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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III-XIV Camera e 3a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 10 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, sugli sviluppi del processo di integrazione europea (ai sensi dell'art. 143, comma 2, del Regolamento):
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Casini Pier Ferdinando , Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica ... 5 
Scotto Arturo (SI-SEL)  ... 5 
Casini Pier Ferdinando , Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica ... 5 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 5 
Bordo Michele (PD) , Presidente della XIV Commissione ... 5 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 6 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 6 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 11 
Napolitano Giorgio  ... 11 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 14 
Garavini Laura (PD)  ... 14 
Picchi Guglielmo (FI-PdL)  ... 15 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 15 
Scotto Arturo (SI-SEL)  ... 15 
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 16 
Buttiglione Rocco (AP)  ... 17 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 18 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 19 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 19 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, sugli sviluppi del processo di integrazione europea.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, sugli sviluppi del processo di integrazione europea.
  Saluto il presidente della Commissione Esteri del Senato, senatore Pier Ferdinando Casini, il presidente della Commissione Politiche dell'Unione europea della Camera, onorevole Michele Bordo, e tutti i colleghi presenti.
  Avverto che i senatori del Partito Democratico hanno segnalato di non potere prendere parte alla presente audizione in ragione di una concomitante riunione di gruppo sul provvedimento in tema di unioni civili.
  Quest'audizione si tiene all'indomani del significativo incontro a Roma dei ministri degli esteri di Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, che ha prodotto un comunicato congiunto i cui contenuti sono, naturalmente, incentrati sulle preoccupazioni per la tenuta del progetto europeo nel confronto con la crisi che preme lungo le frontiere esterne e con la tentazione di un affievolimento sul versante dei valori fondamentali dell'Europa.
  Questa mattina, l'audizione dell'ambasciatore dei Paesi Bassi sull'andamento del semestre olandese di presidenza ha permesso di approfondire questo tema e di evidenziare il consenso sulla priorità della revisione del regolamento di Dublino rispetto a una modifica dell'Accordo di Schengen, il cui valore simbolico per il processo di integrazione europea è da considerare almeno pari a quello della moneta unica.
  Ciò premesso, fino ad oggi la trattazione parlamentare dei provvedimenti su questioni attinenti l'Unione europea si risolveva o in una procedura burocratica, o in una sorta di «messa cantata», oppure in entrambe le cose mescolate insieme. Questa volta non potrà essere così, sia perché di fronte a due questioni fondamentali, la crescita e l'immigrazione, l'Europa è insieme divisa e in ritardo sia perché il Presidente Renzi ha deciso di affrontare in modo esplicito una serie di questioni.
  Per quello che ci riguarda, condividiamo questa scelta di fondo e riteniamo che la sua ispirazione sia genuinamente europeista, nel senso che o l'Europa cambia passo, oppure il binomio austerità-Pag. 4rigore, che ha prodotto recessione, rischia anche di essere un propellente per il populismo e per l'antieuropeismo.
  Adesso siamo investiti anche da una crisi finanziaria inusitata, mentre è da tempo in atto un misto di terrorismo e di guerra nel Medio Oriente che sta facendo assumere alla questione delle migrazioni dimensioni e caratteristiche del tutto diverse da quelle di alcuni anni fa.
  Dobbiamo allora dirci, rispetto alla questione economica e finanziaria che, se finora l'Unione europea ha tenuto, lo dobbiamo al fatto che Draghi ha fatto svolgere alla BCE un ruolo del tutto diverso dal passato, resistendo alle pressioni provenienti dalla Bundesbank.
  Ciò detto, la questione politica generale, imperniata sulla crescita e sull'immigrazione, si articola anche in alcune questioni più specifiche, che ci limitiamo a elencare: l'attuazione dell'agenda dell'immigrazione; il problema – forse risolto – di come finanziare la Turchia; i margini di flessibilità in sede di finanza pubblica, tenendo anche conto dell'emergenza immigrati e di come conteggiarne la spesa; le misure da adottare per l'insolvenza di alcune banche, visto che la Commissione europea ha escluso la possibilità di utilizzare il Fondo interbancario di tutela dei depositi; il completamento del progetto dell'unione bancaria e, infine, più specificatamente, le misure prese per la prosecuzione dell'attività della società Ilva.
  Poiché condividiamo la scelta di fondo del Presidente del Consiglio, dobbiamo avere anche piena consapevolezza di quanto essa sia ardua, complessa e, per taluni aspetti, pericolosa, ragion per cui dobbiamo attrezzarci sia sul terreno della ricerca di alleanze sia sul terreno dei contenuti. Questo vuol dire rendere molto più incisiva la spending review e riguarda anche alcuni indirizzi della politica economica. Molto francamente, mentre reputo giusto l'intervento sugli 80 euro, ho molti dubbi sull'erogazione di 500 euro per le spese culturali e anche sui 300 euro previsti dal Ministro Poletti.
  Aggiungo anche – retrospettivamente e, quindi, con tutti i limiti conseguenti a un discorso rivolto al passato – che di fronte a una sfida così impegnativa, a suo tempo, più che sull'eliminazione della tassazione sugli immobili, probabilmente avremmo dovuto concentrarci sulla riduzione della pressione fiscale nei confronti del costo del lavoro e delle imprese, questo sì fattore decisivo per la crescita.
  In sostanza, a mio avviso, per rendere più incisiva la nostra richiesta di un mutamento delle linee di fondo della politica economica europea e tedesca, bisogna concentrare, da parte nostra, l'intervento sul taglio della spesa corrente.
  Il Presidente Napolitano, qualche giorno fa, ha svolto una riflessione su due questioni: sul fatto che in Europa non è ipotizzabile un'intesa senza o contro Berlino e sul fatto che, al netto di tutte le iniziative possibili di uno dei gruppi politici fondamentali, per esempio quello socialista, le decisioni o vengono prese d'intesa fra i popolari, i socialisti e magari anche i liberali, oppure si determina una situazione di stallo e di crisi.
  In via generale, queste osservazioni, a mio avviso, sono del tutto condivisibili. Se facciamo i conti con la realtà, vediamo però che nell'Unione europea il problema non è stato e non è certo quello dell'emarginazione della Germania, ma è piuttosto un problema di segno opposto, cioè quello di riequilibrare un eccesso di supremazia che poi, combinato con un eccesso di rigorismo, è una delle cause della crisi attuale dell'Europa.
  Anche per quello che riguarda il Partito popolare europeo e il Partito socialista europeo la situazione, a mio avviso, è paradossale, se andiamo a vedere come sono andate le cose, al di là delle etichette. Finora il Partito popolare europeo è stato del tutto «a trazione tedesca», con un atteggiamento assai remissivo in primo luogo dei partiti italiani ad esso aderenti. Quanto al Partito socialista, non è che esso abbia brillato per iniziativa politica autonoma, visto anche l'atteggiamento della SPD, finora del tutto subalterna alla Merkel per ciò che riguarda la politica europea, e considerata anche la linea degli stessi socialisti francesi. È, quindi, auspicabile Pag. 5che in entrambe queste formazioni politiche europee si riapra un dibattito e che, in effetti, al di là degli schemi tradizionali, si passi a un confronto per linee trasversali sul merito dei problemi, in cui gli schieramenti reali vanno al di là delle divisioni di partito.
  Un'ultima questione riguarda la proposta del ministro unico per l'economia. Francamente, auspicherei la massima cautela in materia. In assenza di un chiarimento sia sulle scelte di politica economica sia, più al fondo, rispetto all'esigenza di superare una storica supremazia del tutto nazionale, questa scelta rischia di accentuare al massimo proprio il monoblocco di potere politico, economico e finanziario che va, invece, superato proprio in nome di un'Europa plurale, anche perché, a nostro avviso, solo un'Europa davvero plurale può approdare allo sbocco federale, che sarebbe invece una fuga in avanti se rimanesse in piedi la realtà attuale.
  Do la parola al Presidente Casini.

  PIER FERDINANDO CASINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Presidente Cicchitto, grazie. Naturalmente voglio dare la parola subito al Ministro, ragion per cui non entro nel merito delle Sue considerazioni, anche perché le condivido parzialmente.

  ARTURO SCOTTO. Noi totalmente.

  PIER FERDINANDO CASINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Mi fa piacere che SEL condivida pienamente, ma io ho molte riserve sulla modalità del nostro approccio nei confronti dell'Europa e soprattutto sulla sua efficacia. Tra parentesi, vorrei far presente ai colleghi che l'alternativa alla Merkel in Europa si chiama Schäuble, ossia Schengen ristretta. Non so se avete chiara la situazione. Diciamo che è un dibattito che va approfondito.
  Prima di cedere la parola al Ministro, non posso, come presidente della Commissione esteri, immigrazione del Senato e come parlamentare, non cogliere l'occasione per riferirgli tutte le preoccupazioni che ho registrato nella mia Commissione, anche nel gruppo di sua appartenenza, per la vicenda del nostro studente ucciso barbaramente in Egitto.
  Noi siamo molto preoccupati. Nell'ambito della mia Commissione siamo convinti che il Governo abbia avuto una reazione giusta e dignitosa anche annullando la missione della Ministra Guidi, ma siamo molto preoccupati che, al di là delle volontà dei singoli, ci possa essere un clima omissivo, che non offre alcuna garanzia di serietà in ordine alle indagini che si stanno facendo.
  Personalmente vorrei anche capire quale tipo di avanzamento in corso d'opera è stato fatto dagli inquirenti italiani con quelli egiziani, perché le notizie che ho dicono che siamo all'anno zero. Pensiamo che questa vicenda non possa ridursi in un modo umiliante per la dignità nazionale e, pertanto, naturalmente, siamo fiduciosi, ma, come ho detto questa mattina, non siamo ingenui.
  Chiediamo, quindi, che il Governo sia particolarmente deciso nel chiedere spiegazioni, utilizzando tutti i mezzi che ha a disposizione. L'Egitto è un Paese amico. Noi confermiamo l'amicizia, ma, proprio perché siamo amici dell'Egitto, pretendiamo che le risposte non siano risposte di comodo.

  PRESIDENTE. Questa questione è stata affrontata dalla Commissione affari esteri e comunitari della Camera ieri, in sede di interrogazioni.
  Do la parola al presidente Bordo e poi, ovviamente, al Ministro.

  MICHELE BORDO, Presidente della XIV Commissione. Grazie, presidente Cicchitto; come Lei diceva nel suo intervento, alcune delle nostre battaglie hanno contribuito, a livello europeo, a cambiare impostazione alla politica dell'Unione, almeno su alcune grandi questioni, come la flessibilità sul tema dell'immigrazione.
  Inizialmente questo sembrava un problema soltanto di alcuni Paesi. Adesso mi pare che anche se non ci sono fino a Pag. 6questo momento soluzioni significative importanti – c’è da fare ancora tanto – sul tema ci sia una consapevolezza maggiore da parte di tutti i Paesi dell'Unione. Speriamo di vincere qualche altra battaglia, che pure stiamo facendo.
  Tuttavia, mi permetto, in questa sede, di esprimere qualche preoccupazione rispetto al fatto che abbiamo forse la necessità di comprendere meglio – è uno sforzo che sicuramente il Governo sta facendo e del quale dirà certamente il Ministro Gentiloni – che cosa sarà dell'Europa nei prossimi anni. Il rischio è che, procedendo su tanti temi a strappi e facendo prevalere gli interessi nazionali sugli interessi generali e complessivi dell'Unione europea, si porti l'Europa verso la disintegrazione.
  Secondo me, la sfida sulla quale dobbiamo puntare è riuscire a far passare, cosa che fino a questo momento stenta ad affermarsi, l'idea che c’è bisogno di un'altra Europa e che occorre, quindi, capire come conciliare, come si diceva, stabilità economica e crescita, come essere più solidali sul tema dell'immigrazione, come costruire maggiore unità in politica estera, come essere più federali; in poche parole, come creare le condizioni per consentire all'Unione europea di fare un salto di qualità per sconfiggere gli egoismi nazionali con i quali, purtroppo, siamo costretti a fare i conti quotidianamente.
  C’è bisogno di rifondare l'Europa. Mi piacerebbe comprendere in che modo diventiamo protagonisti di questa fase, considerato che il rilancio dell'Unione europea per noi è assolutamente fondamentale, non solo per la nostra posizione geografica e per i temi che hanno a che fare con l'emergenza di questi mesi, ossia l'immigrazione, ma anche per le difficoltà economiche che ancora ci sono, per quanto ci riguarda, soprattutto l'alto livello di indebitamento. È evidente che per noi questa diventa la sfida principale e, quindi, è importante comprendere su che alleanze stiamo lavorando e soprattutto che prospettiva pensiamo concretamente di poter realizzare nei prossimi mesi, considerate le difficoltà, che sono sotto gli occhi di tutti in questo momento, per quanto riguarda l'Europa.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Gentiloni.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Comincio semplicemente con due parole per confermare alle Camere l'impegno del Governo su questa orribile vicenda dell'uccisione di Giulio Regeni. Il Governo, come ricordava il presidente Casini, ha reagito immediatamente con fermezza, chiedendo all'Egitto, Paese nostro alleato, l'immediata restituzione della salma e la disponibilità a fornire al pool investigativo che abbiamo inviato lì, composto da investigatori dei ROS e della Polizia, informazioni e collaborazione per concorrere all'accertamento della verità e, ovviamente, una volta individuati, a punire i responsabili di questo crimine. Voglio assicurare non solo al presidente Casini, ma anche a tutti voi che questo impegno sarà fermo e continuo nei prossimi giorni e settimane, augurandoci di poter arrivare alla verità di questa vicenda, davvero tragica.
  Per quanto riguarda il tema della nostra audizione, è utile anche riferire dell'incontro che abbiamo avuto ieri tra i ministri degli esteri dei Paesi fondatori proprio qui a Roma. Abbiamo fatto una foto di gruppo davanti ai Trattati di Roma, un librone di 1.300 pagine. Siamo quasi a sessant'anni – ci arriveremo nel marzo dell'anno prossimo – dalla firma dei Trattati di Roma.
  Nella discussione di ieri è emerso innanzitutto un dato sul quale credo che tutti conveniamo, cioè che certamente l'Unione e il progetto europeo hanno avuto diverse fasi difficili nel corso di questi sei decenni, ma che quello che stiamo attraversando adesso – lo ricordava anche il Presidente Napolitano qualche tempo fa, in occasione del Premio Spinelli al Senato – è davvero forse uno dei momenti più difficili. Pag. 7
  Questo non perché l'Europa non abbia avuto altri momenti di crisi – ha avuto momenti di crisi perfino più accentuati di questi – ma perché si fa fatica in questo momento a individuare un orizzonte. Affrontare un momento di crisi senza aver chiari il traguardo e l'orizzonte, ovviamente, rende la questione più difficile.
  Il momento di crisi deriva, come è ovvio, dal convergere di tre questioni: da un lato, il fenomeno migratorio, collegato almeno in parte al rischio per la sicurezza e, quindi, al terrorismo, nell'opinione pubblica e in parte anche potenzialmente nella realtà; dall'altro, il perdurare degli effetti della crisi economica e della recessione prolungata che l'Europa ha avuto negli ultimi 7-8 anni; dall'altro lato ancora, la vicenda Brexit, che, pur essendo una vicenda specifica, apre certamente una serie di questioni che non riguardano soltanto il rapporto tra l'Unione e il Regno Unito, ma anche diversi rapporti interni all'Unione o tra l'Unione e Paesi terzi.
  C’è una vicenda, per esempio, di cui si parla pochissimo, ma anch'essa delicata, che è quella dei rapporti tra l'Unione e la Svizzera. La Svizzera, che è uno dei tre o quattro principali partner commerciali dell'Italia, in seguito a un referendum, come sapete, ha in corso un processo negoziale molto complesso con l'Unione europea.
  È il concorrere di questi elementi – migrazioni, Brexit e protrarsi degli effetti della crisi – che fa di quello attuale un momento tanto delicato. In questo momento credo che dobbiamo innanzitutto avere chiari quelli che sono per il Governo gli obiettivi di questa fase. Ne indicherei – si potrebbe andare molto oltre – sommariamente tre.
  Il primo obiettivo è quello di battersi per un'Europa che abbia una diversa capacità – sul piano delle politiche economiche – di politiche espansive e di politiche per gli investimenti e che riesca a lasciarsi alle spalle gli eccessi della religione delle regole di bilancio, che non sono stati capaci di evitare le crisi. Quella rigidità non è riuscita nel corso di questi anni.
  Certo, non abbiamo la controprova: se ci fosse stata sin da prima una politica più espansiva, se il quantitative easing all'europea fosse partito prima, se non si fosse limitato alle misure che oggi Draghi è in condizione di prendere, ma ne avesse prese di ulteriori, non abbiamo la controprova che questo avrebbe evitato le crisi che abbiamo avuto, ma certamente abbiamo la prova che la religione delle regole di bilancio non ci ha risparmiato le crisi che abbiamo avuto e che non sono alle nostre spalle. Penso, per esempio, alla Grecia, che continua ad attraversare un momento molto complicato.
  La prima sfida, quindi, il primo obiettivo del Governo italiano, è far sì che l'Europa riesca a indirizzare la propria rotta sul piano economico in un modo diverso, perché il lavoro straordinario che ha fatto la BCE non è sufficiente. Penso che dobbiamo esserne consapevoli.
  Il secondo obiettivo è quello di avere una gestione comune delle dinamiche migratorie. Si tratta di impedire il rischio, che è un rischio abbastanza concreto in queste settimane, in questi mesi e nei prossimi mesi, che decisioni unilaterali di singoli Paesi di ripristino di frontiere – non di intensificazione dei controlli, che, come sapete, sono in atto da diversi mesi, ma di sic et simpliciter ripristino di frontiere – produca un effetto domino, di fatto ponendoci di fronte al rischio della cancellazione di uno dei risultati più straordinari che l'Unione europea abbia portato, ossia la libera circolazione delle persone e il Trattato di Schengen in particolare.
  Non si torna indietro da decisioni di questo genere. Io cerco di dirlo anche ad alcuni dei miei colleghi che alimentano l'illusione che le chiusure delle frontiere e l'eliminazione di Schengen possano essere delle misure-annuncio per mandare ai migranti un messaggio che dice: «Non ci sono più biglietti gratis per venire in Europa», per poi, mandato il messaggio, riaprire dopo qualche settimana o qualche mese le frontiere e Schengen.
  Attenzione a coltivare questa illusione, perché decisioni di questo genere potrebbero rivelarsi molto difficili da correggere, Pag. 8quasi irreversibili, e avrebbero un impatto economico enorme. Pensate che uno solo dei nostri varchi di confine, quello del Brennero, è attraversato ogni giorno da 85 mila veicoli, di cui 15 mila camion. Stiamo parlando, per le relazioni economiche di un Paese come il nostro basato sulle esportazioni, di una cosa enorme. Ancor più, sul piano del nostro immaginario di cittadini europei, questa sarebbe una cosa gravissima.
  Il secondo obiettivo, oltre a quello di una politica economica espansiva, è quindi quello di una gestione comune del fenomeno migratorio, che dia per scontato che il fenomeno non è episodico e che non esiste una soluzione al problema migratorio come fosse un rubinetto da aprire o chiudere. Esistono diverse misure da mettere in campo per gestire la riduzione dei numeri, l'accoglienza, la ricollocazione dei migranti, il rimpatrio di quelli che non hanno il diritto all'asilo; un insieme di misure volte a salvaguardare Schengen, sia pure con i correttivi negativi dei controlli accentuati che sono in corso in queste settimane e avviando, nel frattempo, una revisione del Regolamento di Dublino.
  Non c’è niente di peggio in una comunità – e questo vale anche per l'Unione europea – che avere delle regole che si sa per definizione non essere applicate perché non sono applicabili e, tuttavia, far finta che siano ancora in vigore e che possano essere applicate. Tutti sappiamo che il Regolamento di Dublino, che prevede che il Paese di primo arrivo, salvo eccezioni, debba accogliere tutti coloro che hanno diritto all'asilo e rimpatriare coloro che non hanno diritto all'asilo, è difficilmente applicabile, con i numeri che abbiamo oggi, da un Paese come la Grecia.
  In Grecia sono entrate l'anno scorso quasi 900 mila persone. Può la Grecia accoglierne e dare asilo a più della metà, a 500-600 mila in un anno ? Può rimpatriarne 300-400 mila ? Questo è Dublino. Mentre manteniamo Schengen, sia pure con le limitazioni che purtroppo sono state introdotte, dobbiamo avviare la revisione di Dublino.
  Il terzo obiettivo è – lo metto tra gli obiettivi importanti, pur potendo apparire una vicenda più specifica – superare positivamente la scadenza del referendum inglese, del «referendum UK» sulla cosiddetta Brexit. Come sapete, c’è una base di trattativa, che il Governo italiano considera come base di trattativa, una base interessante, proposta dal Presidente Tusk. Sarà discussa nel prossimo vertice europeo. Il Presidente del Consiglio ne riferirà alla vigilia alle Camere la prossima settimana.
  Bisogna che sia molto chiaro da parte del Governo italiano un messaggio in due punti. Il primo è – da questo punto di vista, ripeto, la base di Tusk è una buona base, ma con giudizio – che non ci siano concessioni fondamentali su alcuni punti chiave: il sistema del welfare, la libera circolazione delle persone, i poteri rispettivi del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali. È un terreno di discussione.
  Il secondo – attenzione, perché non possiamo sottovalutarlo – è che questa vicenda Brexit, anche se ne uscissimo con la vittoria degli «in», che ovviamente è decisiva per l'Europa e ancor più decisiva per il Regno Unito, il quale corre un rischio micidiale dall'ipotesi di uscita dall'Unione europea, non costituisca un precedente per il proliferare di trattative da parte di altri Paesi. In questo sta anche la delicatezza del negoziato con il Regno Unito. Non possiamo spingerci oltre un certo punto, perché, immediatamente dopo il referendum britannico, avremmo – non voglio nominare i Paesi, ma tutti li potete immaginare – due, tre o quattro Paesi che chiederebbero, magari su altre materie, concessioni rilevanti.
  Questi sono i tre obiettivi su cui credo che dobbiamo fondamentalmente lavorare, e dobbiamo farlo, a mio avviso, con un atteggiamento dal punto di vista politico che ci faccia guardare anche al futuro mentre affrontiamo queste crisi. Qual è l'atteggiamento politico, secondo me ? Sono temi di cui ha parlato, nella sua introduzione, il presidente Cicchitto.Pag. 9
  Il primo punto, la premessa direi, è che, come ripete di frequente il Presidente Renzi, l'Italia, ammesso che sia mai stata considerata tale – può essere accaduto per un breve periodo – non può essere certo considerata un Paese sotto tutela. L'Italia è sempre stata, in questi sessant'anni, uno degli attori chiave del processo di integrazione europea.
  Quando discutiamo con Bruxelles e con le istituzioni europee, non lo facciamo né per un complesso di inferiorità, né perché siamo in cerca di uno «sconticino» su qualche manovra economica, anche se i margini di manovra di bilancio non sono certamente trascurabili. Lo facciamo nella convinzione di essere uno dei grandi Paesi che non solo possono, ma devono concorrere a determinare la rotta dell'Unione europea. Credo che questo sia un elemento su cui il Parlamento e le diverse forze politiche potrebbero convergere: all'Italia spetta il ruolo dell'Italia, che è quello di essere uno dei due o tre Paesi nella zona euro che hanno insieme, pur essendo tutti i Paesi fondamentali nell'Unione, l'onere e il privilegio di potere e dovere concorrere a indicare la rotta.
  In che direzione indicare la rotta ? In una direzione europeista. Questi sono i fondamenti della nostra Costituzione materiale, come Paese. Abbiamo sempre scommesso sull'orizzonte europeo e sull'orizzonte dell'integrazione europea come un orizzonte quasi costitutivo e fondativo della nostra prospettiva politica, sapendo tuttavia che oggi questo europeismo è un europeismo che deve abbeverarsi a dei risultati.
  È sempre più difficile, oggi, tenere separati i valori dell'europeismo e i risultati nelle sfide – prima ne ricordavo tre, gli obiettivi sono politica economica, gestione delle migrazioni, modo di stare insieme; vi tornerò poi nell'ultima parte di questo mio intervento – che sono fondamentali per alimentare e dare forza e credibilità al nostro europeismo.
  Sono fondamentali, ovviamente, anche le dinamiche di alleanze. Questo non è un lavoro che si fa da soli. È molto difficile stabilire una geometria rigida in termini di alleanze in Europa, perché non c’è un bipolarismo politico all'italiana, come se ci trovassimo nei nostri bipolarismi, da una parte e dall'altra. C’è certamente una dinamica politico-culturale delle cosiddette famiglie politiche con diversità al loro interno. C’è una dinamica tra Paesi. C’è una dinamica tra nord e sud dell'Europa. Noi ci troviamo su alcune delle sfide di cui parlavo prima, certamente in una posizione, per fare l'esempio della Germania, molto diversa da quella tedesca, mentre su altre delle sfide di cui parlavo prima ci troviamo in una posizione molto vicina a quella tedesca.
  Questa è la realtà dell'Europa. Sarei, quindi, molto attento a semplificare la nostra politica di alleanze. Si tratta di un lavoro di costruzione continua di alleanze, che deve avere fermo l'orizzonte europeista e gli obiettivi in cui questo orizzonte deve e può declinarsi.
  Credo che ieri, da questo incontro dei sei Paesi fondatori sia venuto un messaggio politicamente e culturalmente rilevante. È chiaro che, se qualcuno si aspettava che questo incontro risolvesse i problemi dell'Unione europea, viveva su un altro pianeta, ma non credo che nessuno si aspettasse una cosa di questo genere. Che cosa ci si poteva aspettare e qual è il motivo per cui ho promosso questa iniziativa ? Il motivo è quello di lanciare un messaggio. Il Ministro tedesco Steinmeier ha dato una sveglia, un wake-up call. Si tratta di un messaggio che dice che nella discussione europea non c’è solo il moltiplicarsi degli elementi di critica e di crisi, ma c’è anche il richiamo ai valori fondamentali delle conquiste realizzate e della prospettiva futura.
  C’è, tuttavia, qualcosa in più di questa scelta di prospettiva, che io ho trovato molto utile nella riunione di ieri, devo dire, cioè una condivisione tra quei sei Paesi – non vi sfugge che tra quei sei Paesi ci sono i tre principali Paesi della zona euro, ossia Italia, Francia e Germania – della necessità di affrontare senza scelte di singoli Stati la questione migratoria. Vi è la necessità di affrontarla senza scelte di singoli Stati, senza esclusione di singoli Pag. 10Stati e con un orizzonte comune. È poco, è tanto ? È la base su cui si costruisce oggi una politica migratoria comune e io ho trovato importante che sia condivisa.
  Infine, lo dicevo all'inizio: l'Europa ha attraversato diverse crisi e ne è uscita. C’è anche una retorica europea che dice che nei momenti in cui l'Europa si trova sull'orlo della caduta ritrova il suo slancio. Preferirei non provare questa ebbrezza. Cerchiamo di costruirla al di là dei precedenti e della speranza. Sicuramente, però, serve un orizzonte politico-strategico.
  Personalmente non ho mai creduto all'idea che davvero l'Europa sia andata avanti per progressive integrazioni funzionali nel corso di questi sessant'anni. Certo, questo è il linguaggio ufficiale dell'Europa. Partiamo dal carbone e dall'acciaio, dal mercato comune e da quello che possiamo integrare, ma è evidente che c'erano degli elementi di traino straordinari. Per una determinata fase erano, banalmente, l'uscita dalla guerra e la necessità di costruire condizioni di pace tra i Paesi che si erano combattuti. Per una seconda fase sono stati la fine della Guerra fredda e la spinta a dare un assetto nuovo all'Europa nel suo insieme.
  Oggi credo che abbiamo bisogno di alimentare le nostre convinzioni europeiste di nuovo di una consapevolezza strategica. Qual è la consapevolezza strategica ? È il ruolo che l'Europa, se fa dei passi in avanti sul piano dell'integrazione, può avere nel mondo globale. È inutile che lanciamo continuamente l'allarme sulla sicurezza, sull'instabilità del Mediterraneo, sulla mancanza di un ordine regionale, perché non sono più una o due superpotenze a garantire quest'ordine, e sul rischio per i nostri valori, i valori in cui crediamo, come i diritti umani e il rispetto della legge, e poi sfuggiamo al piccolo problema che, per affermare tutto questo, sarebbe necessario un attore con la forza, la consistenza e la capacità di leverage dell'Unione europea.
  Questo è, a mio parere, l'orizzonte che traina gli obiettivi che dobbiamo porci in termini di unione bancaria, di unione fiscale, di ruolo dell'Unione in termini di politica estera e di difesa, concludendo con un interrogativo che è stato molto presente, moltissimo presente, in questo incontro dei sei ministri degli esteri di ieri: se questo orizzonte, che giustifica nel mondo globale di oggi l'assoluta necessità di un'Europa più forte e più unita, sia un orizzonte che può semplicemente convivere con l'Europa a ventotto di oggi.
  Se non superiamo le tre crisi, se non raggiungiamo i tre obiettivi che dicevo all'inizio, ovvero economia espansiva, migrazioni in comune e superamento dell'ostacolo Brexit, credo che avremo problemi più complicati da affrontare. Se, invece, riuscissimo a gestire in senso positivo queste gravi crisi, avremmo le premesse per ragionare, e dobbiamo cominciare a farlo, senza aspettare, sul futuro.
  Il futuro – questa è la mia opinione – consiste nella sfida di come dare un senso politico e istituzionale all'inevitabile differenziazione che c’è, e che non può che esserci, nell'Europa a ventotto. La differenziazione non è una scelta. La differenziazione è una realtà. I Paesi dell'euro sono diciannove su ventotto. I Paesi di Schengen sono poco più della metà dei ventotto. I meccanismi di opt in e opt out sono a tutti noti nelle dinamiche europee.
  Il problema non è aprire varchi a questa pericolosissima e minacciosa differenziazione. Il problema è governare la differenziazione, sapendo che la differenziazione è nelle cose di un'Europa a ventotto, che, dopo la caduta del muro di Berlino, di fronte all'alternativa – se così la vogliamo semplificare – tra intensificare e allargare, ha fatto una scelta che andava un po’ in entrambe le direzioni, ma alla fine ha intensificato, in una geometria diversa da quella dell'allargamento, ragion per cui si è creato questo contesto.
  La ricetta non è, anche se capisco che questa venga attribuita dai giornali perché è una formula antica ed efficace, quella di un'Europa a due velocità, perché il concetto di Europa a due velocità presuppone che ci sia una parte più lenta che prima o poi raggiungerà la parte più veloce. Non credo che il Regno Unito voglia adottare Pag. 11l'euro nei prossimi anni, almeno prevedibilmente, o che lo vogliano fare altri Paesi europei. Il punto non è l'Europa a due velocità. Il punto è come dare – ripeto – senso e assetto istituzionale al fatto che possano convivere gli attuali livelli di integrazione economica e di mercato unico, magari rendendoli anche più efficienti, e un gruppo di Paesi che condivide fino in fondo l'ideale di una sempre più stretta integrazione. L'Italia è tra questi, ma, proprio perché è tra questi, deve concorrere alle soluzioni di questa convivenza tra livelli di integrazione diversi, che sarà la sfida del futuro per l'Europa, e lo sarà naturalmente nella misura in cui saremo in grado di superare le minacce e le crisi dei prossimi mesi.

  PRESIDENTE. Noi abbiamo il consueto problema costituito dall’«assassinio» che viene operato dalla seduta della Camera nei confronti dei lavori delle Commissioni. La questione poi è resa, onestamente, più delicata perché alle 16.15 c’è una ripresa, che prevede la commemorazione del giovane Regeni. Dobbiamo, quindi, regolarci. In questo caso abbiamo un dato che ci stringe in modo più significativo. Ho diversi interventi, ragion per cui chiedo ai colleghi di tenere conto che abbiamo questa servitù, che questa volta ha degli elementi giustificati.
  Cedo la parola al Presidente Napolitano.

  GIORGIO NAPOLITANO. Pensavo di chiederla più avanti, ma non ho difficoltà. Mi associo alla considerazione che mi pare abbia fatto il presidente Cicchitto. Trovo che sia un grave fattore di decadenza dell'istituzione parlamentare il fatto che siamo costretti, anche su temi di questa portata, a riunirci in Commissione negli spiccioli di tempo che si salvano dall'Aula, mattina e pomeriggio. Anche al Senato c’è una seduta molto importante che sta per riprendere, che è quella sulle unioni civili, con votazioni.
  Mi domando se i Presidenti delle Camere possano provare – sembra che non siano riusciti e che a ogni tentativo siano stati respinti – a convincere i rappresentanti dei gruppi parlamentari che bisogna chiedere a deputati e senatori di spendere qualcosa in più delle 30-40 ore settimanali che dedicano al Parlamento, in maniera che ci sia uno spazio decente per discussioni serie nelle Commissioni, le quali sono state il fulcro dell'elaborazione del confronto e del prestigio del Parlamento per decenni.
  Chiudo questa parentesi e aggiungo una parola su Giulio. Mi permetto di chiamarlo solo per nome. È anche un nome che mi è personalmente molto caro. Vorrei chiedermi se siano impegnati seriamente anche i nostri servizi di informazione. Occorre indagare, al di là anche dei rapporti ufficiali tra le autorità di polizia.
  Per me la domanda più problematica, che più mi turba, è se questo giovane splendido, disinteressato, motivato e coraggioso, in qualche modo sia stato assistito o abbia potuto essere seguito nella sua attività, che era culturale e aveva anche un senso politico democratico, o se sia stato lasciato solo, forse lui stesso avventurandosi troppo solo in questo magma che è l'Egitto di oggi. Do, quindi, il massimo di sostegno a qualsiasi iniziativa, come ha sottolineato il presidente Casini.
  Cerco di essere rapidissimo su tutto il resto. Vorrei innanzitutto esprimere il mio apprezzamento per la relazione del Ministro, che condivido interamente – ne sottolineerò solo qualche punto – e anche per il successo dell'iniziativa di ieri. È stata un'iniziativa importante, ne sono convinto. Siamo in un'Europa che è in un turbine di problemi, di fattori di crisi, di interrogativi, di sfide e di minacce. Effettivamente non ricordo mai qualcosa di simile. Non è una crisi, è un intrecciarsi e sovrapporsi di crisi, interne all'Europa e internazionali. Corriamo veramente dei rischi molto seri, che sono stati anche messi in evidenza in questi giorni sulla stampa: penso all'editoriale del professor Giavazzi sul Corriere della Sera.
  In questa situazione è essenziale che tenga il perno dei Paesi fondatori. È molto importante. Anche date le crisi insorte in Pag. 12alcuni Paesi importanti e di grande peso demografico, economico e politico, come la Spagna e la Polonia, i due maggiori Paesi che si potevano collocare accanto ai tre maggiori Paesi fondatori, anche se ponendosi su un altro piano, naturalmente, e il contributo della Gran Bretagna, se non tenessimo fermo questo perno, ci sarebbe veramente molto da temere.
   Avete fatto anche una bella dichiarazione, molto ispirata, concreta e pressante soprattutto, sul tema delle migrazioni. Sono d'accordo che gli obiettivi, nell'immediato e nel breve e medio termine possano essere i tre che ha indicato il Ministro.
  Svolgo un'osservazione sulla questione della politica di austerità. Da un lato, si ha l'impressione che ormai sfondiamo una porta aperta, perché non c’è governo, compreso quello tedesco, che non ripeta che è venuto il momento di dare impulso a una politica di crescita, di crescita dell'economia e dell'occupazione. Dall'altro lato, però, le divergenze sostanziali sul modo di intendere una strategia di crescita, una strategia più espansiva, ci lasciano sempre nell'equivoco. Credo che dobbiamo anche stare molto attenti, perché non basta dire che siamo contro l'austerità, che l'austerità è finita e che l'austerità non paga per avere già un'idea di che cosa possa essere una strategia di sviluppo.
  Faccio solo una prima osservazione: stiamo attenti anche a raccontare la storia dei governi che hanno perduto le elezioni perché hanno fatto, o sono stati costretti a fare, una politica di austerità. Si fa di tutte le erbe un fascio. Quando tra questi Paesi si cita la Polonia, ricordo che la Polonia è il Paese che più è cresciuto nel corso degli ultimi anni. È il Paese che è più cresciuto da tutti i punti di vista. Le cause della caduta del governo di scelta civica e della caduta, già nelle elezioni presidenziali, del presidente Komorowski vanno ricercate in altro. Vanno ricercate in una serie di fattori che sono anche ideali, storici ed emotivi.
  Anche con riferimento alla Spagna, il governo spagnolo ha in qualche modo certamente perso, ma il governo spagnolo aveva potuto contare anche su progressi notevoli dal punto di vista della crescita, più di quello italiano e di molti altri.
  Quindi, non semplifichiamo le cose e stiamo attenti a formulare con serietà il contributo italiano, che è fondamentale, naturalmente. Non si tratta di fare la gara a chi può pretendere la leadership – torno un momento su questo punto – ma di dare effettivamente un contributo propositivo. Credo occorra essere chiari su questa scelta: vogliamo che ci siano politiche di investimento e progetti di crescita e di innovazione soprattutto a livello europeo o pensiamo che tutto si possa risolvere attraverso maggiori margini per fare delle politiche di bilancio espansive Paese per Paese ? Io credo alla prima strada e non alla seconda.
  Si è sostenuto, in un documento firmato dal ministro francese Macron e dal vicecancelliere tedesco Gabriel, che dobbiamo avere dei fondi, comunque li si chiami, attraverso bond che si finanzino sul mercato, per le spese straordinarie, migrazioni e sicurezza. Dobbiamo ottenere dei fondi in nome dell'Unione e perciò ci vuole un'iniziativa che assomigli perlomeno a quella degli eurobond, come una volta si chiamavano e che non hanno mai visto la luce, ma dobbiamo avere anche più risorse nel bilancio dell'Unione. Il bilancio dell'Unione continua a contare su entrate ridicole. Non c’è un sistema di entrate proprie adeguato. Dobbiamo spingere perché il gruppo di lavoro europeo presieduto dal professor Monti porti presto all'attenzione – ne abbiamo avuto solo un'anticipazione proprio in Commissione esteri – le proposte a questo riguardo.
  Sono egualmente d'accordo, e non aggiungo nulla, perché era assolutamente esaustiva, con la parte della relazione del Ministro sulle politiche migratorie. A febbraio abbiamo un altro Consiglio, che ripete le cose del Consiglio precedente e rinvia al Consiglio futuro. Questa è una perdita radicale di credibilità e autorità delle istituzioni dell'Unione. Ci sono delle spinte centrifughe e c’è un'aria di anarchia, con chi chiude le frontiere da una Pag. 13parte e chi le chiude dall'altra. Gli argomenti che ha messo in campo il Ministro Gentiloni sono da me assolutamente condivisi.
  Penso alla frontiera del Brennero. Questo è un esempio di come, oltretutto, ci sia una coincidenza assoluta tra l'interesse nazionale e l'interesse europeo. Questa politica di ritorno ai confini nazionali sarebbe devastante per l'Italia, come Lei ha sottolineato, Ministro. Ricordo che da Ministro dell'interno sono andato al Brennero, nel 1997, quando faticosamente l'Italia fu ammessa a Schengen. Insieme con il ministro degli interni austriaco alzammo la barriera alla frontiera del Brennero. I giovani hanno creduto che fosse un dono di non si sa chi poter circolare liberamente nell'Unione. Che cosa straordinaria è stata l'esperienza di Erasmus. Tutto questo perché c'era il principio della libera circolazione.
  Comunque, ripeto, non insisto su questo tema. Con riferimento a Schengen e Dublino, Schengen è il punto fermo e Dublino è il residuo del passato da eliminare.
  Infine, passando al terzo punto, non ho avuto, onestamente, tempo di rileggere seriamente la bozza Tusk. Mi auguro che non sia necessario e che non sia previsto precipitare appunto un'adozione della bozza Tusk tra pochi giorni, perché non è stata maturata veramente una lettura, non solo da parte mia, ma a livello di leadership politiche nazionali. Dobbiamo stare veramente molto attenti.
  Si pensi che questa questione fu sollevata già nel giugno 2014, nelle conclusioni del Consiglio e che lì si disse che il Regno Unito aveva sollevato alcune preoccupazioni circa il futuro sviluppo dell'Unione europea. Queste preoccupazioni avrebbero dovuto essere oggetto di attenzione. Si diceva, con una perfetta sintesi, che: «(...) il Consiglio europeo rileva che il concetto di unione sempre più stretta consente diversi sentieri di integrazione nei diversi Paesi, permettendo a coloro che vogliono approfondire l'integrazione di andare più avanti e rispettando il desiderio di coloro che non intendono partecipare a nessun approfondimento (...)». Sono dei fondamentali che devono essere rispettati in tutti i particolari, pur avendo un comune interesse.
  Apro una parentesi, e concludo, anche su qualche spunto politico. C’è un interesse assoluto, io penso, dei Paesi dell'Eurozona, dell'Italia, della Germania, della Francia, di tutti noi, ad avere all'interno dell'Unione la Gran Bretagna, ma c’è anche un interesse della Gran Bretagna. Non è un negoziato che l'Unione europea deve affrontare da posizioni di debolezza, col complesso per cui, per i guai che già ha, è meglio evitarne un altro, perché dall'altra parte, il primo ministro inglese si gioca il suo futuro politico sul restare nell'Unione, non sull'uscirne.
  Egualmente, nel rapporto con la Germania, rassicuro il collega Cicchitto. Credo di essere stato abituato a fare i conti con la realtà. Non raffiguro scenari idilliaci, ma ne ho parlato perché è cresciuta, ed è cresciuta anche con qualche responsabilità italiana, questa rappresentazione apocalittica di un'Europa dominata dalla Germania e di una Germania che ha un'egemonia soffocante. Poi ci sono gli specialisti che dicono che non è vero, e che quella della Germania è un'egemonia riluttante. Lasciamo stare. Noi dobbiamo porre le questioni che è giusto porre in un rapporto dialettico, anche attraverso posizioni critiche nei confronti della Germania. Anche in quel caso, però, al di là delle apparenze, la Germania ha bisogno di noi come noi abbiamo bisogno della Germania. Non è che oggi ci sia una predominanza indiscussa. Sapete in quali difficoltà politiche si trova la Cancelliera Merkel. Anche qui, discutiamo, discutiamo con accortezza e con capacità di persuasione, cercando sempre di stabilire un equilibrio su cui fondare l'intesa più larga innanzitutto tra i Paesi fondatori e tra i Paesi dell'euro, perché i Paesi dell'euro, anche se verrà poi un momento della verità anche all'interno dell'Eurozona, rappresentano il punto di riferimento essenziale per ogni ulteriore avanzamento, che deve essere anche politico e istituzionale.Pag. 14
  L'amico Cicchitto sa benissimo quanto consideri decisivo il ruolo che ha svolto il presidente della Banca centrale europea, ma, se si è letto il discorso che ha fatto al Parlamento di Strasburgo il 1o febbraio e quello che, pochi giorni dopo, ha fatto sotto forma di lezione, essendo stato invitato a tenerne una dinanzi alla Bundesbank, avrà visto che nessuno ha avuto più coraggio nello sfruttare al massimo i margini della politica monetaria unica, di cui ha la responsabilità la Banca centrale europea. Allo stesso tempo, però, nessuno più di Draghi ha detto chiaramente di essere consapevole dei limiti oltre i quali nulla può la politica monetaria da sola e che non può resistere una così fragile struttura istituzionale a livello di Eurozona.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente Napolitano.
  Ho sei richieste d'intervento, che dobbiamo concludere entro le 16.15. Chi è bravo in matematica mi dice che il tempo a disposizione per ciascun intervento è pari a due o tre minuti.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA GARAVINI. Grazie, presidente. Esprimo apprezzamento per l'intervento del Ministro Gentiloni, il quale sintetizza, da un lato, l'operato del Governo e, dall'altro, gli obiettivi del Governo stesso. Rispetto a una fase di così grande difficoltà che l'Unione europea si trova a vivere, una fase che vede ben sette Paesi avere messo in discussione o avere previsto interruzioni, perlomeno temporanee, dell'operatività delle disposizioni del Trattato di Schengen, una dichiarazione molto netta e chiara da parte del Governo, che si riscontra anche nel suo operato, nell'affermare che vale soltanto l'Europa a ventotto e il «no» a Europe a due velocità, è molto positiva. È molto positiva rispetto a un rischio di Schengen ristretta che ventilava anche il presidente Casini nel suo intervento e anche rispetto al rischio che la Germania si possa esprimere in questa direzione, anche se da questo punto di vista, è tranquillizzante l'audizione dell'ambasciatrice Wasum-Reiner questa mattina, in sede di Comitato Schengen, in cui ribadisce invece, insieme alle dichiarazioni di Schäuble la settimana scorsa, proprio in concomitanza con le dichiarazioni del Governo italiano, un chiaro sostegno al mantenimento di Schengen.
  In questa fase – è importante l'operato e l'intento del Governo – non possiamo di certo lasciare che l'Europa venga messa in discussione, che prevalgano gli egoismi nazionali e che ci sia una chiusura a riccio. Non possiamo lasciare che la paura prevalga ed è, invece, necessario esattamente quello che il Ministro Gentiloni, nel suo intervento, dimostrava nei fatti, cioè che ci sia un rilancio, uno slancio nuovo per le politiche per l'integrazione europea. È appunto questo ciò di cui l'Italia può essere capace e che l'Italia sta mettendo in campo nelle ultime settimane, anche laddove emergono, a volte, toni apparentemente aspri nei confronti dell'Europa e di singoli Paesi.
  Con riferimento a un'integrazione europea, Ministro, sono condivisibili in pieno i tre punti che Lei illustrava per quanto riguarda il raggiungimento di una piena integrazione di politiche economiche e monetarie. È estremamente positivo che l'Italia si ponga come sostenitrice di politiche per la crescita e per l'investimento. È estremamente positivo che si cerchi un'intesa anche rispetto alle politiche migratorie, dando applicazione all'Agenda sull'immigrazione. In particolare, penso alla questione della ricollocazione dei migranti e alla questione della modifica dei Trattati di Dublino.
  È condivisibile anche la posizione sulla questione Brexit. Abbiamo anche tanti nostri giovani connazionali che subirebbero gravi conseguenze nel caso in cui si facessero concessioni eccessive nei confronti della Gran Bretagna nella chiusura di politiche di welfare per i cittadini europei.
  Per finire, non dobbiamo alimentare il concetto secondo cui l'Europa rappresenta un problema. Al contrario, invece, dobbiamo Pag. 15sostenere il fatto che l'Europa è la soluzione dei problemi, ma soltanto laddove siamo in grado di mettere in campo un pieno processo di integrazione europea. Il Governo italiano si sta spendendo proprio in questa direzione. Non possiamo che sostenere questo processo.

  GUGLIELMO PICCHI. Ringrazio il Ministro. Vorrei innanzitutto far notare la novità politica che ci ha offerto il presidente Cicchitto, con le aspre critiche alla politica economica del Governo Renzi, del quale fa parte. Credo che sia un fatto politico nuovo, che va sottolineato.
  Detto questo, l'unica cosa con cui concordo con il Ministro Gentiloni è la drammatica complessità del quadro attuale. Quanto ai tre obiettivi che il Governo si è posto, ossia gestione economica espansiva, gestione comune delle dinamiche migratorie e superamento della Brexit, direi che, se questi sono gli obiettivi, possiamo già scontarli come falliti, perché complessivamente l'Unione europea, ora come ora, non esiste. Se un Paese fondatore come la Francia stessa ha sospeso, seppure temporaneamente, la Convenzione europea sui diritti dell'uomo e sulle libertà fondamentali, di che cosa stiamo veramente parlando ?
  Su Schengen le frontiere ci sono. Inviterei ad andarle a vedere. Basta andare al valico di Kufstein, tra Austria e Germania, dove c’è l'omino che ti controlla il passaporto, al confine tra Olanda e Germania ad Arnhem, al confine tra Germania e Danimarca, al confine tra Germania e Repubblica Ceca a Cinovec. I controlli sono fatti.
  Con riferimento al referendum, vorrei dire al Presidente Napolitano che la bozza Tusk è un fatto, ormai. Non è che la leadership del Regno Unito prenda in considerazione qualcosa di diverso. Vogliono andare a concludere al prossimo Consiglio europeo.
  Credo che il problema che ci dobbiamo porre sia non tanto raggiungere questi tre obiettivi, quanto il dopo, tenendo presente che abbiamo esasperato talmente tanto le opinioni pubbliche europee proprio sul tema dell'Europa che tutti quelli che venivano definiti non partiti eurocritici – non mi riferisco al partito conservatore inglese – ma euroscettici, sono attualmente i primi partiti in tutti i Paesi europei, a partire dagli olandesi, che, come sappiamo, hanno come primo partito nei sondaggi il partito di Geert Wilders, che non è proprio un europeista convinto.
  Penso anche alla Grecia. Abbiamo 40 milioni di nuovi poveri dopo la crisi degli ultimi sette anni, ma la solidarietà europea non c’è, e i greci li lasciamo a se stessi.
  Quale idea di Europa possiamo avere in tutto questo ? Dovremmo cominciare a vedere un modello nuovo, ma veramente nuovo, sapendo che i tre obiettivi non si raggiungono, perché non si discute di politiche migratorie né con la leadership polacca, né con la leadership ceca, e i tedeschi sono interessati ai problemi loro, non certo ai problemi di Lampedusa. L'invito all'Italia è cercare di negoziare quale sia il modello per il dopo, perché gli obiettivi che si è posta sono assolutamente irraggiungibili.

  PRESIDENTE. Grazie all'onorevole Picchi. La critica al Governo Renzi era di aver fatto la stessa cosa che fece a suo tempo il Governo Berlusconi.
  Do la parola all'onorevole Scotto.

  ARTURO SCOTTO. Grazie, signor presidente. Intervengo molto brevemente. Ho apprezzato la relazione del Ministro Gentiloni e mi ha colpito molto una suggestione che ha offerto dell'Europa in positivo, quando dice che non dobbiamo auspicarci che sull'orlo della caduta l'Europa recuperi il suo slancio. Purtroppo, la caduta c’è. Mi verrebbe da citare L'odio di Kassovitz, uno splendido film, con quella metafora del signore che cade da 50 piani e a ogni piano dice: «fin qui, tutto bene». Il problema è l'atterraggio. Ministro Gentiloni, io non vedo la consapevolezza reale rispetto ai rischi di una caduta molto forte. Ci sono delle proposte parziali. Il presidente Cicchitto avanzava una critica rispetto alla proposta del ministro europeo del bilancio. Io penso che il tema del Pag. 16ministro europeo del bilancio, che può essere un passo verso l'utopia federalista degli Stati Uniti d'Europa, debba essere legato a misure vere.
  Mi viene da dire che gli Stati Uniti d'America non sono nati per merito di Washington, ma per merito di Hamilton, il ministro del tesoro, che scelse di fare tre operazioni: la federalizzazione del debito, un bilancio unico federale e la Federal Reserve come prestatrice di ultima istanza. O l'Europa fa questo, o il ministro del bilancio europeo è soltanto un'operazione di maquillage o, peggio ancora, il rischio che paventa il presidente Cicchitto – che condivido – è il consolidamento di un nocciolo duro fondato sostanzialmente sull’austerity e sul rigore di bilancio senza equità.
  Il secondo punto riguarda la Brexit. Condivido molto le preoccupazioni del Presidente Napolitano. Penso che bisognerebbe andare piano, con giudizio. Se vogliamo salvaguardare la necessità di un rapporto con il Regno Unito e far sì che il negoziato vada a buon fine, occorre che ci siano passaggi molto più cauti.
  Soprattutto – la dico così – non possiamo tradire del tutto lo spirito dell'Europa. Leggendo, anch'io molto superficialmente, la bozza Tusk, vedo qualche pericolo sul terreno delle prestazioni sociali, della libertà di circolazione dei lavoratori, del welfare, che davvero, secondo me, hanno un timbro molto chiaro e molto definito, che rischia di essere regressivo.
  Il terzo tema è quello delle migrazioni, e concludo, presidente. Faccio una battuta sulla Turchia. Il Presidente del Consiglio ha tenuto aperto uno scontro con l'Europa rispetto al conferimento dei 3 miliardi, dicendo che devono stare fuori dal computo delle spese del Patto di stabilità.
  È giusto. Tuttavia, anche qui bisogna richiamare la Turchia alle proprie responsabilità rispetto alla tragedia che sta accadendo al confine con i profughi e – mi consenta – anche alla tutela dei diritti umani. Ci troviamo di fronte a una situazione drammatica per i curdi e a una situazione ancora più drammatica sul piano dei diritti dei giornalisti e della stampa libera. O l'Europa è anche questo, o rischiamo di fare passi indietro e, quindi, di non riuscire a calcolare qual è l'atterraggio.

  PIA ELDA LOCATELLI. Spendo una sola parola sulla tragedia di Giulio Regeni. Sono d'accordo con lei, Ministro, che l'atteggiamento del nostro Paese sia stato giusto e fermo. Ha avuto una reazione ferma. È stato giusto mandare il pool investigativo. È giustissimo arrivare alla verità ed è giustissimo punire i colpevoli, ma non possiamo fermarci a questo. Nelle relazioni internazionali, soprattutto con i Paesi che ci sono amici, come in questo caso l'Egitto o, per quanto riguarda la pena di morte, l'Iran, non possiamo non usare queste relazioni commerciali per far sempre passare il nostro messaggio del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto. Dobbiamo usarlo proprio come strumento, sapendo che c’è una tensione chiara e problematica tra affermazioni di princìpi e valori e la Realpolitik. Non possiamo sottrarci a questo, perché se ci accontentiamo della verità, nel caso Regeni, facciamo ben poca cosa.
  Entrando nel merito di questa Sua relazione, proprio questa mattina abbiamo incontrato l'ambasciatore olandese, il quale ci ha illustrato le priorità dell'Agenda di presidenza olandese. Quasi coincidono. L'ambasciatore ha parlato di quattro punti e Lei ha parlato di tre priorità. C'era, in aggiunta, il tema del cambiamento climatico e del partire dalle conclusioni del vertice di Parigi dello scorso novembre, e poi i tre punti coincidevano.
   C'era, però, anche un nodo che ha già messo in evidenza nell'audizione di questa mattina, la nostra diversità. Entrambi, Lei e l'ambasciatore, avete parlato di crescita e di politiche economiche espansive. L'ambasciatore parlava di crescita innovativa, ma, nel capitolo della crescita innovativa, ha parlato anche di politiche monetarie robuste e ha sottolineato la necessità del rispetto degli impegni comuni.
  Conoscendo la posizione dell'Olanda, e non solo dell'Olanda, ma anche del gruppo di Paesi che si ritrovano in questa richiesta Pag. 17di rispetto degli impegni comuni, noto chiaramente una resistenza a staccarsi sostanzialmente – tutti parliamo di espansione e crescita – dalle politiche che abbiamo sempre definito di austerità. Adesso non le chiamiamo più di austerità, ma le politiche sono quelle.
  Lei, invece, ha insistito con forza su questo aspetto, sulla necessità di politiche espansive e di politiche degli investimenti, ma, se i Paesi che sono convinti della bontà di queste politiche ci rispondessero, come Lei ha detto, che non si torna indietro, come non si torna indietro da Schengen ? Sono d'accordo che non si torna indietro da Schengen, ma la nostra fermezza su questo tema potrebbe vedere, quasi allo specchio, la stessa fermezza a non cambiare le politiche di fatto di austerità. È un problema che per me rimane aperto, ma sono d'accordo con lei che tali politiche vadano superate e che da sola la BCE non ce la fa.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Anch'io dichiaro il mio consenso con quello che ha detto il Ministro e anche con quello che ci ha detto il Presidente Napolitano. Spero di continuare sull'onda dei suoi pensieri. Mi permetto, però, un momento di rudezza.
   È chiaro che non ci sono politiche espansive senza disciplina di bilancio. Se qualcuno pensa che l'Unione rinunci alla disciplina di bilancio, non ha capito nulla. Dobbiamo costruire politiche espansive che partano dalla disciplina di bilancio. L'Unione europea non ripudia le politiche di austerità. In quel momento, drammatico, erano l'unica cosa che si potesse fare. Se ti crolla tutto, poi l'espansione non la fai.
  Vorrei domandarle una cosa, signor Ministro. Credo che abbiamo avuto molta flessibilità: 17 miliardi di euro di flessibilità. Il quantitative easing, che vale molto più di 17 miliardi di euro, l'abbiamo tenuto per un'alleanza Renzi-Juncker-Draghi e, un po’ nascosta, Angela Merkel, perché la Germania ha sempre detto di «no» e ha sempre fatto di «sì».   Ha sempre detto di «no» perché Angela Merkel doveva contenere un'opinione pubblica interna che era preoccupatissima di venire a pagare con i soldi dei contribuenti tedeschi quelli che loro immaginavano fossero gli stravizi dei contribuenti italiani. Se Angela Merkel quell'opinione pubblica non l'avesse tenuta ferma e non avesse tenuta ferma Alternative für Deutschland, per dire, non saremmo andati avanti. Pensiamo adesso di fare le politiche espansive rompendo questa alleanza, abbandonando la Merkel e mettendo in difficoltà Draghi ? Lo sconsiglierei vivamente.
  Visto che parliamo di flessibilità, vi è mai venuta in mente una cosa ? La Francia se ne frega. La flessibilità se l’è presa. Noi stiamo a questionare sullo 0,1 per cento di sforamento dei parametri. La Francia sfora tranquillamente di 2, 3 o 4 punti i parametri stabiliti. Perché non le succede niente ? È una domanda che qualcuno fa in Aula, immaginando che ci siano favoritismi per la Francia. Il motivo è semplice: la Francia, quando va a vendere i buoni del tesoro francesi, trova qualcuno che glieli compra anche se non c’è il «bollino» della Commissione europea che dice che il bilancio va bene. Finché trova qualcuno che glieli compra, a torto o a ragione – non so se fa un buon affare – va avanti.
   Ce la sentiamo noi di andare a vendere il nostro debito pubblico in procedura di infrazione ? Se ce la sentiamo, nessun problema: sfondiamo anche noi. Il problema non è l'Europa matrigna o la Germania cattiva. Cerchiamo di evitare questo stereotipo, per favore. Il problema è che siamo deboli, anche se più forti di ieri. Capisco l'entusiasmo di Renzi. È un po’ eccessivo, ma lo capisco. Eravamo anemici fino alla soglia della tomba e adesso abbiamo sicuramente più forza, ma guardate quello che succedeva nelle borse ieri: i denari, nei momenti di crisi, scappano dove pensano di essere più sicuri e scappano dall'Italia, perché ancora ci considerano fragili. Se non ci rafforziamo – di qui l'importanza dell'unione bancaria, che è un fatto europeo, ma è anche un fatto nazionale – ovviamente la nostra possibilità Pag. 18di azione sarà limitata. Sì, quindi, a espansione e politiche espansive come politiche europee.
  Dobbiamo parlare di grandi orizzonti, ma sappiamo che fino al 2017, cioè fino a dopo il referendum britannico, non potremo fare alcuna riforma dei Trattati. Dopo la dovremo fare per tener conto di quello che sarà successo, ma prima sarà impossibile. L'Europa è un meccanismo lentissimo e implacabile: se non parli quando è tempo, non parli più.
  Ci sono alcune scadenze. Il Parlamento europeo ha dato il suo consenso a un bilancio magrissimo, ha detto il Presidente Napolitano, con una condizione, quella di fare una revisione di mezzo termine. Molti, compresi i miei amici tedeschi, questa revisione di mezzo termine vorrebbero lasciarla passare come se non ci fosse.
   Il Governo italiano vuole prendere un'iniziativa ? Adesso un po’ più di soldi li abbiamo e un po’ meno di paura l'abbiamo. Perché allora non rivediamo il bilancio europeo, che – tutti siamo d'accordo – non ha stanziato i fondi necessari, per portarlo in Europa nell'economia della conoscenza ?
   Sulla revisione di bilancio potremmo chiedere i denari per fare la guardia di frontiera europea, che non ci sono, e per fare la politica di espansione europea, la politica degli investimenti, investimenti produttivi, non soldi per spesa corrente, non soldi per trasferimenti, ma soldi per rendere competitive le imprese europee nel mondo e ampliare l'occupazione produttiva, ossia il Piano Juncker.
  Se impostassimo una battaglia sulla revisione di mezzo termine del bilancio, questa sarebbe una cosa concreta e anche gli altri non direbbero: «che cosa vogliono questi italiani ?» È chiaro quello che vogliono: vogliono che si riveda il bilancio e che si stanzino, attraverso la revisione di bilancio, soldi per alcune iniziative europee urgentissime.
  Su Dublino il problema non è che sia sbagliato Dublino. Dublino potrebbe anche andare benissimo. Il problema è un altro: siamo in una situazione di emergenza umanitaria. Il problema non è semplicemente regolare l'immigrazione. L'Europa come fa fronte a un'emergenza umanitaria di proporzioni enormi ? È ovvio che il Regolamento di Dublino vada rivisto, ma c’è più che la revisione di Dublino. C’è la mobilitazione davanti a una situazione assolutamente straordinaria e non prevedibile al tempo di Dublino.
  Vedo che l'onorevole Cicchitto è alquanto nervoso, ragion per cui mi fermo.

  MARIA EDERA SPADONI. Per l'audizione di oggi, nell'ordine del giorno si parlava di: «Audizione del Ministro Gentiloni sugli sviluppi del processo di integrazione europea». Ministro, l'Europa ha fallito. L'Europa ha fallito non solo per la crisi, che anche Lei stesso ha citato. Ha fallito perché è mancato il senso di giustizia e soprattutto il senso del «chi sbaglia paga».
  In questi anni i politici non si sono mai messi in discussione. Io non ho mai sentito, da parte dei politici, delle discussioni su come sia partita questa crisi europea, che cosa sia successo nel 2008, perché Lehman Brothers sia fallita e per quale motivo si sia deciso di salvare un certo tipo di sistema e far pagare tutto alla popolazione, perché questo è quello che è successo. Non si parla di titoli tossici, ma di debito pubblico e del fatto che sono i cittadini europei di «serie B», quelli degli Stati «cattivi», che hanno fatto questo debito pubblico. È colpa loro. Questo viene fuori.
  C’è stato un immobilismo da parte dei politicanti europei, che ha portato al punto in cui siamo adesso e soprattutto un senso del fatto che non abbia pagato nessuno. Per la Lehman Brothers, a parte qualcuno, nessuno ha pagato. Non ha pagato il Governo, che ha permesso che questa crisi finanziaria avvenisse. Non hanno pagato quei governi che hanno permesso che i cittadini europei e i cittadini americani dovessero subire questo tipo di crisi. Non hanno pagato i governi greci precedenti, che avevano truccato i bilanci. Questo è quello che Papandreu aveva detto nell'autunno del 2009. Papandreu Pag. 19ha detto che i Governi greci precedenti avevano deciso di truccare i bilanci. Perché ? Per entrare nel fantastico mondo dell'Unione europea e nell'euro. Questo è quello che è successo. Chi ha pagato ? Hanno pagato i cittadini greci.
  Sa che sensazione forte c’è tra i cittadini europei ? C’è una sensazione di Stati di «serie A» e di Stati di «serie B». Ci siamo ritrovati in periodi storici – penso al 1953, quando è stato condonato il debito pubblico della Repubblica federale tedesca – in cui il debito è stato condonato, e invece no: i cittadini greci devono pagare perché i loro governanti hanno truccato i bilanci per entrare nel fantastico mondo dell'Unione europea.
   Ci troviamo, quindi, in una situazione in cui la gente sente l'ingiustizia di dover pagare qualcosa di cui non ha colpa, perché i cittadini europei non hanno in sé colpa. Quando sento, come ho sentito questa mattina, il «bla bla bla, l'integrazione, dobbiamo fare qualcosa», continuo a non sentire delle politiche certe, delle politiche di salvataggio dei cittadini europei.
  Le faccio un esempio, Ministro, e concludo, perché mi sembra di capire di essere l'ultima, e che manchino cinque minuti al termine dell'audizione. Le faccio un semplice esempio di quello che può voler dire essere una cittadina europea, come me, che ha fatto l’Erasmus ed è orgogliosa di essere europea, ma vorrebbe vivere in un'Unione europea diversa, molto diversa, un'Europa che parta dai concetti di solidarietà, non dai concetti di mercato.
  Come dicevo, le faccio un semplice esempio. La Commissione europea ha deciso di modificare un regolamento UE, il n. 83 del 2014. Questo regolamento UE tratta delle limitazioni di volo. Ministro, io sono assistente di volo. Sa che cosa succederà dal 18 febbraio, grazie all'Unione europea ? Succederà che ci saranno queste limitazioni di volo che verranno ridotte di due ore. Sa che cosa vuol dire ? Vuol dire che, se farò check-in dalle 5.30 alle 5.59, potrò andare avanti per dodici ore, più due ore a discrezione del comandante. Questo vuol dire che, quando Lei prenderà un volo, magari alle 19.30, potrà avere un pilota che atterrerà il suo aereo e che sarà sveglio dalle 4 del mattino. Questo è quello che mi arriva dall'Unione europea. Concludo con questo esempio. Ripeto, purtroppo dal 18 febbraio questa normativa verrà attuata anche in Italia, per grande sconforto mio e del settore che ogni tanto provo, con molta umiltà, a rappresentare in questo Parlamento.
  Concludo anche con un invito: abbiate coraggio di ascoltare anche gli europei, così come fa giustamente l'Inghilterra, che prepara un referendum sulla Brexit. Ritornate ad ascoltare i cittadini europei, quello che hanno da dirvi e quello che stanno subendo grazie alle vostre scelte, alle scelte che avete fatto in questi anni, perché probabilmente, da quello che continuo a sentire, ancora non avete capito quello che vuol dire essere cittadini europei nel 2016.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Gentiloni, per la replica.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Ovviamente, la discussione ci porterebbe molto lontano su questi ultimi temi, ossia la cittadinanza europea e le diseguaglianze. Sono tutte questioni di grande rilievo. Non riesco a entrarci in questo momento, ma credo che i governi debbano essere consapevoli, e il Governo italiano senz'altro lo è, anche dell'ambiente di opinione pubblica in cui si trovano.
  Giusto o sbagliato che sia, quando parliamo dell'importanza strategica della carta dell'integrazione europea – io penso che sia profondamente giusto – non lo possiamo certo fare a occhi chiusi e senza considerare il modo in cui è cambiata la percezione dell'Europa nel corso degli ultimi dieci anni. Questo è un problema che la politica in genere – tutti noi siamo politici – e il Governo in particolare devono porsi.
  Affronto tre punti brevissimi. Uno riguarda la Brexit. Sia Napolitano sia Scotto auspicavano cautela, e cautela ci sarà. Tra Pag. 20l'altro, non sarà scontato il passaggio all'Europarlamento di questa proposta. La cautela, come cercavo di dire, è dettata anche dal fatto di non costituire un precedente che porti poi alla proliferazione di trattative con diversi soggetti.
  Il secondo punto riguarda il tema migratorio. È chiaro che, al di là della discussione se la nostra quota parte per quanto riguarda il Facility Fund per la Turchia fosse conteggiata o meno nel Patto di stabilità, aver contribuito, come era doveroso, a quel Facility Fund ci mette anche in condizione e ci obbliga a verificare il rispetto degli impegni presi, nel senso non solo della gestione dei flussi migratori, ma anche della delicatissima situazione che, in seguito all'incentivazione – deprecabile in questo momento – delle incursioni aeree russe nella zona attorno ad Aleppo, si sta creando nel confine tra la Siria e la Turchia, argomento al quale domani sarà dedicata in buona parte la riunione del gruppo di Vienna che si riunisce a Monaco. Non si capisce più molto la geografia, ma comunque si tratta del gruppo sulla Siria, che domani pomeriggio si riunisce a Monaco e che cercherà di riprendere le fila di una situazione molto complicata, in cui l'intensificazione degli airstrike russi negli ultimi dieci giorni ha creato – va detto apertamente – ulteriori complicazioni. Sia chiaro, però, che quello che succede al confine con la Turchia lo monitoriamo molto fortemente.
  L'ultimo punto riguarda le politiche economiche. Nessuno di noi discute la disciplina di bilancio, questo deve essere chiaro. La forza – credo – anche del modo in cui il nostro Governo può porre i temi delle politiche espansive (chiamiamoli così, per essere brevi), e magari li può porre anche, come diceva il presidente Buttiglione, nell'occasione della revisione del bilancio, è dovuta al fatto che abbiamo sempre messo come premessa il fatto che stiamo nei limiti e nelle regole. Questo autorizza un grande Paese come il nostro a pretendere che i discorsi, che pure sono stati fatti, sul Piano Juncker e sugli investimenti vengano finalmente tradotti in realtà.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Gentiloni e tutti i partecipanti, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.15.