Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconti stenografici delle audizioni

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V, VI e XIV)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 26 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Capezzone Daniele , Presidente ... 2 

Audizione del Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), professor Mario Draghi, sulla politica monetaria della BCE, le riforme strutturali e la crescita dell'area dell'euro (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera):
Capezzone Daniele , Presidente ... 2 
Draghi Mario , Presidente della Banca Centrale Europea ... 2 
Capezzone Daniele , Presidente ... 9 
Bordo Michele (PD) , Presidente della XIV Commissione ... 10 
Boccia Francesco (PD) , Presidente della V Commissione ... 10 
Capezzone Daniele , Presidente ... 11 
Causi Marco (PD)  ... 11 
Pisano Girolamo (M5S)  ... 12 
Ruocco Carla (M5S)  ... 13 
Villarosa Alessio Mattia (M5S)  ... 13 
Busin Filippo (LNA)  ... 13 
Tancredi Paolo (AP)  ... 14 
Bernardo Maurizio (AP)  ... 14 
Marcon Giulio (SEL)  ... 14 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 15 
Sottanelli Giulio Cesare (SCpI)  ... 15 
Librandi Gianfranco (SCpI)  ... 15 
Galgano Adriana (SCpI)  ... 16 
Fauttilli Federico (PI-CD)  ... 16 
Barbanti Sebastiano (Misto-AL)  ... 17 
Capezzone Daniele , Presidente ... 17 
Draghi Mario , Presidente della Banca Centrale Europea ... 17 
Bernardo Maurizio (AP)  ... 22 
Draghi Mario , Presidente della Banca Centrale Europea ... 22 
Capezzone Daniele , Presidente ... 24 
Pisano Girolamo (M5S)  ... 24 
Capezzone Daniele , Presidente ... 24 
Pisano Girolamo (M5S)  ... 24 
Draghi Mario , presidente della Banca Centrale Europea ... 24 
Pisano Girolamo (M5S)  ... 24 
Draghi Mario , presidente della Banca Centrale Europea ... 24 
Pisano Girolamo (M5S)  ... 24 
Draghi Mario , Presidente della Banca Centrale Europea ... 24 
Capezzone Daniele , Presidente ... 24

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DANIELE CAPEZZONE

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), professor Mario Draghi, sulla politica monetaria della BCE, le riforme strutturali e la crescita nell'area dell'euro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera, l'audizione del Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), professor Mario Draghi, sulla politica monetaria della BCE, delle riforme strutturali e della crescita nell'area dell'euro.
  Anche a nome del presidente Boccia e del presidente Bordo e di tutte le colleghe e i colleghi delle Commissioni Bilancio, Finanze e Politiche dell'Unione europea, oltre che personalmente, ringrazio il nostro ospite.
  Il professor Mario Draghi è accompagnato dal dottor Drudi, capo della divisione politiche fiscali dell'area euro, e dal dottor Zizola, responsabile della divisione relazioni con i media della BCE.
  Questa audizione, molto attesa, ha per oggetto il tema, preannunciato ai gruppi, della politica monetaria della BCE, riforme strutturali e crescita nell'area dell'euro.
  Nel dare il benvenuto al nostro ospite, mi fa piacere ricordare che, in termini istituzionali, il Presidente Draghi è tenuto a interloquire in modo diretto con il Parlamento europeo, quindi questa è un'occasione ulteriore che viene offerta, in modo molto utile e positivo, anche al Parlamento nazionale, attraverso le tre Commissioni coinvolte.
  Abbiamo circa novanta minuti di tempo. Nella parte iniziale dell'audizione ascolteremo l'intervento introduttivo del presidente Draghi, poi ci saranno le domande, prima dei presidenti e poi dei rappresentanti dei gruppi politici. Ciascun gruppo avrà tre minuti, che alcuni gruppi hanno scelto di utilizzare con un solo oratore, altri di suddividere fra due o tre oratori. Nella parte finale, ascolteremo le risposte e le conclusioni del Presidente Draghi, al quale, senza frapporre indugio, do immediatamente la parola.

  MARIO DRAGHI, Presidente della Banca Centrale Europea. Vi ringrazio, presidente Capezzone, presidente Boccia, presidente Bordo, e ringrazio le Commissioni per avermi invitato oggi. È sempre un onore per me essere in questo Parlamento, ma oggi, per la prima volta, sono qui come presidente della Banca centrale europea.
  In questo momento, la situazione congiunturale e le prospettive a breve termine dell'area dell'euro sono più favorevoli che negli ultimi anni. Vari fattori contribuiscono ad accrescere la fiducia che la ripresa, finora debole e certamente disomogenea nell'area, acquisti forza e stabilità e che l'inflazione ritorni in modo durevole verso l'obiettivo stabilito dal Pag. 3mandato della BCE, cioè a un valore inferiore ma prossimo al 2 per cento.
  Tre principali fattori confortano le aspettative di ripresa dell'attività economica: gli effetti positivi della caduta dei prezzi dei prodotti energetici; l'orientamento espansivo della nostra politica monetaria, che certamente ha contribuito a ridurre la frammentazione del sistema finanziario e ad assicurare la trasmissione del basso costo del denaro alle famiglie e alle imprese; le riforme strutturali varate in diversi Paesi dell'area dell'euro che, sia pur con differenti velocità e intensità, cominciano a far sentire i loro effetti.
  In questa mia introduzione mi concentrerò soprattutto sul secondo e il terzo fattore, cioè la politica monetaria e le riforme strutturali. Entrambi sostengono l'attività economica, entrambe sono essenziali, ma in maniera diversa.
  La politica monetaria sostiene il ciclo economico, aiuta l'economia ad avvicinarsi al proprio potenziale produttivo, ma non può accrescere questo potenziale produttivo, perché questo dipende dalla struttura dell'economia, dipende appunto dalle riforme strutturali.
  La politica monetaria può raggiungere l'obiettivo della stabilità dei prezzi nell'intera area, ma solo le riforme strutturali possono determinare una convergenza reale e duratura delle produttività nazionali. In un'unione monetaria occorrono entrambe; per questo abbiamo bisogno di istituzioni che siano efficaci nei due ambiti.
  Non molto tempo fa, alla fine del 2011 e nel corso del 2012, fronteggiavamo – lo ricorderete senz'altro – un contesto molto meno favorevole di quello attuale: le banche avevano appena avviato il necessario processo di riduzione dei debiti dopo la crisi finanziaria e vivevamo una crisi di fiducia verso i debiti sovrani, la quale a sua volta dava luogo a una forte frammentazione dei sistemi finanziari dell'area lungo i confini nazionali.
  A ciò si aggiungevano i timori ingiustificati sulla reversibilità dell'euro, che sospingevano ulteriormente verso l'alto i premi al rischio nazionali.
  In Italia il rendimento del BTP decennale eccedeva il 7 per cento alla fine del 2011, a fronte del 2 per cento del corrispondente titolo in Germania. Per inciso, questo spread di 500 punti base è esattamente lo spread che gli italiani, che noi abbiamo pagato per quindici anni, in media, prima di entrare nell'euro. Quindi, chi vuol far paragoni tra le due situazioni ora ha un primo parametro di paragone.
  Lo spread raggiungeva di nuovo livelli simili nel luglio del 2012. A metà del 2012 il prezzo della protezione dal rischio ipotetico di un default dell'Italia era di tre o quattro volte più elevato di un anno prima.
  Sul nesso fra le banche e i loro Governi nazionali – il cosiddetto nesso tra banche e debito sovrano – mi soffermerò un momento, perché è uno di quei punti di politica economica su cui molto è stato fatto nell'ultimo anno e mezzo, ed è stata una delle cause anche dell'aggravarsi della crisi.
  Il livello del debito pubblico di un Paese influenza lo stato di salute delle sue banche attraverso due canali principali.
  Il primo canale è dato dal fatto che il bilancio pubblico è visto come il garante ultimo della solvibilità di una banca. In caso di fallimento di una banca, il bilancio dello Stato è visto come il garante di ultima istanza. Quanto più il debito pubblico è elevato, tanto più tale garanzia è fragile e, quindi, tanto più le banche dovranno pagare per finanziarsi ovvero tanto più capitale dovranno raccogliere.
  Il secondo canale con il quale il debito pubblico influenza i bilanci delle banche è semplicemente il fatto che le banche comprano i titoli del debito pubblico, i quali costituiscono un attivo molto importante nel loro portafoglio. Dunque, quando la credibilità del debito pubblico di un Paese viene messa in discussione, come è capitato a vari Paesi dell'area dell'euro durante la crisi, nel 2011 e poi nel 2012, per ragioni diverse, i titoli perdono di valore e la garanzia sovrana si indebolisce proprio quando le banche devono iscrivere forti perdite in bilancio per la caduta nel valore dei titoli. La conseguenza è che il credito crolla.
  Molto è stato fatto per indebolire questo legame tra banche e Stato. Non è Pag. 4ancora terminato il lavoro in questo campo ma se ne può trarre la lezione che i Paesi con basso debito pubblico tendono ad avere banche più forti e, quindi, un sistema creditizio più solido, in grado di finanziare meglio l'economia.
  Tornando a quel periodo, a causa di questo nesso, che all'epoca era molto forte, tra banche e bilanci pubblici, queste tensioni si trasferivano a tutti gli intermediari bancari, determinando un'ulteriore contrazione del credito all'economia.
  In Italia – in base a dati abbastanza aggregati – il costo del credito per le imprese era pari, nel luglio del 2012, al 4,1 per cento, rispetto al 3,1 per cento nella media dell'area dell'euro e al 2,9 per cento in Germania. Il meccanismo di trasmissione della nostra politica monetaria non era più uniforme nei singoli paesi. Noi abbassavamo i tassi ma questo abbassamento dei tassi non si traduceva in un abbassamento dei tassi attivi delle banche alle imprese.
  Questi numeri, che come ho detto sono molto aggregati, sottostimano moltissimo il fenomeno di contrazione del credito e di dispersione nelle condizioni creditizie tra i vari Paesi dell'area. La capacità della BCE di assicurare la stabilità dei prezzi era seriamente messa a repentaglio. La politica monetaria doveva reagire con una risposta ad ampio spettro, adeguata alla natura multidimensionale della minaccia, basata contemporaneamente su più canali paralleli. Ritengo di poter dire oggi, a distanza di quasi quattro anni dal 2011, che, complessivamente, abbiamo fatto progressi significativi.
  Occorreva, a quell'epoca, in primo luogo rimuovere i timori ingiustificati di reversibilità dell'euro. Lo abbiamo fatto con quelle operazioni che furono chiamate OMT, cioè l'impegno ad acquistare titoli di Stato sul mercato secondario in quelle situazioni in cui vi fossero stati dei rischi di convertibilità, di ridenominazione, come dicemmo allora, dell'euro.
  Poi abbiamo assunto varie altre misure non convenzionali.
  Ugualmente fondamentale, però, è un altro aspetto, che viene considerato meno importante, e invece lo è quanto l'iniziativa OMT, cioè la decisione del Consiglio europeo del giugno 2012 di dare il via all'unione bancaria.
  Da allora, nell'arco di soli due anni circa, oltre alla politica monetaria è stato creato dal nulla un sistema di supervisione ed è stata fatta la prima grande operazione di scrutinio delle 120 banche europee più importanti. Ciò ha avuto un effetto positivo, perché ha indotto molte di queste banche ad anticipare gli aggiustamenti nei loro bilanci e gli aumenti di capitale che avrebbero dovuto fare dopo, quando i risultati di questo scrutinio fossero stati resi noti.
  All'inizio del 2014, tuttavia, le prospettive di inflazione rimanevano ancora basse. Si è quindi proceduto con altri abbassamenti del tasso di interesse; poi in giugno abbiamo adottato quelle operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine per sostenere il credito delle banche all'economia, alle imprese e alle famiglie, chiamate TLTRO.
  In settembre abbiamo annunciato il programma di acquisto degli ABS (asset backed securities) e dei covered bonds.
  Dall'inizio di agosto, tuttavia, abbiamo cominciato a osservare un fenomeno che non era stato osservato prima, cioè che le aspettative di inflazione a medio termine – quelle a cui noi guardiamo, perché l'obiettivo di inflazione di essere vicini, ma al di sotto, del 2 per cento, è un obiettivo di medio termine – cominciano a flettere. In agosto c’è stato quindi il mio discorso di Jackson Hole, con cui si delineava quella che sarebbe potuta essere la politica monetaria dei mesi a venire.
  Un fattore chiave per una piena ripresa dell'attività economica e perché il tasso di inflazione non resti troppo basso, troppo a lungo, sarà lo stimolo alle operazioni che il Governing Council della BCE ha deciso di introdurre il 22 gennaio. Questa decisione è stata basata su due considerazioni.
  In primo luogo, la base su cui poggiava l'inizio della ripresa appariva ancora troppo fragile per assicurarci che il tasso di inflazione sarebbe tornato a livelli vicini ma più bassi del 2 per cento. Inoltre, il potenziale espansivo degli interventi di Pag. 5politica monetaria decisi tra giugno e ottobre era ancora incerto, perché i loro effetti dipendevano dalle decisioni delle banche di avvalersi dei prestiti dell'eurosistema e di trasferirli alle famiglie e alle imprese.
  L'ammontare dei prestiti concessi dalle due operazioni TLTRO è stato di 212 miliardi di euro, cifra che cadeva nella parte inferiore delle nostre previsioni. Quindi, lo stimolo andava rinforzato e doveva divenire più prevedibile e controllabile quantitativamente.
  In altre parole, bisognava che questo stimolo entrasse nell'economia indipendentemente dalle decisioni delle banche.
  Il 9 marzo abbiamo iniziato queste operazioni sui titoli di Stato, continuando gli acquisti di ABS e di covered bonds. Anche su quel fronte c’è stato un sensibile miglioramento nelle condizioni a cui queste operazioni vengono fatte e, quindi, nelle condizioni in cui si finanzia l'economia.
  Contiamo comunque di raggiungere i 60 miliardi mensili previsti per marzo, anche se abbiamo iniziato solo il 9.
  A questo stadio non ci sono segnali di scarsità di titoli.
  Come sapete, alcuni hanno osservato che forse non avremmo trovato titoli a sufficienza; si tratta di osservazioni che potrebbero rivelarsi vere per il futuro ma sarebbe comunque strano, perché negli ultimi trent'anni non si è fatto altro che dire che il debito pubblico è molto alto in Europa, quindi il fatto che vi possa essere scarsità di titoli, almeno per ora, non è una prospettiva realistica.
  La liquidità sui mercati resta ampia. Tutti i feedback che abbiamo dai mercati ci dicono che non ci sono difficoltà per portare a termine queste operazioni.
  Intendiamo continuare con questi acquisti almeno fino alla fine di settembre 2016 e, in ogni caso, finché non vedremo un tracciato dell'inflazione che si avvicina durevolmente al nostro obiettivo.
  Questa valutazione sarà fatta guardando ai trend e non a singoli valori numerici, i quali potrebbero essere il frutto di fenomeni temporanei.
  Le prime evidenze disponibili mostrano che le misure adottate sono state, nel loro insieme, efficaci. I tassi attivi praticati dalle banche alle imprese hanno iniziato a diminuire nella seconda parte dello scorso anno, dopo questi annunci o, comunque, queste ipotesi circa la nostra futura politica monetaria, quindi dall'inizio di agosto. Anche la dispersione nelle condizioni creditizie fra i vari Paesi, che era uno dei fenomeni più preoccupanti della frammentazione finanziaria, si è fortemente ridotta.
  Oggi queste riduzioni dei tassi di interesse si trasmettono lungo l'intera catena di intermediazione finanziaria. La contrazione creditizia recede. Il minor costo dei finanziamenti implica che progetti di investimento che prima non erano profittevoli oggi diventino invece convenienti.
  Tali nuove condizioni si riflettono nelle proiezioni che lo staff della BCE ha fatto all'inizio di marzo, dove le previsioni di crescita sono state aumentate di 0,5 punti percentuali per il 2015 e di 0,4 punti per il 2016. L'inflazione prevista per quest'anno però è zero, in larga misura a causa della flessione del prezzo del petrolio, ma le stime per gli anni successivi sono state innalzate all'1,5 per cento nel 2016 e all'1,8 per cento nel 2017.
  Ciò sostanzialmente per tre ordini di motivi: la nostra politica monetaria, indubbiamente; inoltre, man mano che la ripresa si rafforza anche il tasso di inflazione dovrebbe ricominciare a crescere; la previsione di una possibile anche se limitata crescita del prezzo del petrolio.
  Il quadro che si profila conforta l'ottimismo sul contributo che la politica monetaria sta fornendo per rafforzare la ripresa ciclica e sull'azione del Consiglio della BCE nel perseguimento del suo mandato. Insisto sulla parola «ciclica» perché questa ripresa non è strutturale (su questo dirò qualcosa tra poco).
  Sappiamo però che da sola la politica monetaria non può assicurare una crescita stabile, strutturale. Non può neanche assicurare una crescita uniforme, perché non è lo strumento adeguato per correggere Pag. 6le divergenze fra Paesi che derivano da un basso potenziale di crescita e da una disoccupazione strutturale.
  Al contempo, non possiamo attenderci che queste divergenze siano affrontate con strumenti quali i trasferimenti permanenti da parte dei Paesi economicamente più forti. L'area dell'euro non è stata creata per essere un'unione dove coesistono creditori permanenti e debitori permanenti; è ancora un'area in cui ogni Paese, sfruttando i propri vantaggi comparati nonché le potenzialità del mercato unico, e convergendo verso i livelli più elevati di competitività e di reddito, deve saper reggersi da solo sulle proprie gambe.
  Qui entrano in gioco le riforme strutturali. Tali riforme sono essenziali per elevare la crescita potenziale, che è alla base di una prosperità sostenibile, per rendere le economie più resistenti agli shock, meno divergenti in caso di crisi.
  Questi ultimi aspetti oggi sono assai più importanti che in passato, per due motivi: per l'elevato debito accumulato dall'area dell'euro, in particolare in alcuni Paesi, che andrà ripagato, e per l'invecchiamento demografico.
  Eppure in diversi Paesi dell'area – questo è un altro dato importante quando si discute delle responsabilità che ha l'euro nella politica economica e nella situazione economica attuale – la crescita potenziale si è smorzata già prima dell'introduzione dell'euro. In Italia essa si è ridotta dal 2,5 per cento registrato nei primi anni Novanta all'1,5 per cento nel 1999. La diminuzione è continuata anche dopo. Il Fondo monetario, per esempio, stima che il tasso di crescita della produttività italiana oggi sia zero, o quasi zero. Come è possibile invertire questo trend ? Per elevare la crescita potenziale occorre innanzitutto aumentare l'offerta di lavoro, cioè il numero di ore lavorate nell'economia, e la produttività, cioè quanto ciascuno produce per ora lavorata.
  Dato l'invecchiamento demografico, i progressi possibili sul primo fronte sono necessariamente limitati. Dobbiamo quindi concentrarci sul secondo fronte. Nella maggioranza dei Paesi europei, in Italia in particolare, i tassi di crescita della produttività sono molto modesti. Dal 2000 al 2013 la produttività del lavoro nell'area dell'euro è cresciuta cumulativamente del 9,5 per cento, in Italia solo dell'1,3 per cento, negli Stati Uniti del 26,1 per cento.
  La produttività totale dei fattori, che stima l'efficienza nell'utilizzo degli input impiegati nei processi produttivi, è cresciuta solo dell'1,1 per cento nell'area dell'euro, è diminuita del 7 per cento in Italia, è aumentata del 10,5 per cento negli Stati Uniti.
  La produttività può essere accresciuta con l'ingresso di nuove imprese che utilizzano tecnologie più efficienti e attraverso una riallocazione delle risorse fra imprese già esistenti. I benefici del progresso tecnico generalmente si manifestano nel lungo periodo, perché l'utilizzo efficiente di una nuova tecnologia richiede tempi di apprendimento spesso molto lunghi, mentre una riallocazione delle risorse può innalzare la produttività già nel breve periodo, dato che implica uno spostamento di risorse tra imprese già attive.
  Se vogliamo accrescere la produttività rapidamente, il fattore chiave è la riallocazione. Analisi a livello di impresa condotte nell'area dell'euro suggeriscono che vi sono ampi margini di miglioramento. Nei singoli Paesi vi sono poche imprese altamente produttive, mentre sono numerose quelle connotate da un basso livello di produttività. È essenziale agire affinché queste imprese ad alta produttività possano crescere e avere accesso a canali finanziari adeguati, e affinché le persone abbiano le competenze necessarie per esservi occupate. Per cogliere questi tre obiettivi – crescita, finanza, competenze – occorrono riforme strutturali.
  Con riferimento al primo obiettivo, la dinamica delle nuove imprese che nascono e si espandono è stata rilevata in molti studi – tra cui anche uno della Banca d'Italia – come un fattore centrale per la crescita della produttività. Questo processo è facilitato da un contesto regolatorio e normativo, a livello nazionale, favorevole. Ma non sempre è così nell'area dell'euro. Questo è il motivo per cui sono così Pag. 7importanti le riforme volte a completare il mercato unico e a migliorare l'ambiente in cui operano le imprese.
  In alcuni Paesi le imprese sono ostacolate dalla regolamentazione e da un trattamento fiscale penalizzante che scatta oltre certe soglie. In Italia, vi è un'alta concentrazione di microimprese in cui la produttività è nettamente inferiore alla media; a questo contribuisce anche una regolamentazione che incentiva queste imprese a rimanere piccole.
  I tempi delle procedure relative ai fallimenti incidono in misura assai significativa sulla velocità con cui vengono finanziati i piani di investimento delle imprese. Per completare una causa, dalla fase di cognizione a quella esecutiva, occorrono cinque anni in Italia, solo uno in Germania e in Spagna. Non credo di dirvi cose nuove.
  L'Italia registra la giustizia civile più lenta in Europa. Recenti lavori suggeriscono che un dimezzamento della lunghezza dei procedimenti aumenterebbe la dimensione media delle imprese dell'8-12 per cento.
  Soprattutto in Italia è cruciale migliorare il contesto in cui operano le imprese. Occorre assicurare regole certe e stabili, la tutela della legalità, il rispetto dei contratti, l'efficienza della pubblica amministrazione. Devo dire che negli ultimi anni sono stati varati diversi interventi in questi ambiti. Dunque, non è che non ci sia progresso; il progresso c’è stato ma occorre continuare su questa strada.
  In secondo luogo, condizione indispensabile affinché i capitali possano affluire alle imprese è un settore bancario sano, in grado di espandere il credito. Ciò significa che i prestiti deteriorati debbono emergere rapidamente nei bilanci degli intermediari e che devono essere attuate misure per una rapida soluzione del problema.
  Questo processo è già iniziato con la nostra operazione di scrutinio delle 120 banche più grandi dell'area dell'euro. In generale, la BCE guarda con molto favore a iniziative tese a ridurre il peso delle partite deteriorate nei bilanci delle banche, tra cui quelle italiane; iniziative del genere liberano risorse soprattutto a beneficio delle imprese.
  Il terzo punto è saper dotare le persone delle competenze necessarie a trovare un lavoro nelle imprese del futuro. L'Italia, come il resto d'Europa, vive in un'economia globale dove il progresso tecnico tende a favorire maggiormente le persone con elevate competenze a scapito di chi è poco qualificato.
  Per darvi un'idea di quanto sia importante questa differenza, è sufficiente guardare al nesso che esiste tra livello di istruzione e occupazione. Nel 2013 più del 19 per cento dei lavoratori con un basso livello di istruzione erano disoccupati, ma solo il 7 per cento tra quelli altamente istruiti. Quindi, si capisce immediatamente perché istruzione e training, istruzione e riqualificazione, istruzione e addestramento devono andare di pari passo con le altre riforme strutturali, quindi con la flessibilità e con la riduzione degli oneri burocratici. In sostanza, devono diventare parte integrante del processo di riforma strutturale, cosa che invece tendiamo spesso a dimenticare e a mettere in secondo piano.
  Il miglioramento delle competenze ha anche un'altra dimensione. Quando si riallocano le risorse, ci sono vincenti e perdenti. Ciò genera incertezza, in particolare per coloro che devono cambiare lavoro; accresce, più in generale, l'incertezza nel futuro. Deve essere chiaro a tutti che non possiamo limitarci esclusivamente a considerare la dimensione dell'efficienza, ma dobbiamo pensare anche all'equità. Entrambe sono necessarie e debbono essere conciliate.
  Migliorare le competenze è un modo per farlo. Oggi il miglior modo di tutelare i lavoratori non è proteggerli dal rischio di perdere il lavoro ma garantire loro le conoscenze necessarie per trovarne uno a condizioni migliori rapidamente. Ciò vale anche nel caso dei disoccupati di lungo periodo, che hanno necessità di programmi di riqualificazione.
  In questo contesto, le misure di politica monetaria della BCE che ho appena descritto rafforzano il processo di riforma; stimolano la domanda complessiva, rendendo Pag. 8quindi più favorevoli le condizioni sul mercato del credito e la possibilità di riallocazione delle risorse, del lavoro in primo luogo. Ciò contrariamente a quanti dicono che la politica monetaria intrapresa dalla BCE rimuove gli stimoli per i Governi ad attuare le riforme strutturali.
  Noi abbiamo un punto di vista esattamente opposto: la politica monetaria della BCE crea condizioni economiche migliori che favoriscono le riforme strutturali, le quali sono molto più difficili da intraprendere in periodi di bassa congiuntura o addirittura di recessione.
  Nonostante l'importanza delle riforme strutturali per la convergenza economica e la politica monetaria, la nostra unione rimane fragile perché le riforme rimangono affidate ai singoli ambiti nazionali. Non c’è modo di garantire oggi che i Paesi prendano le misure necessarie per farne dei membri all'altezza dell'unione monetaria. Secondo me, su ciò occorre riflettere per pensare a un cambiamento.
  L'unione monetaria genera una forte integrazione tra i Paesi membri e per questo motivo anche un alto grado di vulnerabilità reciproca. Per questo motivo abbiamo sempre applicato il principio secondo il quale se le politiche di un Paese hanno effetti di rilievo sui partner esse devono essere governate da regole o istituzioni comuni.
  Le regole fiscali, per esempio, discendono da questo, giacché il default di uno Stato causerebbe danni a tutti gli altri. Credo che questo oggi sia chiaro e ritengo che lo stesso principio debba applicarsi anche alle riforme strutturali, in quanto un basso potenziale di crescita genera squilibri macroeconomici nei Paesi. La vulnerabilità che ne deriva si riverbera sugli altri Paesi dell'area.
  Se alcuni Paesi non mettono in atto giuste politiche strutturali si creano permanenti divergenze in termini di crescita e di occupazione. Ci si interroga sulla partecipazione di questi Paesi all'Unione e spesso le domande sulla durabilità di questa Unione finiscono per estendersi anche agli altri Paesi.
  Ne consegue che ciò che accade in un Paese non è solo di interesse nazionale, ma riguarda tutti. Ogni membro dell'area ha un interesse vitale a che i suoi partner soddisfino sempre le condizioni per far parte dell'Unione. Abbiamo bisogno per questo di un più elevato grado di convergenza istituzionale negli ambiti strutturali rispetto a quanto abbiamo sperimentato in passato.
  Finora abbiamo sperimentato due tipi di governance economica nell'Unione europea. In alcuni ambiti abbiamo conferito un potere esecutivo alle istituzioni europee: alla BCE per la politica monetaria, alla vigilanza unica (nell'ambito della BCE come supervisore bancario) per la politica finanziaria, alla Commissione per la politica della concorrenza. In altri campi il potere esecutivo è rimasto a livello nazionale e le politiche sono state allineate tramite regole imposte dalla Commissione. Quindi, su certe materie c’è stata una convergenza, dando potere esecutivo alle istituzioni; per altre invece la convergenza è stata attuata attraverso delle regole, come nel caso delle politiche fiscali.
  Ci si chiede quale sia stato il metodo di convergenza più efficace. La risposta è abbastanza ovvia: quella istituzionale. Credo che pochi negherebbero che, laddove alle istituzioni europee è stato conferito un potere esecutivo, queste ne hanno fatto buon uso.
  La politica della concorrenza è stata efficace sia nei confronti delle grandi imprese sia dei grandi Paesi. La politica monetaria – ovviamente non sono la persona adatta a dirlo – ha conquistato un'elevata credibilità. È ancora prematuro valutare i risultati della supervisione bancaria unica, anche se sono certo che senza di essa non avremmo realizzato una pulizia così rigorosa dei bilanci bancari come quella che abbiamo avuto.
  Nel caso dell'approccio basato sulle regole è difficile concludere in modo così positivo. Le regole fiscali sono state disattese più volte e la fiducia fra Paesi sottoposta a forti tensioni. In generale, queste politiche non sono state attuate dai Paesi con un senso di identità. Non sono mai Pag. 9state fatte veramente proprie anche dal dibattito politico nazionale. Quindi, l'esperienza recente è chiara.
  Se concordiamo che un'ulteriore convergenza istituzionale nei campi strutturali sia necessaria, dobbiamo porci l'obiettivo di sostituire un sistema basato sulle regole con un altro sistema, basato su istituzioni europee più forti.
  Naturalmente le regole attuali vanno rispettate finché non abbiamo un cambio dei trattati. Nel caso della politica monetaria, non abbiamo cominciato creando una nuova istituzione; sarebbe stato impossibile. Avevamo una serie di sistemi basati sulle regole – il serpente monetario, il sistema monetario europeo, gli accordi di cambio – sulla cui base abbiamo poi creato la moneta unica e la Banca centrale europea. Quelle esperienze sono state fondamentali, hanno rafforzato la fiducia e hanno permesso di fare il passo successivo, cioè la creazione dell'istituzione. Analogamente si dovrebbe procedere negli altri settori.
  Concludo con alcune osservazioni.
  La prospettiva per l'area dell'euro che ho descritto oggi appare semplice, ma non lo è. Necessita di visione e di perseveranza. Tutti devono fare la loro parte per far sì che la ripresa si rafforzi e si stabilizzi nel tempo.
  Non dobbiamo perdere di vista qual è l'essenza della politica economica. La crescita economica non è fine a se stessa, il suo obiettivo è di offrire più possibilità alle persone e di accrescere la prosperità complessiva. Per questo, mano a mano che l'economia cambia, dobbiamo assicurarci che ognuno vi possa partecipare, che efficienza ed equità siano conciliate, che nessuno resti indietro.
  C’è chi pensa che per cogliere questi obiettivi sia necessario abbattere il grado di integrazione, che le iniquità derivino da un'Europa che fa troppo. Altri, invece, desiderano un'Europa più integrata e con più solidarietà finanziaria tra le nazioni; ritengono che l'Europa stia facendo troppo poco e che questo sia il problema.
  Penso che trincerarci nuovamente dietro i confini nazionali non risolverebbe nessuno dei problemi che abbiamo di fronte. Dovremmo comunque fare i conti con le sfide demografiche, con la bassa produttività e con l'elevato debito. La disoccupazione inoltre finirebbe per aumentare.
  Allo stesso tempo, visioni irrealistiche dell'integrazione europea non sono una risposta. Non siamo un'Unione in cui alcuni Paesi pagano in modo permanente per altri. È giusto sperarlo, sperare di diventare come altri Paesi, dove varie parti del Paese si aiutano vicendevolmente; ma se si guarda a questo obiettivo e si vuole perciò condizionare la realtà presente, questa secondo me è piuttosto una distrazione dalle nostre responsabilità.
  La maniera migliore per rispondere ai timori dei nostri cittadini è tracciare una rotta che sia allo stesso tempo ambiziosa e pragmatica, che implichi, ove necessario, un'azione a livello nazionale e l'integrazione a livello europeo, ove opportuno.
  L'impulso impresso dalla politica monetaria insieme con le riforme strutturali e i mutamenti strutturali che i Governi devono avviare sono parte di questo percorso. Contribuirebbero grandemente a creare un'unione più stabile, capace di generare più crescita e più inclusione.
  Sono persuaso che questo Parlamento, come sempre, avrà un ruolo centrale in questo processo. Grazie.

  (Applausi)

  PRESIDENTE. Grazie, signor presidente, per questa sua ampia introduzione. È perfino superfluo da parte mia dire che ora tocca a noi non andare off-topic, ma rimanere sul binario così significativamente aperto da questa relazione e soprattutto evitare di trascinare il presidente Draghi in dispute fra noi, o in dispute interpartitiche.
  Prendono ora la parola per le loro domande il presidente Bordo, il presidente Boccia, poi rapidamente io stesso, quindi i colleghi nell'ordine preannunciato: gli onorevoli Causi, Pisano, Ruocco, Villarosa, Busin, Tancredi, Bernardo, Marcon, Paglia, Sottanelli, Librandi, Galgano, Fauttilli, Barbanti.

Pag. 10

  MICHELE BORDO, Presidente della XIV Commissione. Ringrazio il presidente Draghi per l'audizione odierna, che conferma la sua grande attenzione, e quella della Banca Centrale, nei confronti dei Parlamenti nazionali.
  La Commissione Politiche dell'Unione europea della Camera, da me presieduta, apprezza molto l'azione che è stata condotta dalla BCE negli ultimi anni per contrastare la crisi, avvalendosi di misure sia convenzionali sia non convenzionali, consentite dalle sue competenze istituzionali e superando in molti casi anche l'opposizione di alcuni Paesi importanti e di banche centrali nazionali.
  In particolare, l'intervento più recente della Banca Centrale ha avuto il merito di determinare condizioni favorevoli alla ripresa dell'economia europea garantendo, in un contesto già caratterizzato da tassi di interesse molto bassi, la possibile erogazione, come lei stesso affermava, del credito a imprese e famiglie e il deprezzamento del cambio, che è essenziale per la competitività delle esportazioni europee a livello globale.
  In questo modo si è creato un ambiente favorevole alla ripresa che, a mio avviso, postula tuttavia anche misure di stimolo della domanda con effetto a breve termine, a livello sia europeo sia nazionale.
  A tal proposito vorrei rivolgerle due domande specifiche. Sul Piano Juncker, atteso che è uno degli argomenti che stiamo trattando nella discussione che si sta svolgendo in congiunta nelle Commissioni Bilancio e Politiche dell'Unione europea: esso è l'unico strumento di stimolo degli investimenti definito a livello europeo; le chiedo quindi se ritiene questo strumento adeguato allo scopo e in particolare se sia realistico l'effetto leva di 1 a 15 o 1 a 14, che la garanzia europea di 21 miliardi di euro dovrebbe produrre.
  In base alle nostre valutazioni, ci sembra che la garanzia messa a disposizione per consentire a questo strumento di produrre il beneficio e gli obiettivi previsti, attraverso un moltiplicatore per arrivare fino a 315 miliardi di euro, non sia del tutto sufficiente.
  In secondo luogo, vorrei chiederle se non sia opportuno porre in essere a livello nazionale, oltre alle riforme strutturali, che sono assolutamente fondamentali (e lei ha fatto bene a sottolinearlo), anche ulteriori misure di stimolo immediato della domanda, e quali secondo lei possano essere queste misure, avvalendosi anche dei cosiddetti «margini di flessibilità» nell'applicazione del Patto di stabilità, consentiti dalla recente comunicazione della Commissione europea. Grazie.

  FRANCESCO BOCCIA, Presidente della V Commissione. Grazie, presidente Draghi, per la sua esaustiva relazione. Farò una semplicissima riflessione e due domande secche. Dal suo «Whatever it takes» di Londra del luglio 2012, alle operazioni OMT, fino al quantitative easing di questi giorni, di fatto sono stati stabilizzati i mercati finanziari e la quantità di liquidità immessa nel sistema è sotto gli occhi di tutti e ha oggettivamente consentito ai Paesi con i debiti sovrani più pesanti di avere uno strumento straordinario di governo di situazioni complesse.
  Come lei sa, il passaggio di quella liquidità al piano inferiore, cioè alle imprese, è un passaggio complicato; molte nostre banche sono a corto di capitale ogni volta che prestano soldi all'impresa del signor Rossi e questa condizione non si risolve tirando la giacca alle stesse banche, le quali ribattono di essere a corto di capitale e che prestare soldi ha un evidente impatto sui loro bilanci.
  Vorrei chiederle quindi se non ritenga che il passaggio successivo per completare davvero l'unione bancaria sia mettere l'economia reale nelle condizioni di ottenere il credito che, oggettivamente, con questa immissione di liquidità potrebbe ottenere. È una liquidità che in questo momento viene intercettata dai grandi investitori, dai fondi di investimento e non arriva al piano inferiore, quello dell'economia reale di un'Europa che, come lei giustamente ci ha ricordato, è caratterizzata da una bassa produttività. Ricordo a noi stessi che siamo il 7 per cento della popolazione mondiale, che produce il 25 Pag. 11per cento e finanzia il 50 per cento del welfare mondiale.
  Siccome non stiamo ringiovanendo ma stiamo invecchiando, avendo alla nostra sinistra gli Stati Uniti, più giovani di noi, che corrono, e alla nostra destra l'Oriente e la Cina, molto più giovani di noi, la condizione oggettivamente è molto complessa. Forse questa spinta al sistema bancario potrebbe arrivare solo da Bruxelles, Strasburgo e Francoforte.
  Pongo una domanda ricollegandomi a quella posta dal presidente Bordo: la BCE potrà acquistare obbligazioni emesse per il finanziamento dei progetti connessi al Piano Juncker, per ridurre l'effetto leva e anche gli stessi tassi ? Al momento stiamo lavorando sul Piano Juncker, il Parlamento italiano approverà una risoluzione a breve; si tratta di una maxi garanzia da 21 miliardi di euro, quindi, se dobbiamo stimolare gli investimenti privati, sapere che la BCE potrà sottoscrivere quelle obbligazioni potrebbe essere di aiuto per tutti.

  PRESIDENTE. Presidente Draghi, credo che si debba dare atto molto positivamente a lei di avere voluto e saputo utilizzare i poteri della BCE nella massima misura possibile, anche confrontandosi con interlocutori non sempre simpatetici, come sappiamo, con l'obiettivo di offrire ai Governi nazionali e all'economia europea quelle che potremmo definire «bombole d'ossigeno a tempo».
  Ora, però, a mio avviso occorre che i Governi adottino coraggiose misure supply side, in primo luogo un drastico taglio della pressione fiscale con relativi tagli di spesa pubblica, e poi una strategia di attacco al debito pubblico. Mi auguro che l'attuale ceto politico, al di là delle distinzioni di schieramento, ne abbia il coraggio e la convinzione, per non sciupare questa occasione.
  Di qui le domande. Non teme che, in particolare in Italia, i circuiti, in primo luogo bancari, di trasmissione verso l'economia reale di questa iperliquidità siano drammaticamente ostruiti e che quindi alle famiglie e alle imprese possa giungere meno del previsto, meno del necessario ? Per onestà intellettuale devo dirle che chi le parla non è favorevole ad alcune interpretazioni che in Italia si tende a dare della cosiddetta bad bank e cioè di salvataggi a spese del contribuente, magari a vantaggio di gruppi dirigenti che non sono in grado di ricapitalizzare.
  In secondo luogo, esercitiamoci sullo scenario meno positivo, che è sempre un metodo di lavoro da seguire, e poniamo che purtroppo i Governi nazionali, come troppe volte è avvenuto in passato, indipendentemente dal segno politico degli esecutivi, non colgano o non colgano appieno questa occasione, poniamo cioè che simultaneamente la crescita in Italia resti magari poco sostenuta e invece lo stock di debito resti alto.
  A quel punto, alla fine del 2016, cioè alla fine dell'operazione quantitative easing, non c’è il forte rischio che i mercati giudichino sempre meno sostenibile il debito pubblico italiano ? Tra l'altro, essendo stata stabilita la responsabilità delle nazioni e delle banche centrali nazionali per l'80 per cento per la garanzia sui nuovi acquisti di titoli, ciò può dare motivo ai mercati di differenziare i rischi di insolvenza quando il quantitative easing finirà.
  Posso chiederle di esercitarsi su questo spiacevole scenario, che a mio avviso dovrebbe a maggior ragione indurre tutta la classe politica a scelte molto liberali, molto coraggiose e molto urgenti ? In particolare può indicarci un tasso di crescita obiettivo almeno sufficiente, tale da poter concludere che, per un verso, il quantitative easing ha funzionato e che, per altro verso, l'Italia ha ben sfruttato l'occasione ? Lo dico direttamente: un tasso di crescita dello 0,5-0,6 non sarebbe forse deludente, come personalmente penso ?
  Infine, negli ultimi anni il processo di risanamento italiano le è parso orientato alla crescita oppure, come io temo, troppo sbilanciato sul lato delle maggiori entrate ? A suo giudizio l'Italia sta facendo passi sufficienti, a mio avviso sempre più necessari, per ridurre spesa e debito ?

  MARCO CAUSI. Saluto e ringrazio il presidente Draghi a nome del gruppo del Pag. 12Partito Democratico. Penso sia opportuno esprimere anche un senso di orgoglio per il fatto che sia un nostro concittadino a ricoprire in questa fase storica un ruolo così importante.
  Ciò non solo perché la BCE è importante, ma perché si tratta di un'istituzione che sta compiendo un lavoro cruciale, non solo per contrastare la crisi, ma anche per costruire consenso intorno a politiche comuni, superando ostacoli di grandissima rilevanza, che nascono nei diversi Paesi europei dalle differenze di storia, di cultura, di costituzioni formali e materiali, di radicati punti di vista delle pubbliche opinioni.
  Noi vorremmo, in un futuro che speriamo prossimo, vedere all'opera anche altre istituzioni propriamente federali come la BCE, anche per non lasciare sola la politica monetaria, che è una condizione necessaria ma non sufficiente affinché l'Europa possa compiere passi avanti nella sua incompiuta costruzione politica e istituzionale, e perseguire obiettivi economici e sociali più ambiziosi.
  La prima domanda che vorrei fare al presidente Draghi è riferita al fatto che alcuni temono possa nascere una contraddizione fra quantitative easing e nuove strette sui requisiti prudenziali per le banche. Le cito a questo proposito un recente intervento del vicedirettore della Banca d'Italia, Fabio Panetta, il quale afferma: «In questa fase un ulteriore inasprimento dei requisiti di capitale e di liquidità per le banche rischierebbe di frenare l'offerta di credito, allontanando la ripresa economica. In sostanza occorre coordinare l'attività di supervisione micro prudenziale con le esigenze di carattere macro prudenziale». Vorrei conoscere l'opinione del presidente Draghi su questo punto.
  Seconda questione: alcuni ritengono che le normative europee di supervisione bancaria non siano del tutto soddisfacenti in tema di valutazione della rischiosità dei titoli sovrani e di valutazione anche degli strumenti finanziari di carattere più tipicamente speculativo. Voglio ricordare che di questo punto di vista, proprio in questa sede parlamentare, sia pur sommessamente e prudentemente, si è fatto portatore anche il governatore Visco.
  Ciò determina delle asimmetrie e degli svantaggi che colpiscono in particolare Paesi come l'Italia, che ha un debito pubblico alto e una tradizione bancaria fondata su banche commerciali piuttosto che su banche di investimento.
  Oltre a voler sapere cosa ne pensi il presidente Draghi, domando se sia possibile ragionare su una revisione di alcune di queste norme, sempre con l'obiettivo di rendere massimamente efficaci i processi di trasmissione del quantitative easing all'economia reale.
  Uno degli effetti dei nuovi sistemi di regolazione è che occorre ridurre il bancocentrismo nel finanziamento dell'economia. Questo è un impatto di particolare rilievo per l'Italia, per le tradizioni storiche del rapporto banche/imprese in Italia.
  Vorrei domandare al presidente Draghi attraverso quali canali e predisponendo quali tipi di strumenti il quantitative easing possa esercitare effetti positivi sui flussi di finanziamento non bancario alle imprese e all'economia. Vorrei anche domandargli quanto contino in Europa gli squilibri macroeconomici e non soltanto quelli finanziari e quanto dovrebbe contare di più la procedura per gli eccessivi squilibri economici.
  Infine, vorrei un giudizio sulle riforme strutturali in Italia, ma soprattutto su quella che è stata varata l'altro ieri dal Parlamento, e che è di competenza dell'istituzione che Draghi presiede, cioè la riforma delle grandi banche popolari.

  GIROLAMO PISANO. Grazie, presidente Draghi. La descrizione della realtà economica europea che lei ha fatto in questo suo intervento, vista dalla prospettiva meridionale in cui mi trovo, sembra a dir poco fantasiosa, ma torno al suo compito specifico.
  Noi italiani e segnatamente noi meridionali per decenni abbiamo subìto l'unitarietà della politica monetaria italiana, che ha prodotto sempre maggiori tassi di interesse reali al Sud rispetto al Nord, Pag. 13cosa che ha continuativamente aggravato la distanza tra il Nord e il Sud, nonostante sia stato possibile beneficiare di sistematiche politiche fiscali di vantaggio per le aree economicamente depresse, oggi non consentite dai trattati con conseguente divaricazione della distanza tra due economie, mentre si è cercato inefficacemente di ridurre il gap per altre vie.
  Riprodurre a livello europeo l'errore storico fatto dalla politica economica italiana unitaria deve essere evitato a tutti costi. La differenziazione dei tassi di interesse reali non solo confligge con gli intendimenti e lo scopo statutario della BCE, ma aggrava il potenziale inflazionistico, già implicito nelle aree più ricche e più esposte al surriscaldamento dell'economia, mentre parallelamente aggrava in senso inverso le difficoltà e la modestia della competitività delle aree più in ritardo nello sviluppo.
  La BCE non può svolgere il suo mandato con un unico tasso europeo, in maniera così generale e cieca rispetto ai differenti tassi inflattivi locali. Le chiediamo caldamente cosa intendete fare per ovviare a questa anomalia destabilizzante dell'intera area euro. Grazie.

  CARLA RUOCCO. Grazie presidente Draghi. Molto bene le riforme a cui lei faceva riferimento, però bisogna affrontarle contemporaneamente a un tema etico e di trasparenza che deve assolutamente entrare in gioco nelle contrattazioni finanziarie, quindi trasparenza sui rischi che gli investitori corrono nel momento in cui approcciano prodotti finanziari.
  Perché quindi non inserire nei prospetti informativi che adesso vengono sottoposti agli investitori (chiunque essi siano, anche pubblici), lunghi 150 pagine e poco leggibili, delle semplici analisi probabilistiche, per vincere quelle asimmetrie informative tra chi produce il prodotto finanziario e chi investe in quello stesso prodotto finanziario, perché queste asimmetrie informative, insieme con una mancanza di etica e di trasparenza, sono una fortissima concausa delle crisi finanziarie, nonché degli scandali cui siamo tenuti purtroppo ad assistere. Grazie.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. In merito al quantitative easing, secondo lei quante risorse dello stesso andranno a sostenere imprese e famiglie, quindi l'economia reale ? Quali sono le regole di comportamento imposte al sistema bancario, se ci sono, e quali sono i vincoli specifici introdotti per tale operazione ?
  In merito invece all'unione bancaria, il Governo ha presentato la trasformazione in società per azioni delle banche popolari come frutto di una vostra indicazione, ma il limite massimo di attivi per le banche popolari è stato fissato ad 8 miliardi mentre la BCE per differenziare le banche sistemiche utilizza come limite 30 miliardi di attivi. È vero che il consiglio arriva dalla BCE ed è giusto utilizzare 8 miliardi come limite ?
  In merito alla politica monetaria, in particolare all'utilizzo di strumenti derivati, in Italia abbiamo 40 miliardi di euro di buco potenziale sui derivati contratti dallo Stato. Uno di questi accordi «lacrime e sangue» per l'Italia, ormai famoso, è stato contratto nel 1994, mentre lei era dirigente del Tesoro, per poi passare alle dipendenze di Goldman Sachs.
  Lei però non è l'unico ad aver lavorato con questi fornitori dei servizi dello Stato: lei per Goldman Sachs, suo figlio per Morgan Stanley, ma inoltre Siniscalco, La Via, Monti, Gianni Letta, Romano Prodi, Tononi e tanti altri.
  Secondo l'OLAF si verifica conflitto potenziale di interessi nel caso in cui il funzionario dovesse assumere in futuro responsabilità specifiche ufficiali ossia in conflitto con le precedenti. Non crede sia arrivato il momento di introdurre una norma per tutti i Paesi europei che vieti espressamente queste situazioni oscure ? Grazie.

  FILIPPO BUSIN. Io ho due domande secche da porre. Vorrei conoscere l'opinione del presidente Draghi sull'ipotesi di istituzione di una bad bank che si faccia carico dei crediti in sofferenza, o comunque incagliati, del sistema creditizio, in Pag. 14modo da liberare la capacità di quest'ultimo di concedere ed erogare il credito al sistema dell'impresa e in generale all'economia reale.
  La seconda è se si aspetti che l'attuale politica monetaria da lei intrapresa, il quantitative easing, possa avere dei riflessi positivi o comunque possa aiutare a correggere gli squilibri della bilancia commerciale dei vari Paesi europei, in particolare della Germania, che si trova ormai in una situazione di conclamata violazione della soglia del 6 per cento nel rapporto fra surplus e PIL, stabilita dal Six pack. Sono cinque anni ormai che la Germania vìola questa soglia: nel caso in cui dovesse permanere in tale situazione cosa potrebbe intraprendere la BCE, quali iniziative potrebbe assumere per correggere questo squilibrio ?

  PAOLO TANCREDI. Io approfitto, presidente Draghi, dell'ultima parte del suo intervento, in cui ha richiamato la necessità di investire maggiormente le istituzioni europee dei problemi e dei dossier importanti all'attenzione dei Paesi membri in questi anni, ed approfitto soprattutto, per quello che riguarda il coordinamento delle politiche economiche, di sue dichiarazioni degli ultimi giorni. Ho infatti registrato con piacere che un'istituzione come la sua abbia parlato di una maggiore legittimazione democratica delle istituzioni europee.
  I tempi sono maturi, secondo lei, per la revisione dei trattati, per una maggiore investitura delle istituzioni europee ? Secondo me è un passaggio centrale e non è così vicina l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona per non poter pensare di mettere mano ai trattati.
  Questa maggiore investitura delle istituzioni europee in tutti i campi, ma soprattutto nel campo dei dossier economici e del coordinamento delle politiche economiche, secondo lei non deve rispondere anche a una legittimazione democratica, con un'investitura elettorale di queste istituzioni ? Grazie.

  MAURIZIO BERNARDO. Grazie, presidente Draghi, per l'occasione di oggi e anche per il lavoro che lei sta svolgendo in qualità di presidente della BCE nell'interesse del sistema Paese italiano (per quanto, per ragioni diplomatiche, non si possa dire ad alta voce, è una considerazione che svolgiamo noi).
  Pongo due domande secche. La prima è quale sia il suo pensiero sull'eventuale costituzione di una bad bank in un momento come questo e rispetto anche all'interlocuzione che il nostro Governo, da una parte, e Banca Italia, dall'altra, stanno affrontando con gli organismi di politica monetaria internazionale.
  L'altra domanda ha sfaccettature di carattere più politico: qualora la BCE e lei aveste deciso di adoperare nel corso del 2011 strumenti simili a quelli adottati negli anni successivi, lo spread sarebbe arrivato al livello di 570 punti raggiunto alla fine di quell'anno ? Grazie.

  GIULIO MARCON. Ringrazio il presidente Draghi, a cui desidero porre due domande su due punti che ha citato nella sua introduzione. Ha usato spesso le parole «convergenza» e «riforme strutturali». Riguardo alla convergenza, si parla spesso del rapporto deficit/PIL, del debito, ma meno frequentemente della questione della bilancia commerciale. In Europa abbiamo un problema molto serio, quello degli squilibri territoriali e regionali. Ricordo che la Germania nel mese di dicembre ha avuto un surplus del 7,5 per cento, che supera di 1,5 punti quello consentito dai nove trattati.
  Siccome lei ha detto che non ci possono essere creditori permanenti e debitori permanenti, io direi che non ci possono essere esportatori permanenti e importatori permanenti. Cosa può fare l'Europa, e cosa può fare la BCE soprattutto, per cercare di intervenire su questo squilibrio, su questa mancata convergenza che è alla base dei problemi che abbiamo nell'Eurozona e nell'Unione monetaria ?
  La seconda domanda è questa: le riforme strutturali hanno funzionato, stanno funzionando ? All'inizio della crisi lo stock di debito nei Paesi dell'Eurozona era circa il 65 per cento, oggi siamo al Pag. 1592-93 per cento, quindi c’è un problema che riguarda il funzionamento di queste politiche.
  Non crede che questo squilibrio, che è plastico, tra i 1.000 miliardi di denaro pubblico per l'operazione di iniziativa della BCE e i 21 miliardi messi a disposizione per il Piano Juncker sia la fotografia di questo errore che l'Unione europea sta facendo, quello di non dare adeguato peso alle politiche di intervento e di investimento pubblico per fare uscire dalla crisi i nostri Paesi ? Grazie.

  GIOVANNI PAGLIA. Grazie al presidente Draghi per essere qui. Il presidente converrà che l'unica possibilità di questo Parlamento di interloquire con un'istituzione europea sia farlo con la Banca centrale, ma è un problema perché è l'unica, e questo credo sia un primo tema che noi dovremmo avere la capacità di mettere politicamente al centro, perché è l'unica istituzione e non è democratica, ma questa non è certo una colpa del presidente della BCE.
  Vengo alle due domande che vorrei fare e che attengono al quantitative easing. Esiste una scuola di pensiero, a cui personalmente appartengo e che trovo convincente, la quale sostiene che l'esperienza statunitense di quantitative easing abbia avuto successo per tre fattori: disporre di una borsa valori e di un sistema finanziario molto forte, capace di assorbire grandi quantità di capitali e poi di redistribuirli sul sistema economico arricchendo complessivamente le famiglie, il secondo fattore è quello di finanziare attraverso i bond direttamente l'economia reale, che quindi ha possibilità di finanziarsi a basso costo, senza passare per il tramite bancario.
  L'ultimo decisivo fattore è il fatto che attraverso il quantitative easing lo stesso Stato centrale dell'amministrazione federale statunitense ha avuto la possibilità di alzare molto il deficit spending a basso costo, perché si tenevano bassi i tassi.
  In Europa e in particolar modo in Italia non vedo nessuna di queste tre condizioni: noi non potremo utilizzare deficit pubblico perché permane il fiscal compact, e anzi viene potenzialmente rafforzato. Mi chiedo se anche i saldi di bilancio migliori dell'Italia saranno utilizzati per pagare più rapidamente gli interessi o per avere margini di spesa pubblica.
  Non abbiamo una borsa valori particolarmente sviluppata, né l'abitudine di finanziarci tramite bond, quindi mi chiedo se queste considerazioni siano corrette o se invece il quantitative easing all'europea avrà lo stesso successo di quello americano.

  GIULIO CESARE SOTTANELLI. Grazie, presidente Draghi, per l'ampia relazione e per l'ottimo lavoro che sta svolgendo, a nome del gruppo di Scelta Civica. Telegraficamente porrò due domande.
  Il quantitative easing è stato uno dei primi esercizi di politica monetaria europea, seppur parziale, che sicuramente ha ridotto i rischi per il mercato, stabilizzando lo spread. Ora il punto essenziale per l'Italia è passare da un aumento della liquidità disponibile a una maggiore disponibilità di credito per le imprese e per le famiglie.
  Quali strumenti normativi e regolamentari potranno riattivare la domanda interna e aumentare il credito disponibile ? E quali strumenti servirebbero per assicurare che questa maggiore liquidità si traduca in maggior credito ? Per noi di Scelta Civica questo è il punto centrale per la finanza delle imprese e delle famiglie, che potrà davvero aiutare la ripresa e la crescita.
  Quali effetti si attendono sullo spread in relazione all'adozione del quantitative easing ed è ipotizzabile che entro il 2015 si possa tendere all'azzeramento dello spread ?

  GIANFRANCO LIBRANDI. Grazie, presidente, per il prezioso contributo. Molte aziende italiane ed europee sono avvantaggiate dal livello del dollaro così alto, altre sono svantaggiate, come la mia per esempio, perché compriamo tante materie prime in dollari.
  Naturalmente ci stiamo attrezzando per aumentare i prezzi e per ottenere il Pag. 16risultato che lei ha dichiarato prima, di portare l'inflazione al 2 per cento, ma mi domando: come sarà la politica monetaria degli altri Paesi (America, Cina) ? Ci dobbiamo aspettare anche da parte loro un quantitative easing oppure ci dobbiamo aspettare un dollaro e un euro alla pari, così che rappresentino una moneta unica dell'Occidente, che favorisca un'accelerazione dell'integrazione commerciale tra le due sponde dell'Atlantico, rafforzando le due economie, le uniche due libere delle democrazie di mercato ?

  ADRIANA GALGANO. Grazie, presidente Draghi. Ho due domande da porle. La prima è relativa alla lista iniziale di istituzioni internazionali e sovranazionali e agenzie localizzate nell'area euro i cui titoli potranno essere comprati in relazione al progetto del quantitative easing. Vorrei sapere come siano state selezionate le istituzioni presenti nella lista e perché manchino istituzioni italiane in questa lista.
  La seconda domanda riguarda invece le indiscrezioni che sono state riportate dal Financial Times sul fatto che la BCE si accingerebbe a vietare alle banche greche l'acquisto ulteriore di bond. Nella sua valutazione questo può avvicinare la Grecia al default ? Grazie.

  FEDERICO FAUTTILLI. Grazie, presidente Draghi, per l'importante contributo che oggi ci ha offerto. Anche noi apprezziamo il ruolo che la BCE sta svolgendo con la sua guida, al fine di uscire dalla recessione, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, e rilanciare la crescita.
  In questi giorni, come Commissione Bilancio abbiamo effettuato una serie di audizioni con soggetti istituzionali nazionali ed europei interessati alla governance del Piano Juncker, e da più parti, anche autorevoli, è emerso che le risorse effettive messe in campo sarebbero insufficienti rispetto ai fabbisogni emergenti.
  La sola reale speranza di crescita è fortemente legata alla capacità di attivazione di investimenti privati attraverso un effetto moltiplicatore, come è stato detto e più volte ribadito, con un rapporto di 1 a 14 o 1 a 15, che porterebbe, secondo la Commissione europea, ad un totale di 315 miliardi di euro di investimenti.
  Non ritiene anche lei un po’ ottimistica tale previsione, anche alla luce del fatto che gran parte dei fondi sarebbe destinata a progetti infrastrutturali a lungo termine, la cui redditività è di per sé incerta, e quindi sicuramente poco attraente per gli investitori privati, che probabilmente saranno più propensi a scegliere i progetti meno rischiosi e con un rendimento più certo o ravvicinato nel tempo ? Se così dovesse essere, quale sarebbe la fine del piano ?
  La seconda domanda è collegata a questa prima e riguarda sempre il problema delle risorse. Perché non si procede e quali sono, quindi, gli ostacoli principali all'avvio degli eurobond, tenendo conto che le motivazioni contrarie risiedono sostanzialmente nel fatto che i Paesi più virtuosi dovrebbero accollarsi un onere aggiuntivo in termini di costo del debito a favore dei Paesi meno virtuosi ? Vi sarebbe, inoltre, il rischio ulteriore che la protezione offerta dagli eurobond favorisca il cosiddetto azzardo morale, finendo per incentivare in generale politiche fiscali e di bilancio ancora meno rigorose, esacerbando la discrasia tra Nazioni rilassate e Nazioni virtuose e appesantendo l'onere sopportato da queste ultime ?
  La prospettiva degli eurobond incontra inoltre alcune difficoltà oggettive, dal momento che potrebbe richiedere una riforma dei trattati europei e dei ruoli e dei compiti affidati per via statutaria alla Banca centrale europea. Alcuni economisti, tra cui Romano Prodi e Alberto Quadro Curzio, hanno proposto la creazione di obbligazioni sovrane, denominate eurounionbond, garantite dalle riserve auree detenute dai Paesi della zona euro, ammontanti a circa 450 miliardi di euro, una buona fetta delle quali, circa 180 miliardi, possedute dall'Italia. Alla garanzia aurea si aggiungerebbe quella basata sul pegno di azioni di società sotto controllo statale, come ENI, ENEL, Finmeccanica, Poste e così via, di cui i due proponenti, i due professori a cui facevo riferimento, ritengono possibile la privatizzazione. La dotazione Pag. 17così creata, denominata fondo finanziario europeo, ammonterebbe a circa 1.000 miliardi di euro.

  SEBASTIANO BARBANTI. Il compito di contrastare l'inflazione e garantire un'ordinata dinamica dei prezzi attorno a un target ben definito e condiviso ha portato la BCE a vincere l'inflazione vera e propria e, successivamente, a combattere anche la deflazione. Le rilevazioni statistiche, che lei ha più volte riportato nei mesi scorsi, evidenziano una marcata differenziazione dell'andamento della deflazione e dell'inflazione nelle varie aree d'Europa, cosa che ovviamente si accompagna a differenze nel livello dell'occupazione, dell'evoluzione del PIL e del gettito fiscale.
  Oggi, il tasso di interesse reale pagato agli operatori delle aree a maggior deflazione è di gran lunga più elevato di quello pagato agli operatori delle aree più avanti nello sviluppo: come si può riuscire nell'intento di portare tutta l'economia di Eurolandia allo stesso target di inflazione, senza differenziare l'azione di politica monetaria e creditizia a seconda delle esigenze che si evidenziano zona per zona ? In altre parole, non sarebbe meglio che la BCE applicasse politiche di fine tuning, in grado di adattare la sua azione al fine di garantire l'univocità del tasso di interesse reale in luogo di quello nominale ?
  Inoltre, la Single Supervisory Mechanism-SSM Regulation ha conferito alla BCE il compito di vigilare sul disclosure reporting, ma la BCE, in alcuni casi specifici di banche grandi, ha detto di non ritenersi responsabile per la falsificazione di bilancio e di non sentirsi in obbligo di intervenire per verificare. È vero che il tema del falso in bilancio riguarda più soggetti, ma è pur vero che la BCE è interessata per quanto concerne la sana e prudente gestione: come si concilia questa posizione con quanto espressamente previsto dall'SSM ?
  Pongo un'ultimissima questione. La BCE compra titoli di Stato sulla base delle indicazioni di società di rating che non sono neanche in Europa, ma sono estere: non è il caso di rivedere questo sistema o di creare, finalmente, un'agenzia di rating europea, o di valutare questi titoli in altro modo, senza affidarsi a terzi ?

  PRESIDENTE. Il presidente Draghi risponderà ora alle domande oggetto del tema dell'audizione. Per la verità, abbiamo messo sul tavolo temi che potrebbero portare il presidente Draghi a stare con noi da qui alla fine dell'operazione quantitative easing, fino a novembre del 2016. Deciderà lui per quanto tempo, da qui ad allora, sarà in nostra compagnia.
  Do la parola al presidente Draghi per la replica.

  MARIO DRAGHI, Presidente della Banca Centrale Europea. Vi ringrazio delle domande, che sono tante, e spero di riuscire a rispondere a tutte o, perlomeno, a quasi tutte.
  Una prima domanda, ripresa in più interventi, è volta a chiedere in che modo o in che misura l'impulso monetario creato col quantitative easing si traduce in più credito all'economia reale, alle famiglie e alle imprese. Noi siamo convinti che ciò avvenga, tanto che le previsioni che la Banca centrale europea ha pubblicato all'inizio di marzo relative alla crescita nell'area dell'euro, come ricordavo in precedenza, sono state aumentate, sono cresciute in maniera abbastanza significativa. Anzi, nel comunicato che ho reso in occasione della conferenza stampa dopo l'adozione di questi provvedimenti, è esplicitamente detto che queste previsioni sono condizionali a una piena attuazione del programma, e quindi c’è un nesso che la Banca centrale europea vede tra questa operazione e la trasmissione dei suoi effetti all'economia reale, alle famiglie e alle imprese.
  Con un'altra domanda si chiedeva quale sarà l'entità di tale nesso, visto che le condizioni che abbiamo sono quelle di un mercato basato prevalentemente sulle banche e non sul mercato dei capitali. In primo luogo, l'80 per cento dell'intermediazione europea avviene per via bancaria, percentuale che negli ultimi due o tre anni Pag. 18è scesa un po’. Effettivamente, il mercato dei capitali si sta sviluppando, ma quel modello è ancora predominante: come mai ?
  Ciò dipende anche dalla struttura industriale che caratterizza l'economia europea, che è prevalentemente composta di piccole imprese, le quali presentano evidentemente dei rischi di credito che non sono gli stessi di una grande impresa, e quindi hanno bisogno, per poter essere prezzate nel loro credito, di una maggiore trasparenza.
  Per il futuro, uno degli obiettivi della cosiddetta unione dei mercati dei capitali è quello di mettere anche le piccole imprese nelle condizioni di emettere titoli sul mercato. Per fare questo, però, bisogna rafforzare molto la trasparenza dei bilanci delle piccole imprese e standardizzare le condizioni di informazione. Questi sono tutti progetti per il futuro. Ad oggi, la struttura è basata essenzialmente sulla piccola impresa – circa due terzi dell'occupazione dell'area dell'euro è infatti generato da piccole e medie imprese – e ciò comporta necessariamente un sistema creditizio fondato sulle banche, capaci – o almeno si spera – di analizzare e capire le condizioni di rischio e di credito delle piccole e medie imprese.
  La domanda è: ma allora il quantitative easing avrà efficacia allo stesso modo che in un'economia essenzialmente basata sul mercato dei capitali ? Ad esempio, nel Regno Unito, che è un Paese più simile a noi rispetto agli Stati Uniti in termini di percentuale dell'intermediazione basata sulle banche, il quantitative easing ha avuto effetto. In Giappone, altro Paese basato essenzialmente sulle banche, come noi, ha avuto effetto. I canali, infatti, sono tanti: ve n’è uno che parte dal riaggiustamento del portafoglio, per cui c’è una sostituzione delle attività finanziarie; un altro canale guarda invece alla diminuzione dei tassi di interesse causata dal quantitative easing; un altro canale ancora, infine, passa attraverso la variazione del tasso di cambio.
  Oggi, quell'effetto sul tasso di cambio è stato indubbiamente significativo. È iniziato con l'aspettativa che si arrivasse al quantitative easing e poi si è molto rafforzato con la sua attuazione.
  L'altro sviluppo, a mio avviso molto significativo, concerne il fatto che i tassi d'interesse a lungo termine si sono abbattuti molto più di quanto non fosse prevedibile un paio di mesi fa. Ciò conta molto per gli investimenti, perché quello è il tasso a cui vengono valutati gli investimenti delle imprese.
  Voglio citarvi una stima della Banca d'Italia, secondo la quale la riduzione dei tassi a lungo termine e il deprezzamento del cambio dovrebbero esercitare un impatto positivo sul livello del PIL italiano pari a circa un punto percentuale entro il 2016. Gli effetti complessivi potrebbero essere addirittura maggiori, tenendo conto di quelli che tali misure potrebbero esercitare sul clima di fiducia delle imprese e delle famiglie e sulle aspettative di inflazione e anche del fatto che tali stime sono state calcolate un paio di mesi fa, prima dell'ulteriore forte correzione al ribasso dei tassi d'interesse. In sostanza, quest'indagine della Banca d'Italia ci dice che anche in Italia – sull'area euro non abbiamo dubbi – l'impatto potrà essere significativo e positivo.
  Tenete anche presente un altro canale. Se il quantitative easing ha effetto sulle aspettative di inflazione, nel senso che porta a crescere quelle a medio termine, ciò determinerà di per sé una riduzione dei tassi reali di interesse finché i nostri tassi rimangono a questo livello, pari cioè a zero. Ed anche questo avrà un effetto positivo sugli investimenti e sulle famiglie.
  Sempre riguardo all'effetto del quantitative easing, è stato rilevato anche un paragone con quello che è successo negli Stati Uniti, quando si è detto che hanno potuto avere un'espansione del deficit pubblico maggiore che da noi. È corretto: negli Stati Uniti il deficit pubblico è cresciuto in maniera significativa nel momento più difficile della crisi ed è stato poi gradualmente ridotto secondo un piano di riduzione a medio e lungo termine. Nell'area dell'euro, invece, il consolidamento fiscale è stato anticipato, rispetto alle condizioni Pag. 19cicliche, ed attuato in un tempo relativamente breve, e quindi ha avuto effetti molto più recessivi di quanto non sia avvenuto negli Stati Uniti.
  Indubbiamente, nelle condizioni istituzionali vigenti nell'area dell'euro, non poteva che avvenire ciò che è avvenuto. Abbiamo dei vincoli e per statuto la Banca centrale europea non può monetizzare il deficit pubblico dei vari Paesi, ma vorrei ricordare anche un'altra condizione, ossia quella di partenza del debito pubblico, negli Stati Uniti di gran lunga inferiore a quello di alcuni Paesi dell'area dell'euro.
  Ricordo che il professor Zingales ha fatto un calcolo per l'Italia: se avessimo tenuto fissa la spesa pubblica rispetto al prodotto nazionale del 1997 e utilizzato tutti i guadagni in conto interessi derivanti dalla partecipazione all'euro, il debito pubblico all'inizio della crisi sarebbe stato del 67 anziché del 103 per cento. Questo avrebbe significato avere molte più risorse da poter spendere durante la crisi. È pertanto una situazione complessa, in cui i vincoli istituzionali hanno agito, ma insieme a «errori» di politica economica precedenti, e hanno reso la risposta alla crisi ancora più recessiva.
  Gli effetti recessivi del consolidamento di bilancio sono stati inaspriti anche dal modo in cui esso è stato attuato, privilegiando aumenti di imposta e tagli nella spesa per investimenti pubblici, invece di diminuzioni nella spesa corrente. Come voi tutti sapete, dal 1997 a oggi la tassazione è cresciuta in maniera molto significativa. In generale, l'Europa è una delle parti del mondo – forse, la parte del mondo – dove la tassazione è più elevata. Questo non può non avere effetti sulla crescita.
  Molte delle domande poste riguardano il Piano Juncker, sul quale la posizione della BCE è naturalmente molto favorevole. Esso può contribuire a fronteggiare l'attuale debolezza degli investimenti nell'area dell'euro ? Aiuta a rilanciare la domanda aggregata ? Risponde alla mancanza di finanziamenti e a certe strozzature dal lato dell'offerta ?
  Io penso che questo Piano può esplicare i suoi effetti nel medio termine soltanto se si verificano due condizioni.
  La prima è che parta presto e, in tal senso, i Paesi devono aderire presto, come abbiamo detto fin dal primo giorno. Guardiamo, quindi, con grande favore a questo Piano, ma è importante che alla fine si passi rapidamente dalla fase del disegno a quella della sua attuazione. La seconda è che questo Piano sia accompagnato – qui devo ripetere quello che dicevo prima – dalle riforme strutturali. In generale, tutte le politiche di sostegno della domanda hanno un effetto molto più amplificato se accompagnate dalle riforme strutturali.
  Per quanto riguarda la politica monetaria – ma il discorso potrebbe valere anche per quella fiscale – ricordo sempre che la BCE ha certamente migliorato le condizioni a cui le banche si finanziano, e quindi le condizioni di partenza per l'erogazione del credito da parte delle banche oggi sono straordinariamente espansive. Per molto tempo queste condizioni non sono state trasmesse all'economia reale per la presenza di ostacoli burocratici e fiscali che spegnevano l'entusiasmo imprenditoriale. Si pensi per esempio ad un giovane imprenditore che deve aspettare nove, dieci, undici o dodici mesi per ottenere una licenza, che deve pagare la medesima licenza spesso molto ed in presenza di ricavi che non si sono ancora materializzati e che, quando lo fossero, vengono decurtati da una tassazione pesante: è possibile che si scoraggi e neanche avvii l'attività. Questo spiega il fatto che l'attivazione di canali creditizi, che la politica monetaria può stimolare, deve trovare una controparte, che si trova più facilmente se si attuano quelle riforme necessarie che voi tutti conoscete.
  Un altro dei punti sollevati ha riguardato il tema di cosa può fare la BCE per garantire che questo stimolo vada alle imprese. Ricordiamo che le banche, così come i mercati, possono non piacerci, ma questi sono i canali attraverso cui si esercita l'azione della BCE. Essa può cercare di mettere i mercati e le banche nelle condizioni migliori per erogare i prestiti Pag. 20all'economia reale. Recentemente ha fatto anche di più, introducendo le TLTRO, per cui le banche possono prendere in prestito, o comunque a condizioni più agevolate, se dimostrano di usare queste risorse per erogare prestiti all'economia reale. In effetti, sembra che ciò abbia sortito qualche effetto.
  Tornando per un momento al Piano Juncker, mi pare che una domanda riguardasse il fatto se la BCE può acquistare le obbligazioni emesse, necessarie per finanziarlo. Anzitutto, la BCE non può effettuare acquisti sul mercato primario, bensì su quello secondario, ma già oggi col quantitative easing sta acquistando o acquisterà obbligazioni emesse dalla BEI o dalle altre istituzioni sovraeuropee, sia pure sul mercato secondario e non su quello primario, dal momento che ciò le è impedito dal Trattato. Questo è certamente qualcosa a cui guardare.
  Credo sia stato il presidente Capezzone a chiedere cosa succederà se i Governi perderanno quest'occasione, che si preannuncia favorevole nei prossimi due anni, per attuare le riforme necessarie. Come ho detto, questa ripresa è ciclica, non strutturale, e pertanto, finito il periodo, si ritornerà esattamente a come stavamo prima. Su questo punto, però, sono abbastanza ottimista, proprio perché vedo le riforme necessarie come più facilmente attuabili se la situazione economica sottostante migliora.
  Come sapete, in altre parti dell'area dell'euro si dice che queste politiche monetarie espansive rimuovono gli incentivi ai Governi a fare le riforme. Credo che l'argomento sia abbastanza dubbio in generale, perché anzitutto bisogna chiarire di quale riforme parliamo, se di quelle del sistema giudiziario, di quello elettorale o di quello dell'istruzione: non credo ci sia alcuna relazione tra il livello dei tassi di interesse e queste riforme. Se guardiamo alle riforme del mercato del lavoro, queste in effetti sono state fatte quando i tassi di interesse erano già caduti, quindi erano già molto bassi. Quest'argomento, che lega l'incentivo a fare le riforme al livello che i tassi di interesse hanno nei mercati, è dubbio. Certo, nel caso del bilancio dello Stato, effettivamente c’è un nesso, ma in generale ritengo invece più vero il contrario, e cioè che una situazione economica più favorevole, a cui porta questa politica monetaria, aiuti a fare le riforme.
  Tra l'altro, l'idea che i Governi rispondano agli incentivi che sono presenti sui mercati trascura un altro fatto. A mio giudizio, il maggiore incentivo a realizzare le riforme risiede nel guardare a quello che succede nel mercato del lavoro. Quando un Paese ha tassi di disoccupazione tra il 10 e il 20 per cento con milioni di disoccupati, l'incentivo maggiore a fare le riforme è ridurne il numero, non il livello dei tassi di interesse. Trovo, quindi, quest'argomento un po’ dubbio.
  Quanto a nuove misure restrittive sui capitali delle banche e sul sistema bancario, una prima considerazione è di carattere generale. Quando si interviene sul sistema bancario per sollecitare un livello di capitale più alto, una delle osservazioni che si fanno è la seguente: «ma così riducono i crediti, poi dopo magari troveranno il capitale, ma intanto riducono i crediti». Il punto è che una banca che non ha capitale non presta già di per sé ed è come una ferita infettata. È chiaro che per pulire questa ferita si fa al momento del male, ma alla fine l'organismo guarisce. Le misure che tendono ad assicurare una sempre maggiore solidità del sistema bancario portano nel medio periodo, non necessariamente nel breve, a maggior credito e non a minor credito.
  In proposito, un punto riguarda i titoli sovrani. Oggi i titoli sovrani nei portafogli delle banche sono più o meno a rischio zero, perché fino al 2010, cioè fino a quando non ci fu il cosiddetto accordo di Deauville, il debito sovrano era considerato un'attività con un rischio di mercato, ma senza rischio di credito. Con la prima crisi greca, si vede che questo non è più vero. Una delle cause che hanno messo in moto la crisi nell'area dell'euro per il debito sovrano, innescando il contagio, è proprio aver privato i titoli sovrani di questo status privilegiato di essere senza rischio di credito.Pag. 21
  Che piaccia o meno, questa è la situazione di oggi: i titoli sovrani non sono esenti da rischi. Non la BCE, ma l’European Systemic Risk Board (ESRB), ossia il Comitato europeo per il rischio sistemico che io presiedo, esteso non solo all'area dell'euro ma a tutte le banche centrali e vigilanti europee, ha concluso e pubblicato uno studio in cui si mostra l'importanza di passare, per i titoli sovrani nei portafogli delle banche, da un rischio zero a uno diverso. Si parla, cioè, di contenere comunque il rischio che questi titoli hanno nel portafoglio delle banche, prospettando al riguardo varie ipotesi.
  Naturalmente questa è la strada giusta, ma non è di breve termine. Al momento, evidentemente, gli squilibri che l'introduzione di nuove misure di questo tipo creerebbe sono molto significativi, perché i Paesi in condizioni più critiche sono anche quelli con i deficit più alti, e quindi con i debiti più alti e con le banche con maggiori quantità di titoli pubblici in portafoglio.
  Un altro motivo, forse più importante ed essenziale, è che modifiche di questo tipo devono essere concordate a livello internazionale, ossia a livello mondiale. Infatti, si è voluto che tutta la regolamentazione del sistema bancario introdotta negli ultimi anni fosse applicata in maniera omogenea non solo in Europa, ma negli Stati Uniti e in Asia. Una modifica di questa regolamentazione per la sola Europa dovrebbe essere attentamente analizzata, ma non si presenta semplice, perché significherebbe mettere le nostre banche in una posizione di svantaggio concorrenziale rispetto alle banche non appartenenti all'area dell'euro.
  Sulla riforma delle banche popolari, la BCE ha espresso un parere decisamente favorevole. Non entro nei dettagli ma, come sapete, già per la mia esperienza in qualità di direttore generale del Tesoro, personalmente non posso che essere favorevole agli sviluppi che ci sono stati e alle misure che sono state proposte.
  Qualche anno fa l'Italia aveva circa 750 banche e quindi 750 consigli d'amministrazione, ognuno dei quali con almeno cinque membri, ed una banca in particolare ne aveva, almeno fino a qualche anno fa, diciannove. Ogni consigliere d'amministrazione costa, non so quanto, ma certamente una certa cifra. Vedete subito come tutto questo sistema sia molto costoso. E questi costi vengono pagati dai clienti delle banche. L'argomento per un appropriato consolidamento del sistema bancario, quindi, è forte.
  È possibile, per la BCE, perseguire l'obiettivo di tassi di inflazione diversi a seconda delle varie parti dell'area dell'euro ? No, non è possibile. Tutta la struttura degli obiettivi della nostra politica monetaria è basata su grandezze medie, non su singole grandezze nazionali. D'altronde, non sarebbe possibile fare quello che mi pare sia stato chiamato fine tuning per aggiustare e calibrare i tassi di interesse reali nei vari Paesi.
  Un'altra domanda concerne il tema della trasparenza. Devo dire che la BCE non ha questi compiti. Questo riguarda più la cosiddetta protezione del consumatore, che è una prerogativa esercitata ancora a livello nazionale. Più in generale, certamente, nella sua parte di vigilanza bancaria la BCE persegue obiettivi di trasparenza e incoraggia le autorità nazionali a questi obiettivi.
  Quanto alla domanda sulla mia esperienza e sul conflitto di interessi, non voglio entrare in questioni che riguardano le mie precedenti esperienze di direttore generale del Tesoro, ma ricordo semplicemente che, quando andai via dalla direzione generale del Tesoro, sono rimasto vari mesi senza lavorare, anche se non c'erano regole all'epoca che prescrivessero un periodo, e sono andato a insegnare. Soltanto dopo vari mesi sono stato assunto alla Goldman Sachs. Tanto per chiarire, quindi, non c’è nessuna situazione oscura.
  Alcune domande hanno poi toccato la questione del tasso di cambio. Gli ultimi due o tre mesi hanno visto movimenti del tasso di cambio molto significativi. Da parte di tutti, però, si è capito che questi movimenti non erano la conseguenza di politiche mirate al tasso di cambio, ma di politiche economiche e, più particolarmente, Pag. 22monetarie, che miravano a obiettivi di carattere interno: nel nostro caso, a raggiungere un certo tasso di inflazione; nel caso degli Stati Uniti, a raggiungere un certo tasso di inflazione e di disoccupazione.
  Oggi i movimenti nel cambio riflettono la differenza tra i cicli economici dei vari Paesi, e quindi tra le politiche monetarie che vi si adottano. Negli Stati Uniti, la politica monetaria sembra essere avviata, grazie alla forza della loro ripresa, a un comportamento meno espansivo. Dico che sembra essere avviata, perché questo processo è giustamente gestito con grande prudenza. Da noi le decisioni sono state, invece, di carattere espansivo, vista la debolezza della situazione economica europea. Ciò crea dei movimenti nel cambio.
  Devo anche aggiungere che nel 2012 c’è stato un movimento del cambio non spiegabile in questo modo. In quell'anno, infatti, abbiamo avuto un forte deprezzamento del dollaro e un rafforzamento dell'euro, dovuto semplicemente al fatto che dall'agosto 2012 il resto del mondo ha ritrovato fiducia nell'euro, e quindi i capitali sono affluiti nell'area dell'euro, anche se la situazione economica sottostante era di debolezza.
  Un'altra domanda concerne i motivi – se ho ben capito – per cui al quantitative easing non si sia arrivati prima.

  MAURIZIO BERNARDO. Mi chiedevo, nel caso in cui nel 2011 aveste potuto immaginare di attuare la stessa politica adottata negli anni successivi, cosa sarebbe capitato con riferimento ai mercati internazionali e allo spread.

  MARIO DRAGHI, Presidente della Banca Centrale Europea. Si possono dire due cose. Anzitutto, il quantitative easing ora ha un effetto che non avrebbe potuto avere prima della conclusione dell'operazione di pulizia e di scrutinio che abbiamo fatto dei bilanci delle banche nel 2014. Lo abbiamo visto in modo molto chiaro nel 2012. All'inizio del 2012, furono estese per la prima volta delle linee di credito a tre anni per le banche, in quantità potenzialmente illimitata. Ricordate l'LTRO ? Si arrivò a circa un miliardo di euro presi dalle banche con pochissimi effetti sull'economia reale. Per carità, è stata evitata una crisi sistemica di proporzioni molto significative, ma la trasmissione al credito verso le imprese e le famiglie non c’è stata in tantissimi Paesi, tra cui l'Italia. C’è stata in Germania, in Francia, ma non in Spagna né in Italia né in Portogallo e via elencando.
  Ciò perché i bilanci delle banche, o comunque di molte banche, erano fondamentalmente malati. Nonostante avessero più liquidità e condizioni di finanziamento migliori e, soprattutto, la possibilità, per la prima volta, di restituire la liquidità alla Banca centrale europea dopo tre anni, questa liquidità è stata investita in gran parte per acquistare titoli di Stato, realizzando attivi di bilancio, e non prestiti all'economia, se non in misura molto ridotta e certamente non in quei Paesi che ho nominato.
  Oggi le condizioni sono molto migliori. Almeno le grandi banche, superato l'esame con la BCE, hanno dei bilanci molto più puliti, e quindi sono in grado di trasmettere questo stimolo all'economia.
  C’è stato poi anche un altro motivo. Noi abbiamo continuato ad avere una politica espansiva con misure successive di diminuzione dei tassi di interesse per tutto il 2013, ma nel 2014, come dicevo all'inizio, le prospettive di inflazione erano ancora molto modeste, e poi a giugno abbiamo deciso altre misure. Fino a quel momento, però, le aspettative di inflazione a medio termine erano, come diciamo noi, ancorate bene. È all'inizio di agosto che cominciano a scendere e questo suggerisce l'azione successiva, prima espressa nel mio discorso di Jackson Hole e dopo con le decisioni che abbiamo preso.
  Prima dunque non esistevano le condizioni per varare il quantitative easing, giacché né le banche avrebbero potuto trasmettere, proprio sulla base dell'esperienza acquisita, né le aspettative di inflazione di medio termine giustificavano una soluzione di questo tipo.Pag. 23
  A quell'epoca, spiegavamo la bassa inflazione con considerazioni di altro tipo, che erano vere, come l'apprezzamento del cambio del 2012, i prezzi del petrolio, che avevano cominciato a scendere, i prezzi dei beni alimentari, il fatto che alcuni Paesi dovessero comunque riaggiustare i loro prezzi, che erano fuori linea, in linea con prezzi che fossero concorrenziali.
  Un'altra domanda ha riguardato il fatto che il surplus tedesco sembra violare le regole enunciate nella cosiddetta Macroeconomic Imbalance Procedure. Non c’è dubbio, visto che in tale procedura si parla del 6 per cento e in questo caso siamo al di sopra di tale livello. Il quantitative easing di per sé non riduce gli squilibri, ma offre un sostegno generalizzato all'economia dell'area dell'euro. Chi sa approfittarne di più, va avanti meglio. Chi fa più riforme, cresce di più. E, se si tratta di un paese debitore, forse riduce anche gli squilibri.
  Sulla necessità di politiche di investimento pubblico, condivido pienamente. Purtroppo, come dicevo, una delle forme che il nostro consolidamento fiscale ha avuto è stata quella di aumentare le tasse, ma anche di tagliare significativamente gli investimenti pubblici. Credo che oggi siamo a un minimo storico, con un aumento della spesa corrente, un aumento delle tasse fino ai livelli attuali e tagli degli investimenti pubblici. Questo non è un consolidamento.
  Ci sono due tipi di consolidamento di bilancio. Uno è quello che noi definiamo amichevole nei confronti dello sviluppo e della crescita, ossia quello che ho appena enunciato; l'altro, che non lo è, è invece un consolidamento basato su aumenti delle tasse e tagli della spesa pubblica negli investimenti.
  Una domanda specifica è stata posta su come la BCE ha redatto la lista delle istituzioni i cui titoli acquista. Anzitutto, Governi a parte, quando si individuano agenzie sopranazionali o che, comunque, risultano idonee ai fini del programma di acquisto, questa lista ha carattere preliminare e si basa sull'attuale elenco delle agenzie riconosciute nella seconda categoria di scarti di garanzia, gli haircut, ai sensi del sistema che utilizziamo per le garanzie nel collaterale. Abbiamo, cioè, un sistema di valutazione dei titoli che le banche ci forniscono a garanzia dei loro prestiti: sulla base delle garanzie riconosciute come utilizzabili, abbiamo steso la lista delle agenzie i cui titoli compreremo. Sono state escluse le agenzie che si occupano principalmente di gestione delle attività finanziarie. In ogni caso, si tratta di un elenco preliminare che potrà essere, e probabilmente sarà, modificato a seguito di una valutazione che dovrebbe avvenire in aprile.
  Alla domanda se il quantitative easing preveda l'acquisto di titoli greci, la risposta è no, e per tre motivi. Anzitutto, il quantitative easing non acquista titoli di Paesi che hanno un programma con il Fondo monetario internazionale e con la Commissione europea quando la review, cioè la valutazione di questo programma, non è completata. E in Grecia, come sapete, la valutazione è stata sospesa. Inoltre, non li acquista perché sono al di sotto di un certo rating. La BCE non acquista i titoli al di sotto di un certo rating. Lo avrebbe fatto se i greci avessero avuto quel famoso waiver, che però è stato sospeso perché la review non è stata completata e le condizioni di attuazione del programma per il momento non sembrano esistere.
  La terza ragione risiede nel fatto che la BCE non acquista titoli di Paesi al di sopra di una certa percentuale, per non arrivare al punto di essere il maggior detentore di titoli di quel Paese. Ciò avrebbe un effetto distorsivo per i prezzi di mercato, ma anche un altro effetto un po’ più complicato: se c’è un default del Paese su quei titoli di Stato, la BCE vuole essere in minoranza.
  In altre parole, i titoli di Stato hanno delle clausole, per cui, in caso di default, i creditori possono decidere di ristrutturare il debito. La BCE non può ristrutturare il debito, perché così facendo andrebbe contro il Trattato, che le proibisce di fare finanziamento monetario dei vari Paesi. Si tiene, quindi, negli acquisti dei titoli, al di sotto di quella percentuale che Pag. 24potrebbe portarla in maggioranza nelle assemblee dei creditori. La BCE non acquista, quindi, più del 33 per cento dei titoli di ogni singolo Paese. Ora, è successo che la BCE abbia acquistato titoli greci nel 2010 e i titoli che già possiede implicano che essa sia già al di sopra di quel limite, quindi non può acquistare titoli greci. Sono parecchie, quindi, le ragioni per cui non acquista titoli greci.
  Quanto alle società di rating, da tantissimi anni, soprattutto dopo la crisi iniziata alla fine del 2007, sostengo che bisogna imparare a farne a meno. Nel senso che bisogna imparare a utilizzare il rating come uno dei tanti indicatori che si usano nelle proprie scelte, ma la situazione è che quasi tutti gli intermediari finanziari, quasi tutti i gestori di risparmio, quasi tutti i fondi di investimento hanno nelle loro regole di investimento il rating come unico indicatore e spesso sono decisioni quasi automatiche, che alcuni fondi pensione contemplano addirittura nello statuto. Credo di aver terminato.

  PRESIDENTE. A questo punto, ringraziamo il presidente Draghi.

  GIROLAMO PISANO. Chiedo scusa, presidente Capezzone, vorrei intervenire per una replica velocissima.

  PRESIDENTE. Onorevole Pisano, non sono previste repliche.

  GIROLAMO PISANO. Chiedo scusa, ma non ho ricevuto una risposta minimamente soddisfacente sulla ragione per cui la BCE non può fare politiche locali mirate sul tasso inflattivo.

  MARIO DRAGHI, presidente della Banca Centrale Europea. Con quali strumenti ? La BCE dà credito all'intera area, dopodiché esso si incanala a seconda delle condizioni economiche delle varie parti dell'euro.

  GIROLAMO PISANO. Ad esempio, variando il tasso.

  MARIO DRAGHI, presidente della Banca Centrale Europea. La BCE varia il tasso e tratta tutti i debitori allo stesso modo. Non può creare condizioni discriminanti tra l'uno e l'altro. C’è un principio di eguaglianza di trattamento.

  GIROLAMO PISANO. Ma di fatto, le crea.

  MARIO DRAGHI, Presidente della Banca Centrale Europea. No.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, e speriamo di rivederlo presto per un bilancio a medio termine di questa operazione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.