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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione

Resoconto stenografico



Seduta n. 30 di Martedì 17 novembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3 

Audizione del Capo missione Italia di Medici senza frontiere, Stefano Di Carlo:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3 
Di Carlo Stefano , Capo missione Italia di Medici senza frontiere ... 3 
Migliore Gennaro , Presidente ... 6 
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 7 
Migliore Gennaro , Presidente ... 7 
Burtone Giovanni Mario Salvino (PD)  ... 7 
Carnevali Elena (PD)  ... 7 
Beni Paolo (PD)  ... 9 
Patriarca Edoardo (PD)  ... 9 
Carnevali Elena (PD)  ... 9 
Lorefice Marialucia (M5S)  ... 10 
Migliore Gennaro , Presidente ... 10 
Di Carlo Stefano , Capo missione Italia di Medici senza frontiere ... 10 
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 10 
Di Carlo Stefano , Capo missione Italia di Medici senza frontiere ... 10 
Lodesani Claudia , Medico e coordinatore di Medici senza frontiere ... 11 
Migliore Gennaro , Presidente ... 12 
Patriarca Edoardo (PD)  ... 12 
Carnevali Elena (PD)  ... 13 
Lodesani Claudia , Medico e coordinatore di Medici senza frontiere ... 13 
Di Carlo Stefano , Capo missione Italia di Medici senza frontiere ... 14 
Migliore Gennaro , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GENNARO MIGLIORE

  La seduta comincia alle 13.50.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla Web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Capo missione Italia di Medici senza frontiere, Stefano Di Carlo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Capo missione Italia di Medici senza frontiere, Stefano Di Carlo.
  Mi scuso preliminarmente con i nostri auditi per questo ritardo, dovuto al protrarsi dell'attività di Aula. Come sapete, è nostro obbligo innanzitutto partecipare ai lavori dell'Aula. Essendo presenti i rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione, do inizio a questa nostra seduta.
  Per quanto riguarda la pubblicità dei lavori, avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, ove necessario, anche su richiesta di un commissario ovvero degli auditi, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta. Al riguardo, per assicurare la massima fluidità al dibattito pubblico, prego i colleghi di riservare eventuali quesiti da sviluppare in sede riservata alla parte finale della seduta.
  Ricordo che l'Ufficio di presidenza ha deliberato l'audizione di rappresentanti di Medici senza frontiere in funzione dell'esigenza di acquisire elementi di conoscenza sulle tematiche delle prime fasi di accoglienza con particolare riguardo ai profili di carattere sanitario. L'occasione è data dalla presentazione alla Commissione del Rapporto sulle condizioni di accoglienza nel CPSA di Pozzallo, che i nostri ospiti hanno già messo a disposizione dei commissari nei giorni scorsi.
  Nel rivolgere un saluto alla dottoressa Claudia Lodesani e a Caterina Spisso, che partecipano ai nostri lavori, prima di cedere la parola al Capo missione Italia di Medici senza frontiere, Stefano Di Carlo, vorrei osservare un minuto di silenzio per l'eccidio che ha colpito la Francia, i cittadini francesi e tutta l'umanità, come ha avuto modo di dire qualcuno.

  (La Commissione osserva un minuto di raccoglimento).

  PRESIDENTE. Grazie. Questa è la nostra prima seduta dopo questo terribile evento ed è anche l'occasione di audire un'organizzazione che si occupa di curare le persone. È un'occasione per ricordare ancora di più l'impegno che le Istituzioni e la società civile mettono nel contrasto alla violenza, al terrorismo e al fanatismo religioso e di ogni matrice.
  Ringraziando, anche per la documentazione, che è sempre puntuale da parte di Medici senza frontiere, do la parola immediatamente a Stefano Di Carlo.

  STEFANO DI CARLO, Capo missione Italia di Medici senza frontiere. La ringrazio, Pag. 4presidente. Ringrazio anche tutti i membri della Commissione. Medici senza frontiere, come sapete, lavora in Italia già dal 1999 con progetti di sostegno ai migranti. Negli ultimi due anni, in ogni caso, abbiamo cercato di potenziare in alcune aree la nostra attività.
  Nel 2014 abbiamo lavorato prettamente e particolarmente nella prima accoglienza e come supporto agli sbarchi. Abbiamo lavorato nel porto di Augusta, sempre in collaborazione con la prefettura locale, dove, attraverso un presidio medico in collaborazione anche con l'ASP di Siracusa, abbiamo attivato un servizio nelle ore successive a ogni sbarco. A Pozzallo abbiamo supportato sempre l'ASP di Ragusa nella gestione dello screening sanitario nelle primissime fasi di sbarco subito dopo gli arrivi.
  In questa esperienza del 2014 abbiamo collezionato una serie di dati, ma anche di esperienze che ci hanno fatto capire qual era il profilo dei beneficiari, cioè delle persone che arrivavano, per poter trovare anche nell'anno successivo – cioè quest'anno, nel 2015 – delle soluzioni operative che potessero rispondere al meglio ai bisogni di tali persone.
  Nel 2015 abbiamo avuto altri progetti attivati in Italia e in Sicilia. Un progetto che abbiamo attivato è stato di primo soccorso psicologico dopo gli eventi di naufragio. Quest'attività è stata svolta in diversi porti siciliani e d'Italia e aveva come primo obiettivo quello di fornire un sostegno alle persone arrivate dopo eventi di questo tipo, ossia di creare una situazione di sicurezza per ridurre lo stress, di fornire una risposta ai bisogni immediati e soprattutto di cercare di offrire un contesto di normalità alle persone che avevano alle spalle un viaggio molto complicato.
  Attraverso quest'attività abbiamo capito che non solo le persone che sopravvivevano a queste catastrofi di naufragio avevano bisogno di un contesto strutturato, di supporto informativo e di servizi nelle primissime fasi, ma in realtà tutte le persone che arrivano hanno bisogno di questo tipo di servizio, proprio perché anche un viaggio considerato oggi normale è, in realtà, un viaggio che comporta e prevede delle criticità enormi.
  Oltre a questo tipo di progetto, parliamo ora del progetto e delle attività che abbiamo svolto all'interno del Centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, che è oggetto di questo rapporto. Il coinvolgimento di Medici senza frontiere in quest'attività si situa anche come prospettiva e strategia volta a creare un modello di intervento. Con gli interventi precedenti, noi abbiamo capito quanto centrale fosse l'intervento del Ministero della salute e quindi anche dei rappresentanti locali del Ministero della salute nell'erogazione dei servizi sanitari nel Centro di prima accoglienza. Questo proprio perché si può creare un modello in cui le Istituzioni locali possono essere attori protagonisti rispetto al passato, quando erano enti gestori che prendevano in carico questa parte. Secondo noi, è fondamentale che sia soprattutto un'Istituzione come il Ministero della salute, attraverso gli attori locali, a prendere in carico questo compito.
  Abbiamo presentato quindi una proposta e abbiamo richiesto a gran voce l'inclusione dell'ASP di Ragusa all'interno di questo lavoro, stipulando un protocollo di accordo. È cominciato così un lavoro sinergico con l'ASP di Ragusa all'interno del CPSA, una collaborazione che continua ancora oggi e che ci ha portato ad effettuare circa 2.650 consultazioni mediche all'interno del centro alla fine di settembre.
  Durante questi mesi, da febbraio fino a oggi praticamente – anche se il rapporto prevede l'esposizione di un periodo un po’ più breve –, abbiamo potuto evidenziare delle problematiche di diversa natura all'interno del centro, legate sia alla struttura, sia alla modalità di erogazione dei servizi.
  Soprattutto però è importante dire che noi abbiamo testimoniato la difficoltà degli ospiti all'interno di questa struttura. È molto importante per noi sottolineare che diversi punti su cui ci soffermiamo in questo rapporto hanno origine dalle testimonianze Pag. 5che ci sono state riportate direttamente dalle persone ospitate nel Centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo. Per questo motivo, la testimonianza che noi riportiamo non è solo la nostra e dei nostri operatori, ma è anche quella delle persone che sono state ospitate, ossia dei beneficiari di questi servizi.
  A questo punto vorrei cercare di sottolineare e di sviluppare per grandi categorie quali sono le problematiche che noi abbiamo incontrato. Prima di tutto credo che nel rapporto si possa vedere come un problema importante, secondo noi, sia dovuto al deterioramento della struttura, come ad esempio il malfunzionamento dei servizi igienici, le infiltrazioni dal tetto e problemi di manutenzione di varia natura. Tali problemi sono stati sistematicamente da noi riferiti alle autorità.
  La nostra organizzazione inoltre, anche proattivamente, ha svolto delle riunioni più tecniche, soprattutto una prima riunione nel mese di luglio, in cui i problemi sono stati sottolineati ed è stato formulato un Piano d'azione con la prefettura e il comune per riuscire con un cronogramma a trovare una soluzione e una risposta a questi problemi strutturali di varia natura all'interno del centro.
  L'aspetto che va sottolineato è che ad oggi, anche se alcuni di questi interventi sono effettivamente stati fatti, molti rimangono ancora incompleti oppure neanche avviati.
  Un altro problema è insito nell'erogazione dei servizi che dovrebbero essere offerti all'interno del CPSA. Infatti, la nostra esperienza è che spesso l'erogazione dei servizi non è adeguata o è incompleta. Questo, ovviamente, sottopone i beneficiari a una dose di stress. Riporto alcuni esempi qui, ovviamente non esaustivi, che si possono ritrovare all'interno del rapporto.
  Un esempio è quello della difficoltà di accedere ai mezzi di comunicazione. Infatti, per motivi diversi, quali l'ubicazione del telefono oppure l'incompatibilità delle schede telefoniche, fondamentalmente si crea una barriera che ostacola la capacità di comunicazione delle persone verso il mondo esterno.
  Noi sappiamo che nelle primissime fasi – questo l'abbiamo imparato molto bene dalle nostre esperienze di primo soccorso psicologico dopo i naufragi –, quando le persone arrivano, una delle prime cose che trovano estremamente importanti è poter comunicare con le loro famiglie e con i loro cari e far sapere che sono arrivati e che sono in vita. Questa è una cosa fondamentale perché non poter comunicare vuol dire aumentare il livello di stress, il che potrebbe essere evitato.
  Un altro esempio, più particolare rispetto alla nostra identità e più prettamente medico, è la mancanza all'interno di questo centro di un'area adeguata per il trattamento della scabbia. Noi sappiamo che questa patologia è stata fortemente segnalata e da noi fortemente anche individuata e trattata insieme all'ASP di Ragusa durante quest'anno. In questo momento all'interno del centro non esiste ancora uno spazio adeguato che permetta di garantire un trattamento adeguato, nonché la privacy. Noi abbiamo fatto presente questo tema alle autorità e abbiamo presentato delle proposte per l'implementazione di una soluzione.
  La struttura – secondo me, questo è un altro punto critico – è stata spesso utilizzata da un numero elevato di persone, ossia esposta a un sovraffollamento, specie nei periodi estivi, anche prolungato in diverse occasioni. Considerando le criticità strutturali e di erogazione dei servizi, un sovraffollamento in queste condizioni crea un altro fattore di stress per le persone che sono all'interno del centro.
  Detto questo, passerei ad una questione più legata alla protezione degli ospiti e al rispetto della loro dignità, che si lega anche a tutte le altre problematiche che noi abbiamo evidenziato e sottolineato. Un esempio è la mancanza delle porte nei bagni, che non può garantire la privacy delle persone. Il centro non ha aree separate e quindi, in periodi di sovraffollamento o di arrivi misti, laddove ci sono donne e bambini, non è possibile fare una divisione adeguata di categorie.Pag. 6
  Inoltre, in uno spazio di questo tipo, tenendo conto del modello che si dovrebbe offrire, in cui le vulnerabilità delle persone che arrivano dovrebbero essere tenute in considerazione ed affrontate in maniera rapida, è estremamente difficile identificare queste vulnerabilità e fornire una risposta adeguata agli individui più vulnerabili all'interno del gruppo ospitato nel centro.
  Un altro punto che noi abbiamo sottolineato nel rapporto – che non è necessariamente legato ad attività che noi svolgiamo direttamente, ma che, come dicevo all'inizio, noi riceviamo come informazione perché riferito dagli ospiti del centro – è relativo all'informativa che le persone ricevono all'accesso. Molto spesso le persone che sono all'interno del centro, anche durante le visite ambulatoriali o con i nostri mediatori culturali, pongono domande rispetto alle procedure che sono state messe in essere, al fotosegnalamento, alla firma dei documenti. Sembra che non sempre siano adeguatamente informate e comprendano completamente quello che sta succedendo o la procedura a cui sono andati incontro dopo l'arrivo.
  Secondo noi – mi ricollego all'attività di primo soccorso psicologico di cui ho parlato all'inizio – nelle primissime fasi le informative sono elemento chiave per ridurre lo stress e rimettere la persona in una situazione di protezione e di comprensione del contesto che possa poi portare a una regolarizzazione della sua situazione. Il modo in cui il flusso è organizzato all'ingresso del centro e in cui queste informazioni vengono erogate secondo noi non è ideale, perché tutto avviene in tempi molto rapidi, sovrapponendosi anche ad altre attività, quali attività medico-umanitarie, per esempio. Avvenendo in una fase abbastanza caotica, trattandosi di persone già stanche, con un viaggio alle spalle, tutto diventa meno assimilabile e più difficile.
  In sostanza, cercando di concludere per lasciare spazio anche a eventuali domande, il messaggio che noi vorremmo trasmettere è che il sistema attualmente adottato a Pozzallo – che è anche un po’ rappresentativo della prima accoglienza in Italia – per come è organizzato non è funzionale. Noi esprimiamo perplessità rispetto all'adeguatezza di questo sistema e al modo in cui viene offerto un servizio in quella sede e in quel momento, un momento in cui l'aspetto umanitario dovrebbe essere estremamente importante e dovrebbe ricevere lo spazio adeguato. Le persone anche in quella sede e in quelle primissime fasi devono ricevere un'accoglienza che sia dignitosa e che prenda in considerazione che all'interno di gruppi particolarmente grandi ci sono categorie molto vulnerabili, soprattutto nel contesto di oggi.
  Secondo noi, questo di oggi è un contesto prevedibile, in cui le Istituzioni possono mettere in campo una risposta strutturata. In tutta la prima accoglienza devono essere disponibili dei servizi di qualità, presenti anche durante i periodi di incremento degli arrivi, perché ormai abbiamo visto che questa non è più una situazione sporadica. Sappiamo che c’è un andamento di questo tipo.
  Pertanto, durante questa prima accoglienza occorre che ci siano delle fasi ben definite e ben organizzate per erogare tutti i servizi, a cominciare dalle procedure di accoglienza per arrivare alla richiesta di asilo, e che ci sia il tempo adeguato perché le persone siano messe in condizione di capire il contesto e anche di avere accesso ai servizi in maniera adeguata.
  Per quanto ci riguarda è necessario prevedere lo screening medico e l'accesso sicuro ai servizi di base, come l'erogazione dei pasti o di materiale per l'igiene o di altri beni, quali il vestiario. Poi, in un'altra fase, occorre anche che l'ospite, tranquillo e rassicurato, possa ricevere l'informativa ed eventualmente presentare richiesta d'asilo, se questo è il suo desiderio.
  Con questo concludo l'introduzione a questo rapporto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Di Carlo per questa sua introduzione e do immediatamente la parola, a chi la chiede, uno per Gruppo.Pag. 7
  Successivamente darò parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIUSEPPE BRESCIA. Grazie, presidente. Intanto vi ringrazio per l'egregio lavoro che fate in tutto il mondo, non soltanto in Italia. Quello che ci preoccupa non è soltanto la situazione che voi avete descritto, che purtroppo è ormai nota. Tutti coloro che fanno parte di questa Commissione avranno già visitato svariati centri; ormai sappiamo che un po’ dappertutto purtroppo è così.
  Abbiamo la convinzione che questo sistema d'accoglienza, così com’è in questo momento in Italia, debba essere superato in tutto e per tutto, non soltanto nella primissima accoglienza, ma anche nelle fasi successive. Poche cose funzionano in questo momento nel sistema di accoglienza in Italia e quelle poche cose vanno valorizzate e salvate. Su quelle magari si può costruire qualcosa. Per il resto, però, siamo perfettamente consapevoli che la situazione è drammatica.
  Tuttavia ci preoccupa ancora di più ciò che avverrà tra poco, perché non abbiamo contezza precisa di quello che l'Europa sta di fatto imponendo all'Italia. Vorremmo sapere da voi che cosa sapete di questi hotspot, che cosa saranno, e se secondo voi in queste città... Mi riferisco a quelle che avete citato nel vostro rapporto. Voi avete parlato ampiamente di Pozzallo, ma all'inizio avete citato anche Augusta, che è in una situazione molto particolare perché nel porto di Augusta c’è una base NATO e ci sono tantissimi minori affidati in questo momento alla tutela del sindaco, senza strutture adeguate per accoglierli. Vorremmo sapere da voi che cosa pensate di queste strutture e quali informazioni avete. Noi ne vorremmo di più.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Facciamo prima un giro per consentire eventualmente di raccogliere più domande. Poi in Ufficio di presidenza fisseremo anche un nuovo sopralluogo in Sicilia. Proprio Pozzallo e Augusta sono due aspetti di grande interesse per quanto ci riguarda. Lo dico anche ai nostri auditi.

  GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Grazie della relazione. A parte queste indicazioni delle strutture e di un'ipotesi di intervento che è stata fatta a livello psicologico, io vorrei porre due domande.
  In primo luogo, poiché lei ha detto che avete fatto degli screening sanitari, vorrei sapere quali sono le patologie che avete riscontrato in termini percentuali tra i migranti.
  L'altra questione che mi incuriosisce – poiché conosco le procedure per la cura della scabbia, il primo intervento viene fatto addirittura sulla nave in cui i migranti vengono accolti – riguarda il tipo di procedura che voi applicate, visto che lei ha rilevato anche lì qualche elemento di criticità.

  ELENA CARNEVALI. Innanzitutto vi ringrazio per il lavoro che svolgete. Voglio utilizzare quest'occasione per esprimere non solo solidarietà, ma anche apprezzamento per il grande lavoro che state svolgendo e soprattutto per questa modalità di farlo sempre in accordo con le Istituzioni. Anche oggi, nella relazione che ha fatto, lei ha riconosciuto il grande ruolo e soprattutto la competenza primaria che in questo contesto, rispetto ai temi che stiamo affrontando, ricade soprattutto nei confronti dello Stato e, quindi, del Ministero della salute. Vi rivolgo, quindi, un riconoscimento. Vi siamo vicini anche per questo momento che ha colpito voi esattamente come ha colpito tutto il mondo unito per quello che è successo.
  Vengo al merito del rapporto che ci è stato presentato. Devo dire che da un certo punto di vista non mi sorprende e mi sorprende contemporaneamente da un altro punto di vista. Noi siamo stati a Pozzallo a maggio scorso e devo dire con franchezza che io mi aspettavo non solo che almeno una parte delle criticità che voi avete esposto fosse stata riconosciuta, ma anche che vi fosse stato posto rimedio.
  Il dettaglio, peraltro molto particolareggiato, della relazione che voi avete fatto Pag. 8ha confermato l'esito della missione che noi abbiamo svolto; non lo dico perché non ci credessimo, assolutamente, diciamo che si è trattato di una «certificazione aggiuntiva». Io credo che questo non sia dignitoso per l'essere umano. Francamente, devo dire che è scandaloso per questi tempi pensare che non consentiamo – alle donne soprattutto – di avere una privacy e che non consentiamo di poter svolgere il livello minimo delle attività che servono alle persone per avere un minimo di trattamento.
  Noi sapevamo che all'orizzonte c'era la volontà di aprire una nuova struttura, perché è stata riconosciuta da tutti, a partire dal sindaco e anche dalle forze dell'ordine che ci hanno accompagnato, l'inadeguatezza del luogo per il sovraffollamento e per la mancanza di manutenzione. Questa questione della chiusura delle porte di sicurezza mi sembra molto grave, perché potrebbe succedere qualsiasi cosa. Io direi che non abbiamo bisogno di una nuova carneficina e che, dopo che abbiamo salvato le persone dal mare, non dobbiamo metterle a rischio sulla terra.
  Va riconosciuto anche lo sforzo compiuto. Per esempio, mi riferisco a quel dettaglio che ci è stato fornito quando siamo stati presenti, sullo screening che veniva fatto sul fronte sanitario con questo ambulatorio, ancorché abbiano qualche problema anche i luoghi fisici in cui curiamo le persone. Abbiamo chiesto se alla fine venisse compilata una sorta di scheda sanitaria che venisse poi trasmessa e con quale «continuità» assistenziale. Forse è quasi utopistico ragionare in questi termini in una condizione come questa, ma comunque abbiamo chiesto quali garanzie possono essere fornite. È chiaro che, senza un intervento di natura manutentiva, spesso curiamo da una parte per esporre comunque dall'altra, perché il rischio di infezioni aumenta in posti insalubri.
  La seconda questione riguarda la gestione dei kit. Mi sono distratta un attimo, ragion per cui non so se abbiate affrontato questo tema. Quando noi siamo stati in loco, abbiamo rilevato un problema sia nella distribuzione che nella registrazione. C'era un problema con la cooperativa che aveva in carico il servizio, che non riceveva da tempo i fondi – non so se questa situazione in parte si sia risolta, ma mi sembra di capire di no – e anticipava quindi gli oneri per poter garantire almeno il primo trattamento.
  La questione della tessera telefonica – che sembra un'inezia rispetto ai temi che stiamo affrontando per le ragioni che ci sono state esposte, e che penso siano comprensibili a tutti – mi pare francamente una banalità da risolvere. È scandaloso che questo non venga fatto. Da parte nostra, noi siamo qui soprattutto per verificare in quali condizioni avviene l'accoglienza, l'adeguatezza o l'inadeguatezza del sistema. È chiaro che a questo punto a noi non rimane, ancora una volta, che investire il Ministero e le autorità locali, perché credo che non possiamo più permetterci di continuare a offrire condizioni di inadeguatezza come quelle che abbiamo sentito.
  Io vorrei avere, se ne avete l'occasione, qualche osservazione in più sulle modalità di accoglienza. Non abbiamo toccato il tema dei minori, che mi sta particolarmente a cuore. Se non riusciamo a garantire un minimo di riservatezza ai nuclei familiari composti magari da donne con minori, io non so che cosa riusciamo a riservare ai minori in una condizione di particolare esposizione per quello che hanno vissuto e per quello che devono affrontare. Faccio fatica a pensare a questo. Anche da questo punto di vista vorrei sentire che cosa avete riconosciuto o verificato voi e magari avere dei suggerimenti da parte vostra.
  Apprezzo molto quello che voi avete detto, ossia che il vostro è un intervento che serve per l'azione che viene fatta, ma contemporaneamente anche per trovare un modello. Alla fine, rispetto al modello di accordo soprattutto con l'ASP e con chi è titolato a svolgere questo ruolo, secondo voi, che cosa c’è ancora da migliorare per qualsiasi operatore ? Io faccio questo di mestiere e so che molto dipende dalle condizioni in cui lo si fa operare.
  Grazie.

Pag. 9

  PAOLO BENI. Lo stava già anticipando la collega. Giustamente voi dicevate – e il vostro intento mi sembra molto apprezzabile – che l'osservazione, il lavoro e il rapporto su alcune situazioni specifiche (stiamo parlando di Pozzallo in questo caso) possono essere utilizzati anche per lavorare all'elaborazione, attraverso questa esperienza, di un modello. Stiamo parlando ora di primissima accoglienza e, quindi, di centri in cui gli ospiti dovrebbero trattenersi al massimo quarantott'ore. Poi non succede così, sappiamo anche questo, ma questa dovrebbe essere la norma, con i problemi connessi, ossia con un ricambio più rapido.
  Per quanto riguarda in particolare lo screening sanitario, ma anche – voi avete, non a caso, io penso, marcato l'accento soprattutto su questo tema – lo screening psicologico, cioè le condizioni di profondo stress a cui queste persone sono sottoposte (quando non è addirittura a livello di patologia nervosa, comunque lo stress ce l'hanno tutti), il passaggio dalla primissima struttura all'accoglienza successiva come funziona ? Voi sapete a quale centro i migranti saranno destinati ? Venite messi in condizione di saperlo ? Nell'incontro con gli ospiti questa questione può avere un'importanza. Voi siete in grado di accompagnare l'ospite con una relazione che vada agli enti che gestiscono il centro a cui sarà destinato ? Penso che questo sia un punto fondamentale.
  Lei giustamente parlava di creare il clima e le condizioni che diano la sensazione dell'accoglienza. Le cose si possono fare male o bene, frettolosamente o con cura nei confronti della persona, ma la persona sta lì due o tre giorni e poi va in un altro posto del tutto nuovo, dove si ripropongono lo stress e la difficoltà di trovarsi in un ambiente nuovo, per cui la persona non sa dove si trova e che cosa le succederà. Vorrei capire questo, perché penso sia un punto importante.

  EDOARDO PATRIARCA. Grazie, per l'invio di questo materiale e per le cose che ci ha detto. Pongo due domande, che tra l'altro riprendono anche gli interventi dei colleghi.
  In primo luogo, voi siete presenti a Pozzallo e anche in altre realtà. Visto che stiamo ragionando e riflettendo di modelli – questa Commissione si dovrà far carico anche di questo – e di una filiera di accoglienza un po’ più razionale, ma anche forse un po’ più umana, le vorrei chiedere qual è lo stato delle relazioni tra l'associazione (in altri centri abbiamo incontrato Croce Rossa e altre realtà) e le strutture pubbliche. Vorrei conoscere le dinamiche relazionali tra la vostra associazione e le strutture pubbliche, perché sapere questo può essere utile per noi.
  Vorrei sapere se avete la percezione o gli elementi per costruire un'alleanza magari più strutturata, più organica, meno legata all'emergenza – e, a volte, anche alle emozioni – tra un'area come la vostra, specificatamente impegnata nella migrazione, e le strutture pubbliche, che sono ovviamente per noi strategiche. Lo chiedo perché in altre audizioni e anche durante le ispezioni noi abbiamo notato problemi di relazione, a volte anche forse al limite della legalità. Potremmo parlare di relazioni «patologiche», per rimanere sul corretto.
  La seconda cosa che le chiedo riguarda lo screening psicologico, di cui lei parlava. Esiste un quadro delle tipologie che voi incontrate tra queste persone, spesso già torturate e violentate ? Avete un quadro che può aiutare ad attivare un servizio più qualificato in quest'ambito ? Non sempre noi abbiamo ravvisato quest'attenzione a chi giunge e un supporto psicologico e a volte anche relazionale e affettivo. Mi piacerebbe sapere se voi su questo avete maturato una cornice di saperi e di competenze che possono essere utili ad altri.

  ELENA CARNEVALI. Vorrei fare un'altra domanda. Mi ha colpito un'altra cosa nella relazione che avete fatto, non solo il problema del sovraffollamento e della promiscuità, ma anche quello della protratta permanenza e il divieto di uscita. Spesso c’è il divieto di uscita addirittura – mi Pag. 10sembra di capire – nell'area antistante: il minimo spazio di area libera che alle persone – anche solo, prima di tutto, per la loro libertà, ma anche per la loro salubrità – dovrebbe essere garantito. Voi avete fatto questo rapporto a marzo. Ormai siamo a novembre. Questa condizione si realizza ancora ?

  MARIALUCIA LOREFICE. Io non so se sia il caso di fare questa domanda in seduta segreta.

  (I lavori della Commissione proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica)

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Di Carlo per la replica.

  STEFANO DI CARLO, Capo missione Italia di Medici senza frontiere. La ringrazio. Cercherò di rispondere ad una parte delle domande, perché sono molte, poi lascerò la parola alla dottoressa Lodesani perché, da medico infettivologo, può fornirvi un quadro più tecnico su alcune domande che sono state fatte, molto pertinenti, riguardo al tipo di screening che viene effettuato, alle patologie che vengono riscontrate e anche all'aspetto psicologico del quale abbiamo parlato.
  Vorrei cominciare con la prima domanda che mi è stata fatta su che cosa sappiamo noi dell'implementazione del famoso modello hotspot. In realtà, noi siamo un attore umanitario e non abbiamo molte informazioni in più – immagino – rispetto a quelle che avete voi, quelle che sono pubblicate e rese note generalmente al pubblico.
  L'aspetto che noi possiamo sottolineare forse è che nel contesto attuale, per come sono forniti i servizi e per come è proposta la prima accoglienza, sarebbe complicato applicare un modello che mi pare – ma forse sbaglio – abbia un'impronta che tende ad un'identificazione più rapida, a una divisione in gruppi e ad una selezione maggiore in una fase di accoglienza. Vista la difficoltà che noi abbiamo già adesso, almeno per quello che riguarda il centro di Pozzallo, nel fare una divisione e una selezione tra gruppi vulnerabili e non vulnerabili, vedo molto complicato riuscire ad applicare un modello che fondamentalmente presenta una struttura ancora più complessa di quella attuale.
  È chiaro che da parte nostra c’è preoccupazione. Da un punto di vista umanitario, noi speriamo – e comunque lo sosterremo fortemente – che qualsiasi modello venga implementato tendenzialmente rafforzi tutte le componenti medico-umanitarie e di protezione, che attualmente sono carenti. Secondo noi, qualsiasi modello venga proposto, senza prestare adeguata attenzione a tutti questi aspetti, non potrà essere un modello efficiente.

  GIUSEPPE BRESCIA. Vorrei chiederle se può essere più preciso rispetto alla situazione di Augusta, che, come ho detto, è ancora più particolare, essendoci una base NATO. Voi avete detto anche che ci siete da sin dall'inizio e che uno dei vostri obiettivi principali è quello di lavorare sulla sicurezza. Data la situazione in questo momento, credete che sia opportuno fare lì un centro di questo tipo ?

  STEFANO DI CARLO, Capo missione Italia di Medici senza frontiere. Chiedo scusa, perché forse non ho fornito informazioni in modo adeguato all'inizio. Noi ad Augusta abbiamo lavorato nel 2014, ma dall'inizio del 2015 non siamo più presenti. Purtroppo quindi non posso fornirvi un quadro di questa situazione, perché non so quali siano gli sviluppi che ci sono stati nel porto di Augusta negli ultimi nove mesi. Se possibile, vorrei non rispondere ad una domanda alla quale potrei rispondere solo parzialmente o forse fornire una risposta non adeguata.
  Cerco di andare un po’ avanti rispetto ad alcune domande, per poi passare la parola alla dottoressa Lodesani. Mi è stato chiesto se, rispetto ad alcune delle situazioni che erano state segnalate a maggio scorso, ci siano stati dei progressi o se siamo ancora in una fase in cui le cose non sono migliorate.
  Io vorrei sottolineare un aspetto. Noi abbiamo avuto sicuramente per molti Pag. 11aspetti una collaborazione fruttuosa con l'ASP di Ragusa, per quanto riguarda la ricerca di un modello di screening medico e il supporto medico con questa Istituzione. Chiaramente ci sono cose da migliorare, ci sono dei punti che non siamo ancora riusciti a risolvere, ma generalmente consideriamo questa una buona esperienza.
  È evidente che ci sono ancora delle problematiche all'interno del centro, come dicevamo, strutturali e di erogazione di servizi, che ad oggi non sono state completamente risolte. Addirittura, ricollegandomi anche al problema, per esempio, della protratta permanenza e del blindato all'ingresso, questo è un problema che ancora oggi esiste. Sicuramente quello che noi volevamo mettere in evidenza con il nostro rapporto è che, nonostante le sistematiche segnalazioni di alcune problematiche, non c’è stato un avanzamento progressivo e parallelo di tutte le problematiche che sono state segnalate. Sicuramente ci sono dei problemi, come quello del blindato, che esistevano a maggio e che esistono ancora oggi.
  Anche per quello che riguarda l'erogazione di un servizio medico, è chiaro che qualsiasi servizio medico, per quanto efficace e ben organizzato, se non è supportato da una serie di altri servizi e condizioni all'interno di un centro per funzionare bene, non risolve il problema, che è quello di esporre gli ospiti a una condizione comunque di rischio.
  Vorrei adesso passare la parola alla dottoressa Lodesani, che immagino possa fornirvi un quadro sulla condizione medica, ma anche per quanto riguarda lo screening psicologico, che è stato sollevato anche da parte nostra. Può rispondere, quindi, a queste domande. Poi magari cerchiamo di finalizzare le ultime domande che rimangono aperte per vedere se siamo riusciti a toccare tutti i punti richiesti dalla Commissione.
  Grazie.

  CLAUDIA LODESANI, Medico e coordinatore di Medici senza frontiere. Buongiorno a tutti. Io vorrei prima di tutto spiegare come funziona l'assistenza sanitaria, perché in realtà essa è divisa in due momenti: il momento dello sbarco e il momento della permanenza al centro.
  Al momento dello sbarco sono previsti addirittura tre step di screening; sono stati aumentati dopo l'anno scorso, con l'Ebola. C’è un primo step sulla barca, fatto dai medici dell'USMAF (Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera). Poi c’è un secondo step, fatto dai medici urgentisti dell'ASP in banchina, subito dopo che il paziente è sceso dalla nave, per venire incontro alle urgenze mediche e a chi ha bisogno di essere ricoverato in pronto soccorso. Poi c’è lo screening più «target», che ha come obiettivo l'identificazione delle malattie possibilmente contagiose, che sono quelle che si verificano all'inizio, prima di entrare al centro. Questo perché, ovviamente, se sospettiamo una scabbia, il paziente va messo a parte. Una tubercolosi non può essere messa dentro un centro. Parliamo di un sospetto, perché non si può fare una diagnosi.
  Questo riguarda tutto il momento subito dopo lo sbarco e quello del pre-ingresso. In questa fase, con riferimento ai pazienti, le sintomatologie più frequenti sono legate principalmente a scabbia e a problemi dermatologici. L'altra grande famiglia di patologie più frequenti è quella a carattere respiratorio. Una volta che si rivolgono alcune domande standard per eliminare il sospetto della tubercolosi, i pazienti vengono poi rivisti tutti dentro il centro.
  Dentro il centro c’è una seconda fase, in cui c’è l'ambulatorio con un infermiere presente ventiquattr'ore su ventiquattro e un medico otto ore al giorno. Le équipe sono miste con l'ASP. Qui, ovviamente, si rivisitano tutti gli ospiti con calma. Anche in questo caso le patologie sono più o meno le stesse. Sono prevalentemente di origine dermatologica, respiratoria e gastrointestinale.
  È ovvio anche che molti sintomi si manifestano dopo. L'adrenalina cala, il ragazzo ha tempo di riprendersi e alcune cose le manifesta il secondo giorno o qualche ora dopo lo sbarco. In realtà, Pag. 12meno del 5 per cento ha bisogno di un ricovero o di essere mandato in pronto soccorso, se escludiamo le donne gravide, che vanno sistematicamente in ginecologia e sono mandate o a Modica o a Ragusa, in base alla disponibilità. In effetti, come ha detto il dottor Di Carlo, la collaborazione con l'ASP ha facilitato tutto ciò e si sta creando – o si è già creato – un modello che, secondo me, è un modello virtuoso da questo punto di vista.
  Per quanto riguarda le patologie psichiatriche, il problema all'interno del centro è che gli ospiti vi rimangono poco. Il supporto che può essere fornito loro è veramente molto breve, indirizzato solo alle persone che si stanno scompensando nelle ore immediatamente dopo lo sbarco, che sono comunque poche. Ovviamente, si tratta di una sintomatologia legata al post-trauma, ma abbiamo visto solo una ventina di casi da inizio anno. Sono veramente un numero molto limitato e pochissimi hanno avuto bisogno di un ricovero o di un invio in ospedale. La maggioranza dei casi si risolve con un colloquio in questa sede.
  Ci sono stati alcuni episodi di autolesionismo, soprattutto con i minori, legati però ad una permanenza prolungata nel centro (fino a quindici giorni). Questo aspetto li ha scompensati e ha creato loro tutta una serie di problemi legati alla permanenza al centro.
  Forse non è questo il tema, ma la parte psicologica, di salute mentale, noi la facciamo dentro i CAS, che tuttavia non sono oggetto dell'audizione. In questo caso – giusto per fornirvi un dato – in effetti noi notiamo che almeno la metà dei ragazzi a cui viene data la possibilità di fare un colloquio con lo psicologo ha bisogno anche di un secondo colloquio. Le principali patologie sono una depressione leggera e il post-trauma. Questi sono i due grandi capitoli. Più del 50 per cento dei ragazzi che sono nei CAS ne soffrono. Parlo dei CAS perché noi interveniamo lì, ma immagino che lo SPRAR abbia più o meno le stesse dinamiche. Non posso assicurarlo perché noi non interveniamo lì.
  Perché questo ? Perché i tempi di permanenza sono lunghi e, ovviamente, quando non si ha un'attività che occupi la giornata, si ripensa a tutte le violenze che si sono subìte prima. Normalmente, queste sono cose che escono in un secondo momento e non nelle prime ore o nei primi giorni subito dopo lo sbarco. Noi le vediamo di più in un secondo momento di accoglienza e quindi piuttosto nei centri di seconda accoglienza.

  PRESIDENTE. Su questo punto, se mi posso permettere, noi siamo molto interessati. Se voi avete del materiale, lo gradiremmo, perché noi sui CAS abbiamo tutta una serie di problemi aperti. Anche sui CAS vi farei una richiesta, se posso permettermi, più che una domanda.
  Vorrei capire, secondo voi, in un modello così diverso dagli SPRAR – in realtà, è diverso, è profondamente diverso, perché lì c’è il coinvolgimento degli enti locali e ci sono i servizi sociali a disposizione, ossia c’è un'integrazione diversa, come ancora diversi sono i centri governativi –, come si dovrebbe fare l'assistenza.
  Voi sapete che ogni CAS ha una storia a sé. Ogni CAS ha un obbligo, anche contrattuale, di fornire determinati servizi, ma spesso la nostra esperienza ci dice che tali servizi non si riescono a fornire anche per ragioni strutturali, perché i centri sono temporanei, perché durano tre o sei mesi. Vorrei sapere se voi pensate che ci possano essere altri modelli, come, per esempio, un'assistenza di tipo territoriale, per cui, laddove risiedono dieci CAS, si fa un solo intervento di assistenza per tutti e dieci e non dieci interventi diversi.
  Auspichiamo di rivederci o che voi ci possiate fornire dei suggerimenti. Noi sul tema CAS stiamo ragionando molto, perché effettivamente il 70 per cento degli ospiti è nei CAS.
  L'onorevole Patriarca voleva aggiungere qualcosa.

  EDOARDO PATRIARCA. Dottoressa, lei ha parlato molto dei minori. Io credo che questo sia un tema importante e drammaticamente interessante. Le chiedo se su Pag. 13questo voi potete fornirci dei dati. Questa vicenda di fragilità, che coinvolge soprattutto i minori, non dico che mi stupisce, perché era da immaginare, ma suscita un ulteriore elemento di apprensione e di preoccupazione in questa Commissione.
  In seconda battuta le vorrei chiedere se sulle donne avete avuto, con riferimento al tema del sostegno psicologico, elementi di attenzione particolari, oppure se si tratta di un'area meno coinvolta in questa prima fase di accoglienza.

  ELENA CARNEVALI. Una delle domande che volevo farvi riguarda la questione delle donne, anche per via dei dati che ci hanno fornito. Una buona parte delle donne, che compie un tragitto a terra molto lungo prima di arrivare a fare la traversata in mare – tendenzialmente si è parlato del 70-80 per cento – subisce violenza. Ancorché i tempi di permanenza dovrebbero essere brevi, in realtà mi sembra di capire dalla vostra esperienza che non lo siano. Alla fine, mediamente, vorrei sapere quanto tempo rimangono in più rispetto a quello che di norma dovrebbero rimanere e se quella è un'occasione in cui questo accertamento può essere fatto, se viene fatto e come può essere fatto.
  Il secondo tema, invece, riguarda la rimborsabilità delle prestazioni. È un tema emerso anche in altre audizioni dinanzi la nostra Commissione. Quando le fornisce il Ministero della salute, penso che esse rientrino nel capitolo delle prestazioni che vengono erogate a carico del Fondo sanitario nazionale, indipendentemente dal fatto che qui la quota capitaria non c’è. Quindi, sono risorse aggiuntive che vengono utilizzate.
  La questione dei farmaci è l'altro tema di particolare attenzione. Io prima parlavo della continuità assistenziale. Spesso alcune patologie hanno bisogno di una continuità di cura. Questa continuità come viene garantita e a carico di chi ?

  CLAUDIA LODESANI, Medico e coordinatore di Medici senza frontiere. I minori noi li vediamo al CPSA ma, per quanto riguarda i CAS, interveniamo solo nei CAS per adulti. Su questo aspetto anche noi siamo inquieti, lo posso dire, ma ci asteniamo, nel senso che non lavoriamo direttamente con i minori. Ci sono stati episodi... Ovviamente, i minori sono più fragili e quindi anche nel CPSA bisogna prestare un'attenzione particolare. I nostri psicologi vi si recano più frequentemente per minori che per adulti, questo sicuramente.
  Per quanto riguarda le donne, a livello di CPSA noi non facciamo una ricerca attiva delle violenze, perché non c’è né il posto, né l'ambiente, né il tempo. Pertanto, il nostro atteggiamento a livello di CPSA è un atteggiamento passivo. Ci sono donne che vengono a cercarci per vari motivi, per raccontarci quello che è successo oppure perché chiedono un'interruzione di gravidanza legata alla violenza. In questo caso, sempre in collaborazione con l'ASP e con l'ospedale di Ragusa o di Modica – dipende dalla disponibilità – ci si attiva.
  A livello di CPSA si può fare, secondo me, poco di più, perché, anche se gli ospiti vi rimangono magari cinque giorni, per questo tipo di approccio l'ambulatorio è piccolo – lei l'ha visto – e ci sono diverse problematiche logistiche. Si può fare tanto, invece, a livello dei CAS. Questo perché nei CAS gli ospiti rimangono di più, ragion per cui noi abbiamo gli psicologi che vanno lì e c’è tutto un altro mondo che si apre.
  Devo premettere che, a livello di Ragusa, i CAS per donne sono pochi, anche in quel caso penso per un motivo di organizzazione. Ci sono, per esempio, nel trapanese dei CAS solo per donne. Lì ovviamente si potrebbe fare molto di più. Invece a Ragusa ci sono un paio di CAS in cui ci sono famiglie. In questo caso si può lavorare e lavoriamo con più tranquillità, sempre in collaborazione con l'ASP.
  C'erano poi un paio di domande sulla certificazione. Quello che succede al CPSA è che tutte le persone che vengono visitate da noi o dai medici dell'ASP, se hanno dei problemi quando escono e sono trasferite ricevono una certificazione sul loro stato Pag. 14di salute. Tale certificazione viene fornita all'utente, al quale si spiega di doverla trasmettere nella tappa successiva.
  Noi ovviamente lo facciamo solo per quelli che visitiamo e anche in quel caso dipende dal numero. Ci sono situazioni in cui ci sono 300 persone nel centro, che vengono trasferite in due giorni, ed è veramente impossibile vederle tutte. Ci diamo, quindi, delle priorità, che ovviamente sono state concordate con l'ASP, che riguardano i pazienti sintomatici, quelli che manifestano un problema, le donne, perché sono più vulnerabili, e i minori. Poi, se c’è ancora tempo, ovviamente si vedono tutti, ma questo purtroppo succede raramente, perché a volte i numeri sono grandi e i trasferimenti sono frequenti.

  STEFANO DI CARLO, Capo missione Italia di Medici senza frontiere. Giusto per concludere questa parte relativa a come riusciamo a seguire i pazienti anche in seconda fase, io mi ricollego all'altro tipo di programma che abbiamo attuato, ossia il primo soccorso psicologico in caso di naufragi. Esso tocca delle persone estremamente vulnerabili, che hanno vissuto un trauma molto forte da poche ore e che, quindi, hanno una necessità assoluta di avere un trattamento molto più protetto e di essere seguite a volte, in alcuni casi, nelle seconde fasi dell'accoglienza, perché manifestano già sintomi molto forti.
  In questo senso ai nostri operatori, nonostante ci sia stata una collaborazione anche buona, devo dire, delle autorità locali, risulta comunque difficile tracciare dove vanno le persone ed essere sicuri che sia garantito loro un follow-up nelle fasi successive. Noi abbiamo anche discusso col Ministero dell'interno per trovare delle strategie affinché ciò sia possibile, perché sappiamo che questi sono gruppi che vanno tutelati in maniera particolare. Alcune persone sono effettivamente molto esposte ad un peggioramento nelle fasi successive.
  Questo era per aggiungere un punto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Stefano Di Carlo, la dottoressa Claudia Lodesani e la dottoressa Caterina Spisso per il prezioso contributo fornito ai lavori della Commissione. Grazie anche per la redazione del Rapporto sulla condizione di accoglienza nel Centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, consegnato in questa sede. Rinnovando l'auspicio di un'ulteriore collaborazione con Medici senza frontiere, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.