Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3
Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, sulle linee programmatiche del suo dicastero in materia di politiche sociali
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3
Poletti Giuliano , Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 3
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 8
Patriarca Edoardo (PD) ... 9
Gigli Gian Luigi (PI) ... 9
Lenzi Donata (PD) ... 10
Murer Delia (PD) ... 12
Piazzoni Ileana Cathia (Misto-LED) ... 13
Binetti Paola (PI) ... 14
Carnevali Elena (PD) ... 16
Albini Tea (PD) ... 17
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 18
Beni Paolo (PD) ... 18
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 20
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIERPAOLO VARGIU
La seduta comincia alle 8.35.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, sulle linee programmatiche del suo dicastero in materia di politiche sociali.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, sulle linee programmatiche del suo dicastero in materia di politiche sociali.
A nome mio e dell'intera Commissione, ringrazio il ministro per la disponibilità odierna e per l'occasione di confronto che ci viene data.
Il ministro mi dice che il suo intervento di enunciazione sulle linee programmatiche avrà una durata di circa 20 minuti. Dopodiché ovviamente ci sarà la possibilità da parte dei colleghi di fare qualche breve domanda, e il ministro dà ampia disponibilità per le risposte del caso.
Do la parola al Ministro Poletti per lo svolgimento della sua relazione.
GIULIANO POLETTI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie. Buongiorno a tutti. Naturalmente l'arco delle tematiche che fanno riferimento alle competenze di questo Ministero intorno alle questioni sociali è assolutamente molto ampio.
Pertanto, se pretendessi di illustrare ciò che stiamo facendo, ciò che pensiamo di fare e quali sono i programmi e i progetti su tutte queste materie in maniera diffusa, credo che non sarebbe compatibile con i tempi di questa discussione.
Io cercherò di limitare la mia presentazione ad alcuni elementi essenziali, a partire dall'idea di fondo che sta alla base di ogni azione che stiamo cercando di costruire e una specificazione riferita alle questioni che io considero essenziali. Naturalmente ci sarà la possibilità di allargare questo confronto con le vostre domande e le vostre osservazioni. Se fosse necessario, non c’è alcuna problematicità a tornare in Commissione e a informare più puntualmente rispetto a ciò che si ritenga utile e necessario fare.
Io partirei da un primo dato di tipo generale che riguarda la lotta alla povertà. Secondo i dati del nostro Ministero, di tutte le istituzioni, le associazioni e le organizzazioni che si occupano di problematiche sociali e della povertà, siamo di fronte a una situazione di peggioramento significativo di questa condizione. Ciò naturalmente è legato alla dinamica economico-sociale degli anni recenti, in cui c’è stata l'apertura di una forbice tra le diverse fasce della società e, in particolare, un elemento di impoverimento di un'area sempre più ampia di cittadini.
Ciò ha prodotto una situazione che tende a differenziarsi, nel senso che abbiamo una serie di componenti sociali che Pag. 4si appalesano come oggettivamente più a rischio. Abbiamo problemi che riguardano le persone anziane e sole, problemi che riguardano le famiglie monoparentali, problemi che riguardano i bambini. Abbiamo una serie di situazioni che ci richiedono un'analisi puntuale e una fissazione molto più precisa dei criteri, delle modalità, dei parametri e degli strumenti di intervento.
Infatti, l'aprirsi di questa forbice, le risorse sempre più limitate e l'ampliamento del bisogno ci costringono, se vogliamo fare un'azione che abbia un suo tasso di equità e di efficacia, a fare riflessioni più puntuali, più mirate e anche più coerenti.
C’è una scelta fondamentale che stiamo cercando di praticare in termini generali, che riguarda l'idea dell'inclusione attiva e della partecipazione responsabile delle comunità alle politiche.
Il trasferimento monetario si è dimostrato nel tempo uno strumento inadatto a fronteggiare problematiche che hanno una specifica complessità e una particolare definizione per singolo caso.
Di conseguenza, o scegliamo la strada del prendersi carico, definendo progetti puntuali, individualizzati e mirati alla condizione specifica, oppure, se operiamo con interventi di tipo generale che tendono a trasferire risorse, al di là del fatto che risorse adeguate oggi non ci sono, rischiamo di fare un'azione poco efficiente, che non andrebbe a mettersi in relazione diretta con la condizione effettiva della famiglia, del capo famiglia, e di tutti i soggetti interessati.
Ogni nostra azione sul versante sociale ha questa logica: costruire una strumentazione capace di mettersi in relazione e di attivare prima di tutto i soggetti interessati, per aiutarli a uscire dalla condizione di povertà, di problematicità o di esclusione e fare in modo che a questo obiettivo partecipino un'area ampia di soggetti.
Banalizzando, il comune non dovrebbe essere il soggetto che fa le graduatorie, ma dovrebbe essere il soggetto che fa la regia, che attiva la parrocchia, le organizzazioni del terzo settore, l'ufficio per l'impiego, l'ASL, i servizi e tutte le strumentazioni capaci di organizzare un intervento che prenda in carico quella situazione.
Diversamente, se noi continuiamo ad agire per linee verticali, per cui la sanità si occupa di sanità, l'assistenza di assistenza, la scuola di scuola, alla fine non riusciamo a produrre quella massa critica di intervento capace di raggiungere l'esito, che è appunto quello di consentire a quell'individuo o a quella famiglia di uscire da quella condizione.
Questa è la nostra idea in termini generali, che parte e si è sperimentata in questa prima fase con il SIA (sostegno all'inclusione attiva). Voi sapete che è stato sviluppato un progetto sperimentale che ha riguardato un nucleo di città. Sulla base di questo lavoro, abbiamo raccolto una serie di elementi e abbiamo già deciso di cambiare alcuni elementi di impostazione.
Ne cito uno per tutti: la logica del bando dimostra una sua plateale inefficacia, perché fa perdere una quantità inenarrabile di tempo e, dall'altra parte, rischia di produrre più burocrazia che un esito utile.
Bisogna quindi provare a fare quello che dicevo prima, cioè lavorare a costruire strumenti di azione permanente, perché le politiche senza strumenti sono delle declamazioni.
Bisogna cercare di fare in modo che si costruisca una rete effettiva, cioè una strumentazione sistematicamente in grado di intervenire. Naturalmente le risorse diventano il liquido che gira dentro la rete. Se non abbiamo costruito la rete, noi possiamo avere qualche secchio d'acqua da qualche parte e possiamo annaffiare qualche pianta, ma non faremo sicuramente una buona opera di intervento sul versante sociale.
Per quanto riguarda il SIA, noi abbiamo la condizione per estendere la sperimentazione alle regioni del Mezzogiorno. Abbiamo aperto una riflessione intorno all'estensione attraverso i fondi comunitari a tutto il territorio nazionale, ma il punto vero è che da questo punto di vista bisogna fare una riflessione un po’ più articolata, Pag. 5che noi abbiamo cercato di definire nella volontà di partire per lanciare un piano nazionale di lotta alla povertà.
È chiaro che questa questione ci pone un problema molto serio, perché la definizione di sperimentalità, due volte su tre, è servita essenzialmente a fare i conti con l'insufficienza delle risorse. Non essendo in grado di impostare una politica organica sul territorio nazionale e su tutte le situazioni che ci sono, l'alternativa diventa quella di approcciare questo tema in via di «sperimentazione».
Da una parte, io credo che non sia cosa saggia nascondersi il problema; dall'altra parte, considererei poco saggio anche buttare quanto di buono si è fatto o si è venuto a conoscere attraverso la sperimentazione.
Io credo che sia giusto utilizzare al meglio gli elementi che abbiamo recuperato dalla sperimentazione, estendere con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione la nostra capacità di intervento e lavorare a definire un piano nazionale di lotta alla povertà che cerchi di produrre l'esito sperato, cioè cercare di coordinare, collegare, connettere e rendere più efficaci tutte le azioni e tutte le risorse che abbiamo a disposizione.
Se riusciremo a realizzare questo passaggio, probabilmente riusciremo a fare di più e meglio.
È nostra intenzione aprire un confronto con tutte le organizzazioni che agiscono su questo versante e che si sono attivate in questa fase, avanzando proposte e progetti, per misurarci con questi soggetti e lanciare un'idea di piano nazionale di lotta alla povertà.
C’è poi una seconda questione che riguarda gli aiuti agli indigenti e il Fondo europeo di aiuto agli indigenti. Per questa seconda questione mi corre l'obbligo di rettificare alcune affermazioni che sono state fatte recentemente sulla stampa, perché le cose non stanno nei termini in cui sono state rappresentate.
L'Italia è stata tra i primi Paesi europei a inviare a Bruxelles il programma operativo per l'utilizzo dei fondi. L'11 giugno scorso abbiamo presentato il nostro programma e abbiamo messo a disposizione, anticipandola, una somma consistente, pari a 40 milioni di euro, ovvero quasi la metà del totale assegnato al nostro Paese per la prima annualità.
Ci siamo trovati di fronte a uno dei classici problemi che si propongono quando a livello europeo si cambiano i programmi, come è accaduto in questo caso. Si è chiuso un programma e se n’è aperto un altro. Tra la chiusura del primo, il lancio del secondo, i tempi per fare le domande e i tempi per ottenere l'autorizzazione, ci vogliono minimo dodici mesi. Se qualcuno non si preoccupa di gestire la transizione, inevitabilmente si apre un buco.
Noi abbiamo fatto tutto il possibile: abbiamo anticipato una quota delle risorse, abbiamo anticipato di sei mesi l'intervento e abbiamo recuperato sei mesi sui dodici che di fatto produce il passaggio da A a B. Noi siamo consapevoli di questo dato, però da questo punto di vista onestamente penso di poter affermare che lo sforzo che abbiamo fatto non è stato banale.
Ad ogni modo, con il nuovo fondo, anche condividendolo con i soggetti che fanno la gestione, saranno finanziati, oltre agli interventi volti a mitigare la povertà alimentare (servizi di mensa, distribuzione di pacchi alimentari, empori sociali eccetera), anche nuovi programmi per combattere la povertà educativa, prevedendo la distribuzione di materiale scolastico ai minori appartenenti a nuclei familiari in condizioni di grave disagio economico, aprendo le scuole al pomeriggio, fornendo servizi di refezione scolastica nei contesti di maggiore deprivazione economica e problematicità sociale, per aiutare specificatamente i senza dimora e le persone più fragili.
Rispetto al Fondo sociale europeo, è stata stabilita la presentazione del PON inclusione, che ha come obiettivo quello di supportare l'implementazione della sperimentazione del SIA, e quindi l'estensione e anche la modifica, nella logica che dicevo prima, dello stesso SIA.Pag. 6
Il ragionamento è quello che ho ricordato: cerchiamo di costruire strumenti che ci aiutino a far sì che le risorse economiche che metteremo in campo abbiano alla base una strumentazione capace di rendere efficace ed efficiente il nostro intervento. Sintetizzando, si tratta di costruire gli strumenti per poter usare le risorse.
Abbiamo un tema ulteriore che è quello della partenza del nuovo ISEE. La nostra previsione è di partire il primo gennaio 2015. Avremmo potuto partire qualche settimana o qualche mese prima. Abbiamo ritenuto, su richiesta degli enti locali, ma credo anche per una giusta valutazione, che non fosse opportuno anticipare questa partenza, poiché molti servizi locali partono in corso d'anno. Noi ci siamo confrontati con il tema dell'apertura delle scuole e dei servizi per l'infanzia. Introdurre a metà anno o in corso d'anno il nuovo ISEE avrebbe aperto una serie di problemi complessi per tutti gli enti che hanno l'ISEE a base delle proprie scelte di valutazione rispetto all'utilizzazione delle tariffe.
Abbiamo, quindi, stabilito di partire dal primo gennaio, in maniera tale da evitare problemi di questa natura. Noi abbiamo informato e informeremo tutti gli enti che dal primo gennaio c’è la partenza di questa nuova strumentazione, dimodoché tutti abbiano il tempo di implementare i loro regolamenti comunali e regionali e che tutto ciò che deve essere fatto possa essere fatto per tempo. In questo modo vorremmo evitare che capiti quello che spesso capita, ovvero che arriviamo all'ultimo giorno con i cittadini che diventano matti a capire quello che debbono fare o come si devono comportare.
A fine luglio abbiamo avuto l'incontro con regioni e ANCI e abbiamo preannunciato questo dato. Nelle prossime settimane metteremo a disposizione la modellistica che sarà utilizzata e, quindi, tutti avranno tempo e modo per affrontare questa questione.
C’è ancora un tema aperto che riguarda in particolare un elemento di relazione con i depositi bancari e come recuperare questo dato. Ci stiamo ancora lavorando in questi giorni.
La mia impostazione è che dobbiamo ridurre al minimo i disagi e i problemi per i cittadini. Pertanto, se dobbiamo aspettare tre mesi per avere il dato in via automatica, preferisco non fare finta, cioè non mettere nelle regole la condizione di avere quel tipo d'informazione, sapendo che concretamente è quasi impossibile averla. Preferisco aspettare di concludere il percorso normativo che è aperto. Nel momento in cui sarà possibile reperire quel dato in via automatica, lo utilizzeremo.
Io considero sempre che lo Stato e le istituzioni facciano bene a non far finta. È meglio non dire di aver introdotto una norma che prevede una cosa, sapendo che per sei, dodici o diciotto mesi questa non sarà concretamente applicabile. Se per dodici mesi non è applicabile, scriviamo che non è applicabile. Quando arriva ed è applicabile, scriviamo che è applicabile. Altrimenti, scrivendo sei mesi prima che quella cosa c’è, mentre invece non c’è, prendiamo l'abitudine a far finta che ci sia e dopo la lasciamo come sta.
Questa è la logica che ci anima in questo momento. Stiamo lavorando a questa problematica, ma, se non avremo la soluzione completa, la risolveremo diversamente.
Un problema molto importante è il finanziamento nazionale delle politiche sociali territoriali, ovvero il tema del Fondo nazionale per le politiche sociali e del Fondo per la non autosufficienza.
Voi conoscete bene la situazione. C’è stato un dato storico per cui questi fondi sono stati sostanzialmente azzerati al 2012. In seguito il tema è stato riaffrontato, definendo un intervento economico di circa 600 milioni nel 2013 e nel 2014, cumulando i due fondi. Il problema è che non c’è una programmazione poliennale, quindi non c’è una copertura nel bilancio poliennale e ogni anno c’è l'esigenza di rideterminare questa condizione.
Naturalmente il Ministero delle politiche sociali, nella predisposizione delle esigenze Pag. 7per la legge di stabilità, ha già fatto presente questa situazione. Ne stiamo discutendo in questo momento. Questo è un tema su cui cerchiamo di lavorare, perché venga risolto in via strutturale. Altrimenti siamo nell'alea sistematica del fatto che ad ogni legge di stabilità si deve riaprire una discussione per definirne l'entità e le forme. È un problema assolutamente rilevante, che è comunque presente al Ministero, che ha predisposto la richiesta in vista della legge di stabilità.
C’è un altro elemento che vorrei segnalare: siamo a conclusione dell'attivazione del casellario dell'assistenza, del sistema informativo dei servizi sociali e della banca dati delle prestazioni sociali agevolate. Io credo che questo sia un passaggio molto importante, che ci consegna uno strumento che finalmente ci consente, da una parte, di combattere fenomeni di frodi e comportamenti illegali o illegittimi e, dall'altra, di fare un monitoraggio dei fatti, di analizzare la realtà e, sulla base di questa analisi, di prendere in maniera più lucida, più definita e più puntuale le nostre scelte politiche.
Voi sapete che fino ad ora noi abbiamo esclusivamente i dati riferiti alle prestazioni che dipendono dall'ISEE e fondamentalmente a quelle che passano attraverso l'INPS, mentre tutte le altre prestazioni erogate da soggetti diversi, che siano comuni, regioni o altri, erano ignote. Naturalmente si produce una situazione per cui può accadere che allo stesso soggetto vengano erogate una pluralità di prestazioni o nessuna prestazione in maniera «inconsapevole».
Avere finalmente questo tipo di strumentazione ci dovrebbe consentire di evitare problemi di questo genere e, dall'altra parte, di combattere comportamenti sbagliati e frodi.
Teniamo conto che questa è una delle condizioni storiche di difficoltà ad impiantare delle politiche sociali degne di questo nome. Infatti, ogni volta che si discute di queste questioni il tema diventa: come facciamo a determinare i soggetti che hanno titolo a quel tipo di prestazione ? A fronte di questa incertezza, l'esito finale è che le cose non si fanno. Oppure si montano dei sistemi di tutela, controllo, verifica e analisi, per cui sono più i costi, in termini di tempo, burocrazia e carte da preparare, che gli esiti della politica che si fa.
Avere uno strumento sistematico e automatico di banca dati, che permette di rilevare tutte le prestazioni di tipo sociale che vengono erogate per ogni singola situazione, dovrebbe darci più tranquillità anche nel fare le scelte di politica sociale, perché a quel punto si dovrebbe ridurre il grado di alea per cui «non so e, siccome non so, non faccio».
In questo modo ci mettiamo nella condizione di sapere, e a quel punto non fare è un atto di responsabilità o di irresponsabilità. Questa è una parte assolutamente importante che stiamo sviluppando.
Da ultimo, ricordo velocemente il Programma di azione biennale per le persone con disabilità. È stato approvato il primo programma, dentro il quale ci sono le priorità, e riattivato l'osservatorio nazionale. Abbiamo, quindi, la strumentazione che ci deve consentire di sviluppare la nostra attività.
Le priorità che sono indicate riguardano il tema del lavoro e della vita indipendente, il tema dell'amministratore di sostegno, come questione particolarmente rilevante, e naturalmente il tema dell'accertamento delle condizioni di invalidità. Sappiamo che su questo tema c’è una discussione aperta, che va affrontata.
Per quanto concerne il Piano d'azione per l'infanzia, è stato ricostituito l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e abbiamo definito le linee di azione, che riguardano soprattutto il contrasto alla povertà dei bambini e delle famiglie, i servizi socio-educativi per la prima infanzia e la qualità del sistema scolastico, le strategie e gli interventi per l'integrazione sociale e il sostegno alla genitorialità.
Faccio due altre citazioni e poi concludo, perché credo di aver speso abbondantemente il mio tempo.
Credo che voi abbiate già avuto occasione di affrontare il tema, perché è in Pag. 8discussione in questo momento il disegno di legge delega per la riforma del terzo settore, dell'impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale. Noi pensiamo che questa sia una priorità sulla quale è opportuno lavorare. Credo che conosciate il contenuto, quindi non ho bisogno di illustrarlo.
Mi permetto di fare un appello: per quanto possibile, compatibilmente con i calendari dei lavori parlamentari, noi abbiamo un interesse affinché questo provvedimento proceda il più velocemente possibile, considerato anche che sul piano della raccolta delle considerazioni delle parti interessate e della pubblica opinione italiana, c’è stato un lavoro preliminare molto importante, che mette a disposizione una serie complessa di valutazioni che possono essere utilizzate anche nei lavori parlamentari. Credo che questo sia un elemento che posso evitare di approfondire.
Spendo soltanto due parole sull'ultima vicenda che riguarda il tema dell'integrazione, riferita ai flussi migratori verso l'Italia e alla presenza di cittadini stranieri. Questa è un'ulteriore competenza del nostro Ministero.
Voi sapete che al primo gennaio 2014 sono regolarmente presenti in Italia 3 milioni e 874.000 cittadini non comunitari. In questo contesto oggi c’è una modifica della governance dei processi nella relazione tra i ministeri, per cui c’è una separazione delle competenze.
L'accoglienza fa riferimento al Ministero degli interni. C’è il tentativo di dare un'univocità a questa competenza, perché la frammentazione produceva effetti piuttosto negativi. C’è poi il tema della relazione con gli enti locali e con le regioni, quindi c’è un problema di governance complessivamente inteso.
Dall'altro lato, rimane in carico al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la tematica dell'integrazione. Da questo punto di vista, faccio solo una considerazione: oggi il dato più evidente è quello dell'esigenza di integrazione sul versante sociale e del lavoro. Le tematiche dell'occupazione, se sono un problema per tutto il nostro Paese, lo sono anche per i cittadini immigrati nel nostro Paese.
Poiché siamo di fronte a famiglie che molto spesso hanno un numero significativo di bambini e di ragazzi, i problemi di ordine sociale e di povertà rischiano di ricadere in maniera pesante su questa popolazione.
Il nostro impegno essenziale è cercare di lavorare in termini generali sul versante dell'integrazione, ma avendo particolarmente a riferimento la tematica del lavoro, perché questo è l'elemento che produce a cascata una serie di problemi ulteriori rispetto ai nuclei familiari e alle comunità.
Abbiamo l'esigenza di lavorare su questo versante, sistemando la governance, come abbiamo cercato e stiamo cercando di fare per quanto riguarda, da una parte, il tema dell'accoglienza e, dall'altra parte, il tema delle politiche sociali.
Questo è ciò che io ho scelto di evidenziare tra la quantità non limitata di problematiche, di progetti e di programmi che abbiamo in campo da questo punto di vista. Naturalmente, come ho detto in apertura, sono pronto a rispondere, per quanto possibile, alle vostre domande in questo momento ed eventualmente, se fosse necessario, a tornare in Commissione per documentare e rispondere più puntualmente alle vostre eventuali esigenze.
Grazie per l'attenzione.
PRESIDENTE. Grazie a lei, ministro. Immagino che quello che lei ci ha rappresentato sia uno dei settori che interessa maggiormente i parlamentari che fanno parte della nostra Commissione. Le domande non mancheranno.
Il ministro ha dato la sua disponibilità a ritornare eventualmente per approfondire, però se riuscissimo a essere ficcanti con le domande, otterremmo delle risposte puntuali e forse riusciremmo a terminare nella giornata odierna l'audizione, che sarebbe in questo modo più compatta.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
EDOARDO PATRIARCA. Ringrazio il ministro per l'illustrazione. L'auspicio è che questa Commissione abbia la possibilità di reincontrarla per affrontare i punti che lei, ministro, ci ha proposto, che sono tutti di grande rilevanza per la ripresa di questo Paese e per uscire da questa crisi profonda che sta attraversando tutti i nostri territori.
Io proporrei sinteticamente tre punti, per stare nei tempi. Rispetto alla sua introduzione, che condivido, a proposito di lotta alla povertà, di coinvolgimento dei soggetti e delle comunità e di questa regia auspicata degli enti locali, mi domando se non si possa trovare il tempo, il luogo e lo spazio per recuperare lo spirito della legge n. 328 del 2000, che in fondo su questi temi offriva una cornice di princìpi, di azioni e di orientamento.
Quella legge-quadro è stata un po’ dimenticata negli anni. Io mi domando se non la si possa in qualche modo recuperare, come cornice di aiuto e di azione, soprattutto nella gestione delle politiche territoriali.
La seconda questione che lei ci ha proposto, ministro, e che io come – penso – tutti i colleghi, reputo dirimente, perché coglie il punto dalla vicenda, riguarda la legge di stabilità.
Se decidiamo che le politiche sociali tornano ad avere un posto centrale nella vita di questo Paese e che vanno indicate, non soltanto nella voce spesa, ma anche nella voce investimento, la questione è come verranno finanziati i fondi, anche per il terzo settore, che rientra in questo contesto. Penso al 5 per mille, al servizio civile universale e all'impresa sociale, ma anche al Fondo sociale e al Fondo per la non autosufficienza.
Ministro, io credo di poter dire anche a nome di tanti colleghi che questo pacchetto di risorse che l'anno scorso abbiamo «strappato» con una certa insistenza al Governo (parliamo di 600 milioni) auspicabilmente va mantenuto o, se mai, incrementato.
Se su questo non arrivano segnali chiari dal Governo, ho paura che per noi sarà faticoso dire che il sociale e il lavoro diventano un punto centrale e strategico per il Paese.
Su questo io mi aspetto davvero un segnale chiaro e forte di rilancio, se non di maggiori investimenti. Non si deve pensare a spese, ma appunto a investimenti, perché il sociale è un investimento a tutto tondo.
Concludo con un'ultima battuta. Sulla vicenda infanzia e povertà, gli ultimi dati ci dicono che questo Paese ha i tassi più alti di povertà infantile. Si parla di 1,5 milioni di soggetti, se ricordo bene. Dietro i bambini di norma ci sono le famiglie. Mi chiedo se sul tema del sostegno alle famiglie numerose, che sono quasi sempre le famiglie più povere, avremo qualche azione e qualche svolta in questa direzione. Anche questa è attesa da tempo.
Il Presidente del Consiglio ha parlato spesso di questa vicenda, del quoziente familiare o comunque di un intervento in questo campo. Le domando se avremo dei segnali. Peraltro, mi pare che a novembre avremo la conferenza nazionale sulla famiglia. Proprio affinché la conferenza non sia la solita tornata di relazioni più o meno dotte sulla famiglia, io le chiedo se su questa vicenda, a partire dal tema dell'infanzia, che non ci fa onore come Paese, avremo qualche segnale di attenzione nei prossimi mesi.
GIAN LUIGI GIGLI. Grazie innanzitutto per la visione di insieme, che condivido totalmente. Grazie in particolare per l'adesione, che mi è parsa molto convinta, alle logiche della sussidiarietà all'interno del welfare. La ringrazio anche per la sintesi. È riuscito a dirci tutto in un tempo molto ragionevole.
Riprendo da dove ha lasciato l'amico Edoardo Patriarca. Io penso sia sotto gli occhi di tutti il dato di questa mattina: l'Italia in tempi di crisi ha perso 62.000 nascite. La desertificazione demografica del Paese sta procedendo veramente in maniera impressionante, accelerata dalla crisi, della quale è, in parte, una conseguenza e, in parte, anche causa. Sembra Pag. 10ormai che ci siamo infilati in un circolo perverso, quello classico del cane che si morde la coda.
La mia domanda riprende quello che diceva il collega: quali segnali possiamo dare, tenuto conto che gli ultimi che abbiamo dato (non mi riferisco al suo Ministero, ma all'azione di governo) francamente non sono stati incoraggianti ?
Si tratta di provvedimenti in sé buoni (penso al discorso degli 80 euro, che tutti abbiamo condiviso), ma che si sono tradotti in un sostanziale fattore di iniquità rispetto alle famiglie e in particolare a quelle numerose.
Penso al discorso della TASI. Malgrado lo sforzo del Parlamento di prevedere la copertura di un fondo per la detraibilità che si facesse carico dei problemi delle famiglie, secondo i dati che ho io, questo è stato completamente disatteso dal 60 per cento dei comuni, per cui il carico familiare non è stato tenuto in alcuna considerazione.
Io mi chiedo se non sia il caso di dare qualche segnale a livello di welfare, tenuto conto che ormai queste famiglie sono già nella povertà o nella border line rispetto alla fascia di povertà.
Le chiedo in particolare se è possibile dare un segnale in merito a due temi. Il primo è di per sé banale, ma significativo dal punto di vista simbolico. Abbiamo chiesto l'istituzione di una giornata nazionale per la famiglia. Quest'anno ricorre il ventesimo anniversario dell'istituzione della giornata della famiglia a livello universale e l'Italia non lo ha ancora fatto. Io penso che la conferenza nazionale di novembre potrebbe essere l'occasione nella quale il Governo, tramite lei o il sottosegretario che ha la delega per la famiglia, dia un impegno concreto a fare avanzare in Commissione affari costituzionali questa proposta, che è a costo zero, ma che avrebbe un alto valore simbolico di promozione.
La seconda proposta, invece, è molto più concreta e riguarda la legge di stabilità. Il collega Patriarca ricordava che l'anno scorso siamo riusciti, con le unghie e con i denti, a strappare una quota significativa, però forse potremmo fare dell'altro.
Vorrei ricordare un passaggio dell'anno scorso, che il Ministero dell'economia rifiutò e che forse sarebbe stato a costo zero o addirittura a saldo positivo per l'erario. Mi riferisco alla possibilità di prevedere delle detrazioni fiscali per le famiglie in aree che normalmente conoscono il massimo dell'evasione.
Una detrazione consistente per le famiglie avrebbe potuto tradursi, da un lato, in un risparmio soprattutto per le famiglie numerose e, dall'altro, nell'emersione di una fascia di sommerso. Questa non è la sede per indicare quali fossero i settori, ma ne avevamo individuati alcuni che erano fortemente a rischio di completa evasione fiscale. Far emergere questo sommerso, in pratica, significa autofinanziare il beneficio.
È evidente che adesso il problema è l'applicazione dell'ISEE, però, come lei sa, le scale di equivalenza dell'ISEE sono state contestate da subito dalle associazioni familiari. Pur avendo dato corso all'applicazione, dobbiamo cominciare a pensare a un sistema di revisione di queste scale di equivalenza, che tenga effettivamente conto di questo. Infatti, le antenne che abbiamo ci dicono che c’è qualcuno che addirittura verrebbe penalizzato.
In mezzo alle buone cose che ci ha detto, penso che un altro tassello da aggiungere potrebbe essere la proposta di legge sul voucher universale, che credo darebbe una risposta concreta a tante famiglie, nella logica della sussidiarietà a cui lei faceva riferimento.
DONATA LENZI. Ringrazio anch'io il ministro per la relazione, che dimostra la complessità delle politiche sociali.
Tutti noi che ci occupiamo di sociale abbiamo sempre il complesso di Cenerentola, cioè sentiamo di essere gli ultimi della fila. Persino quando si leggono le tabelle noi siamo in fondo. Questo dà un po’ il segnale della preoccupazione con cui ci si muove.Pag. 11
Come lei ha detto all'inizio della sua relazione, in questo momento la situazione sociale sta diventando drammatica in tante aree del Paese, crea condizioni di rabbia e provoca episodi violenti o difficili da affrontare. Come ci è stato ricordato, abbiamo fenomeni gravi di povertà infantile e di disagio generazionale, con presenza di bande. Abbiamo la questione dell'integrazione reale dei migranti arrivati con le varie ondate migratorie. Infatti, abbiamo immigrati arrivati da trent'anni e immigrati arrivati adesso, il che crea enormi problemi da affrontare.
In questa situazione, la gran parte del peso non sta a livello nazionale, se non per la parte che più si collega con le politiche sanitarie, ovvero la spesa per la disabilità, l'indennità d'accompagnamento eccetera (parliamo di 14 miliardi di euro). Questo, però, è solo un pezzo delle politiche sociali. Mancano quelle attive, che aiutano.
Se ci vuole la regia dell'ente locale, e in grande parte delle regioni che hanno applicato la legge n. 328 coi piani di zona il comune svolge questo ruolo, ci vuole anche una forte regia nazionale, che immagino richiederebbe per il suo Ministero un po’ di risorse in più. Sappia che noi, come è stato ricordato dai colleghi, abbiamo già combattuto per aumentare le risorse e siamo pienamente in campo per farlo anche adesso.
Aggiungo una battuta sull'ISEE. Per rispondere al collega Gigli, con cui su questo tema stiamo litigando da anni, forse sarebbe meglio farlo uscire mettendo la data di applicazione in avanti. Se abbiamo il testo ufficiale e si cominciano a fare le proiezioni, i comuni si preparano. Poi entrerà in vigore e i comuni potranno decidere se applicarlo nell'arco dell'anno successivo. Questa incertezza non aiuta.
Il tema delle banche, che lei ha posto, era stato affrontato in sede di discussione dello schema di DPCM sull'ISEE per il parere al Governo. In realtà, i colleghi della Commissione finanze ci dicono che si può fare la determinazione del deposito medio annuo ed è l'Agenzia delle entrate che non vuole condividere questa impostazione, ma in ogni caso l'importante è che il dato nella richiesta ci sia. Se aumentassimo un po’ i controlli, come era obiettivo del piano, allora verificheremmo la corrispondenza con il dichiarato. Mi risulta che sia il dato che viene più spesso falsato, proprio perché chi compila il modulo pensa che non si sarà in grado di verificare. L'ISEE è uno strumento e, quindi, come il casellario eccetera, va messo al servizio di scelte programmatiche.
I colleghi hanno già parlato dell'infanzia e condivido quanto è stato detto. Io aggiungerei il tema degli anziani e della non autosufficienza.
C’è necessita di collaborare col Ministero della sanità. Il Ministro Lorenzin in audizione ci ha detto che è sua intenzione intervenire sulla non autosufficienza e il «dopo di noi».
Sappia che questa Commissione ha incardinato il progetto di legge sul «dopo di noi». Le dirò anche che le associazioni dei disabili audite ci hanno detto che è meglio cominciare a lavorare sull'aiuto alla vita autonoma, prima di arrivare a discutere del «dopo di noi», suggerimento che penso saremo tutti intenzionati a raccogliere.
Anche questo merita una regia da parte del suo Ministero, in modo tale da garantire che si riesca a mettere insieme le risorse, pubbliche e private, sempre insufficienti, che ci sono.
La ringrazio di aver chiarito il tema dei fondi per il sostegno alimentare. Noi abbiamo una forte collaborazione con i colleghi della Commissione agricoltura. Questo tema ha subìto un passaggio di competenze che forse non ha aiutato nella gestione.
Certamente è un segnale della crisi il fatto che dopo tanti anni siamo di nuovo a parlare dei fondi per la lotta alla fame in questo Paese. Era veramente da molto tempo che non eravamo chiamati ad affrontare questo tema.
Noi ci auguriamo che i fondi si trovino, anche in sede di legge di stabilità, e che si possa integrare ulteriormente e rendere il sistema un po’ più omogeneo sul territorio. Pag. 12Infatti, a noi risulta che non in tutte le sedi e non in tutte le regioni ci siano le stesse opportunità.
DELIA MURER. Ringrazio il ministro per la sua introduzione e anche per la franchezza con cui ha presentato i limiti di alcune politiche.
Io mi permetto di intervenire sottolineando alcune esigenze di inversione di tendenza in vista della legge di stabilità. Anch'io ho una preoccupazione che si riferisce alla sua ipotesi di lotta alla povertà incentrata sul comune che fa la regia. Io credo che questo sia più che giusto. Era un'ispirazione che c'era stata proposta dalle legge n. 328.
Vorrei, però, riuscire a collocare questa idea di estensione della social card dai comuni sperimentali ai comuni del Sud, che mi pare fosse già una scelta del Governo Letta, per farla diventare una cosa più concreta che risponda di più a dei bisogni universali.
Il comune fa la regia. Donata Lenzi ricordava che abbiamo tanti territori dove questo esiste, coi piani di zona, quindi non scopriamo il fatto di dover costruire una rete. Una rete in tanti territori esiste.
Quello che è difficile oggi per i comuni è avere le risorse per far funzionare la rete. Le risorse possono arrivare con la social card, riveduta e corretta, come è stato fatto, però io penso che ci siano altri due aspetti da analizzare. Non possiamo pensare che il welfare locale si sostenga da solo.
Io credo che si debba fare molta attenzione al Patto di stabilità e a quello che si chiede ai comuni in generale, perché li appesantiamo di responsabilità, senza poi dare loro degli strumenti.
Dall'altro lato, viene fatto il richiamo al fatto di riuscire a esercitare dei diritti universali sugli aspetti sociali. Torno al tema del Fondo sociale e del Fondo per la non autosufficienza.
Negli anni con il Governo Berlusconi abbiamo avuto dei grandi tagli. Con il Governo Letta il Parlamento era riuscito a costruire delle inversioni di tendenza significative, ma non certo adeguate al tempo.
Oggi, visto che diciamo che l'impoverimento è un punto reale, che tutti fattori ci parlano della criticità dell'inclusione e che il tema della coesione sociale è prioritario per il Paese, credo che dovremmo fare delle scelte più forti su questo.
Pertanto, io la sollecito a non vedere solo gli aspetti sperimentali, ma a cercare di invertire la tendenza e a fare con noi una battaglia, perché il sociale diventi una priorità e l'atteggiamento del Governo nei confronti delle amministrazioni locali cambi.
Vorrei sottolineare anche qualche altro aspetto. Anch'io penso che sia molto importante la riforma del terzo settore. Io credo che sia fondamentale considerare i temi della sussidiarietà e vedere come, tra terzo settore e enti locali, teniamo in piedi il sociale sui territori.
Su questo credo che sia importante proporsi degli obiettivi traguardabili. Occorre pensare come si finanzia il servizio civile universale, come veniva detto dai nostri colleghi, ma occorre anche considerare tutto il sistema delle detrazioni fiscali e delle facilitazioni fiscali che si propongono per il terzo settore, se siamo in grado appunto di proporle e di elargirle.
Se non ricordo male, dal primo gennaio ci sarà anche il problema di evitare l'aumento dell'IVA per le cooperative sociali. Vorrei capire che impegno si prende su questo. Il Governo nella passata legge di stabilità aveva previsto una copertura fino al 31 dicembre. Non vorrei che noi ci approcciassimo a fare una bella riforma e poi avessimo delle difficoltà enormi di tenuta, sia per le cooperative sociali investite da un aumento dell'IVA, sia per gli stessi enti locali e per i servizi che vengono erogati.
Vorrei porre l'accento su altre due questioni. Penso che l'integrazione della popolazione residente immigrata non possa essere un elemento lasciato senza risorse. Credo che debba diventare una priorità, perché lo è dal punto di vista della tenuta sociale, ma lo è anche dal Pag. 13punto di vista dei diritti di cittadinanza. Credo che noi su questo dobbiamo fare delle scelte.
Vorrei sottolineare una cosa che in parte c'entra con il suo Ministero e in parte c'entra con le responsabilità del Presidente del Consiglio in prima persona: il tema dell'entrata in vigore della Convenzione di Istanbul. Con la legge sul femminicidio noi abbiamo fatto delle scelte durante la passata legislatura. Credo che per arrivare ad avere i parametri che la convenzione chiede, ci debbano essere degli investimenti ulteriori nella legge di stabilità anche sul tema del piano contro la violenza, dei centri antiviolenza e delle case protette.
ILEANA CATHIA PIAZZONI. Ringrazio il ministro per aver messo in luce alcune questioni, in particolare l'estensione della povertà.
Vorrei, però, cercare di inserire il ragionamento nel problema più profondo che noi abbiamo, aldilà dei singoli pezzi che dobbiamo affrontare, cioè il dramma che il nostro Paese è chiaramente distante dagli altri Paesi europei in termini di welfare sociale.
Se guardiamo alla spesa sociale nel suo complesso rispetto agli altri Paesi europei, vediamo che più o meno arranchiamo per essere in gara, grazie soprattutto alla spesa previdenziale. Se guardiamo invece alla spesa per il welfare sociale, la situazione è drammatica.
Negli altri Paesi, in realtà, la lotta alla povertà si chiama «sostegno al reddito» ed è esattamente il pezzo che noi non abbiamo.
Quando noi guardiamo alla situazione della Gran Bretagna, della Germania e della Francia, dopo le riforme che sono state chiamate «lacrime e sangue», ci troviamo in una situazione di welfare che per noi è inimmaginabile.
O noi riusciamo veramente a cambiare paradigma, o non ce la possiamo fare. Chiaramente noi paghiamo il prezzo della crisi, ma paghiamo anche il fatto che siamo nel mezzo del tentativo di un'integrazione europea molto forte. Questo sarebbe positivo, se riuscissimo a inserire anche l'aspetto di welfare, per contrastare uno dei cinque giganti di Beveridge che noi abbiamo sempre ignorato.
So benissimo che ci troviamo di fronte a una sfida epocale, però il tema più in luce in questo momento è il Jobs act. Se lei fosse solo Ministro delle politiche sociali, le chiederei di vigilare perché il Ministro del lavoro si ricordi che la flexsecurity effettivamente si riesce a fare solo esclusivamente se si implementa quel pezzo.
Non si tratta solo del reddito minimo garantito, che non è il reddito di cittadinanza, o solo della possibilità di avere centri per l'impiego effettivamente funzionali, ma anche di una serie di cose che noi possiamo variare.
Nemmeno in Romania gli assegni familiari per i figli vengono tolti se non si ha lavoro. Sono diritti della persona, a prescindere dal fatto che si sia impiegati o meno.
L'altra grande questione che mi permetto di segnalare e che normalmente non emerge quando si parla di politiche sociali, per colpa dell'altro grande problema che è la frammentazione, è la questione della casa.
Negli altri Paesi la casa è veramente un diritto, nel senso che i sussidi per poter avere un'abitazione sono qualcosa di scontato già da età molto basse. Questo fa sì che i giovani negli altri Paesi possano indirizzare la loro vita in maniera profondamente diversa. I nostri giovani vengono tacciati di essere bamboccioni, ma nessuno dice che quello che gli altri hanno loro non lo hanno e neanche riescono a immaginarselo.
L'altra grande questione è il fatto che noi, a differenza degli altri Paesi europei, non abbiamo affrontato i cambiamenti che ci sono stati. Ci vorrebbe un discorso di ore, ma sarò veloce.
Faccio un esempio su tutti. La mia generazione (io ho 41 anni) è la prima che si trova ad affrontare un doppio problema. Mentre prima, per una questione di età media di procreazione, i figli potevano essere curati dai nonni, oggi quelli della Pag. 14mia età si trovano nella drammatica situazione di avere a carico sia i genitori, che sono magari di età avanzata, sia i figli, con un sistema di asili nido e servizi per l'infanzia insufficiente e un sistema per la non autosufficienza dettata dall'età ancora più insufficiente. Infatti, un conto è la disabilità cronica e un altro conto sono l'Alzheimer e le altre malattie degenerative. Siamo veramente nell'assenza di ogni servizio.
Io credo che sia veramente un'emergenza. La mia generazione, che peraltro vive una totale condizione di precarietà, non può assolutamente reggere a lungo una situazione del genere.
Infine, sono molto d'accordo con la sua affermazione relativamente al fatto che il comune debba essere il regista di tutto quello che si muove per avere una presa in carico delle persone. Tuttavia, abbiamo un grande problema: anche se il tentativo che è stato fatto dalla legge n. 328 per andare in questa direzione non è fallito, visto che sono state fatte tante cose, ci sono delle criticità.
Le segnalo solo un punto dei tanti. La legge n. 328 prevedeva 34 provvedimenti attuativi e ne sono stati fatti solo sei. Oltre alla parte principale, che sono i livelli essenziali di assistenza sociale e il reddito minimo di inserimento, mancano tantissime altre cose.
Il vero grande problema è che spesso noi chiediamo ai comuni di fare delle cose, però poi non li mettiamo in condizioni di farle. In questo caso non mi riferisco tanto alle risorse monetarie, seppure ovviamente siano un problema. Mi riferisco alla grande questione delle risorse umane.
Tempo fa ho presentato un'interrogazione su questo tema, più per segnalarle il problema che per trovare una risoluzione immediata, che credo che debba coinvolgere anche il Ministro della pubblica amministrazione.
In tante regioni, quelle che sono state pioniere nella legge n. 328, abbiamo una situazione in cui ci sono per lo più consorzi di gestione. Lei viene dall'Emilia-Romagna, dove il problema non c’è, perché il personale che gestisce effettivamente i piani sociali di zona è dipendente dei consorzi e, quindi, non c’è problema.
Nella mia regione, il Lazio, ma anche in Campania e in tantissime altre, questo non è avvenuto. In realtà, la gestione dei piani di zona è in capo al comune capofila, attraverso accordi di programmi e convenzioni. Non avendo spazi nel Patto di stabilità, si crea un paradosso. Dal 2000, cioè da 14 anni, abbiamo persone precarie che offrono quelle professionalità che sono essenziali.
Pongo il problema in maniera quasi cinica, a prescindere dalla questione lavorativa di quelle persone. Senza quelle persone, non saremmo in grado di mantenere quei pochi passi avanti che sono stati fatti, perché rappresentano professionalità, come i sociologi e gli statistici sociali, che non solo i comuni non hanno, ma non pensano minimamente ad avere.
Non è un problema di risorse, perché le risorse per quel personale sono all'interno dei fondi. Il paradosso è che ci servono, abbiamo i soldi per pagarle, ma siccome, giustamente, c’è una stretta rispetto alla reiterazione del precariato e non possono essere stabilizzate, queste persone non possono essere tenute in servizio.
Secondo me, con un po’ di sforzo, almeno questa questione potrebbe essere risolta.
PAOLA BINETTI. Vorrei sottolineare alcune cose che mi sembrano di particolare interesse, in questo momento in cui, da un lato, abbiamo il dibattito sul Jobs act, con tutto quello che rappresenta il tema dell'occupazione e con le sue caratteristiche specifiche, che ovviamente hanno molto a che vedere con la disoccupazione, con l'inoccupazione e con la dismissione di coloro che stanno lavorando; e dall'altro, abbiamo il tema delle famiglie, che pure ci sta a cuore infinitamente.
Ieri è stata pubblicata un'intervista del Ministro Lorenzin, che, intervenendo in un convegno, davanti a quello che da tempo viene denunciato come il fanalino di coda dell'Europa e il Paese dalle culle vuote, ha lanciato il tavolo per la fertilità, in cui Pag. 15saranno affrontati i temi che dovrebbero permettere una ripresa della genitorialità.
Si tratta di un tavolo molto interessante, con tanti medici, ginecologi e psicologici. Peccato che il motivo principale per cui le giovani coppie non si dispongono ad avere figli ha molto più a che vedere con la povertà, con la mancanza dell'abitazione, con la precarietà nel lavoro, con la scarsità delle risorse in atto e anche con la scarsità delle risorse in prospettiva.
Evidentemente non chiedo che si faccia un altro tavolo, però una risposta positiva che dovrebbe venire dal Ministro del lavoro è quantomeno un'implementazione di quel tavolo, per dire che se vogliamo rilanciare la maternità e la genitorialità dobbiamo prendere sul serio altre cose.
Stamattina sentivo nella rassegna stampa delle cifre impressionanti dell'evasione fiscale fornite dal Ministro Padoan. Il ministro collocava l'evasione fiscale al Nord del Paese e l'attribuiva alle regioni che hanno il maggiore indice di sviluppo e si presuppone abbiano anche le maggiori risorse economiche disponibili.
Ieri è stata pubblicata una sentenza in base a cui una persona che non aveva pagato le tasse è stata esonerata dal magistrato perché era in pesante difficoltà economica.
Abbiamo gente che non riesce a pagare le tasse e che non riesce a far fronte a bisogni elementari. Prima si parlava, non solo della povertà, ma addirittura della fame, che sta riapparendo come un sintomo sottile e diffuso nel nostro Paese.
Mi chiedo se gli strumenti della lotta all'evasione nei confronti dei grandi evasori, cioè di coloro che non si impoveriranno, ma semplicemente procederanno a una più equa distribuzione delle risorse, non debbano essere una priorità forte nel nostro Paese.
L'altro aspetto riguarda la riflessione sul carico fiscale che preme sulle famiglie, che oggi si lamentano. È vero che sono stati dati gli 80 euro. C’è stata tutta una messinscena complessa, su cui un giorno qualcuno dovrà fare chiarezza, sull'ICI, sulla TASI e su tutta questa realtà che difendeva un principio straordinario: la prima casa non si tassa. Peccato che tutto questo è diventato uno sprofondare nei rifiuti urbani.
Di fronte a tutto questo, io mi chiedo in che misura noi ci mettiamo davvero dalla parte delle famiglie, assumendo un obiettivo che è la complessità.
Lei forse sa che noi avevamo chiesto che ci fosse un Ministero della famiglia forte, in grado di leggere l'impatto familiare di tutte le leggi che di volta in volta vengono formulate.
Sull'ISEE condivido totalmente quello è stato detto dal mio amico Gigli, per una ragione molto semplice: il Forum delle famiglie fece a suo tempo una simulazione di questo strumento e ne dimostrò l'intrinseca inadeguatezza. Fu impossibile dialogare con l'allora Viceministro Cecilia Guerra, perché era talmente convinta che lo strumento fosse perfetto che non si arrendeva neanche davanti all'evidenza dei risultati che si scaricano sulle famiglie.
Io credo che su questo punto un dialogo più forte e più profondo vada fatto proprio con le famiglie. Come ci dicono molto spesso, direi che più che parlare delle famiglie, di cui peraltro parliamo poco, dovremmo parlare con le famiglie, perché da lì ci vengano davvero le suggestioni sui bisogni reali.
La collega Piazzoni descriveva la situazione drammatica di questa generazione che si deve prendere carico dei figli e dei genitori. Il fatto è che con la longevità oggi devi pensare di doverti far carico dei nonni. Quando si arriva ai 90 anni, quando c’è un aumento delle patologie degenerative e quando tutto questo non assorbe solo in termini di spesa farmaceutica, ma anche in termini di risorse umane, di attenzione, di assistenza e di accudimento, bisogna rivedere molte cose.
C’è un'interfaccia delle politiche di welfare che riguardano il Ministero del lavoro e c’è un'interfaccia forte delle politiche di welfare che riguardano il Ministero della salute.
Lei sa che da anni noi stiamo dietro alla revisione del livelli essenziali di assistenza, ma nell'audacia avevamo perfino Pag. 16immaginato i livelli essenziali di assistenza sociosanitaria, che inglobassero bisogni essenziali.
Non c’è mai risposta, nonostante gli indicatori che ci arrivano siano sempre più drammatici. Il Paese ristagna e siamo il fanalino di coda dell'Europa dal punto di vista della ripresa.
Ma se dal punto di vista della ripresa siamo il fanalino di coda, con una scarsa prospettiva (sembra che, la parità di bilancio, arriverà nel 2017), qualcuno deve pur pensare che il costo maggiore di questa mancata ripresa lo pagano proprio le classi sociali più deboli, le famiglie più numerose e quelle a cui lei stesso accennava, ministro, ovvero le famiglie immigrate che spesso arrivano con una positiva ricchezza di figli, ai quali noi non siamo in grado di dare una risposta adeguata.
Io mi auguro che lei sappia condurre le sue battaglie, sapendo che noi dal Parlamento faremo la nostra parte sul fronte della famiglia, sul fronte della povertà e sul fronte degli aspetti sociosanitari.
ELENA CARNEVALI. Ringrazio il ministro per la sua presenza e per l'opportunità di avere un primo confronto. Ci auguriamo che questa possa essere una modalità sistematica di relazione tra la Commissione e il Ministero. Devo dire che in parte siamo spesso coadiuvati dalla presenza in Commissione della sottosegretaria Biondelli.
Io credo che lei abbia toccato due temi. Il primo è la questione delle linee di fondo e l'idea che non bastano più le linee verticali. Da tempo ci battiamo per trovare sistemi di integrazione sulle linee orizzontali e anche per fare in modo che questa sussidiarietà sia vera e praticata, riuscendo a garantire una governance complessiva del sistema.
Il secondo è il tema della povertà. Io condivido molto il fatto che non siano più sufficienti le erogazioni monetarie e che la sperimentazione nelle dodici città del nuovo modello del SIA debba diventare un sistema di fatto strutturale.
Si parlava dei 40 euro mensili che vengono dati alle persone che possono accedere alla misura della social card. Stiamo parlando di una risorsa economica che è la metà degli 80 che stiamo dando, quindi direi di non sottovalutare che per questa erogazione economica, per quanto non sufficiente, forse il limite sta nel fatto che spesso non si riesce a far parte del sistema. Ci sono alcuni comuni che non sanno neanche quali sono i beneficiari.
Negli enti locali chi si è strutturato ha costituito una banca dati assistita. Il tema è, come sempre, garantire la presa in carico con tutte le misure alle quali i soggetti possono accedere, sulla base dei criteri stabiliti a livello nazionale, l'ISEE e i criteri che successivamente ogni comune può stabilire.
Concordo sul fatto che siamo passati da una fase di sperimentazione a una fase in cui occorre trovare l'obiettivo comune, sapendo che va bene la sperimentazione su città di 250.000 abitanti, ma ovviamente abbiamo bisogno di una misura più diffusa. Come si riesce a integrare il sistema ? Penso che per noi questo sia particolarmente rilevante, visti e considerati i numeri che abbiamo già detto e soprattutto le conseguenze sulla denatalità. Noi abbiamo un tema rilevantissimo: siamo il secondo Paese mondiale per indice di anzianità. Abbiamo questo grande obiettivo a cui dobbiamo far fronte, con tutto quel che ne consegue in termini di difficoltà e di non mobilità sociale. Questo è davvero un tema da aggredire e sarebbe una buona cosa riuscire a capire qual è l'orientamento.
Partendo sempre dal fatto che non bastano più le linee verticali, c’è anche un altro tema che lei ha toccato, che è quello della strutturalità dei fondi. Mi permetto di dire con una certa forza che noi dobbiamo consentire agli enti locali di fare programmazione. Noi spesso, non solo non diamo la certezza delle risorse, ma non diamo neanche la certezza, se queste risorse ci sono, di quando e come vengono stanziate.
Quest'anno abbiamo fatto da subito il riparto del Fondo nazionale politiche sociali. Ad agosto abbiamo fatto il reparto della non autosufficienza, con una mediazione Pag. 17che mi sembra praticata molto bene nelle prassi. Alla fine il mondo dell'associazionismo e gli enti locali hanno trovato una risposta.
La strutturalità dei fondi diventa una condizione sine qua non, perché dobbiamo fare in modo che ci sia una certezza della programmazione. La legge-quadro n. 328, che molti colleghi hanno evocato, spesso cade nella difficoltà di non avere strumenti di programmazione.
Io rimango convinta che, pur nelle difficoltà dei nuovi modelli istituzionali (penso, per esempio alla questione del rinnovo delle province) questa sarà una sfida in più per ragionare in una logica ancora più forte di politiche associate e di politiche di sistema. Noi dobbiamo essere coadiuvanti e aiutare questo processo.
Vengo agli ultimi due temi. Uno riguarda in particolare la legge sul «dopo di noi». Ne ha già parlato il nostro capogruppo, l'onorevole Lenzi. La settimana prossima giungeremo alla fine di questo percorso di audizioni. Ovviamente c’è una grandissima aspettativa, che in parte, a nostro giudizio, diventa uno strumento di aiuto al Governo, necessario anche rispetto al piano di azione per la disabilità.
Ovviamente c’è il tema delle risorse economiche e delle postazioni che possiamo iniziare a pensare di mettere in campo. Bene sarebbe poterle prevedere nella legge di stabilità. Noi ci auguriamo che ci siano, ma, se non ce la facciamo quest'anno, spero che ci sia almeno la garanzia di un budget iniziale che possa fare in modo che questa proposta di legge abbia le gambe per andare avanti, considerando che è un'aspettativa che c’è da anni. Siamo in una fase molto avanzata su questa proposta di legge.
Un'ultima considerazione riguarda il riparto della quota capitaria del Fondo sanitario e l'approvazione dei piani del Patto della salute, che indicano in modo un po’ più sistematico il fatto che politiche sanitarie e politiche sociosanitarie ragionano in una logica sempre più d'integrazione.
Ci sono alcune regioni, che sono state avvantaggiate (questo va detto) da un incremento del reparto rispetto alla spesa storica, che stanno provando a sperimentare di utilizzare una parte della quota sanitaria sulle risorse sociosanitarie.
Io credo che anche in questo caso non dobbiamo ragionare in compartimenti stagni. Le politiche del lavoro e le politiche di welfare stanno insieme, ma c’è anche questa gamba che potrebbe veder strutturare sempre di più un sistema di governance che permetta una presa in carico.
Abbiamo visto i dati preoccupanti che ci sono stati dati anche in questi giorni dal report di Cittadinanza attiva, che ci dicono cosa sta avvenendo sul piano dell'arretramento nell'accesso ad alcune prestazioni, legate in particolare alla fascia della non autosufficienza.
TEA ALBINI. Anch'io ringrazio il ministro per l'onestà con cui ha fatto l'analisi dei problemi che afferiscono al suo Ministero.
Io vorrei partire ricordando il fatto che ho un'esperienza molto particolare. Io sono stata assessore al bilancio del comune di Firenze in epoca non renziana. Conosco molto bene i meccanismi con cui i comuni affrontano il problema del sociale.
Ciò che, secondo me, va rilevato e va preso in considerazione è che per affrontare il problema occorre fare delle scelte politiche strutturali forti su questo tema.
Peraltro, ministro, io le faccio presente che, nonostante l'approvazione e la determinazione con cui il nostro Presidente del Consiglio ha attuato il famoso bonus di 80 euro ai soggetti che avevano determinate caratteristiche, una delle fonti di finanziamento sono stati i tagli dei trasferimenti agli enti locali. Si tratta di un taglio generale, che non riguarda solo le politiche sociali e che produce una riduzione per abitante di un certo numero di euro.
Ciò comporta che gli enti locali automaticamente devono fare delle scelte. Le ricordo che i comuni sono molto diversi fra loro, soprattutto per le condizioni strutturali in cui si trovano. Una delle scelte che fanno è quella di abbassare la qualità e la quantità dei servizi erogati.Pag. 18
Un'altra scelta, che a volte non appare nella gravità che può avere, è l'innalzamento della percentuale di copertura dei servizi a domanda individuale. Automaticamente succede che la mensa per un bambino, anziché costare 4 o 5 euro, va a costare 0,50 euro in più. Questo non appare come un indebolimento delle prestazioni sociali, ma di fatto lo è.
Questa è la condizione in cui i comuni devono affrontare la cronica assenza di finanziamenti necessari a corrispondere la qualità e la quantità di servizi a cui i cittadini di quei comuni erano abituati.
La quantità e la qualità dei servizi erogati ai cittadini del comune di Firenze probabilmente sono molto diverse da quelle dei servizi erogati ai cittadini di un comune molto più piccolo, sperduto, oppure in condizioni di default.
Quando lei parla di piano nazionale e di trasferimenti su progetti, chiedendo ai comuni di fare loro la rete, io le vorrei segnalare che la diversità di prestazioni va considerata. È evidente che questo è un problema. Infatti, è molto difficile tornare indietro, perché paradossalmente, come il famoso cane che si morde la coda, succede che tornando indietro si acuiscono le differenze sociali e, quindi, il bisogno di socialità.
Io le posso dare un suggerimento. Le faccio un unico esempio, visto che prima si parlava di fiscalità. Nella determinazione della TASI è stato stabilito che uno 0,8 è a disposizione dei comuni per potere garantire detrazioni a soggetti verso i quali i comuni stessi ritengono di porre particolare attenzione. Anche questa è discriminazione. Probabilmente, ministro, ogni comune ha dei parametri diversi. Può darsi che la detrazione fiscale nel comune di Firenze vada a certe categorie e in un altro comune ad altre.
Lei diceva, giustamente, che i comuni devono fare rete e devono tenere in mano questo tipo di problematica. Va tutto molto bene, tenendo conto anche di una successiva realtà che si è venuta a creare, per esempio, con la determinazione delle nuove province e delle nuove città metropolitane.
Le faccio un esempio che io conosco molto bene, che è quello di Firenze, ma ciò vale anche per Milano o qualsiasi altra città. È evidente che il livello di erogazione dei servizi sociali di un comune capoluogo di città metropolitana come Firenze risponde a un ragionamento che tiene conto di determinate condizioni. Il comune che fa riferimento a quell'area metropolitana, magari un comune dell'alto Mugello, ha un'altra tipologia di prestazioni, perché che ha altre risorse e altre esigenze. Le segnalo questa particolarità che va tenuta in conto.
Io credo soprattutto che, più che piani nazionali sperimentali, debbano essere previste, anche nella determinazione della nuova legge di stabilità, politiche sociali certe e strutturali.
PRESIDENTE. Avverto il collega Beni, che è il prossimo iscritto, che sta finendo la seconda chiama dei Senatori per le votazioni in Aula. Le chiedo, se riesce, di essere sintetico nel porre le domande. Abbiamo ancora altri due interventi. A questo punto, con la disponibilità già raccolta da parte del ministro, ci riconvocheremo per le risposte e per il completamento del giro di domande.
PAOLO BENI. Cerco di essere brevissimo. Ringrazio il ministro.
Devo dire che condivido molto l'impostazione che lui ha dato alla sulla relazione e condivido molto anche la scelta di dare priorità alla lotta alla povertà e al rafforzamento delle politiche di protezione e inclusione sociale.
A questo proposito, penso che dovremmo prendere atto che purtroppo nel dibattito pubblico di questo Paese questa è sempre una subordinata rispetto all'esigenza della ripresa, della crescita economica eccetera.
Io penso che la politica dei due tempi non regga. Il Paese rischia di non farcela. Non possiamo aspettare. Di fronte a una situazione in cui ci sono l'acutizzarsi dei bisogni tradizionali, l'emergere di nuovi bisogni e la riduzione delle risorse disponibili, come lei ha giustamente detto, non Pag. 19possiamo rinunciare a un sistema di protezione sociale universalistico. Ne va della coesione e della tenuta del Paese e dei diritti fondamentali delle persone.
C’è una questione di fondo che mi sembra di cogliere nel suo ragionamento: noi abbiamo bisogno di mutare profondamente la prospettiva verso un sistema di protezione sociale fondato, non tanto sulle categorie e sull'approccio lavoristico, quanto sulla centralità della persona, nei suoi contesti di vita, di lavoro, di relazioni eccetera. In sostanza, occorre passare da un approccio essenzialmente risarcitorio a un approccio promozionale dell'inclusione attiva.
A questo punto, dobbiamo essere chiari: se le risorse sono poche, va spostato il baricentro della spesa dai trasferimenti monetari una tantum all'implementazione della rete dei servizi, che è ancora carente e soprattutto – questo è il problema maggiore – è disomogenea sul territorio nazionale.
Si tratta di abbassare la soglia di accesso, di definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali e di pensare misure universali di sostegno al reddito.
Mi sembra che ci siano tre nodi. C’è il tema dell'accesso ai servizi e della compartecipazione alla spesa. L'ISEE è una soluzione. Credo che occorra andare rapidamente in quella direzione.
C’è, però, il tema delle risorse. Giustamente tutti i colleghi lo hanno sottolineato ed è quasi superfluo che lo ribadisca. Va ripristinato un livello accettabile delle risorse che sono state tagliate negli anni scorsi. Soprattutto bisognerebbe avere certezza delle risorse in una proiezione almeno pluriennale. Il passaggio della prossima legge di stabilità diventa – ahimè – determinante.
La terza questione è che le risorse vanno usate meglio, dentro un sistema unitario, con un saldo governo nazionale, ma decentrato nel territorio, che consenta agli enti locali di fare interventi di qualità capillari personalizzati.
Non a caso, molti stamani hanno citato la filosofia della legge n. 328. Io credo che si debba riprendere fino in fondo quell'approccio, che ha prodotto esperienze in questi anni nei piani di zona (molte cose sono state citate), spesso vanificate dalle scelte politiche nazionali.
Condivido quello che lei ha detto rispetto alla legge sul terzo settore. Ne abbiamo già discusso anche in altre sedi. Io credo molto in questa operazione, in funzione dell'innovazione e del rafforzamento del sistema di protezione sociale, proprio per la capacità del terzo settore di rilevare i bisogni, di sperimentare soluzioni innovative e di immettere nel sistema quella cultura della responsabilità civica e della sussidiarietà, non intesa come supplenza al pubblico, ma come allargamento dello spazio pubblico e delle responsabilità collettive.
Bisogna essere chiari: per me investire oggi sullo sviluppo del terzo settore significa investire su un volano di rafforzamento e innovazione del welfare pubblico, non su un'alternativa al welfare pubblico. Credo che non sia inutile ribadirlo.
Infine, mi fa piacere che lei abbia fatto un riferimento alla questione dell'integrazione e delle politiche per l'immigrazione, anche perché nel nostro Paese si parla molto di immigrazione a proposito delle competenze del Ministero degli interni e se ne parla molto meno a proposito delle competenze sul Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che invece ci sono.
Io credo che dovremmo spostare il baricentro, anche nella discussione pubblica, dal tema della sicurezza e degli ingressi al tema dell'integrazione, perché siamo già un Paese di immigrazione strutturale e stabile.
Io credo che non abbiamo bisogno di politiche speciali per gli immigrati, ma di un rafforzamento delle politiche sociali per tutti, nel quale la specificità dell'integrazione e dei processi di integrazione sia ben presente.
Siccome stiamo parlando di risorse e di fondi da ripristinare, ricordo che la legge n. 40 del 1998, il Testo unico dell'immigrazione, prevedeva e prevede tuttora (visto che questo punto non è stato toccato dalle successive modificazioni e dalla Bossi-Fini) un Fondo nazionale per le politiche Pag. 20dell'integrazione, che non è più stato rifinanziato nel corso degli anni e che sarebbe particolarmente utile, proprio a sostegno delle esperienze virtuose che si fanno in tante comunità locali.
PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro Poletti, che ci farà sapere a breve quando continueremo l'audizione, con gli interventi dei colleghi che sono ancora iscritti a parlare.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 10.05.