Sulla pubblicità dei lavori.
Bindi Rosy , Presidente ... 3
Audizione della presidente della RAI, Monica Maggioni, e del direttore generale della RAI, Antonio Campo Dall'Orto.
Bindi Rosy , Presidente ... 3
Maggioni Monica , presidente RAI ... 6
Bindi Rosy , Presidente ... 8
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale RAI ... 8
Bindi Rosy , Presidente ... 10
Mirabelli Franco ... 10
Fava Claudio (SI-SEL) ... 11
Nuti Riccardo (M5S) ... 12
Bindi Rosy , Presidente ... 13
Nuti Riccardo (M5S) ... 13
Bindi Rosy , Presidente ... 13
Nuti Riccardo (M5S) ... 13
Bindi Rosy , Presidente ... 13
Mineo Corradino ... 13
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL) ... 14
Bindi Rosy , Presidente ... 15
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL) ... 15
Bindi Rosy , Presidente ... 15
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL) ... 15
Mirabelli Franco ... 15
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL) ... 15
Bindi Rosy , Presidente ... 15
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL) ... 15
Bindi Rosy , Presidente ... 16
Sammarco Gianfranco (AP) ... 16
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI) ... 16
Di Maggio Salvatore Tito ... 18
Bindi Rosy , Presidente ... 18
Ricchiuti Lucrezia ... 18
Bindi Rosy , Presidente ... 19
D'Uva Francesco (M5S) ... 19
Bindi Rosy , Presidente ... 20
D'Uva Francesco (M5S) ... 20
Costantino Celeste (SI-SEL) ... 20
Bruno Bossio Vincenza (PD) ... 21
Bindi Rosy , Presidente ... 21
Vecchio Andrea (SCpI) ... 21
Bindi Rosy , Presidente ... 22
Sarti Giulia (M5S) ... 22
Bindi Rosy , Presidente ... 23
Lumia Giuseppe ... 23
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL) ... 25
Bindi Rosy , Presidente ... 25
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL) ... 25
Bindi Rosy , Presidente ... 25
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL) ... 25
Bindi Rosy , Presidente ... 25
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale RAI ... 25
Bindi Rosy , Presidente ... 26
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale RAI ... 26
Bindi Rosy , Presidente ... 27
Lumia Giuseppe ... 27
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale RAI ... 27
Lumia Giuseppe ... 27
Mineo Corradino ... 27
Bruno Bossio Vincenza (PD) ... 28
Bindi Rosy , Presidente ... 28
Bruno Bossio Vincenza (PD) ... 28
Bindi Rosy , Presidente ... 28
Bruno Bossio Vincenza (PD) ... 28
Bindi Rosy , Presidente ... 28
Maggioni Monica , presidente RAI ... 28
Bindi Rosy , Presidente ... 28
Maggioni Monica , presidente RAI ... 28
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale RAI ... 29
Bindi Rosy , Presidente ... 29
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROSY BINDI
La seduta inizia alle 16.10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione della presidente della RAI, Monica Maggioni, e del direttore generale della RAI, Antonio Campo Dall'Orto.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della presidente della RAI, Monica Maggioni, e del direttore generale della RAI, Antonio Campo Dall'Orto, che sono accompagnati dal responsabile delle relazioni istituzionali esterne, Giovanni Parapini.
Ricordo che la Commissione ha dedicato una costante attenzione al rapporto tra il mondo dell'informazione e le mafie, che è stato affrontato anche sotto molteplici profili nella relazione, la prima che la Commissione antimafia abbia mai dedicato all'argomento, predisposta dal vicepresidente Fava e approvata dalla Commissione e dalla Camera dei deputati nella seduta dello scorso 5 agosto e successivamente nel mese di marzo.
L'audizione odierna è dedicata a un chiarimento, di cui la Commissione ha avvertito urgentemente l'esigenza, sui criteri e sulle motivazioni che stanno alla base della scelta della RAI di ospitare un'intervista del figlio di Totò Riina, in concomitanza con la pubblicazione del suo libro, nella puntata della trasmissione Porta a Porta andata in onda ieri sera su Rai 1.
Il figlio di Totò Riina non è solo il figlio del capo dei corleonesi, il clan più sanguinario della storia di cosa nostra siciliana. Tanto sarebbe bastato perché la RAI affrontasse la vicenda con maggiore prudenza. Giuseppe Salvatore Riina è stato condannato a otto anni e dieci mesi per associazione mafiosa, peraltro venendone considerato non un semplice associato, ma uno dei promotori, cioè uno di coloro che promuovono, dirigono e organizzano l'associazione.
Ricordo che una questione analoga si era posta in occasione della puntata di Porta a Porta andata in onda lo scorso 8 settembre 2015, in cui furono ospitati in studio alcuni esponenti del clan Casamonica.
Della vicenda la Commissione si era prontamente occupata nella seduta del 23 settembre 2015, in cui fu ascoltato al riguardo Giancarlo Leone, al tempo direttore di Rai 1. Voglio qui ricordare le sue parole, perché fu un'audizione molto franca.
Dopo uno scambio ritenuto dallo stesso direttore Leone ricco di argomentazioni, il direttore pronunciò queste parole: «Se io vengo in questa Commissione, come ho detto in altri casi, a dire che quello che è successo apre per noi una questione interna molto importante e che tutto questo non potrà non essere foriero di importanti decisioni al nostro interno, mi pare che questo già di per sé debba essere da voi percepito come un fattore importante. Se io avessi detto che il programma aveva queste finalità, che si è svolto in questo modo, che sono state dette queste cose, che sono state fornite queste risposte e mi fossi Pag. 4fermato a questo, allora capirei il vostro disappunto, ma credo di dover rafforzare con ulteriori termini la necessità, che io stesso ho rappresentato, di una riflessione interna. La riflessione interna è fondamentale, sia quando le cose si fanno bene sia quando si fanno male. Noi qui abbiamo avuto più critiche del solito, e non mi riferisco soltanto a voi, che rappresentate le istituzioni, ma anche alla società. Non c'è dubbio che tutto questo sarà oggetto di riflessione. Non c'è dubbio che in riferimento ai tanti criminali e ai tanti personaggi che sono stati ospiti dei nostri programmi – abbiamo avuto spesso testimonianze anche in casa di ospiti – d'ora in poi, quando ci porremo il tema di come rappresentarli, ci ricorderemo di quello che è successo e delle vostre parole».
Devo dire alla presidente e al direttore che noi avevamo intenzione già in quell'occasione di ascoltarvi. Soprassedemmo, perché ci sentimmo rassicurati dalle parole del direttore. Io in particolare mi permisi di dire che avevo capito, conoscendo la formazione del direttore Leone, che aveva detto molto nell'affermare: «faremo una riflessione interna, perché questa vicenda non potrà non avere conseguenze». Vi facemmo affidamento. Io dissi: «Quello che è accaduto costituisce e costituirà elementi di riflessione anche per il futuro».
Questo è il motivo per il quale ieri mattina questa Commissione, che aveva ricevuto dal direttore di Rai 1, anche se non è più in questo incarico, l'assicurazione che non si sarebbe ripetuto un secondo caso Casamonica, aveva chiesto alla RAI di rinunciare alla messa in onda. Lo feci io con una dichiarazione alle agenzie, che però fu condivisa da interventi di altri componenti di questa Commissione.
Si sono levate molte voci severe di protesta. Lo hanno fatto i familiari delle vittime: la famiglia Borsellino, la famiglia Falcone, la famiglia Dalla Chiesa. Lo ha fatto il responsabile della principale associazione di lotta alla mafia, don Ciotti, ricordando la recente Giornata delle vittime, alla quale peraltro la RAI ha dedicato un'ampia cronaca, che è durata più di un giorno. Questo va riconosciuto e lo diciamo con molta convinzione. Ha parlato il Presidente del Senato. In ultimo, il Presidente della Repubblica, nel modo sobrio ed elegante con il quale si esprime, ha espresso il suo dispiacere. Credo che questa parola sia stata usata con attenzione.
Noi siamo un Paese così. Presidente Maggioni e direttore Campo Dall'Orto, in questa Commissione ci sono due figli di vittime di mafia e un nipote di vittima di mafia. Il nostro è un Paese nel quale questo è un problema estremamente sensibile.
Dalla sua intervista ad Avvenire di oggi, così come da alcune notizie che hanno riferito delle preoccupazioni da parte del direttore, noi abbiamo capito che voi vi siete posto questo problema.
Da qui nasce una prima domanda. Di fronte a un disappunto così evidente, per non parlare dei sondaggi sui social e sui siti di vari giornali di diverso orientamento, e visto che voi stessi avete avuto dei dubbi, perché poi avete deciso di andare avanti o non siete riusciti a fermare questa trasmissione? Questa domanda ci sorge e vorremmo avere una risposta.
Vorrei andare avanti. Ieri sera io non ho visto la trasmissione – lo confesso – per non aumentare lo share, che peraltro è stato abbastanza alto per quell'ora. Se guardate l'ora e guardate gli altri share di Porta a Porta nella stessa fascia oraria, è stato alto.
D'altra parte, con il canone legato alla bolletta della luce, o spegniamo la luce o scegliamo altri modi. Io ritengo che questa sia stata una scelta giusta da parte del Governo.
L'ho registrata e l'ho vista con calma questa mattina. A mio avviso, non è stata l'intervista di un figlio sul padre, ma è stata l'intervista di un condannato per mafia, come ho ricordato poc'anzi, addirittura intercettato prima dell'arresto mentre passava davanti alla stele di Capaci; aveva anche formulato pesanti giudizi contro Falcone e la sua scorta, poi smentiti.
È figlio del capo di cosa nostra, un capo che ancora pochi mesi fa lanciava messaggi inquietanti di morte dal carcere contro Nino Di Matteo e contro don Ciotti. Pag. 5
È stato evidente che il perimetro delle domande era stato fissato da Riina e dall'editore, che lo ha addirittura affermato ieri sera in una trasmissione radiofonica. Riguardava il libro, che già nel titolo ammicca a una visione mitica e falsa delle famiglie mafiose. Si trattava, perciò, di fare un'intervista che non avrebbe toccato la vera realtà di cosa nostra.
Nasce una domanda: quali sono state le condizioni poste da Riina per rilasciare l'intervista? Mi costa porre questa domanda: è stata gratuita o ci sono state delle spese? Quale conoscenza della mafia, rivendicata dal conduttore in apertura di trasmissione, si pensava di offrire con un'intervista già concordata, che – posso dirlo – non è paragonabile, come alcuni fanno, ad altre interviste svolte da giornalisti d'inchiesta anche in sede di RAI?
In realtà, Riina è stato reticente e omertoso persino sul suo privato: non una parola sulla provenienza del denaro con cui si manteneva la famiglia. Ha raccontato menzogne sui pentiti, a cominciare da Brusca, senza essere contraddetto. Ha attaccato il sistema dei collaboratori di giustizia e mandato un messaggio pericoloso e inquietante.
Ha di fatto negato l'esistenza della mafia: «Non so cosa sia. Oggi la mafia può essere tutto e nulla. Tutti uccidono, non solo la mafia uccide e traffica droga».
Ha insomma prestato il fianco al negazionismo. Uso questa parola, anche se qualcuno l'ha criticata. Questo è negazionismo del fenomeno mafioso. È riduzionismo della mafia, da cui le organizzazioni criminali di questo Paese traggono forza e consenso sociale.
Non possiamo non chiederci se in questa fase di riorganizzazione di cosa nostra in Sicilia queste affermazioni non siano segnali indirizzati ai clan e ad altri interlocutori e intimidazioni e minacce ai collaboratori e ai testimoni.
Le parole sono pesantissime: «i pentiti non pagano – non è vero – i pentiti tradiscono». Così vengono definiti dai mafiosi. Questo è un messaggio, altro che parlare del padre!
Vengo al terzo punto. L'annuncio di una seconda puntata riparatrice che andrà in onda stasera ci sembra un messaggio gravissimo. Fa passare per la seconda volta l'idea che ci possa essere la par condicio tra la mafia e la lotta alla mafia, fra la legalità e l'illegalità, tra il carnefice e la vittima, tra chi attenta alla democrazia e alla legalità e chi lo combatte.
Voi siete esperti di comunicazione e sapete meglio di me quanto sia più efficace un figlio che parla di un padre rispetto a un ministro che parla di azioni di governo, per quanto sia incisivo nelle sue parole.
Non portano bene le puntate riparatrici alla RAI. Me ne è venuta in mente un'altra al contrario, quando Saviano nella trasmissione di Fazio pronunciò le famose dieci parole e Maroni chiese una puntata riparatrice, nella quale disse che non esisteva la mafia al nord. La mafia al nord, infatti, non esiste. Quella puntata riparatrice è servita ad affermare che la mafia al nord non esiste.
Ci chiediamo se la trasmissione di questa sera possa essere un rimedio peggiore del danno.
La presidente della RAI, nell'intervista di questa mattinata ad Avvenire, ha affermato che i diritti d'autore del libro potrebbero essere devoluti ai familiari delle vittime. Non so se questa idea verrà accolta dall'autore e dall'editore. Credo che le vittime non riceverebbero volentieri questi soldi, però provo a dire una cosa, presidente: perché la RAI non devolve alle vittime l'introito pubblicitario di quella puntata, che forse potrebbe aiutare?
Infine, quell'intervista ha avuto un seguito in studio, una sorta di processo all'antimafia, un attacco doppiamente grave, in primo luogo perché tutto l'impianto della nostra lotta alla mafia ha prodotto straordinari risultati, di cui il nostro Paese può essere fiero. Noi possiamo portare molte cose fuori dall'Italia, molto made in Italy. Un made in Italy che dovremmo portare sono le nostre leggi, i nostri magistrati, le nostre forze dell'ordine, le nostre associazioni antimafia.
È stato espresso un giudizio sommario: «è fallita». Un ragazzo di Addio pizzo ha detto: «Vorrei ricordare che i magistrati e le forze di polizia assicurano...» Il conduttore Pag. 6 ha risposto: «Bisogna dirlo: l'antimafia è fallita».
Soprattutto, affrontando questo tema in modo generico, superficiale e lacunoso, come è avvenuto ieri sera, si vorrebbero legare le mani a tutti, compresa questa Commissione, che sta svolgendo un'inchiesta seria sull'antimafia, per smascherare quella ambigua, quella opaca e quella strumentalizzata e per riconoscere e rilanciare quella sacrosanta.
Noi non possiamo continuare ad assistere alla delegittimazione di Libera perché c'è una Confindustria siciliana che si dimostra collusa in alcuni suoi esponenti, oppure alla delegittimazione di tutto il mondo dell'informazione, che è perseguitato dalla mafia perché ci sono alcuni editori e alcuni giornalisti che sono usati dalle mafie. Questo è un altro punto.
C'è stato anche un riferimento da parte di un giornalista al nostro lavoro sui beni confiscati, che respingo al mittente, perché questa è stata una Commissione che ha fatto un lavoro serissimo su questo tema. Non eravamo noi che avevamo gli strumenti per scoprire la Saguto, ma erano altri, compresi quelli che sono venuti in audizione qua da noi.
Io penso che ci siano delle implicazioni in quello che è accaduto ieri sera. Qui non è in ballo il giornalismo e il non giornalismo, come qualcuno ha scritto, perché la domanda è: dove era l'informazione? Dove è stato un elemento di conoscenza maggiore?
Io ho cominciato come parlamentare nazionale in questa aula. Vi domando: si può ancora parlare di servizio pubblico e della specificità di quest'ultimo rispetto a tutta l'altra informazione in questo Paese?
Io credo che ci sia un modo particolare con il quale il servizio pubblico deve affrontare questo tema. Va benissimo il film straordinario su Lea Garofalo, vanno bene i film su Pisani, vanno bene le puntate sui giornalisti, che hanno dato anche un riconoscimento al lavoro fatto da questa Commissione, vanno bene le trasmissioni di Rai Storia, però quello è un salotto buono ed è la seconda volta che arriva un messaggio deformato.
Io penso che oggi noi ci possiamo chiarire su questi punti. Questo era il senso dell'audizione che avremmo dovuto fare prima e che vogliamo fare: come la RAI, anche in collaborazione con le altre istituzioni, può dare un contributo per la crescita di una coscienza della legalità in questo Paese, per rafforzare in tutti i cittadini la lotta alla mafia, per ricordare il lavoro di tanti che sono in prima linea e di tante persone che hanno lasciato la vita.
Peraltro, il mese di aprile inizia con la strage di Pizzolungo, nella quale muoiono una mamma con due figli, e si chiude il 30 aprile con l'uccisione di Pio La Torre. Entrambe queste stragi hanno un nome: Riina.
Di fronte a un Paese che investe così, la principale azienda culturale di questo Paese... Noi siamo fiduciosi e vogliamo fare insieme questo lavoro, per aumentare la coscienza della cittadinanza, che cresce sulla Costituzione e, come tale, è contro le mafie.
Vi ringraziamo molto per essere qui e per la sollecitudine con la quale avete accolto il nostro invito. Vi diamo subito la parola. Se volete, potete rispondere alle mie domande. In seguito ci saranno le domande degli altri commissari.
Do la parola alla presidente Maggioni per lo svolgimento della sua relazione.
MONICA MAGGIONI, presidente RAI. Grazie, presidente Bindi. Buonasera e grazie a tutti voi per ascoltarci oggi. Farò solo qualche riflessione e tenterò di cominciare a dare qualche risposta alle considerazioni e alle domande della presidente Bindi.
Innanzitutto, vorrei sgombrare il campo da un dubbio: nell'atteggiamento di RAI, nella storia di RAI, nel quotidiano di RAI, non c'è alcun tipo di negazionismo. Lo dimostra quello che facciamo tutti i giorni, lo dimostra il lavoro di migliaia di persone, lo dimostra la nostra programmazione quotidiana da decenni.
Arriviamo a cosa accade ieri. Per me, in base alla mia storia personale, quello che accade ieri può essere guardato almeno da un paio di angolazioni. Da giornalista, innanzitutto mi pongo la domanda; capisco l'attrazione e l'interesse per la storia e il fatto che la storia per un giornalista è Pag. 7sempre una cosa verso la quale si tende. Tuttavia, da presidente devo tener conto, qui con voi oggi pomeriggio, nella mia riflessione e nelle considerazioni che abbiamo condiviso, degli obblighi del servizio pubblico e di quello che quest'ultimo rappresenta nel suo rapporto con il Paese. C'è un contesto e ci sono delle responsabilità.
Come sappiamo, è fondamentale che il rapporto tra il servizio pubblico e il Paese si sviluppi nella sensibilità e nell'attenzione a quello che il Paese rappresenta. Nella storia di questo Paese la ferita mafiosa non è qualcosa del passato, che guardiamo con gli occhi della storia, ma è l'oggi, è il presente, è quello che sta succedendo anche in questo momento mentre noi siamo seduti in quest'aula. È, quindi, evidente che dobbiamo tenere conto di questo contesto.
Raccontare una storia di mafia in un Paese che in questo momento è attraversato dalla mafia merita un'attenzione al contesto. Ciò vale nel servizio pubblico e per i giornalisti del servizio pubblico.
Dico una cosa che abbiamo condiviso, che era nelle parole della presidente Bindi, che è nel nostro lavoro quotidiano e nella nostra programmazione quotidiana, come molte cose dimostrano: la vittima e l'aguzzino non possono, non devono e non avranno dignità pari di racconto. Questo è un punto dal quale non ci si può scostare, a meno che si decida di considerare come notizie che hanno la stessa valenza la mafia e chi lotta contro la mafia. Questo non è possibile nel servizio pubblico.
Tuttavia, è chiaro che rispetto a quello che è accaduto ieri ci si è posto il problema di un intervento a priori, che avrebbe certamente avuto le caratteristiche della censura, per come era stato costruito e per il punto in cui era stato intercettato.
È difficile accettare l'idea della censura ed è difficile applicarla a qualcuno che ha una lunga storia professionale. Forse poteva aver senso. Certo è – lo dico guardando all'interno della mia azienda – che nel percorso che si sta facendo c'è un tema di processi, anche decisionali, che sono stati abbozzati e che non sono ancora arrivati al loro compimento. Probabilmente il direttore ve ne parlerà.
Accolgo quello che affermava nella sua premessa la presidente Bindi. È vero che su certi temi magari vale la pena di dilatare il processo di confronto, il processo decisionale e gli elementi che si sceglie di mettere in campo, perché magari la stessa cosa venga fatta in un modo o in un altro. Ci sono molti modi per fare la stessa cosa.
Ribadisco che il come delle cose – perdonatemi l'espressione – rimane fondamentale. Non c'è una cosa che il servizio pubblico non deve dire in assoluto, ma ci sono modi coi quali il servizio pubblico può affrontare qualsiasi tema. Mi sembra importante rivendicarlo. Lo vediamo tutti i giorni e ne siamo tutti testimoni. La mediazione giornalistica può essere più o meno forte, il contraddittorio può essere più o meno diretto.
Qualcuno vuole ridurre l'antica questione della responsabilità dei giornalisti a registrazione dell'esistente, per dire che esiste una notizia. Le notizie non sono neutre.
È chiaro che nelle riflessioni del giorno, risentendo quel racconto, emergono moltissime cose che lo rendono insopportabile, prima di tutto il fatto di non rinnegare il padre dal primo istante all'ultimo, di non dichiarare che la mafia è esistente e di rilasciare sostanzialmente dall'inizio alla fine un'intervista da mafioso. Questo è quello che il signor Riina ha fatto: ha rilasciato un'intervista da mafioso, quale è.
Guardarci dentro ha senso, ma è importante capire come ci si può guardare dentro. Questo rimane un problema aperto.
RAI non è appiattibile su un'intervista, su un momento, su una scelta o su un personaggio. RAI è la stessa RAI che racconta ogni giorno le storie di chi combatte la mafia, come ha fatto con Cose nostre. Non lo fa ogni giorno, forse potrebbe farlo un po’ più spesso, però racconta con attenzione, con capacità e con giudizio le storie come quelle di Cose nostre, come quella di Giovanni Tizian.
Citavate la mafia al nord. Giovanni Tizian è un signore che qualche anno fa faceva molta fatica ad alzare il ditino e a raccontare la sua storia; poi ci siamo accorti che lo minacciavano e allora abbiamo capito che stava dicendo delle cose serie. Pag. 8
Quella di Giovanni Tizian è una delle storie che RAI ha raccontato su Rai 1, non relegate in un angolo nascosto del proprio palinsesto. Non lo ha fatto per amor di retorica, ma lo ha fatto perché crede veramente in questo. RAI non subisce fascinazioni, non ha incertezze e sa esattamente da che parte stare.
Mi permetta, presidente Bindi. Lei citava la mia frase a proposito del libro che è al centro di questa scena. Io non ho detto: «Diamo i beni alle famiglie delle vittime». Io ho detto una cosa diversa: «Trattiamolo come un bene mafioso, se fosse possibile, perché quello che esce da quel libro è mafia e sono proventi di mafia; diamoli a chi lotta contro la mafia». È una cosa diversa dal pensare di darli alle vittime. Significa dare un valore politico a quel libro. Infatti, io ho il timore che dentro ci sia un valore politico.
Lasciatemelo dire e lasciatemelo dire al plurale: l'unica cosa certa in questa vicenda è che nessuno di noi, nemmeno per un istante, ha pensato di essere incerto sull'atteggiamento da tenere rispetto alla mafia.
La RAI è fatta da 1.800 giornalisti e da 13.000 persone. Per queste persone è chiaro da che parte si sta, e quello che facciamo tutti i giorni ne è una dimostrazione.
Ovviamente siamo disponibilissimi a rispondere e a entrare più nel dettaglio rispetto a quello che è accaduto, ma questo è l'impianto e il quadro alla luce del quale bisogna interpretarlo.
PRESIDENTE. Grazie, presidente. Ci auguriamo che le sue parole ispirino meglio il futuro.
Do la parola al direttore Campo Dall'Orto.
ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale RAI. Ringrazio anche la presidente Maggioni, oltre alla presidente Bindi, per le parole, che condivido pienamente. Da parte mia aggiungerò alcune note rispetto a quello che è accaduto e al contesto in cui è accaduto.
Io credo che noi, come principale editore del Paese, svolgiamo il nostro lavoro quotidiano rispetto alla lotta contro tutte le mafie e in favore della legalità con grande attenzione e con grande passione. In questo senso, mi associo alle parole della presidente rispetto al lavoro che tutti fanno in azienda in questa direzione.
Per riuscire a dare concretezza, oltre alle parole, vi abbiamo preparato una piccola cartella, che raccoglie quello che abbiamo fatto, per esempio, negli ultimi otto mesi. Ripeto che noi abbiamo dato una particolare attenzione a questo tema e che comunque la storia dalla RAI è piena di questo tipo di attività.
Dico questo – sia ben chiaro – non perché non ci possano essere cose che possiamo fare meglio, ma per indicare che anche la decisione di ieri si inserisce in un contesto di un'azienda che non ha nessun dubbio rispetto a qual è il significato del servizio pubblico in un Paese come questo.
Mi riferisco alle storie citate, come quella di Lea Garofalo o quella del sindaco Pescatore; alla Settimana della legalità, fatta con la TGR in tutta Italia due mesi fa; a Era d'estate, il film che, grazie alla distribuzione di Rai Cinema, uscirà, riguardante i giorni passati da Falcone e Borsellino all'Asinara; all'attività di Libera, che mai come quest'anno abbiamo accompagnato il 21 marzo; a Cose nostre e a una quantità di attività che cerchiamo di fare e che continueremo a fare, di più e meglio, perché viviamo in un momento particolare. Entro un po’ nelle dinamiche citate dalla presidente Bindi.
Da direttore generale della più grande azienda di comunicazione del Paese, mi sento di affermare che c'è un tema fondamentale: il modo in cui la narrazione influenza la quotidianità nei comportamenti. Le forme attraverso le quali i messaggi passano sono fondamentali. Questo è un punto centrale.
È per questo che citavo sia programmi di informazione, tipo quello che abbiamo trasmesso il 21 marzo, sia le fiction, tipo quella intorno a Lea Garofalo o il film che sta per uscire. Viviamo in un mondo dove l'attività strettamente informativa non è separabile dal resto. Oggi tutto è comunicazione e tutto trasmette messaggi. L'attenzione Pag. 9 che mettiamo in queste attività è legata a questo.
Arriverò a dirvi, accompagnando le parole della presidente Maggiori, perché siamo in una fase di transizione in questo senso.
Prima voglio dire una parola rispetto alla decisione, sicuramente delicata, di trasmettere il programma ieri, che è legata alle parole che sono appena state dette e al confronto con il direttore editoriale che è a capo dell'informazione RAI, Carlo Verdelli.
Quest'ultimo ha ritenuto che l'intervista fosse giornalisticamente difendibile e potesse contribuire ad aumentare il confronto rispetto a una parte del racconto intorno alla mafia che è meno ovvia e scontata e che, quindi, di per sé potesse aiutare il dibattito su un tema tanto importante.
Voglio aggiungere un elemento. Questa domanda sulla decisione, secondo me, rimanda a un altro tema, che per me è quotidiano: cosa significa gestire un'azienda che ha una tale ricchezza dal punto di vista editoriale. La presidente ricordava che ci sono 1.800 giornalisti, per citare solo i giornalisti, e 13.000 persone.
In questo senso, credo che il mio compito non sia né quello di essere censore né quello di essere l'ultimo decisore di tutto. Ovviamente, sono l'ultimo decisore quando serve, però il tema riguarda il modo in cui questo valore si esprime e dà vita a un'azienda plurale.
Sia ben chiaro che il pluralismo non ha nulla a che vedere con fare un'intervista in cui un mafioso parla da mafioso. Il pluralismo è un'altra cosa. Si tratta di tener conto, quando arriva una trasmissione, che chi l'ha costruita, che ha un'esperienza di molti decenni in azienda, è fermamente convinto che possa contribuire, come ha dichiarato, a combattere la mafia, in quanto conoscerla aiuta a combatterla. Questo è un elemento rilevante nella decisione. Parlo del pluralismo interno, come capirete bene.
È anche per questo che la puntata successiva non va interpretata e non nasce come puntata riparatoria, ma come puntata di approfondimento, perché questo tema non poteva essere esaurito.
C'è un tema fondamentale che è stato sollevato. Io credo che sia un tema su cui occorre lavorare insieme, perché abbiamo dei ruoli che sono necessariamente complementari dal punto di vista delle missioni. Noi lavoriamo più sulla parte che riguarda la comunicazione e dunque è ad essa e alle sue trasformazioni che faccio riferimento.
Cosa intendo dire? Lei è partita giustamente dal caso dei Casamonica. Quella trasmissione fece effettivamente nascere delle riflessioni in me e in chi lavora con me, perché era chiaro che lì dentro c'era un'associazione tra forma e contenuto che portava in maniera palese il contenuto in un contesto scivoloso.
Da lì e dai fatti di Parigi nasce l'esigenza, per me, di riuscire a non vedere come sostenibile la divisione tra intrattenimento e informazione. Da lì nasce l'idea di avere una direzione di informazione che faccia la supervisione di tutto il contenuto giornalistico. Nasce in quei mesi lì. In un mondo che ha elementi di complessità crescenti, che riguardano vari piani, non è più pensabile una tale divisione.
In che senso siamo in una fase di transizione? Siamo in una fase di transizione perché con la direzione informazione (il dottor Verdelli è arrivato esattamente da tre mesi), abbiamo deciso di occuparci prima della parte di informazione giornalistica in senso stretto, ovvero delle testate giornalistiche, per poi – questa fase è prevista dal primo settembre – riuscire ad avere una supervisione che lavori a priori sui contenuti giornalistici, ovunque siano.
È per questo che in questo caso è una decisione che viene presa da lui rispetto a un contenuto che arriva sul suo tavolo, ma domani sarà una decisione che verrà presa con il contenuto che verrà stabilito insieme a quella direzione.
L'unico modo per riuscire veramente ad avere un salto dal punto di vista di questo tipo di contenuti è agire all'origine rispetto alla scelta su cosa fare e su cosa non fare. Questo è un punto fondamentale.
Io mi sento di dire che questo è un punto chiave e lo è – sia ben chiaro – per il servizio pubblico. Mi riferisco al tema delicato che riguarda quello che si chiama Pag. 10in gergo l’infotainment. Io ci ho lavorato per tanti anni.
Chi fa servizio commerciale può solo basarsi sulla propria professionalità e coscienza. Noi, invece, abbiamo una missione che riguarda il servizio che diamo e, quindi, non ci possiamo basare soltanto sulle sensibilità personali, ma ci deve essere un incardinamento su un processo che è necessariamente più attento.
Concludendo, è questa la fase di transizione in cui siamo. È una fase di transizione tanto importante quanto delicata, in quanto io credo che la RAI sia il motore quotidiano dei messaggi rispetto alla legalità. Io credo che quello che fa la RAI non è fatto da nessun altro. Secondo me, lo fa bene e proporzionatamente al suo ruolo.
Per esempio, stiamo trasformando il racconto della fiction, che secondo me è uno degli elementi importanti dal punto di vista del lavoro sull'immaginario, in modo tale che tutte le miniserie e i tv movie siano legati a forti accezioni del servizio pubblico, perché altrimenti non avrebbe senso farli.
Occorre provare a far sì che l'investimento, che è via via crescente in quest'area, trovi espressione in tutte le varie modalità possibili. Cose nostre in prime time è una di queste.
Recepiamo assolutamente quello che lei dice e sicuramente ci impegneremo nel lavoro quotidiano su questi terreni.
PRESIDENTE. Grazie, direttore. La presidente ci ha disegnato il futuro e il direttore ci ha detto che siamo in una fase di transizione. Questa trasmissione è capitata in un momento di transizione. Io voglio sperare che le parole pronunciate l'altra volta dal direttore Leone trovino oggi una conferma e una rassicurazione per il futuro.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
FRANCO MIRABELLI. Ringrazio il direttore e la presidente per essere qui e per altre due ragioni. La prima ragione è aver capito che le osservazioni, le critiche e l'impegno su questo tema della Commissione antimafia e di chi si è esposto in queste ore, criticando la scelta di intervistare Riina, non andavano ascritti al tema della libertà di stampa.
Ho letto discussioni sulla legittimità o meno di intervistare Riina. Nessuno di noi ha messo in discussione questo. Il punto è un altro e mi pare che l'abbiate compreso dalle cose che avete detto: se il servizio pubblico poteva permettersi di intervistare in questo modo, in quel contenitore, con quel tipo di intervista, il figlio di un boss come Riina.
Mi pare che le risposte che ci avete dato siano importanti ed esprimano la disponibilità a una riflessione. Io vorrei prenderlo come un impegno. Dalle vostre parole mi pare di aver verificato che c'è un impegno a fare in modo che queste cose non si ripetano più e che il tema della mafia venga affrontato in contesti adatti e da persone adatte a testimoniare quello che avete detto, cioè che le responsabilità dei colpevoli e la pericolosità della mafia non possono essere messe in discussione, così come non può essere messo in discussione l'impegno del servizio pubblico a contrastare le mafie.
Dico questo perché è evidente che sia la vicenda dei Casamonica sia la vicenda di ieri ci mostrano che il servizio pubblico ha corso il rischio di essere utilizzato da famiglie mafiose, come è successo a Roma, o dal figlio di un boss, per legittimarsi e per lanciare messaggi, come diceva la presidente, senza che ci fosse un adeguato contesto per impedirlo.
L'avevamo detto a proposito dei Casamonica. Era evidente che quell'intervista rischiava di legittimare un potere criminale.
È palese che quelli che sottolineava la presidente rispetto all'intervista di ieri sono rischi reali. Mi riferisco ai messaggi che sono stati mandati e al tipo di comunicazione che il libro e l'intervista vogliono dare a un mondo mafioso che è in difficoltà, grazie ai colpi che ha ricevuto dallo Stato. Questo è il primo tema.
Vengo al secondo tema. Chiedo scusa se insisto. Spero in un impegno affinché queste vicende vengano trattate in contesti Pag. 11giusti e da persone adatte. Io non penso che si possa andare avanti a trattare questi temi e a intervistare queste persone, come se stessimo intervistando l'allenatore di una squadra di calcio oppure un medico.
L'altra volta, quando discutemmo con Leone, io feci un esempio. La sera prima avevo visto una puntata di Porta a Porta in cui lo stesso conduttore aveva – lo dico così, perché è stato così – massacrato di insulti un dottore che aveva detto che non bisognava dare la carne ai bambini. È stato massacrato di insulti! Ho paragonato quell'indignazione all'assenza totale di indignazione da parte dello stesso conduttore sia ieri sia durante l'intervista ai Casamonica. Io credo che questo non debba più succedere.
La presidente Maggioni ha detto una cosa importante. Se c'è la consapevolezza che la mafia esiste, che è cambiata ma c'è, che è pericolosa, che non è un fatto che riguarda la storia o che ci si possa limitare alla descrizione, bisogna sapere che quell'indignazione, quel distinguere chiaramente i buoni dai cattivi è un tema che deve essere in ogni momento sottolineato.
CLAUDIO FAVA. Io credo che la RAI abbia avuto in questi anni e abbia ancora una responsabilità e anche un ruolo straordinario. Lo ha ricoperto con grande senso di responsabilità e con grande attenzione, nel costruire una consapevolezza il più possibile diffusa della lotta contro la mafia, nel racconto giornalistico e non soltanto.
Conosco Verdelli da molto tempo, ho stima professionale profonda per lui e abbiamo lavorato a lungo insieme.
Sono d'accordo con lei, direttore: la RAI c'è e rappresenta una risorsa per tutti, non soltanto su questi temi, ma in modo particolare sui temi sui quali si deve costruire un livello alto di consapevolezza e di sensibilità, che non sempre questo Paese ha avuto. Sono d'accordo anche sul fatto che la narrazione influenza i linguaggi nella quotidianità. Questo è il punto.
L'intervista al figlio di Riina, che è un associato mafioso e che verrà a raccontare la sua qualità di associato mafioso, non la sua condizione di orfano di un padre che non c'è, pretende una narrazione giornalistica. Quella di ieri non è stata una narrazione giornalistica. Non lo è stata per molte ragioni.
Io sono tra coloro che considerano un'occasione da cogliere un'intervista al giovane Riina, esattamente come Peter Arnett, come ricordava la presidente, raccolse l'occasione unica al mondo, ostaggio virtuale in Iraq, di intervistare Saddam. Io ricordo quell'intervista come l'unico momento nella vita di Saddam in cui gli scomparve il sorriso sulla faccia, perché Peter Arnett gli fece le domande che il mondo voleva fargli in quel momento.
Allo stesso modo Joe Marrazzo alla RAI, nel servizio pubblico, fece a Michele Greco le domande che andavano poste a quest'ultimo, capo della cupola mafiosa. Allo stesso modo Sergio Zavoli ha fatto a decine di terroristi le domande che il Paese voleva fare, senza compiacenza, senza aspettare di ricevere il perimetro delle domande possibili.
Questa cosa che ignoravo, che adesso ci ha detto la presidente e che mi era sfuggita, a mio avviso è la negazione di una narrazione giornalistica. Soprattutto se di fronte hai il figlio di Totò Riina, tu non puoi accettare alcuna condizione. Se questo signore è disposto a farsi intervistare, forse per conto suo, per lanciare qualche messaggio o per pubblicizzare il suo libro, le condizioni devono essere dettate dal servizio pubblico e dal mestiere di giornalista. Le condizioni sono che facciamo qualsiasi domanda riteniamo opportuno fare. Siamo in condizione, perché ce lo detta la nostra professionalità, di costruire anche un contraddittorio.
Di fronte alla scomunica nei confronti dei collaboratori di giustizia, il silenzio imbarazzato del conduttore di quell'intervista è la cosa grave, non il fatto che si intervistasse il figlio di Riina.
L'idea che tutti i morti meritano rispetto, espressa in modo volgare e quasi urlata, per dire «Io di Falcone e Borsellino non parlo» merita un punto di attenzione e una capacità di contraddittorio.
Io avrei chiesto, da giornalista, se fossi stato io a fare quell'intervista: «Caro Riina junior, mi aiuti a capire il sistema di potere Pag. 12che tuo padre ha costruito?» Se poi non vuoi raccontarlo, ti alzi e te ne vai, ma io lo chiedo. Voglio capire i denari, le frequentazioni, le protezioni, i segni della politica, i segni dell'imprenditoria che sono entrati dentro quella vita e dentro 23 anni di latitanza. Un giornalista fa questo, se si trova di fronte il figlio di Riina.
Io la considero un'occasione perduta, non la considero una responsabilità della storia, anche recente, del servizio pubblico.
Lei dice giustamente: «Siamo in una fase di transizione e questa fase, quindi, va interpretata per ciò che rappresenta».
Credo che ieri chi intervistava Riina sapesse che il punto non era né produrre indignazione né pretendere da quest'uomo di rinnegare il padre, però, se hai deciso di intervistarlo, hai il dovere di chiedere le cose che il tuo Paese vuole sapere da questo signore.
A questo proposito, raccolgo il vostro impegno, non a evitare che queste cose accadano, ma a chiarire chi decide cosa.
Questa intervista è stata costruita nel format di una trasmissione, che ha i suoi livelli di autonomia, ma che sta dentro al servizio pubblico. Io non so se qualcuno di voi abbia saputo che erano state poste delle condizioni e dei limiti alle domande. Se questo è stato proposto come condizione dell'intervista, io l'avrei respinto.
La prima possibilità è fare un'intervista in cui la danza è condotta da chi fa l'intervista. La differenza sta nelle domande, non nelle risposte. Mi riferisco all'autorevolezza e all'autonomia delle domande, che non devono trafiggere l'intervistato, ma devono pretendere verità o silenzio. Il silenzio è una forma di verità. In alternativa, se siamo di fronte a un Grande Fratello, dove bisogna costruire condizioni oltre le quali non si può andare, allora Riina si va a fare intervistare da qualcun altro.
Io credo che occorra chiarire il rapporto con quella trasmissione e con quel conduttore. Voi avete una straordinaria risorsa: 1.800 giornalisti. Io potrei farvi – non lo faccio, perché li conoscete meglio di me – i nomi di 20, 30 o 40 giornalisti della redazione della RAI che avrebbero saputo fare quell'intervista cento volte meglio e che avrebbero lasciato cognizione precisa e utile al Paese, non su cosa sia la mafia, ma su cosa possa produrre l'omertà, una cognizione negativa della mafia, su cosa sia stato capace di determinare il silenzio della mafia.
Io la considero un'occasione che andava colta, ma anche un'occasione sprecata.
RICCARDO NUTI. Poc'anzi è stato detto che la danza la conduce chi fa l'intervista. Il problema è che, se chi fa l'intervista è colui che ha detto «confezioniamo la trasmissione addosso a Salvo Sottile, portavoce di Fini» in una famosa intervista, questa danza e questa conduzione del giornalista in questione, quindi in questo caso di Vespa, non possono essere di un certo livello quale è quello che la RAI dovrebbe dare come TV pubblica.
Non ho capito e non mi sembra ci è stata risposta alla domanda se è stato pagato il figlio Riina perché ancora non ho chiaro se c'è stata questa risposta.
Mi aspetto ovviamente che, così come è stato questa volta per l'audizione del presidente della RAI e del direttore, con la stessa velocità si possano audire altri soggetti, visti i fatti di cronaca che ci sono in questi giorni, come per esempio quello del Ministro Delrio, per il quale abbiamo chiesto più volte l'audizione.
A questo punto vorrei fare una riflessione con voi: come avvengono le infiltrazioni nei comuni? Lo dico perché noi ci occupiamo di questo. Le infiltrazioni nei comuni avvengono così: magari un giorno c'è un dirigente o un funzionario che è legato alla camorra o alle mafie e che infiltra il comune e magari c'è un consigliere comunale e magari c'è un assessore. Io vi faccio una domanda o comunque vi do uno spunto di riflessione, poi fatelo voi anche con l'aiuto della presidente Bindi. Non vi sembra che questo sistema – prima l'intervista ai Casamonica e ora quella a Riina – possa portare, anche involontariamente, a un'infiltrazione mafiosa in RAI? Ve lo pongo come domanda e come riflessione, secondo me, che va fatta.
A volte, la modalità del sistema mafioso viene sottovalutata perché non si conoscono bene tutti i meccanismi e si pensa Pag. 13che la mafia sia solamente quella della violenza e non quella dell'eleganza e del perbenismo che poi magari fa leggi a favore della mafia, quindi io al posto vostro farei questa riflessione, anche perché sinceramente le osservazioni e le spiegazioni che sono state date sono abbastanza vuote. Non avete detto granché perché avete detto che forse ci lavorerete e che forse non accadrà più qualcosa del genere, ma non avete dato una grande risposta su questo sistema.
Io rimango sorpreso – e chiudo, presidente – di come la TV pubblica trovi il tempo di intervistare il figlio di Riina, facendo la pubblicità al libro e con tutto quello che è stato detto e che non ripeto perché non ne trovo l'utilità. Tuttavia, guarda caso, quando – penso che questa sia una notizia – viene detto «dobbiamo scrivere una porcata», citando testualmente, dal sottosegretario De Vincenti sul caso Tirreno Power che è legato a tutta la questione del petrolio-carbone, la RAI non fa servizi e non manda in prima serata qualcosa su questo caso.
Per intervistare il figlio di Riina, invece, siete pronti a fare la trasmissione. Non riuscite neanche a bloccarla, nonostante le sollecitazioni che sono venute, come penso sia accaduto, praticamente da chiunque. A questo punto mi domando se forse la mafia non sia più forte, riuscendo addirittura a fare la puntata col classico atteggiamento, presidente, del mafioso che, in genere, dice «se lo faccio, che fai?», quindi...
PRESIDENTE. Onorevole Nuti...
RICCARDO NUTI. Ho terminato, presidente.
PRESIDENTE. Non è solo una questione di tempo...
RICCARDO NUTI. Il mafioso fa sempre questo ragionamento: se lo faccio, che fai? Sembra che anche qui sia capitato questo: io faccio la puntata, perché, se la faccio, che succede? In effetti, non è successo niente, perché la puntata è andata in onda e non siamo stati in grado di bloccarla. Alla fine, anche la puntata riparatoria, come mi sembra anche lei abbia accennato, è qualcosa di allucinante perché sembra che le due visioni, mafia e non mafia e lotta alla mafia, possano essere accettate, cosa che invece non può essere. Grazie, presidente.
PRESIDENTE. Per fare questo tipo di argomentazioni non c'è bisogno di scomodare la mafia, altrimenti si fa un favore alla mafia.
CORRADINO MINEO. Io vorrei fare innanzitutto una proposta alla presidente, cioè di sentire anche il direttore Verdelli perché, come ha detto il direttore generale della RAI, anzi l'amministratore delegato della RAI, la decisione di non bloccare la trasmissione è stata presa da Verdelli che è un ottimo giornalista. Lo citava anche il vicepresidente Fava.
È molto interessante per la Commissione sentire le sue argomentazioni perché, a mio modestissimo modo di pensare, che l'intervista sarebbe stata quella che è stata, come ha raccontato benissimo la presidente Bindi, si sapeva prima. Vi ripeto che lo hanno detto anche altri colleghi e che Monica Maggioni lo sa meglio di me.
Nessuno di noi rifiuterebbe un'intervista con Al Baghdadi, ma, se vai a intervistare Al Baghdadi, c'è un forte rischio che Al Baghdadi usi te. Certo, nessun giornalista rifiuterebbe di intervistare Al Baghdadi, ma gli porrebbe tutte le domande che il mondo vuole che si pongano ad Al Baghdadi. Personalmente, se Totò Riina mi dicesse «vieni nel carcere di massima sicurezza e io rispondo alle tue domande», io andrei.
Tuttavia, se uno sceglie di fare l'intervista ai Casamonica, parenti del boss, dopo il funerale del boss, e se uno sceglie di fare l'intervista al figlio di Riina in contemporanea alla promozione di un suo libro in cui parla dell'umanità di papà Riina, lo sa già prima, anche se non avesse concordato le domande. Certo, se le ha concordate, la cosa è gravissima, ma non voglio perdere tempo su questo. Quel giornalista sa già prima quale è il significato e qual è il contenuto giornalistico dell'intervista.
Come ha detto benissimo la presidente Bindi, il contenuto è quello di mettere sullo Pag. 14stesso piano la mafia e l'antimafia, il carnefice e le vittime, e di sostenere che anche Totò Riina è un uomo.
È vero, anche Totò Riina è un uomo e, grazie a Dio, spero che anche il criminale peggiore possa avere barlumi di umanità e di affetto nei confronti dei figli, ma mettere questa cosa in diretta e quella persona sulla stessa poltrona dove poco prima c'era il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti col Parlamento, Maria Elena Boschi, per fargli dire questo significa esattamente fare una scelta giornalistica impegnativa, cioè dire che mafia e antimafia sono sullo stesso piano, per prima cosa.
È una scelta giornalistica che, per esempio, si potrebbe spiegare – ecco perché mi interessa anche Verdelli – qualora noi pensassimo che il carcere duro è diventato una tortura. Qualche matto ci sarà che pensa che il carcere duro per i mafiosi è diventato una tortura, quindi è nell'interesse generale della comunità nazionale, più ancora che tutelare le vittime di mafia, porre questa questione perché ci sarebbe una violazione di un diritto. Tuttavia, se così non è, di quell'intervista già prima si sapeva che cosa sarebbe stata.
Finisco il mio intervento, chiedendo una cosa. Io sono per la massima autonomia dei giornalisti e non faccio neppure differenza fra una buona informazione del servizio pubblico e una buona informazione che non è del servizio pubblico perché il problema è analogo e si porrebbe anche nel caso di una televisione privata. Naturalmente, quest'aspetto si esalta enormemente quando si tratta di servizio pubblico. Voglio dire una cosa, presidente Bindi, siccome c'è stato un accenno che non mi è piaciuto nell'intervento del direttore generale a proposito della fiction. Non trasformiamo la RAI in una cosa che predica bellezza e predica buoni sentimenti perché ammazziamo la RAI e ammazziamo anche il Paese. Certo, parlando a proposito della fiction, ci possono essere interviste scomode, ma devono avere un presumibile valore giornalistico. Il valore giornalistico di questa intervista era appunto di banalizzare la mafia e lo era già da prima.
A questo punto, pur essendo per l'autonomia dei giornalisti, vorrei fare una domanda secca per chiudere il mio intervento. Vorrei sapere se il presidente e il direttore generale o amministratore delegato della RAI, dopo la reiterazione del caso dei Casamonica con il caso di Riina, abbiano o non abbiano ancora un rapporto di fiducia con il direttore e conduttore di Porta a Porta Bruno Vespa.
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Desidero innanzitutto rimarcare la mia totale distanza dalle affermazioni legittime del collega Nuti che, però, rischiano di coprire di senso di ridicolo questa Commissione. Quelle affermazioni sono legittime, però in questa sede sostenere che alcuni programmi della grande azienda Rai vengano confezionati dalla mafia va molto oltre il senso e l'oggetto di questa audizione. Anche sul fatto che questa audizione sia stata convocata ad horas dalla presidente perché ritenuta urgentissima non so che dire.
Mi viene molto facile rimarcare la mia distanza dalle affermazioni del collega Nuti, mentre mi dispiace dover rimarcare la mia distanza da alcune considerazioni che ha svolto la presidente nella sua introduzione perché mi piacerebbe che la presidente, nelle sue introduzioni, rappresentasse tutta la Commissione.
La presidente nella sua introduzione ha utilizzato il termine «negazionismo», riferito alla puntata di ieri sera di Porta a Porta. La presidente ha detto che la RAI è stata sleale perché qui era stata fatta la promessa che non si sarebbero più ripetuti casi analoghi a quello, sempre riferito a Porta a Porta e a Vespa, dell'intervista ai familiari dei Casamonica.
Io credo che noi, forse anche in separata sede, dovremmo riflettere sul ruolo della Commissione antimafia rispetto, per esempio, al servizio pubblico che svolge la RAI. Credo che questa competenza dovrebbe essere della Commissione di vigilanza e voglio rammentare, innanzitutto a me stessa, che «vigilanza» non significa «censura». In tal senso, dovrei proseguire nel dissociarmi da tante altre affermazioni che hanno fatto alcuni colleghi che sono intervenuti prima di me. Pag. 15
Non è che noi, perché ci occupiamo di antimafia, abbiamo titolo o dobbiamo presumere di avere un potere circa i programmi che trattano questo argomento presso la RAI. Noi non abbiamo alcun potere. Lo scriveva oggi – credo – Travaglio che mi fa piacere per una volta citare in positivo. I politici pensano di dover scrivere i palinsesti della RAI? Vi ripeto che vigilare non significa censurare.
Inoltre, soprattutto io prendo le distanze rispetto a tutte quelle critiche che sono state fatte sul modo di condurre l'intervista.
Io ho visto ieri sera Porta a Porta e devo dire che a me ha suscitato tantissima indignazione e sdegno quell'intervista per le risposte che ha dato Riina a domande, secondo me, assolutamente fondamentali. Le domande fondamentali c'erano tutte, cioè quelle su cos'è lo Stato e su Falcone e Borsellino. Vi ripeto che le domande fondamentali c'erano tutte e che l'intervista ha suscitato in me molto più sdegno di tanta retorica antimafia, quindi credo che quelle sull'aggressività del giornalista rispetto all'intervistato siano veramente delle affermazioni che vanno assolutamente oltre i nostri compiti e le nostre funzioni. Fate le vostre critiche, fate articoli sui giornali e esprimete la vostra opinione, ma in questa sede questa questione assume un significato molto diverso.
Io ho preso sul web de Il Fatto Quotidiano un bellissimo articolo del marzo 2012 in cui si raccontava l'intervista del figlio di Bernardo Provenzano, Angelo Provenzano, presso il programma di Michele Santoro Servizio pubblico. La cosa più saliente che fu detta è che Angelo Provenzano si dichiarava fiero del padre.
PRESIDENTE. Era sulla RAI?
PRESIDENTE. C'è una differenza profonda. Certo, io posso criticare Santoro come giornalista, ma non mi sognerei assolutamente di sentirlo, mentre i vertici RAI sono qui perché la RAI è un servizio pubblico, perché noi siamo una Commissione parlamentare e perché l'azionista principale di questa azienda è controllato da questa in «immeritata compagnia».
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Innanzitutto, io mi sono permessa di citare questo episodio perché riguardava appunto il figlio di un mafioso che addirittura si esprimeva in termini fieri nei confronti del padre, quindi c'era un'assoluta analogia con l'intervista di ieri.
Io potrei citare molti altri casi, onorevole presidente Bindi, che riguardano Zavoli e che riguardano Biagi, di interviste fatte nel servizio pubblico, per i quali non mi ricordo di pubbliche indignazioni, quindi eviterei i sorrisini. Non me le ricordo.
La sensazione sgradevolissima che si ha è che, se alcune interviste vengono svolte da giornalisti di una certa area politica, si parla di atto di denuncia civile e di civile condanna della violenza mafiosa, ma, se a intervistare un mafioso, anche nel servizio pubblico, o un figlio di un mafioso o un pentito è un giornalista che non appartiene a quell'area politica oppure – diciamolo chiaro – se è Vespa, via col processo.
È la seconda volta che la Commissione antimafia si scomoda su una cosa a mio avviso di...
FRANCO MIRABELLI. Perché è la seconda volta...
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Ho diritto di esprimere le mie opinioni?
PRESIDENTE. Calma, facciamo finire l'intervento all'onorevole Prestigiacomo.
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Io ritengo che noi in questi anni abbiamo visto scorrazzare, in tutti i programmi, pentiti e mafiosi anche sul servizio pubblico che avevano da dire, per esempio, che Berlusconi era mafioso, ma non mi ricordo di nessuna pubblica indignazione e di nessuna presa di distanza nemmeno da parte dell'onorevole Bindi che è un politico di lungo corso. Io lo ritengo veramente strumentale. Pag. 16
Ritengo che assolutamente sia stato interessante leggere oggi tutti gli articoli della stampa, ma che questa convocazione forse non era nemmeno dovuta, e che sono stati gentilissimi il presidente della RAI Maggioni che ringrazio e il direttore a venire qui.
Io credo che con la RAI la Commissione antimafia debba avviare una proficua collaborazione su tutta quella parte di servizio pubblico che riguarda la diffusione dei comportamenti improntati alla legalità. Io ritengo che si possa dialogare su alcune iniziative, frutto anche del lavoro dei nostri comitati, ma che non ci possano essere atteggiamenti o reazioni di questo tipo su una scelta che liberamente e a mio avviso – ripeto – giustamente la RAI alla fine ha assunto, dato che la polemica addirittura è stata anticipata. Questa volta abbiamo avuto anche il processo mediatico preventivo che secondo me ha fatto anche una grande cortesia a Vespa perché ha solo alimentato la curiosità e lo share.
Vi ripeto che io ho trovato quell'intervista e soprattutto il dibattito che poi c'è stato dopo – sarà perché ascoltare il figlio di Schifani per me è stato un momento di grande emozione – molto più efficaci, dal punto di vista della condanna della mafia, di tutte le dinamiche di solidarietà che non sempre, anche se in molti casi, si creano all'interno delle famiglie mafiose e di tantissima retorica antimafia che risponde al politicamente corretto, ma che poi è servita solo a far fare tante belle carriere.
PRESIDENTE. Onorevole Prestigiacomo, le risponderò alla fine dell'audizione, nel rispetto ai nostri ospiti, perché ovviamente lei ha interloquito con me e non con i vertici della RAI, quindi dovrò risponderle io.
GIANFRANCO SAMMARCO. Prendo spunto dal vocabolario Treccani che definisce il negazionismo come il «termine con cui viene indicata polemicamente una forma estrema di revisionismo storico, la quale, mossa da intenti di carattere ideologico o politico, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia moderna, ma, specialmente con riferimento ad alcuni avvenimenti connessi al fascismo e al nazismo, si spinge fino a negarne l'esistenza e la storicità».
Ho fatto questa citazione perché il presidente Bindi ha dichiarato che Porta a Porta si presta a essere il salotto del negazionismo della mafia, quindi la domanda è: ritenete che quel servizio giornalistico abbia perseguito tale scopo o comunque favorito tale intento?
Secondo punto: è stato intervistato Sindona in carcere, il figlio di Ciancimino è riuscito ad apparire, come ha scritto qualcuno, l'eroe di infiniti programmi TV e di articoli di giornali, Enzo Biagi intervistò Liggio e Buscetta. Ricordo, come elemento di cronaca, che in un altro Paese un attore ha potuto intervistare il più noto criminale colombiano.
Tutto questo si chiama semplicemente libertà di stampa che va difesa e sostenuta e che aiuta i cittadini a crescere, a confrontarsi e a formarsi delle opinioni.
Noi dobbiamo solo assicurare che il servizio pubblico informi correttamente ed offra un buon servizio ai cittadini, sostenendo la professionalità dei giornalisti e non chiedendo loro di abdicare alla deontologia professionale. Solo nei regimi dittatoriali si ha paura della libertà di stampa, delle idee e dell'informazione. Il nostro, grazie a Dio, è un Paese fondato sulla democrazia e sulla libertà, quindi la domanda è: qual è la vostra opinione in proposito?
MARCO DI LELLO. Io ho ascoltato parole di buon senso sia dalla presidente Maggioni che dal direttore Campo Dall'Orto che mi rincuorano e che apprezzo.
Mi dispiace francamente che ci possano essere divisioni fra di noi, in questa Commissione. Sentire l'onorevole Prestigiacomo condividere quanto ha detto Travaglio per me è già una risposta.
D'altra parte, andando nel merito, io chiedo davvero ai vertici della RAI di essere consequenziali perché è evidente a tutti che le tante cose buone che fa la RAI non giustifichino un grave errore: non è che, se uno si comporta bene e poi commette un reato, può dire «del resto, nella mia vita, Pag. 17mi sono sempre comportato bene». Quel reato è sanzionabile.
Prima c'è stata la vicenda dei Casamonica che aveva già comportato un'azione e una convocazione del direttore generale in questa Commissione e c'era stato in qualche modo l'impegno affinché non si ripetessero episodi analoghi. Ieri, c'è stata la vicenda di Riina.
Ora, io dico subito che, da laico e libertario, aborro ogni forma di censura e, non a caso, ieri io ho scelto di non parlare preventivamente, per quanto sollecitato. Parlo oggi, commentando innanzitutto le vostre parole, cioè quelle di addetti ai lavori. Lo dico alla presidente e al direttore.
Faccio mio il vostro competente giudizio appunto perché il mio mestiere non è fare il censore. Posso esprimere un'opinione da telespettatore, ma, da parlamentare e da rappresentante dei cittadini, rispetto all'operato dell'azienda pubblica, io mi rimetto innanzitutto a quello che è il vostro giudizio.
Voi avete parlato di un'intervista a un mafioso fatta da mafioso, dunque di un grave errore giornalistico perché così lo possiamo tradurre. Inoltre, ho sentito – e ne sono felice – prendere le distanze da ipotesi di una puntata riparatrice, visto che già anche su questo abbiamo un precedente molto negativo.
È evidente che l'azienda pubblica deve fare un servizio pubblico. Tuttavia, sponsorizzare il libro di un mafioso o del figlio di un mafioso può definirsi servizio pubblico? Appunto, lo hanno detto la presidente Bindi e prima di me l'onorevole Mirabelli e l'onorevole Fava: si mettono sullo stesso piano mafia e antimafia. Fare una puntata con i mafiosi o i filomafiosi e poi la puntata successiva con quelli dell'antimafia significa, in qualche modo, metterli sullo stesso piano.
In merito, io so bene che saremo tutti quanti d'accordo a non condividere questo approccio e a considerarlo un errore, ma questo è il messaggio che si rischia concretamente di dare all'esterno.
Approfitto di quest'occasione, anche se mi limiterò, altrimenti apriremmo un dibattito infinito, per dire, da cittadino prima ancora che da parlamentare, che, quando si ascoltano parole come «l'antimafia è fallita», io considero questi ragionamenti – me lo lascino dire il direttore e la presidente – l'ennesimo cedimento al populismo che tutti i giorni ascolto anche nelle trasmissioni di Stato.
Lo dico perché io credo che sia doveroso pretendere, almeno dall'azienda di Stato, competenze dei giornalisti, capacità di entrare nel merito e – posso dirlo – anche la capacità di rinunciare a mezzo punto di share. Non facciamo la TV commerciale, ma facciamo l'azienda di Stato, dunque non dobbiamo necessariamente rincorrere sempre il roboante o fare demagogia e alimentare populismo, nella speranza di guadagnare mezzo punto di share. Almeno io penso che questo rischi di fare a cazzotti, in molte occasioni, con il servizio pubblico.
Concludo davvero dicendo che mi pare venga giudicata anche da voi errata la scelta di ieri nella forma e nel merito, il che non doveva più succedere perché così ci aveva assicurato all'epoca il direttore generale o il direttore di rete. Non lo ricordo e ha poca rilevanza perché era a nome dell'azienda. Si trattava, comunque, del direttore Leone.
Questo non doveva più succedere ed è successo.
Io penso, anche se non lo so, che voi abbiate avuto un'interlocuzione con Vespa, ma non vorrei che passasse il principio che qui si fanno processi, men che meno, inaudita altera parte, senza contraddittorio, quindi, quando Vespa vorrà venire a dire le sue ragioni, io credo che la Commissione sia pronta anche ad ascoltare.
Non possiamo consentire, visto che non doveva più succedere ed è successo ancora su un tema così importante, che tutto finisca in cavalleria, cioè che ne abbiamo discusso qui fra di noi, ma domani è un altro giorno, puntando sulla scarsa capacità di memoria degli italiani.
Noi, invece, in questa Commissione abbiamo la memoria come quella dell'elefante, quindi io davvero auspico e confido su di voi perché, alle parole anche nette che ho ascoltato, seguano azioni e comportamenti altrettanto netti.
SALVATORE TITO DI MAGGIO. Io vorrei fare una premessa di ordine generale, solo per evitare che si pensi che siamo qui per caso. Lo dico perché il ragionamento che ha fatto lei, presidente – e la ringrazio innanzitutto per la sensibilità che ha avuto nel voler avere questo appuntamento di oggi – e i ragionamenti che hanno fatto il presidente e il direttore generale della RAI sono figli di una stessa cornice. Tra l'altro, io su questo non avevo assolutamente dubbi. Insomma, ragioniamo in termini che ci vedono sicuramente sulle stesse posizioni.
Il dato fondamentale, però, è che all'interno di questa cornice ci sono tutta una serie di comportamenti che hanno tutta una serie di motivazioni, sulle quali noi vorremmo capire qualcosa di più.
Vorrei illustrarvi quali sono questi ragionamenti.
La RAI è un servizio pubblico che, tra l'altro, noi paghiamo non liberamente, quindi non per libera scelta, ma è un'imposizione che noi subiamo: noi paghiamo un canone che ci viene imposto. Io non scelgo, come faccio per altre emittenti televisive, di abbonarmi e vedere quel servizio perché qui qualcuno mi dice che devo pagare, dopodiché io divento azionista. Al di là del fatto di essere oggi un rappresentante di questa Commissione, lo dico anche come cittadino. Io, come cittadino, avrei bisogno anche di capire chi sceglie per me.
Questo ragionamento da voi è stato fatto in modo ineccepibile, però trovo delle contraddizioni, quando lei direttore generale mi dice «le scelte devono essere fatte all'origine». Tuttavia, se le scelte sono fatte all'origine, non accade più che quello che noi vi richiediamo ampiamente, come abbiamo fatto ieri, diventi un atto censorio. Lo capisco che, alla fine, può scaturire in una censura e apparire una censura, ma, se voi queste scelte le fate all'origine, quello non apparirà più come una censura. Non potete venire a chiedere a noi di fare delle scelte all'origine, altrimenti io dovrei fare il direttore generale e, a quel punto, potrei decidere quelle scelte. Quelle sono scelte che competono a voi.
Noi vi abbiamo chiesto di venire qui, oggi, a raccontarci qualcosa perché temporalmente sono successi due fatti eclatanti. Forse oggi, se non ci fosse stato il precedente dell'8 settembre, la vicenda avrebbe assunto anche un tono meno drammatico di quello che ha assunto.
Non voglio entrare assolutamente nel merito del contenuto, ma noi dobbiamo decidere di capire che cosa vogliamo come servizio pubblico.
C'è un dato fondamentale. Come avete visto, qui dentro c'è una pluralità di vedute. Io approfitto della presenza del direttore generale e della presidente, per dire che, sul concetto di pluralismo, noi potremmo tranquillamente fare qualche lamentela anche da questi banchi perché basta guardare i dati degli osservatori per dire, per esempio, che le forze parlamentari che siedono in questo Parlamento non sono mai state equamente rappresentate. Vi prego di guardare i dati perché, da questo punto di vista, vi segnalo una vostra inadempienza.
Ora, se tutto questo è vero, il dato che noi vogliamo cogliere oggi, rispetto alla vostra presenza qui, non riguarda soltanto quale possa essere il servizio pubblico futuro. Vi ripeto che nessuno ci toglie dalla testa che tale servizio abbia la cornice che abbiamo rappresentato qui oggi, però i servizi che vengono fatti diventano poi un momento di formazione e di educazione che voi avete giustamente rappresentato. Queste testimonianze, appunto perché sono delle testimonianze, lanciano dei messaggi. Riguardo alla funzione del servizio pubblico, a nostro avviso, non ci possono essere dei messaggi fuorvianti, cioè il servizio pubblico, fra ciò che è lecito e ciò che è illecito, non può dare un messaggio fuorviante.
Da questo punto di vista, la cosa che vi chiedo, appunto perché non è casuale che voi siate qui oggi, è: che cosa intendete fare per il prossimo futuro? Grazie.
PRESIDENTE. Vi chiedo pazienza. Vedo che intanto state prendendo appunti.
LUCREZIA RICCHIUTI. La ringrazio anche per aver convocato in brevissimo tempo la Commissione.
Ai dirigenti RAI che sono qui oggi, dico solo tre cose per non rubare tempo ad altri. Pag. 19
La prima. Il contratto di servizio li obbliga a fare cultura e utilità pubblica, per cui, se devono fare solo share con le trasmissioni trash, hanno ragione quelli che non vogliono pagare il canone. Lo share si può fare anche con la pornografia o i film dell'orrore, invece il servizio pubblico è un'altra cosa. Alla BBC, una cosa del genere non sarebbe mai avvenuta.
La seconda. Sapere che cosa pensa e dice il figlio di un mafioso non è uno scoop. Lo sappiamo da anni.
Alla dottoressa Maggioni e all'amministratore delegato Campo Dall'Orto, vorrei dire che il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha da tempo inaugurato la prassi di sottrarre i minori alle famiglie di ’ndrangheta. In quelle famiglie, i figli succhiano fin da piccoli la mentalità di violenza e di sopraffazione, quindi si reputa che, in quelle realtà, i genitori vengano meno ai doveri di educazione e di istruzione dei figli. Per tutelare loro e tutti noi, i minori vengono affidati a famiglie sane. Fare una trasmissione su questo significherebbe fare buona informazione ed educazione civica.
Il figlio di Riina che dice di amare il padre, al di là di quello che dice un elzeviro prezzolato su un quotidiano, cos'è una notizia? Dite a Vespa che i nazisti erano padri amorevoli. Non lo dico io, ma lo dice Hannah Arendt.
Claudio Fava e io, insieme ad altri colleghi, abbiamo portato avanti i lavori del comitato interno a questa Commissione d'inchiesta sulle intimidazioni ai giornalisti da parte delle mafie. La relazione è stata approvata e chiedo all'onorevole Bindi di darvela immediatamente.
I nomi che abbiamo incrociato sono moltissimi, quali quelli di Lirio Abbate, Ester Castano, Giovanni Tizian, Alessia Candito e molti altri, senza parlare dei morti ammazzati, quali Giuseppe Fava, Giuseppe Alfano, Giancarlo Siani e Mauro Rostagno, quindi voi avete due modelli: Bruno Vespa che è il portavoce della mafia e il serio giornalismo d'inchiesta che fa il cane da guardia dell'opinione pubblica, come dovrebbe essere, e che rischia la vita. Che cosa sceglie il servizio pubblico radiotelevisivo?
Concludo dicendo che un fatto analogo era già successo non molti mesi fa, quando la famiglia mafiosa dei Casamonica fu ospitata dal portavoce della mafia. Il direttore Leone ammise lo sbaglio e garantì che comparsate di questo tipo non sarebbero più accadute. I fatti dimostrano il contrario, con l'aggravante che il Parlamento, non molto tempo fa, ha dato pieni poteri al direttore generale che ieri poteva utilizzarli, impedendo quella sciagurata intervista che non ha contribuito a far crescere la consapevolezza della pericolosità delle mafie, della colonizzazione delle mafie in tutto il nostro Paese e Oltralpe e dei costi fisici, morali ed economici che cittadini e imprenditori onesti pagano ogni giorno per la presenza pervasiva delle mafie.
Chiedo le vostre dimissioni, comprese quelle di Vespa.
Avete ospitato nella televisione degli italiani il criminale, figlio dei capi dei capi, ma era il capo dei capi che parlava attraverso la bocca del figlio. Avete dato la parola all'anti-Stato, concordando con l'anti-Stato cosa dire e cosa non dire. Totò Riina, ieri, voleva lanciare dei precisi messaggi e ci è riuscito per la vostra superficialità. Complimenti, non c'è che dire.
PRESIDENTE. Corre l'obbligo di sottolineare che la richiesta delle dimissioni da parte della senatrice Ricchiuti rappresentano un fatto personale.
FRANCESCO D'UVA. Chiaramente a questa audizione seguirà l'audizione in Commissione di vigilanza, com'è giusto ricordare, del direttore di Rai 1, Andrea Fabiano, che si terrà il 13 aprile.
Io devo dire che sono abbastanza sconvolto dal fatto che, ogni volta che cambia il direttore, evidentemente noi dobbiamo tornare a parlare di queste cose.
Il problema, signora presidente, non è la censura o meno. Il problema è che simili comportamenti non dovrebbero mai accadere. Non è possibile nemmeno, a mio avviso, che si possa proporre qualcosa perché capisco che, se la proposta arriva, voi Pag. 20dite «come possiamo censurare?». Per me è assurdo in sé che arrivi questa proposta, soltanto motivata dal dio share e dal dio audience perché non c'è altro motivo per fare una cosa del genere.
Vi chiedo se Vespa ha il potere di fare quello che vuole con il servizio pubblico, cioè è il padrone in RAI?
Io francamente mi auguro che non sia così, anche se sembrerebbe questo, quindi chiedo quali provvedimenti intendete prendere per prevenire simili comportamenti.
Noi vogliamo evitare che, un giorno, cambiando nuovamente il direttore di Rai 1, dobbiamo tornare in audizione. C'è stata un'intervista ai Casamonica quando c'era Leone e con Fabiano è arrivato Riina, per cui non vorrei che, con il prossimo direttore, arrivi qualcun altro.
Il problema è che la mafia sta mangiando l'Italia.
PRESIDENTE. Per chiamarli tutti, i direttori generali dovrebbero cambiare ogni settimana, in questo Paese.
FRANCESCO D'UVA. Il problema è che la mafia sta mangiando l'Italia e che la Commissione antimafia si deve preoccupare anche che il servizio pubblico sia affianco alla Commissione per la lotta alla mafia.
Io vorrei dire che non dovremmo perdere tempo a fare queste audizioni, visto che dovremmo fare audizioni ben più importanti.
È notizia di oggi che nelle intercettazioni si parli – l'abbiamo sentito e la presidente l'ha dovuto dire perché ci sono – di ricatti e di Carabinieri che consegnano le foto di Delrio in compagnia di mafiosi. Queste sono cose gravissime. Queste cose dovrebbe fare la Commissione antimafia e non questo. A me sembra che oggi si parli soltanto di Riina e non si parli di questa cosa che ho appena citato.
Ora, Vespa sapeva e lo sapevamo tutti che, nel momento in cui avviene una cosa del genere e c'è un'intervista di questo tipo, si parlerà solo di quello, andando a oscurare, come sapete meglio di me perché è il vostro lavoro, qualsiasi altra notizia. Lo dico perché la finestra mediatica è quella.
Non voglio fare il complottista perché non credo ci sia un disegno del tipo: parliamo di questo, così non si parla degli scandali e della guerra di clan all'interno del Governo. Forse è meglio parlare di Riina, invece di parlare di questo, o forse è stato fatto un favore al Governo? Speriamo di no, ma sembrerebbe così. Grazie.
CELESTE COSTANTINO. Io mi sento molto rappresentata dalle parole della presidente Bindi, quindi aggiungerò pochi elementi alla discussione.
Noi non siamo qui a fare il processo alla RAI, ma penso che sia necessaria una riflessione seria su quello che è successo per stigmatizzare delle responsabilità che senz'altro ci sono state.
Come hanno detto già l'onorevole Fava e il senatore Mineo, il punto in discussione non è il racconto del male perché io penso che questo è del tutto legittimo. Io, quando nel 1989 andava in onda La notte della Repubblica di Sergio Zavoli, avevo dieci anni, eppure ho un ricordo, da bambina, di quella trasmissione che poi mi spinse a volerla rivedere tutta. Tra l'altro, Rai Storia l'ha anche rimandata in onda l'anno scorso o due anni fa.
Il servizio pubblico, secondo me, deve molto tenere in considerazione la responsabilità che ha nei confronti delle nuove generazioni.
Nel caso del figlio di Riina, non siamo in presenza del racconto del male, ma siamo in presenza di una figura che non ha aggiunto niente al racconto del male, il che è una cosa diversa, perché, mentre nelle interviste che faceva Zavoli noi abbiamo ricostruito degli elementi in più sul terrorismo in Italia, quell'intervista non aggiunge nulla al racconto del male delle mafie. Questo si poteva prevedere banalmente perché esisteva già un libro che segnava e dava una declinazione ben precisa di quello che poteva essere il racconto all'interno di quell'intervista, quindi c'è questa responsabilità.
L'unico elemento che vi voglio consegnare, visto che sono state già dette tante cose da tanti colleghi ai quali mi associo, è appunto la responsabilità nei confronti delle nuove generazioni. Lo dico perché quell'intervista Pag. 21 non ha aggiunto nulla, ma, al limite, ha tolto fiducia nel servizio pubblico e nell'antimafia.
Voi avete nominato una trasmissione televisiva che è Cose nostre. Aldo Grasso faceva notare come Cose nostre sia andata in onda di sabato in seconda serata. Le fiction non possono essere l'unico strumento con cui si racconta. C'è un piccolo suggerimento che mi sento di farvi. Chiaramente non voglio entrare nel merito della programmazione RAI, però c'è una cosa che probabilmente potrebbe anche aiutare: forse è il caso di non raccontare solamente i morti e che l'antimafia inizi a essere raccontata dalle esperienze dei vivi.
VINCENZA BRUNO BOSSIO. Anch'io mi riconosco molto nella relazione della presidente. Devo dire che sono stata molto confortata dalle parole della presidente e del direttore e sono convinta che la RAI ha fatto e sta facendo anche in questi anni delle iniziative importanti sul «tema» dell'educazione civica e dell'antimafia, con un ruolo importante in termini di servizio pubblico. Per questo abbiamo trovato sconveniente e sbagliata l'iniziativa di Bruno Vespa sui Casamonica e ancor di più quella di ieri sera.
C'è stata una reazione anche ieri, prima ancora che andasse in onda la trasmissione, che è diventata ancora più convinta, dopo aver visto la trasmissione. Mi sembra che tutto sommato coincidano anche i giudizi, quando la presidente della RAI ha detto che Riina junior ha fatto un'intervista da mafioso. D'altra parte, Riina junior non è il figlio che il tribunale per i minorenni può togliere dalla famiglia, ma è un condannato per mafia, quindi, prima ancora di essere il figlio di Totò Riina, è un condannato per mafia.
Il problema vero è, però, capire perché la trasmissione è stata gestita nel modo in cui è stata gestita, quindi la domanda fondamentale è: che contratto ha Bruno Vespa con la RAI?
Ho letto poco fa delle agenzie secondo cui il Presidente Grasso ha detto: «quando sono andato alla RAI, mi hanno fatto firmare la liberatoria sempre prima, anche quando abbiamo fatto le registrazioni, ma ho sentito che il giovane Riina ha firmato dopo aver visto il filmato, segno del grande rispetto anche da parte della RAI».
Ora, capisco che siamo in una fase di transizione e può darsi, anzi mi auguro, che succederà quello che dice il direttore, però, se c'è una totale autonomia di Vespa, sicuramente questa cosa non può passare sotto silenzio.
Voi avete licenziato, dopo Capodanno, un dirigente RAI solo perché sembra che non abbia tagliato una bestemmia. Io non credo che quel signore sia un bestemmiatore di professione, però sicuramente ha fatto un errore.
Io credo che Bruno Vespa abbia fatto un errore, solo che, a differenza di quel signore, probabilmente Bruno Vespa è considerato da troppi anni, da tutti i Governi – per questo mi chiedevo di quale partito e di quale corrente sia Bruno Vespa – di centrodestra o di centrosinistra, un potente a prescindere; a parte il fatto che ci sono vallette che vanno spesso in televisione e che forse, per questo motivo, lo difendono.
Bene, licenziare Bruno Vespa sarebbe un bel segnale: non esiste più un potere autonomo all'interno del servizio pubblico, ma esiste la capacità di un servizio pubblico di punire, come è stato punito – non so se giustamente o ingiustamente – quel dirigente a Capodanno.
Io ho firmato una petizione di Change.org in questa direzione.
PRESIDENTE. Riguardo alla domanda sulla liberatoria firmata dopo, vorremmo una risposta perché questa domanda è particolarmente delicata. È evidente che questo significa che l'avrebbe firmata solo se andava in onda come lui voleva e non come voleva il conduttore, quindi su questo punto una risposta è necessaria.
ANDREA VECCHIO. Io ho ascoltato i vostri interventi e ritengo di accettarli in pieno e tutti quanti, per tutto quello che avete detto.
Una sola cosa mi angoscia, cioè il fatto che voi abbiate sostenuto che Bruno Vespa è un grande giornalista. Io non sono d'accordo e sono stato punito per avere affermato una cosa del genere. Pag. 22
Nell'audizione cui ha partecipato il direttore Leone, io mi sono permesso di esprimere delle negatività sulla qualità professionale di Vespa perché Vespa mi è inviso da quando ha utilizzato il bambino di Cogne per fare tutta una serie di trasmissioni, addirittura facendo approntare il plastico della casa di Cogne. Da quel momento, per me Vespa è diventato un pennivendolo qualunque. Queste sono le cose che ho detto a Leone. Inoltre, ho aggiunto che io, al posto di Leone, avrei sospeso quella trasmissione.
Siamo usciti da qui alle 16.30 circa, alle 18 sono andato dal mio Gruppo. Il segretario del mio minuscolo partito, perché tenuto in nessuna considerazione o quasi, ha ricevuto una telefonata di Vespa che gli sollecitava una presa di posizione contro di me nei confronti di Vespa. Il segretario del mio partito, che è un partito di tredici persone e che non conta nulla, come un pusillanime, ha risposto a Bruno Vespa che avrebbe immediatamente posto rimedio a questa cosa, quindi ha fatto un comunicato stampa nel quale ha smentito me che parlavo a titolo personale, mentre ha detto che Bruno Vespa è un grande giornalista che merita l'attenzione di tutti.
Noi siamo la Commissione antimafia e non vogliamo subire imposizione da nessuno, per cui credo che il comportamento di Bruno Vespa in quell'occasione sia stato davvero mafioso. Questo è il problema: il comportamento in quell'occasione è stato davvero mafioso.
Questo è il motivo per il quale io non ho mai guardato la trasmissione di Bruno Vespa e sono molto dispiaciuto del fatto che la RAI, da quando sono entrate in campo le televisioni private, sia scesa di molto in qualità, perché la responsabilità di Berlusconi in questa vicenda è enorme. Grazie.
PRESIDENTE. Vecchio approfitta del cognome e del colore dei capelli perché, mentre quando intervengono gli onorevoli del Movimento 5 Stelle mi ricordo del colore dei miei, quando parla lui dimentico il colore dei miei per un fatto di rispetto. Questa sera però è stato moderato, ve l'assicuro.
GIULIA SARTI. Grazie, presidente. Io penso che lo spettacolo indecente che si è consumato ieri sera si è stato in primis uno schiaffo forte verso i parenti delle vittime di mafia, quindi una prima riflessione va nei loro confronti.
Nonostante in studio ci fosse la presenza del figlio di Vito Schifani, quello che abbiamo cercato di far capire oggi in questa audizione è che noi stiamo andando a contestare non la presenza e l'intervista, ma le modalità con cui quell'intervista è andata in onda.
Vorrei chiedervi quando avete saputo dell'intervista e se eravate d'accordo con quel tipo di format, quindi quando avete avuto queste informazioni. È importante capire questo, perché, se voi in qualche modo siete d'accordo con quel format, quello di oggi fondamentalmente è un dialogo tra sordi. Al contrario di altri miei colleghi, sinceramente non vedo passi avanti o possibili tentativi di impegni futuri che possano essere mantenuti, perché, come abbiamo detto, l'impegno ci doveva già essere dopo la puntata con i parenti di Casamonica. È questa l'assurdità.
Adesso ribadite di nuovo «ci prendiamo l'impegno per evitare che si realizzi di nuovo una situazione di questo tipo in quelle modalità», ma francamente ci crederò quando lo vedrò. Ad oggi l'unica cosa che stiamo facendo è prendere atto che da parte vostra ci potrà essere questo impegno in futuro, che non sappiamo quali provvedimenti concreti vorrete adottare nei confronti della trasmissione Porta a Porta e nei confronti di quello che non può neanche essere definito lontanamente un giornalista, quel conduttore televisivo, Bruno Vespa.
Come abbiamo detto, noi non ci permetteremmo mai di stabilire i palinsesti del servizio pubblico (ci mancherebbe altro, viva la libertà di stampa e la libertà di cronaca!), ma il dovere che tutti voi avete e la richiesta che stiamo facendo oggi è semplicemente quella di fare informazione. Non posso pensare che in questo Paese ci siano dei processi importantissimi che non vengono raccontati, quindi l'impegno che chiedo, oltre a quello di capire quali provvedimenti Pag. 23 verranno adottati nei confronti sia di Vespa che della trasmissione Porta a Porta, se dei provvedimenti che ritenete di dover adottare, è anche l'impegno a informare e a raccontare quello che sta succedendo oggi, parlare del processo trattativa Stato-mafia, che non è una presunta trattativa, ma è un processo che ha come capo d'imputazione la violenza o la minaccia al corpo politico dello Stato, un processo che si sta celebrando oggi, parlare del processo Borsellino-quater che si sta celebrando a Caltanissetta, parlare del processo Capaci-bis.
Qui si ragiona come se le stragi di più di vent'anni fa avessero trovato i loro colpevoli e fosse tutto tranquillo e a posto, ma non è così, ancora oggi abbiamo processi che parlano di questo e sul servizio pubblico dobbiamo ancora sentire parlare di «presunta trattativa Stato-mafia». È indecente!
Prima si citavano programmi come Servizio pubblico, Anno zero, interviste di Biagi o di tanti altri giornalisti d'inchiesta, ma la differenza con quello che è successo ieri sera è che in quei contesti le domande si fanno, e si fanno scomode, pungenti, che servano a informare la collettività. Ieri sera quell'informazione non l'abbiamo vista, ieri sera in quel contesto non c'è stato alcun tipo di confronto. La gravità a mio parere è proprio questa.
Prima di chiudere, per avallare il giudizio che in tanti abbiamo dato su questo giornalista verso cui dovrebbero essere presi dei provvedimenti, cioè Bruno Vespa, ricordo solo che, come hanno già detto i miei colleghi, spesso quel teatrino, quella trasmissione viene utilizzata per parlare d'altro, per sviare l'attenzione da quello che accade veramente nel Paese, e questa modalità non è di oggi, non è di ieri, è stata continua, anche quando voi non ricoprivate la carica che avete oggi all'interno della RAI.
Citiamo degli esempi, perché così ci ricordiamo: quando il tribunale di Palermo condanna Dell'Utri a nove anni per mafia, a Porta a Porta si parla del taglio delle tasse e la sera dopo di reality show, quando c'è la condanna in primo grado per Previti al processo SME, Vespa si occupa del Viagra, quando Ciampi, allora Presidente della Repubblica, boccia la riforma dell'ordinamento giudiziario dell'allora Ministro della giustizia Castelli, in quanto palesemente incostituzionale, a Porta a Porta si approfondisce il film della coppia Bondi-De Sica Christmas in love.
Quando Previti viene condannato definitivamente in Cassazione a sei anni, Vespa parla di dieta mediterranea, quando la corte di appello di Palermo condanna per mafia a cinque anni e quattro mesi Calogero Mannino, a Porta a Porta si parla del delitto di Cogne, e potremmo andare avanti per tanto tempo.
Questo era soltanto per ricordare a tutti noi quello che è questa trasmissione. Come abbiamo detto, qui stiamo solo chiedendo una cosa: che la RAI informi la collettività e che quando succedono fatti come quelli che sono accaduti ieri sera vengano presi dei provvedimenti.
PRESIDENTE. Abbiamo scoperto che la collega Sarti è la più affezionata che segue Porta a Porta perché sa tutto!
GIUSEPPE LUMIA. Grazie, presidente. La prima richiesta che faccio, poiché non ho sentito queste risposte negli interventi del presidente e del direttore, è quella di chiarire bene le questioni poste dalla presidente. Sono domande precise, quindi mi auguro che possano trovare una risposta.
I colleghi hanno sollevato anche un'altra questione, la vicenda della liberatoria, che andrebbe anche questa chiarita. Ho trovato un po’ incerte e sottotono le risposte sia del direttore che del presidente e vorrei comprendere se ciò derivi solo da una loro difficoltà oggettiva di fronte a una valutazione che ancora bisogna maturare su quanto è successo ieri o, invece, da questo periodo iniziale di lavoro che ha bisogno ancora di tempo per presentarsi in modo chiaro, progettuale, deciso, con una strategia chiara sul tema di come raccontare la mafia al nostro Paese e di come spiegarne tutti i risvolti negativi.
Il figlio di Riina in queste settimane ha deciso di fare un salto di qualità, non è più Pag. 24solo il figlio di Riina, ma ha deciso di presentarsi come un boss aspirante capo alla guida di cosa nostra. Il figlio di Riina ieri ha fatto un salto di qualità ulteriore, ha reso bene da capo, perché ha saputo dimostrare due perverse qualità che un capo deve avere, ha saputo dire agli italiani onesti che cosa nostra non è quella cosa terribile, cioè ha usato il termine utilizzato dalla presidente della Commissione antimafia, «negazionismo», con molta abilità. Ha detto agli italiani: «siamo delle famiglie perbene, amiamo, anche da noi scorre latte e miele».
Nello stesso tempo però, presidente, non è stato solo negazionista. Questo l'ha fatto nei confronti degli italiani onesti, ma il figlio di Riina ieri, presentandosi come capo, ha saputo parlare al popolo della mafia con un linguaggio violento e chiaro.
Vi faccio due esempi, che in parte sono stati qui ripresi. Il figlio di Riina ha detto: «la mafia è tutto o niente», nel linguaggio mafioso questo significa che lui si propone come il tutto e gli altri sono il niente. Poi ha fatto un'altra affermazione che qui è stata ripresa, che ha un risvolto molto pericoloso, minaccioso e violento: «i collaboratori sono dei traditori», nel linguaggio mafioso i traditori devono essere eliminati.
Il servizio pubblico era preparato ieri sera a questa sfida? Era in grado di interloquire con questa sfida che il figlio di Riina ha lanciato, di bloccarlo, di svilirlo, di ridimensionarlo? Anch'io, sentendo qui colleghi giornalisti, oltre che parlamentari di valore, come Mineo e Fava, penso che il tema non sia dire «no» all'intervista del figlio di Riina, ma alle modalità con cui questa intervista si è realizzata, perché ho avuto l'impressione che il servizio pubblico non fosse preparato e attento a bloccare e svilire il messaggio potente che il figlio di Riina ha lanciato.
Mi consenta, presidente, di dire qualche altra cosa sul figlio di Riina. Vi indico due episodi che ha vissuto da giovane. Il figlio di Riina una volta è stato intercettato in macchina mentre parlava con un altro boss mafioso accanto e in quella intercettazione ha svelato la sua opinione sulle stragi, dicendo: «se mio padre non veniva bloccato, quelle stragi sarebbero continuate e mio padre avrebbe vinto». Questa è quindi l'idea del figlio di Riina dentro la vicenda cosa nostra, anche quella discussa per valutare se sia stata una stagione delle stragi felice per cosa nostra, ma all'interno di cosa nostra lui si è schierato in questo modo.
Un secondo fatto, che non è noto alla cronaca ma mi è stato riferito a Corleone, è che anni fa, mentre era in corso uno sciopero che impediva di utilizzare il carburante, nella stazione di carburante nel cuore di Corleone, che ora non c'è più perché dal centro storico sono state tolte tutte, ha chiesto di fare rifornimento ma gli è stato risposto che la benzina era finita e l'unica rimasta serviva per le forze dell'ordine e quindi per lo Stato. A quel punto ha dichiarato: «lo Stato sono io!» e con minaccia ha raggiunto il suo scopo.
Ieri sera non era più il giovane figlio di Riina che viene descritto all'interno di cosa nostra come un ragazzo forte e aggressivo: ieri sera il boss figlio di Riina, oltre a questo amore che il popolo di cosa nostra, come gli investigatori ci dicono, nutre per lui, ha svelato doti di capo, altre qualità che, messo alla prova, ha saputo tirare fuori.
Racconto questi fatti per far comprendere le responsabilità di un servizio pubblico, che deve saper codificare e decifrare. In un momento in cui cosa nostra è alla ricerca di un nuovo equilibrio, all'interno di cosa nostra emerge una domanda: «figlio di Riina, prendi in mano tu le redini?», ieri ha risposto «sì».
C'è anche una crisi dell'antimafia, che può evolvere in positivo, laddove si può fare tesoro degli errori commessi all'interno dell'antimafia e crescere, o in negativo, perché l'antimafia può andare in tilt non dimostrandosi capace di operare quelle correzioni o perché strumentalmente si vuole approfittare di questa difficoltà per spazzarla via.
Faccio questo ulteriore riferimento di contesto, che il presidente spero mi consenta, per far capire quanto sia importante e decisivo il ruolo del servizio pubblico. Mi auguro che il servizio pubblico sia all'altezza Pag. 25 di questa sfida e ne comprenda la portata con la sua libertà di informazione, che deve essere massima e indiscutibile anche quando non ci piace, e con regole trasparenti che ci deve essere adesso chiarito se ci siano state.
Questo è il vero punto: ci sono state regole trasparenti di ingaggio, di scelta? Il perimetro delle domande è stato deciso da lui oppure no? Attraverso questo, piuttosto che dare giudizi affrettati, potremo capire se siate all'altezza di questa sfida oppure no, se dobbiate operare scelte più radicali, più decise e meno dimesse, come mi è sembrato nel vostro primo intervento.
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Vorrei solo precisare che avevo citato Servizio pubblico di Santoro con il figlio di Provenzano, ma avrei dovuto citare sempre Santoro, perché ne ha intervistati tanti, e Ciancimino ad Anno zero.
PRESIDENTE. In quali anni?
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Gli anni di Anno zero.
PRESIDENTE. Quindi quando io non ero presidente di questa Commissione.
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Però parlamentare, quindi aveva la facoltà di fare agenzie...
PRESIDENTE. Forse ne troverà qualcuna, comunque non ero presidente di questa Commissione. Lascio la parola al direttore generale della RAI, Antonio Campo Dall'Orto.
ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale RAI. Ci sono molte domande, se non rispondo a tutte, per favore risollevate qualche punto. Cercherò di fare una sintesi degli argomenti che avete affrontato.
Io insisto su una cosa rispetto all'inizio, e tengo a farlo perché alcuni interventi hanno riconosciuto il ruolo della RAI a fianco della Commissione e altri meno. Credo veramente che questo sia un rapporto complementare naturale e credo, rispondendo al senatore Mineo e ad altri, che necessario calarci nella contemporaneità della comunicazione, così come stiamo facendo oggi rispetto a un genere specifico.
Oggi si fa infatti comunicazione usando tutti i generi possibili e tutte le modalità possibili, quindi le attività che sono state citate nella nostra mente sono un mosaico che va a rinforzare un pezzo, dove un pezzo va a rinforzare l'altro e dove talvolta si va a raccontare qualche storia già accaduta. Veniva citata la fiction, che però in questi casi non ha alcuna ambizione di raccontare la tranquillità della vita, anzi di solito le fiction che facciamo in quest'ambito tendono a essere di carattere purtroppo drammatico, perché raccontano vicende che spesso sono finite in maniera drammatica.
Allo stesso tempo citavo l'iniziativa sulla legalità del TGR. Lì siamo andati a raccogliere in tutta Italia le storie positive di coloro che combattono quotidianamente, molto spesso giovani, in quest'ambito. Credo che questo sia il contesto in cui ci muoviamo.
Il ragionamento si fa più interessante, ma anche più complesso, perché oggi stiamo analizzando il genere in cui è più complesso cambiare marcia, nel senso che la maggior parte degli altri generi ha avuto un'evoluzione che è stata messa meno sotto pressione dalle modalità comunicative, mentre il genere che stiamo affrontando, cioè l'incrocio tra l'informazione e l'intrattenimento, se non gestito bene, come dicevo prima, può essere un genere molto complesso, perché non è più divisibile il rapporto tra forma e contenuto; tutto è contenuto.
Tutto ciò è alla base di moltissime delle vostre considerazioni. In questo senso (vado alla risposta rispetto al processo decisionale) nel processo decisionale è previsto, come ritengo sia giusto, un confronto con la parte giornalistica perché, come dicevate, l'autonomia giornalistica è fondamentale. Il tema che sollevate riguarda il rapporto tra autonomia giornalistica e qualità del risultato, e l'autonomia giornalistica in questo discorso è rilevantissima. Pag. 26
Anche le mie emozioni vedendo quelle immagini sono state emozioni difficili, perché a tutti noi hanno fatto riaffiorare dei drammi che abbiamo vissuto. Questa cosa va però contestualizzata in un rapporto che è necessariamente legato a un'analisi di tipo giornalistico e che, come vi dicevo, rimanda all'idea di un servizio pubblico plurale (credo di aver già detto chiaramente che il pluralismo non riguarda minimamente la rappresentazione del punto di vista di un mafioso, ma plurale nel senso di punti di vista per raccontare una vicenda).
Non c'è dubbio che il tema sia proprio questo: il rapporto tra le ambizioni che abbiamo di servizio pubblico e riuscire a contestualizzarle in ambiti che sono complessi, perché il nostro servizio pubblico a differenza di altri ha avuto una storia negli ultimi lustri che lo ha sovrapposto molto alle dinamiche del servizio commerciale, ed è per questo che io non ho voluto sapere quanto abbiamo fatto di share ieri sera, perché non voglio che ci sia quel filtro sulle mie decisioni, perché l'importante in questi ambiti è cosa facciamo, non tanto il risultato del giorno dopo.
Non sono stati fatti pagamenti (ci mancherebbe altro!), la liberatoria è stata firmata alla fine dell'intervista, ma le domande sono state fatte in libertà dal giornalista.
PRESIDENTE. Io non sono giornalista e non voglio fare la vigilanza RAI, però di fronte alle mancate risposte su questioni fondamentali che ha posto a un certo punto Vespa (domandava ma lui non rispondeva) l'intervista poteva finire lì.
Quando per la seconda o terza volta uno non risponde sul giudizio che dà di suo padre, si capisce perfettamente che sta conducendo la partita, ed è lui che ha condotto la partita ieri sera, e l'ha firmata alla fine perché aveva potuto dire esattamente quello che voleva dire, il messaggio che voleva mandare. Questo è il punto che un po’ preoccupa, perché non so se possiamo condividere tutto l'intervento di Lumia, ma in alcune cose che ha detto il senatore Lumia c'è una realtà da verificare seriamente, non pensiamo che abbia raccontato... perché me lo lasci dire da persona che ha cominciato a esercitare questa responsabilità pressoché a digiuno delle conoscenze di questo fenomeno e che sta imparando: c'è un loro codice che chi li intervista dovrebbe conoscere.
Senza esprimere valutazioni sul giornalista perché non siamo la vigilanza RAI e non mi interessa il futuro di Vespa come non mi è mai interessato il futuro di nessun giornalista, si può intervistare tutti se si sa con chi si ha a che fare, altrimenti il gioco lo conducono loro, e ieri sera il gioco l'ha condotto Riina, non la RAI.
È per questo che noi siamo preoccupati e l'abbiamo convocata, direttore, vorrei che fosse chiaro. La vigilanza RAI farà la sua strada, ma per noi l'aspetto comunicativo e culturale al grande pubblico sui fenomeni mafiosi è fondamentale per la battaglia alla mafia, e ieri sera il messaggio che è andato credo che debba essere considerato.
Mi permetto di citarmi nell'introduzione e di citare quello che hanno detto il vicepresidente Fava e altri e l'interpretazione Lumia, speriamo che non sia così, ma ci sta in parte, e lui firma dopo perché quello che gli interessava era sapere se gli si consentiva di dire quello che voleva dire. Questo è il punto.
Siccome la RAI ha poteri di inchiesta veri, queste persone devono essere intervistate da chi fa giornalismo d'inchiesta, e intervistare un'attrice non è la stessa cosa che intervistare un mafioso!
ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale RAI. Aggiungo solo che la sua affermazione riguarda più la dinamica dell'intervista che il tema legato alla liberatoria, nel senso che riguarda l'avere o non aver risposto alle domande. La prassi di firmare dopo le liberatorie qui ha un altro significato rispetto alle domande e alle risposte, come dice lei. Vi sto solo dicendo quanto abbiamo raccolto.
Una cosa rispetto al momento che avete citato riguardo alla puntata riparatoria come contraltare, solo una nota tecnica: la puntata di ieri ha avuto l'intervista e il dibattito rispetto all'intervista e la puntata di oggi è un approfondimento ulteriore, non è che ci Pag. 27fosse una puntata di un colore e una di un altro.
Rispetto alle prospettive future, visto che molti di voi giustamente hanno chiesto quale sia la prospettiva rispetto alla quale ci proiettiamo, credo che vada appunto affermato qual è il pensiero che abbiamo di servizio pubblico e dove lo stiamo portando, ma già da mesi.
Cito un paio di cose, due tra le tante, molte le abbiamo citate prima rispetto a quello che facciamo per la legalità: il 1o maggio togliamo la pubblicità dai cartoni animati per bambini, perché è un'attenzione per le famiglie che riteniamo sia vicina al ruolo di servizio pubblico. Abbiamo poi eliminato la cronaca nera dalla Domenica degli italiani, perché pensiamo sia giusto.
Queste sono tutte modifiche che vengono fatte in corsa rispetto a un impianto dove – insisto – il pezzo che trattiamo oggi è il pezzo più difficile da mutare, non per questo non è mutabile, ma, come vi raccontavo, è parte di una trasformazione dell'approccio all'informazione che parte dal ripensamento del posizionamento dei telegiornali e va a portare attenzione a quello che è l'incrocio tra intrattenimento e formazione, che è effettivamente l'area in cui la tradizione del nostro servizio pubblico è diversa rispetto ad altre.
C'è chi chiedeva se non ci sia differenza tra servizio pubblico e televisioni private, la verità è che noi abbiamo un impegno in più, però in alcuni casi assomigliamo troppo al servizio commerciale. Stiamo insistendo dal primo giorno che il riferimento dello share non può essere il punto di arrivo delle nostre azioni, non lo può essere. È chiaro che capire se vi sia un riscontro delle nostre azioni comunicative è importante per valutare se le persone dall'altra parte ci seguano o meno, quindi non è irrilevante, ma non può essere il punto di arrivo.
Questa variazione – credetemi – è non solo fondamentale, ma è una trasformazione culturale che necessiterà di tempo, perché arriva dopo almeno quattro lustri in cui l'azienda si è schiacciata su quel modello, quindi necessita di un lavoro fatto pezzo per pezzo, programma per programma, gruppo di lavoro per gruppo di lavoro. Non ci sono scorciatoie in quest'ambito, che è quello su cui andiamo a mettere un'attenzione crescente anche con il direttore dell'informazione Carlo Verdelli.
Ho cercato di rispondere con questo a tutte le domande, però, se ci sono cose che non sono state coperte nello specifico rimango a vostra disposizione.
PRESIDENTE. Il senatore Lumia era uscito, però hanno risposto sulla liberatoria.
Mi pare di capire che a questa domanda non sia stata data risposta, forse dovremo sentire Vespa. La conclusione è che il Presidente del Senato firma prima e Riina firma dopo!
GIUSEPPE LUMIA. È un punto fondamentale, altrimenti la nostra sembra quasi una discussione che può essere legittima sulla libertà o no di intervistare, e penso che non sia questo: il tema è il rispetto di alcune regole. Quell'intervista aveva come precondizione regole di ingaggio dettate dall'editore, dal figlio di Riina, o l'intervista, come hanno chiesto molti esperti nostri, era libera...
ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale RAI. L'intervista è stata libera, la liberatoria è stata firmata dopo.
GIUSEPPE LUMIA. Non sto parlando della liberatoria, ma sto parlando della cornice entro cui sono state fatte le domande. Erano domande preordinate, concordate o il giornalista poteva andare in fondo...
CORRADINO MINEO. C'era il libro, non è quello il punto, c'era il libro. L'intervista non poteva che essere quello che è stato, perciò ripeto: primo, sentiamo Verdelli; secondo, a cose fatte, in un rapporto di fiducia io non chiederò mai un provvedimento contro nessuno, ma chiedo solo di sapere se il vertice della RAI sia convinto di questo modo di fare giornalismo.
Pag. 28VINCENZA BRUNO BOSSIO. Una precisazione: può darsi che questo discorso della liberatoria nasca dal contratto con Vespa, quindi come è fatto il contatto con Vespa?
PRESIDENTE. La liberatoria si fa sempre prima...
VINCENZA BRUNO BOSSIO. Forse non mi sono spiegata: questa differenza che stanno evidenziando sia Grasso che Lumia e, nel mio piccolo, io, nasce dal fatto che il contratto fra Vespa e la RAI è tale per cui lui può far firmare la liberatoria dopo? No, benissimo.
Secondo: si può avere informazioni sul contratto con Vespa? Grazie.
PRESIDENTE. Questo francamente è da vigilanza RAI, credo che questo non rientri nei nostri compiti, perché sia stata firmata la liberatoria dopo rientra nei nostri compiti per il contenuto dell'intervista perché, se anche le domande non erano state concordate prima, può darsi che l'intervistato abbia detto «io però firmo dopo, se le cose vanno come dico io». Quindi, già qui ci sarebbe una...
Se quindi su questo si può avere un'informazione in più, quando voi ritenete, va bene, ma il contratto di Vespa non ci interessa.
VINCENZA BRUNO BOSSIO. Secondo me c'entra!
PRESIDENTE. No, lo farà qualche componente della Commissione di vigilanza RAI, non tocca a noi. Prego, presidente.
MONICA MAGGIONI, presidente RAI. Per tentare di andare a sintesi su alcuni dei temi che ci avete presentato, innanzitutto vi ringrazio perché mi sembra che stia emergendo un tema che io ritengo fondamentale, che è quello che da voi arriva un'idea di servizio pubblico che è un servizio pubblico che va fino in fondo nelle questioni come quella sulla mafia, ma non delinea dei perimetri, per cui le cose si fanno o non si fanno, e per me questo tema sulla libertà di perimetro è centrale.
Potremmo discutere a lungo su come le cose si fanno, e in questo senso colgo la riflessione che faceva poco fa la presidente Bindi sulla questione di chi guida il gioco o meno nelle cose, che richiamava quando il senatore Lumia che pone grandi interrogativi pratici. Voi avete certamente più informazioni in questo senso, mentre allo stato noi non le abbiamo, ma è chiaro che sono i grandi quesiti che rimangono all'indomani di quanto abbiamo visto.
A moltissime domande ha già risposto il direttore generale, però, avendo fatto questi chiarimenti, vorrei anche dire che come presidente di questa azienda non posso sentir dire da quest'aula che Bruno Vespa è un portavoce della mafia.
Proprio perché io annetto enorme valore al vostro lavoro, proprio perché noi ci siamo precipitati a venire qui, proprio perché parlare di mafia (e quanto lo sanno persone sedute tra voi) è una cosa estremamente seria e proprio perché io ho dato anni della mia vita a cercare di mettere le parole al loro posto e le parole hanno un valore, non posso come presidente della RAI sentir dire che Bruno Vespa è un portavoce della mafia.
Perdonatemi, questo non è accettabile a nessun livello, me lo dovete consentire.
PRESIDENTE. Sono d'accordo, presidente.
MONICA MAGGIONI, presidente RAI. Invece voglio aggiungere una cosa che mi sembra fondamentale e che ho sentito qui, ossia la nostra attenzione editoriale rispetto alle cose, quando il direttore generale dice delle cose che ritengo fondanti, ossia stiamo meno attenti allo share, togliamo la pubblicità ai cartoni animati dei bambini, diamoci una missione anche di interazione con l'informazione che tenga al centro quello che il servizio pubblico è e deve essere nel suo rapporto per il Paese. Tutto questo non può essere rubricato a una cosa che viene detta per poi parlare d'altro, o ci crediamo o non ci crediamo.
O crediamo che il fatto che noi abbiamo inseguito la televisione commerciale per Pag. 29troppi anni ci abbia portato in punti non desiderabili per il servizio pubblico, e allora ci chiediamo cosa c'è dietro e come si fa a smontarlo, oppure consideriamo che le cose sono tutte sullo stesso piano, o giochiamo alla complottologia per cui accettiamo l'idea che queste puntate vengano fatte per non guardare quello che succede nel Paese. Qui di nuovo respingo al mittente, perché lasciamo la complottologia a chi ha distrutto le torri gemelle, per favore, noi siamo giornalisti e parlamentari e abbiamo il dovere di andare in fondo alle questioni, nel merito delle questioni anche con durezza, anche dividendoci, anche avendo posizioni diverse, però dire che la RAI di oggi stia facendo questo per distrarre da altre questioni francamente non lo accetto.
Ultima cosa che però mi sembra fondante: quando l'onorevole Costantino dice che abbiamo una responsabilità verso le nuove generazioni, è lì che io mi sento chiamata in causa, è lì che noi ci sentiamo chiamati in causa tutti i giorni, è quello il tema che sentiamo centrale, è quella la cosa che mi sconvolge nel sentire come si pone quel tizio (lo chiamo tizio, non signore) che mette in discussione il nostro rapporto con il Paese e con le nostre generazioni, ed è per quello che francamente lo rivorrei intervistare, sì, qui in mezzo, lo rivorrei qui e poi lo facciamo live.
Vi prego di credere che tutto questo non è per fare il solito giochetto retorico, perché uno non ha speso la sua vita intera per cercare di raccontare cose e storie per venir qui a fare retorica: viene qui a cercare di mettere in condivisione un percorso serio che si sta facendo per affrontare i temi seri di questo Paese e i problemi che ci possono essere, gli scarti che ci possono essere, gli aggiustamenti che ci possono essere da fare, che però fanno parte di un percorso insieme.
È per questo che comunque vi ringrazio perché annetto a questo incontro di oggi grande importanza.
ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale RAI. Rispetto al futuro questo aspetto è importantissimo. L'idea è quella di lavorare sull'immaginario rispetto al fatto di avere una narrativa che sia molto diversa da quella dei messaggi dell'intervista che appunto, come diceva la presidente, spesso non abbiamo gli elementi per interpretare con la profondità con cui alcuni di voi lo hanno fatto. Ma non c'è dubbio che per riuscire a far bene il nostro mestiere dobbiamo ritornare ad essere servizio universale, che vuol dire parlare a tutte le generazioni, perché altrimenti rischiamo di fare un lavoro che, per quanto positivo, vada ad appiattirsi sulla forma della società che è più anziana.
L'invito di lavorare sul futuro e sui ragazzi è fondamentale perché, come è ovvio, sono le persone che possono essere più vulnerabili a quei messaggi. Sono più difficilmente raggiungibili da tutto il lavoro che dicevo sulla legalità perché si tratta di una fascia di pubblico più giovane più difficile da intercettare, anche solo perché guardano molto meno la televisione.
PRESIDENTE. Mi sento di ringraziare per la disponibilità immediata il presidente e il direttore della RAI, ma anche per il tempo che ci hanno dedicato, in quanto è stata una delle audizioni più lunghe che abbiamo avuto.
Interpreto le loro parole come un'effettiva possibilità di investimento di fiducia da parte nostra, che non è che mancasse prima, ma, data l'interruzione di percorso che c'era stata tra il caso Casamonica e l'intervista di ieri sera, credo che si possa confidare non solo sul fatto che alcune cose non si ripetano e che ci sia un cambiamento, come è stato ripetutamente detto, nei modi con i quali le cose si fanno, ma che possa anche esserci tra questa Commissione e la RAI una collaborazione, così come con altre istituzioni, proprio per aiutarci a svolgere al meglio il nostro lavoro.
Questa non era un'audizione volta a vigilare, indirizzare e men che meno censurare il lavoro della RAI, non è il nostro compito, è di un'altra Commissione, ma per noi il modo con il quale si affronta il tema della mafia è fondamentale, perché siamo sempre più convinti del valore del dato culturale. Ecco perché uso la parola negazionismo, conoscendo la Treccani, e anche la parola riduzionismo, conoscendo Pag. 30la Treccani, la uso volutamente perché sono i più grandi alleati della mafia.
Questo non è quindi permesso che avvenga dentro il servizio pubblico, in un momento nel quale noi otteniamo grandi risultati sul piano repressivo e ne otteniamo sempre meno purtroppo nel consenso che le mafie continuano ad avere all'interno di questo Paese. Da questo punto di vista è chiaro che scuola, RAI e tutte le agenzie culturali sono fondamentali.
In questo senso c'è stata l'urgenza e mi sono assunta la responsabilità senza riconvocare l'Ufficio di Presidenza e riconvocarvi, e credo che abbiamo fatto bene perché è stato un pomeriggio importante. Vorrei anche dire agli onorevoli del Movimento 5 Stelle che se ne sono già andati che questo non è un modo per distrarci da altri problemi, perché non credo che ci fosse qualcosa di più importante e di più urgente in questo momento, soprattutto da parte di una Commissione che fa lavori programmati, ma segue anche molto l'attualità.
Non possiamo soprattutto inseguire i dossieraggi che circolano nel Paese, perché da questo punto di vista saremmo fuorviati dalle nostre inchieste, mentre stasera penso che abbiamo fatto un passo avanti importante.
Vi ringraziamo e seguiremo altre possibilità di collaborazione.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 18.35.