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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III-IV-XIV Camera e 3a-4a-14a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 29 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

Audizione dell'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Casini Pier Ferdinando , presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica ... 5 
Mogherini Federica , Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea ... 5 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 11 
Napolitano Giorgio  ... 11 
D'Alì Antonio  ... 14 
Amendola Vincenzo (PD)  ... 14 
Scotto Arturo (SEL)  ... 15 
Di Stefano Manlio (M5S)  ... 16 
Giorgetti Giancarlo (LNA)  ... 17 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 18 
Alicata Bruno  ... 19 
Minzolini Augusto  ... 19 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 20 
Mogherini Federica , Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea ... 20 
Alicata Bruno  ... 23 
Mogherini Federica , Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea ... 23 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione dell'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea, onorevole Federica Mogherini.
  Sono particolarmente lieto di dare il benvenuto in quest'Aula a Lei e alla delegazione che La accompagna.
  Do, altresì, il benvenuto ai colleghi deputati e senatori delle Commissioni esteri, difesa e politiche dell'Unione europea, nonché ai componenti delle delegazioni italiane presso le Assemblee parlamentari della NATO, del Consiglio d'Europa, dell'OSCE, dell'Iniziativa Centroeuropea e dell'Unione per il Mediterraneo.
  Saluto anche i presidenti delle già citate Commissioni permanenti della Camera e del Senato, il presidente Casini, il presidente Garofani, il vicepresidente Conti, che credo che sia in sostituzione del presidente Latorre, assente per motivi di salute, e il presidente Bordo.
  L'audizione odierna è stata convocata su impulso dello stesso Alto Rappresentante, in adempimento dell'annuncio fatto ad apertura del suo mandato, nell'autunno del 2014, qui a Roma, nell'Aula del Senato, che ospitava i lavori della Conferenza interparlamentare sulla politica estera e di difesa dell'Unione europea, celebrata sotto la presidenza di turno italiana, circa la sua intenzione di consolidare e rafforzare il rapporto fra questa fondamentale istituzione europea e i Parlamenti nazionali.
  In omaggio a tale annuncio l'onorevole Mogherini ha, quindi, confermato l'appuntamento con il Parlamento italiano in occasione della più recente Conferenza interparlamentare svoltasi in Lussemburgo, della quale l'Alto Rappresentante è un partecipante fisso fin dall'edizione inaugurale, tenutasi a Cipro nel 2012.
  Tale sforzo di dialogo con i Parlamenti nazionali costituisce un elemento innovativo che testimonia la sensibilità dell'attuale Alto Rappresentante rispetto alle istanze di democratizzazione e di trasparenza della decisione europea in materia di politica estera.
  Prima di passare ai temi di merito che sono oggi in cima all'agenda dell'Alto Rappresentante, sottolineo che il Trattato di Lisbona ha marcato un cambiamento storico sul piano dell'assetto istituzionale europeo con riferimento alla politica estera e di sicurezza. Dobbiamo, però, anche dirci che è mancata da parte degli Stati nazionali la volontà politica reale di istituire un vero e proprio Ministro degli esteri dell'UE. Ciò è avvenuto perché su Pag. 4questo terreno – quello della politica estera e della difesa – gli Stati nazionali continuano a svolgere le loro politiche in piena autonomia e talora in esplicito contrasto fra di essi.
  Ciò, evidentemente, rende ancora più difficile e impegnativo il compito dell'Alto Rappresentante, al quale diamo comunque atto di essere diventato, più che nel passato, un riferimento istituzionale e politico per la comunità internazionale. Di conseguenza, oggi l'Alto Rappresentante è parte necessaria dei tavoli internazionali dedicati alla gestione delle maggiori crisi sul piano di un'aperta dialettica con gli Stati nazionali e fra di essi.
  È noto l'impegno straordinario dell'Alto Rappresentante per rinnovare e rendere più efficiente l'azione esterna dell'Unione europea. Ne sono testimonianza i processi di consultazione che ella ha inaugurato sulla politica di vicinato e per la revisione della strategia di sicurezza dell'Unione europea.
  Desidero ricordare anche in questa sede il lavoro che le Commissioni esteri della Camera e del Senato hanno svolto su questo tema, producendo documenti che sono stati elaborati anche a seguito di un accurato percorso di audizioni, in particolare con rappresentanti dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, assecondando una filosofia di inclusione. Tutto ciò nell'intento di non far mancare un contributo da parte del Parlamento italiano a uno sforzo che è ben riconoscibile e anche per chiedere con forza agli interlocutori europei di dedicare al versante meridionale dell'Unione risorse e impegni quantomeno non inferiori a quelli dedicati al versante orientale.
  Sulla revisione della strategia di sicurezza dell'Unione europea, la Commissione affari esteri e comunitari della Camera sta svolgendo un'indagine conoscitiva a ciò dedicata, che si concluderà entro l'anno, con l'approvazione di un documento politico da includere nel processo di consultazione di recente inaugurato dall'Alto Rappresentante.
  Passo adesso a richiamare i nodi politici che impegnano in questo momento l'Alto Rappresentante e su cui ritengo che questo dibattito si debba concentrare.
  Il primo è il ruolo dell'Unione europea nella gestione della crisi siriana, anche alla luce della politica di potenza svolta dalla Russia, che, dopo essersi sviluppata sul versante orientale, dalla Georgia alla Crimea e all'Ucraina, adesso si è spostata in Medio Oriente, anche in seguito agli errori commessi dagli Stati Uniti e dai Paesi europei al momento del decollo della rivoluzione siriana, che aveva ben altro segno di quello assunto successivamente, sia per il sostegno dato al Daesh da parte di alcuni Paesi arabi, sia per l'ambiguità nei comportamenti reali della Turchia.
  Il secondo riguarda le prospettive di conclusione positiva del negoziato libico, alla luce delle difficoltà tuttora in essere rispetto al «piano León», che mettono in evidenza l'esistenza di una situazione aperta tuttora a sbocchi di segno opposto.
  Il terzo è l'emergenza profughi diretti verso l'Europa attraverso il Mediterraneo e le rotte che passano per il confine orientale dell'Unione europea e i Balcani Occidentali, che mette in evidenza l'esistenza di una questione decisiva ai fini della tenuta e del futuro dell'integrazione europea. Non a caso, proprio oggi, questa questione è affrontata in ben tre contributi ad opera dell'Alto Rappresentante Mogherini, del Presidente Schulz e dal Sottosegretario Gozi. Nel momento in cui il fenomeno migratorio non può essere bloccato dai muri, né esorcizzato o rimosso attraverso polemiche demagogiche perché, purtroppo, provocato da cause assai drammatiche, esso, però, può essere affrontato positivamente dall'Europa e dai singoli Stati solo con risposte comuni all'insegna della solidarietà. Dall'esistenza o meno di queste risposte comuni dipende anche la tenuta e il futuro stesso dell'Europa.
  In quarto luogo, vi è l'attuazione di Minsk II e la situazione di tensione fra la Russia e l'Ucraina, con il suo portato di problematicità rispetto all'intero rapporto fra Mosca e l'Occidente.
  In quinto luogo, vi è l'andamento negativo della situazione tra Israele e i Territori palestinesi.Pag. 5
  Tale scenario è da integrare con il persistere dell'instabilità in Afghanistan, in misura tale da imporre un cambio di strategia alla comunità internazionale e, in generale, con la necessità di una strategia di contrasto politica e militare al terrorismo di matrice fondamentalista, in un anno segnato da fatti drammatici, a partire dagli attentati di Parigi del gennaio scorso, da quelli tunisini di marzo e luglio, per menzionare soltanto gli episodi di maggiore impatto sull'opinione pubblica.
  Concludo sottolineando che il più recente Consiglio europeo si è concentrato sui temi della migrazione e dei rifugiati quale parte integrante di un quadro di crisi in Medio Oriente e su cui prevedibilmente domani a Vienna potranno registrarsi dei progressi. È proprio per tale ragione che l'Alto Rappresentante ha preannunciato di dover concludere questa audizione al più tardi entro le ore 16.
  Do quindi la parola al presidente Casini.

  PIER FERDINANDO CASINI, presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Prima di ascoltare l'Alto Rappresentante, l'unica domanda che le faccio, per vivacizzare un po’ l'atmosfera, visto che sono chiamato in causa, è molto semplice.
  Sappiamo tutti che l'Europa è a un bivio, importante, fondamentale. Così non possiamo andare avanti. Bisogna implementare, ma implementare non è facile. Negli ultimi mesi si moltiplicano gli incontri ad alto livello dell'Unione europea, con format che comprendono i Paesi principali, che di volta in volta cambiano, ma sono quasi sempre Germania e Francia. Minsk è stata salutata con sollievo da noi. Tuttavia, non c’è dubbio che il formato era un po’ singolare, visto che non c'era l'Alto Rappresentante, ma c'erano Germania e Francia, ovvero Merkel e Hollande.
  Questo capita a più livelli. È accaduto anche per i rifugiati in queste ore. Vorrei capire se Lei, Alto Rappresentante, lo ritiene un po’ preoccupante o, invece, se lo ritiene un'evoluzione positiva.

  FEDERICA MOGHERINI, Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea. Capirete che oggi per me c’è anche un elemento di emozione. Avverto tutta la particolarità di fare una visita ufficiale in Italia, soprattutto perché, dei tanti incontri istituzionali che ho avuto oggi, dal Presidente della Repubblica, ai Ministri degli esteri e della cooperazione internazionale, della difesa e dell'economia e finanze, questo è il vero ritorno a casa. Infatti, sono stati tanti gli anni in cui ho lavorato in queste vostre stesse Commissioni, esteri e difesa, e in due delle delegazioni presso le Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa e della NATO.
  Vorrei iniziare con un ringraziamento ai tanti colleghi e amici che vedo in sala per essere qui, anche e soprattutto per il lavoro che abbiamo fatto insieme negli anni scorsi e che mi ha insegnato molto, nonché – se mi permettete, in modo forse un po’ rituale – ai funzionari della Camera con i quali ho avuto modo di lavorare e di apprezzare la professionalità, che pure mi hanno insegnato molto.
  Ho, ovviamente, un discorso, che non leggerò. Mi conoscete. Quindi, comincio seguendo le indicazioni dei presidenti sui temi che sono di interesse per i vostri lavori e le vostre Commissioni e che sono anche l'agenda del mio lavoro quotidiano, iniziando con un riferimento al ruolo e alla funzione della diplomazia parlamentare.
  Il presidente Cicchitto ricordava un mio impegno preciso, preso nell'Aula del Senato l'anno scorso, a stringere una sorta di patto di lavoro comune, non soltanto con il Parlamento europeo, ma anche con i singoli Parlamenti nazionali dei 28 Stati membri. Da parlamentare uscente allora, mi sembrava la cosa più naturale e più ovvia da fare. Oggi, a un anno di distanza dall'inizio delle mie nuove funzioni posso dire che il ruolo della diplomazia parlamentare e dei lavori dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo sono di una fondamentale importanza. Possiamo forse tornarci nel corso del dialogo che Pag. 6avremo più avanti, ma c’è una complementarità nell'autonomia istituzionale che arricchisce gli strumenti politici e istituzionali della politica estera europea, che non sempre è sufficientemente riconosciuta.
  Per questo, non soltanto qui in Italia, dove per me è più ovvio e naturale, e piacevole, avere un incontro con voi, ma in tutte le visite ufficiali che faccio in tutti gli Stati membri tengo a incontrare almeno le Commissioni esteri e difesa dei Parlamenti nazionali dei Paesi che visito.
  Come forse saprete, ho passato una parte consistente del primo anno di lavoro nel visitare le capitali dei nostri 28 Stati membri, proprio perché – qui tocco i due punti che i presidenti hanno sollevato – c’è un tema di coesione della politica non soltanto estera, ma, per quello che mi riguarda, estera e di sicurezza dell'Unione europea. Quanto l'Europa è unita nella sua politica estera e di sicurezza è il punto di forza o di debolezza del nostro ruolo nel mondo. Credo che scontiamo tutti alcuni elementi di raffigurazione della politica estera e di sicurezza europea che, a volte, non rappresentano la complessità e la pienezza anche di quanto c’è. Il bicchiere può essere sempre considerato mezzo pieno o mezzo vuoto.
  Il mio punto di partenza è questo. I trattati, soprattutto con Lisbona, danno all'Unione europea gli strumenti non perfetti, ma utili per svolgere un ruolo da Europa unita nel mondo e nella propria regione. Credo che non ci sia ragione, né logica, nel rappresentare la politica estera e di sicurezza europea come una ventinovesima politica che si aggiunge alle ventotto degli Stati membri, ma piuttosto – questo è un terreno di confronto anche con voi che per me sarà utile – un esercizio di identificazione del terreno di interesse comune dei popoli europei, non soltanto dei ventotto Stati membri e dei ventotto governi. Su questo, il ruolo dei Parlamenti è fondamentale. Qual è l'interesse comune degli europei nel determinare i propri obiettivi e le proprie azioni di politica estera e di sicurezza ?
  La logica della distanza, se non della contrapposizione, tra le singole capitali e il livello comunitario è una dimensione che, in particolare sulla politica estera e di sicurezza, nel mondo di oggi non ha senso. Credo che le tante crisi che abbiamo intorno a noi, a partire da quelle che sono state giustamente citate – dalla Libia a quella mediorientale, alla Siria, ma anche a quelle più lontane che tornano – tornano – come quella dell'Afghanistan, o pensiamo all'instabilità nel Sahel, nel Corno d'Africa – rendono molto evidente alle nostre opinioni pubbliche europee – a volte, più alle opinioni pubbliche che non alle leadership politiche – l'esigenza di affrontare queste sfide a livello integrato, quindi comunitario.
  A volte c’è una retorica relativa alla cessione di sovranità a Bruxelles. Credo che il campo della politica estera e di sicurezza dimostri in modo esemplare che non si tratta di cessione di sovranità, ma si tratta di riacquisizione, di recupero della sovranità, che solo a livello comunitario, solo a livello europeo può essere effettivamente esercitata. Ed effettivamente significa qui anche efficacemente. Ed è, in fondo, proprio quella via maestra che il Presidente Napolitano aveva indicato in un suo recente scritto. E vorrei ringraziarlo per essere qui presente oggi, ma anche per l'eccellente lavoro che ha sempre svolto nelle sue diverse funzioni; mi sento molto onorata della sua presenza qui, oggi.
  Questo, però, non ci esime dall'affrontare il tema dei formati, ovvero di quanto di intergovernativo e di comunitario ci sia nella politica europea di oggi. Dico nella politica europea e non nella politica estera europea perché, purtroppo, l'approccio intergovernativo, la tentazione intergovernativa è una tentazione che emerge, e riemerge, su molti settori e, a volte, supplisce una carenza, una lentezza, una fatica comunitaria.
  In momenti di crisi come quelli che stiamo passando in questi anni, sia sul versante economico e finanziario prima – sperando di essere verso la fine di questa esperienza – sia sul versante della sicurezza, Pag. 7della geopolitica, laddove non si riescono a mettere in campo strumenti, meccanismi e politiche che consentono ai singoli Stati membri di esercitare la propria sovranità congiuntamente in modo efficace, si trovano altre strade. È come un corso d'acqua che se non trova la strada del letto del fiume si disperde per altre vie. La tentazione intergovernativa, soprattutto se sostenuta da retoriche che a volte possono sembrare facili, ma poi nel lungo periodo difficilmente pagano, di ritorno a una dimensione nazionale delle politiche, c’è, ed è sempre dietro l'angolo.
  In questo anno di lavoro – lasciatemi raccontare non solo il mio sforzo, ma anche le mie soddisfazioni – ho visto una politica estera e di sicurezza europea molto più integrata e unita di quanto non venga rappresentata. I meccanismi della comunicazione molto spesso fanno sì che se in nove casi c’è unità e in uno c’è divisione, la notizia è la divisione, e non le nove volte in cui c’è unità. E ho visto, in questo anno un'unità del Consiglio affari esteri, del Consiglio affari esteri in formato difesa, del Consiglio affari esteri in formato cooperazione allo sviluppo, che è fondamentale anche in connessione alle politiche migratorie e di sicurezza, ma anche nei formati di lavoro della Commissione, che abbiamo avviato. Infatti, un anno fa, con il Presidente Juncker abbiamo stabilito di avviare un lavoro di coordinamento, che coordino e presiedo, dei commissari che hanno competenze e portafogli relativi all'azione esterna dell'Unione. Abbiamo iniziato con cinque commissari, ma nell'ultima riunione erano dodici, perché non c’è un singolo portafoglio della Commissione che non abbia anche una proiezione esterna.
  In questo anno ho visto una comune azione europea effettivamente reale. Questo non significa che va tutto bene e che a livello europeo abbiamo il livello di unità che ci consente di svolgere il nostro ruolo nel mondo all'altezza delle nostre esigenze e delle nostre potenzialità. La mia storia politica, le mie convinzioni, la mia cultura italiana, che rispetto al processo di integrazione europea è ispirata dai grandi valori del federalismo, evidentemente mi fanno identificare i limiti della nostra Europa di oggi, come dei limiti rispetto ai quali spesso anch'io avverto frustrazione. Questo, però, non significa che sia tutto intergovernativo. Faccio alcuni esempi. Su tutte le crisi che sono state citate, dalla Libia alla questione migratoria, sulla quale poi tornerò, sul versante dell'azione esterna c’è un'unità di intenti e di azione dei ventotto Stati membri e delle diverse istituzioni europee che lavorano effettivamente insieme.
  Sono rimasta favorevolmente impressionata dalla capacità che abbiamo avuto di avviare un'operazione militare dell'Unione europea di contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterraneo in un mese e mezzo, con – e grazie anche – a un'iniziativa e a una guida italiana, ma con il concorso di quasi tutti gli Stati membri e con una capacità di costruzione di una rete internazionale nella regione, fino al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha di fatto riconosciuto il ruolo di un'operazione militare europea nel Mediterraneo che avrebbe potuto richiedere mesi, se non anni. Ricorderò sempre la prima volta che ho chiesto ai vertici militari dell'Unione europea una valutazione su quanto tempo ci sarebbe voluto per far partire l'operazione. La prima risposta che ho avuto è stata: minimo 7-8 mesi. Ho detto che l'estate era il momento fondamentale per far partire questa operazione, quindi andava fatta presto. Allora, quando c’è una volontà, c’è anche una capacità europea. È valso su questo, ma anche su altre questioni su cui poi verrò. Credo che questo sia il tema.
  I formati, a volte, sono una questione che ereditiamo dal passato, come è, ed è stato nel caso dei negoziati per il nucleare iraniano, dove tre Stati membri sedevano e siedono tuttora al tavolo. L'accordo è fatto, ma il lavoro di implementazione andrà avanti e andrà monitorato al nostro livello ancora per tutti gli anni a venire. L'Unione europea, anzi l'Alto Rappresentante, citato in quanto tale in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Pag. 8Unite, aveva il compito di facilitare i negoziati e, poi, di presiedere alla realizzazione degli accordi.
  Tuttavia, il tema dei formati è reale, vero. L'approccio che cerco di portare avanti con i ministri degli esteri, della difesa, della cooperazione allo sviluppo e del commercio estero, che sono i formati del Consiglio che presiedo, è sempre quello di considerare che i ventotto, non importa quanto piccoli o grandi, centrali o periferici nell'immaginario collettivo, siano tutti parte di uno stesso percorso e di uno stesso sforzo, che confluisca in una cooperazione tra Consiglio e Commissione costruttiva e, mi verrebbe quasi da dire, fraterna. Infatti, un altro dei grandi problemi che abbiamo non è soltanto l'emergere, occasionale, di formati, ma è anche quello di fare in modo che le istituzioni europee trovino tra di loro le sinergie necessarie per fare avanzare l'agenda europea. Consiglio, Commissione e Parlamento europeo hanno bisogno di un'integrazione e di una sinergia degli sforzi, soprattutto in un momento di crisi come questa, crisi che ha toccato l'Europa negli ultimi 8-9 anni sul suo profilo economico-finanziario, sulla sua credibilità di attore globale dal punto di vista, appunto, economico-finanziario, cosa che ha fatto particolarmente male perché l'Europa è percepita nel mondo ancora oggi innanzitutto come grande potenza economica e commerciale e come grande attore di promozione dei diritti umani.
  La crisi migratoria, la crisi dei rifugiati – immagino ci torneremo sicuramente nel corso del dibattito – rischia di intaccare la credibilità dell'Europa su questo versante e rischia di essere un danno strutturale, non dico permanente perché credo che molte poche cose nella storia lo siano, ma sicuramente consistente nella nostra relazione con i nostri partner nel mondo e nel nostro esercizio di ruolo regionale e globale.
  Il mio impegno diretto è stato quello di fare in modo che, laddove ci sia, laddove c’è un interesse europeo, preminentemente europeo, là ci sia l'Unione europea in quanto tale. Così sarà domani, a Vienna in questo incontro che avvieremo con tutti gli attori regionali e internazionali per cercare di risolvere la crisi siriana sul versante politico. Così è, in modo molto forte, sulla crisi israelo-palestinese, dove, come sapete, ho fatto la mia prima visita da Alto Rappresentante e dove il mio impegno è stato di rilanciare il ruolo del Quartetto – Unione europea, Stati Uniti, Russia e Nazioni Unite – come quella cabina di regia internazionale che, in congiunzione con alcuni attori regionali fondamentali – Egitto, Giordania e Arabia Saudita – rispettivamente per il ruolo che l'uno ha rispetto a Gaza, l'altro rispetto alla garanzia dei luoghi santi e il terzo rispetto al lancio dell'iniziativa araba di pace del 2002, possa accompagnare le parti a una descalation della violenza sul terreno e a un riavvio del processo di pace. Lì c’è stata una guida dell'Unione europea su una parte dello scacchiere mediorientale che credo, seppure spesso dimenticato dal punto di vista mediatico, resti al centro di una serie di tensioni non soltanto regionali, ma potenzialmente globali, perché il riferimento della Jihad mondiale alla causa palestinese rischia di provocare scintille che possono avere ripercussioni in tutte le parti del mondo.
  Per tornare alla Siria, sulla quale non voglio spendere solo poche parole, c’è non solo un ruolo europeo nel lato umanitario, come è evidente. Nella gestione della crisi di rifugiati l'Unione europea e i suoi Stati membri sono di gran lunga il primo donatore, sia all'interno della Siria, perché stiamo faticosamente operando all'interno, nelle zone ancora accessibili, per dare sostegno ai siriani che sono ancora in condizioni di restare nel Paese, ma anche e soprattutto nei tre Paesi vicini – la Turchia, il Libano e la Giordania – che stanno ospitando la gran parte dei rifugiati, anche in vista di un rafforzamento della loro capacità di accoglienza e delle capacità delle comunità locali di assorbire questa accoglienza, molto difficile e complessa.
  Al di là dell'impegno umanitario e tralasciando l'aspetto militare, non perché io non creda – i colleghi che hanno Pag. 9passato del tempo come me in Commissione difesa nella legislatura precedente lo sanno – che l'Europa non sia e non possa essere anche un attore di hard power, cioè militare (il nostro grande potere è il soft power, ma abbiamo strumenti militari che possiamo e dobbiamo usare quando è nel nostro interesse), sullo scenario siriano la scelta dell'Unione europea, in quanto Unione europea, è stata quella di non avere un impegno diretto sul fronte militare, laddove, invece, alcuni Stati membri lo hanno, soprattutto, il ruolo fondamentale dell'Unione europea sulla Siria è quello politico. Il fatto che abbiamo svolto un ruolo di facilitazione rispetto all'accordo sul nucleare iraniano ci ha aperto la possibilità di un rapporto di fiducia con l'Iran, che proprio oggi consente al ministro degli esteri iraniano Zarif di essere a Vienna. Avrò un incontro bilaterale con lui questa sera per preparare la riunione di domani e per coordinare, insieme ai nostri partner, in particolare agli Stati Uniti, una presenza di tutti gli attori regionali rilevanti sullo scenario siriano, la Turchia, l'Arabia Saudita, altri paesi del Golfo, l'Iran, la Giordania, il Libano e l'Egitto, insieme ai grandi attori internazionali, l'Unione europea, la Russia, gli Stati Uniti per mettere, appunto, insieme quegli attori che hanno un'influenza diretta sulle parti all'interno della Siria e avviare un processo di transizione. Vedremo come andrà l'incontro di domani, ma credo che da esso potremo aspettarci l'avvio di un percorso che possa portare effettivamente a una transizione, alla fine della guerra di ormai quasi cinque anni in Siria e a un efficace contrasto a Daesh, unendo le forze che possono opporvisi.
  Sulla Libia, ogni settimana indichiamo in quella successiva quella in cui speriamo che l'accordo possa esserci. Quindi, se non altro per motivi scaramantici, evito di evocare la possibilità di un accordo tra qualche giorno. Credo che l'Inviato delle Nazioni Unite, Bernardino León, abbia svolto un ruolo fondamentale e abbia consegnato ai libici l'accordo migliore che i libici stessi potessero produrre, anche perché è un lavoro che lui ha mediato, ma che è frutto di un impegno di tutte le parti libiche.
  Non solo, ma in questi ultimi mesi e soprattutto in queste ultime settimane, anche di concerto e in sinergia con l'Italia, che ha giocato e continua svolgere un ruolo fondamentale su questo scenario e spero continuerà a farlo, abbiamo finalmente garantito che tutti gli attori regionali spingessero nella stessa direzione, cioè quella di un accordo politico per un avvio di un governo di unità nazionale. Se avremo questo punto di partenza, non sarà un accordo che cambierà la situazione sul terreno nell'arco di 12 o 24 ore o una settimana. Credo che non ci siano illusioni da questo punto di vista da parte della comunità internazionale e sicuramente qui in Italia, dove la conoscenza della questione libica è molto profonda. Tuttavia, certamente darebbe un punto di inizio, un punto di appoggio per un lavoro che la comunità internazionale, e l'Unione europea in modo diretto, potrà iniziare a fare – speriamo – in diretto contatto, in cooperazione diretta con un nuovo governo in Libia. Io ho iniziato a far preparare il pacchetto di misure europee di sostegno a un nuovo governo di unità nazionale in Libia già a febbraio, un po’ in anticipo, ma conoscendo i nostri tempi, è meglio essere pronti nel momento in cui dovesse arrivare un accordo affinché il nostro sostegno possa esserci dal primo giorno, perché l'errore che è stato fatto nel passato non si ripeta. Dobbiamo essere sicuri non soltanto che si arrivi a un accordo, ma anche che non si perda la partita del dopo accordo. Se si arrivasse a un accordo e il giorno dopo, una settimana dopo o un mese dopo i libici, nelle città, nelle comunità libiche non dovessero vedere l'impatto immediato e positivo dell'accordo, avremmo perso per la seconda volta.
  Allora, il nostro sforzo è stato, ed è, quello di aver costruito un pacchetto di diverse misure, chiaramente da discutere con il nuovo governo libico – inshallah – dal controllo delle frontiere al sostegno alle municipalità, all'erogazione di servizi Pag. 10di base, dall'elettricità all'acqua, alle scuole, agli ospedali, alla messa in sicurezza di alcune infrastrutture fondamentali, come aeroporti e porti, alla gestione del fenomeno migratorio, al sostegno alla ricezione, visto che c’è un numero impressionante di migranti sul territorio libico che hanno bisogno di assistenza. A questo proposito, vorrei dire una cosa che pubblicamente dico molto raramente, ma qui penso sia utile farlo. In questi anni, l'Unione europea ha continuato a lavorare con l'UNHCR in Libia, sostenendo il suo lavoro rispetto all'immigrazione, in condizioni molto difficili. Un pacchetto che possa quindi accompagnare l'avvio di una nuova fase.
  Non elaboro sulla possibilità che non ci sia questo accordo, innanzitutto perché credo e spero che la spinta comune della comunità internazionale richiami anche quelli che in inglese definiamo spoiler; in italiano potremmo dire i «guastatori» del processo. In pratica, credo e spero che la disponibilità e la prontezza della comunità internazionale di chiamare alle proprie responsabilità anche coloro che stanno ostacolando la riuscita del processo possa portare a un risultato, che starà a noi rafforzare in modo consistente, altrimenti avremmo perso per la seconda volta la fase successiva al punto di svolta fondamentale.
  Avete citato molte questioni e molte crisi. Non voglio prendere moltissimo tempo, per lasciare più spazio a voi. Faccio soltanto altri due o tre accenni.
  Il primo è a una delle due crisi che il presidente Cicchitto ha nominato, e che credo debbano restare, molto giustamente, alte nell'agenda internazionale e in particolare dell'Unione europea. Mi riferisco alla stabilità o mancanza di stabilità a est dell'Unione europea.
  La situazione in Ucraina è certamente migliorata negli ultimi due mesi. I passi in avanti sulla realizzazione degli accordi di Minsk sono visibili e finalmente vanno nella direzione giusta, ma siamo ancora lontani dalla loro piena realizzazione. A dicembre il Consiglio europeo valuterà il futuro del regime di sanzioni sulla Russia. Vedo, però, una tendenza, e la tendenza è quella a realizzare gli accordi. Spero che in questa direzione si possa continuare ad andare avanti.
  Sul formato Normandia, che iniziò a giugno 2014; devo dire che il modo di lavorare di quel formato che, in connessione costante con l'Unione europea, ci consente di giocare diversi ruoli nell'implementazione e nella realizzazione degli accordi di Minsk e consegna all'Unione europea il ruolo fondamentale di facilitare il dialogo tra Ucraina e Russia su due settori fondamentali, quello degli accordi di commercio e quello del gas e dell'energia; ha creato un approccio di sistema. Non dirò mai che questo è il mio modello ideale di gestione delle crisi, ma, avendo ereditato un formato, è un modo di inserirlo in una cornice europea, sperando che nel futuro riusciremo a evitare che il metodo dei formati intergovernativi sostituisca le dimensioni europee, anche se eventualmente potrebbe essere complementare. Sono convinta del fatto che non potremo mai, almeno nel ragionevole futuro, chiedere a uno Stato membro di rinunciare alla propria politica estera e di difesa, ma potremmo sempre offrire un contesto di politica estera e di difesa comune dentro il quale le politiche dei singoli ventotto possano agire insieme di concerto.
  Spesso si dice che l'Unione europea deve parlare con una voce sola. È un'espressione che a me non piace affatto, perché credo che la nostra ricchezza stia nel fatto di avere molte voci all'interno dei ventotto Stati membri e tra di noi. Abbiamo diverse storie, diverse geografie, diverse ricchezze, diversi stili di politica estera, diplomatici, di politica di sicurezza. Questa è la ricchezza dell'Unione europea.
  Dal mio punto di vista, quello che è importante non è parlare con una sola voce, sarebbe non un arricchimento, bensì una perdita, ma che le tante voci che abbiamo cantino lo stesso spartito. Questo richiede un'operazione di direzione del coro e, innanzitutto, di riconoscimento dei cantanti che sono parte di un coro. Questo Pag. 11vale sulla politica estera e, purtroppo, su moltissime altre cose. Questo è lo sforzo.
  Vorrei dire un'ultima parola sulla questione dell'immigrazione e dei rifugiati. Ricordo molto bene che un anno fa, quando dicevo che parte del mio mandato sarebbe stata anche quella di lavorare su questi temi, a volte in Italia c'era un po’ di scetticismo, e in Europa un po’ di incredulità. Infatti, un anno fa l'immigrazione non veniva considerata in modo evidente né un tema europeo, né un tema esterno, bensì nazionale dei Ministri dell'interno.
  In un anno, purtroppo, anche per quello che è successo – dal dramma del Canale di Sicilia di questa primavera agli enormi flussi che abbiamo visto quest'estate sulla rotta orientale – moltissimo è cambiato.
  Oggi c’è consapevolezza del fatto che è un fenomeno che o si gestisce a livello europeo o che nessuno Stato membro, nessuno, da Malta alla Germania, è in grado di gestire da solo. Abbiamo un problema enorme, ossia che a questa maggiore consapevolezza oggi non corrispondono strumenti comunitari adeguati a gestire efficacemente il fenomeno a livello europeo. Qui c’è il tema della revisione di Dublino e del dotarci di strumenti comunitari all'altezza del fenomeno, all'altezza dei numeri, all'altezza della sfida del gestirlo non con singole ventotto politiche, ma con una politica comunitaria.
  C’è, poi, anche una fatica politica nell'interiorizzare il fatto che non è una crisi europea, ma è una crisi globale, che vede un movimento di persone, dovuto a guerre, conflitti, povertà, diseguaglianze nell'accesso alle risorse economiche e naturali, cambiamenti climatici, violazioni di diritti umani, standard di democrazia insufficienti. È un trend globale. La larga maggioranza dei movimenti di persone non avviene verso l'Europa, ma all'interno dell'Africa.
  Una settimana fa ero ad Addis Abeba, tre settimane ero fa in Niger. In Etiopia ci sono 700 mila rifugiati, in Kenya 500 mila, in Niger 200 mila. Dobbiamo renderci conto che è un fenomeno globale in parte – in parte – consistentemente indirizzato verso l'Unione europea, ma con numeri che l'Unione europea, la grande Unione europea, la ricca Unione europea, la democratica Unione europea, è in grado di gestire. Abbiamo una difficoltà nel trovare il modo di gestirlo insieme da europei. Questa è la crisi europea di fronte a questo fenomeno.
  Come sapete, abbiamo lavorato a un'agenda sull'immigrazione sul mio versante, quello delle competenze esterne, alle quali se volete tornerò brevemente, incentrato soprattutto sulla cooperazione con i Paesi di origine e di transito, sullo smantellamento delle reti criminali che fanno traffico di esseri umani, sulla cooperazione allo sviluppo, ovviamente anche sugli accordi per i ritorni, in una logica, come si dice a livello europeo, onnicomprensiva, che è un termine che detesto.
  Tutto questo, però, è forte se è forte la nostra capacità di renderci conto che non siamo di fronte a un dramma nostro rispetto al quale il resto del mondo deve aiutarci, ma siamo davanti a un fenomeno globale, su cui conviene a noi e ai nostri partner nel Medio Oriente, in Africa, in Asia, sviluppare partenariati che consentano a entrambi di gestire il fenomeno in modo razionale, umano, rispettoso delle convenzioni internazionali e delle leggi europee che promuoviamo all'estero e che dovremmo rispettare al nostro interno. In questo credo che il ruolo dell'Italia sia stato fondamentale – credo continuerà ad esserlo – nell'indicare la strada della gestione, anche della priorità nel salvare vite umane e dell'accoglienza, ma anche del richiamo agli altri partner europei e anche non europei a una gestione responsabile e solidale comune.

  PRESIDENTE. Passiamo ora agli interventi, i cui tempi tengono conto anche della consistenza dei gruppi. In primo luogo, la parola al Presidente Napolitano.

  GIORGIO NAPOLITANO. Innanzitutto, ringrazio per il suo cordiale saluto l'onorevole Mogherini. Vedo che c’è un certo impaccio sui giornali, che si scrive «signora Pag. 12Mogherini»: non è vietato chiamarla ancora onorevole Mogherini. Non c’è un altro titolo per noi.
  Apprezzo molto il suo sforzo. Credo che sia chiaro a molti che hanno un qualche contatto anche con rappresentanti di altri governi, in modo particolare della politica estera di altri governi, che va riconosciuto che c’è stata una crescita di credibilità e di prestigio dell'Alto Rappresentante rispetto al momento in cui ha iniziato il suo lavoro, il suo impegno.
  Vorrei dire una parola innanzitutto sulla questione che è stata richiamata prima dal presidente Cicchitto, e poi più ampiamente dall'Alto Rappresentante Mogherini, cioè su quello che ha significato il Trattato di Lisbona. Bisogna che ci sia maggiore chiarezza a questo proposito. Ho trovato assolutamente ineccepibile ciò che l'Alto Rappresentante Mogherini ha detto qui e ciò che ha detto anche in un'intervista, pubblicata questa mattina. Non si è voluto creare un altro tra i vicepresidenti della Commissione europea. Il significato di quella sostanziale novità, introdotta con il Trattato di Lisbona è stato di porre fine al doppio cappello, come si diceva, o doppio riferimento istituzionale della politica estera e di sicurezza comune europea al Consiglio europeo e alla Commissione europea. Si è deciso che il riferimento dovesse essere alla Commissione europea, perché il compito dell'Alto commissario è di esprimere l'interesse comune europeo, di forgiarlo, di esprimerlo, di affermarlo.
  Questo può farlo l'Alto Rappresentante dall'interno della Commissione, che, piaccia o no, rimane l'istituzione sovranazionale per eccellenza deputata a esprimere l'interesse comune europeo in tutti i campi, in particolare in questo campo attraverso la personalità che è chiamata a ricoprire questo incarico. Anche i rapporti con i governi degli Stati membri e con i ministri degli esteri degli Stati membri passano, quindi, attraverso questo prisma.
  Direi che, se si crede a tutto ciò, si capisce anche che c’è un intreccio, però molto complesso, tra la politica estera e di sicurezza comune e le altre politiche, che dovrebbero essere egualmente comuni dell'Unione europea, largamente rispondenti a un interesse comune europeo, ravvisabile, individuabile in ogni campo e da ogni punto di vista. Dobbiamo dire che i Governi possono e dovrebbero corroborare e integrare gli sforzi dell'Alto Rappresentante e della Commissione per quello che riguarda questa sfera, mentre talvolta creano intralcio o, addirittura, muovono in direzioni assolutamente contraddittorie. Una direzione assolutamente contraddittoria è quella della variabilità e discrezionalità dei formati in cui ogni tanto si decide di riunire un certo numero di rappresentanti, specie i ministri degli esteri di alcuni Paesi.
  Non dobbiamo considerare concepita questa come una politica di rispetto verso l'Italia. Poi possiamo sentirci particolarmente contrariati dall'essere stati o meno associati a questo o a quel formato, ma non dovremmo essere interessati – nessuno – a essere partecipi privilegiati di questi formati arbitrari. Il problema è che si va in una direzione che non è quella del rafforzamento con l'impegno dei Governi, e non solo dell'Alto Rappresentante e della Commissione, nella politica estera comune e di sicurezza.
  In generale, credo che si debba considerare con molta attenzione e con grande soddisfazione quello che ci ha detto l'Alto Rappresentante Mogherini sul clima tra i ministri degli esteri che compongono il Consiglio che lei presiede. Credo che si siano realmente compiuti passi in avanti grazie a questa maggior coesione. Per due crisi fondamentali, quella libica e quella siriana, c’è un work in progress, indubitabilmente. Vedremo poi, nelle prossime ore e nei prossimi giorni, che cosa si realizzerà. Ci auguriamo che si possa aprire un capitolo nuovo rispetto non al progresso, ma alla regressione in atto nel conflitto storico israelo-palestinese.
  Non so se si possa dire che le opinioni pubbliche si mostrano più consapevoli dei governi di quanto sia indispensabile questa dimensione perché l'Europa conti nel mondo. Tra opinioni pubbliche e governi, non so quale di queste forze guidi l'altra. Pag. 13Si ha l'impressione che spesso i governi non solo non guidino le opinioni pubbliche, ma le assecondino malamente o le eccitino in una direzione contrastante con quella degli interessi fondamentali dell'Europa unita.
  In ogni caso, veramente dobbiamo ritenere del tutto insufficienti gli sforzi complessivi di carattere politico, culturale, comunicativo delle leadership nazionali e delle leadership europee rispetto alla necessità di creare questa consapevolezza di fronte alla cecità, all'autentica cecità rispetto al mondo qual è oggi e quale si prefigura per domani in tante posizioni, che – adesso ho visto anche una nuova definizione – vengono definite tendenti al provincial-nazionalismo. Provinciale o non provinciale, non c’è dubbio che abbiamo un rischio molto grave di anacronistici rigurgiti di ripiegamento sulle dimensioni nazionali. Ripeto che c’è uno spazio vastissimo per reagire a queste tendenze.
  Vorrei suggerire un'osservazione. Deve essere elaborata una politica comune europea ? Tralascio il tema della sicurezza, altrimenti riapriremmo una questione, che naturalmente è sempre stata tenuta aperta anche con il nostro Ministro della difesa. Si vedono da lontano lumicini che indichino passi in avanti verso qualcosa che assomigli a una cooperazione strutturata o, comunque, a una sostanziale integrazione tra le politiche della difesa e della sicurezza ?
  L'altro punto a cui, invece, vorrei accennare è il seguente: si intende, attraverso il compito dell'Alto Rappresentante, che si debba tendere a una politica estera comune dell'Europa anche nel rapporto col grande alleato americano ? Qui ci sono dei punti abbastanza delicati. Noi abbiamo avuto una straordinaria determinazione del Presidente Obama nel perseguire, con molte difficoltà e dinanzi a molti contrasti, l'obiettivo dell'intesa nucleare con l'Iran, ma vediamo che qualcosa rende, per esempio, ancora molto confuso l'orizzonte di una soluzione per la Siria. Naturalmente, si tratta del rapporto tra Stati Uniti e Russia. Questo è un tema su cui l'Europa è interessata a dire una sua parola, a esprimere un suo punto di vista. C’è un'oscillazione evidente. Siamo arrivati addirittura a sentire prima le dichiarazioni e poi le smentite della Presidenza alle dichiarazioni di un'alta personalità militare degli Stati Uniti, che ha indicato alcune settimane fa nella Russia l'avversario strategico degli Stati Uniti. C’è un'oscillazione tra come si possa recuperare un rapporto di collaborazione di fronte a minacce e sfide comuni con la Russia, rapporto senza dubbio profondamente deviato dalla crisi ucraina e da comportamenti russi nella crisi ucraina, e quello che giudico anche un po’ una sorta di delirio del vedere una minaccia espansionista della Russia come quella di cui parlava Kennan nel 1946, quando illustrava la grande scelta di una politica di containment. Ha perfino del grottesco stabilire questi paralleli.
  Tuttavia, il Segretario di Stato americano, due giorni dopo la manifestazione a Mosca celebrativa della vittoria nella Seconda guerra mondiale si è recato a Soci, dal Presidente Putin e, ben sapendo quale fosse il peso ancora grave della questione ucraina irrisolta, ha messo sul tavolo cinque terreni di necessaria, indispensabile intesa tra Stati Uniti e Russia, o tra Stati Uniti, Russia e comunità internazionale. Voi conoscete quali fossero, uno dei quali era naturalmente la Siria, su cui però continuano molte oscillazioni e una grande confusione.
  C’è un attivismo russo che, come diceva lo stesso presidente Cicchitto, risponde anche a vuoti o a errori di parte americana o occidentale, ma credo che sia molto importante che l'Alto Rappresentante si rivolga anche a un interlocutore fondamentale come gli Stati Uniti d'America per avere il massimo di coesione da parte dei Paesi europei attorno a una politica comune, di corrispondenza tra una politica comune europea e la politica estera degli Stati Uniti.
  Ho poi sentito che è stata introdotta dall'Alto Rappresentante una nuova simpatica formula: l'Europa deve suonare su un solo spartito, non parlare con una sola voce. Approfondirò questa distinzione. Pag. 14Tutti, me compreso, in questi giorni hanno detto che l'Europa deve parlare con una sola voce, io intendevo dire che deve parlare esprimendo un interesse comune e delineando una politica di coesione, come appunto si dice, impegnativa per tutti. Se vogliamo passare allo spartito, interpelleremo un musicista per consigli.

  ANTONIO D'ALÌ. Interverrò molto brevemente per porre alcuni quesiti.
  Sono rappresentate parlamentare dell'APEM, l'Assemblea parlamentare euro-mediterranea, e vorrei, appunto, segnalare che mi sembra che ci sia stato negli ultimi tempi un forte rallentamento delle attività dell'Unione per il Mediterraneo e, conseguentemente, anche dell'APEM. Vorrei chiederLe quali siano, nella sua qualità, i rapporti con queste realtà e, soprattutto, se non ci siano anche, come ritengo, dei percorsi di attività che possano rafforzare la collaborazione tra gli Stati mediterranei non necessariamente riferiti alle grandi strategie belliche o migratorie, come comuni necessità. Una delle particolarità sempre evidenziata in queste riunioni, per esempio, è quella della strategia idrica: se non ben gestita, può essere foriera di ulteriori conflitti ed esplodere, soprattutto nel Medio Oriente, con situazioni sicuramente di ulteriore criticità.

  VINCENZO AMENDOLA. A nome dei deputati qui presenti del Partito Democratico, dei colleghi, ci consenta innanzitutto, signora Alto Rappresentante, un'emozione condivisa: avere quest'audizione e interloquire con Lei, che seguiamo nel Suo lavoro anche a seguito di tutte le delibere e le deliberazioni del Consiglio affari esteri. È infatti radicata nel nostro Paese, anche nel dibattito parlamentare, l'idea che la politica estera e di sicurezza, di difesa, la riorganizzazione, come ha promosso nel giugno scorso, siano elementi che rafforzano non solo il nostro progetto europeista e federalista, ma in questa fase del mondo anche la sicurezza economica, la condivisione di un progetto di crescita all'interno dei nostri confini.
  Il dibattito sulla cessione di sovranità a Bruxelles, come Lei giustamente sottolinea, è errato. Non è una questione di utilità. È un progetto strategico. La forza dei ventotto e della propria proiezione esterna, e quindi di una proiezione geopolitica in un tempo così radicalmente complesso e in trasformazione, rende tutti più forti. Nessun Paese, neanche il più grande, all'interno dell'alleanza dei ventotto, in questi tempi, è capace di affrontare le sfide del mondo. Siamo tutti troppo piccoli davanti alla complessità. Siamo forti se uniti. La cessione di uno strumento politico, quindi, cioè la proiezione esterna, che Lei rappresenta in maniera forte e degna, è un grande progetto a cui noi non rinunciamo.
  È quello dell'accordo del 14 luglio a Vienna, della forza del mondo di cambiare la storia, di rompere muri di diffidenza e di ostilità. È cercare di trovare nuove vie. È la stessa speranza che noi riponiamo nell'Unione europea innanzitutto per domani, al vertice di Vienna, a cui anche il nostro Paese sarà presente, ma è evidente che in questo mondo complicato, con geostrategie delle singole potenze, come segnalava in maniera forte il Presidente emerito Napolitano, rende noi protagonisti anche di una ricerca, di una dinamica differente e più forte.
  Noi sosteniamo, potrei dire con la forza della nostra Costituzione, il progetto delle Nazioni Unite, ma sappiamo che in questo tempo, anche dopo l'Assemblea Generale di settembre, i formati che nascono, anche tra Siria, Libia e Yemen, tentano di rafforzare un progetto istituzionale, un'architettura molto debole. In questo senso, nel gioco delle nuove neo-sovraniste, di alcune potenze, nel gioco complicato di un multilateralismo asimmetrico, l'Unione europea e la sua proiezione esterna sono fondamentali, non per costruire formati a seconda delle crisi, ma per ricostruire una via politica che utilizzi la forza quando è necessaria per sconfiggere, ad esempio, nemici come il terrorismo internazionale, per costruire soluzioni politiche ai conflitti, dalla Siria alla Libia, a Gerusalemme, che di nuovo piange tragedie e sofferenze.
  In questo senso – mi permetto di porLe una questione – sul documento presentato Pag. 15nel giugno 2015 Lei apre non solo al superamento di alcuni errori del passato, le politiche di vicinato. Intendo sottolineare quello che è successo rispetto all'est della nostra Alleanza, che ha determinato anche una conflittualità che ovviamente sosteniamo sulla soluzione di Minsk II. Sul confine a est verso l'Ucraina, però, l'Europa è arrivata in maniera disorganizzata e con politiche difficili e difficoltose per trovare una soluzione, ma mi riferisco anche alla sponda sud. Credo che Lei faccia bene nel documento – su questo vorrei interrogarLa – a ricostruire un'idea di istituzionalità nel Mediterraneo: il Processo di Barcellona e quello poi lanciato dalla presidenza Sarkozy si sono tutti fermati, ma credo che per i numeri e per la grande forza della civiltà economica del Mediterraneo rilanciare questi progetti sia fondamentale.
  Allo stesso modo, sempre nel suo documento apre un'enorme finestra sull'Africa, sull'emergenza umanitaria che stiamo vivendo. Quest'anno, per esempio, la prima grande comunità di migranti arriva in Italia dall'Eritrea. L'anno scorso arrivava dalla Siria, che, come sappiamo, dopo l'apertura della rotta balcanica, ha visto seguire altre strade. Intende rendere molto forti questi due punti, Mediterraneo e Africa, con l'aiuto e la diplomazia parlamentare dei governi ? Personalmente, credo che siano elementi decisivi.
  La democrazia europea non si rafforza con il livello intergovernativo. Credo che la Commissione Barroso e anche la proiezione della politica estera stiano a dimostrarlo nella storia. Non voglio farne un dibattito ideale o ideologico tra le differenti famiglie, ma credo che al consuntivo per il livello economico e di proiezione con un mondo che ha riaperto alle sofferenze e alle tragedie siano tutti a dimostrarcelo. È un grande progetto anche di valori, come ha sottolineato il Parlamento europeo, oggi conferendo il premio Sakharov a Raif Badawi.
  È un grande progetto di valori, è un grande progetto di ricostruzione di un multilateralismo non più asimmetrico, ma coordinato, pacifico, in cui la via politica porti a soluzione dei conflitti. In questo senso, il Suo lavoro, iniziato da solo un anno, ma attraverso i tavoli di Vienna, che diventa potrei dire una bella città che ospita le soluzioni politiche, ha dimostrato che il Suo ruolo è stato decisivo e continuerà a esserlo anche col sostegno dei Parlamenti e delle democrazie europee.

  ARTURO SCOTTO. Voglio associarmi all'emozione, anche per il mio gruppo, per vedere qui Federica Mogherini e ringraziarla per il lavoro che sta svolgendo in Europa, un lavoro importante di tessitura, di ricostruzione di un profilo della politica estera e di sicurezza del nostro continente, dopo anni in cui ha latitato. Credo che sia giusto sottolineare, come lei ha fatto, l'accento sulla necessità di uno spartito da suonare tutti insieme e la costruzione di relazioni e di formati sempre meno intergovernativi e sempre più legati a un destino comune dell'Unione europea.
  Vorrei porre semplicemente due questioni che sono nella relazione dell'Alto Rappresentante, e che credo molto urgenti e serie, che ovviamente interessano anche il nostro Paese. La prima riguarda anche gli appuntamenti dei prossimi giorni, a partire dalla legge di stabilità. Abbiamo affrontato una discussione sul tema dell'accoglienza. Lei ha sottolineato che l'Europa ha una responsabilità, molto grande, e che ha anche una responsabilità morale nei confronti di Paesi con una difficoltà molto superiore alla nostra. Citava l'Etiopia, il Niger. Si potrebbe citare la Turchia, il Libano e altri Paesi. L'Europa può e deve farcela con 700 mila rifugiati. Deve anche considerarla un elemento di arricchimento.
  Tuttavia, ovviamente discutiamo anche del tema delle risorse. Da alcune settimane discutiamo e riflettiamo su un'ipotetica clausola migranti – definiamola così – per sterilizzare, rispetto al patto di stabilità, le risorse da investire in accoglienza. Siccome l'Europa, la Commissione europea ha una funzione rispetto a questo tema, penso che sia giusto affrontarlo.
  In secondo luogo, domenica si vota in un Paese strategico per l'Europa, ai confini Pag. 16dell'Europa. Da tanti anni discutiamo su un processo di allargamento alla Turchia, che è parte della NATO. Erdogan è stato recentemente a Bruxelles a parlare con i vertici europei. Gli stessi vertici europei, la stessa Commissione hanno accordato il trasferimento di risorse anche impegnative verso la Turchia per far fronte all'emergenza umanitaria.
  Tuttavia, avvertiamo anche una preoccupazione molto forte rispetto allo stato di regressione che quel Paese sta vivendo, nei fatti – utilizzo un termine un po’ forte, ma anche per capirci – rispetto ai rischi di una guerra civile strisciante, di attentati che si sono moltiplicati, della tragedia immensa di quella piazza di Ankara con oltre cento morti, una tragedia europea, come lo è stata Charlie Hebdo e, per certi versi, anche l'attentato al museo a Tunisi.
  Vorrei ascoltare da Lei una parola su questo punto. Credo infatti che ci sia l'interesse dell'Europa ad avere un dialogo sempre più stretto con la Turchia, e che la Turchia sia all'interno di quest'alveo, ma anche che l'Europa abbia il dovere di reclamare diritti umani, rispetto del pluralismo politico. Penso al fatto che ieri due televisioni legate all'opposizione sono state, sostanzialmente, chiuse. Credo che questo sia un tema che dovrebbe impegnarci nei prossimi mesi.

  MANLIO DI STEFANO. Ringrazio l'Alto Commissario Federica Mogherini per essere qui.
  Vorrei fare soltanto un piccolo preambolo sugli argomenti che avete giustamente scelto di portare alla discussione oggi, che potremmo tranquillamente non discutere. Non c’è nessun ruolo reale, infatti, da parte dell'Unione europea su quegli ambiti, e per alcuni motivi abbastanza evidenti. Ho sentito una frase, che mi ha lasciato parecchio perplesso, da parte della Mogherini, ovvero che, anche se non ce l'ha, l'Europa potrebbe comunque avere un ruolo anche militare nello scenario internazionale. Se è così, abbiate il coraggio di mettere mano alla Costituzione e di modificare l'articolo 11. Se abbiamo parlato di rapporto tra la sovranità nazionale e la cessione di diritti e di sovranità all'Unione europea, è alla Costituzione che dovete mettere mano, modificando anche quegli articoli a forte impatto emotivo, sociale, come l'articolo 11 della Costituzione.
  Avete introdotto la questione israelo-palestinese, altro argomento farlocco, su cui in realtà non metterete mai le mani per il semplice motivo che Israele è un partner militare troppo importante. Mentre noi oggi siamo qui in giacca e cravatta a parlare, uno sterminio va avanti ancora a Gaza, sempre più violento. Quando, anziché vendere 500 milioni di euro di armi l'anno, che è l'interscambio militare tra Italia e Israele, inizieremo a ragionare sui diritti umani, sui rapporti con le colonie israeliane, forse avrete il coraggio di parlarne seriamente. Fino ad allora è meglio non parlarne.
  Lo stesso discorso vale per la Siria, ovvero l'ipocrisia della nostra azione internazionale di politica estera. Con la Siria abbiamo avuto scambi economico-militari enormi fino al 2014, ma la cosa più inquietante è che gli attori principali che andrebbero realmente puniti per la questione siriana sono i nostri partner più importanti: Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Turchia stessa, che pretende di entrare in Europa ed è già nella NATO nonostante sia quella che permette ai jihadisti, detti foreign fighter, di raggiungere il territorio siriano. Non vorrete mai risolvere questo problema, perché purtroppo grazie alle nostre alleanze siamo parte dello stesso.
  La sintesi delle sue parole, Alto Commissario, è che l'Europa, di fatto, purtroppo non esiste, almeno quella delle dichiarazioni di Schuman, almeno quella basata sui diritti umani. Esiste un'Europa che potremmo definire una lobby economica. È per questo motivo che, anziché formulare una domanda su quello che avete indirizzato come argomento, ve ne rivolgo una, secondo me, più pertinente per gli italiani su un tema di forte interesse, ovvero il TTIP.
  Perché voglio formulare questa domanda oggi ? Perché ho avuto i brividi alla dichiarazione del Presidente del Portogallo, Pag. 17Aníbal Cavaco Silva, secondo cui dopo tutti gli importanti sacrifici fatti nell'ambito dell'accordo finanziario è suo dovere e rientra tra le sue prerogative costituzionali fare tutto il possibile per impedire che vengano mandati falsi segnali alle istituzioni finanziarie e agli investitori internazionali, sancendo di fatto ancora una volta la priorità della finanza al diritto addirittura dei popoli di essere rappresentati secondo le indicazioni che, a livello di programma elettorale, sono state scelte alle elezioni.
  Perché parlo di TTIP ? Perché il Presidente del Bundestag, Norbert Lammert, ha detto qualche giorno fa, che si opporrà alla ratifica del TTIP se non ci saranno dei passi verso la trasparenza. Al contrario, la Commissaria Cecilia Malmström ha dichiarato che forzerà l'introduzione del Trattato perché lei non è la portavoce del popolo europeo, ma di altri interessi. Per me, questo è parecchio pesante.
  Nei giorni scorsi, si è tenuta a Berlino la più grande manifestazione mai vista contro il TTIP, e ricordo che dovremmo essere rappresentanti del popolo, e per questo ci facciamo definire, almeno noi del MoVimento 5 Stelle, portavoce. Mentre si svolge quella manifestazione, l'Europa impone in quest'ultimo anno le sanzioni alla Russia e si butta tra le braccia degli Stati Uniti d'America con il TTIP. Contemporaneamente, l'Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che gran parte dei prodotti alimentari che importeremmo dagli Stati Uniti col TTIP è cancerogena, e questo va a danneggiare ancora una volta il made in Italy, quindi i nostri cittadini, dei quali dovremmo fare gli interessi.
  Allora, le domande che Le faccio, Alto Rappresentante, sono le seguenti. Per il TTIP, come prima dell'ingresso nell'eurozona, come rappresentante della politica estera dell'Unione europea avallerà quest'insulto alla democrazia dei Paesi membri europei o si sente di discostarsi da quanto dichiarato da Cecilia Malmström ?
  Inoltre, non ritiene che Bruxelles, in ottemperanza ai criteri di democraticità e trasparenza, debba provvedere a rendere pubblici i passaggi che stanno caratterizzando il citato accordo, soprattutto per quanto riguarda il comparto del mercato alimentare, e disporsi per la convocazione di una consultazione referendaria europea, in modo da permettere ai cittadini di scegliere quale percorso intraprendere ?
  In sintesi, vogliamo dare nuovamente voce al popolo che dovremmo rappresentare – noi, qui, quello italiano, e Lei, lì, quello europeo – o continueremo a fare quello che l'alleato – vostro – americano vi impone ? Queste sono le mie domande.

  GIANCARLO GIORGETTI. Onorevole Mogherini, Lei interviene qui in qualità di Alto Rappresentante per la politica europea di sicurezza dell'Europa. Il nome stesso richiama in qualche modo le grandi ambizioni che hanno fatto nascere questo ruolo. La realtà, anche quello che ci ha illustrato oggi qui, testimonia un sostanziale fallimento di questo progetto. Lei ha parlato di tutto e non ha offerto nessuna risposta concreta a nessun tipo di problema. La realtà, vista per quello che è non da Bruxelles ma sicuramente da qui, è che l'Unione europea è vista come attore superfluo nelle grandi partite, e l'Italia come meramente eventuale. L'Unione europea, quindi, non conta nulla e l'Italia suggerisce. Lei ha detto che l'Italia ha svolto un grande ruolo di suggerimento, ma quando si tratta di decidere nessuno si preoccupa di coinvolgerla.
  Credo che, facendo riferimento allo spartito, Lei prenda atto di questa situazione, del fatto che quando si tratta di decidere su questioni importanti l'Unione europea non viene coinvolta, e allora forse conviene lavorare sullo spartito, cioè su un metodo che permetta, in un futuro non si sa quanto lontano, di affrontare veramente le crisi. Faccio riferimento alle crisi economiche e finanziarie che l'Unione europea ha affrontato.
  È stato un percorso, un percorso in cui l'Europa ha anche imparato, con gravi errori. In questa stessa Aula, probabilmente, abbiamo approvato cose non troppo corrette. È servito, però, del tempo per riuscire a mettere in pista un metodo e per capire veramente come l'Europa Pag. 18potesse in qualche modo rispondere. Non ne faccio una colpa a Lei, ma la realtà è che la roboante denominazione di Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune si scontra con una realtà totalmente contraria.
  Aggiungo una postilla. Faccio fatica in qualche modo a condannare i popoli quando democraticamente si esprimono e vengono sanzionati per il loro provincialismo nazionalista o nazionalismo provincialista, non lo so. Dico semplicemente che questi popoli si esprimono democraticamente rispetto ai problemi che vivono concretamente nella loro realtà. Se si esprimono così, è probabilmente anche perché l'Europa ha fallito a dare delle risposte. Non capisco, quindi, perché si debba bacchettare i popoli perché sbagliano, perché non capiscono, e non si faccia autocritica rispetto ai propri errori.

  GIAN PIERO SCANU. Avrei evitato volentieri di condurre il mio breve intervento su un crinale di considerazioni politiche, ma i due interventi dei parlamentari che mi hanno preceduto, ancorché proposti e declinati da rispettabilissimi e rispettati colleghi, quanto meno mi inducono a non tacere qualche considerazione.
  Si è usata un'espressione critica anche qualche istante fa nei confronti del provincialismo, ma mi sa che si vorrebbe trasformare, con un atteggiamento di stantio provincialismo, un incontro così importante in un'occasione per tentare di avanzare problematiche di tipo domestico. Questo non fa bene alla salute del dibattito politico, tanto meno fa bene a quella coralità che Lei ha voluto richiamare quando efficacemente ha proposto l'idea di uno spartito, che sarebbe uno spartito per una sinfonia, non per chi se la canta e se la suona da solo.
  Vorrei, per quel che può rappresentare, non solo manifestarLe con piena convinzione e anche riconoscenza l'apprezzamento dei colleghi del Partito Democratico in Commissione difesa della Camera – già a nome di tutti molto più autorevolmente di me lo faceva il collega Amendola – ma pregarLa di ritenere non rituale questo ringraziamento. Ho apprezzato, tra le altre cose, la tensione ideale, onorevole Mogherini, che traspariva da ciò che Lei diceva. Ha usato espressioni che, purtroppo, sentiamo raramente, che nel nostro dibattito politico sentiamo raramente. Anche da chi vorrebbe insegnarle in maniera così pedagogicamente illusionistica a fare il suo dovere sentiamo raramente richiami alla civiltà, che magari sarebbero quelli grazie ai quali farci carico della crisi dei migranti, di cui ha parlato Lei, e fare in modo che nessuno perisca. Da chi La richiama al dovere sentiamo, purtroppo, troppe volte ben altri argomenti.
  Allora, l'invito che mi permetto di rivolgerLe è quello di procedere con la lucidità e la generosità di impegno che finora avete manifestato e ha manifestato l'Unione a proposito della questione dei migranti. Se posso sintetizzare con una battuta quello che è il mio pensiero (ma ritengo di non essere solo nel Partito Democratico a pensarla in questo modo), dovete e dobbiamo salvarli tutti, perché non ci può essere civiltà se non si sente il bisogno impellente, sovrano, superiore a farsi carico di ogni persona che fugge, indipendentemente dalle ragioni che la inducono a fuggire.
  Mi piace sottolineare ciò che Lei ha detto, quando ha affermato che una scarsa, inefficace gestione della crisi migratoria rappresenterebbe un «danno strutturale» all'Unione europea. Ritengo che questa sia la cifra politica della volontà che intendete portare avanti in questa battaglia.
  Sulla questione della Libia faccio un riferimento volante. Non Le pare, onorevole Mogherini, che, pur senza venire meno l'importanza degli accordi siglati dai mediatori dell'ONU, che a quanto pare ne fanno molti, sia il caso anche di favorire la creazione di tavoli di contiguità, ai quali far sedere i rappresentanti delle nazioni confinanti ?
  Per quanto riguarda la Libia, anziché manifestare qualche piccolo fremito, qualche piccola pulsione per un eventuale intervento militare, sarebbe opportuno dichiararsi disponibili ad apparecchiare la Pag. 19tavola per far prevalere l'azione che Lei ha testimoniato finora, cioè la primazia del negoziato rispetto a qualunque forma di intervento militare.
  L'articolo 11 è stato molto opportunamente richiamato e, pur avendo sentito altre cose dalla Sua bocca rispetto a quelle che qualche rispettato collega ha voluto ricordare, mi permetto di incoraggiarla a svolgere l'azione pedagogica che inevitabilmente è chiamata a svolgere.
  Lei fa bene a dire che ci devono essere tante voci, però, per tornare all'esempio dello spartito, il direttore d'orchestra deve essere uno e nelle prove la bacchetta deve servire per correggere coloro che suonano male. C’è bisogno di una difesa europea, c’è bisogno che nasca la cultura di una comune difesa, c’è bisogno di contenere la spesa militare aprendosi a nuove frontiere, sapendo che il contenimento della spesa militare, se effettuato in un ambito di Europa unita, vuol dire maggiore efficacia, maggiore efficienza e anche maggiore forza in tutte le azioni negoziali.
  Sono convinto – e di questo già La ringrazio – che, con la stessa determinazione ed efficacia con cui ha portato e sta portando avanti la sua azione diplomatica, saprà fare altrettanto sul versante della difesa e della sicurezza.

  BRUNO ALICATA. Molte grazie, onorevole Mogherini, per la Sua relazione. Nel corso di una recentissima visita a Washington della Commissione difesa del Senato abbiamo toccato con mano l'altissima considerazione di cui godono le nostre Forze Armate presso gli Stati Uniti, al punto da aver avuto la netta impressione che gran parte della politica estera del nostro Paese sia svolta proprio dalle nostre Forze Armate, che nei vari scenari di crisi operano con grande professionalità e qualità.
  Abbiamo poi toccato con mano con i nostri interlocutori americani un certo disimpegno statunitense, che è nei fatti, nelle varie aree, e quindi la volontà di delegare all'Unione europea e all'Italia, ossia di dire «non siamo più disponibili a togliere le castagne dal fuoco, per cui impegnatevi di più e meglio». L'Unione europea e il suo ufficio sono pronti a queste ulteriori, grandi sfide ?
  Se in Libia dovesse fallire il tentativo di mediazione portato avanti da Bernardino León e adesso dall'altro mediatore, esiste un «piano B» dell'Unione europea e come dovrebbe estrinsecarsi ?
  Il presidente Latorre ha insistito nel corso della visita affinché gli Stati Uniti esercitino le giuste pressioni con i partner europei, con i nostri alleati, che spesso tendono ad escludere l'Italia dai tavoli importanti dove si discute di Siria e di Libia. La vicenda risulta ancor più sgradevole se a quei tavoli partecipa, pur nella sua qualità, l'onorevole Mogherini, dando l'impressione di avallare questa esclusione. Lo diciamo perché sappiamo che anche il premier Renzi si è indignato per questa esclusione.
  Un'ultima domanda su EUNAVFOR MED: è partita la seconda parte della prima fase, una fase di raccolta di informazioni, di intelligence, le altre due attendono l'avallo del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Questo avallo arriverà ? Il nocciolo del problema è infatti rappresentato dalle ultime due fasi, che prevedono azioni più pregnanti in acque libiche, se non in territorio libico. La ringrazio e Le auguro buon lavoro.

  AUGUSTO MINZOLINI. Io non volevo neanche intervenire, ma il dibattito mi sembra abbastanza interessante. Caro Rappresentante, io non Le faccio alcuna colpa, probabilmente Lei ha avuto anche un'iniziativa maggiore rispetto al suo predecessore, soltanto che siamo in una situazione di questa natura.
  Capisco che l'onorevole Amendola si ponga il problema di una sorta di retorica sul rigurgito della sovranità nazionale, però rischiamo di avere anche una sorta di retorica europeista, che spesso ci porta a non vedere le cose per quello che sono. Ci troviamo in una situazione particolare, in cui probabilmente i limiti dell'azione europea nascono dal fatto che stiamo in mezzo al guado: il soggetto Europa non c’è.Pag. 20
  Verifichiamo il dramma di tutto questo in questa logica: tutte le crisi che abbiamo intorno – parlo della Siria, parlo della Libia, parlo dell'Ucraina – avrebbero dovuto avere come soggetto principale, come vettore, sia dal punto di vista politico-diplomatico che dal punto di vista militare, proprio l'Europa, e purtroppo questo non è avvenuto.
  Non si sa neanche a chi dare colpa, perché – diciamoci la verità – in questa situazione l'idea di una grande potenza, che dovrebbe essere la grande potenza di quest'area, manca, è afona, e tutto questo fa sì che queste crisi rimangano lì, ci sia una fase inerziale.
  Se gli Stati Uniti non intervengono, non c’è una forza che li spinga a intervenire, a farsi responsabili; se c’è un problema fra la Russia e gli Stati Uniti, non c’è una forza che riesca a rimettere in piedi una coalizione. Siamo in una fase in cui è davvero complicato dare una colpa all'Unione europea, sono d'accordo con l'onorevole Giorgetti, perché questa Unione europea ancora non ha delle basi chiare, ci muoviamo probabilmente su dei limiti, cerchiamo di darci una spinta e di fare quello che possiamo.
  Finché queste cose avvengono lontano dai nostri confini, come ad esempio in Afghanistan, c’è stata un'iniziativa, qui invece siamo in una situazione in cui questa iniziativa non c’è. Il punto è questo.
  Anche per quanto riguarda noi, come la politica dell'immigrazione, abbiamo visto prima un muro eretto in Ungheria, adesso ne stanno erigendo un altro in Austria, probabilmente tutto questo porterà a un cambio di rotta del tipo di immigrazione, che probabilmente tornerà di nuovo da noi, attraverso la rotta dell'Albania.
  Sono tutti argomenti sui quali purtroppo non vedo un soggetto Europa, ma soprattutto non vedo una responsabilità europea. Rispetto ai 40 mila profughi che avremmo dovuto mandare in Europa, in base alla tempistica avremmo dovuto mandarne in altri Paesi europei almeno ottanta al giorno, ma nell'ultimo mese ce ne sono andati novanta, quindi rispetto a quella tabella siamo già indietro.
  Non parlo poi delle risorse che vengono messe in atto su questo problema dal Governo italiano e di quello che invece manca dal governo europeo.
  Lei ha parlato della nostra iniziativa per quanto riguarda la lotta agli scafisti, ma io ho delle cifre: sono stati spesi 38 milioni di euro, ma gli scafisti arrestati dovrebbero essere 16, quindi abbiamo speso 2,4 milioni a scafista !
  Sono tutti temi che mi pongo (e non Le faccio una croce), quando dico che dobbiamo superare la retorica europeista è perché dobbiamo vedere la realtà e cercare di capire che, finché rimaniamo in mezzo al guado, finché non andiamo né avanti, né indietro, ci troveremo a dover supplire e a dare delle responsabilità e delle croci a chi non le merita. Grazie.

  PRESIDENTE. Lascio la parola all'Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini, per la replica.

  FEDERICA MOGHERINI, Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea. Mi ha fatto particolarmente piacere sentire sia dall'onorevole Giorgetti, sia dal senatore Minzolini un invito – io lo interpreto così – a procedere più speditamente e più convintamente su una strada di maggiore integrazione europea. Credo che questa sia una novità nel dibattito politico italiano, nel quale però non entro.
  Il tema è questo: quando diciamo che l'Europa non dà risposte, a me piacerebbe che noi ci ponessimo la domanda (e, come direbbe un giornalista italiano, che non è Minzolini, ci dessimo anche la risposta): chi è l'Europa ? L'Europa sono le istituzioni europee, quelle centrali, la Commissione e il Parlamento europeo, come ci ricordava il Presidente Napolitano, e anche il Consiglio; l'Europa sono i governi degli Stati membri dell'Unione europea, i Pag. 21Parlamenti nazionali e, quando uno Stato membro, un governo di uno Stato membro, un Parlamento nazionale di uno Stato membro, una forza politica nel Parlamento europeo chiedono allo stesso tempo una risposta europea efficace, e minore – se non inesistente – iniziativa europea integrata, come minimo vedo una contraddizione in termini.
  L'Unione europea non è un palazzo a Bruxelles, e quando Lei dice «inviare qualcuno in Europa» mi viene da pensare: ma i Trattati sono stati firmati a Roma o no ? L'Italia è parte dell'Unione europea o no ? Questo Parlamento fa parte delle istituzioni europee, non dell'Unione europea in quanto definizione di un'istituzione comunitaria, i cittadini europei sono anche gli italiani o mi sono persa qualcosa ?
  Quando diciamo che l'Europa deve dare risposta viene un po’ il dubbio che si continui ad alimentare il gioco del dire che la risposta deve venire da Bruxelles, e questo lo si dice con la mano destra, mentre con la mano sinistra non solo non si contribuisce a fare in modo che le istituzioni comunitarie europee abbiano strumenti per dare risposte, ma addirittura si lavora concretamente per fare in modo che non ci siano gli strumenti di maggiore integrazione che molti colleghi hanno ricordato.
  Su una cosa sono d'accordo: ci vuole tempo, non ci vuole solo tempo, ci vuole anche coerenza, molta coerenza, e ci vuole capacità di visione, di leadership politica. Quando insieme si indica la direzione e poi non si contribuisce a costruire le condizioni perché quella direzione possa essere seguita, siamo condannati a restare intrappolati in questa carenza di risposte.
  Prendiamo il tema immigrazione: ci vuole una risposta europea, la Commissione europea mette sul tavolo, in due settimane, un'agenda sull'immigrazione, che comprende tutto, i meccanismi di ripartizione della responsabilità dell'accoglienza, primi numeri molto limitati, ma guardiamo a sei mesi fa. Sei mesi fa non avevamo neanche il meccanismo approvato e sembrava un'eresia, oggi stiamo parlando di un meccanismo permanente (e fino a sei mesi fa era problema unicamente italiano e maltese, poco altro).
  È chiaro che ci vuole tempo, ma si riesce a fare a livello comunitario, a volte con una fatica che credo immaginiate, ma che vorrei condividere con voi. Questo significa anche che quando si fanno dei passi verso risposte europee ma dal punto di vista delle scelte nazionali – non dico italiane, parlo in generale di tutta l'Europa – mancano decisioni conseguenti, che consentano a quelle risposte europee di camminare, di vivere e di dare risposte, c’è un cortocircuito.
  Ci vuole più Europa ? Ci vogliono strumenti europei perché i problemi, da quelli dell'economia a quelli dell'immigrazione e delle crisi che abbiamo intorno si risolvono soltanto a livello europeo ? Però allora ci vuole anche quella scelta non di cessione, ma di investimento nella sovranità comune conseguente. Un discorso di politiche che tornano alla dimensione nazionale e un'accusa all'Europa di non fare il proprio mestiere non stanno insieme, ci vuole un minimo di chiarezza. Ognuno fa i conti con la propria agenda politica, io sono dell'idea che i cittadini e gli elettori non sbaglino mai, perché esprimono le loro priorità e rispondono all'ambiente politico che hanno intorno a sé, ma chiedere che l'Europa risponda e non costruire gli strumenti europei perché le risposte siano europee insieme non stanno.
  A livello di istituzioni europee la fatica è quella di costruire risposte con gli strumenti che abbiamo. Non dico qui, come non dico in nessuno dei ventotto Stati membri, come non dico a Bruxelles ai miei colleghi, che viviamo nel mondo delle meraviglie, e a me addirittura il termine «europeista» non piace: a me piace il termine «europeo». Abbiamo una dimensione comune e credo che il Presidente Napolitano abbia centrato il punto, dicendo che il compito è far emergere l'interesse comune degli europei perché, se siamo una famiglia, una unione, è perché lo abbiamo scelto, perché i nostri Governi, i nostri popoli, i nostri Parlamenti hanno scelto un processo di integrazione. Ci sono ragioni storiche per questo, ci sono ragioni Pag. 22economiche per questo, ci sono ragioni ideali per questo, a me viene da dire che ci sono interessi comuni, ma quando lo dico tutti ribadiscono «interessi, ma anche valori», e certo sì, io credo che proteggere e promuovere i nostri valori europei sia parte dei nostri interessi.
  Per servire meglio questi interessi europei, c’è una serie di settori, tra cui la politica estera di sicurezza, che richiedono un investimento maggiore negli strumenti comuni che abbiamo, e siamo a un punto di crisi, crisi nell'accezione di svolta, di snodo. L'Europa ha spesso vissuto i momenti di scatto in avanti sul terreno dell'integrazione in risposta ad una crisi, perché si è resa conto che gli strumenti nazionali non riuscivano a gestire la complessità del problema che aveva di fronte. Sulla crisi economica e finanziaria che abbiamo alle spalle, nelle difficoltà, nelle contraddizioni, nei passi avanti e nei passi indietro è andata così. Qui siamo di fronte allo scenario più complesso che l'Europa e anche il mondo abbia affrontato dal punto di vista della sicurezza globale negli ultimi decenni, non ricordo un momento più drammatico, e l'arco di instabilità che tutto il mondo, dal Giappone al Cile, guarda è intorno all'Europa, a est e a sud, siamo al centro dell'area più instabile e pericolosa del mondo in questo momento.
  È chiaro che abbiamo una responsabilità diretta nel prevenire, perché credo che abbiamo ancora delle crisi da prevenire, ed è il modo più conveniente, più utile, più giusto di gestire la nostra sicurezza comune, nel gestire alcune crisi, nel porre fine ad alcuni conflitti e anche nel cercare di fare alcune azioni positive.
  Oggi ci siamo concentrati, come è naturale che sia, sugli scenari di difficoltà, ma ci sono anche scenari di opportunità, quali la diplomazia energetica, quella economica, quella culturale, tutti settori su cui l'Unione europea ha un enorme potenziale che stiamo sfruttando. Gli Stati membri e l'Italia in particolare su questi tre settori hanno un enorme ruolo da giocare.
  È stato sollevato il tema dell'integrazione delle politiche di sicurezza e di difesa; non l'ho toccato e mi scuso con i colleghi delle Commissioni difesa, perché l'agenda era già piuttosto consistente, ma questo è uno dei settori su cui c’è più da fare, è più delicata l'azione, perché ci sono alcune resistenze direi quasi ideologiche, che però poi non si riscontrano nella realtà delle pratiche politiche.
  Come Unione europea abbiamo moltissime missioni e operazioni militari in giro per il mondo, e sono una delle esperienze migliori della nostra capacità di lavorare insieme. In alcuni Paesi c’è un'ottima pratica di cooperazione, di coordinamento e di integrazione delle politiche di sicurezza e di difesa nella pratica, che magari si tende a non enfatizzare troppo nel discorso pubblico, perché diventa un tema sensibile di sovranità nazionale. La difesa viene infatti ancora vista come terreno di esercizio esclusivo della sovranità nazionale, ma poi davanti alle crisi globali e regionali che abbiamo di fronte non trovo uno degli Stati membri – dico uno – che non scelga di investire congiuntamente nelle operazioni e nelle missioni che abbiamo in giro per il mondo, a partire da quella del Mediterraneo.
  Devo chiarire che l'operazione EUNAVFOR MED, che abbiamo ribattezzato Sophia dal nome della bambina che è nata su una delle navi – l'operazione ha lo scopo di combattere le reti criminali che organizzano il traffico di esseri umani ma, come prescrive la legge del mare, salva le persone in difficoltà nelle acque internazionali, e in questo caso la bambina è nata a bordo della nave tedesca che fa parte della nostra operazione europea – consiste di quattro fasi. L'ultima in realtà non è una fase operativa, ma è lo smantellamento dell'operazione, perché qualsiasi operazione militare prevede anche la fase di smantellamento. Abbiamo compiuto la prima, che era quella della raccolta di informazioni di intelligence e della messa in comune, il 7 ottobre abbiamo avviato la seconda fase, quindi dal 7 al 29 ottobre sono i dati relativi ai risultati che il senatore Minzolini ha citato, invece i costi che ha citato sono relativi a tutto l'anno e Pag. 23mezzo di operazioni previste, quindi non possiamo comparare costi di un anno e mezzo con risultati di venti giorni...

  BRUNO ALICATA. Cifre asimmetriche...

  FEDERICA MOGHERINI, Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea. La ringrazio comunque perché mi dà l'opportunità di chiarirlo e vorrei anche ringraziare il comandante italiano, l'Ammiraglio Credendino, che sta facendo un ottimo lavoro. Confermo che le Forze armate italiane e anche quelle europee godono di grande stima a livello internazionale.
  La seconda fase, quella che è iniziata, ci consente di operare in acque internazionali, la terza fase ci consentirebbe di operare in acque territoriali libiche. La seconda fase, che opera in acque internazionali per le quali rispetto alle navi che non hanno bandiera potremmo operare anche senza risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è stata in ogni caso sostenuta da un voto in Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, espresso a fine settembre-inizio ottobre.
  Molti prospettavano uno scenario di veto russo, cinese, e difficoltà, ma abbiamo ottenuto una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che non era neanche indispensabile ma che chiaramente ci fa molto piacere, perché indica una volontà globale di sostenere un'operazione militare europea, con 14 voti favorevoli, compresi quelli russo e cinese, un'astensione del Venezuela e una lettera d'invito delle autorità libiche a operare e cooperare in questo senso.
  Questo mi fa ben sperare per la fase successiva, però quello che stiamo facendo nelle acque internazionali, soprattutto in questa fase di autunno inoltrato e inverno, fino alla prossima primavera, ci consente di avere un'attività di deterrenza molto importante, di fermo di sospetti scafisti, che poi consegniamo alle autorità italiane, molto consistente, e di collaborazione con le autorità italiane, non soltanto giudiziarie, estremamente proficua.
  Spero che questo serva per chiarire il contesto di un'operazione che a volte è stata presentata in modo approssimativo anche dai mezzi di informazione. Dicevo però che non c’è uno degli Stati membri che nel concreto non veda il valore aggiunto del lavoro in comune sul settore della difesa e della sicurezza sulle operazioni che abbiamo messo in campo, anche se poi magari c’è una difficoltà a teorizzarlo, a spiegarlo come un punto di priorità politica per la sensibilità di opinioni pubbliche e – qui ancora ha ragione il Presidente Napolitano – la difficoltà di capire chi guida, se l'opinione pubblica o la leadership politica, laddove direi che a volte viene il dubbio che ci sia qualcuno alla guida.
  C’è però un lavoro sulla difesa e la sicurezza europea che io ho lanciato a giugno (lo ricordava l'onorevole Amendola). La nostra strategia di sicurezza comune europea è il Documento Solana del 2003, che si apriva dicendo che l'Europa non ha mai vissuto un momento di prosperità e sicurezza come questo momento. Questo è attualmente ancora il nostro documento strategico, ma chiaramente è cambiato il mondo, è cambiata la nostra regione, è cambiata l'Europa, siamo diversi, sono diversi gli strumenti che abbiamo – Lisbona ce ne ha dati altri e più utili – ed è cambiata anche la composizione della famiglia europea.
  Abbiamo quindi lanciato un processo di revisione della strategia di sicurezza, che non sarà solo una strategia volta a identificare come meglio usare gli strumenti che abbiamo nel settore della difesa e della sicurezza, ma tutti, compreso quello industriale e quello della spesa, perché giustamente veniva ricordato che abbiamo bisogno di economie di scala per rendere sostenibili investimenti che abbiano un senso nel mondo di oggi sul settore della difesa, e l'economia di scala europea potrebbe essere una delle risposte ai tanti problemi che tutti gli Stati membri stanno affrontando in termini di bilancio della difesa.
  La strategia sarà un esercizio che coprirà anche altri settori della sicurezza, Pag. 24perché oggi chiaramente non è più solo la parte tradizionalmente intesa in senso militare della sicurezza a essere rilevante per la sicurezza dei nostri cittadini, ma anche la sicurezza energetica, la sicurezza ambientale, la gestione dei flussi migratori, la questione terroristica: non sarà e non è solo l'angolo militare e tradizionalmente inteso di difesa ad essere al centro del documento, che pure si incentrerà molto su questo, ma l'orizzonte sarà più ampio.
  Spero che da qui a giugno prossimo, momento in cui finalizzeremo questo documento, ci sarà modo di avere i contributi anche di questo Parlamento, di queste Commissioni all'elaborazione dell'interesse comune degli europei sul fronte della sicurezza e della politica estera.
  Questo è esattamente l'esercizio che credo sia utile fare, quello del forgiare e del far emergere l'interesse comune, che certamente c’è, e c’è in modo più pressante oggi di quanto non ci potesse essere dieci o quindici anni fa, ma che non emerge da solo, se non c’è un esercizio collettivo delle istituzioni e anche della società civile per creare una sorta di comunità europea non economica, ma di pensiero e direi quasi di spirito, anche se poi dobbiamo essere anche molto materiali, un intento comune degli europei sulla direzione da prendere insieme.
  Ci sono state alcune domande puntuali a cui vorrei rispondere. Una era relativa alla revisione della politica di vicinato, revisione che stiamo facendo in parallelo alla revisione strategica e che è fondamentale perché, come veniva ricordato, negli anni scorsi la logica che spesso l'Unione europea ha avuto dell'essere al centro geograficamente, ma anche politicamente di una serie di relazioni e «giudicare» il livello di ambizione dei nostri vicini, misurandolo con il loro desiderio di avvicinarsi all'Unione europea, non necessariamente è la chiave di lettura giusta in un momento e in una regione complessa come quella che viviamo.
  La logica che stiamo cercando di adottare e che spero possa essere sostenuta da questo Parlamento è quella di invertire la logica e, invece di pensare a un percorso che avvicini i nostri vicini all'Unione, capire come insieme, in una logica di partenariato politico, gestire i problemi che sono tra di noi, che siano quelli del terrorismo, quelli energetici, quelli dell'immigrazione o dell'instabilità che vivono le nostre regioni sia ad est che a sud.
  Credo che questa logica di partenariato politico prima ancora che di avvicinamento all'Unione possa anche produrre un avvicinamento all'Unione nei fatti, ma è un cambio di mentalità che propone più partenariati tra eguali che non una scala di avvicinamento progressivo.
  L'onorevole Scotto mi ha posto due domande. Rispetto alla clausola migranti, sul Patto di stabilità, le parole del Presidente Juncker, l'altro ieri a Strasburgo, sono state molto chiare. Ci sono stati sicuramente dei costi relativi alla gestione dell'accoglienza che alcuni Stati membri hanno affrontato più di altri. Il principio del riconoscimento di questo maggiore peso rispetto ai bilanci pubblici sul Patto di stabilità è un principio che la Commissione considera valido. Caso per caso e Paese per Paese sulla base della documentabilità e della quantificazione di questi costi, la Commissione sarà pronta a riconoscere questo principio. Stiamo lavorando in queste ore per tradurre questo in un meccanismo utilizzabile, cosa che sarà complessa.
  Sulla Turchia, ringrazio della domanda. A pochi giorni dalle elezioni ovviamente tendo ad evitare dichiarazioni che possano influire sullo svolgimento stesso delle elezioni. Vorrei però dire che il rapporto tra la Turchia e l'Unione europea è molto più ampio di quanto non riguardi soltanto la gestione dei flussi di rifugiati. La concentrazione del momento è stata su questo, ma con la Turchia abbiamo un rapporto da un lato incentrato sui negoziati per l'allargamento, con i relativi capitoli, con i relativi sforzi, con i relativi dialoghi sullo Stato di diritto, la libertà di stampa, la questione dei diritti umani, ma anche sul terreno di un partenariato strategico politico.
  La Turchia è grande potenza regionale, grande attore regionale su una molteplicità Pag. 25di scenari, dal conflitto in Siria – avrò un incontro bilaterale con il ministro turco domani proprio su questo, a Vienna – alla questione di Cipro, che forse si avvia ad essere felicemente conclusa, a un tema interno, ma anche regionale rispetto al processo di pace con i curdi, che è fondamentale dal punto di vista europeo, ad altre grandi questioni come la Presidenza del G20 che la Turchia affronterà, ma anche la grande questione energetica.
  Un'altra domanda puntuale verteva sul TTIP. Sulla trasparenza dei negoziati, già si trovano online i documenti fondamentali del mandato negoziale, che la Commissione ha ricevuto dal Consiglio, con una chiara definizione del mandato negoziale, e il processo democratico sarà pienamente garantito, perché, come l'onorevole Di Stefano sa bene, i trattati di questo genere vengono ratificati dai Parlamenti europei o nazionali a seconda delle competenze istituzionali, quindi non vedo dove sia il deficit di democrazia, posto che si arrivi al momento della ratifica. Oltretutto la mia collega Cecilia Malmström è impegnata in un'operazione senza precedenti per un negoziato commerciale, che chiaramente ha anche dei passaggi di riservatezza dovuti all'interesse come parte negoziale rispetto all'altra, un'operazione senza precedenti di trasparenza e di comunicazione pubblica.
  Sulla Libia, vi è la necessità di coinvolgere i Paesi confinanti, assolutamente. È esattamente il lavoro che abbiamo fatto negli ultimi 6-7 mesi, e oggi i Paesi confinanti, non soltanto quelli a cui tradizionalmente pensiamo, ma anche quelli del Sahel, stanno svolgendo un ruolo fondamentale e utile.
  Aggiungo un elemento: sulla Libia abbiamo svolto, come Unione europea, anche con il Comitato delle regioni e degli enti locali, un'operazione che sarà fondamentale anche in seguito, ed è il lavoro con i sindaci libici e le municipalità libiche. L'Italia ha qui una competenza fondamentale, il lavoro di accompagnamento, di gemellaggio tra municipalità ed enti locali europei e in questo caso italiani ed enti locali libici può portare a risultati eccezionali per la stabilizzazione e il ripristino di condizioni di vita normali nel Paese, ed è una delle cose che l'Unione europea ha iniziato a fare quest'anno in modo consistente.
  Ultimo punto è il tema delle relazioni con gli Stati Uniti e, in generale, il ruolo dell'Unione europea rispetto all'ordine o al disordine globale, a un multilateralismo che non funziona: il rapporto di coesione e di corrispondenza di politiche, anche di coordinamento, con gli Stati Uniti è più che quotidiano ed anche in questa fase di avvio di questo difficile processo sulla Siria abbiamo lavorato in questo modo. C’è stato un coordinamento con il Segretario di Stato Kerry, a Berlino e a Vienna la settimana scorsa, c'era stato qualche settimana prima a New York, sul modo migliore per portare i diversi attori attorno al tavolo, capendo dove l'Unione europea ha più strumenti da usare rispetto agli attori rilevanti.
  In questo caso è chiaro che il nostro canale aperto con l'Iran ci dà un ruolo specifico e importante nella costruzione di questa dinamica, ma lo sforzo è stato quello di costante coordinamento e condivisione del percorso non soltanto con gli Stati Uniti, ma anche con la Federazione Russa, che, come ha giocato un ruolo positivo e importante nei negoziati con l'Iran, può svolgere un ruolo importante e positivo nella gestione della crisi siriana. Credo che il tema oggi, domani e nelle prossime settimane sarà capire quanto riusciremo, tra Unione europea, Stati Uniti, Federazione Russa, a fare in modo che con questo sforzo di coordinamento i rispettivi attori regionali che ognuno di noi ha contattato, mobilitato e spinto in questa direzione, riescano a superare divergenze e differenze non soltanto storiche per trovare un terreno comune.
  Che gli Stati Uniti e la Federazione Russa trovino canali di comunicazione, di cooperazione e anche di collaborazione efficaci è un interesse dell'Unione europea, e tutto quello che possiamo per fare per incoraggiare movimenti in questo senso, che sia sul coordinamento sul piano militare sullo scenario siriano o sullo sforzo Pag. 26comune in campo diplomatico, è un passo che incoraggiamo e che cerchiamo di accompagnare.
  C’è un altro tema – e sono stupita che nessuno lo abbia sollevato – ed è quello dei rapporti bilaterali tra l'Unione europea e la Federazione Russa, tema che non abbiamo modo e tempo di affrontare in questo momento, ma che sicuramente sarà di grande interesse per i prossimi mesi, perché c’è il tema del conflitto in Ucraina, c’è il tema delle sanzioni rispetto all'annessione della Crimea, c’è il tema dell'implementazione degli accordi di Minsk, ma c’è anche il tema di come l'Unione europea e la Federazione Russa possano trovare canali di collaborazione e di cooperazione su altri scenari regionali o globali.
  C’è anche un tema di relazioni bilaterali, che sono state per larga parte sospese dopo le questioni ucraine, ma che su alcuni settori, soprattutto relativi ai contatti tra persone e a settori non strategici in chiave di sicurezza e di difesa, possono utilmente riallacciare nodi tra gli europei e i russi, perché, come il nostro continente non è fatto solo di governi, di parlamenti e istituzioni, ma di persone, anche la Federazione Russa è non soltanto un vicino (e la geografia non si cambia), ma anche un Paese di una complessità e di una vicinanza geografica che non possiamo ignorare. Questo sarà uno dei capitoli su cui nei prossimi mesi lavoreremo di più.
  Se posso aggiungere un'ultima battuta, rivolgerei un invito, facendo finta di non essere italiana. Sui formati ho già detto prima e il mio obiettivo è quello di evitare il più possibile approcci intergovernativi e offrire sempre un canale europeo per tutti, perché guardiamo ai 3, 4, 5 Paesi che ci vengono in mente, ma esistono il Portogallo, l'Irlanda, l'Estonia, Cipro che hanno pari ed eguali diritti e doveri di forgiare questa politica comune anche con strumenti spesso rilevanti, quindi mi piacerebbe che uscissimo da questa logica dei Paesi grandi e dei Paesi piccoli, dei Paesi periferici e dei Paesi centrali, perché siamo ventotto.
  Mi piacerebbe anche che l'Italia riuscisse ad uscire da una logica di ansia. L'Italia è un grande Paese al centro del Mediterraneo, al centro dell'esperienza europea, è uno dei Paesi fondatori, si avvicina un importante anniversario per l'avvio del nostro processo di integrazione europea, non c’è motivo né storico né politico per cui l'Italia debba sentirsi in ansia di rappresentazione.
  L'Italia non soltanto c’è ed è forte, europea, centrale nella nostra politica, ma continuerà ad esserlo, e credo che questo possa dare anche un senso di forza e di fiducia nelle proprie capacità, che sicuramente sul campo della politica estera e di difesa sono forti e riconosciute, così come lo sono i ruoli dei nostri militari, della nostra cooperazione internazionale, delle nostre ONG, delle nostre istituzioni, del nostro Parlamento. Grazie.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare l'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.20.