità, una sorta di uovo di Colombo, ma alla fine ha funzionato.
  Ha funzionato perché non finiva tutto su una postilla del codice etico per cui espellevamo se non denunciavano, ma perché avremmo messo alla gogna, fatto sapere a tutti che distorcevano il mercato, che creavano una sorta di concorrenza sleale. Devo dire che a distanza di qualche mese, indipendentemente dall'aspetto mediatico, questo funzionò. Partirono decine di denunce. Ricordo che solo nel territorio di Caltanissetta a oggi sono quasi 300 le denunce con 750 uomini arrestati.Pag. 7
  Non stiamo parlando di bazzecole. In seguito, naturalmente, questo fenomeno di positività si esportò in altre aree geografiche della Sicilia. Ci sono aree geografiche che ancora resistono. Catania è una di quelle che non riesce, a parte pochi colleghi, a fare implodere il sistema. Naturalmente, non ci fermammo solo alla denuncia. Essendo un'associazione datoriale, dovevamo studiare sempre strumenti che aiutassero questo percorso, non in termini repressivi, ma proprio culturali.
  La prima costituzione di parte civile nasce in Confindustria Sicilia, a Caltanissetta, a firma mia contro una banda di criminali mafiosi del territorio. Il giudice accettò la nostra richiesta di costituzione di parte civile, ciò che fece da precedente, aprendo una pista nuova. Prima i processi si chiudevano con semplici accuse: oggi si chiudono con condanne definitive perché l'imprenditore, ma anche Confindustria, collaborano con le forze di polizia, e quindi con la magistratura. Questo è stato un fatto importante.
  Nel 2010, firmammo il primo protocollo nazionale tra il Ministro dell'interno e la Confindustria, esportando in qualche modo il modello Sicilia in Italia. C'erano già, infatti, le prime avvisaglie che parecchie famiglie mafiose siciliane, ma soprattutto della ’ndrangheta calabrese, si erano rafforzate in territori del nord.
  Questo funzionò in parte, perché il sud della Confindustria approvò il codice etico di Confindustria Sicilia e il nord si riservò, Assolombarda a parte, che ha condiviso in quel momento questo percorso, con molta timidezza, ma comunque è stato un passo in avanti. Non ci fermammo lì, anche se abbiamo ottenuto buoni risultati, ma ci inventammo un'altra idea di premialità nei confronti delle imprese. È stata un'idea promossa da Confindustria, ma naturalmente, essendo io il delegato, ho avanzato io la proposta al legislatore di una legge sul rating di legalità.
  Su questo voglio attenzionare, presidente, che non è un'iniziativa campata in aria, un protocollo che può anche essere raggirato. Abbiamo pensato il rating di legalità proprio per l'usura, da dove abbiamo visto che non partivano denunce. L'imprenditore si vergogna, è timido a confidare a un altro che ha problemi finanziari e denuncia quando non c’è niente da fare, se non il funerale.
  Il rating di legalità copia un modello del sistema bancario. Sapete che non è più il direttore di periferia, di provincia, a valutare l'impresa in base all'affidabilità storica. Oggi la banca valuta col rating, fa una riclassificazione del bilancio come primo parametro di valutazione, poi c’è un secondo parametro che chiamo l'andamentale e verificano se negli ultimi tre anni un cliente è andato alla centrale rischi, se è uscito fuori conto, se ha pagato la rata del leasing in ritardo e attribuiscono un altro punteggio.
  Poi c’è il punteggio, assai discrezionale, del rischio d'impresa. Non voglio puntare il dito contro l'utilizzo nelle banche dello strumento del rating, che può aumentare o diminuire. Quando escono tre stellette o la tripla A o la BB, in qualche maniera si decide la sorte di un'impresa. Per una tripla A un'impresa paga un interesse inferiore, può ottenere un fido maggiore; per due A è penalizzata leggermente; una sola A può mettere in difficoltà l'impresa.
  Quando questo rating arriva dalla centrale alla banca, magari delocalizzata dal luogo di appartenenza, mette in difficoltà l'imprenditore, che si rivolge a chi immediatamente gli porge la mano ed è sicuramente l'amico, il vicino, uno pseudo imprenditore. Addirittura, ci sono state indagini e inchieste che hanno portato anche a condanne perché il funzionario di banca che aveva rapporti all'esterno e comunicava la difficoltà dell'imprenditore. Questo creava e crea ancora oggi una sorta di difficoltà nell'individuazione dell'imprenditore vessato.
  Il rating di legalità – torno all'argomento e concludo subito, ma era molto importante citarlo – dà una contro pagella. Oggi è legge perché il legislatore l'ha recepita benissimo nel decreto «Cresci Italia». Si mette un po’ in difficoltà la banca, a cui si dice che, anziché una doppia A, deve dare una tripla A perché quell'imprenditore, oltre ad avere dei conti Pag. 8comunque mezzi a posto, non ha rischio d'impresa, dimostrato dal fatto che ha denunciato, che ha applicato la 231, che ha un'affidabilità storica ultradecennale. Questo sta funzionando.

  PRESIDENTE. Esiste anche il contrario, cioè un rating di legalità basso, che può in qualche modo correggere il rating di solvibilità ? La domanda è posta volutamente. Mettendo insieme e confrontando i due dati, come a uno può alzarsi il livello di affidabilità, a qualcun altro potrebbe forse essere abbassato.

  ANTONELLO MONTANTE, presidente di Confindustria Sicilia. Abbassato no.

  PRESIDENTE. Forse, invece, bisognerebbe inventarlo, perché magari le imprese mafiose sono solvibili.

  ANTONELLO MONTANTE, presidente di Confindustria Sicilia. Il rating serve solo alle imprese che non sono solvibili, non fanno riciclaggio, di cui pure, se mi concedete del tempo, vorrei parlare.
  Si rivolge solo a quelle imprese che non hanno finanziamenti esterni, occulti, quelle che vanno veramente in default finanziario perché hanno quotato sul mercato e le banche non le hanno aiutate, ma non perché le banche abbiano sempre torto. Molte volte, le banche non valutano solvibile il cliente. Lì il rischio non c’è.
  Il cliente che sa che non ha un rating importante non si rivolge, in questo caso, all'Antitrust per ottenerlo. Sta zitto, in silenzio, si prende la batosta e va oltre. Sono valutazioni comunque oggettive. Quando si rilascia il certificato di rating di legalità, c’è un responsabile, un dirigente, un prefetto della commissione che viene dal Ministero dell'interno e uno che viene dal Ministero della giustizia, quindi comunque si pensa che ci sia una super vigilanza.
  In qualche maniera, senza essere legislatori abbiamo messo in atto strumenti per convincere il nostro associato a non delinquere, quindi a non rivolgersi all'organizzazione criminale, quindi a pagare una tassa. Abbiamo avuto molte evidenze col mio collega Lo Bello, ma anche con tutti gli altri nostri colleghi, che molte volte non erano vessati, costretti a pagare, ma conveniva pagare. In quel caso dovevamo stanarli e dire loro che potevano decidere di rimanere lì, ma che sapessero che non avrebbero più usufruito dei nostri servizi e che avremmo fatto sapere a tutti che distorcevano il mercato. Non siamo forze di polizia, non siamo assolutamente forza repressiva, ma dobbiamo evitare la concorrenza sleale. Questa è una concorrenza sleale micidiale, pazzesca, devastante. Potrei citare mille casi.
  Oggi, parlando del riciclaggio, esistono altri fenomeni di cui abbiamo avuto evidenza. Non abbiamo strumenti, ma pensiamo che la mafia non sia adeguata, mentre la ’ndrangheta lo è, a individuare aziende molto importanti – si parla anche di multinazionali – individuando il management in carica magari sempre dello stesso territorio di provenienza, quindi gente che ha studiato fuori, che si trova a gestire queste organizzazioni.
  Si tratta di convincerli non solo a investire in maniera un po’ dubbia sui nostri mercati, in questo caso, ma addirittura di dare loro finanziamenti occulti, quindi riciclaggio, per costituire centinaia di altre aziende, che fanno tutte capo a quel manager, che a sua volta fa parte, magari, di una multinazionale estera, dove non c’è nessun tipo di sospetto su quella persona.
  Nel frattempo, nascono cento, duecento aziende a scatole cinesi nel nostro territorio, che poi vanno a fornire anche possibilmente anche a enti pubblici del nostro Paese. Abbiamo evidenze e penso che anche le forze di polizia ne abbiano di questo tipo.
  Costituire società a scatole cinesi serve a rilevare società in difficoltà. Torniamo di nuovo sulla difficoltà. Oggi il vero imprenditore, quello che nasce artigiano e diventa industrialotto, teme il fallimento e la perdita del piccolo patrimonio accumulato negli anni, la casa, il garage, il capannone, la macchina, quindi spesso è disposto ai patti col diavolo.Pag. 9
  Quando arriva una scatola cinese, gli dice che rileverà ufficialmente le quote a titolo nominale e che, l'azienda avendo un capitale sociale di 100.000 euro, staccherà un assegno di 100.000 euro, per cui la tracciabilità e la trasparenza saranno garantite, ma in realtà daranno a quell'imprenditore un milione di euro in contanti. L'imprenditore, in quella situazione delicata, prende il milione di euro in contanti, salva la casa e non ha assolutamente interesse a denunciare perché, di fatto, è complice. Questo diventa devastante.
  Cosa succede una volta rilevata un'azienda in difficoltà ? O la si rilancia, perché ha un know how importante, o, se ha difficoltà di liquidità, la si risana. Se va male – questo è molto interessante – devono liquidarla, ma ricordiamo che loro hanno versato solo 100.000 euro, che era il valore nominale. La liquidazione praticamente gli permetterà di incassare centinaia di migliaia di euro e ritornerà tutto pulito, per cui il commissario liquidatore incasserà i soldi, che andranno in utile.
  Questa è una cosa delicatissima.

  PRESIDENTE. Possiamo segretare, presidente, se lo ritiene opportuno, ma è evidente che questa teoria è stata costruita su casi pratici, di cui magari siete al corrente.

  ANTONELLO MONTANTE, presidente di Confindustria Sicilia. Ripeto che non siamo un'associazione antiracket. Di questi fenomeni abbiamo evidenza attraverso gli imprenditori e, in generale, ce ne accorgiamo immediatamente. Penso a tanti nostri colleghi che oggi hanno ruoli rilevanti. Lo Bello e io non siamo stati gli psicologi della questione, ma ci rendevamo conto che qualcosa non funzionava, poi hanno denunciato e hanno fatto arrestare decine e decine di persone e di delinquenti.
  Su queste situazioni sicuramente abbiamo evidenze perché alcune hanno nome e cognome. Immagino che anche le autorità competenti le stiano trattando, perché sono quelle che non possono passare inosservate, a naturalmente sono fenomeni importanti che hanno evoluzioni continue.
  Posso, però, dire e far mettere a verbale che farò avere segretamente un documento da mettere agli atti.

  PRESIDENTE. Può proseguire anche sugli altri aspetti ? Tra l'altro, nel documento che ci ha consegnato sono contenuti.

  ANTONELLO MONTANTE, presidente di Confindustria Sicilia. Ha parlato il mio collega dei consorzi ASI, che andavano oltre ogni immaginazione. Erano luoghi, come le indagini e le condanne dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È un'anomalia tutta nostra, tutta siciliana o del Mezzogiorno d'Italia. Erano cose pazzesche.
  Ricordiamo che un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale, presidente, chiedeva l'autorizzazione al comune d'appartenenza, chiedendo la concessione edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere l'autorizzazione alla costruzione dell'opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza dimenticare nessuno, con l'ingegnere capo, ma non finiva lì.
  Serviva il nulla osta del consorzio dell'area sviluppo industriale, un ente appaltante in contrapposizione al comune d'appartenenza. All'interno del consorzio ASI c'erano un presidente, un direttore generale, un ingegnere capo e una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto grandi cose, ma lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in una due diligence sempre a due abbiamo verificato che all'interno dei consorzi ASI c'erano insediate anche trenta aziende e il consiglio d'amministrazione dello stesso consorzio era di settanta unità.
  In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi ASI era un totale di 800 persone, con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il problema. Oggi abbiamo copiato un modello nazionale virtuoso. In realtà, lo ha Pag. 10fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un gruppo dirigente non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e 800 persone sono sostituite da cinque. Questo si è verificato.
  Non vi ho detto cosa fossero i consorzi ASI dentro le ASI stesse, queste aree industriali: dei condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre un'azienda in un'area a destinazione industriale e si chiede l'autorizzazione solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il giardinaggio esterno. Questo è un condominio, non con trenta aziende, bensì con 500 insediate.
  I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i luoghi – parlo di inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si incontravano i capimafia, non di nascosto, niente di segretato, bensì ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni con la mafia.
  Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il terreno, lo regalavano. Sono attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo, naturalmente, sempre della Sicilia.
  L'attuale presidente Cicero – non mi pare sia il commissario – è stato oggetto, e la notizia è pubblica, di inquietanti attentati. Gli stessi procuratori hanno sentito l'esigenza di esternarlo in maniera forte ricorrendo all'attività mediatica. Questo signore o questi signori vivano in uno stato di guerra vera.
  Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte fotografate, che arrivano con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo. Fortunatamente, sono stati beccati dalle telecamere e quindi è stato sventato tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie. Queste sono le cose più grosse, poi ce ne sono di minori.
  È saltato un sistema. Oggi le aree industriali si danno a chi ha un progetto e anche subito. Oggi non ci sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare i nervi. Oggi quell'organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi chiedere il pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato.
  Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo un'associazione antiracket, ma che dobbiamo dire al nostro associato che non gli conviene un certo comportamento. Se si è in un sistema malato, prima o poi si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per cui dopo venti o trent'anni si crolla, o lo Stato arriva e sequestra l'azienda o la sequestra la mafia o ti ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci siamo riusciti. Il problema è culturale, presidente, non di azioni o di legge, ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora forse aspettare.
  Abbiamo presentato questo documento, una sintesi di quello che abbiamo fatto. La Confindustria ha aderito, a tal proposito, a un progetto PON sicurezza, ma è partita molto in ritardo. L'Alto Commissariato della lotta al racket aveva messo a disposizione questo strumento. Confindustria all'inizio era un po’ scettica perché ci siamo occupati sempre noi di quest'attività «antiracket», divulgando tutto sempre a nostre spese.
  Abbiamo aderito prima con un progetto che era sui tre milioni di euro come Confindustria nazionale, che vedeva impegnate tutte le Confindustria da Caserta a Caltanissetta. Poi, però, ci sembravano troppi perché non servivano quelle attività e abbiamo chiesto di ridurlo di un milione, quindi a due milioni di euro.
  Ancora oggi non li abbiamo utilizzati. Non abbiamo utilizzato forse nemmeno 100.000 euro perché non siamo abituati, ma è uno strumento che, a mio avviso, se utilizzato, è importante e può aiutare. Per le associazioni antiracket, secondo me, aiuta molto. Loro, infatti, non hanno gli stessi nostri strumenti, il nostro centro studi, una grande organizzazione, per cui senza questi progetti credo non riescano a portare avanti progetti importanti, virtuosi. Ben vengano.
  Naturalmente, serve una vigilanza, che però credo già ci sia e importante. Sono Pag. 11coinvolti, infatti, l'Alto Commissariato, il Ministero dell'interno, l'Unione europea, per cui penso che ormai i sistemi siano buoni per perseguire questo tipo di attività nobili.
  Presidente, resto a disposizione dei componenti la Commissione.

  PRESIDENTE. La ringraziamo.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE MATTIELLO. Ringrazio i nostri ospiti. L'intervento della presidente Bindi ha anticipato ciò che avrei voluto chiedervi proprio in ragione dell'operazione Reset, cui la presidente ha già fatto riferimento. Mi pare che questa, da un lato metta ancora una volta in evidenza l'importanza della testimonianza da parte degli imprenditori, e quindi l'importanza del valore del lavoro che avete contribuito a svolgere in questo Paese. Dall'altra, proprio quest'operazione ha riportato alla memoria dell'opinione pubblica, e quindi anche nostra, la vicenda di Giuseppe Sciortino. È proprio a partire da questa che vorrei rivolgervi una domanda puntuale: secondo il vostro giudizio, perché denunciare, oltre che giusto, sia anche conveniente, cosa deve cambiare nell'approccio dello Stato sul piano della protezione e della valorizzazione della vita dell'imprenditore e del commerciante che denuncia ?

  IVAN LO BELLO, vice presidente della Confindustria. Sul tema del racket e del ruolo degli imprenditori, voglio dirle proprio due cose che ho dimenticato nel mio intervento.
  Innanzitutto, abbiamo avuto risultati veramente significativi sotto questo profilo. L'abbiamo fatto anche con un'alleanza molto forte. Non abbiamo, cioè, un'associazione antiracket e allora abbiamo fatto un'alleanza molto forte con le associazioni antiracket. Il nostro ruolo era quello di sollecitare gli imprenditori a denunciare. La gestione degli imprenditori veniva fatta dalle associazioni antiracket, Addiopizzo e tutte le altre.
  Questo è stato veramente fondamentale, perché esiste oggettivamente una specializzazione anche in questo. Abbiamo la capacità di coinvolgere i nostri associati e loro quella di gestirli sotto questo profilo, ma ripeto che il tema fondamentale è che abbiamo utilizzato uno strumento per far venire fuori gli associati che pagavano il pizzo o anche gli altri associati che abbiamo buttato fuori e che erano collusi con la mafia, a prescindere anche dalla dimensione penale.
  Innanzitutto, abbiamo messo in campo uno strumento che funziona in molti altri Paesi: la sanzione sociale, che nel nostro Paese non esiste perché già è difficile far valere leggi in alcuni casi, figuriamoci la sanzione sociale.
  All'interno, però, di un gruppo chiuso come il nostro, non chiuso all'esterno, ma limitato dal numero di persone che sono in quella realtà, l'idea dell'espulsione da un sistema economico mette in campo una fortissima sanzione sociale.
  Per far capire la questione, racconterò un episodio che mi è stato raccontato da esponenti delle forze dell'ordine. Un capo della squadra mobile di una delle province siciliane si trova con un imprenditore che è stato beccato mentre aveva rapporti con la mafia e aveva pagato il pizzo. Iniziano una discussione anche abbastanza lunga – forse il senatore Lumia ricorda la questione – e, nella sostanza, quest'imprenditore rimaneva sulle sue perché la domanda che gli rivolgeva il capo della squadra mobile era diversa da quelle che lui aspettava.
  A un certo punto, alla fine questo imprenditore dice di essere d'accordo, ma che avrebbero dovuto fargli una grande cortesia: se Lo Bello e Montante avessero saputo che aveva pagato il pizzo senza dirlo, lo avrebbero buttato fuori. Questa è la presa d'atto che la sanzione sociale, e cioè l'espulsione da un gruppo di persone, di aziende, di storie o da altro, genera nei confronti dell'estorto una dinamica positiva.
  Il successo della nostra iniziativa ha avuto questa caratteristica. La sanzione sociale è stata più forte della paura della Pag. 12mafia. Questo è il quadro. Ovviamente, non è stato così all'inizio del percorso. A mano a mano che si è consolidata la nostra attività, che la sanzione sociale ha assunto un ruolo forte, dirompente nel nostro sistema, molti di quelli che hanno denunciato lo hanno fatto perché ritenevano che fosse meglio assumersi qualche rischio con la mafia che subire la durissima sanzione sociale del corpo.
  Peraltro, la mafia si guardava molto bene dal punire il negoziante che denunciava, perché sapeva che questo avrebbe alimentato ulteriormente un'attività antimafiosa sul tema. Alla fine, quindi, i nostri «estorti» hanno avuto il coraggio di farlo, di valutare importante la sanzione sociale e hanno avuto poi anche comunque una tutela complessiva dipesa dalle associazioni antiracket, ma anche dal fatto che la mafia non aveva più interesse a creare condizioni negative nei loro confronti, perché questo avrebbe determinato un'ulteriore denuncia, e quindi un ulteriore rischio per la mafia.
  Credo, quindi, che molte cose si possano fare anche attraverso strumenti non necessariamente giuridici, ma di autoregolamentazione delle forze economiche.

  CLAUDIO FAVA. Condivido quanto ho sentito, soprattutto questo passaggio che ritengo di grande modernità. La sanzione sociale capovolge, infatti, alcuni paradigmi che abbiamo anche ascoltato in questa sede proposti da altre organizzazioni, secondo cui è la legge la nostra soglia e la nostra garanzia e anche il nostro tabù. Oltre, anche dal punto di vista delle forme di autotutela, non andiamo. Sono anche audizioni recenti.
  Premetto che, se lo ritenete opportuno e se serve ad avere elementi di dettaglio più precisi, possiamo segretare, ma su questo punto e approfondendo su due questioni specifiche vorrei chiedervi della vicenda di Alfonso Cicero, presidente l'IRSAP, Consorzio per l'area di sviluppo industriale: avremmo bisogno di capire un po’ più cosa sta accadendo attorno a questa figura e a questo ruolo. Da chi arrivano le minacce ? Perché arrivano ? Qual è l'elemento di rottura che è stato operato da Cicero e quale la reazione del contesto politico istituzionale ?
  Siamo stati a Palermo, anche a colloquio con la Commissione antimafia regionale, e ci è sembrato che ci sia un'enorme sottovalutazione rispetto a quanto ci dite questa sera e che, ovviamente, non abbiamo motivo di mettere in dubbio. Peraltro, erano cose che avevamo in parte anche raccolto, grandi preoccupazioni sull'incolumità di questa persona: generalmente, l'incolumità è messa a rischio se c’è una ragione reale, un motivo concreto.
  Sembrava che di questo motivo non ci fosse traccia nelle valutazioni dei nostri interlocutori all'Assemblea regionale. Anche di questo vorremmo chiedervi non un'opinione, ma una valutazione più nel merito, più nel dettaglio. Se e quando, infatti, torneremo a intervenire su questo punto in Sicilia, avendo anche come interlocutore Regione e Assemblea regionale, vorremmo capire esattamente chi sta facendo cosa.
  In secondo luogo, la sanzione sociale è una scelta culturale di grande coraggio, soprattutto in una terra in cui ogni tanto alla sanzione sociale si sostituisce la legittimazione sociale, che è la parte speculare opposta. Questo riguarda non tanto le imprese che possono essere permeate dalla mafia, aggredite, ma le imprese della mafia.
  Qui ho bisogno di una vostra valutazione su una vicenda specifica, una parabola che racconta bene questa continua alternanza tra sanzione e legittimazione sociale, ossia la vicenda della Sud Trasporti di Angelo Ercolano. Premetto che è in corso un procedimento, che sappiamo che la Sud Trasporti è stata confiscata, che Angelo Ercolano è inquisito per falsa fatturazione, che sappiamo del nipote di Giuseppe Ercolano, capo di un delle famiglie mafiose più rinomate di Catania.
  Anche qui segretando, se occorre, ma abbiamo necessità che alcune valutazioni restino nella nostra memoria e anche nella memoria parlamentare di questa Commissione, e vi chiedo come sia stato possibile che Angelo Ercolano, che oggi si trova Pag. 13indagato per reati pesanti con l'azienda confiscata perché si considera che abbia riciclato denaro alla mafia, sia stato fino a ieri sostanzialmente un punto di riferimento di una parte dell'imprenditoria siciliana.
  È stato presidente provinciale e vicepresidente regionale della Federazione autotrasportatori italiani. È stato considerato non soltanto dalla pubblicistica nazionale, ma anche da suoi colleghi siciliani, come un punto di riferimento, una nuova frontiera, un'imprenditoria rampante e positiva. Al tempo stesso, continuava ad essere il punto di riferimento di una delle più pericolose famiglia di mafia della Sicilia e oggi è anche destinatario di questi provvedimenti.
  Com’è stato possibile, a causa di cosa, per colpa di chi, per quali accadimenti non del destino, ma delle scelte degli uomini, che questo equivoco sia potuto durare nell'arco diciamo pure approssimativamente di una ventina d'anni ?

  PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  CORRADINO MINEO. Ringrazio per le relazioni anche molto immediate che ci permettono di lavorare con scioltezza.
  Vorrei capire alcune parti, conoscere su queste partite la vostra sensazione, il vostro giudizio. Lo Bello mi dice, naturalmente, non solo che l'estorsione è in crisi, ma anche che gli appalti rendono molto meno, però poi accenna a una diversa governance e poi abbiamo parlato dei consorzi.
  Vorrei capire se il vostro giudizio soggettivo è che si sia fatto molto in questa fase per togliere di mezzo l'intermediazione mafiosa, com'era chiaramente quella dei consorzi, e se è questa la ragione della crisi della cassa appalti per la mafia o, a parte la crisi che abbiamo capito, ce n’è un'altra e c’è una trasformazione del tipo di intervento sull'economia della mafia.
  Inoltre, ho ascoltato con interesse sia l'annotazione sulla mafia cassa-banca dell'usura, sia sul riciclaggio, entrambe attività che si fanno dove c’è ricchezza, e che quindi fanno pensare a uno spostamento di interessi dalle province meno favorite a quelle più favorite: la mafia fa la cassa dell'usura e resta prestatore o gestisce attività economiche legate all'usura, come il gioco ?
  In relazione al riciclaggio, si parlava dei negozi, ovviamente il presidente Lo Bello ha citato Roma ed era interessante la sua proposta: avete là la sensazione che la mafia sia un ente terzo o che, come si era visto in passato e anche a Palermo – ricordo la faccenda dell'Antica Focacceria – tenda non più a prestare soldi e a ottenere o a dare soldi da riciclare, ma a metterci figli e parenti ?
  Da questo punto di vista, ci sono state battute interessanti sia dai magistrati di Trapani qui in antimafia sia da quelli di Reggio Calabria e mi sembrerebbe interessante il vostro parere.
  Infine, è importantissimo il discorso della sanzione sociale e, come avete detto, quello della legittimazione sociale. Da qualche tempo, si parla di una legittimazione al contrario, cioè di una mafia che, essendo liberata da alcuni ruoli, si legittima anche con l'antimafia. Avete la sensazione di un pericolo di questo genere ?
  Capite, infatti, che il discorso sulla sanzione di cui questa Commissione penso debba darvi assolutamente merito può essere, a pensar male, ribaltato nel suo contrario se diventa una legittimazione alternativa. Nelle inchieste qualche segno del genere c’è.

  IVAN LO BELLO, vice presidente della Confindustria. Dico due cose. Ha lavorato moltissimo il presidente Montante sulla mistificazione di alcuni mafiosi per l'antimafia – ricordo che sono temi centrali – e vorrei dirne proprio brevemente perché sono cose di cui abbiamo già parlato.
  Gli appalti sono crollati, e quindi c’è stato un calo rilevantissimo dei proventi delle realtà criminali. Oltretutto, c’è stata comunque anche una forte repressione Pag. 14delle forze dell'ordine. Nella realtà siciliana, c'erano aziende specialmente del movimento terra, il tema della presenza forte della mafia sta nel movimento terra, non nelle attività a maggiore valore aggiunto che presuppongono una capacità anche tecnologica e imprenditoriale.
  Non c’è dubbio che nel settore del movimento terra c'erano delle aziende totalmente monopoliste. Penso al gruppo Basilotta, che faceva lavori a Enna, ad Agrigento, ovunque, perché era diventato il punto di riferimento della mafia. Quando un'azienda viene da Catania e va ad Agrigento, paga il pizzo ad Agrigento e lo stesso avviene su questi territori, quindi c'era una presenza molto forte. Oggi questo meccanismo non c’è per la crisi economica e anche per le attività significative delle forze dell'ordine e della magistratura.
  Quello del riciclaggio, invece, è un tema importante, che lasciatemi dire riguarda prevalentemente la ’ndrangheta, che oggi è la mafia più rilevante, con grandi risorse. Dovete pensare che la ’ndrangheta oggi svolge lo stesso ruolo che ha svolto cosa nostra tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, quando era leader mondiale dell'eroina, prendeva le basi della Turchia e le vendeva ai colleghi americani. Hanno realizzato grandi capitali che, secondo me, sono fuori dall'Italia già in quei tempi, quindi difficilmente rintracciabili. Lì, però, il ruolo di cosa nostra fu rilevantissimo da questo punto di vista e la guerra di mafia nacque anche perché c'erano i soldi, quindi era un problema serio.
  La ’ndrangheta oggi ha un ruolo importante nel mercato della cocaina, con imponenti realtà, che ricicleranno anche fuori dal nostro Paese, che stanno riciclando in tutte le realtà.
  Tutte quelle che stanno emergendo sono vicende giudiziarie in cui prevalentemente c’è la ’ndrangheta. Le vicende emerse nella procura di Roma riguardano l'infiltrazione della ’ndrangheta in molti esercizi commerciali, ma sotto questo profilo l'unico modo – voglio ribadirlo rispetto a quanto ho detto – per scovare i luoghi di riciclaggio è utilizzare la tecnologia e lo scambio di informazioni.
  Lo scambio di informazioni e la realizzazione di nuclei specializzati può rendere un'attività estremamente significativa. Le anomalie sono il cambio di licenza e l'aumento rilevante della prestazione. Come dicevo, infatti, questi emettono scontrini in più, e quindi aumentano il fatturato, sul quale fatturato aggiuntivo pagano anche le tasse, per cui sotto questo profilo è un elemento fondamentale.
  Basterebbe collegare l'anagrafe su questi temi dei comuni con dei nuclei di Polizia giudiziaria ed effettuare un'analisi su singoli casi e anche complessiva su tutti i casi, valutare quali aziende negli ultimi quattro o cinque anni hanno aumentato in maniera rilevante il fatturato. Probabilmente, nella stragrande maggioranza l'hanno fatto imprenditori molto bravi, ma possono esserci in questi casi anche strumenti di riciclaggio.
  Sono convinto da tempo che i temi centrali siano più tecnologia e collaborazione tra enti, in questo caso comuni, procure e forze dell'ordine. Quello è il tema centrale del riciclaggio. Oggi si occupano, infatti, prevalentemente di questo.
  Sul gioco non ho evidenze particolari. Era nella tradizione delle mafie. Quelle storiche avevano i giochi d'azzardo. Forse oggi questo non c’è per un motivo semplicissimo: si gioca su Internet. È come nel caso dei casinò, che sono crollati per la domanda e la concorrenza dei casinò on line, per cui non so se resti uno dei luoghi.
  Per quanto riguarda figli e parenti, nella ’ndrangheta ce ne sono tanti, ma perché la famiglia di cosa nostra è una famiglia parentale, ma che non tiene conto della parentela. Ci sono anche i parenti, ma nella sostanza è fatta da persone anche senza parentela e con realtà diverse. La ’ndrangheta, invece, ha una fortissima capacità di tenere la locale dentro la dimensione familiare, quindi i famigli sono comunque i protagonisti.
  Voglio sgomberare il campo da un equivoco. La stragrande maggioranza dei calabresi è costituita da persone di grandissima Pag. 15qualità, forse anche più bravi di tanti altri, ma c’è una piccola minoranza che nel tempo, dagli anni Sessanta, ha cominciato un'emigrazione verso il nord del Paese. Fatti cento i calabresi, sono sempre uno o due, come avviene in qualunque realtà, che hanno messo in campo una scientifica capacità di infiltrazione in tante altre realtà.
  Questo è emerso nelle tante inchieste. Fino a qualche tempo fa non c'erano inchieste sulla mafia nel nord del Paese. Sono emerse in Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e tante altre realtà. In tutte queste vicende, non c’è più cosa nostra, un po’ in ritirata rispetto a queste realtà, ma la presenza fortissima della ’ndrangheta.
  Quanto alla sanzione sociale, credo che sia stata la cosa migliore che abbiamo fatto. Dicevo nel mio intervento che quella che deve ricorrere unicamente alla sanzione della legge è una società che non funziona. In tutti i Paesi in cui c’è una società solida la legge interviene raramente sotto questo profilo. Noi abbiamo un eccesso di interventi legislativi o giudiziari perché manca una regolazione sociale e abbiamo messo un pezzo di regolazione sociale.

  ANTONELLO MONTANTE, presidente di Confindustria Sicilia. Senatore Mineo, la domanda mi stimola a una premessa su come vediamo la mafia: una sorta di holding non disordinata, anzi molto ordinata e, più che la mafia, forse oggi meglio la ’ndrangheta in qualche maniera.
  Ha diverse aree importanti. Tratta di racket, di usura, di droga, di gestione dei beni. Secondo noi, quindi, non solo ricicla, passa e presta denaro, ma gestisce. Questa è la risposta, dal nostro punto di vista, da quello che notiamo. Sa anche internazionalizzare molto meglio di un'impresa normale perché hanno avvocati, professionisti validi che li seguono in tutto il mondo. Anche di questo abbiamo delle evidenze.
  Quanto, invece, alla legittimazione di poteri un po’ subdoli, se ho capito la domanda, c’è il tentativo perché questa organizzazione si sta organizzando per legittimarsi entrando nel campo della legalità, non solo seguendo la scia, ma addirittura anticipando. Ci sono casi che hanno nome e cognome, mafiosi che si fanno difendere da ex dirigenti di organi di Polizia, poi anche diventati avvocati. Segretando, posso citare anche nomi e cognomi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CLAUDIO FAVA

  PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROSY BINDI

  GIUSEPPE LUMIA. Ringrazio anch'io Lo Bello e Montante perché nel corso della storia della nostra Commissione queste audizioni sono state sempre preziosissime e utilissime anche per acquisire nuovi dati d'inchiesta, quindi non generici, ma di reale conoscenza di quanto avviene sul fenomeno mafioso.
  Ho apprezzato molto, nella vostra esperienza, non solo questo conflitto frontale con la mafia, ma anche la necessità e la capacità di creare un modello, e quindi anche una riflessione sistemica e culturale, dalla lotta a Di Vincenzo al modello della denuncia, della censura sociale, fino anche a quella capacità di mettere in piedi una serie di regole e di incentivi per spingere le realtà imprenditoriali a denunciare e a mettersi nella concorrenza e non sotto la protezione mafiosa.
  Voglio rivolgervi una domanda che non deve mettervi in imbarazzo: quanto oggi Confindustria nei vari territori ha recepito questo modello ? Cito due esempi territoriali particolari: rispetto al modello Sicilia, cosa succede in Calabria ? Rispetto al modello Sicilia, cosa succede nel casertano, dove appunto regna il clan dei Casalesi ? Pag. 16Cosa avviene nel nord del nostro Paese ? Avere una vostra lettura interna del cammino fatto, ma anche delle tappe ancora da raggiungere, sarebbe comunque molto interessante.
  Inoltre, vorrei chiedervi se ritenete che sia maturo il tempo della cosiddetta denuncia obbligatoria, che non deve essere sanzionata se non la si fa sul piano penale, ma sul piano amministrativo, in modo che il vostro modello della censura sociale possa essere recepito anche sul piano legislativo e far fare un passo in avanti in questa ormai lunga battaglia che grazie anche a voi e alle associazioni antiracket abbiamo già sperimentato e di cui conosciamo i punti di forza e quelli di debolezza.
  Vorrei, inoltre, riportarvi su alcune questioni emblematiche. Già il caso Ercolano, da una parte, e l'approfondimento sulla vicenda Cicero ci aiutano molto. Sulla vicenda Cicero, presidente Bindi, vorrei che, oltre a quello che ci è stato già preannunciato che può aiutarci a capire quanto sta avvenendo, sarebbe interessante acquisire da parte della Commissione gli attacchi che il presidente Crocetta, Cicero e Confindustria hanno subìto dopo la nomina a commissario di Cicero alla guida di questa nuova struttura che ha di fatto rivoluzionato il sistema ASI.
  Voglio aggiungere che il sistema ASI, come è stato spiegato, non era a servizio delle imprese, ma era struttura appaltante per grosse opere pubbliche. Questo spiega tutto. Vorrei che si acquisisse questa documentazione e, con la delicatezza del caso, che fossero acquisite le audizioni nella Commissione parlamentare antimafia regionale, che è dove si ha lo spaccato.

  PRESIDENTE. Le abbiamo già. Abbiamo quella di Cicero.

  GIUSEPPE LUMIA. In quelle precedenti Cicero sembrava, appunto, l'imputato piuttosto che una risorsa per conoscere. Questo ci aiuta a comprendere quello che qui ci è stato spiegato in modo documentale e molto plastico, in modo che si possa capire quel gioco che alla fine Montante ha spiegato bene: il tentativo di delegittimare l'antimafia e come questo tentativo diventi anche sottile e inquietante e, debbo anche aggiungere, pericolosissimo.
  Presidente, vorrei che ci spiegassero due altre questioni per me molto importanti. Uno è il caso Quercioli. Vorrei che ci forniste notizie, in modo che possiamo comprendere cosa sta avvenendo all'interno di Confindustria rispetto a questo vostro associato.
  Dall'altro lato, avete descritto bene quello che sta avvenendo a Catania, in provincia di Caltanissetta col cammino storico che è stato fatto, ad Agrigento; abbiamo Trapani nel regno di Matteo Messina Denaro. Abbiamo il caso molto positivo del vostro presidente di Confindustria, Gregory Bongiorno, che ha denunciato, una novità assoluta nel panorama confindustriale della provincia di Trapani; di Elena Ferraro, un'altra imprenditrice, che ha proprio denunciato il clan di Castelvetrano di Matteo Messina Denaro.
  Vorrei che ci forniste una lettura aggiornata di quanto è avvenuto proprio in quella provincia, che merita l'attenzione non solo degli investigatori iperspecializzati per la cattura di Matteo Messina Denaro, ma della quale dobbiamo capire anche come la società stia predisponendosi a un cammino diverso dal dominio che Matteo Messina Denaro ha.
  Lo cito perché è un dominio diretto sul mondo delle imprese, forse la provincia dove cosa nostra è direttamente dentro il mondo delle imprese. È, quindi, ancora più interessante comprendere il vostro cammino, che è un cammino di rottura diretta e non solo indiretta nei confronti del potere mafioso.
  Infine, visto che avete fatto bene ed è stata spiegata bene la vicenda Ercolano, vorrei comprendere – vi si è accennato – i segnali che avete sul versante dei porti, il porto di Palermo oltre che il porto di Catania, e quelli nel settore dell'agroalimentare, un settore dei mercati anche questo molto delicato: avete segnali di Pag. 17ribellione, di rottura o di tacito consenso, omologazione, affari col mondo di cosa nostra ?

  PRESIDENTE. Dopo le domande del senatore Lumia, autorizziamo sempre gli auditi, eventualmente, a fornirci materiale anche successivamente.

  IVAN LO BELLO, vice presidente della Confindustria. Il presidente Montante e io forniremo sicuramente tutta la documentazione aggiuntiva che può anche arricchire le nostre valutazioni di oggi.
  Inizio dall'ultima questione. Quello agroalimentare – penso a quello di Catania, che conosco bene – è un mercato di dettaglio e ingrosso dove non sono produttori gli operatori, ma dei commercianti di questo settore. Poiché me ne sono occupato marginalmente, non ho evidenze, ma mi dicono, e spero di potervi fornire altre novità, che è un mercato fortemente gestito dalle cosche mafiose catanesi, come avviene in tanti altri mercati regolati, come il mercato del pesce. L'onorevole Fava è di Catania e conosce le dinamiche.
  Molto spesso, questi mercati, specialmente in settori un po’ delicati, sono regolati da cosa nostra, e quindi il punto non sono i prodotti a monte, gli agricoltori, ma tutto il ciclo successivo sui mercati locali. Su questo credo che probabilmente un'analisi vada fatta.
  Di Trapani credo sia utile che parli il presidente Montante, che ha gestito questa vicenda.
  Quercioli è un imprenditore del settore rifiuti che opera con base a Siracusa ma anche in altre realtà. È emerso in una vicenda giudiziaria a Catania che ha pagato il pizzo. Abbiamo applicato, con la Confindustria di Siracusa, il codice etico con la sospensione e con la richiesta di una valutazione accurata dei fatti, cioè la dimostrazione che non si trattava di commistioni o altro, ma di un vero pizzo. Ancora non ci è arrivata la documentazione generale.
  Nel frattempo, la posizione è sospesa. Una volta verificati tutti gli atti complessivi, se risulterà estorto, sarà riammesso; se, invece, emergeranno ombre sotto questo profilo, sarà immediatamente espulso, come abbiamo sempre fatto sul territorio.
  Credo che sulla questione di Caserta e di Reggio Calabria il presidente Montante abbia seguito queste vicende direttamente ed è bene che ne parli lui. Voglio solo aggiungere una considerazione, ma penso che ne parlerà anche il presidente Montante, sul ruolo dell'antimafia siciliana. Come faceva presente il senatore Lumia, nelle due audizioni – è stato audito due volte Cicero, se non ricordo male – si è trattato di un processo a Cicero, non ai malfattori dei consorzi ASI, probabilmente non solo nella relazione di Cicero, ma nella trascrizione dei componenti della Commissione antimafia e nelle dichiarazioni che hanno reso in quella sede.
  Scusate, ma purtroppo ho un volo e devo rientrare entro una certa ora in Sicilia. Vi prego di scusarmi se vado via in anticipo, ma col presidente Montante siamo rispettivamente intercambiabili, quindi potrei ripetere quello che ha detto lui e lui quello che ho detto io. Abbiamo fatto questo percorso insieme. Oltretutto, l'amicizia c’è sempre e poi il lavoro cementa quest'amicizia e la rende indissolubile, quindi credo che il fatto che vado via non comporterà nessun problema. Il presidente Montante è veramente molto bravo.

  PRESIDENTE. Grazie.

  ANTONELLO MONTANTE, presidente di Confindustria Sicilia. Senatore Lumia, non ci sono dubbi che sono territori che ancora non hanno applicato in maniera rigorosa il codice o i protocolli confindustriali, ma ci sono molti segnali di miglioramento. In Calabria, imprenditori e anche dirigenti di Confindustria hanno denunciato alla procura di Reggio, al procuratore, dottor Prestipino, al dottor Pignatone, quando era a Reggio. Me ne sono occupato direttamente e segnali positivi ce ne sono.
  Il PON sicurezza parte da Caserta e si chiama Caserta-Caltanissetta perché per noi era importante posizionare e dare un Pag. 18segnale forte in quei territori dei Casalesi. Oggi, se il PON sicurezza troverà impiego, spenderemo qualche risorsa nel portare avanti delle iniziative e si inizierà proprio da Caserta.
  Non siamo partiti da Napoli. Teoricamente, bisognava scrivere Napoli-Caltanissetta o Napoli-Palermo, ma ci siamo concentrati su Caserta per dare un messaggio politico forte. Questa è la risposta al suo dubbio su cosa stesse facendo Confindustria in tal senso.
  Devo dirle una cosa importante. Sia con la presidenza Marcegaglia sia con la presidenza Squinzi non abbiamo mollato un attimo questi territori nel divulgare questo tipo di cultura. Insieme ai prefetti abbiamo firmato decine di protocolli di legalità, che sembrano cose piccole, ma piano piano cambiano il modo di pensare delle territoriali. Penso che abbiate anche notato una cosa importante nella relazione all'assemblea di Squinzi di una settimana fa: Squinzi dice – naturalmente, è un tema che riguarda me, quindi l'ho scritto io – che oggi non espelliamo solo chi delinque sui temi della mafia, ma anche chi corrompe e questo è importante. La corruzione viene da noi sancita con l'espulsione, un'altra sanzione sociale da parte nostra, che non è una cosa da poco. Qualche anno fa neanche si poteva parlare di quest'argomento.
  Siccome ci rendiamo conto che il problema diventa sempre più rilevante, dobbiamo dare un messaggio preciso ai nostri colleghi che la corruzione non è un reato minore. Questo è il messaggio che è passato. Il presidente Squinzi l'ha messo nei primi passaggi della relazione di qualche giorno fa.
  Vorrei rispondere su Trapani. Quello di Gregory Bongiorno è un risultato inaspettato. Conosco la storia di Gregory Bongiorno, un bravo giovane imprenditore che opera nel settore dei rifiuti a Trapani, ma non avrei mai pensato che senza un'azione giudiziaria si convincesse a denunciare il potenziale estortore che lo avvicinava sotto casa davanti ai figli e alla moglie.
  Conosco bene la questione perché ero in vacanza al mare, a Cefalù, dove mi chiamò spaventatissimo raccontandomi qualcosa al telefono. Lasciò la sua famiglia, mi raggiunse, mi raccontò tutta la questione. Chiamai subito il questore di Palermo, il procuratore di Palermo e il pubblico ministero che aveva la delega su Trapani: praticamente, in quindici giorni hanno arrestato i delinquenti.
  La cosa importante, però, è che c’è stata un'ammissione di colpa dopo pochissimi giorni. Questo è un grande risultato. Grazie a Gregory Bongiorno si può aprire un nuovo scenario. Ci lascia ben sperare che Trapani possa cambiare in positivo.
  Lei ha fatto cenno anche all'altra signora, ma oltre a questi, ce ne sono già decine che corrono a collaborare, quindi sul tema specifico sono molto ottimista, anche se sono piccoli segnali. Certo, non cambieremo dall'oggi all'indomani radicalmente il fenomeno.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Montante. Posso dire che siamo soddisfatti di quest'audizione perché, oltre alle cose che ci avete detto e al materiale che ci farete pervenire, penso che aprano per questa Commissione alcune possibilità ulteriori di ricerca e di approfondimento.
  Tengo anche a sottolineare che abbiamo apprezzato le parole del presidente Squinzi sulla corruzione. Oggi più che mai, anche dopo i fatti di cui siamo venuti a conoscenza ieri, queste parole del presidente rendono la collaborazione preziosa del suo lavoro come incaricato della legalità particolarmente attuale e importante.
  Questa Commissione di per sé non ha una competenza specifica sui temi della corruzione, ma ci accorgiamo sempre di più che il rapporto tra mafia e corruzione è talmente stretto che non credo che potremo risparmiarci nello spingerci a ricercare, oltre che strumenti, leggi, atteggiamenti, comportamenti per combattere la mafia, anche quelli per combattere la corruzione.
  È nostra intenzione anche prendere in esame la normativa sui contratti, sugli appalti. Giustamente, oggi il Presidente del Consiglio ha detto che le leggi ci sono, che il problema sono i corrotti, i ladri, i Pag. 19delinquenti e così via. Ha ragione, ma è anche vero che forse c’è anche un apparato normativo in questo Paese che in qualche modo non è stato sufficientemente in grado di prevenire comportamenti che sicuramente fanno riferimento alle persone, alle organizzazioni e a chi si è reso responsabile di questi reati.
  Ho cominciato a far politica venticinque anni fa e nel giro di qualche anno da segretario regionale del mio partito del Veneto mi trovai nella bufera di Tangentopoli: vedo ritornare gli stessi nomi per quanto riguarda sia la politica sia gli imprenditori.

  ENRICO BUEMI. Le cifre sono aumentate.

  PRESIDENTE. Le cifre sono aumentate. Oltretutto, l'euro ha avuto, chiaramente, un effetto anche da questo punto di vista.
  Penso che un Paese debba reagire di fronte a tutto questo. Lo si fa con una buona legislazione e con comportamenti virtuosi da parte di tutti. Questo chiama in causa le forze politiche, la pubblica amministrazione, ma anche tutto l'associazionismo imprenditoriale, di cui voi avete dato buona prova, appunto, a partire dalla Sicilia nei confronti della mafia. Credo che, se questo atteggiamento si allargherà anche nei confronti della corruzione, darà una possibilità di riscatto a questo Paese.
  Oltretutto, sarebbe arrivato il momento, insieme ai nomi di coloro che continuano a corrompere e che hanno corrotto e che si sono corrotti, di fare i nomi anche di chi in questi anni sul versante della politica, dell'amministrazione, delle imprese, ha continuato ad avere atteggiamenti virtuosi. Non è accettabile che soltanto da ciò che non c’è stato nella storia possa venire il rinnovamento. Credo, infatti, che accanto a chi si è corrotto, ci sia stato chi in questi anni da una parte e dall'altra ha continuato ad avere atteggiamenti virtuosi, ha denunciato, ha pagato prezzi alti per non essersi piegato. Credo che sia arrivato anche il momento di cominciare a dirlo, quindi grazie ai commissari.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.45.