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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 111 di Mercoledì 16 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 14 
Russo Giovanni , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto ... 14 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Russo Giovanni , procuratore aggiunto ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Russo Giovanni , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Russo Giovanni , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Russo Giovanni , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Russo Giovanni , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 19 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 20 
De Lucia Maurizio , sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 22 
Mattiello Davide (PD)  ... 22 
Bindi Rosy , Presidente ... 23 
Giarrusso Mario Michele  ... 23 
Sarti Giulia (M5S)  ... 25 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 26 
Gaetti Luigi  ... 26 
Bindi Rosy , Presidente ... 26 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 27 
Bindi Rosy , Presidente ... 29 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 29 
Bindi Rosy , Presidente ... 29 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 29 
Giarrusso Mario Michele  ... 29 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 29 
De Lucia Maurizio , sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 30 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 30 
De Lucia Maurizio , sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 30 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 32 
Bindi Rosy , Presidente ... 32 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 32 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 32 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 32 
Bindi Rosy , Presidente ... 35 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 35 
Bindi Rosy , Presidente ... 35 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 35 
Giarrusso Mario Michele  ... 36 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 36 
Sarti Giulia (M5S)  ... 37 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 37 
Russo Giovanni , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto ... 37 
Roberti Franco , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 37 
De Lucia Maurizio , sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 37 
Giarrusso Mario Michele  ... 38 
Bindi Rosy , Presidente ... 38

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti.
  L'audizione, già programmata prima della pausa estiva e poi rinviata, ha ad oggetto la situazione generale della criminalità organizzata nel Paese e le attività della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, nel quadro dei periodici aggiornamenti informativi tra la Commissione parlamentare d'inchiesta e la DNA.
  L'audizione segue inoltre di pochi giorni, anzi di poche ore, quella specificamente dedicata alla situazione della criminalità nella città di Napoli, svolta nell'ambito della missione che l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella scorsa riunione ha unanimemente convenuto di svolgere d'urgenza nel capoluogo campano, alla luce dei gravi episodi criminali verificatisi nell'ultimo mese, che hanno coinvolto in particolare giovani e minorenni.
  Cedo ora la parola al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, dottor Roberti, il quale è accompagnato dal procuratore aggiunto Giovanni Russo e dal sostituto procuratore Maurizio De Lucia, che ringrazio per la presenza.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Grazie, presidente. Saluto naturalmente tutti i componenti della Commissione e chiedo a lei, presidente, una indicazione su come procedere, perché i temi sono tantissimi e, anche a volerne ridurre la trattazione per flash, comporterebbero un discorso di alcune ore. Vorrei essere sintetico per lasciare spazio naturalmente agli interventi, ma devo dire che forse la cosa migliore – se lei è d'accordo – è attenermi a questa scaletta di tematica che mi fece avere cortesemente il dottor Comparone nel maggio scorso, con l'indicazione di una serie di temi specifici sui quali si chiedeva il nostro intervento.
  Le ragioni della presenza dei colleghi Russo e De Lucia sono proprio nella presenza di alcuni temi nella scaletta di cui ho parlato: in particolare, per quanto riguarda Russo, l'aspetto delle modifiche introdotte in ordine all'accesso delle banche dati e del registro delle notizie di reato, in quanto il collega Russo è responsabile dei sistemi di sicurezza e dei sistemi informatici della procura nazionale; per quanto riguarda il collega De Lucia, certamente l'aspetto dei collaboratori di giustizia, lo stato dell'arte in materia di collaboratori di giustizia.
  Poi, se è ancora interesse della Commissione chiedermi valutazioni sulla possibile e ventilata soppressione della corte Pag. 4d'appello di Caltanissetta, pregherei il collega De Lucia di intervenire su questo punto – ma posso dire alcune cose anche io – perché egli ha il collegamento con Caltanissetta per quanto riguarda le indagini sulle stragi del 1992 e del 1993.

  PRESIDENTE. Evidentemente quella scaletta è legata ad alcuni approfondimenti, però un'introduzione di carattere generale noi la gradiremmo. Questo è forse il significato più alto del nostro incontro. Quelli indicati nella scaletta erano alcuni temi ai quali noi teniamo come approfondimento, e nel frattempo se ne sono uniti anche altri.
  Se posso permettermi, anche dopo le procurate polemiche di ieri, penso che una riflessione di carattere generale sia necessaria.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Va bene.

  PRESIDENTE. Peraltro, è la prima volta che ci incontriamo, quest'anno, con un po’ di ritardo. Siccome la relazione che abbiamo presentato in un convegno non è mai stata discussa in Commissione, forse, anche per rispetto dei commissari ma soprattutto del vostro lavoro, un'inquadratura di carattere generale per noi è molto importante.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Va benissimo.

  PRESIDENTE. Prenda pure un'ora di tempo, poi ne abbiamo un'altra per approfondire.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Però, dopo questo inquadramento generale, ci sono alcuni temi che vorrei affrontare perché sono attuali e urgenti; temi che riguardano interventi normativi in itinere, quindi è importante che almeno siamo messi in condizione di poter esprimere la nostra valutazione.

  PRESIDENTE. Assolutamente, grazie.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Prendendo spunto da quello che è stato oggetto di attenzione nella vostra missione a Napoli a proposito della camorra, posso cominciare dicendo che il contrasto alle mafie – a tutte le mafie, non solo alla camorra, a tutte le organizzazioni mafiose – nel nostro Paese ha sempre avuto un andamento emergenziale. Intendo dire che le mafie sono state contrastate, a mio avviso, esclusivamente come un problema grave di ordine pubblico e soltanto nel momento in cui si riteneva che la loro attività potesse attentare all'ordine pubblico e alle istituzioni.
  Ciò non è avvenuto solo per la camorra, anzi è accaduto più marcatamente proprio per la mafia, per la mafia siciliana, per cosa nostra. L'azione di contrasto alla mafia siciliana ha avuto sempre un andamento di tipo emergenziale, in risposta ad azioni criminose.
  Si cominciò dopo la strage di Ciaculli, con il primo intervento normativo concreto, consistente, in materia di misure di prevenzione. Si continuò, sempre nei primi anni Ottanta, dopo i noti attentati siciliani, con l'intervento del 1982, la legge Rognoni-La Torre. Si è così continuato, dopo la strage di Capaci, con il decreto-legge n. 306 del 1992, senza mai articolare o, per meglio dire, senza mai guardare in faccia, quella che è la realtà delle organizzazioni mafiose nel nostro territorio.
  Si tratta di organizzazioni che esistono da secoli, quindi è un'emergenza presunta che ci trasciniamo da secoli, senza mai guardare in faccia la realtà, cioè che le organizzazioni mafiose, camorristiche e ’ndranghetiste sono innanzitutto un fenomeno sociale e poi un fenomeno criminale.
  Per la camorra, che è stata da me definita, nella mia relazione alla Commissione antimafia del 2007 presieduta dall'onorevole Forgione, come elemento costitutivo della società napoletana, proprio in risposta alla visione – un po’ comoda – emergenziale, intendevo dire quello che intendo ancora dire, perché la realtà non Pag. 5è mutata, ossia che la camorra e le altre mafie sono parte integrante della società e sono un grande problema sociale, oltre che un problema politico, economico e infine, naturalmente, un problema criminale.
  Non va bene se non guardiamo in faccia questa realtà, se continuiamo con i negazionismi ipocriti, paralizzanti, subdoli, che ancora in queste ore io leggo su alcuni giornali. Perché dico subdoli ? La presenza delle organizzazioni mafiose nelle regioni di mafia e, con le sue diramazioni, nelle altre regioni, è un'evidenza, perché tutti diciamo che le mafie hanno un controllo territoriale, e lo dimostriamo con i nostri atti giudiziari, che hanno una capacità relazionale straordinaria, che hanno una capacità straordinaria di infiltrarsi nelle pubbliche amministrazioni, che si definiscono – come si definisce la camorra – «sistema», sistema tendenzialmente alternativo al sistema dello Stato e dei poteri pubblici legali.
  Ebbene, se riconosciamo tutto questo, non possiamo contrapporre a tutto questo una visione da paradiso terrestre di Napoli, come si dice in queste ore. Si dice che Napoli è una realtà fatta di cose belle, fatta di arte, fatta di storia, fatta di filosofia: certo, nessuno nega questa realtà, nessuno nega la storia, nessuno nega l'arte, nessuno nega la filosofia. Ma se noi adottiamo questo atteggiamento consolatorio e diciamo che Napoli è la terra di Croce, di Vico e, se mi permettete, anche di Aldo Masullo e di Sebastiano Maffettone, che oggi è consigliere culturale del nuovo governatore della Campania, se diciamo questo dobbiamo riconoscere che a questa Napoli, di cui tutti siamo orgogliosi, si contrappone la Napoli plebea e camorrista che ancora domina in larghe parti del territorio dell'area metropolitana di Napoli e nel casertano, come anche in zone dell'avellinese e del beneventano.
  Quindi, guardare in faccia questa realtà è la precondizione per poter articolare interventi strutturali che possano veramente porre le premesse per un superamento delle presenze camorristiche nel territorio campano come delle presenze mafiose negli altri territori.
  Se permettete, vorrei a questo riguardo ricordare un episodio che si collega in modo inquietante con la realtà. L'episodio storico è questo: nel 1926 Mussolini, dopo avere distrutto, a suo modo di vedere, la mafia siciliana con le operazioni affidate al prefetto Mori, ritenne di attaccare e distruggere la camorra casertana.
  Lui chiamava «latrones» quelli che occupavano la terra dei Mazzoni. I Mazzoni, che occupavano il territorio a nord-ovest di Napoli, erano effettivamente dei mandriani, gestori di bufale, coltivavano i terreni, poi col tempo diventarono anche proprietari di questi terreni. I Mazzoni erano gente pericolosissima, gente che uccideva. Nell'anno 1926 si contarono oltre trecento omicidi addebitabili alle persone presenti in quel territorio. Dunque, erano persone violentissime, rapinatori, grassatori, estorsori, persone che Mussolini ritenne di dover combattere.
  Egli affidò questa operazione di polizia – purtroppo dagli archivi non si è riusciti a trovare l'esito giudiziario, ma l'operazione di polizia ci fu – a un colonnello dei Carabinieri, tal colonnello Anceschi, il quale, con modi abbastanza sbrigativi, riuscì a indagare, a investigare e ad arrestare oltre 1.500 persone. Non si sa, lo ripeto, l'esito dei provvedimenti giudiziari, ma alla fine del suo incarico il colonnello Anceschi scrisse al Comando generale dell'Arma dei carabinieri un ultimo rapporto in cui riepilogava l'azione che era andato sviluppando nel biennio precedente e concludeva (mi dispiace che non ho qui con me il testo della lettera, ma posso farvelo avere) che, a quel punto, dopo aver fatto pulizia dei latrones nella terra dei Mazzoni, lo Stato doveva intervenire per bonificare quel territorio; che servivano scuole, strade, case, serviva istruzione; che serviva che lo Stato andasse ad occupare quei territori da cui si era sradicata la camorra dei Mazzoni.
  Non avvenne niente. Mussolini si accontentò ovviamente del risultato e non avvenne niente. Dopo cominciarono a riaffiorare i vecchi mafiosi e arrivammo al clan dei Casalesi, arrivammo a Bardellino, a Schiavone, a Bidognetti, che sono i Pag. 6diretti discendenti di quei Mazzoni eliminati, sradicati dal colonnello Anceschi e dal regime fascista.
  Lo scorso 28 febbraio, poco meno di novant'anni dopo la vicenda Anceschi, io mi trovavo nella sede del tribunale di Napoli nord, invitato dai colleghi di quel tribunale per avere un incontro con gli studenti. Dopo l'incontro fui avvicinato dal vice sindaco di Casal di Principe, la dottoressa Diana, cugina di don Peppino Diana. Circondata da ragazzi di Casale, ella mi chiedeva aiuto, mi chiedeva di intervenire per sollecitare i fondi europei di cui, dopo aver perso i fondi regionali, grazie alla vecchia giunta che non era stata capace di fare niente, il comune di Casal di Principe aveva bisogno per costruire strade, scuole e rete idrica.
  Mi attivai, parlai con il sottosegretario Delrio, che fu cortesissimo e ricevette la delegazione del comune di Casal di Principe. Purtroppo sono passati sei mesi e a Casal di Principe non è ancora arrivato un euro.
  Ho sentito l'altro giorno, proprio in vista della mia audizione in Commissione antimafia a Napoli, il sindaco Renato Natale, il quale, in grande stato di depressione, mi ha detto: «procuratore, sto pensando di dimettermi perché non ce la faccio più ad andare avanti». Gli ho risposto: «sindaco, se lei si dimette non è Casal di Principe che perde, è lo Stato che perde» e ho aggiunto che se si fosse dimesso avrebbero ricevuto ossigeno i vecchi marpioni politico-mafiosi che sono stati tirati via dagli interventi giudiziari, ma esistono ancora sul territorio; sarebbero riaffiorati questi soggetti e si sarebbero avvalsi del fatto che la gente di Casal di Principe e dintorni avrebbe pensato che forse era meglio quando a governare quel comune e i comuni limitrofi erano quelli del clan dei Casalesi piuttosto che una giunta di persone pulite e perbene.
  Sono passati, ripeto, ottantasette anni e ancora non si è fatto niente. Lo stesso discorso vale per la città di Napoli e lo stesso discorso credo che si possa fare per tutti gli altri territori in cui esiste un controllo territoriale delle organizzazioni mafiose, in cui esistono le infiltrazioni. Allora di che cosa parliamo ? Quando parliamo di elemento costitutivo, di dato strutturale permanente, di un dato che ci trasciniamo dall'unità d'Italia ad oggi senza che sia stato mai affrontato, parliamo del cuore del problema, perché l'intervento giudiziario è sì necessario, ma è una parte dell'intervento dello Stato per recuperare questi territori che stanno morendo.
  Il rapporto Svimez – forse l'avete letto meglio di me – che cosa dice, e da tempo ? Parla di desertificazione industriale, mancanza di investimenti, disoccupazione crescente, disuguaglianze sociali crescenti. È vero, esiste anche una Napoli virtuosa, una Napoli onesta, certamente. Sarei folle a negarlo. Ma accanto a questa Napoli c’è una Napoli camorrista e plebea che convive con l'altra Napoli e che si alimenta e trova la sua forza, la sua linfa proprio in quelle povertà crescenti, nella disoccupazione, in quelle disuguaglianze sociali crescenti. Le mafie si infilano nelle disuguaglianze, per fare affari con i ricchi senza scrupoli, come nel caso dei rifiuti.
  Potrei parlare ore della vicenda dei rifiuti in Campania, che nasce da questa associazione, da questa sinergia tra le organizzazioni mafiose e i produttori di rifiuti che per lucro personale vogliono smaltire illecitamente i rifiuti e devono occultare anche la produzione in nero, attraverso lo smaltimento in nero dei rifiuti della stessa. A chi si possono rivolgere questi produttori ricchi e disonesti, se non alle organizzazioni camorristiche ?
  Quindi, la camorra, le mafie fanno affari con i ricchi senza scrupoli, e reclutano nelle sacche di disperazione, di emarginazione, di rassegnazione la manovalanza criminale, quella che domina Scampia. Mi avete chiesto, presidente, dei minorenni. I minorenni a Napoli sono stati sempre utilizzati dalla camorra. Se oggi hanno preso più piede è perché i maggiorenni sono in difficoltà sotto i colpi dell'azione investigativa e giudiziaria, molti sono al 41-bis. I minorenni solo una componente essenziale. A Napoli li chiamano «muschilli». Sicuramente ne avrete Pag. 7sentito parlare: i giovani, i «muschilli», quelli che fanno i servizi per gli spacciatori di droga, quelli che fanno le vedette a Scampia, quelli che fanno gli omicidi. Sono minorenni.
  Di fronte a tutto questo che cosa si fa ? Si invoca l'esercito, si invocano leggi speciali. Non si vede come, nonostante i colpi che sono stati loro inferti, grazie anche alle leggi che ci sono state date – certo, risposte emergenziali, ma strumenti normativi utili, non c’è dubbio – che hanno consentito di assicurare alla giustizia centinaia, e forse migliaia, di mafiosi nel Paese, che hanno consentito di sequestrare e confiscare beni per un valore di miliardi di euro, tant’è che oggi abbiamo il problema (non so se avremo il tempo di parlarne) anche della gestione e destinazione di tutti questi beni, nonostante tutto questo le organizzazioni mafiose sono ancora forti; non solo, ma si sono propagate in altre regioni, diverse da quelle di origine, e anche in altri Paesi europei e anche extra-europei.
  Come è stato possibile tutto questo ? Certo, effetto della globalizzazione ma anche effetto della vulnerabilità dei sistemi economico-finanziari, effetto della vulnerabilità delle istituzioni (non parlo solo delle istituzioni politiche, parlo di tutte le istituzioni), effetto della disattenzione a quelli che sono gli altri elementi che concorrono alla crescita del potere economico e politico delle mafie. Parlo della corruzione, ad esempio: è stata mai combattuta nel nostro Paese ? Mai. Anzi, i corruttori sono sempre stati visti da una certa cultura del nostro Paese come dei furbi, come coloro che sapevano fare, come coloro che andavano con l'assegno in bocca negli uffici tecnici comunali per procurarsi le licenze, come qualcuno si espresse qualche anno fa. Il corruttore è un furbo, come lo è l'evasore fiscale.
  La corruzione e l'evasione fiscale sono il sostrato delle organizzazioni criminali. D'altra parte, basta evocare le indagini di mafia capitale per dimostrare come la corruzione si sia quasi sostituita all'intimidazione mafiosa – mai cancellandola, come ha scritto la Cassazione a proposito proprio di Carminati e di mafia capitale – e comunque si sia associata all'intimidazione. È diventata la corruzione uno strumento per l'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni, pubbliche e private, nell'imprenditoria. Anche a questo riguardo si potrebbero fare mille esempi, ma non la finiremmo più. Lo sappiamo tutti che è così.
  Come si può, di fronte a questo scenario che voi conoscete quanto noi e forse meglio di noi, negare che le mafie siano elemento costitutivo della società da cui hanno avuto origine, in cui ancora permangono e da cui si sono poi diramate per andare a insediarsi e a incistarsi in altri territori ?
  Su questo punto, voglio anticiparlo subito, c’è un'interessante evoluzione giurisprudenziale, proprio con riferimento al potere silente delle mafie nei territori non di origine, nazionali e stranieri. Ne ha parlato la Corte di cassazione a proposito dell'indagine della DDA di Reggio Calabria che riguardava la cosca insediata a Frauenfeld, in Svizzera. Se mi permettete, voglio citare un passaggio di questa sentenza, perché spiega come sia decisivo, per affermare la responsabilità penale dei componenti delle organizzazioni mafiose dislocate all'estero, l'elemento della percezione del potere di intimidazione derivante dal vincolo associativo.
  Si era obiettato che in fondo queste mafie che stanno fuori dai loro territori non sparano (e non è sempre vero), non uccidono, non incendiano (e non è vero), ma comunque sono silenti. È vero, sono silenti rispetto a Napoli, a quello che succede a Napoli, o rispetto a quello che succedeva in altre regioni. Tuttavia, si è sollevato il dubbio: se sono silenti, se non esternano, se non manifestano con atti violenti il loro potere mafioso, come si fa a ritenere che queste organizzazioni, una volta dislocate all'estero o in altri territori italiani, siano riconducibili al paradigma dell'articolo 416-bis ?
  La Corte di cassazione, per la verità, si era posta addirittura il problema di chiamare eventualmente in causa le Sezioni unite per stabilire il principio di diritto, su Pag. 8quali fossero i criteri e gli elementi per poter arrivare a una condanna delle organizzazioni mafiose silenti, in territori diversi da quelli di origine. È stato, invece, con provvedimento del primo Presidente della Corte di cassazione, affermato il seguente principio, molto importante, soprattutto per le mafie all'estero: «l'integrazione della fattispecie di associazione di tipo mafioso implica che un sodalizio criminale sia in grado di sprigionare, per il solo fatto della sua esistenza, una capacità di intimidazione non soltanto potenziale, ma attuale, effettiva e obiettivamente riscontrabile, capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano a contatto con i suoi componenti».
  Basta che a Frauenfeld si sappia, come si sa, che una cosca mafiosa, ’ndranghetista, proveniente direttamente dalla provincia di Reggio Calabria, si è da quarant'anni insediata in quel territorio, perché questa cosca e i suoi componenti possano lucrare della capacità di intimidazione sprigionata dalla percezione della loro presenza e conseguentemente trarne vantaggi economici e forse anche politici.
  Questo è il principio che è stato affermato – è un'affermazione recentissima – e credo che sia molto importante. Anche a questo proposito, sul 416-bis, ci sarebbe tanto da dire.
  Vorrei tornare, per concludere, al tema delle mafie come componenti organiche della società. Negarlo, si è detto, significa negare l'evidenza. Tuttavia, io credo che sia necessario anche prevedere una serie di interventi per favorire, sul piano economico, sul piano sociale, il recupero di questi territori. Questo è il punto.
  Credo che, come interventi giudiziari, veramente di più non si possa fare. Dobbiamo stare attenti a non indebolire lo strumento dell'intervento giudiziario, come – e lo dirò tra poco – si sta inconsapevolmente e certamente nella più perfetta buona fede rischiando di fare. Mi riferisco alla normativa, in corso di esame al Parlamento, di cui al disegno di legge C. 2798 (Interventi di modifica al Codice penale, al Codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario). Mi rifaccio al parere espresso organicamente dal CSM su questo disegno di legge importantissimo.
  Personalmente ritengo che ci siano previsioni molto buone per favorire una maggiore speditezza dei tempi dell'accertamento giudiziario. Per la verità, avrei voluto trovare, e non ho trovato, interventi sulla prescrizione: non sulla prescrizione del reato solo di corruzione allungando i termini delle pene edittali, ma sulla prescrizione come istituto. Comunque, non apro il tema della prescrizione, sebbene potrei parlarne molto a lungo, avendone parlato in Commissione giustizia.
  Avrei voluto, per esempio, che in questo disegno di legge ci fossero interventi capaci di ridare centralità al giudizio di primo grado, per esempio prevedendo l'esecutività della sentenza di condanna di primo grado. Avrei voluto che si potesse limitare il ricorso per Cassazione alle sole questioni di legittimità, rimettendo alle corti di appello una funzione importante, il cosiddetto «appello cassatorio», cioè l'appello che concerne la sola carenza o contraddittorietà di motivazioni.
  Avrei voluto che non fosse abolito il giudizio di appello, come forse pure un processo accusatorio richiederebbe, in teoria, ma che almeno fosse limitato il giudizio di appello, sempre per ridurre i tempi dell'accertamento penale complessivo, per esempio, come molto più autorevolmente di me è stato suggerito, ai soli procedimenti speciali, in particolare al giudizio abbreviato, mentre una volta che la definizione del processo è avvenuta in primo grado nel dibattimento andare direttamente in Cassazione.
  Ciò avrebbe avuto e avrebbe anche una forza incentivante per il ricorso ai procedimenti speciali, ai giudizi alternativi, che non c’è purtroppo oggi nel nostro ordinamento. C’è uno scarso ricorso ai procedimenti speciali, alle soluzioni alternative al processo, e per questo il nostro processo è così appesantito; per questo arrivano ogni anno alla Corte di cassazione (lo ricordava il collega Riello, procuratore generale, l'altro giorno) 50 mila ricorsi penali, a fronte degli 8 mila ricorsi che arrivano alla Corte Pag. 9di cassazione francese, per parlare di un ordinamento giudiziario non lontano dal nostro; per questo la Cassazione fa una fatica dannata.
  Nonostante tutto, come è stato affermato e come è stato dimostrato nel 2010 – consentitemi di dirlo – i giudici italiani sono i più produttivi d'Europa. Ma certamente non giova alla nomofilachia, certamente non giova alla speditezza dei procedimenti il fatto che arrivino 50 mila ricorsi all'anno in Cassazione; senza contare, poi, i ricorsi contro i provvedimenti de libertate. Anche qui ci sarebbe molto da dire, ma ovviamente per brevità non ne parlo.
  Per tornare al disegno di legge C. 2798, ci sono tre punti che debbo assolutamente sottoporre alla vostra riflessione. Per la verità, pur non essendo stato mai audito dalla Commissione giustizia su questo disegno di legge, mentre sono stato audito su tanti altri disegni di legge, la presidente della Commissione mi interpellò su un punto del disegno di legge delega, l'articolo 26. Io ho risposto per iscritto il 9 luglio scorso (se volete, vi lascio anche copia della risposta). Il terzo criterio di delega è contenuto nell'articolo 26, che prevede la eliminazione di automatismi e preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi che per gli autori di determinate categorie di reato, l'individualizzazione del trattamento rieducativo e revisione della disciplina di preclusione e i benefici penitenziari per i condannati alla pena dell'ergastolo.
  Ho segnalato i rischi di un intervento su queste preclusioni. In particolare, ho segnalato la nostra contrarietà assoluta a ogni futura modifica normativa che possa anche solo attenuare – ma addirittura nel disegno di legge delega si parla di eliminare – nei casi di cui parliamo le previsioni di cautela oggi vigenti. Ciò anche con riguardo ai detenuti per reati di terrorismo nazionale e internazionale, il cui approccio al rispetto delle regole giuridiche dello Stato è, se possibile, ancor più negativo di quello degli appartenenti condannati alle associazioni di tipo mafioso.
  Allora, escludere del tutto queste preclusioni mi sembra piuttosto rischioso, e mi sembra che indebolisca il sistema normativo antimafia nel suo complesso.
  Segnalavo anche, in questa nota che vi lascio, l'opportunità di intervenire su un'altra norma del nostro ordinamento, l'articolo 5, comma 1, del testo unico sul casellario giudiziale del 2002. Il testo tuttora in vigore prevede che le iscrizioni nel casellario giudiziale sono eliminate al compimento dell'ottantesimo anno di età o per morte della persona alla quale si riferiscono. Ovviamente il nostro suggerimento è quello di intervenire sull'eliminazione dell'iscrizione per gli ultraottuagenari, perché dobbiamo ricordare che oggi, se andiamo a prendere il certificato di Riina e Provenzano non risulta nulla, perché sono state cancellate tutte le iscrizioni, quindi risultano incensurati. Se per Riina e Provenzano o per Schiavone e Bidognetti questo dato può essere agevolmente superato, non lo è per i tanti altri detenuti ultraottuagenari ma ancora pericolosi che si trovano in stato di detenzione e sui quali il tribunale di sorveglianza si trova a dover decidere avendo un certificato in casellario da cui risulta nulla. Allora, mi permetto di suggerire un intervento su questa norma.
  Vengo a quello che forse è il tema più attuale: la proposta di modifica dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, con riferimento particolare all'articolo 30 del disegno di legge delega in parola, e ancora più specificamente con riferimento alla lettera e) dell'articolo 30, laddove, in sintonia con l'articolo 26 di cui abbiamo già parlato, si propone «la eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi, sia per gli autori di determinate categorie di reato, l'individualizzazione del trattamento rieducativo e revisione» – vi prego di porre attenzione a questo ulteriore passaggio – «della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell'ergastolo, salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità, in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale».Pag. 10
  Ora, voi sapete benissimo la genesi dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. È una norma che fu introdotta con il decreto-legge n. 306 del 1992, dopo la strage di Capaci, ed è una norma estremamente importante perché poneva ai detenuti mafiosi l’aut aut: se vuoi questi benefici devi collaborare, altrimenti non li hai. Punto e basta.
  Poi intervenne la Corte costituzionale. Ci sono stati cinque o sei interventi, tra il 1994 e il 1999, della Corte costituzionale, che hanno imposto – devo dire giustamente – una rivisitazione di questo articolo 4-bis. Per esempio, fu introdotto l'articolo 1-bis che prevedeva la concessione ai detenuti o internati per i delitti più gravi dei benefici penitenziari «purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o terroristica o eversiva». Non vuoi collaborare ? Almeno, se vuoi questi benefici, dimostra o contribuisci alla dimostrazione che hai reciso i tuoi collegamenti con la criminalità organizzata, mafiosa o terroristica o eversiva. Almeno questo, dati oggettivi, dati che permettevano e permettono al giudice di ancorare la propria decisione non a una valutazione discrezionale che può essere poi ondivaga e fonte di disparità di trattamento tra i vari detenuti, a seconda dei giudici che valutano discrezionalmente (tra l'altro sovraesponendo i giudici) la sussistenza o meno dell'eccezionalità dei motivi per cui non si può accedere ai benefìci.
  Con questa proposta di modifica si vuole abolire completamente la disciplina che àncora la concessione o meno a dati oggettivi: collaborazione o non collaborazione, rescissione o non rescissione dei legami, marginalità o non marginalità del ruolo dell'associato. Questi erano gli interventi della Corte costituzionale e così è stata ricostruita la norma nel tempo, e così è ancora la norma, che oggettivamente costituisce uno strumento importante per il contrasto alle mafie. Forse su questo possono parlare meglio di me i miei colleghi che vanno alle udienze del tribunale di sorveglianza e seguono anche queste vicende.
  Io mi limito a dire che questa norma ha favorito le collaborazioni con la giustizia, le ha sicuramente favorite. I collaboratori – poi sul tema faremo una riflessione con il collega De Lucia – sono uno strumento insopprimibile dell'indagine penale, insieme alle intercettazioni. Di veramente significativi strumenti di indagine non ce ne sono altri: le indagini tecniche e i collaboratori, e i testimoni quando succede. Allora, se vogliamo continuare in questa azione che, ripeto, ha prodotto risultati importantissimi in tutti questi anni, dobbiamo preservare il sistema dei collaboratori e dobbiamo preservare le premesse per poter continuare ad avvalerci dei contributi dei collaboratori di giustizia.
  Vi prego di riflettere su questo profilo.
  Vi è ancora – se mi permette, presidente – un altro aspetto che vorrei sottoporre alla vostra attenzione. Parliamo di codice antimafia. Ho portato una relazione sulla quale, a meno che non vogliate intervenire con domande specifiche, non vorrei soffermarmi perché è una relazione adesiva al vostro lavoro, al lavoro di questa Commissione, ai disegni di legge che sono oggi all'esame del Parlamento e che tutti ci auguriamo possano essere quanto prima – soprattutto per quanto riguarda il tema degli amministratori giudiziari e dell'Agenzia per i beni confiscati – approvati dal Parlamento.
  Questa è la nostra relazione e se volete poi ci torniamo. C’è però un punto del codice antimafia, che mi sembra non sia stato oggetto delle vostre analisi e delle vostre proposte, che invece ci sta molto a cuore. Mi riferisco all'articolo 85 del codice antimafia.
  L'articolo 85 è un punto di vulnerabilità dell'ordinamento in materia di antimafia. Forse nessuno se n’è accorto, ma ce ne siamo accorti noi facendo le indagini e facendo soprattutto le pre-investigazioni, ma ci arriverò subito.
  L'articolo 85 è la norma che riguarda i soggetti sottoposti alle verifiche antimafia. Pag. 11Fin qui va tutto bene. Nessuno dovrebbe sfuggire all'obbligo di presentare documentazione antimafia se vuole concorrere all'affidamento di appalti. Però, come dicono gli inglesi con una bellissima espressione, c’è una mosca nell'unguento, there's a fly in the ointment, o se volete dirlo più poeticamente con Montale, c’è una maglia rotta nella rete.
  La maglia rotta è la lettera b) di quest'articolo 85 laddove recita che per le società di capitali anche consortili – sottolineo, anche consortili – vale il principio della presentazione della documentazione antimafia, che vale anche per ciascuno dei consorziati che nei consorzi e nelle società consortili detenga una partecipazione superiore al 10 per cento o inferiore al 10 per cento e che abbia stipulato un patto parasociale riferibile a una partecipazione pari o superiore al 10 per cento. Questo significa che puoi entrare in un consorzio con una partecipazione inferiore o pari, salvo i patti parasociali, al 10 per cento e non sei tenuto alla documentazione antimafia.
  Questa norma va poi letta in combinato disposto, come si dice, con altre due norme: l'articolo 36 del codice degli appalti e l'articolo 94 del regolamento attuativo del 2010. Che cosa dice l'articolo 36 del codice degli appalti ? Si occupa di regolare le modalità attraverso cui i consorzi stabili di imprese possono svolgere i lavori a loro affidati rinviando a un testo regolamentare per la normativa di dettaglio.
  In particolare, il comma 2 dell'articolo 36 del codice degli appalti dice che il futuro regolamento – stiamo parlando del 2010 – stabilisce le condizioni e i limiti alla facoltà del consorzio di eseguire le prestazioni anche attraverso affidamenti ai consorziati ovviamente. L'articolo 94 del regolamento dice, però, che i consorzi stabili di cui all'articolo 34 del codice degli appalti eseguono i lavori o con la propria struttura o tramite i consorziati indicati in sede di gara senza che ciò costituisca subappalto. In questo modo si aggira anche la normativa di verifica sui subappalti.
  Non la faccio lunga. Questo combinato disposto di norme ha consentito a ditte direttamente collegate a tutte le organizzazioni mafiose di entrare in un sistema di appalti pubblici che vede come capofila un certo consorzio che non nomino, ma che è rappresentato in questo grafico, che trasmetterò tra alcuni giorni al procuratore distrettuale competente, che vede al centro questo consorzio capofila e nella fascia mediana le ditte direttamente collegate alle organizzazioni mafiose, che naturalmente agiscono con prestanome, ma che, non dovendo presentare certificazione antimafia, rimangono prestanome e basta. Non si sa niente di questa galassia di ditte tutte al di sotto del 10 per cento e tutte collegate con cosche come i Giampà, i Pesce-Bellocco, i Mancuso, i Barbaro, per rimanere alla ’ndrangheta, il clan dei Casalesi...
  È lo stesso consorzio al centro, che è collegato...

  PRESIDENTE. Le ha messe tutte insieme...

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Ebbene, sì. Le ha messe tutte insieme.
  Questo è il lavoro della DNA. Questo è il lavoro che svolge la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo avvalendosi, come dice il 371-bis, degli organismi centrali di polizia giudiziaria, in questo caso lo SCICO.

  PRESIDENTE. Procuratore, non abbiamo toccato questa norma, perché ancora non abbiamo affrontato il tema degli appalti, ma lo stiamo affrontando...

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Mi premeva segnalarvela cogliendo quest'occasione.

  PRESIDENTE. Lei ci dà preventivamente una notizia.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Mi premeva Pag. 12segnalarvela, perché questa è veramente una smagliatura, un varco pesante.

  PRESIDENTE. Siamo pronti, procuratore.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Io capisco, mi rendo conto del fatto che ci sono anche esigenze di snellimento delle procedure, che si è cercato un punto di equilibrio, ma questa è una cosa che mi premeva evidenziare.

  PRESIDENTE. Interdittive e appalti.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Interdittive e appalti: articolo 85 in combinato disposto con la norma in materia di codice degli appalti e di regolamento del 2010.

  PRESIDENTE. È una pista seria.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. È una cosa molto seria. Gli eventi che si sono succeduti hanno portato a parlare in prima battuta dell'articolo 4-bis e di altro, ma ero venuto con la determinazione di cominciare a parlarvi dell'articolo 85 del codice antimafia.

  PRESIDENTE. Pronti a recepire.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Grazie.
  Ci sono poi altri temi, come la nuova competenza in materia di terrorismo. Non parlerò della nuova competenza, ma vi dirò veramente in sintesi – vi affiderò anche la mia relazione – come ci siamo organizzati. Poi interverrà anche Giovanni Russo per quanto riguarda la banca dati, che nell'azione di coordinamento e di impulso investigativo della procura nazionale antimafia e antiterrorismo è fondamentalissima. Lo pregherò di fare anche qualche esempio illustrativo alla Commissione su come funziona nella materia antiterrorismo.
  In ogni caso, ci siamo dati un'organizzazione. Quando il legislatore ci ha riconosciuto – onorandoci, innanzitutto, e onerandoci – queste competenze, abbiamo cercato di rispondere al meglio, nel modo più tempestivo possibile a questa nuova attribuzione. Abbiamo rivisto la nostra organizzazione interna, creato la sezione terrorismo, il servizio contrasto al terrorismo anche internazionale, che naturalmente opera prevalentemente, ma non esclusivamente, sul piano anche del coordinamento internazionale.
  Qui dovrei parlare, ma ne avrò occasione rispondendo a qualche domanda, di quello che stiamo facendo di molto importante nella materia del contrasto ai traffici illegali di migranti, di coordinamento nelle investigazioni giudiziarie contro i traffici di migranti anche con procure europee, come quelle olandesi e tedesche, ma di questo forse possiamo parlare in un secondo momento.
  Quello che voglio dire è che, per quanto riguarda la competenza antiterrorismo, in questo promemoria del dottor Comparone mi sono stati posti due quesiti specifici: il primo sulla titolarità del potere di proposta per misure di prevenzione patrimoniali nell'esercizio del potere delle funzioni, articolo 371-bis. Questo potere di proposta delle misure di prevenzione patrimoniali è contenuto nella legge che ha attribuito le competenze antiterrorismo, perciò ne parlo ora. Naturalmente, ne parlo in termini positivi anche qui. È un'attribuzione che sollecitavamo da tempo. Non aveva senso avere attribuito nel 2008 al procuratore nazionale antimafia il coordinamento dell'attività investigativa finalizzata anche alle misure di prevenzione e non attribuire al procuratore stesso anche la funzione di proposta autonoma, sia pure con riferimento al 371-bis, delle misure di prevenzione patrimoniale, avendo peraltro già il potere di proporre misure di prevenzione personali.
  Questo potere ci è stato, ancora una volta un po’ in via emergenziale e occasionale, attribuito, ma ci è stato attribuito. Per la verità, non ci siamo organizzati di conseguenza, perché ci eravamo predisposti Pag. 13creando il servizio misure di prevenzione e una delle strutture che chiamiamo poli d'interesse della DNA e che riguardano, appunto, il contrasto patrimoniale alla criminalità organizzata.
  Qui potrei intervenire, ma non lo faccio per brevità, anche su quello che stiamo facendo in materia di coordinamento, elaborazione e impulso in materia di segnalazioni di operazioni sospette. Abbiamo stipulato un protocollo con la DIA per accelerare i tempi di elaborazione delle segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio. Ci accingiamo a fare la stessa cosa con il Nucleo di polizia valutaria per quanto riguarda il riciclaggio e il finanziamento, soprattutto del terrorismo.
  Questo è tutto un lavoro in itinere su cui magari potremo tornare anche più avanti.
  Il secondo punto riguarda i colloqui con detenuti e internati che possono essere richiesti ai servizi di informazione e sicurezza dal Presidente del Consiglio dei ministri e autorizzati dal procuratore generale presso la corte d'appello del distretto in cui si trova il soggetto. Per la verità, non si tratta di quella del distretto in cui si trova il soggetto, perché questi colloqui investigativi vengono autorizzati dal procuratore generale presso la corte d'appello di Roma al fine di acquisire informazioni per la prevenzione dei delitti con finalità terroristica di matrice internazionale. Dello svolgimento di tali colloqui è data solo comunicazione al procuratore nazionale antimafia: c’è certezza che tali colloqui non riguarderanno soggetti appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso ?
  Naturalmente, una volta che il procuratore generale di Roma ha autorizzato il colloquio investigativo con un soggetto che si ritiene appartenente al mondo del terrorismo internazionale, è chiaro che il colloquio riguarderà quella persona. È poi normale che possa accadere che nel corso del colloquio il terrorista presunto o acclarato riferisca anche fatti di interesse per le indagini di criminalità mafiosa. Sarà poi competenza, compito e dovere dell'esponente dei servizi dell’intelligence segnalare anche questo dato all'autorità di polizia competente per la materia mafiosa.
  Questo sistema dei colloqui investigativi dei servizi di intelligence con i presunti terroristi detenuti, così come le intercettazioni preventive, pure autorizzande o autorizzabili dal procuratore generale della corte d'appello di Roma, è un sistema che naturalmente abbiamo accettato perché prestiamo seguito alle decisioni del legislatore. Io mi ero permesso di suggerire che nell'interludio tra il decreto-legge e la legge di conversione il potere autorizzatorio venisse attribuito al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo anziché al procuratore generale della corte d'appello di Roma, tanto per i colloqui investigativi quanto per le intercettazioni preventive.
  La ragione non è chissà quale delirio di onnipotenza. Mi sembrava e ci sembrava molto più funzionale che il procuratore nazionale, detentore della conoscenza, detentore della banca dati e del dovere di far circolare queste informazioni, molto più consapevolmente, più avvedutamente – non dico saggiamente, perché non mi permetterei mai – del procuratore generale della corte d'appello di Roma avrebbe potuto rilasciare o meno l'autorizzazione al colloquio e all'intercettazione preventiva.
  Avrebbe addirittura potuto con il proprio bagaglio di conoscenze arricchire la conoscenza dei servizi di intelligence nel momento in cui vanno al colloquio o nel momento in cui si accingono a fare le intercettazioni preventive. Il procuratore generale di Roma non sa tutte queste cose, ed è quindi un'autorizzazione che rilascia un po’ al buio. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, invece, avrebbe potuto farlo secondo me su una base di dati più solida e ampia, ma tant’è, questa è stata la scelta del legislatore, che noi rispettiamo.
  Siamo anzi convinti che comunque questi strumenti affidati ai servizi di intelligence siano importanti. Siamo convinti che nella materia del contrasto al terrorismo, forse più che nella materia del contrasto alle mafie, il lavoro dell’intelligencePag. 14sia fondamentale, assolutamente imprescindibile. E noi vogliamo che i servizi di intelligence lavorino al meglio delle loro capacità. Devo dire che, per quanto sto constatando, lo stanno veramente facendo.
  Vorrei intervenire sul servizio per la cooperazione internazionale, di cui pure mi si chiedeva. Se lei consente, presidente, per completare questa tematica della circolazione delle informazioni della banca dati, vorrei dare la parola a Giovanni Russo. Tornerò poi io sulla cooperazione internazionale, e poi concluderà Maurizio De Lucia sui collaboratori di giustizia.

  PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore Roberti.
  Do la parola al procuratore Russo.

  GIOVANNI RUSSO, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto. Il compito della banca dati del sistema informativo della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo è quello di fornire un panorama aggiornato di informazioni ai poteri del procuratore nazionale, che sono di impulso e di coordinamento delle indagini. Il compito della banca dati, di cui sono responsabile, è quello di raccogliere questi elementi, elaborarli insieme e far sì che essi producano una nuova conoscenza.
  A partire dall'idea di Giovanni Falcone, ci siamo messi sul piano della creazione di questo sistema informatizzato che permettesse di condividere ed elaborare queste notizie, questi dati, tutti gli elementi afferenti alla criminalità organizzata, e quando ci si mette i risultati si ottengono. Con un pizzico d'orgoglio e senza falsa modestia, mi fa piacere affermare che la nostra banca dati, il sistema informativo di cui è dotato il nostro Paese, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, è la banca dati giudiziaria migliore del mondo. È un sistema potente e sicuro. Facendo i debiti scongiuri, dalla sua creazione non è stata mai oggetto di penetrazione, neanche in tempi recenti, in cui, come abbiamo visto, sono proliferati gli attacchi e anche le capacità tecnologiche di intrusione nei sistemi informatizzati.
  Mi permetto di rinnovare alla presidente e alla Commissione un invito già rivolto dal procuratore nazionale di venire a vedere come funziona la nostra banca dati. Io penso che noi abbiamo un dovere di informazione verso di voi e che voi abbiate un dovere di conoscenza per capire quanto è potente e sicuro questo sistema. Ci viene invidiato dal mondo intero ed è oggetto di pellegrinaggi – permettetemi il termine forse inappropriato – di delegazioni di parlamentari, di Governi, di forze di polizia e di forze magistratuali di tutto il mondo. È stato recentemente donato a un Paese dell'area balcanica. È in trattative il nostro Ministero su nostra indicazione per donarlo ad altri Paesi, per mutuare tutti insieme una visione regionale rispetto alla condivisione delle informazioni.
  Vi fornisco qualche numero e poi approfondiremo in estrema sintesi anche i dati relativi a queste nuove competenze che ci sono state attribuite. Penso che possa essere interessante il dato meramente numerico, che anonimizza i luoghi e tanto più i soggetti: alla data di ieri, nei nostri registri delle notizie di reato – la Direzione nazionale antimafia ha accesso a tutti i registri delle notizie di reato con riferimento ai reati di mafia, di criminalità organizzata, e da febbraio anche relativamente alla criminalità terroristica – abbiamo 1.093 procedimenti contro ignoti attualmente pendenti in Italia, 2.847 contro noti. Per questi ultimi abbiamo 15.041 indagati. Per quanto riguarda il terrorismo, abbiamo 132 procedimenti contro ignoti, 161 contro noti. Per questi ultimi abbiamo 489 indagati variamente distribuiti nell'ambito dei distretti.
  Devo dare conto del fatto che, sulla base dell’input che ci era venuto a maggio – adesso siamo in grado di fornire una realtà più consolidata – è entrato a sistema il meccanismo di acquisizione delle informazioni sia relative alle iscrizioni dei procedimenti, quindi la notizia che si procede contro qualche soggetto in relazione a determinate ipotesi di reato, sia alle indagini. La banca dati giudiziaria della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo è formata, infatti, dagli elementi investigativi che provengono dalle Pag. 15ventisei procure. Il procuratore nazionale antimafia è teoricamente in grado, entro 48 ore dal compimento di un'attività investigativa, in una qualunque delle ventisei procure distrettuali di conoscerne il contenuto.
  È già molto, ma non sarebbe sufficiente nella realtà odierna, in cui viene scambiata e prodotta una serie molto consistente di informazioni. Il nostro sistema elabora queste informazioni attraverso un motore di ricerca, non simil-Google, che è nostro partner. Utilizziamo anche il suo motore nei nostri sistemi: se cerco Totò Riina, mi dà tutti i documenti in cui ricorre il suo nome; se, però, cerco il documento relativo al boss che abita sopra al barbiere a Corleone, non restituisce il documento in cui compare Totò Rina, perché Google è stupido, e non trova l'espressione. Il nostro sistema è in grado di analizzare i documenti e di fornire questo tipo di informazione.
  Ci siamo allineati anche con riferimento alle problematiche del terrorismo. Tutte le procure distrettuali ci forniscono anche i dati relativi al terrorismo. Dobbiamo recuperare un gap conoscitivo di vent'anni rispetto ai documenti relativi al terrorismo. Mentre la banca dati di raccolta dei dati contro la criminalità organizzata di tipo mafioso risale a vent'anni fa e più, e quindi c’è già un patrimonio conoscitivo utilizzabile, immenso, per i dati antiterrorismo non esiste una banca dati nazionale, o meglio non esisteva fino ai giorni nostri. La stiamo mettendo su con il contributo dei colleghi e delle procure che avevano nel tempo raccolto queste informazioni. La visione, quindi, è rassicurante e positiva, con l'invito a venire a vedere i nostri metodi di funzionamento.
  Vorrei aggiungere qualcosa su un altro aspetto che riguarda le mie competenze e un tema che è stato appena trattato dal procuratore. Riguarda le intercettazioni telefoniche, un altro dei punti salienti di questo intervento legislativo con la delega. Non conosco bene lo stato degli emendamenti d'Aula, quindi non so se c’è spazio ancora per degli interventi. Ho visto che, opportunamente, è stata soppressa la previsione della garanzia giurisdizionale per l'acquisizione dei dati esterni alle intercettazioni.
  Come sapete benissimo, l'intervento acquisitivo delle informazioni delle comunicazioni sostanzialmente si muove su due piani: uno è acquisire il contenuto delle informazioni, cioè le intercettazioni (telefoniche, telematiche, satellitari, ambientali); un altro è acquisire i dati esterni al contenuto, quindi chi ha parlato con chi, dove si trovavano, i cosiddetti tabulati informativi.
  Mentre per la prima serie di atti occorre l'intervento del giudice, quindi un pubblico ministero, salvo i casi d'urgenza, chiede l'autorizzazione motivandola e ottenendo un provvedimento motivato autorizzatorio del giudice, nel caso dei dati esterni questo non occorre, e basta un provvedimento del pubblico ministero.
  Nella previsione della legge delega – ho visto che c’è fortunatamente un emendamento soppressivo – si contemperava il dovere di giurisdizionalizzare, quindi anche per i dati esterni ricorrere all'autorizzazione del giudice. Al di là dell'opportunità (e il vostro dibattito sicuramente potrà mettere in luce le varie opinioni) io sottolineo il profilo dell'irrealizzabilità. Forse non avete idea del volume di queste attività.
  Stamattina mi sono fatto fornire dai servizi di sicurezza relativi i dati dei due operatori principali. Vodafone, per esempio, fa 72 mila bersagli di intercettazioni l'anno per tutta l'autorità giudiziaria italiana, sono circa 300 mila i dati esterni, quindi più del triplo. La stessa cosa avviene per Tim-Telecom, che fa qualcosa come 115 mila bersagli di intercettazione, e quasi il triplo è il dato relativo agli aspetti esterni rispetto alle intercettazioni.
  Vengo a un'ultima considerazione sempre a questo riguardo. Nella lettera a) del capo I dell'articolo 25 – credo che poi sarà trasformato nell'articolo 29 del testo in discussione in Aula – c’è un'indicazione: di prevedere disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche, Pag. 16in conformità all'articolo 15 della Costituzione, e nessuno può dissentire dall'esigenza di garantire privatezza e riservatezza, attraverso – qui è il problema – prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati.
  Il sospetto è, cioè, che sia nell'utilizzazione cautelare, e cioè, per dirla in soldoni, nell'autorizzazione che il pubblico ministero fa nella misura cautelare o allegando i brogliacci, il momento in cui escono fuori queste intercettazioni o conversazioni indesiderate.
  In realtà, va fatto un ragionamento un po’ più moderno, attuale. La gran parte delle comunicazioni, adesso con gli operatori virtuali che hanno i server all'estero, viaggia e viene raccolta all'estero. Si sta affermando progressivamente l'utilizzo di sistemi di criptazione delle comunicazioni. Non sempre è facile per le Forze di polizia procedere alla decrittazione di queste conversazioni.
  Mi sembra molto riduttivo concentrare l'attenzione, peraltro con una formula molto generica, sul potere dell'utilizzazione cautelare del pubblico ministero o della polizia giudiziaria per verificare gli spazi in cui queste notizie possono essere disseminate nel web o utilizzate non per scopi processuali propri. Quest'aspetto mi sembra marginale rispetto a un panorama ben più complesso se si vuole riscrivere veramente una logica moderna riguardo alla necessità di cautelare il diritto alla riservatezza nelle informazioni.
  Mi fermerei qui, a meno che non ci siano domande più specifiche.

  PRESIDENTE. Procuratore, con riferimento ai dati che ci ha fornito dei vari gestori, non è che quelli sono tutti gli intercettati... ?

  GIOVANNI RUSSO, procuratore aggiunto. In che senso ?

  PRESIDENTE. Ce n’è un tale numero che non vorrei che si pensasse che...

  GIOVANNI RUSSO, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto. Quelli sono i numeri intercettati. È possibile, anzi è verosimile, che uno stesso soggetto abbia più numeri, più utenze contemporaneamente intercettate o in successione, ma i numeri sono quelli.

  PRESIDENTE. Ci sono tutti quei numeri che sono intercettati in questo momento ?

  GIOVANNI RUSSO, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto. No, che sono stati intercettati in un anno.

  PRESIDENTE. Va bene.

  GIOVANNI RUSSO, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto. Posso fornirle un dato ancora più preciso, proprio per dovere, come è ovvio, di trasparenza.

  PRESIDENTE. Sì.

  GIOVANNI RUSSO, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto. Questo è un dato solo Vodafone: nel corso di un anno – loro registrano il dato da marzo a marzo – quindi da aprile 2014 a marzo 2015, ci sono 2.241 giorni di intercettazione relativamente a 72 mila bersagli. Bersagli significa SIM per le utenze mobili o numeri telefonici, che non significa che sono 72 mila soggetti sottoposti in un anno a intercettazioni. Verosimilmente, parliamo di una quota parte, 50 mila, 35 mila, 60 mila, ma i numeri sono questi. Bisogna raddoppiarlo per Telecom, perché tutto sommato in linea di massima i numeri sono equivalenti, mentre gli altri due operatori nazionali hanno una quota pari al 5 per cento ciascuno.

  PRESIDENTE. Va bene, grazie.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Prima di passare la parola a De Lucia, vorrei intervenire su un punto: «avuto riguardo ai rapporti di collaborazione giudiziaria con le autorità straniere, all'operatività del servizio cooperazione internazionale e tenuto conto della decisione del Ministero della giustizia di ritirare i magistrati di Pag. 17collegamento che operavano all'estero (Francia, Regno Unito, Spagna e Romania) ... eventuali criticità e, in caso positivo, con quali Paesi nello svolgimento delle indagini condotte dalle procure distrettuali, nell'esecuzione delle misure di prevenzione patrimoniali... in vista di possibili studi e approfondimenti della Commissione sui Paesi esteri, illustrare i rapporti con le autorità giudiziarie del Regno Unito, dei Paesi Bassi, della Spagna, dei Paesi balcanici e del Messico».
  L'aver deciso di ritirare i magistrati di collegamento dai Paesi stranieri che ho citato sicuramente ha comportato e comporta un maggiore impegno della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nel favorire i rapporti di cooperazione internazionale delle procure e delle autorità giudiziarie italiane con quelle straniere.
  In quest'impegno ce la stiamo mettendo tutta, ma non da ora, bensì da molti anni. La Direzione nazionale antimafia ha sottoscritto numerosissime intese, accordi, memorandum, protocolli di intesa con autorità giudiziarie di numerosi Paesi stranieri per lo scambio informativo e per la collaborazione in materia rogatoriale attiva e passiva.
  Per quanto, in particolare, riguarda i rapporti con i Paesi che sono stati indicati (Regno Unito, Paesi Bassi, Spagna, Paesi balcanici e Messico), per ciascuno potrei ovviamente riferire più in dettaglio.
  Posso solo dire, per esempio, che in attuazione di un protocollo sottoscritto nel 2005, quindi dal mio predecessore, coi tribunali francesi che si occupano di criminalità organizzata, avremo un incontro dal 23 al 25 settembre qui a Roma, all'ambasciata di Francia, con i colleghi francesi, innanzitutto per una ricognizione dello stato della cooperazione, per scambiare informazioni sulle attività di cooperazione in corso e per concordare, in particolare, in un documento già predisposto e che sarà sottoscritto da me e dal collega Robert Gelli, direttore degli affari criminali e delle grazie del Ministero della giustizia francese, un impegno per noi italiani e per i francesi a valutare periodicamente la situazione e l'evoluzione della criminalità organizzata transnazionale con particolare riguardo alle attività criminali interessanti la Francia e l'Italia; a fare un bilancio aggiornato dell'assistenza e della cooperazione giudiziaria franco-italiana nella lotta alla criminalità organizzata; a seguire l'attuazione e gli scambi di informazione effettuati di cui al protocollo del giugno 2005; a decidere strategie comuni di lotta contro la criminalità organizzata transnazionale.
  È così con i francesi, con i quali abbiamo una tradizione di grande collaborazione, ma lo stesso posso dire per il Regno Unito, per il quale posso ricordare per esempio che recentissimamente, alcuni giorni fa, il direttore del Crown Prosecution Service, il pubblico ministero centralizzato del Regno Unito, la dottoressa Alison Saunders, ha comunicato a me e ai colleghi del Ministero che sarà nominato a giorni un secondo magistrato di collegamento britannico. Ce n’è già uno da moltissimi anni qui nel nostro Paese, la collega Sally Cullen, che opera benissimo, con grande disponibilità e grande competenza, e che ha agevolato e agevola una serie di attività rogatoriali nel Regno Unito anche per quanto riguarda le misure di prevenzione. Aggiungeranno un secondo magistrato di collegamento dedicato al tema del contrasto all'immigrazione.
  Addirittura, i colleghi britannici pensano di dislocare questo nuovo magistrato a Catania, quindi nel centro di coordinamento per tutte le problematiche dell'immigrazione clandestina, per poter più agevolmente seguire gli sviluppi di questa situazione. Ci hanno chiesto anche collaborazione, proprio riconoscendo al nostro ufficio una maggiore competenza nella materia del contrasto ai traffici transazionali e, in questo caso, ai traffici di migranti, di esseri umani. È ovvio e anzi scontato che l'abbiamo immediatamente rassicurata. Questo è per quanto riguarda la Francia e il Regno Unito.
  Lo stesso posso dire, anche se i rapporti sono per forza di cose un po’ più sporadici, che valga per i Paesi Bassi, che hanno un magistrato di collegamento in Pag. 18Italia, ma coi quali abbiamo un coordinamento importante per quanto riguarda dislocazioni e infiltrazioni della ’ndrangheta in Olanda. Stiamo coordinando un'indagine che coinvolge la procura olandese competente, le procure di Roma e di Reggio Calabria, nei confronti di un gruppo mafioso ’ndranghetista che opera contestualmente qua in Italia e anche nei Paesi Bassi, soprattutto nel settore del commercio dei fiori, ovviamente il business più importante per quel Paese.
  Vorrei ancora ricordare quanto richiamava Giovanni Russo. Noi abbiamo un rapporto privilegiatissimo con i Paesi balcanici, con la Serbia innanzitutto, con protocolli d'intesa, che però abbiamo anche con l'Albania e la Romania, con il Montenegro. Abbiamo chiesto – non ricordo se sia stato detto – al nostro Ministro della giustizia di autorizzare la donazione, così come abbiamo già fatto con la Serbia, al Montenegro, all'Albania – non ricordo se l'abbiamo fatto per la Romania – del nostro software, del nostro sistema informatico di banca dati, per poter armonizzare quanto più possibile, soprattutto sotto il profilo cruciale della circolazione, dello scambio informatico delle informazioni, questa cooperazione con i Paesi balcanici, che, come sappiamo tutti bene, sono veramente nevralgici per quanto riguarda il contrasto alla criminalità transnazionale, e oggi più che mai al traffico illegale di migranti e alla tratta di esseri umani.
  Il Messico, che ci chiede collaborazione, ha un problema di criminalità organizzata enorme, immenso, non solo per quanto riguarda i traffici di stupefacenti, i sequestri di persona e gli omicidi. Mi recherò personalmente, su invito del procuratore generale messicano, dal 2 al 6 novembre in Messico, in una delegazione composta anche da colleghi del nostro Ministero della giustizia, a far fare una sorta di stage ai colleghi messicani sull'esperienza italiana nel contrasto alla criminalità organizzata, mafiosa e terroristico-eversiva. Lo avevamo promesso, ci avevano invitati, e ci andremo con molto piacere. Pensiamo di attualizzare un rapporto di collaborazione con il Messico importantissimo, che di fatto esiste già, ma che attualizzeremo con questo scambio di informazioni.
  Per quanto riguarda, infine – consentitemi di ricordarlo – la Russia, tra i Paesi non nominati nel vostro quesito, ma che sono ugualmente importanti, abbiamo un doppio memorandum sottoscritto qui in Italia con il procuratore generale della Federazione russa e con il presidente del comitato investigativo russo. Lì la competenza è ripartita, per quanto riguarda la criminalità organizzata, tra la procura generale, che sostiene l'accusa dei giudizi anche di criminalità organizzata, e il comitato investigativo russo, organismo creato da Putin e da Medvedev qualche anno fa, che è proprio l'organismo di indagine contro la criminalità organizzata e il riciclaggio.
  Con il presidente del comitato investigativo russo venuto qui a Roma abbiamo sottoscritto qualche mese fa un accordo di cooperazione che sta funzionando, e lo abbiamo fatto e voluto fare alla Procura generale della Cassazione, in presenza del Procuratore generale della Cassazione, per riaffermare anche sotto un profilo formale che la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo è un organismo insediato, incardinato nella Procura generale della Cassazione. Non siamo un organo a sé, non siamo come, ahimè, ci ha raffigurato il codice antimafia, un organismo avulso dall'ordinamento giudiziario.
  A me non va giù che il codice antimafia ci abbia inseriti insieme alla DIA, per la quale ho il massimo rispetto, ma che è un organismo investigativo, mentre noi siamo un organismo giudiziario, rivendichiamo questa nostra matrice, in questo caso possiamo dire il nostro dna – in questo caso è legittimo dirlo – e pretendiamo di essere riconosciuti come un ufficio insediato e incardinato nella Procura generale della Cassazione. Per questo abbiamo voluto firmare con il presidente del comitato investigativo russo alla presenza del Procuratore generale.
  Poche settimane prima del vile attentato terroristico dei fratelli musulmani Pag. 19abbiamo sottoscritto, proprio con il procuratore generale egiziano, un protocollo d'intesa. Era importantissimo sottoscrivere con la procura generale egiziana un protocollo d'intesa per lo scambio di informazioni e la cooperazione giudiziaria, che ha funzionato. Ora spero che la morte del compianto procuratore generale, Hisham Barakat, non incida su questa cooperazione fondamentale che si è avviata per il contrasto ai trafficanti di esseri umani, che partono tutti da là, non dalla Libia.
  In Libia arrivano dall'Africa subsahariana e dagli altri posti i migranti, ma le navi, i supporti logistici per il traffico, quelli che alimentano le azioni dei trafficanti sono in Egitto e in Turchia. Noi ci siamo rapportati con l'Egitto firmando con Barakat, poche settimane prima che lo facessero saltare per aria, un protocollo d'intesa. Abbiamo fatto lo stesso con la Turchia. Sono andato personalmente l'anno scorso in Turchia a chiedere collaborazione. Abbiamo convocato e sono venuti i turchi a una riunione di coordinamento di due mesi fa, alla quale hanno partecipato anche gli egiziani, i tedeschi e varie altre autorità giudiziarie straniere, sul tema del contrasto ai traffici di migranti.
  Faremo un'altra riunione di coordinamento il 6 ottobre prossimo, stessa riunione con gli stessi interventi, ma prima ancora, il 1o ottobre prossimo, verrà in visita alla procura nazionale antimafia e antiterrorismo la presidente di Eurojust. Noi siamo corrispondenti nazionali di Eurojust. Lo eravamo per la criminalità organizzata, lo siamo adesso anche per il terrorismo.
  La presidente di Eurojust, Michèle Coninsx, verrà alla procura nazionale per parlare dell'attività di contrasto ai traffici di migranti, dell'operazione EuNavFor Med del Consiglio europeo, del coordinamento giudiziario europeo. È qualcosa che va ad affiancarsi all'azione politica che sta svolgendo il nostro Paese per coinvolgere i Paesi europei in questo immane problema del traffico di esseri umani, dei fenomeni migratori.
  Allo stesso modo, ovviamente non pretendiamo di sovrapporci all'azione politica, ma vogliamo sostenerla, e farlo con i risultati dell'azione giudiziaria. Per questo la Coninsx verrà non invitata, perché ha chiesto lei di venire. Verranno anche, facendoci un grande onore, il signor Ministro della giustizia italiano e il Procuratore generale della Cassazione. Parteciperanno anche loro alla riunione, perché ormai è chiaro a tutti, è consapevolezza di tutti, per fortuna, che quest'immane problema dei fenomeni migratori, se vuole essere affrontato decentemente, più che efficacemente, deve vedere coinvolta tutta l'Unione europea in perfetta sintonia. Il cammino, ovviamente, è ancora lungo, come sapete meglio di me, ma noi cerchiamo di fare la nostra parte. Ho parlato dell'Egitto e della Turchia.
  A questo punto, vorrei dire ancora questo. Ho detto a Eurojust quando sono andato e ripeterò in occasione della riunione del 1o ottobre che bisogna superare, nello scambio delle informazioni, le gelosie, le riserve che ancora ci sono. Noi italiani abbiamo una grande tradizione, per la verità devo dire anche pagata col sangue di molti nostri colleghi e degli investigatori, di cooperazione, di collaborazione, di scambio informativo, di coordinamento. Ce lo riconoscono gli inglesi, ce lo riconoscono tutti, ma questa cultura del coordinamento e dello scambio informativo deve diventare patrimonio comune europeo, altrimenti non andiamo da nessuna parte.
  Bisogna vincere le gelosie non solo sul piano politico, le barriere, i muri, i fili spinati, ma vincere anche quei muri che ci portiamo spesso, non tanto noi quanto i nostri amici europei, nella testa, e che impediscono lo scambio e la circolazione di informazioni, essenziali nel contrasto a ogni forma di criminalità organizzata.

  PRESIDENTE. Prima di passare la parola al procuratore De Lucia, approfitto di quest'ultimo approfondimento che ci ha fornito per dirle che abbiamo istituito un Comitato sulla tratta e l'immigrazione. Avremo bisogno di un po’ di informazioni. Pag. 20Faremo pervenire la richiesta da parte della coordinatrice Dadone per alcuni elementi. Siccome, peraltro, dovremo chiedere alcune notizie alle distrettuali, penso avendo voi il coordinamento, potete aiutarci...

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Abbiamo tutto il materiale. Naturalmente, come ho detto anche all'ammiraglio Credendino, comandante supremo di EuNavFor Med, al quale abbiamo assicurato massima collaborazione e massimo apporto informativo, gestiamo le informazioni e i dati giudiziari in funzione del coordinamento e dell'impulso investigativo, ma sono dati originati dalle procure distrettuali.
  Possiamo esternalizzare, quindi, tutti questi dati, ma a condizione che vi sia il consenso del procuratore distrettuale competente, che naturalmente provvederò a richiedere io. Non dovrete fare niente. Vi metteremo a disposizione tutto quello che ho promesso di mettere e che stiamo mettendo a disposizione dell'ammiraglio Credendino. A maggior ragione, lo faremo con la Commissione antimafia. Si tratta di dati sensibili, ovviamente non ostensibili, ma su cui si può agevolmente lavorare.
  Allo stesso modo, presidente, se mi permette le darò le linee guida. Non ero preparato a parlare di questo tema oggi, cui volevo solo accennare. Siamo partiti dalla tragedia di Lampedusa dell'ottobre 2013 chiedendoci che cosa potessimo fare noi, quale parte potessimo svolgere per contribuire ad affrontare insieme a tutte le altre istituzioni questo problema: abbiamo pensato che la cosa migliore fosse chiarire gli aspetti normativi ai quali ancorare l'azione delle Forze di polizia e di quelle in mare, quelle che vanno in funzione di soccorso e quelle che vanno in funzione della repressione dei trafficanti di esseri umani.
  Abbiamo, quindi, fatto uno screening, e il collega Filippo Spiezia ha tracciato una serie di linee guida, da me condivise e approvate, che abbiamo poi diramato. Siamo partiti dalle linee guida normative e operative in mare, che valgono poi naturalmente di riflesso anche per quanto riguarda l'azione giudiziaria di repressione delle procure distrettuali e non distrettuali competenti. Poi siamo andati avanti, ma così è cominciato il coordinamento. Vi consegneremo anche questo materiale e questi documenti.

  PRESIDENTE. Do la parola al procuratore Maurizio De Lucia.

  MAURIZIO DE LUCIA, sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Interverrò molto rapidamente su un tema per noi tragico. Come accennava il procuratore nazionale, l'esperienza personale di ciascuno di noi ci porta a dire che i processi contro la criminalità organizzata si celebrano con due strumenti fondamentali: le intercettazioni e i collaboratori di giustizia.
  La ragione è molto semplice. Il livello di segretezza che caratterizza le organizzazioni criminali fa sì che, piaccia o meno, non tanto per conoscere i reati, ma per conoscere il modo di pensare, la strutturazione dell'organizzazione criminale, bisogna che qualcuno interno alle stesse esca e venga a raccontarcelo. Gli strumenti sono due: la qualità della polizia giudiziaria e la capacità di intercettare più colloqui di questi soggetti, che ci consentono di ricostruire un quadro; qualcuno che è stato partecipe di queste organizzazioni, che viene a raccontarci come funzionano, quali sono i loro progetti e obiettivi.
  Devo dire che in tempi recentissimi lo strumento della collaborazione con la giustizia trova la sua applicazione anche con riguardo alla tratta. È pubblico che da qualche mese la procura di Palermo gestisce la collaborazione di uno dei trafficanti di uomini che lavorava tra la Libia e la Sicilia, con risultati molto importanti non tanto e solo per individuare chi sono, come è stato fatto, i vertici delle organizzazioni in Libia, soggetti identificati, sostanzialmente latitanti nel nostro Paese. Naturalmente, stante la situazione della Libia, esiste qualche difficoltà a ottenerne l'estradizione e anche a individuare a chi chiedere.Pag. 21
  La collaborazione di questo trafficante serve anche per capire come funziona l'intero meccanismo che presiede alla tratta, fenomeno sì epocale, connotato sotto il profilo sociale, ma che presenta anche un'importante dimensione di natura criminale, che muove interessi economici notevolissimi, con individuati agenti economici importanti, e penso a tutto il mondo degli Emirati Arabi, dove le banche sono molto disponibili a ricevere il contante frutto di quanto viene estorto a quei disgraziati che dal sud del mondo tentano di arrivare in Europa. La dimensione economica di questo fenomeno è assolutamente significativa.
  Questa è l'importanza del fenomeno, lo è stata quando abbiamo cominciato a conoscere cosa nostra agli inizi degli anni Ottanta attraverso le dichiarazioni di Buscetta, lo è oggi davanti a un fenomeno sostanzialmente nuovo anche dal punto di vista criminale, quale quello della tratta. Attualmente, al 30 giugno 2015, noi gestiamo 1.319 collaboratori di giustizia. Per noi mi riferisco al sistema commissione centrale e autorità giudiziaria, servizio centrale di protezione. Di questi 1.319 collaboratori di giustizia, 303 sono di area siciliana, 519 camorra, 156 ’ndrangheta, mentre quelli di criminalità pugliese e altri sono circa 217.
  Accanto a questi collaboratori di giustizia, per i quali dirò rapidissimamente qual è in questo momento il problema più importante, consideriamo gli stranieri nella categoria degli altri: per i dati che ho sono 101, ma naturalmente incontriamo appartenenti a mafie straniere e, appunto, questo soggetto recente che collabora con la procura di Palermo.
  Accanto a questi soggetti poi la legge prevede dal 2001 la figura dei testimoni di giustizia, che sono una categoria da guardare in maniera del tutto distinta rispetto ai collaboratori di giustizia. Così fa giustamente la legge, ma l'applicazione della legge ha posto una serie problemi. Un vostro Comitato ha lavorato di recente in maniera molto documentata, ha svolto audizioni, ma sul punto rimane un problema. I testimoni di giustizia in Italia sono attualmente 84, un numero che non dovrebbe rappresentare un problema per nessuno: le risorse per risolverlo non possono non esserci, ci sono, e molti di questi soggetti dovrebbero essere da tempo completamente recuperati ad attività nella società civile. Purtroppo non è così.
  Stiamo sperimentando da pochissimo l'applicazione della legge regionale siciliana, che ha ricollocato – anche lì emergono delle difficoltà applicative – alcuni di questi testimoni di giustizia assumendoli presso la regione siciliana. Il primo problema di questi soggetti è che, per una serie di esigenze di sicurezza, non possono svolgere attività lavorative nella regione siciliana. È una valutazione dei tecnici, degli esperti di sicurezza, di cui si deve tener conto se investiamo in termini di sicurezza di questi soggetti, con una legge che era basata all'origine sul principio della cosiddetta «sommersione»: questi soggetti avrebbero dovuto rendere la loro deposizione e poi evidentemente sparire, riciclandosi in altre attività, distanti dal mondo per il quale avevano dato questo contributo.
  La storia ci dice che così non è stato, perché il testimone di giustizia di mafia, salvo rarissime eccezioni, è un soggetto che è chiamato più volte a testimoniare, non esaurisce come nel modello americano la sua collaborazione con una sola testimonianza e poi lo si può rimettere sul territorio, ma è spesso un uomo che ci racconta una vita di contatti da vittima nei confronti delle organizzazioni mafiose.
  Questo fa sì che non sia possibile dare piena esecuzione ai princìpi della legge n. 45 del 2001, e in più bisogna anche dire che alcuni di questi soggetti hanno assunto un ruolo simbolico di testimonianza di legalità, utile, ma che pone dei problemi che la legge n. 45 del 2001 non è in grado di risolvere. Qui davvero diventa una scelta a livello legislativo ripensare la legge per questi soggetti e valutare se sia ancora utile una dimensione del legislatore che li colloca in una situazione di potenziale sommersione oppure se si debba pensare ad altri modelli.Pag. 22
  Soltanto un problema applicativo che in questo momento incontriamo, oltre a quelli che riguardano i testimoni di giustizia, riguarda i collaboratori di giustizia che hanno esaurito la loro collaborazione con la giustizia, per i quali è possibile utilizzare lo strumento del cambio di generalità perché, una volta saldato il loro debito con la giustizia, con nuove generalità possano ricollocarsi nella vita civile.
  Per questi soggetti incontriamo un problema attualmente non superabile, se non attraverso un intervento legislativo, perché il cambio di generalità non cancella i precedenti penali nei confronti di nessuno. Qui siamo in presenza di soggetti che molto spesso hanno commesso centinaia di omicidi, alcuni particolarmente eclatanti, quindi è facilissimo individuare chi sono i collaboratori di giustizia che hanno collaborato ad esempio per il processo sulla strage di Capaci, perché chiaramente risultano dal certificato penale l'imputazione e la condanna per strage, seppure con tutte le attenuanti che i collaboratori di giustizia hanno meritato.
  Non c’è però un intervento legislativo che impedisce la pubblicazione dei dati relativi al casellario giudiziale quantomeno per i privati e per i fini lavorativi, perché è chiaro che l'autorità pubblica non può non venire a conoscenza di questo, in quanto parliamo sempre di soggetti che hanno un percorso criminale, per i quali non si può escludere una recidiva, ma questo è uno dei temi attualmente fortemente problematico per la risoluzione di molte questioni di questi soggetti, che altrimenti si potrebbero destinare tranquillamente a una risocializzazione sul territorio dello Stato.
  Il procuratore nazionale mi aveva stimolato anche a una valutazione sulla corte d'appello di Caltanissetta, che è corte d'appello per ragioni storiche, viene istituita quando ci sono pulsioni autonomiste in Sicilia e la Sicilia viene dotata di quattro corti d'appello.
  Il problema attuale della corte d'appello di Caltanissetta è, primo, che i numeri dimostrano che funziona, e secondo che la corte d'appello di Caltanissetta in questo momento sta per affrontare alcuni importantissimi processi, tutti i giudizi di appello sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio devono andare oggi o in un prossimo domani al giudizio della corte d'appello di Caltanissetta, e soprattutto per il valore e l'efficienza di tenere vicino ai cittadini in una realtà come quella siciliana anche la corte d'appello, che ha una sua importanza di natura simbolica, ma anche di efficienza del sistema giustizia.
  Depotenziare, allontanare in un territorio vasto come quello della Sicilia il giudizio di appello (penso al territorio del Vallone anziché al territorio di Gela), per vedere poi i cittadini costretti a rivolgersi a Catania anziché a Messina, lo vediamo come un indebolimento della presenza dello Stato su quel territorio, che è ancora oggi pesantemente condizionato dalla realtà mafiosa lì presente.

  PRESIDENTE. Ho iscritti a parlare i colleghi Mattiello, Giarrusso, Sarti, D'Uva e Gaetti. Vorrei approfittare per dire che venerdì 18 settembre alle ore 15 si svolgerà alla Camera, presso l'aula dei Gruppi parlamentari, un convegno sulla vita e l'operato del giudice Rosario Livatino, con il Presidente del Senato, il Ministero della giustizia, il vicepresidente del CSM e la Commissione antimafia.
  Quest'anno si celebrano i venticinque anni. Il 21 settembre prossimo a Canicattì chi vuole potrà partecipare alla commemorazione del giudice Rosario Livatino e il 25 settembre prossimo a Caltanissetta, alla presenza del Capo dello Stato, si ricorderanno il giudice Livatino, il giudice Saetta e altre vittime di mafia del distretto nisseno.
  In particolare mi riferisco ai commissari siciliani, ma anche gli altri che vogliano partecipare potranno farlo, la presenza della Commissione sarà assicurata dalla mia partecipazione ma, se qualcun altro di voi vorrà essere presente, sarà cosa buona.

  DAVIDE MATTIELLO. Intanto propongo che si metta in agenda un prossimo Pag. 23appuntamento per tornare sulla quantità di informazioni che avete condiviso con noi, perché adesso sarà difficile dibatterne adeguatamente, quindi spero che ci potremo incontrare al più presto.
  Non spetta a me in questo momento entrare nel merito del lavoro fatto prima in Commissione giustizia e in questi giorni in Aula sul provvedimento che ha ad oggetto la riforma del processo penale e altro. Tengo solo, dottor Roberti, a segnalarle che il contributo scritto che lei inviò in Commissione giustizia fu preso molto sul serio e contribuì ad alcuni cambiamenti, su cui lavorammo in Commissione giustizia. Non mi dilungo oltre e vengo al punto, cercando di esporlo nella maniera più sintetica.
  Uso le parole di Teresa Principato per porre la questione. La dottoressa Principato a luglio inoltrato rispetto a Matteo Messina Denaro usò tra le altre un'espressione: «gode di protezioni altolocate». La questione che vorrei porre a lei e al suo ufficio (difficilmente ci potremmo rispondere in questo momento) è proprio la questione del sistema delle protezioni altolocate.
  Uso le parole della Principato non soltanto perché sono state esplicitamente convergenti, ma anche perché la figura di Matteo Messina Denaro mi sembra figura cardinale in mezzo a questa questione delle relazioni di protezione altolocate. In particolare, sono due gli scenari su cui sarebbe opportuno che la Commissione antimafia, per il dovere di lettura sistemica che ha, si confrontasse con la Direzione nazionale antimafia per lo stesso dovere di lettura.
  Il primo scenario è quello che parte da Reggio Calabria, dall'operazione «Breakfast» alla svolta, ma non mi voglio dilungare. Qui un elenco di personaggi a diverso titolo coinvolti in tempi diversi fa immaginare questo sistema di relazioni di protezione altolocate. Ricorrono in queste inchieste, a titoli diversi, personaggi come Scajola, Dell'Utri, Speziali, Matacena, Belsito, Mafrici, Guaglianone, Carminati. Che sta succedendo ?
  Secondo scenario: le stragi di mafia 1992-1993. A che punto sono i processi, cosa sta succedendo, quale lettura possiamo dare, compatibilmente con ?
  In particolare, nei primi giorni di settembre del 2013, dottor Roberti, quando lei aveva da poco assunto l'incarico, vennero tolte le deleghe di coordinamento su queste materie al dottor Donadio. Mi piacerebbe ripartire da lì per capire cosa avvenne, quali furono le vostre valutazioni e quanto vivi siano ancora oggi i motivi, cosa è cambiato da allora, chi ha la delega e come vi siete riorganizzati.
  Su Brusca, a luglio o primi di agosto arriva la notizia di un sequestro al tesoretto di Brusca, ma come dobbiamo pensarlo ?
  Processo depistaggio via D'Amelio, richiesta d'archiviazione, che è successo ?
  Appello per la vicenda D'Alì: dalle carte che sono ormai a disposizione emergono (poi verranno valutate dall'autorità giudiziaria) le pressioni fatte per allontanare un poliziotto in gamba come Linares dal trapanese. Ecco, due scenari: al centro di questi due scenari Matteo Messina Denaro, grandi reti di relazione, le parole della Principato. Fare una lettura di sistema sarebbe utile.
  Scusate se ho preso un po’ di tempo.

  PRESIDENTE. Vorremmo chiederle, procuratore, di poter fare tutte le domande, come preferiremmo per par condicio, e poi rispondere. Grazie.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Grazie, signor procuratore, dell'intervento e delle parole che ha speso per descrivere la situazione, per l'analisi che ha portato a conoscenza di questa Commissione.
  Da quell'analisi vorrei ripartire, perché noi concordiamo sul fatto che affrontare in maniera emergenziale la questione della mafia sia assolutamente fallimentare, perché ogni volta ripartiamo da zero. Se, come si è visto con la questione dei minorenni coinvolti a Napoli, ogni volta si ragiona soltanto con la logica dell'emergenza, bisogna reinventare di nuovo le conoscenze che c'erano prima, dimenticando Pag. 24che la faida di Scampia ha visto in prima linea killer minorenni, che più di trent'anni fa a Gela sette minorenni sono stati uccisi in un giorno solo, quindi ogni volta dobbiamo ricominciare a studiare il fenomeno come se fosse l'anno zero.
  Qui mi voglio collegare per la prima, importante domanda, connessa alle funzioni di questa Commissione, che è di indagine. Credo che dobbiamo porci tutti (e per questo chiediamo il vostro aiuto) una domanda e ce la dobbiamo porre con grande franchezza, signor procuratore. La domanda che ci dobbiamo fare è cos’è che non ha funzionato nella lotta alla mafia, perché più di trenta anni di impegno, di fatica, di sacrifici di persone che hanno dedicato la vita e l'hanno persa nella lotta alla mafia non hanno determinato alcun arretramento del fenomeno mafioso, anzi un dilagare in Italia e all'estero delle nostre cosche mafiose. Non si parla più di infiltrazioni al nord, ma di radicamento.
  Dobbiamo guardare in faccia la realtà e abbiamo bisogno dell'esperienza di chi è sul campo per capire dove non ha funzionato, perché sicuramente qualcosa non ha funzionato nella lotta alla mafia. Personalmente abbiamo cominciato a fare un'analisi su questo e l'analisi che emerge non è positiva.
  Il grande sforzo compiuto, come giustamente diceva lei, sull'onda dell'emergenza, che ha spinto, poi si è fermata e poi è stata seguita da altre spinte emergenziali, ha determinato interventi di potatura, non di sradicamento, che a volte hanno lasciato nei territori la mafia più forte, libera da rami vecchi, da vecchie figure, che hanno lasciato il campo a gente più giovane, più professionale, più preparata, meno difficile da gestire.
  Le chiedo quindi, signor procuratore, poiché lei citava «interventi strutturali», di dire quali interventi strutturali siano necessari per combattere la mafia, secondo la visione che ha dalla sua esperienza professionale e dalla sua posizione.
  Lei fa anche riferimento a una cosa che abbiamo purtroppo verificato: tutti noi sappiamo che la mafia tende ad occupare un territorio e stiamo verificando in questi anni un arretramento gravissimo dello Stato sul territorio. La chiusura del 47 per cento delle sedi giudiziarie nel nostro Paese è un gravissimo arretramento, abbiamo la chiusura non solo della corte d'appello di Caltanissetta ma anche della prefettura di Enna, a cui seguiranno quelle della questura, dei comandi provinciali di Enna delle varie armi, di altre strutture pubbliche (scuole, ospedali) e tutto questo lascia sguarnito il territorio, sappiamo in mano a chi.
  Questo sicuramente è un quadro di cui va tenuto conto quando si cancellano con un tratto di penna strutture statali importantissime in territori che sono in prima fila e in prima linea nel contrasto alla criminalità.
  C’è però anche un'altra riflessione, signor procuratore: la mafia è penetrata anche dove le strade erano buone, dove le scuole c'erano, dove gli ospedali funzionavano; è penetrata, si è radicata, ha fatto affari, quindi probabilmente dobbiamo superare un'analisi del fenomeno che sia soltanto sociale e limitata, perché abbiamo visto colpite soltanto le prime linee. Mi si consenta il paragone con un'attività umana fra le più nefaste, la guerra, in cui c’è lo scontro in prima linea, mentre noi non vediamo colpite dal contrasto dello Stato le retrovie di questa furibonda battaglia, perché tale è, perché ci sono migliaia di arresti, condanne, uno sforzo enorme, ma le retrovie dove sono ?
  Non le abbiamo colpite, forse è questo il problema, forniscono continuamente sostituti nuovi, mezzi, risorse per rimpiazzare quelli che voi mettete in galera. Ritorniamo quindi agli interventi strutturali, per cui la prego di indicarci quelli più urgenti e importanti.
  Un'altra questione specifica: non riesco a capire come mai di un condannato per avere favorito la mafia come Cuffaro non ho mai sentito di provvedimenti che riguardino il suo sterminato patrimonio, che è noto a tutti i siciliani essere enorme, spropositato rispetto alla capacità lavorativa sua e della moglie, per cui non riusciamo a capire il motivo di questa mancanza di interventi.Pag. 25
  La terza questione riguarda i beni confiscati, sulla quale abbiamo una grave preoccupazione, perché nel contrasto alle mafie l'azione è stata efficace su un terreno importante, quello della capacità economica, perché una mafia povera ha scarsa capacità di manovra.
  Vediamo ora un momento di crisi di quel sistema per tante ragioni che anche qui potremmo discutere per molto tempo e vorremmo qualche indicazione per evitare un passaggio che noi temiamo, cioè il passaggio della gestione dei beni confiscati dalle mani dei mafiosi alle mani della politica. Quando infatti la politica mette mano a queste norme, come sembra voler fare, nutriamo un grandissimo timore che episodi di responsabilità individuale di singoli soggetti preposti al contrasto della criminalità possano essere la scusa e la stura per sottrarre al controllo giurisdizionale la gestione di questi beni e metterla sotto il controllo ovviamente nefasto della politica.
  L'ultima questione riguarda le nuove competenze antiterrorismo. Immagino che con le nuove competenze saranno arrivati uomini, mezzi, strutture, e siano state potenziate le strutture della procura nazionale. Risale all'altro giorno un allarme che ci ha molto preoccupato: le forze dell'ordine a Roma da un anno non riescono ad andare nemmeno al poligono, signor procuratore, a fare il minimo sindacale per la gestione delle armi da fuoco, mentre sappiamo che in ambito antiterrorismo sarebbe necessario non dico un addestramento specifico all'intervento, però almeno la gestione delle armi da fuoco.
  La strage di Fiumicino a chi ha buona memoria ricorda episodi tragici, laddove purtroppo molte vittime sono da attribuire a un intervento tipico delle operazioni di terrorismo: folla di persone, gente che lancia granate e tutti che sparano. Siamo quindi molto preoccupati per queste vicende e chiediamo che nella sua posizione faccia sentire la sua voce nei confronti di chi ha la responsabilità di tutto questo, prima che accada qualcosa di irreparabile. Grazie.

  GIULIA SARTI. Io ritorno sul concreto solo per rendere noto lo stato dei lavori. Noi siamo adesso all'esame dell'articolo 4 di questo provvedimento, la delega sulle intercettazioni e la delega sull'ordinamento penitenziario sono gli articoli 29 e 30, quindi c’è ancora spazio per proporre eventuali modifiche ovviamente da parte non delle opposizioni, ma della maggioranza, perché le opposizioni non hanno più la possibilità di proporre modifiche.
  C’è stata però la disponibilità fin da ieri, soprattutto sulla delega in materia di ordinamento penitenziario, a modificare e a cercare di migliorare un po’ il testo. Dopo la lettera del procuratore nazionale antimafia a settembre, appena siamo tornati, c’è stata una riformulazione del testo e quindi è stata aggiunta la dicitura «salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne e per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale».
  Il problema è quel «salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità», che, se non chiarito dal legislatore in sede di decreto delegato, potrebbe dare l'avvio a precedenti pericolosi, quindi si cercherà di chiarire meglio la portata della norma. Noi preferiremmo l'eliminazione, ma non è questa la sede per un dibattito politico che avverrà in Aula, durante l'esame.
  Solo per conoscenza vorrei rendere noto che anche da parte di colleghi della Commissione antimafia, ad esempio della collega Bruno Bossio (lo dico senza polemica), ci saranno degli emendamenti che verranno votati in Aula che vanno nel senso opposto a quello da voi auspicato. Con la proposta di legge che è stata poi modificata in emendamenti che verranno votati in Aula e probabilmente saranno bocciati, la collega Bruno Bossio propone sostanzialmente di concedere benefici penitenziari anche agli ergastolani per reati di mafia e terrorismo che non collaborino con la giustizia. Penso che questo sia un dato da far conoscere a tutti e da mettere agli atti proprio perché la collega svolge con noi un lavoro importante all'interno di questa Commissione.Pag. 26
  Detto questo, vorrei chiedere un ulteriore parere su un altro aspetto di questo disegno di legge, perché nell'articolo 29, oltre alla delega sulle intercettazioni, c’è anche una delega sulle impugnazioni e viene previsto che il procuratore generale presso la corte d'appello possa appellare le sentenze di primo grado solo in caso di avocazione o di acquiescenza del pubblico ministero.
  Ho pensato a un esempio concreto, la sentenza di primo grado del processo Mori e Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, laddove l'appello proposto dal procuratore generale Scarpinato non sarebbe stato possibile se fosse stata in vigore questa norma, quindi chiedevo se voi riscontriate l'utilità di una norma del genere all'interno del provvedimento.
  All'interno di questo disegno di legge, all'articolo 3 che abbiamo votato questa mattina, c’è l'aumento delle pene del voto di scambio, che passano da 4 a 10 anni e da 6 a 12 anni. Dato che si è avviato un grosso dibattito in Aula, ci farebbe piacere (penso che sia un contributo utile a tutta la Commissione) avere un vostro giudizio sull'efficacia di questa modifica del voto di scambio politico-mafioso introdotta l'anno scorso e sapere se questa legge stia funzionando.
  I solleciti per quanto riguarda la normativa sulla documentazione antimafia sono davvero ben accolti e un altro tema da affrontare è la vicenda legata alla banca dati unica della documentazione antimafia, che doveva partire e non si sa a che punto sia, quindi con il Ministero dell'interno ancora stiamo cercando di capire a che punto siamo con la banca dati unica sulla documentazione antimafia.
  Per ora mi fermo qui, ci saranno sicuramente altre occasioni per confrontarci. Grazie dei contributi.

  FRANCESCO D'UVA. Esprimo anch'io preoccupazione per la chiusura delle varie sedi, sono di Messina e so bene che stanno buttando nel calderone anche noi ed è una cosa abbastanza grave. Si sommano camera di commercio, ospedali, autorità portuali, insomma stanno veramente abbandonando il territorio, ma andando alle domande, poiché ho sentito citare banche dati, e mi chiedevo se sulla vicenda «Hacking Team» ci siano state fughe di notizie che mettano a rischio le indagini antimafia o antiterrorismo. Credo sia una risposta molto interessante, suppongo segretata, per capire la situazione.
  Ho altre domande brevissime, una delle quali riguarda i Casamonica. Oltre a occuparsi di narcotraffico e usura, ci risulta che siano imparentati con gli Spinelli in Abruzzo e i Ciarielli a Pescara e in Molise. Vorrei sapere se la DNA ci sa dire qualcosa riguardo a queste organizzazioni, anche coordinandosi con le varie DDA, se ha informazioni al riguardo.
  Vorrei porre infine una domanda di carattere generale. Si parla spesso di ’ndrangheta al nord, si citano Torino, Milano, Genova, Bologna, Roma, quindi mi chiedevo quale sia la differenza tra le varie realtà territoriali, se si possa dire che c’è un modello nord e un modello sud o se il modello nord possa essere suddiviso in base alle varie attività, se siano diversificati nel territorio oltre che nelle attività.

  LUIGI GAETTI. Più che una domanda, la mia è una sollecitazione a una maggiore collaborazione e coordinamento con la DDA soprattutto per quanto riguarda i collaboratori di giustizia. Spero che con Mattiello si partirà con il Comitato collaboratori dopo quello dei testimoni, perché abbiamo avuto molte sollecitazioni su alcune situazioni complicate, in quanto alcune DDA dichiarano la necessità di mettere in protezione i familiari ma poi la Commissione centrale non lo ritiene opportuno, talvolta con uno scambio di documentazione bimestrale.
  In questo caso non chiedo una risposta secondo i miei desideri, ma quantomeno di dare una risposta precisa e continuativa ai familiari. Grazie.

  PRESIDENTE. Procuratore, io aggiungo solo un aspetto. Noi stiamo ormai completando la visita a tutte le distrettuali, ve Pag. 27la consegniamo sapendo che quanto sto per dire è sicuramente al centro della vostra preoccupazione: non sempre riscontriamo nelle circondariali la sensibilità, l'attenzione e la capacità di coinvolgimento delle distrettuali sugli argomenti che potrebbero avere e spesso hanno, come abbiamo constatato, un risvolto sul piano della lotta alla mafia.
  Potrei citare il caso Musarò fra tutti, perché siamo abbastanza orgogliosi del fatto che dall'audizione del procuratore di Viterbo su nostra sollecitazione sia stata interessata la distrettuale di Roma, così come potremmo citare a volte una mancanza di collegamento tra le stesse distrettuali, quando una di queste fa un'inchiesta che interessa anche un altro territorio (ne avevamo parlato in particolare per l'operazione Emilia o altro).
  Sappiamo che questa è una delle vostre funzioni istituzionali e missioni principali, quindi sicuramente siete dedicati a questo obiettivo, ma ci sentiamo di sottolinearlo ancora di più perché riteniamo opportuno aumentare la sensibilità e la cultura della magistratura tutta nei confronti dei delitti di mafia, trasferire la specializzazione e la specialità nella generalità dell'azione della magistratura.
  Personalmente forse ho un'idea bislacca, ma mi vado convincendo che anche la giudicante dovrebbe avere una specializzazione per i reati di mafia, ma è un punto di vista mio. Al di là di questo, sicuramente nelle procure è servito il fatto che ci siano le distrettuali, che ritengo siano la nostra più grande invenzione per combattere le mafie.
  La vostra cultura e la vostra esperienza devono essere diffuse in tutta la magistratura, perché la lotta alle mafie anche dal punto di vista giudiziario sia più efficace. Grazie per tutto.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Grazie a lei, presidente. Se mi permette l'onorevole Mattiello, rispondo subito alla domanda della presidente, perché mi viene più facile, e poi riprendo l'ordine delle domande.
  Come lei ha detto, presidente, la funzione di coordinamento della Direzione nazionale antimafia pone in primo piano il coordinamento tra le procure distrettuali, ma anche il coordinamento tra le procure circondariali e le procure distrettuali per la diffusione della cultura del coordinamento. Fin dagli albori della DNA abbiamo proposto, d'intesa con i procuratori generali delle corti di appello, i protocolli d'intesa tra le procure distrettuali e le procure circondariali di ciascun distretto.
  Vi devo anche dire che in due distretti questi protocolli di intesa non sono mai stati stipulati né per la mafia, né, come abbiamo rilanciato adesso, per il terrorismo. Si tratta dei distretti di Milano e di Palermo, nei quali non si riconosce l'utilità di questi protocolli di intesa che ti vincolano allo scambio di informazioni per quanto riguarda ad esempio i cosiddetti «reati spia», cioè quei reati che non rientrano nel catalogo dei reati mafiosi o terroristici di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, ma che comunque possono essere sintomatici dell'agire mafioso.
  Per quanto riguarda la comunicazione dei «reati spia» è fondamentale lo scambio informativo, ma in questi due distretti i procuratori generali non sono riusciti a far sottoscrivere i protocolli. Sta accadendo la stessa cosa anche per quanto riguarda il protocollo antiterrorismo per il distretto di Torino, perché in questi giorni sto vedendo, assistendo e leggendo un confronto civilissimo e giuridicamente molto ben articolato tra il procuratore generale di Torino e il procuratore della Repubblica di Torino, il quale non riconosce al procuratore generale il potere di interloquire nel promuovere protocolli d'intesa in materia di terrorismo.
  Questo dipende anche dalle norme che debbono essere interpretate, in quanto non è chiarissimo il ruolo dei procuratori generali. Per me è chiarissimo, perché leggo e interpreto le norme in funzione del coordinamento anche in virtù dell'intervento normativo del 2006 all'articolo 6, la legge sull'assetto del pubblico ministero, che prevede il ruolo di vigilanza dei procuratori Pag. 28generali sulle procure della Repubblica (tutte le procure, non solo le distrettuali) per assicurare la puntualità, correttezza e uniformità dell'interpretazione e applicazione delle norme.
  I procuratori generali hanno un ruolo importante e, come ricordo nel documento sulla nostra nuova competenza antiterrorismo, debbono essere informati di tutte le indagini concernenti i reati più gravi di mafia e di terrorismo. I procuratori generali risolvono i contrasti tra uffici del pubblico ministero interdistrettuali, hanno un ruolo di impulso e di coordinamento, possono convocare riunioni, possono avocare i procedimenti, quindi perché negare ai procuratori generali questo ruolo di impulso che va ad affiancare e a sostenere quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ?
  Purtroppo la situazione è quella che lei, presidente, ricordava: c’è ancora scarsa sensibilità, ci sono procuratori generali bravissimi, veramente motivati come Maddalena, come il procuratore generale di Genova e alcuni altri che indicono riunioni, ma accade che qualche volta a queste riunioni non tutti i procuratori della Repubblica partecipino non perché non hanno tempo, ma perché non ci credono.
  Questo, quindi, è un problema che ho segnalato nell'ultima riunione indetta dal procuratore generale della Cassazione, il presidente Ciccolo, dove ne ho parlato con riferimento al terrorismo, ma naturalmente il discorso vale anche per i reati di mafia.
  Veniamo alle domande. Onorevole Mattiello, un piccolo aneddoto: il 10 gennaio del 1994 (sono passati ventuno anni), quando Carmine Alfieri, che era stato il grande capo della camorra campana per oltre dieci anni, si sedette davanti a me dopo un anno e mezzo di 41-bis a Pianosa dichiarando di voler collaborare con la giustizia, disse: «Dottore, io vi dirò tutto, però permettetemi di tacere i nomi di due o tre persone che mi hanno aiutato e la cui fiducia non mi sento di tradire». Gli dissi: «Dica quello che ritiene, io la interrogo e poi valuteremo la portata della sua collaborazione».
  Per farmi capire chi erano quelle persone soggiunse: «Dottore, io la stimo molto» perché lo indagavo, l'avevo portato a giudizio e fatto condannare qualche anno prima «però lei ha detto su di me una grande fesseria: lei ha detto e ha scritto – ed era vero – che io rappresento l'anti-Stato in Campania. Nulla di più falso, perché io sono amico, ma veramente amico, di generali, prefetti, questori e poliziotti, cioè dello Stato. Di deputati non ne parliamo. Di candidati elettorali non ne parliamo. C'era la fila davanti a casa mia» diceva lui «di tutti i colori».
  Ne avevo avuto il riscontro, perché uno che era stato candidato alle elezioni del 1991-92, quando Alfieri era ancora latitante, un certo Andreoli – non lo dimenticherò mai, era un medico tra l'altro – candidamente disse: «Scusate, ma perché non dovevo chiedere il voto a Carmine Alfieri, se è in grado di darmelo ? Che cosa mi vieta di andare a chiedere i voti ad Alfieri, se sono in difficoltà e lui è in grado di organizzare il consenso intorno a me ?». Era un 416-ter, ma non c'era ancora. Avverrà dopo Capaci.
  Perché ho ricordato questo episodio, onorevole Mattiello ? Per dire qual è la vera forza delle mafie, di tutte le mafie, questa capacità relazionale, questa capacità – l'ho scritto qui e mi autocito – di avere una rete di relazioni in cui si sviluppano intrecci variabili e rapporti di forza, in cui i mafiosi non sono sempre e necessariamente in posizione dominante, né sono gli attori che dispongono di competenze e di legalità specifiche, come, per esempio, i politici, gli imprenditori, i professionisti, i funzionari, i magistrati, se volete. Non sempre lo sono, ma hanno questa capacità relazionale. Nando Dalla Chiesa dice: «La vera forza delle mafie è fuori dalle mafie, in quella zona grigia che le circonda e che ne sostiene la potenza».
  Che cosa è mancato ? Lo chiedeva il senatore Giarrusso, ma io anticipo la risposta. È mancato il contrasto alla vera forza delle mafie. Le mafie le abbiamo Pag. 29contrastate sul piano militare, abbiamo incominciato a contrastarle sul piano patrimoniale, ma manca tutto quello che sta intorno alle mafie, come le corruzioni, le evasioni fiscali, i reati ecomafiosi, che poi non sono ecomafiosi, ma sono reati di imprenditori che hanno commesso delitti. Una volta erano solo contravvenzioni. Adesso, per fortuna, grazie a voi, sono anche delitti, ragion per cui abbiamo strumenti in più.
  I cosiddetti reati contro l'ambiente sono «reati spia» dell'agire mafioso. Questo l'abbiamo capito da tempo. Lo capì il mio illustre predecessore, Piero Grasso, quando istituì un apposito gruppo di lavoro per studiare e verificare le possibilità di coordinamento tra i vari casi di attività illecite in materia di rifiuti. Era fondamentale. Anche se si trattava di contravvenzioni, l'importante era capire le ricorrenze dello sversamento di rifiuti nei vari siti che potevano preludere ad attività di criminalità organizzata, all'unico delitto, il 260. Potevano preludere al 260.
  Questo è stato fatto non da me, ma dal mio predecessore. Questo l'abbiamo capito, ma non è stata capita per tempo la forza della corruzione, la forza dell'evasione fiscale, la forza dei reati ambientali, la forza dei reati urbanistici.
  Rispondo anche alla domanda sui Casamonica. Sui Casamonica noi sappiamo quello che c’è nella banca dati e quello che è nelle nostre conoscenze per quanto riguarda reati di mafia, di articolo 51, comma 3-bis, commessi dai Casamonica. Le loro relazioni immagino siano oggetto di approfondimenti investigativi.
  Isaia Sales ricordava, però, proprio a proposito della vicenda Casamonica, che è da settant'anni a Roma e fa parte della cittadinanza romana a pieno titolo, quando Frank Coppola, detto «Tre Dita», Frank «Three Fingers» Coppola, si trasferì a Roma, nell'immediato dopoguerra, per partecipare al sacco edilizio di Roma. Non so se ve l'ha detto Isaia, quando l'avete sentito.

  PRESIDENTE. Ieri si è concentrato su Napoli.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Contestualmente, però, vi avrà ricordato che, mentre Frank Coppola andava a Roma a inserirsi nel campo dei palazzinari, Lucky Luciano andava a Napoli.
  Lucky Luciano è morto a Napoli. L'ultimo funerale tipo Casamonica che sia stato celebrato a Napoli con una fastosità pacchiana è quello di Lucky Luciano, nel 1962. Da allora funerali di quel genere non se ne fanno più a Napoli. Non vengono più consentiti né a Napoli, né a Palermo, né in altri posti dell'Italia meridionale, perché i questori li impediscono, una volta che siano stati informati tempestivamente. Questo è il punto.
  Il punto debole è questo, la circolazione delle informazioni e, quindi, l'attenzione o la disattenzione che viene riservata ad alcune organizzazioni criminali. Si stabilirà nei vari giudizi se i Casamonica sono mafiosi o non mafiosi. Rappresentano certamente una cosca criminale, sono un'espressione sicuramente di criminalità organizzata, e lo sono da settant'anni. Adesso avranno rapporti col Molise o con l'Abruzzo, ma il cuore è qui.

  PRESIDENTE. Ce l'avevano anche con Buzzi e Carminati.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Ce l'avevano anche con Buzzi e Carminati. Scusate, ma anche Carminati lo si è scoperto adesso, ma lo si conosceva da quanti anni ? Non so se sia stata applicata la misura di prevenzione al signor Carminati. Non lo so.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Tre indulti.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. No, quelli sono i benefici. Io parlo delle misure di prevenzione. Non voglio azzardare, ma a me personalmente non risulta.
  Continuo con le domande dell'onorevole Mattiello. I processi per le stragi del 1992-93 sono in corso, come lei sa, a Pag. 30Caltanissetta. Sono processi complicati, sui quali non so se Maurizio intenda aggiungere qualche cosa. Lo prego di farlo, se ritiene di poter fornire qualche informazione alla Commissione.

  MAURIZIO DE LUCIA, sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Le informazioni di attualità riguardano, naturalmente, il fatto che i dibattimenti attuali, che nascono dalle dichiarazioni di Spatuzza, sono in corso. Il vero problema è indagare sul perché ci siano stati i processi su Scarantino. Questo davvero non è un problema giuridico.
  In punto di diritto ci sono stati tre gradi di giudizio con tre condanne. Poi è arrivato Spatuzza, ci ha raccontato un'altra verità riscontrata e ora sono in corso i procedimenti di revisione a Catania. Il problema è che il nostro sistema processuale – lo dico, visto che parliamo di riforma del sistema processuale – non ha garantito che si capisse e che si affermasse in sentenza che Scarantino era un falso pentito.
  Scarantino è un collaboratore di giustizia che non è mai stato utilizzato, per esempio, dalla procura di Palermo. La procura di Palermo, da quando Scarantino ha reso le sue dichiarazioni, nel 1993, se non sbaglio, non ha mai utilizzato Scarantino. L'ha utilizzato soltanto la procura di Caltanissetta e soltanto per quei due processi. Questo dovrebbe essere un elemento di riflessione.
  Se posso fornire dei dati di conoscenza, i dati di conoscenza sono questi. La situazione è relativa proprio alle dichiarazioni di Scarantino, ma la certezza che ci sia stato un depistaggio indotto in relazione proprio alla posizione di Scarantino e, quindi, la questione del depistaggio di via D'Amelio pone un altro problema di questo tipo.
  Dopodiché, c’è una risposta tecnica che di recente la Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ha fornito, dopo un lunghissimo periodo di indagine. È noto che è stata chiesta l'archiviazione del procedimento per alcuni funzionari di polizia coinvolti in quel depistaggio, ma anche qui la risposta è di natura tecnica. Sono decorsi oltre vent'anni da quei fatti e siamo in una situazione nella quale le fonti di accusa di questi soggetti sono screditate.
  Naturalmente, dobbiamo valutare il fatto che questi sono soggetti indagati che hanno diritto di difendersi e che hanno delle fonti di accusa totalmente screditate. Si tratta delle stesse fonti che sono screditate in quanto accusa sulla strage, ma che sono altrettanto screditate dall'altra parte, atteso che ci sono state ritrattazioni e controritrattazioni. Secondo i canoni del nostro codice, questa non è più materia, e così ha concluso – vedremo poi che cosa deciderà il giudice, perché la decisione è sempre sub iudice – la procura di Caltanissetta. Dopodiché, però, rimane aperto il problema, non più giudiziario, ma di natura politica di che cosa sia stata l'attività di depistaggio di quegli anni.
  L'altro dato che posso fornire riguarda la vicenda del patrimonio di Brusca. Anche su quella rispondo dal punto di vista tecnico perché conosco gli atti, essendo il magistrato di collegamento con la Direzione distrettuale antimafia di Palermo.
  In proposito è stato fatto un processo – sia un processo penale, sia un processo di prevenzione – con le conseguenti indagini. Il processo penale ha portato all'assoluzione di Brusca. Il processo di prevenzione ha portato alla restituzione di quei beni, perché è stato dimostrato che la loro origine era un'origine lecita. Non ricordo bene se fossero frutto di eredità o di attività lavorative dei cognati. Questo non sono in grado di dirlo con certezza.
  Comunque, è stato fatto un vaglio giudiziario, che ha fatto sì che quella parte del patrimonio di Brusca dovesse essere restituita e che, in relazione a quell'accusa che gli era stata mossa, il giudice abbia ritenuto infondata l'accusa e la procura non abbia proposto appello.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Risponda anche su Cuffaro.

  MAURIZIO DE LUCIA, sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Pag. 31Qui la questione è un po’ più complicata. A proposito delle zone grigie che hanno caratterizzato la latitanza di alcuni personaggi importanti, oggi noi abbiamo il problema di capire qual è la zona grigia che ha protetto e protegge Matteo Messina Denaro. Anche la collega che si occupa da anni della sua ricerca è arrivata a questo e ovviamente non ad altro, altrimenti non ci sarebbe stata un'esternazione mediatica, ma ci sarebbe stato un intervento giudiziario.
  Nel caso di Bernardo Provenzano io ho partecipato alle indagini che hanno portato alla sua cattura. In quel caso le zone grigie le abbiamo evidenziate. Sono venute fuori. Noi possiamo affermare oggi che esiste una zona grigia. Ovviamente, non possiamo dire chi è.
  Nel caso di Bernardo Provenzano le zone grigie le abbiamo individuate. Al centro della zona grigia del sistema Provenzano noi abbiamo individuato non Salvatore Cuffaro, che entra in questa vicenda per un fatto specifico, bensì Michele Aiello.
  Michele Aiello è l'esemplificazione di che cosa sia la zona grigia in Sicilia. Quando noi individuammo questa figura nel 2003, se non vado errato, da una prima dichiarazione di un collaboratore di giustizia molto importante, Antonino Giuffrè, questa persona era il secondo contribuente della Sicilia. Non esisteva una sua foto in giro. Io non avevo mai visto una foto di questo signore, tant’è che i Carabinieri ebbero difficoltà, quando ci portarono la prima foto.
  Non era il secondo contribuente della Sicilia che svolgeva attività nel settore privato. No, era il secondo contribuente della Sicilia perché aveva un'impresa nella sanità avanzatissima, Villa Santa Teresa, con tutto il meccanismo delle cure elettromedicali, che poi portò anche a un processo con truffa alla Regione siciliana, se non vado errato, di 80 milioni di euro. Cito a memoria perché non ricordo più i dati.
  Quel personaggio aveva rapporti con la famiglia mafiosa di Bagheria, che finanziava ricevendone protezione, con esponenti delle forze di polizia che lavoravano presso l'ufficio in cui in questo momento mi trovo, la procura di Palermo, tant’è che due funzionari di polizia, un maresciallo dei Carabinieri e un funzionario della DIA furono arrestati, processati e condannati per quella vicenda.
  Aveva questi rapporti col mondo della politica esemplificati in un'interlocuzione costante non soltanto con Salvatore Cuffaro, ma anche con molti esponenti politici di quell'area. Poco conta, perché per cosa nostra, debbo dire, è totalmente indifferente se uno appartiene all'uno o all'altro. Non c’è un problema ideologico. C’è un problema di convenienza nel rapporto.
  In questo quadro entra anche Salvatore Cuffaro, il quale viene processato per un'accusa specifica di favoreggiamento aggravato ex articolo 7 della legge n. 203 del 1991 e viene in primo grado condannato senza l'aggravante. Noi proponemmo l'appello. Corte d'appello e Corte di cassazione hanno confermato l'appello, tant’è che io non credo che nella storia dall'unità d'Italia a oggi senatori in carica per questi reati siano andati in carcere prima di lui. Non mi risulta.
  All'epoca era senatore, quando fu condannato. Era senatore, non presidente della Regione. Fu costretto a dimettersi dopo la sentenza di condanna di primo grado, anche in quel caso non per la sentenza di condanna, ma per una questione mediatica a tutti nota.
  Dopodiché l'indagine patrimoniale venne sviluppata dall'allora procuratore di Palermo e dalla struttura che egli creò, che non era la stessa struttura che ha svolto l'indagine, che era la struttura della Direzione distrettuale antimafia che ha sviluppato le indagini di natura patrimoniale. All'epoca si creò un Dipartimento mafia ed economia.
  Peraltro, il titolare di quel Dipartimento era l'attuale procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, che condusse le indagini, come si fa sempre, con il rigore che queste indagini impongono. Non basta dire che è un fatto notorio e che tutti sappiamo che lui è ricco. Noi facciamo un mestiere diverso, cioè dobbiamo Pag. 32individuare quei parametri che la legge ci impone per arrivare al sequestro e alla confisca dei beni.
  Io non ho preso parte a quell'attività, ma quell'attività c’è stata. L'esito di quell'attività in larga misura non ha portato risultati, se non per un profilo che riguardava un rapporto di Cuffaro e altri soggetti con la Banca Nomura. Essa è stata oggetto di un sequestro effettuato dalla procura di Palermo, credo due anni fa, sul quale è poi intervenuto il tribunale del riesame, restituendo i beni, anche in quel caso per una questione tecnica, ossia fondamentalmente perché i reati erano prescritti. Qui ci riallacciamo a un tema strutturale, quello della prescrizione, una volta che l'azione penale viene esercitata o meno.
  Io credo che questa sia, in punto di conoscenza, la vicenda di questi dati. Rimane il fatto che non è possibile avere un'ordinanza che dura vent'anni senza che esista una serie di relazioni forti del soggetto che in questi vent'anni è rimasto latitante con un mondo che non è solo quello mafioso. Se un soggetto è malato, ha bisogno di rivolgersi a dei medici. Nella storia di cosa nostra le relazioni con i medici non sono solo di Cuffaro, ma sono tantissime. Quello è un momento, per esempio, di rapporto fra il crimine organizzato di tipo mafioso e gli altri mondi. Il mondo dei rapporti con le imprese è la stessa cosa.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Posso continuare io ?

  PRESIDENTE. Certo.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. C'era ancora il riferimento dell'onorevole Mattiello alle protezioni altolocate. Ha già risposto De Lucia, ma io vorrei dire che il dottor Linares, allontanato per motivi di sicurezza – così io so e credo che sia vero – a Trapani ha fatto la fortuna della DIA di Napoli, e non è poco.
  Vediamo questi percorsi professionali anche in chiave positiva. È un ottimo dirigente della DIA di Napoli e questo ci conforta molto. Peraltro, proprio recentissimamente è stato fatto dalla DIA diretta da Linares l'ultimo intervento contro il clan dei casalesi, con sequestri patrimoniali molto importanti.
  Ancora, per rispondere al senatore Giarrusso, che pone la domanda della vita, almeno per me, ossia che cosa non ha funzionato nella lotta alla mafia, l'ho detto, credo di aver già risposto: non ha funzionato tutto quello che – può sembrare una tautologia – è mancato nell'azione di contrasto, sia sul piano giudiziario (corruzione, evasione fiscale, reati ambientali e reati urbanistici), sia soprattutto sul piano politico e sociale.
  Facevo prima l'esempio di Casal di Principe non a caso. Casal di Principe, così come era nel 1928, così è rimasta. Forcella è la stessa che era nel 1863, quando il primo Parlamento italiano adottò la legge Pica.
  Ricordate che cos'era la legge Pica ? La legge Pica pretendeva di combattere – definì per la prima volta la parola «camorrista» – i camorristi e i briganti. Si risolse, come voi sapete meglio di me, almeno chi di voi conosce la storia dell'Italia meridionale, in una lotta al brigantaggio che sotto forma di lotta al brigantaggio divenne una sorta di pulizia etnica per quelli che si opponevano all'annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte.

  FRANCESCO D'UVA. Erano patrioti.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Ora c’è una lettura diversa. La storia la scrive chi ha vinto.
  Comunque, la legge Pica fu adottata con la giustificazione della lotta al brigantaggio, non per la lotta ai camorristi, che infatti rimasero assolutamente intoccabili. Non solo, ma la legge Pica favorì poi un decadimento del rigore probatorio nelle indagini e nella formazione delle prove, che si tradusse in quell'infausto processo Pag. 33noto alle cronache e alla storia come processo Cuocolo.
  Il processo Cuocolo fu un processo-farsa che fu definito nei primi anni del Novecento. Il dibattimento cominciò nel 1907, mi pare. Il processo finì dopo alcuni anni a Viterbo, dove era stato trasferito da Napoli per legittima suspicione. Era un processo fondato sulle dichiarazioni false del falso pentito Gennaro Abbatemaggio, tra l'altro un mitomane, con prove false formate dai Carabinieri, ancora una volta in contrasto e in competizione – questo aspetto, per fortuna, è stato superato – con la Polizia di Stato, quella che all'epoca si chiamava pubblica sicurezza.
  Il principale imputato di quel processo, del processo Cuocolo, che riguardava l'omicidio della coppia Cuocolo-Cutinelli, una coppia di coniugi, era il capomafia dell'epoca, Enrico Alfano detto Erricone, uomo di potere, uomo ricco. Era il capo della camorra dell'epoca. Le accuse contro Erricone furono costruite dai Carabinieri in contrasto con la Polizia di Stato, di cui Erricone era un confidente.
  Torniamo al discorso delle protezioni, all'eterno discorso delle protezioni. Nel 1860, quando sta per arrivare Garibaldi a Napoli, il prefetto di polizia Liborio Romano si rivolse al capo della camorra dell'epoca, che si chiamava Salvatore De Crescenzo, detto «Tore ’e Crescienzo». Mise una sciarpa tricolore a lui e ai camorristi perché dovevano vigilare l'ordine pubblico e De Crescenzo lo fece, così come Erricone Alfano nel 1904, in occasione delle elezioni, aveva presidiato i seggi della Vicaria.
  C'era stato un grosso scandalo che aveva portato all'arresto di un deputato, un certo Alberto Casale, e del sindaco di Napoli, Summonte, e c'erano state poi le elezioni. Poiché bisognava sostenere un determinato candidato, il conte Ravaschieri, il compito fu affidato – il 416-ter dell'epoca – al capo cosca dell'epoca, Erricone Alfano, il quale poi, essendo peraltro anche confidente della polizia, chiese il conto del sostegno che aveva fornito e gli fu cucito addosso l'abito del mandante del duplice omicidio Cuocolo-Cutinelli attraverso il pentito Abbatemaggio. È storia, è scritto nei libri di storia. Non mi invento niente.
  Nello stesso modo, quando nel 1981 l'assessore regionale Ciro Cirillo fu sequestrato dalle brigate rosse, lo Stato pensò, memore della vicenda Moro, di trattare con le brigate rosse, e chi chiamò a trattare con le brigate rosse ? Il capo camorra dell'epoca, che si chiamava Raffele Cutolo. Quando Raffaele Cutolo chiese il conto, perché gliel'avevano promesso i servizi segreti deviati dell'epoca, che erano entrati per mandato politico nel carcere di Ascoli Piceno a chiedere l'intercessione di Cutolo, e Cutolo intercesse, Cutolo disse a me, quando andai a interrogarlo: «Dotto’, per fare un'opera di bene sto buttato al 41-bis e starò qui per tutta la vita».
  In fondo, dal suo punto di vista aveva anche ragione, perché lui aveva mediato per la liberazione di Ciro Cirillo ed era anche riuscito a ottenerla, ma, quando chiese il conto, ossia gli appalti, le perizie favorevoli in sede giudiziaria e tutti i favori di cui aveva bisogno, la risposta dello Stato quale fu ? Niente. Per fortuna, intervenne il Presidente Pertini e lo fece trasferire all'Asinara dal carcere-salotto di Ascoli Piceno.
  Cutolo era stato utilizzato come i suoi predecessori erano stati utilizzati dallo Stato. Ecco da dove nascono poi questo rapporto e le protezioni altolocate che si trasferiscono anche sugli altri affiliati alle cosche. È chiaro ? Nascono da questa rete relazionale fatta anche di questo.
  Scusate, ho parlato troppo su questo punto. Quali interventi strutturali fare ? Interventi sull'economia, scusate. Su che cosa vogliamo intervenire ? Gli strumenti del contrasto giudiziario li abbiamo tutti. Adesso bisogna intervenire sull'economia. Bisogna rilanciare il sud.
  Vedete – e qui rispondo anche all'altra domanda del senatore Giarrusso – io non sono un economista ma, quando mi si chiede perché le mafie si sono trasferite al nord, rispondo che le mafie si sono trasferite al nord perché ci sono i soldi, gli appalti, il lavoro. Al nord ci si può infiltrare. Al sud dove si va ? Bisognerebbe Pag. 34garantire le condizioni di sicurezza e di giustizia efficienti al sud per poter promuovere gli investimenti. Questo è il punto.
  Nel 1999 alla Direzione nazionale antimafia – io ero sostituto, all'epoca – il grande Piero Vigna, procuratore nazionale, promosse con l'Università Bocconi una ricerca. Questa ricerca era nata con riferimento alla Basilicata, perché all'epoca la Basilicata era una regione particolare. Era una regione in grande ascesa economica ma, al tempo stesso, era una regione geograficamente situata e collocata fra le regioni ad alta densità mafiosa e, quindi, una regione a rischio mafie. Non è che non ci fossero, ma non erano le mafie del livello della ’ndrangheta o della camorra.
  Era interessante, nell'ottica del procuratore Vigna, che mi affidò l'incarico con il professor Masciandaro della Bocconi, verificare le condizioni per migliorare la resistenza delle istituzioni e dell'economia in Basilicata al rischio di infiltrazione mafiosa, perché il rischio c'era e poi si è verificato. Si trattava di una regione in ascesa economica e di una regione in cui da poco tempo era stato scoperto il petrolio, che ancora adesso è oggetto di sfruttamento.
  All'epoca il petrolio era una novità. Quando scoprimmo che c'era il petrolio in Basilicata, pensammo: «Qui arriveranno le mafie di tutto il mondo per cercare di infiltrarsi negli affari legati al petrolio». Allora facemmo questo studio.
  Che cosa veniva fuori da questo studio ? Che non è favorendo l'economia in modo indiscriminato, non è lanciando progetti non controllati nella loro funzione, nel controllo della spesa, non è promuovendo sic et simpliciter l'occupazione che si crea legalità, ma è creando le condizioni di legalità e di sicurezza che si promuove uno sviluppo vero, facendo funzionare la giustizia in tempi certi. In merito devo dire che il Ministero della giustizia qualcosa la sta facendo. Qualcosa si sta facendo, qualche provvedimento per la giustizia civile è stato preso.
  È chiaro, bisogna andare avanti. Ora voi state esaminando questo provvedimento sulla giustizia penale, ma qualche cosa si muove rispetto al passato. La sicurezza è fondamentale. La sicurezza non si mette facendo presidiare le strade dall'esercito, perché l'esercito, quando è chiamato, è chiamato a presidiare obiettivi fissi, che possono essere oggetto di atti sconsiderati o di attentati. Il controllo investigativo del territorio, con quelli che girano e portano le notizie, le elaborano e fanno le indagini, invece, non è competenza dell'esercito, ma è competenza delle forze di polizia. Occorre potenziare le forze di polizia.
  Io non so adesso, con quest'ottica di spending review, che riguarda un po’ tutto, che cosa accadrà. Mi auguro che non vengano indeboliti i sistemi investigativi. Quella è la precondizione per avviare il rilancio dell'economia nel Mezzogiorno. Se si rilancia l'economia e si creano le condizioni di legalità e sicurezza, si impedisce anche alle mafie di penetrare l'economia e in qualche modo se ne giova tutto il Paese, perché la desertificazione industriale del Mezzogiorno e la disoccupazione sono piombo nelle ali anche dello sviluppo e della crescita dell'Italia centrosettentrionale. Sono un peso. Il nostro Paese o si salva tutto assieme, o non si salva, secondo me. Io non sono un economista, ma la mia umile considerazione è questa.
  Per contrastare le mafie le riforme strutturali debbono riguardare innanzitutto il Mezzogiorno e devono riguardare la cultura. Non apriamo il discorso culturale, ma purtroppo l'evasione scolastica in Campania supera il 30 per cento. Voi vi immaginate gli ispettori scolastici che vanno a Scampia a prendere uno per uno i ragazzi che non vanno a scuola ? Ma se a Scampia scendono i Carabinieri in assetto antisommossa per poter fare le loro perquisizioni, come volete che la scuola entri a svolgere questo compito di recupero a Scampia ?
  Anche in quel senso qualche cenno di novità c’è. C’è un bene confiscato che è stato destinato a luogo di incontro culturale, così come a Forcella c’è una libreria che è gestita da Giannino Durante, il padre di Annalisa, la ragazza uccisa qualche Pag. 35anno fa in un conflitto a fuoco a Forcella. Lì c’è questo povero Giannino Durante, solo, nel cuore di Forcella, a gestire questa libreria. Se non gli diamo un sostegno, se non promuoviamo anche con interventi finanziari l'operatività di questa iniziativa, come di altre che ci sono, tutte queste iniziative falliranno, sfioriranno, deperiranno e moriranno.
  Bisogna individuare le priorità, il che non è stato ancora fatto, anche se una sola volta ho letto nell'articolo d'esordio su La Repubblica dell'attuale capo del Governo la parola che mi aspettavo di sentirgli dire, ossia la parola «priorità», con riferimento all'azione di contrasto alle mafie.
  Priorità: è questa la parola chiave, secondo il mio modestissimo avviso. Bisogna guardare in faccia le mafie, senza dire: «Sì, va bene, ma Napoli è la Napoli filosofica e via elencando». Napoli è quello e quell'altro, è chiaro ? Bisogna guardare in faccia questa realtà. Se si riconosce che questa realtà va combattuta, allora diventa una priorità e non ci sono spending review che tengano. Certo, ci devono essere una spesa razionale, un progetto, un controllo. Vivaddio, abbiamo un'Autorità anticorruzione. Vediamo di farla lavorare anche in questo campo.
  Ci dev'essere un controllo della spesa, ma la spesa va fatta e non deve risentire di limitazioni, se c’è una priorità. Se poi bisogna che le leggi dell'economia prevalgano sui princìpi che sono scritti nella prima parte della Costituzione e che riguardano la giustizia sociale, la dignità, la libertà, tutti quei princìpi che conosciamo, se devono prevalere le leggi dell'economia, ci arrendiamo. È inutile continuare a parlare. Ci sono, però, delle questioni che hanno una priorità assoluta.

  PRESIDENTE. Paradossalmente, sono le leggi dell'economia che consigliano queste cose.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Tra l'altro. La ringrazio. Tra l'altro, al convegno di Trieste sull'economia, recentissimo, è stato detto proprio questo.

  PRESIDENTE. L'ha detto il Governatore della Banca d'Italia...

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Certo. Ve l'ha detto il Governatore della Banca d'Italia e io l'ho ricordato quando mi hanno chiamato in un paesino della Toscana dove vive mia figlia – non dico qual è, altrimenti dobbiamo segretare, ma poi glielo dico – a commemorare la Festa della Repubblica.
  Nella Festa della Repubblica io ho parlato di questo. È l'economia che ci impone di superare le disuguaglianze sociali e di favorire l'occupazione, perché solo così facciamo crescere l'economia, solo facendo partecipare tutti a questo grande progetto di riscatto e di rilancio del nostro Paese, perché lo sviluppo – scusatemi se mi dilungo, ma finisco – non è solo profitto dell'impresa. Lo sviluppo è sviluppo, è crescita democratica di tutto il Paese. Questo è lo sviluppo che vogliamo, non è solo il profitto dell'impresa. Se andiamo avanti su questa strada, va benissimo, ma io credo che questi siano gli elementi strutturali. Non posso dettagliarli ulteriormente, ma mi sembra che dobbiamo parlare di questo.
  Rispondendo all'onorevole Sarti, per il 416-ter potete anche aumentare le pene edittali. Mi sta benissimo. Quanto al 416-ter, se funziona o non funziona e se la giurisprudenza ha lavorato, come lei certamente sa, si sono formate due scuole di pensiero, quella che fa capo alla cosiddetta sentenza Polizzi e quella che fa capo alla sentenza Antinoro. Il conflitto fra queste due sentenze sul 416-ter è più apparente che sostanziale.
  La sentenza Antinoro richiede che l'eventuale ricorso al metodo mafioso che è alla base dell'accordo dello scambio elettorale debba essere esplicitato. Se non diamo la prova dell'esplicitazione di questo patto, non ci sono, secondo la sentenza Antinoro, gli elementi costitutivi del reato.
  Secondo la sentenza Polizzi, che naturalmente io preferisco e che si sta in qualche modo affermando, il patto sull'eventuale ricorso al metodo mafioso per Pag. 36procacciare i voti può anche essere implicito e può essere affermato e confermato dalla natura delle persone che fanno l'accordo, dallo spessore dei personaggi. Se i personaggi sono tali da assicurare la serietà del patto, il patto può essere benissimo implicito. Non c’è bisogno di esplicitazione.
  È come, mutatis mutandis, il discorso sulle mafie silenti. La mafia, quando è presente ed è percepita come organizzazione mafiosa e ognuno dei suoi affiliati è percepito come affiliato a un'organizzazione mafiosa e per questo ne trae vantaggi, non c’è bisogno di sparare, non c’è bisogno che ci siano gli atti di violenza o gli incendi. Basta la percezione della presenza, l'avvalersi delle modalità del metodo mafioso.
  Sul 416-ter adesso vediamo. La sentenza Polizzi – non so se ce l'ho segnato; sì, ce l'ho segnato – Sezione VI, è del 6 maggio 2014, mentre la sentenza Antinoro, sempre della Sezione VI, è del 3 giugno 2014. Tuttavia, la Antinoro è stata pubblicata dopo la Polizzi, ma è stata adottata prima, decisa prima.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Mi ricordavo bene, procuratore. Mi ricordavo bene, perché l'avevo studiata. Sono entrati in camera di consiglio e hanno deciso il giorno prima che entrasse in vigore il nuovo 416-ter per la Polizzi, mentre i colleghi avvocati, nel caso di Antinoro, hanno chiesto un opportuno rinvio, che hanno ottenuto.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Sì. Le devo anche dire, però, che già sotto il vigore del vecchio 416-ter, che non serviva perché non prevedeva le altre utilità, la rara giurisprudenza che si era formata prevedeva che almeno implicitamente ci fosse l'eventualità di ricorrere al metodo mafioso.
  Peraltro, mentre questo nuovo 416-ter, come voi sapete meglio di me, è un reato plurisoggettivo necessario, perché richiede due parti per consumarsi, il vecchio 416-ter praticamente richiedeva come agente il politico che chiedeva i voti. Il mafioso veniva coinvolto nell'imputazione del vecchio 416-ter a titolo di concorso eventuale. La giurisprudenza vecchia richiedeva comunque l'intesa, anche implicita, sull'eventualità del ricorso al metodo mafioso.
  Comunque, a me va benissimo che si aumenti la pena edittale, figuriamoci. Tra l'altro, tutti abbiamo interesse al funzionamento del 416-ter, anche perché io vedo, guardando la giurisprudenza, seguendola, che qui si sta avendo un'evoluzione. Se funziona il 416-ter, e lo stanno applicando, si stempera il ricorso al concorso esterno nel 416-bis, ovviamente.
  Io sono sempre dell'idea che questo ricorso al concorso esterno, come dice Fiandaca, sia più il frutto di un pregiudizio sociale che di un'effettiva necessità giuridica. Potrei raccontare anche di vicende e di imputazioni modificate in corso d'opera da partecipazione organica a concorso esterno e viceversa.
  Forse una volta si pensava di poter ricorrere al concorso esterno quando non si immaginava che un soggetto apparentemente esterno alle organizzazioni mafiose potesse esserne, in realtà, organico. Riusciva difficile accettarlo. Quando si trattava di un politico, di un imprenditore, di un uomo delle istituzioni, riusciva difficile accettarlo. Allora si disse che non vuole partecipare organicamente, ma vuole dare un apporto esterno nei momenti di fibrillazione, come dicono le sezioni unite del 1994, quando il suo contributo è richiesto, necessario e verificabile ex post, come dice la Mannino. Sono tutte costruzioni giurisprudenziali rispettabilissime, per carità, ma che in qualche modo non tengono conto, perché forse non potevano ancora tenerne conto, della realtà attuale dei rapporti, che va verso l'organicità, verso quello che possiamo definire il paradigma organizzativo rispetto al paradigma causale.
  Nel paradigma organizzativo delle organizzazioni mafiose attuali, in cui c’è la necessità di una molteplicità di soggetti e di competenze sempre più estese e sempre più articolate, quello che prima non sembrava accettabile oggi può essere ritenuto Pag. 37accettabile come partecipazione organica. Si potrà discutere poi se sia necessaria o sufficiente la sola presenza nell'organigramma come reato di pericolo, oppure se sia necessario comunque il contributo, ma questo lo dirà la giurisprudenza. Io vedo un'evoluzione verso il superamento, o comunque verso una drastica riduzione, del ricorso al concorso esterno.

  GIULIA SARTI. Quindi, lei darebbe più 416-bis ?

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Assolutamente sì. La giurisprudenza si sta orientando in questo senso, anche per effetto del nuovo 416-ter, se vogliamo dirla tutta, perché quello che una volta veniva rubricato, in assenza di promessa di altra utilità da parte del politico, come concorso esterno nel 416-bis, oggi, con questa formulazione si può rubricare come 416-ter.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole D'Uva sulla vicenda «Hacking Team» possiamo categoricamente escludere che ci siano state fughe di notizie tali da mettere in pericolo o da inquinare le indagini. La procura di Milano ha fatto un'indagine molto attenta e la polizia, naturalmente, altrettanto. È stato categoricamente escluso, e di questo abbiamo anche informato il Ministro della giustizia, rassicurandolo che non c’è stato questo rischio.
  Non so se Giovanni vuole aggiungere qualche cosa su questo.

  GIOVANNI RUSSO, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto. No, forniremo un completamento dell'informativa nei prossimi giorni.

  FRANCO ROBERTI, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Su Casamonica ho detto quello che potevo dire.
  Del problema dei collaboratori abbiamo parlato.
  Il collega dovrebbe parlare del problema della protezione, ma posso farlo anch'io. Mi riferisco alla domanda che faceva lei, onorevole Gaetti, a proposito dei familiari di collaboratori un po’ problematici, che magari perdono il programma di protezione. Lei chiedeva se, in attesa che lo recuperino, prosegue la protezione dei familiari, se questi continuano comunque a collaborare in modo efficace e veritiero.
  Personalmente ho l'esperienza di un collaboratore campano, un quadro importante della DDA di Napoli. Si chiama Augusto La Torre. Aveva perso il programma di protezione perché era stato condannato per estorsione in corso di collaborazione con la giustizia nei confronti di soggetti che stava ricattando, non accusandoli, ma ricattandoli con la possibilità di accusa. In questo caso a La Torre fu tolto il programma di protezione, ma i familiari continuarono a essere protetti, perché La Torre continuava, nonostante la perdita del programma di protezione, a collaborare con la giustizia.
  Il principio qual è ? Le DDA competenti debbono stabilire se, nonostante la perdita del programma di protezione, questo soggetto sia ancora collaborativo, se stia ancora collaborando nei processi, quali siano la natura e il livello della sua collaborazione e se, in conseguenza della sua collaborazione, indipendentemente dalla perdita del programma, i familiari siano sottoposti a pericolo. Se ciò sussiste, se ci sono queste condizioni, è chiaro che i familiari debbono essere comunque protetti e la Commissione – prego il collega De Lucia di convalidare questa mia affermazione – sulla base di questi elementi provvede ad assicurare loro il programma di protezione.

  MAURIZIO DE LUCIA, sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Io sono un componente della Commissione, ragion per cui parlo causa cognita. La Commissione non è costituita da un gruppo di soggetti che ostracizzano il mondo della collaborazione. Noi gestiamo, come abbiamo detto, migliaia di collaboratori e di familiari. L'attenzione verso ciascun collaboratore e i suoi familiari è sempre altissima, tant’è vero che, per fortuna, da quando esiste il sistema della Pag. 38protezione oggi, non abbiamo mai perso nessuno dei soggetti sotto protezione, anche perché il sistema, che comunque ha un sacco di aspetti che si possono aggiustare, continua a funzionare.
  Dopodiché esiste un'interlocuzione fra la Commissione della Direzione nazionale antimafia e le direzioni distrettuali antimafia che probabilmente si può accelerare in qualche aspetto. Non so se esista una posizione particolare. Sarà una posizione talmente particolare da avere richiesto chiarimenti e un'interlocuzione. Non lo so, non so se ci sia un caso particolare. In linea generale, la Commissione chiede costantemente informazioni. Prima arrivano le informazioni, in particolare delle direzioni distrettuali antimafia, prima si decide.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Intervengo solo perché resti agli atti, presidente. Noi non siamo soddisfatti della risposta su Cuffaro, ragion per cui ci riserviamo di richiedere alla presidenza approfondimenti con la procura competente e altri atti. Grazie.

  PRESIDENTE. Va bene. Io, invece, mi dichiaro soddisfatta di quest'audizione, che credo sia stata molto utile e molto importante. Può darsi che in futuro ci siano anche la possibilità e le opportunità di riconvocare il procuratore per ulteriori approfondimenti.
  Grazie di tutto, anche dei dati che ci hanno assicurato che verranno forniti e grazie comunque di una collaborazione che abbiamo avuto modo di sperimentare in altre occasioni, da quando questa Commissione sta lavorando con il procuratore e con tutti i suoi sostituti e aggiunti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.10.