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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 1a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 14 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, e della Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (Atto n. 297) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Boccia Francesco , Presidente ... 3 ,
Madia Marianna , Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione ... 3 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 5 ,
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 5 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 8 ,
Palese Rocco (Misto-CR)  ... 8 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 10 ,
Malan Lucio  ... 10 ,
Endrizzi Giovanni  ... 10 ,
Crimi Vito Claudio  ... 11 ,
Sorial Girgis Giorgio (M5S)  ... 11 ,
Marchi Maino (PD)  ... 14 ,
Pagliari Giorgio  ... 15 ,
Lanzillotta Linda  ... 16 ,
Finocchiaro Anna , Presidente ... 17 ,
Madia Marianna , Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione ... 17 ,
Finocchiaro Anna , Presidente ... 19 ,
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 19 ,
Finocchiaro Anna , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE DELLA
CAMERA DEI DEPUTATI
FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 19.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, e della Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (Atto n. 297).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno delle Commissioni riunite V della Camera dei deputati e 1ª del Senato della Repubblica reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, e della Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (Atto n. 297).
  Do la parola alla Ministra Madia.

  MARIANNA MADIA, Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Grazie, presidente. Non c'è dubbio che in questi anni la percezione e la considerazione dello strumento della partecipata pubblica sono state spesso quelle del simbolo non di una buona amministrazione ma di un elemento di cattiva amministrazione.
  Abbiamo, nel nostro Paese, troppe partecipazioni pubbliche, troppi consigli di amministrazione, troppi gettoni di presenza. Spesso sono state fatte troppe assunzioni, anche con modalità discutibili, e tutto ciò ha generato quello che tutti voi ben conoscete, cioè un enorme dispendio di risorse pubbliche, a fronte del quale non sono conseguiti benefici proporzionali per i cittadini.
  Questo è il quadro che abbiamo trovato quando il Governo ha voluto assumersi la responsabilità, prima di tutto politica, di risolvere il tema delle società a partecipazione pubblica nel nostro Paese, con due ulteriori elementi di incertezza: la prima, un'incertezza numerica, perché quando ci siamo assunti questa responsabilità non era noto in modo definitivo e chiaro, per così dire all'unità, il numero di partecipazioni pubbliche nel nostro Paese; allo stesso tempo, un'incertezza normativa, perché in questi anni sono stati adottati su questo tema tanti, troppi interventi legislativi, in modo spesso sovrapposto.
  Tutto questo è stato fatto senza una visione d'insieme e ha finito per generare una confusione normativa e un'incertezza del diritto in questo settore, spesso per gli stessi addetti ai lavori.
  Preso atto di questo, l'impostazione che abbiamo provato a dare al decreto legislativo oggetto di questa audizione – è un decreto legislativo attuativo della legge n. 124 del 2015, che è il cuore della riforma della pubblica amministrazione – non è un approccio di taglio lineare, numerico, anche Pag. 4 perché ogni qual volta si è provato ad approcciare con tagli lineari una qualunque materia credo non si sia fatto del bene al Paese, ma non è neppure un approccio definitorio e quindi teorico.
  Abbiamo provato ad avere in questo testo un approccio molto concreto e pragmatico, che non ha alcuna considerazione pregiudiziale rispetto all'elemento della società partecipata, che però è utile solo se è di ausilio all'amministrazione nel fare arrivare ai cittadini servizi migliori e servizi efficienti.
  L'oggetto del decreto legislativo non sono tutte le partecipazioni pubbliche, ma sono solo le società a partecipazione pubblica, quindi tutte le partecipazioni pubbliche che hanno un'altra natura giuridica – penso alle associazioni, alle fondazioni – sono fuori dall'oggetto di questo decreto. Proprio perché non partiamo da un elemento pregiudiziale sullo strumento della società partecipata, il punto è stabilire, prima di tutto, quando una società partecipata può esistere, cioè quando la finalità della società partecipata è legittima, e quando non sia invece meglio per la collettività rilasciare quella finalità al mercato, e, in secondo luogo, quando la gestione di quella società partecipata, che ha una finalità legittima, è una buona gestione, altrimenti finiamo, seppure in via indiretta, per creare comunque un pregiudizio alla collettività.
  In questo senso, oltre a quello che dirò dopo, penso sia opportuno ricordare alcune norme di razionalizzazione che impediscono il ripetersi della gestione non oculata delle risorse pubbliche che è stata fatta in questi anni. Penso in particolare al comma 6 dell'articolo 11, cioè all'individuazione delle fasce di retribuzione per i dirigenti e per gli amministratori, e comunque ad altre norme di moralizzazione che si trovano nello stesso articolo 11, ai commi 10, 12 e 13.
  Questo è il perno, la filosofia su cui poggia questa nuova disciplina, la quale è finalizzata a conseguire tre obiettivi. Sui tre obiettivi del Governo io concludo, ma vorrei che proprio in questa audizione fossero chiari quali sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere con questo testo.
  Il primo obiettivo è quello di avere delle norme ordinate e certe. In tale ottica, stiamo pertanto predisponendo un testo unico. Questo è un obiettivo di cui si parla poco o non si parla abbastanza, ma io ritengo che sia un obiettivo importante almeno quanto gli altri due, perché le norme sono confuse e incerte e un chiarimento normativo in una materia così complessa ci viene richiesto da tutti: dai manager stessi delle partecipate, dagli amministratori, dai sindaci, dai presidenti di regione, dai giuristi. Per la prima volta, in un campo così complicato viene introdotta una disciplina organica e vengono ricondotte in un unico testo tutte le norme di riferimento.
  Il secondo obiettivo è quello di ridurre lo stock esistente delle partecipate. Lo facciamo attraverso tre punti fondamentali. Il primo è individuare le finalità consentite per costituire e gestire una partecipata, ai sensi dell'articolo 4 dello schema di decreto legislativo. Il secondo è individuare dei criteri che, indipendentemente dall'oggetto e dalla finalità della partecipata, motivano comunque la chiusura della partecipata. Sono i famosi criteri di cui si è tanto discusso, per esempio – ne cito solo alcuni – quelli del numero minore di dipendenti rispetto ai consiglieri di amministrazione, dell'inattività della partecipata che non emette fattura da più di un anno, del numero di almeno quattro su cinque esercizi di bilancio in passivo negli ultimi cinque esercizi, di cui alle lettere b), c), d), e), f) e g) del comma 2 dell'articolo 20. Il terzo punto, fondamentale per raggiungere l'obiettivo di riduzione dello stock esistente, è quello di predisporre dei meccanismi che assicurano con certezza l'attuazione delle norme.
  Su questo ultimo punto vorrei porre un'enfasi maggiore, dedicando ad esso qualche minuto in più. Le norme passate spesso sono rimaste inattuate proprio perché non prevedevano meccanismi di chiusura, cioè non prevedevano che cosa succedeva in caso di inerzia dell'ente partecipante. Penso che l'insieme dei commi 5 e 6 Pag. 5dell'articolo 25, concernenti rispettivamente la perdita dei diritti di socio e la messa in liquidazione, unitamente all'articolo 15, di cui parlerà più diffusamente il Ministro Padoan, concernente l'operatività di una struttura al Ministero dell'economia e delle finanze, consentiranno di chiudere davvero le società partecipate che, dai criteri elencati, diventano società partecipate illegittime.
  A questi due meccanismi che io chiamo «di chiusura» si aggiunge il comma 7 dell'articolo 20, relativo alle sanzioni che si prevedono in caso di mancato adempimento degli obblighi di ricognizione annuale e dell'adozione del piano di razionalizzazione da inviare alla Corte dei conti. Sono sanzioni che il Consiglio di Stato rileva essere sproporzionate, ma che dal mio punto di vista il Governo non sarà orientato a cambiare, proprio perché partivamo dal dato di fatto che l'elemento di debolezza delle norme passate è stata proprio l'assenza di meccanismi sanzionatori e di meccanismi di chiusura per l'attuazione delle norme.
  Arrivo al terzo e ultimo obiettivo – ricapitolando, il primo è il testo unico, il secondo è la riduzione dello stock esistente – che è quello di evitare che fra tre, quattro, cinque anni ci si ritrovi in Italia a discutere di un decreto che debba di nuovo ridurre lo stock di società partecipate esistenti. Per questo ci sono due articoli importanti: l'articolo 5, che prevede un controllo ex ante delle nuove società che si creeranno, e l'articolo 20, commi 3 e 4, laddove si prevede un monitoraggio regolare durante la vita delle società che rimangono in essere e che magari un anno sono legittime e l'anno dopo, per una cattiva gestione, non lo sono più.
  Siamo consapevoli che la materia è complessa e che gli obiettivi sono ambiziosi. Per questo penso che sia molto importante il dibattito parlamentare e che altrettanto importanti saranno i pareri che perverranno dalle Commissioni parlamentari. Ho voluto provare in modo chiaro a indicare gli obiettivi proprio perché qualunque suggerimento, qualunque considerazione, qualunque sintesi nei pareri, ci darà un aiuto a rendere più stringenti questi obiettivi e sarà una considerazione, un suggerimento, un parere che potrà essere accolto nel testo per l'approvazione definitiva di questo decreto legislativo in Consiglio dei ministri. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio la Ministra Madia.
  Do la parola al Ministro Padoan.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente, buonasera. Vorrei approfondire alcuni degli aspetti toccati dalla Ministra Madia anche dal punto di vista, più specificatamente, del ruolo che il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) ricopre e ricoprirà nell'ambito della gestione delle partecipate.
  Il primo punto riguarda la valutazione più specifica degli obiettivi di natura sia economica sia finanziaria dei piani di razionalizzazione. Approfondendo i temi già sviluppati prima dalla Ministra Madia, vorrei ribadire che la finalità dei piani di razionalizzazione straordinaria e periodica delle partecipazioni è quella di semplificare e ridurre il numero delle partecipazioni, come è stato già detto.
  La riduzione è strumentale a una serie di altri obiettivi: la riduzione della spesa pubblica; il recupero di efficienza e trasparenza e, nel caso di cessione di partecipazione, la riduzione del debito pubblico; il sostegno al finanziamento tramite strumenti di mercato. Quindi, approfondendo i vari aspetti, emerge un'articolazione di obiettivi che però devono rimanere coerenti.
  Questo si innesca in un andamento che può dirsi testimone di una buona gestione delle società partecipate. Tanto per dare una sola cifra, segnalo il contributo in termini di finanza pubblica derivante dai dividendi incassati nel 2015 dal MEF, che ammonta a complessivi 1 miliardo e 663 milioni di euro. È un numero solo, ne possiamo discutere, ma indica come la gestione sia improntata all'efficienza.
  Ricordo, inoltre, che le società partecipate dal MEF sono suddivise in due grandi Pag. 6categorie: società quotate o in via di quotazione, che operano in settori strategici per l'economia, e società che producono servizi di interesse generale o strategico, nonché società strumentali alle finalità del MEF.
  Ho citato la cessione di quote di partecipazione. Ricordo quali sono i momenti più recenti di questa strategia che il Governo persegue: la cessione di quote ENEL a febbraio 2015; la quotazione di circa il 35 per cento di Poste Italiane a ottobre 2015, a cui si aggiunge, ed è in corso di realizzazione, la privatizzazione mediante quotazione di ENAV. Ricordo, inoltre, che il Governo ha approvato l'avvio della cessione di ulteriori quote di Poste Italiane, cui seguirà l'avvio della cessione di quote di Ferrovie dello Stato.
  Cito un solo esempio per approfondire questo argomento, che è quello di Poste Italiane. Nel 2015 la privatizzazione di Poste Italiane ha consentito di raggiungere e superare l'obiettivo di riduzione del rapporto debito-PIL dello 0,4 per cento. Aggiungo che tra il 2016 e il 2018 si prevede che l'insieme del programma di privatizzazioni continuerà a contribuire alla riduzione del rapporto debito-PIL negli anni a venire, a cominciare da quest'anno.
  Vorrei sottolineare che l'obiettivo di cessione delle quote non si limita alla riduzione del debito, per quanto importante sia questo obiettivo, ma – come ricordavo – coinvolge anche una spinta all'efficienza nella gestione di queste imprese, oltre che un incentivo a trovare fonti di finanziamento di mercato che permettono anche un ampliamento dell'attività di queste imprese. Da questo punto di vista, la privatizzazione di Poste Italiane può essere considerata un successo. Si tratta della prima grande quotazione di una controllata del Ministero dell'economia e delle finanze dopo quindici anni. È la maggiore quotazione in Europa nel 2015.
  La quotazione in Borsa ha costituito, inoltre, un'opportunità per aumentare l'efficienza del gruppo Poste Italiane e per sfruttare al meglio il ruolo dell'innovazione come leva per la crescita. La domanda è stata pari a più di tre volte l'offerta e hanno aderito non solo numerosi piccoli risparmiatori, fra cui molti dipendenti, ma anche grandi investitori istituzionali, esteri ed italiani, a testimonianza della qualità e dell'interesse degli asset messi in parziale cessione sul mercato da parte dello Stato.
  Il secondo punto che vorrei affrontare comprende qualche riflessione su come il MEF intende svolgere il ruolo di monitoraggio previsto dal decreto legislativo, in particolare nei confronti delle società dello Stato. Il testo unico prevede che ciascuna amministrazione pubblica azionista effettui un'analisi delle partecipazioni da essa detenute per verificare che tali partecipazioni siano funzionali al perseguimento delle finalità istituzionali. Ad esito di tali analisi dovranno essere definiti da ciascun ente detentore di partecipazioni, entro sei mesi dall'entrata in vigore del provvedimento e, successivamente, con cadenza periodica, appositi piani di razionalizzazione diretti a individuare le partecipazioni possedute da alienare o oggetto di operazioni di razionalizzazione, fusione o soppressione.
  I provvedimenti di ricognizione e razionalizzazione dovranno essere comunicati in via informatica alla banca dati Patrimonio PA gestita dal Dipartimento del Tesoro, che sarà lo strumento di cui si avvarranno sia una struttura del MEF, appositamente istituita e distinta dalla struttura titolare dei poteri di azionista, sia la Corte dei conti, per effettuare il monitoraggio e il controllo sull'applicazione della normativa, anche sotto il profilo dell'efficienza e dell'efficacia delle decisioni adottate dagli enti detentori delle partecipazioni.
  In particolare, la struttura istituita nell'ambito del MEF svolgerà funzioni di indirizzo e di coordinamento in materia di applicazione della nuova normativa, nonché di controllo e monitoraggio, esercitando nei confronti di tutte le società a partecipazione pubblica i poteri ispettivi già previsti dalla normativa vigente. Considerato che la struttura del MEF sarà chiamata ad esercitare, nei confronti di una vasta platea di soggetti afferenti a diversi livelli di governo, un insieme di funzioni riconducibili in parte a competenze del Pag. 7Dipartimento del Tesoro e in parte a competenze del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, compatibilmente con le soluzioni organizzative consentite dall'attuale formulazione normativa è intenzione del MEF costituire un Comitato interdipartimentale, composto da rappresentanti del Dipartimento del Tesoro e dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, in modo da unificare le competenze esistenti nell'ambito dei due Dipartimenti, senza prevedere ulteriori misure organizzative.
  Nell'ambito del MEF è già stato avviato il lavoro per definire un formato standard per l'acquisizione dei contenuti dei piani di razionalizzazione. In particolare, per comunicare al MEF i predetti piani, le amministrazioni dovranno utilizzare un'apposita funzionalità che sarà disponibile sull'applicativo del Dipartimento del Tesoro, già utilizzato per il censimento ordinario delle partecipazioni pubbliche. Sarà possibile recepire le informazioni con modalità standardizzate e sottoporle a elaborazioni in via informatica, con benefici in termini di efficienza dell'attività di monitoraggio per l'intero processo decisionale in merito alla scelta delle amministrazioni di detenere o meno partecipazioni.
  Per quanto riguarda il monitoraggio nei confronti delle società partecipate dallo Stato, attualmente il Ministero dell'economia e delle finanze risulta titolare di partecipazioni di controllo in 28 società, dotate di assetti di governance coerenti con la loro missione, senza trascurare obiettivi di economicità e migliore funzionalità degli organi sociali.
  Il Ministero ha già operato interventi di rivisitazione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione, volti a rendere tale numero coerente con la tipologia e la dimensione della società, riducendo i membri dei consigli a tre o a cinque. Nella sua veste di azionista, il MEF si avvale delle prerogative riconosciute in generale agli azionisti dal codice civile, garantendo una piena autonomia operativa alle imprese e agli amministratori, quali titolari esclusivi del potere di gestione, valutandoli unicamente in relazione ai risultati ottenuti dalla società.
  Il Ministero si è fatto parte attiva nel promuovere modalità di remunerazione dei membri dei consigli d'amministrazione, tali da favorire l'interesse di lungo periodo della società e da attrarre e motivare professionisti qualificati, selezionando gli amministratori in modo da garantire che siano adeguatamente rappresentate competenze professionali e manageriali idonee, considerando i princìpi del Codice di autodisciplina delle società quotate, che tengono conto «dei benefici che possono derivare dalla presenza in Consiglio di diversi generi, fasce d'età e anzianità di carica».
  Riguardo ai presìdi di efficienza e controllo, il Ministero negli anni scorsi ha introdotto negli statuti delle società numerosi istituti mutuati dal Codice di autodisciplina di Borsa italiana. In particolare le clausole statutarie riguardano le seguenti voci.
  In primo luogo, i requisiti di eleggibilità. A tale riguardo, l'assunzione della carica di amministratore è subordinata al possesso di speciali requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza, finalizzati, come raccomandato anche dalle guidelines dell'OCSE sulla corporate governance delle imprese a controllo pubblico, a garantire la presenza di competenze utili e complementari al disegno strategico dell'impresa, massimizzando la professionalità complessiva del Consiglio.
  In secondo luogo, i limiti al cumulo degli incarichi. Al fine di consentire agli amministratori un'adeguata disponibilità a svolgere l'incarico, sono stati previsti dei limiti per gli incarichi in altre società.
  In terzo luogo, la composizione dei consigli. In proposito, nell'ottica di assicurare alle società assetti di governance coerenti con la loro mission, con adeguato presidio dei rischi gestionali e reputazionali, tenendo anche presente la prassi di mercato, nelle società di dimensioni maggiori sono stati previsti organi di amministrazione con un massimo di 5 membri, mentre nelle società di minori dimensioni vi sono 3 membri, ferma restando la possibilità, in casi di motivate esigenze, di affidare la Pag. 8gestione della società ad un amministratore unico.
  In quarto luogo, i presìdi di controllo. Al riguardo, mutuando i compiti e le responsabilità previste per le società quotate è stata resa obbligatoria la presenza del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili e societari, con l'obiettivo di rafforzare il sistema dei controlli sull'informativa economico-finanziaria a garanzia dell'azionista e di tutti gli stakeholder. Inoltre le società controllate dal Ministero hanno costituito gli organismi di vigilanza per la prevenzione della commissione dei reati rilevanti.
  Infine, vorrei brevemente toccare la giustificazione delle singole deroghe all'applicazione del decreto legislativo con riferimento a dieci società che sono incluse nell'elenco allegato al decreto. Come è noto, tra le società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, oltre ad alcune società le cui attività rientrano tra le categorie individuate nell'articolo 4 del testo unico, come CONSAP, CONSIP, SOGEI, vi sono altre società controllate direttamente o indirettamente dal MEF, per le quali si è reso necessario richiedere la deroga all'applicazione delle disposizioni del testo unico in ragione degli interessi pubblici ad esse connessi e delle attività da queste svolte che, seppur non chiaramente riconducibili alle categorie elencate nell'articolo 4, sono tuttavia di rilevante importanza strategica o sociale.
  Segue poi l'elenco delle dieci società e delle motivazioni specifiche per ciascuna di queste, che ovviamente sarò lieto, se necessario, di esplicitare.
  Mi fermo qui. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, Ministro Padoan.
  Lascio quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Ringrazio i Ministri per l'audizione che hanno reso alle Commissioni. Non c'è dubbio che, oltre ad essere condivisibile, c'è un'estrema urgenza e necessità per il Paese e per la spesa pubblica di tentare di mettere ordine nel contesto delle partecipate per l'erogazione dei servizi, visto che da parte del Governo, ma non solo del Governo, ci sono dati inconfutabili.
  Nate grosso modo nei primi anni Novanta con l'obiettivo del legislatore di garantire una gestione dei servizi pubblici efficiente ed efficace con il controllo dei cittadini e rispetto alle esigenze del territorio, solo in alcuni casi le società partecipate hanno avuto una sana gestione – non tutte le 8-9.000 società censite sono state infatti gestite in maniera dissennata –, ma si tratta solo di pochi casi, mentre, come è emerso anche questa mattina nell'audizione dei rappresentanti degli enti locali, occorre avere una linea diversa rispetto all'impostazione dello schema di decreto legislativo, su alcuni punti del quale occorre assolutamente intervenire.
  È fin troppo evidente, quindi non richiamo quanto è stato già detto dal Piano Cottarelli sul numero né tutte le patologie evidenziate a più riprese dall'ANAC e dal suo presidente Cantone. Le società partecipate saranno 8-10.000, posto che il numero esatto si ignora, e in alcune di esse manca addirittura lo svolgimento di un'attività di servizi in un contesto di spesa pubblica che, secondo le stime di Confindustria, ammonta a circa 27 miliardi di euro all'anno, ovverosia una gestione enorme. Non c'è dubbio che tutto ciò è servito, e questo è uno dei punti dolenti che nell'attuazione del decreto si inizia ad affacciare, e mi riferisco soprattutto alla Ministra Madia.
  Al Ministro dell'economia e delle finanze non sfuggirà che negli anni, soprattutto nei rapporti con l'Unione europea, in tema di misure di razionalizzazione c'è stato un blocco del personale, un blocco del turn over, per cui da anni la spesa viene limitata a quella del 2004, diminuita dell'1,4 per cento, e si procede con il contagocce. Nel frattempo, però, noi abbiamo preso in giro l'Europa, su questo non c'è dubbio, attraverso le società partecipate, con una perdita di credibilità il giorno in cui prima o poi tutto ciò verrà scoperto, con un enorme danno di spesa pubblica Pag. 9per aver aggirato i vincoli riportati nel bilancio dello Stato, nonché a detrimento del merito, perché le assunzioni venivano fatte quasi dappertutto senza selezioni e senza meritocrazia.
  Ciò premesso, si pone quindi il problema del personale, che lo schema di decreto legislativo non affronta. Mi auguro che tutto il personale che non è stato acquisito attraverso una selezione pubblica, così come previsto dalle leggi dello Stato, vada a casa, senza «se» e senza «ma», perché dobbiamo cercare di riportare nella legge quanto dice Cantone e dicono tutti, ossia che qui c'è solo un compendio della corruzione e dell'illegalità.
  Mettiamo un punto fermo su questo: il Governo cosa vuol fare, che intenzioni ha? O anche questo è uno strumento con cui si sana tutto e si riporta chissà dove?
  L'altro problema riguarda la situazione oggi rilevata dai consumatori, che evidenzia come il danno nascosto sia enorme: quante di queste società partecipate rendono servizi per un valore pari a 10, mentre nei contratti sarebbero tenute a fornirli per un valore pari a 20 o a 30, con la conseguenza che i cittadini sono costretti a pagare l'erogazione dei servizi medesimi in una misura maggiorata di due terzi?
  Mi avvio alla conclusione affrontando il problema dei controlli, che rappresenta un problema serio emerso nelle audizioni che abbiamo avuto con la Corte dei conti e non solo, perché il punto forte è l'altra norma definita «criminogena» da Cantone con cui è stata introdotta la modifica del Titolo V della Costituzione attualmente in vigore. L'autonomia può essere un grande valore ma, essendo stata recepita come anarchia, l'unico federalismo che è entrato in vigore nel nostro Paese è quello della corruzione.
  Il punto forte, evidenziato questa mattina dai rappresentanti dell'ANCI e da altri, è che qui viene toccata e lesa l'autonomia, pertanto mi domando: quanto contenzioso e quante controversie porterà l'attuazione di questo decreto legislativo? Come si vuol effettivamente procedere per evitare di far fallire l'obiettivo che il Governo si pone sulla base delle dichiarazioni e dello schema di provvedimento?
  Per quanto concerne sia l'articolo 5 che l'articolo 12, probabilmente bisogna prevedere una disciplina molto più seria e stringente in relazione ai controlli effettuati dalle sezioni regionali della Corte dei conti, perché già di per sé le sezioni regionali della Corte dei conti, perché, a parte il decreto-legge n. 174 del 2012, il cosiddetto decreto Monti, che ne ha un po’ definito le funzioni, le sezioni riunite della Corte dei conti si riuniscono all'inizio dell'anno ed approvano un deliberato con cui si pongono quattro o cinque obiettivi di quello che debbono controllare. Una cosa del genere rispetto alle società partecipate non può funzionare: se, da un lato va benissimo il monitoraggio a valle di cui ha in precedenza riferito il Ministro Padoan, dall'altro, occorre svolgere anche quello ex ante, perché altrimenti i buoi sono già scappati.
  Nel contesto delle trasformazioni attuali non possiamo cominciare a dire che la tale società non può essere sciolta per motivi legati al personale e che la talaltra società non può essere sciolta per un motivo ancora differente, ovvero che la sezione di controllo non ha il potere o non è tenuta a svolgere il controllo preventivo, perché questi aspetti debbono essere definiti prima, altrimenti anche questo tentativo non riesce a ottenere i risultati auspicati.
  Sull'annotazione del Ministro Padoan dico due semplici cose. La prima riguarda gli strumenti di mercato, perché occorre a mio avviso una disciplina molto più stringente e perentoria, che faccia riferimento in particolare alle modalità attuative, perché se poi gli strumenti di mercato tirano fuori derivati o robe del genere e vanno in perdita, non possiamo trovarci con il finanziamento in strumenti derivati pagato sempre dalle tasche del cittadino. Le società partecipate sembrano essere state come un «prosciutto»: tutti contenti, ma poi il prosciutto era la tasca del cittadino con tasse nazionali, tasse regionali, tasse locali, e alla fine è esploso tutto.
  La situazione delle Poste Italiane fortunatamente ha visto un'esplosione positiva, almeno finora, perché la gente non si fida più delle banche e quindi le Poste Italiane hanno acquisito un valore enorme. Sul Pag. 10problema delle deroghe vedremo nel corso della discussione se vi sia qualche altro aspetto da ritoccare, ma è estremamente urgente intervenire con una disciplina molto più efficace, magari attraverso un altro provvedimento legislativo volto ad individuare i compiti delle sezioni di controllo della Corte dei Conti. Occorre, infatti, un controllo preventivo ferreo nonché un controllo successivo, considerato che gli stessi rappresentanti della Corte dei Conti nutrono dei dubbi rispetto alla loro funzione e alla loro azione, mentre per quanto riguarda il monitoraggio ex post, prendo atto che esso verrebbe assicurato dalla struttura del MEF.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Palese. Non avevamo fissato con la presidente Finocchiaro i tempi, come di solito facciamo, perché il clima nelle due Commissioni è sempre stato abbastanza disteso. In attesa di capire quale dei due Ministri risponderà sul tema del «prosciutto», lascio la parola a Lucio Malan.

  LUCIO MALAN. Grazie, signori Ministri, per la vostra presenza. Farò invece una domanda molto puntuale. Nel testo dello schema di decreto legislativo non vedo mutamenti rispetto ad una disciplina, ad un criterio in vigore già da molto tempo, cioè che l'eventuale debito di società partecipate venga calcolato nel debito pubblico.
  La mia domanda è questa: visto che nell'ambito della riduzione delle società partecipate il 14 gennaio il Ministro Delrio ha firmato un protocollo di intesa per costituire due nuove società partecipate per la gestione dell'autostrada del Brennero e per le autostrade che vanno sotto il nome di Autovie Venete, nonostante la mia interrogazione ormai risalente all'inizio di febbraio, non sono ancora riuscito a vedere il testo di questi protocolli, però nel materiale divulgativo del ministero c'è scritto che, in un caso, sono previsti investimenti di 2 miliardi e, nell'altro caso, investimenti per 1,5 miliardi. Poiché il termine «investimenti» equivale a dire debiti, chiedo quale sia la dinamica, in questa logica di riduzione del peso delle società partecipate sulla finanza pubblica, quale sia il significato di questo atto in decisa controtendenza, che ne istituisce due nuove e soprattutto sembrerebbe gravare il debito pubblico, che non ne ha proprio bisogno, di ulteriori 3,5 miliardi di euro.

  GIOVANNI ENDRIZZI. Dalle vostre relazioni ho percepito molta enfasi sul concetto di riduzione del numero, ma mi sembrerebbe invece più opportuno parlare di cernita, perché la riduzione del numero non porta alcun beneficio se non vengono effettivamente sfrondate le società che non producono né in termini economici, né in termini di servizio.
  Alcuni criteri spesso riportati anche dalla stampa, come nei casi clamorosi di società con più membri del consiglio di amministrazione che dipendenti, non vorrei fossero usati come specchietto per le allodole, perché noi dovremmo piuttosto compiere una valutazione caso per caso.
  Si può sostenere che questa valutazione debba essere condotta ad un livello politico, però così assumiamo che ci possono essere dei criteri men che oggettivi, oppure ci si può limitare ad aspetti di tipo contabile, ma allora non capisco come mai si mettano dei vincoli all'azione di valutazione anche preventiva della Corte dei conti, giacché dovremmo valutare bene ogni operazione di dismissione e di fusione, vista anche l'esperienza purtroppo pesante che abbiamo avuto negli ultimi anni.
  Ho l'impressione che ci sia un obiettivo finale celato dietro quello dichiarato, perché quando sento enfatizzati i dividendi raccolti e penso alle società che gestiscono i servizi essenziali, devo allora ricordare che, nel caso di società a partecipazione mista pubblico-privato, i dividendi di cui gode un ente pubblico hanno come contrappeso dall'altra parte dividendi, cioè margini realizzati dai privati su un servizio che dovrebbe essere erogato con la miglior qualità e al minor costo.
  A questo punto mi chiedo se il principale problema che avevamo, cioè questo azionariato misto e il conflitto che genera sul piano degli obiettivi pubblici e privati di lucro, sia stato veramente trascurato.

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  VITO CLAUDIO CRIMI. Faccio una domanda secca e semplice, giusto per controbilanciare il collega Palese: come mai ENAV non è nell'elenco delle società escluse da queste applicazioni, quindi non la consideriamo una società strategica, pur occupandosi di uno dei settori forse più importanti in questo momento nell'ambito del trasporto? Nel contempo figurano infatti le società Expo e Arexpo, mentre forse appare più strategica la società ENAV, ovvero l'Ente nazionale di assistenza al volo.

  GIRGIS GIORGIO SORIAL. In funzione di quanto ci ha detto la Ministra Madia e ci ha detto il Ministro Padoan vorrei solo fare una piccola premessa e poi procedere con le domande.
  La premessa è che le perdite annualmente rilevate dalla Corte dei conti, sulla base dell'analisi dei dati dei bilanci relativi all'esercizio 2013, con riferimento a tutte le partecipate, a tutto l'universo mondo delle partecipate, non solo quelle dello Stato o del Ministero dell'economia e delle finanze, ma anche e soprattutto quelle degli enti locali e territoriali che, su un monte di 8.000 partecipate, rappresentano almeno 6.000 partecipate, di quelle che perlomeno presentano i bilanci, perché poi c'è un migliaio di partecipate che, come sappiamo bene, continua a non presentare i dati, superano ad oggi 1 miliardo e 200 milioni di euro.
  Questo è già un campanellino d'allarme. L'altro campanellino d'allarme è il rapporto tra i crediti e i debiti degli organismi partecipati, un rapporto tra crediti e debiti nell'ordine di 1 a 2, nel senso che i debiti rappresentano il doppio dei crediti e questo significa che prima o poi questi debiti, per come è la storia delle partecipate italiane, esploderanno in ulteriori perdite, che ancora una volta gli enti territoriali e i vari organismi partecipanti ripianeranno attraverso risorse pubbliche, creando debiti fuori bilancio e indebitandosi ancora di più, utilizzando risorse pubbliche che quindi vengono sottratte direttamente alle risorse che possono essere utilizzate per garantire servizi essenziali ai cittadini.
  In funzione di tutto ciò, se si vuole annunciare che si fa una riforma sul mondo delle partecipate con i tre obiettivi individuati dalla Ministra Madia e poi si guarda allo schema di decreto legislativo, ci si rende conto che c'è una discrasia grandissima, universale.
  Ci si viene infatti a raccontare che il primo dei tre obiettivi fondamentali è quello di creare delle norme ordinate e certe, poi però andando nello specifico dello schema di decreto legislativo ci si rende conto che ci sono dei punti che rimangono interpretativi sia dal punto di vista della giurisdizione e della divisione delle competenze tra la giustizia ordinaria e la giustizia contabile della Corte dei conti, sia per quanto riguarda il dettaglio e la definizione chiara, netta e certa del danno erariale, per il quale si evidenzia il fatto che siano delle azioni omissive quelle che vengono portate avanti dai responsabili del danno e non si chiarisce che all'interno di queste azioni omissive ci debbano assolutamente essere anche le azioni di natura positiva, nel senso di azioni fattive che vanno a creare questo danno, e non solo le omissioni o le mancanze. Il primo obiettivo quindi già viene meno.
  Il secondo obiettivo è quello di individuare dei criteri – riprendo qui le parole della Ministra Madia – per la chiusura e ridurre quindi lo stock di partecipate. Ancora una volta ci si ritrova però in una condizione di discrasia tra quello che c'è scritto nel documento e nello schema di decreto legislativo rispetto all'obiettivo dichiarato, per il semplice motivo che continuiamo a vivere in un mondo dove abbiamo delle partecipate che eludono qualsiasi tipologia di controllo già all'interno dei loro statuti, e lo eludono perché la giurisdizione che è stata creata permette agli organismi partecipati, decidendo la quota di partecipazione direttamente nel proprio statuto, di decidere il tipo di giurisdizione verso cui andrebbero direttamente.
  Faccio l'esempio pratico: parliamo spesso del controllo sulle società in house, che nella definizione italiana sarebbero a controllo al 100 per cento e sappiamo che ormai dal punto di vista europeo arriveranno a un controllo dell'80 per cento, ma Pag. 12queste società inserendo all'interno del proprio statuto una partecipazione al 79 per cento eluderebbero tutta la giurisdizione nei confronti delle società in house e quindi la giurisdizione della Corte dei conti.
  Il terzo obiettivo che ci ha detto la Ministra Madia è quello di evitare che ci si ritrovi con un decreto che fra tre anni non ha fatto niente, quindi in una situazione per cui fra tre anni parleremo ancora di partecipate.
  Ministra, non penso di darle nessuna notizia: probabilmente con questo schema di decreto legislativo e con il prossimo che sarà in discussione presso le medesime Commissioni di Camera e Senato ci ritroveremo sempre nella stessa identica situazione, soprattutto per tutte le società in trasformazione, per esempio da S.r.l. a S.p.A., e soprattutto per quello che è il mondo dell'indebitamento e il mondo dell'utilizzo delle risorse pubbliche, tenuto conto che l'utilizzo dello strumento di partecipazione viene concepito non tanto per la fornitura di servizi quanto per creare, come si è creato in questi anni, un mondo parallelo, fatto di soldi e poltrone. È indubbio che tutto rimarrà così, se non si agirà veramente nel profondo nei confronti delle partecipate, e vado nel dettaglio per capire insieme di cosa sto parlando all'interno del decreto legislativo.
  Partiamo dall'articolo 12 dello schema di decreto legislativo, dove al comma 2 c'è questa espressione su cui potremmo fare un trattato e discutere per un bel po’, in base alla quale «costituisce danno erariale esclusivamente il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipati». Su questo i casi sono due: o nell'utilizzo delle risorse pubbliche si decide, in funzione dell'attuale articolo 81 della Costituzione, di andare in una direzione, oppure decidiamo insieme di abolire l'articolo 81.
  Cosa voglio dire? Sui disavanzi eccessivi, tenendo conto del citato articolo 81 e dell'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea relativo ai disavanzi, non è meglio pensare di affidare a giudici specialistici, che sono i giudici contabili della Corte dei conti, che quindi hanno anche una celerità differente rispetto alla giustizia ordinaria, il compito di agire in materia di responsabilità degli amministratori di società pubbliche non quotate, mantenendo invece al giudice ordinario la giurisdizione sulla responsabilità degli amministratori delle società pubbliche quotate? Se non si opera questa distinzione, ci ritroveremo nella stessa situazione.
  Ho preso ad esempio l'articolo 12, comma 2, perché è proprio in quell'articolo che, creando questa possibilità di discussione e di azione sulle partecipate, potremmo fare qualcosa per distinguere i due livelli, per distinguere le competenze in maniera chiara e netta, e soprattutto per permettere alla Corte dei conti di operare, posto che essa lamenta non tanto di non ottenere la giurisdizione dalla Cassazione quanto il fatto che, rispetto alle azioni che intraprende, la risarcibilità sia pari ad un decimo, perché quando poi si arriva in Cassazione viene tolta la giurisdizione alla Corte dei conti.
  Sarebbe dunque opportuno e normale, in un Paese nel quale la giustizia ordinaria è lunga e lenta, creare dei pubblici ministeri ad hoc nelle materie contabili e, in luogo di passare questo controllo della giurisdizione ai giudici ordinari, sarebbe piuttosto necessario mantenere e magari rafforzare le competenze della Corte dei conti proprio per ottenere quei tre obiettivi di cui prima si diceva. Se questo non viene fatto, non si va da nessuna parte.
  La banalità di tutto ciò è il fatto che poi con lo schema di decreto legislativo non solo si interviene sulla situazione della giurisdizione, ma si fa anche un ragionamento secondo noi completamente errato rispetto all'istituzione che controlla i conti. Se la Corte dei conti è un ente terzo e indipendente, andare a decidere come distinguere le competenze all'interno della stessa Corte dei conti, dividendola in funzione delle varie sezioni, credo sia quasi offensivo nei confronti di un organismo che è ritenuto – mi corregga, se sbaglio, chi la pensa diversamente – da tutti un ente terzo e completamente indipendente. Pag. 13
  L'articolo 5, comma 4, prevede quanto segue: «Ai fini di quanto previsto dal comma 3, per gli atti delle amministrazioni dello Stato è competente l'ufficio di controllo di legittimità sugli atti; per gli atti delle regioni e degli enti locali, nonché dei loro enti strumentali, delle università o delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione, è competente la Sezione regionale di controllo; per gli atti degli enti assoggettati a controllo della Corte dei conti ai sensi della legge 21 marzo 1958, n. 259, è competente la Sezione del controllo sugli enti medesimi».
  Il Governo vuole dunque imporre alla Corte dei conti, che è un ente terzo e indipendente, come distinguere la competenza all'interno della Corte dei conti stessa. Quest'ultima dovrebbe in qualche modo sapere – penso infatti che lo sappia meglio la Corte dei conti che il Governo – come differenziare le varie operazioni e sfruttare al meglio le risorse all'interno della Corte dei conti stessa. Se, invece, c'è questa immaginazione da parte del Governo di poter sapere anche, all'interno della Corte dei conti, come allocare le richieste con i soggetti che devono poi effettivamente svolgere i controlli, allora penso che ci troviamo di fronte ad una situazione completamente sbagliata. Anzi, quel comma, così com'è, andrebbe integralmente soppresso.
  Inoltre, l'articolo 5 ci porta a fare un ragionamento anche sulle deliberazioni. La norma in questo momento cosa prevede? Per voler in qualche modo razionalizzare, in funzione delle valutazioni sulle possibilità di razionalizzazione, in funzione degli equilibri dell'ente e in funzione di come si sostengono i rischi della costituzione di una nuova società, è richiesto uno schema di atto deliberativo alla sezione della Corte dei conti competente ai sensi del comma 4.
  E per quanto riguarda il momento precedente l'adozione della deliberazione? Secondo noi, qualora l'amministrazione ritenesse utile costituire una nuova società o acquisire una partecipazione diretta o indiretta, l'ente, prima dell'adozione della deliberazione della costituzione della società, dovrebbe inviare l'atto deliberante alla sezione della Corte dei conti competente e poi la Corte dei conti dovrebbe esercitare il controllo di cui all'articolo 3, comma 28, della legge n. 244 del 2007. Altrimenti, ci ritroviamo in una situazione completamente sbagliata.
  Ministro Padoan e Ministra Madia, in funzione e in virtù dei dati, che ormai sono più che conosciuti, del mondo delle partecipate, dell'universo delle partecipate, voi venite qui, in qualità di rappresentanti del Governo, a dire che si crea la possibilità e l'opportunità, attraverso l'adozione di un testo unico, di andare a fare qualcosa sulle partecipate e ci raccontate un sacco di cose, ma in realtà perdete l'occasione di fare veramente qualcosa sulle partecipate.
  Anzi, rischiamo di trovarci in una situazione deleteria, perché sappiamo sempre che la distinzione delle competenze diventa una sfida tra comparti della legalità e della giustizia ordinaria, da una parte, e della giustizia della Corte dei conti, dall'altra. In tal modo, perdete quindi un'occasione per fare qualcosa veramente di certo e di forte, e soprattutto di deterrente, nei confronti del mondo delle partecipate. Non solo perdete un'occasione, ma in realtà, anzi, fate qualcosa di negativo: avere la possibilità di far qualcosa e non farlo non significa stare immobili, bensì fare qualcosa di negativo.
  Questo schema di decreto legislativo ha una moltitudine di punti su cui bisognerebbe mettere mano. Spero che i relatori, sia alla Camera che al Senato, abbiano la predisposizione giusta per accettare tutte quelle che saranno le nostre valutazioni dei vari articoli e tutte quelle che saranno le nostre proposte per riportare sui corretti binari questo schema di decreto legislativo.
  Se così non dovesse essere e se le vostre risposte, Ministro Padoan e Ministra Madia, saranno sempre sulla stessa linea di ciò che avete detto finora, senza aprire alle nostre proposte e alle proposte che sicuramente arriveranno anche dagli altri gruppi parlamentari, allora ci troveremo in una situazione per cui, in realtà, avrete raccontato un sacco di belle cose, ma, come sempre, Pag. 14 avrete fatto ben poco per rispettare le cose che avete annunciato.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DELLA 1a COMMISSIONE DEL
SENATO DELLA REPUBBLICA
ANNA FINOCCHIARO

  MAINO MARCHI. Ringrazio i Ministri per le loro relazioni. Credo sia giusto sottolineare come da parte di molti dei soggetti che abbiamo audito sia venuto l'apprezzamento sia per gli obiettivi che si prefigge la legge delega di riforma della pubblica amministrazione, sia per l'intervento specifico sulle partecipate, in modo particolare per cercare di ricondurre a una modalità più unitaria la legislazione che si è sviluppata in questi anni su questo tema, che è stata certamente anche una delle cause che hanno prodotto gli elementi negativi su cui occorre intervenire.
  Certo, affrontare la questione di un testo unico significa affrontare anche problemi molto complessi, su cui ci possono essere opinioni diverse. Per esempio, sulla materia dei controlli gli stessi rappresentanti di diverse magistrature o i magistrati che abbiamo sentito non hanno espresso opinioni del tutto convergenti. Occorrerà, quindi, tener conto di quanto è emerso, cercando di fare una sintesi e sapendo che spesso sulle modalità dei controlli ci sono posizioni, anche da parte dei magistrati, che non sono convergenti. Quindi, il problema rimane da risolvere in sede istituzionale.
  Credo sia emerso che l'obiettivo della riduzione dei costi, con il contributo alla revisione della spesa che deve venire da questo intervento, è rilevante, ma anche che esso viene perseguito attraverso criteri e modalità che sono tipici di una spending review e non di tagli lineari. Sono stati, infatti, individuati criteri specifici nel rispetto dei quali una società partecipata può essere costituita oppure può rimanere in vita, ovvero le modalità di intervento per razionalizzare e riordinare il sistema.
  Credo che questa sia anche una risposta a una delle critiche maggiori che sono venute dalle organizzazioni sindacali. Esse hanno detto che gli obiettivi pare siano soprattutto quelli di tagliare e di ridurre, senza tenere sufficientemente conto dei problemi del personale di questo settore. Quindi, con lo schema di decreto legislativo viene perseguito un obiettivo di efficienza e di riduzione, ma secondo criteri tipici della revisione della spesa e non dei tagli lineari, nonché un obiettivo di riordino del settore.
  Detto questo, credo che ci siano alcuni temi ai quali occorre certamente prestare attenzione. Per esempio, sul personale credo che alcune valutazioni emerse in merito alla cosiddetta lista di mobilità debbano essere valutate. Penso alla questione della gestione regionale – regionale non nel senso dell'ente regione, ma del territorio regionale in cui ricadono queste liste – perché, come abbiamo già visto per esempio sulle liste per la mobilità nelle province, una gestione che tenga bloccate tutte le società fino a quando non sia stata gestita tutta una lista di mobilità nazionale può determinare dei problemi. Penso anche alla durata nel tempo di queste liste.
  Oppure, un altro tema che ritengo molto delicato – lo è in generale, perché abbiamo una legge sbagliata del 2010 sul sistema previdenziale, che riguarda le ricongiunzioni – concerne il passaggio da un ente previdenziale a un altro, che può determinare per diversi lavoratori costi per il ricongiungimento. Ovviamente, dobbiamo valutare ed evitare che ciò accada.
  Questo è un tema più generale relativo alla revisione di quella norma, perché in un sistema contributivo, passando da un lavoro all'altro, dovrebbe esserci la possibilità di cumulare i diversi periodi senza incorrere nei problemi che sono nati con le norme del 2010. Si tratta, però, ancora di una norma in parte vigente, che quindi va valutata.
  Allo stesso modo, sulla questione dell'efficienza sono state formulate valutazioni ed osservazioni in merito al fatto che, se un'impresa deve competere sul mercato ed essere efficiente, in alcuni casi possono valere norme come quelle previste per la pubblica amministrazione, ma in altri casi no. Pag. 15
  Faccio un esempio, sempre per quanto riguarda il personale. Credo sia opportuno per le assunzioni, le selezioni e le modalità di assunzione, che queste avvengano in forme simili a quelle previste per il settore pubblico, per evitare che si costituiscano società per aggirare quelle norme e fare assunzioni clientelari di cui non risponde nessuno.
  Nello stesso tempo, con riguardo a taluni vincoli, per esempio quelli relativi al turn over al 25 per cento, che valgono per la pubblica amministrazione, se anche un'impresa dovesse rispettarli ciò potrebbe determinare delle difficoltà nello svolgimento della sua attività concreta. Quindi, occorre valutare se non sia opportuno invece, in un caso del genere, che tali vincoli non ci siano. Occorre, quindi, fare anche delle distinzioni rispetto alle problematiche che possono essere presenti.
  Passo all'ultima questione. C'è un rapporto – ed anche questo aspetto è stato segnalato in diverse audizioni – tra lo schema di decreto legislativo in esame e quello sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, cui si aggiunge la questione di dover corrispondere all'esito del referendum del 2011. Lo dico, in modo particolare, per ciò che riguarda il servizio idrico integrato.
  In merito pongo due questioni. In primo luogo, chiedo se ci può venire qualche maggiore valutazione o ulteriore delucidazione su come sarà, in definitiva, il rapporto tra questi due decreti legislativi.
  Quanto alla questione concernente il servizio idrico integrato, ricordo che alla Camera è stato approvato un progetto di legge che riguarda quel settore e che adesso è all'esame del Senato. Ovviamente, dobbiamo fare in modo che non ci sia una legislazione contraddittoria tra lo schema di decreto legislativo in esame, quello sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, e l'eventuale legge ad hoc per quel settore, che è quello più delicato dal punto di vista della necessità di corrispondere all'esito del referendum. Anche su questo punto chiederei pertanto qualche delucidazione ulteriore da parte dei Ministri.

  GIORGIO PAGLIARI. Se il testo che ho io è il testo che hanno tutti i commissari, credo che ci siano considerazioni che sono state svolte in questa sede assolutamente fuori misura – su un piano tecnico-giuridico, prima che politico –, ma talmente fuori misura che per quella strada, anziché cercare di razionalizzare il sistema delle società partecipate, andremmo a creare semplicemente ulteriore confusione.
  Chi conosce il sistema delle società partecipate sa esattamente che il sistema stesso ha sofferto essenzialmente di due problemi. Uno è quello della deviazione dalla funzione originaria concepita per le società partecipate. L'altro è quello di una proliferazione enorme di queste società partecipate come frutto del clientelismo e dell'uso distorto di questi strumenti.
  La misura essenziale per salvare lo strumento delle società partecipate, che rispetto a un sistema pubblico è essenziale, è ovviamente quella di tornare al collegamento forte con i fini istituzionali degli enti pubblici e arrivare a una semplificazione del sistema, a una razionalizzazione e a una disciplina che, in una prospettiva futura, impediscano che si possano ripetere i fenomeni che hanno condannato il sistema in precedenza e riportino alcune regole che sono necessarie affinché, anche da un punto di vista operativo, le società partecipate non facciano gola per compiere operazioni indebite.
  Con questo schema di decreto legislativo che cosa si è fatto, esattamente? Prima nella legge delega e poi nello schema di decreto legislativo si è cercato esattamente di perseguire questo disegno e, quindi, di avere un sistema di razionalizzazione delle società partecipate, la riconduzione ai fini istituzionali e una certa ripubblicizzazione dell'attività dal punto di vista degli acquisti, degli appalti e delle operazioni, anche sotto il profilo dei meccanismi relativi al personale e alle forme di finanziamento. Su questa strada si crea un sistema sano, che può andare a compimento.
  Nella logica di questo sistema ci sono poi quelle norme contenute in questo schema di decreto legislativo che, per esempio, da un determinato punto di vista Pag. 16pubblicizzano la modalità di costituzione delle società partecipate differenziandole rispetto alle società esclusivamente disciplinate dal codice civile. L'obbligo della motivazione, la verifica e il controllo sulla delibera di costituzione delle società partecipate costituiscono un elemento di tipica pubblicizzazione del procedimento e della disciplina. In termini strettamente teorici, ciò può anche creare dei problemi, ma dal punto di vista pratico rappresenta un elemento di maggiore responsabilizzazione rispetto anche a questi processi.
  Qui c'è un tema che è emerso nel corso delle audizioni, che credo vada esattamente affrontato, ossia quello di chiarire quale sia il tipo di controllo che sulla delibera costitutiva delle società si compie. Credo che non possa che essere un controllo di legittimità, perché il controllo di merito mi pare assolutamente fuori misura rispetto all'autonomia degli enti che devono costituire le società stesse. D'altra parte, occorre capire bene dove questo controllo si collochi, uscendo da una qualche equivocità che, a mio avviso, nelle audizioni c'è stata.
  Ritengo infatti che la naturale sede di questo controllo sia a delibera approvata e, quindi, come si dice, perfetta, esistente, ma non ancora efficace. Prima che la delibera possa permettere la costituzione della società, proprio a quel punto occorre collocare il controllo, che è il controllo di natura successiva al perfezionamento della delibera. Ci potrebbe anche essere il controllo antecedente, ma prevedere il controllo antecedente vorrebbe dire interferire nel procedimento di deliberazione della costituzione della società, il che mi parrebbe anche un elemento di eccessivo allungamento dei tempi.
  Credo che ci sia un altro tema – data l'ora, non ne voglio aggiungere di ulteriori, fermo restando lo spazio destinato alla discussione presso le competenti Commissioni parlamentari – che occorra affrontare e riprendere, ossia quello della responsabilità. La delega è più ampia di quanto non dica l'articolo 12. Il tema della responsabilità degli amministratori degli enti controllanti è un tema che non riguarda solo la perdita di valore delle partecipazioni.
  Con le decisioni prese in sede di assemblea societaria il danno che può essere apportato all'ente partecipante è un danno anche di altra natura. Può essere un danno patrimoniale anche solo, per esempio, nel momento in cui, con una delibera della società, si determina la condizione per cui l'ente pubblico è chiamato a onorare una fideiussione che ha prestato a favore della società. Ne deriva un danno patrimoniale, che non è solo la perdita di valore della partecipazione.
  Credo che su questo piano ci sia la necessità di una disciplina più completa e più severa. Certamente è necessario che la responsabilità degli amministratori degli enti partecipanti, quando operano come socio, sia più stringente, perché l'irresponsabilità che si è verificata in passato da questo punto di vista è stata uno degli elementi che hanno determinato l'appesantimento del debito del sistema delle società partecipate.

  LINDA LANZILLOTTA. Sarò brevissima, data l'ora. Voglio ringraziare i Ministri per l'illustrazione che ci hanno fatto del quadro generale di riferimento e degli obiettivi dei due schemi di decreto legislativo, che stiamo discutendo e analizzando con molte audizioni.
  Tralasciando una serie di questioni sollevate dai colleghi, su cui torneremo nel corso dell'esame e della discussione, vi è un punto su cui volevo interrogare i Ministri. Rispetto agli obiettivi enunciati dalla legge uno mi è parso trascurato, anche se lo ritengo una leva molto importante per il perseguimento degli altri obiettivi, che sono l'efficienza, l'innovazione e, quindi, la creazione di un sistema di società pubbliche più utili alla collettività.
  Il punto è quello della tutela e della promozione della concorrenza. È una parola che non ho sentito menzionare dai Ministri e che io, invece, penso che dovremmo onorare non solo perché è prevista dalla delega, ma anche perché è una leva implicita per perseguire gli altri obiettivi e anche per autorizzare più flessibilità.
  Per esempio, un conto è attenuare il vincolo alle assunzioni se una società è esposta alla concorrenza e, quindi, è costretta Pag. 17 a essere efficiente ed innovativa e, pertanto, può avere la necessità di acquisire nuove professionalità; un conto, invece, è autorizzare assunzioni in una società che viene pagata con un contratto a piè di lista.
  Su questo punto volevo sapere se non valga la pena di fare un ulteriore approfondimento e un'accentuazione dell'orientamento e del taglio dello schema di decreto legislativo in esame.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Madia per la replica.

  MARIANNA MADIA, Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Grazie, presidente. Proveremo con il Ministro Padoan, anche se non ce lo siamo detti in modo puntuale, a dividerci un po’ le risposte.
  La prima che devo è al senatore Endrizzi. È evidente che stiamo facendo una cernita, come dice lei, altrimenti avremmo proceduto attraverso un taglio lineare delle società a partecipazione pubblica, cosa che non facciamo, proprio perché stiamo facendo delle distinzioni per mantenere in vita le società a partecipazioni pubbliche che hanno un interesse generale e che servono in modo efficiente finalità utili alla collettività.
  Rispondo brevemente all'intervento con una domanda finale del deputato Palese. In questo testo c'è l'ambizione di creare l'applicazione di un regime civilistico con un controllo del Ministero dell'economia e delle finanze sui piani di riordino. Credo che questo sia un elemento di innovazione importante, che forse nella sua domanda lei non ha valorizzato abbastanza e che rappresenta l'elemento vero di innovazione che ci dovrebbe consentire di raggiungere le finalità che lei, giustamente, descriveva nel suo intervento.
  Provo a rispondere brevemente ad alcune sollecitazioni, in particolare, sempre del senatore Endrizzi e del deputato Sorial. A me pare che in questo testo emerga in modo chiaro la volontà politica di porre fine, una volta per tutte, alla stagione nella quale, con risorse della collettività – quindi, con risorse di tutti – si ripianano cattive gestioni di società a partecipazione pubblica.
  Cito alcuni articoli dello schema di decreto legislativo in esame, in cui credo che questo emerga in modo chiaro. Il primo è l'articolo 21, concernente l'obbligo di accantonamento dell'ente socio in caso di perdita delle società. L'altro, in combinato disposto con l'articolo 21, è l'articolo 14, comma 5, attraverso il quale si cerca proprio di evitare che si mettano a ripetizione risorse pubbliche per ripianare cattive gestioni. Noi diciamo «sì» all'intervento pubblico, laddove però ci sia un piano serio di riorganizzazione e, quindi, di rilancio di quella società a partecipazione pubblica.
  Deputato Sorial, per quanto riguarda i poteri della Corte dei conti, su questo punto già in Commissione bilancio, qui alla Camera, avevo detto che c'è la massima apertura a raggiungere l'obiettivo del Governo. Dal mio punto di vista, esso è raggiunto già nel testo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, ed è quello di mantenere sempre tutti i poteri della Corte dei conti laddove ci siano risorse pubbliche, laddove quindi si possa configurare un danno erariale.
  Peraltro, l'articolo 12 è un articolo molto ampio sul danno erariale, che considera nella definizione di danno erariale tutte le condotte dannose, ivi comprese le condotte per omessa azione civile. Non c'è alcuna volontà, quindi, di limitare da questo punto di vista i poteri della Corte dei conti, tutt'altro. Ripeto, c'è la massima apertura a esplicitarli meglio, qualora ci fossero però delle proposte chiare per capire come esplicitarli meglio e laddove ci fosse, attraverso queste proposte chiare, anche la convinzione del Governo che si tratti di una migliore formulazione rispetto a quella dell'articolo 12, che a me già sembra molto chiara.
  Allo stesso modo, non c'è alcuna volontà di limitare l'autonomia della Corte dei conti, tutt'altro. Noi chiariamo – e questo, inevitabilmente, si deve fare per legge – quali sono le sezioni competenti, ma questa non è una limitazione dei poteri, anzi.
  Non è vero neanche che sotto l'80 per cento non ci sia controllo. L'80 per cento è Pag. 18una soglia che dice altro, rappresentando cioè la condizione per l'affidamento diretto. Nulla c'entrano i controlli.
  Arrivo al tema delle assunzioni e dei lavoratori, sottolineato soprattutto nell'intervento del deputato Marchi. C'è l'apertura anche a esplicitare di più il fatto che il blocco delle assunzioni non debba riguardare dei profili di professionalità infungibili. È evidente infatti che ci sono alcune società a partecipazione pubblica che, proprio per la strategicità del loro lavoro, necessitano di profili professionali molto specifici.
  In questo caso non abbiamo alcun problema a esplicitare meglio che il blocco delle assunzioni non riguarda queste professionalità, così come siamo disposti a ragionare su un'eventuale gestione delle eccedenze che si faccia a un livello territoriale più prossimo al luogo in cui la società partecipata opera, per esempio a livello regionale. Peraltro, se non ricordo male, questa era un'osservazione che ci veniva anche proprio dalla Conferenza unificata e, quindi, dagli enti territoriali.
  Chiudo sul tema del rafforzamento della tutela della concorrenza. Ne abbiamo discusso diverse volte con la senatrice Lanzillotta, che peraltro è relatrice in Senato su questo schema di decreto legislativo. Credo che dobbiamo trovare un giusto punto di equilibrio che ci consenta di dire in modo chiaro quali sono le finalità che le società partecipate possono perseguire e che non è meglio che vengano rilasciate al mercato a beneficio della collettività. Quello è il punto di equilibrio che siamo anche disposti a migliorare, se non è già chiaro dal testo attuale, forse anche perfezionando e rafforzando il principio e la tutela del valore della concorrenza.
  Chiudo sul tema della gestione del servizio idrico, anche se, in realtà, non è un tema che riguarda direttamente questo schema di decreto legislativo, bensì quello sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, già calendarizzato sia alla Camera che al Senato, ma sul quale ancora non abbiamo iniziato la discussione. Credo che, essendo questo un tema molto sentito anche nel Paese, occorrano una volta per tutte delle parole chiare, anche per chiudere alcune polemiche strumentali che ci sono state su questo punto.
  Ieri presso il Dipartimento della funzione pubblica è stato ricevuto il Forum per l'acqua, che incontrerò prossimamente. Così come dice, peraltro, la legge n. 124 del 2015, c'è la volontà massima – ripeto, in proposito la legge reca una previsione esplicita – di rispettare il referendum.
  Ricordo – ed è qui presente la presidente Finocchiaro – che nel dibattito che si svolse presso la Commissione affari costituzionali del Senato il parere del Governo fu sempre e solo favorevole, perché c'è la volontà, ovviamente, di rispettare l'esito di quel referendum, che vi dico, peraltro, personalmente condivido. Non faccio, dunque, neanche una fatica personale a farlo.
  In particolare, i punti che vengono maggiormente sollevati sono due. Il primo è il punto tecnicamente sbagliato – ma se servirà lo chiariremo ancora meglio – della reintroduzione di una remunerazione. Nel testo sui servizi pubblici locali – quindi non stiamo parlando del testo sulle partecipate pubbliche – noi facciamo salve le normative di settore, e l'acqua ha una normativa di settore, quindi sul punto della remunerazione quel testo non legifera, non cambia nulla, non sfiora l'argomento. La remunerazione dell'acqua è fuori dal testo sui servizi pubblici locali.
  L'altro punto, su cui ci sarà una discussione nelle Commissioni e sul quale vogliamo rispettare l'esito del referendum e anche, giacché sono questioni coincidenti, ciò che prescrive la normativa comunitaria, è che ci sia tra le gestioni ammesse – pubblica, privata e mista – una laicità nella scelta e non una gestione con maggiori aggravi rispetto a un'altra.
  Su questo faremo un dibattito e siamo aperti a far sì che la normativa comunitaria e l'esito del referendum vengano ampiamente rispettati, sapendo che già il testo attuale rende non solo possibile ma auspicabile che le attuali gestioni pubbliche dei servizi idrici continuino.
  Credo di aver risposto a tutto quello che ritengo più di mia competenza.

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  PRESIDENTE. Ringrazio la Ministra Madia.
  Do la parola al Ministro Padoan per la replica.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Le risposte esaustive della Ministra Madia mi esimono dal dilungarmi, quindi risponderò ad alcune domande puntuali. Mi dispiace che il senatore Malan non ci sia, ma avrei risposto che, nel caso delle autostrade che lui cita, il debito delle stesse non si consolida nel conto delle pubbliche amministrazioni, quindi non stiamo parlando di debito pubblico.
  In secondo luogo, laddove si è detto che un investimento crea debito, dipende: se è coperto non crea debito, se fa profitto non crea debito, e sicuramente gli investimenti pubblici sono necessari. Questo è un tema strettamente legato anche al ruolo delle partecipate.
  Il senatore Crimi mi chiedeva perché l'ENAV non è nella lista. ENAV ha emesso strumenti di mercato e questa è una condizione che permette di essere escluso senza ulteriore specifiche. Aggiungo che l'ENAV, nell'intenzione del Governo, sarà quotata e quindi, a maggior ragione, sarà esentata dalle norme di cui sopra.
  Senatore Endrizzi, se ho capito bene – e mi scuso se non è così – il suo punto generale, cioè come si fa a conciliare l'efficienza con l'assicurazione di un servizio pubblico diffuso, io sono convinto che ciò sia possibile, anzi necessario. Dobbiamo essere convinti che il servizio che viene erogato ai cittadini sia reso in modo sostenibile, così che a un certo punto non ci si debba trovare nelle situazioni in cui bisogna interrompere la fornitura di un servizio perché era stata gestita male.
  Sto scorrendo rapidamente i miei appunti, che in gran parte si sovrappongono con quanto ha già detto la Ministro Madia. Volevo aggiungere, a proposito del tema importante della concorrenza, alcune considerazioni. Ci sono elementi di concorrenza nella normativa che, per esempio, nel caso di una società che svolge attività di interesse generale unitamente all'attività in regime di economia di mercato, come è noto, ci obbliga ad adottare sistemi di contabilità separata. Il sistema di contabilità è un elemento che aiuta a mantenere la concorrenza.
  Però, più in generale – e vorrei chiudere su questo – ricordo quello che ho detto a proposito degli obiettivi delle cessioni di quote di partecipazione. Le cessioni di quote di partecipazione mettono le imprese che quotano e cedono quote faccia a faccia con il mercato, anzi con i mercati, siano essi i mercati finanziari, laddove bisogna avere l'opportunità di aumentare la raccolta, siano essi il mercato dell'investimento a lungo termine, perché nel lungo termine l'impresa è sostenibile se ha piani industriali sostenibili e se quindi il management, che è anch'esso sottoposto a una forza concorrenziale importante, adotta le decisioni giuste.
  Quindi, lo spirito generale è che si tratta di capire, nei modi e nei tempi giusti, come introdurre ulteriori elementi di concorrenza. Da questo punto di vista, anche se non abbiamo citato la parola «concorrenza», sicuramente per quanto mi riguarda il termine ed il concetto erano impliciti.
  Mi fermo qui. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Padoan.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 21.10.

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