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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 56 di Giovedì 15 settembre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 2 

AUDIZIONI NELL'AMBITO DELL'APPROFONDIMENTO TEMATICO IN MATERIA DEL RAPPORTO TRA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E CONTRAFFAZIONE

Audizione del Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Maria Vittoria De Simone.
Catania Mario , Presidente ... 2 ,
De Simone Maria Vittoria , Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 2 ,
Catania Mario , Presidente ... 9 ,
De Simone Maria Vittoria , Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 9 ,
Catania Mario , Presidente ... 10 ,
Cenni Susanna (PD)  ... 10 ,
Gallinella Filippo (M5S)  ... 11 ,
Catania Mario , Presidente ... 11 ,
De Simone Maria Vittoria , Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 11 ,
Gallinella Filippo (M5S)  ... 13 ,
Catania Mario , Presidente ... 13 ,
De Simone Maria Vittoria , Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 13 ,
Catania Mario , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Documentazione presentata dalla dottoressa Maria Vittoria De Simone ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14,40

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Maria Vittoria De Simone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Maria Vittoria De Simone.
  Si tratta di un'audizione importante, soprattutto nel filone di lavoro che la collega Cenni ha avviato, relativo al legame che sussiste tra contraffazione e criminalità organizzata. Oggi abbiamo il piacere di ascoltare la dottoressa Maria Vittoria De Simone, che è sostituto procuratore nazionale della Direzione nazionale antimafia e che, fra le altre cose, nell'ambito della Direzione antimafia segue, in particolare – non solo quella – anche la tematica della contraffazione.
  Ho già avuto modo di conoscere la dottoressa in altre sedi, in cui sono stato colpito dalla competenza e dalla padronanza della materia. Credo che sarà senz'altro molto utile l'audizione di oggi. Vi ho già fatto distribuire una relazione corposa della dottoressa sulla materia. Quindi, non indugio ulteriormente, ringrazio la dottoressa e la prego di cominciare la sua relazione.

  MARIA VITTORIA DE SIMONE, Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Grazie, presidente. Buonasera a tutti. Sul tema specifico all'ordine del giorno mi avvarrò, naturalmente, anche dei dati di conoscenza che derivano dalle attività di collegamento investigativo e, quindi, di coordinamento con la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che, come tutti sappiamo, rappresenta una delle centrali del falso.
  Prima di arrivare alla singola illustrazione delle metodologie emerse nell'ambito delle attività investigative svolte sul territorio, principalmente a Napoli, come potrete vedere dal prospetto e dalla tabella allegati alla relazione, i procedimenti in materia di contraffazione sono presenti in varie Direzioni distrettuali antimafia, in particolare, negli ultimi tempi anche su Roma, presso la DDA di Roma, a Bologna e, ovviamente, a Firenze.
  Il punto di partenza, secondo me, per affrontare le molteplici questioni che il fenomeno comporta è che – questo è un punto di arrivo dopo diversi anni di sottovalutazione del fenomeno – oggi possiamo dire che siamo tutti d'accordo nel ritenere la contraffazione un gravissimo attacco alla libertà di impresa e un fortissimo elemento di illegalità che incide e distrugge le regole del mercato.
  Se vogliamo guardare il fenomeno dal punto di vista delle imprese, vediamo che la lotta alla contraffazione rappresenta sicuramente una priorità per le imprese e le associazioni che rappresentano le imprese stesse, non solo per i profili di illegalità che Pag. 3si collegano al fenomeno contraffattivo, ma anche per l'impatto di questo fenomeno criminoso in termini di distorsione delle regole concorrenziali del mercato.
  È molto importante partire da questo punto perché è necessario un intervento sinergico da parte di tutte le Istituzioni e di tutti i soggetti interessati al fenomeno – mi riferisco alle categorie economiche e professionali e alle pubbliche amministrazioni – nell'affrontare un fenomeno che si presenta complesso, perché incide su una serie di profili che il nostro ordinamento tutela.
  Il falso oggi è divenuto un settore economico parallelo al vero e, quindi, rappresenta un vero e proprio competitor per le aziende che si confrontano con questo mercato che si muove parallelamente al mercato del lecito.
  Peraltro, dicevo che è un fenomeno complesso. Perché è complesso? Perché alla contraffazione si accompagnano svariate forme di illegalità economica e finanziaria che inquinano il mercato e sottraggono alla collettività risorse, attraverso cosa? Attraverso tutti i fenomeni connessi alla contraffazione, che si accompagnano sempre, in questi casi, all'evasione fiscale, al lavoro nero, al lavoro sommerso, al riciclaggio e al reimpiego dei capitali illeciti.
  Una volta acquisita la consapevolezza della dimensione del fenomeno – posso fornire anche alcuni dati che ce la fanno capire; li ho indicati nella relazione e danno veramente la misura dell'importanza e dell'imponenza di questo fenomeno – se ci rendiamo conto di questo, dobbiamo anche fare un passo indietro e sottolineare o comunque considerare che per molto tempo il fenomeno è stato sottovalutato.
  Addirittura, in alcuni casi il fenomeno è stato visto come un'occasione di sviluppo. Mi riferisco, per esempio, ai flussi di importazione che raggiungono i nostri porti, uno a caso quello di Napoli, dove vi fu un'apertura straordinaria a questi flussi di merce importata dalla Cina, il che portò poi a pagare un prezzo molto caro in termini di distorsione delle regole e di illegalità.
  Stiamo parlando di molto tempo fa, ma è da allora che abbiamo riscontrato un'enorme diffusione del sistema, partito, guarda caso, proprio da Napoli, dove le organizzazioni criminali che operano sul territorio hanno una vocazione imprenditoriale e hanno immediatamente colto, per una serie di condizioni – poi vi dirò perché in Campania il fenomeno sia più sviluppato che non altrove – l'importanza sotto il profilo delle strategie di diversificazione di interessi criminali. Stiamo parlando, infatti, di interessi criminali. Hanno immediatamente colto le opportunità che il mercato della contraffazione poteva apportare, soprattutto alle loro casse. Partendo da questo e anche dai siti di produzione in loco e dalla massiva importazione che veniva dall'estero tali organizzazioni hanno poi, naturalmente, affinato sempre di più le tecniche di produzione, di distribuzione e di diffusione sul mercato.
  Accanto a queste capacità specifiche della criminalità organizzata campana, però, va detto che si sono aggiunte anche altre condizioni di carattere obiettivo, che sono, prima di tutto, la globalizzazione, l'internazionalizzazione dei mercati, la diffusione delle nuove tecnologie, la capacità, attraverso le nuove tecnologie, di copiare qualsiasi cosa e la delocalizzazione delle attività imprenditoriali. Sono tutti elementi che hanno favorito sostanzialmente la diffusione del fenomeno.
  Il fenomeno è strutturato in questo modo: è un vero e proprio sistema industriale e commerciale, che ha i suoi centri di produzione e di trasformazione, i suoi canali di vendita e di reti distributive. Quindi, è un sistema industriale, gestito, però, da gruppi criminali che sono molto bene organizzati e che si orientano e si muovono oggi in ambito globale.
  Si tratta di un sistema che non solo ha imitato i prodotti dei sistemi industriali legali, ma ha addirittura acquisito e copiato la capacità organizzativa dei sistemi imprenditoriali legali. Non solo ne imita i prodotti, ma ne imita anche la struttura organizzativa e le tecniche di marketing. Che cosa abbiamo, quindi? Abbiamo due realtà: una realtà che crea il vero, alla Pag. 4quale si affianca una realtà identica che crea il falso e cammina parallelamente, producendo e vendendo il falso.
  Ho annotato qualche dato. I prodotti contraffatti rappresentano l'8 per cento del commercio mondiale. La maggior parte dei prodotti proviene dal Sud-Est asiatico. Queste sono cose note a tutti. Anche l'Italia è ai primi posti come Paese produttore di prodotti contraffatti, ma la vera anomalia è rappresentata per l'Italia dal fatto che l'Italia è ai primi posti tra i Paesi produttori di prodotti falsi, ma è anche ai primi posti per la produzione di prodotti autentici.
  Con riguardo alle caratteristiche dei prodotti italiani – faccio solamente un accenno al made in Italy e ai prodotti del settore agroalimentare – l'anomalia è rappresentata proprio dal fatto che i prodotti italiani rappresentano l'eccellenza e che l'eccellenza dei prodotti italiani garantisce una determinata filiera. Questo dato stride con il fatto che è come se l'Italia lavorasse contro se stessa dal punto di vista economico, perché il settore del made in Italy e delle eccellenze italiane viene sostanzialmente svilito dalla produzione all'interno dello stesso Paese di una realtà falsa, la quale diviene il competitor in negativo della realtà vera e incide sulle imprese in maniera pesante.
  Veniamo al controllo da parte della criminalità organizzata di questo settore della contraffazione. Da che cosa deriva? Deriva, ma anche questo è un dato notorio, dal rapporto costi-benefici. Le rotte della contraffazione, i canali di distribuzione, le rotte per l'importazione sono esattamente gli stessi che vengono utilizzati per gli altri traffici illeciti, per il contrabbando e per il traffico degli stupefacenti. Allora perché la contraffazione? Perché la contraffazione, fenomeno a lungo sottovalutato, riusciva a produrre elevatissimi profitti, ma, nel contempo, era sanzionata e attenzionata in maniera decisamente inferiore.
  Devo dire che anche oggi è così, onestamente, perché, nonostante gli interventi legislativi rafforzativi del sistema repressivo e anche del sistema preventivo della contraffazione, tutt'oggi notiamo un'enorme differenza nelle metodologie di contrasto, o meglio dell'attenzione che si presta al contrasto al traffico degli stupefacenti o al contrabbando rispetto alla contraffazione.
  Non dobbiamo sottovalutare neanche due aspetti che nulla hanno a che fare con la repressione del fenomeno, ma che tuttavia esistono e hanno la loro incidenza nell'approccio che si dà al fenomeno. Penso alla tolleranza che viene normalmente riconosciuta a coloro che distribuiscono, anche al minuto, prodotti contraffatti, e l'assenza totale di informazione che metta in guardia il consumatore da quello che c'è dietro la contraffazione.
  Ricordo – lo dico perché è facile fare un parallelismo – che negli anni Ottanta a Napoli il contrabbando era non dico favorito, anche se forse lo dovrei dire, ma tollerato. Era considerato una sorta di ammortizzatore sociale. Anche l'apparato repressivo del fenomeno risentiva di questo approccio al problema, fino a che un giorno non intervenne un mutamento di tendenza e di rotta, quando si è acquisita la consapevolezza di che cosa ci fosse e di che cosa si muovesse dietro il contrabbando, di chi gestisse il contrabbando (le organizzazioni criminali) e di quanti e di che dimensione fossero i profitti che produceva il contrabbando. Allora si è prestata la giusta attenzione e si è intervenuti in maniera devo dire efficace, perché oggi il contrabbando è considerato quasi a livello del traffico di stupefacenti.
  A volte mi sembra di vedere nell'approccio alla contraffazione quasi la stessa sottovalutazione. Per esempio, il controllo del territorio e gli interventi su strada sono veramente l'ultimo anello della catena e, quindi, neanche di grande importanza. È importante, però, intervenire sotto il profilo educativo. Non è tollerabile che ci siano per strada venditori direi autorizzati, perché, visto che non c'è alcun tipo di controllo e non c'è alcun tipo di intervento, sono tacitamente autorizzati a vendere prodotti falsi.
  Questo è veramente l'ultimo anello della catena, ma è importante per quell'approccio al problema, al sistema, al fenomeno, che, ovviamente, se viene tollerato nella Pag. 5parte più bassa, nella parte più evidente, nella parte meno collegabile alle organizzazioni criminali, ha comunque la sua incidenza, in quanto contribuisce a dare un'impostazione e una formazione che non è corrispondente a quella reale, ossia che la contraffazione va trattata e inquadrata in uno dei grandi fenomeni gestiti dalla criminalità organizzata.
  Perché dai singoli episodi, anche napoletani, si è poi passati veramente a un mercato globale del falso con gruppi criminali organizzati? Voglio usare il termine che viene utilizzato nella Convenzione di Palermo, quella sul crimine organizzato transnazionale. Non a caso, parlo di gruppi criminali organizzati, perché non è detto affatto che le organizzazioni che gestiscono il traffico delle merci contraffatte e, quindi, il fenomeno della contraffazione e che sono dediti a quest'attività siano necessariamente riferiti ai nostri tradizionali gruppi mafiosi, che sono, come sappiamo, individuabili nella camorra, nella ’ndrangheta, in Cosa nostra e nella Sacra corona unita.
  Ciononostante, si muovono esattamente nella stessa maniera, perché sostanzialmente hanno individuato il modo per cooperare. Hanno individuato il settore come settore produttivo di profitto e, quindi, hanno esteso le relazioni che già avevano e le alleanze che erano già consolidate sulla base dei traffici illeciti come il contrabbando e il traffico degli stupefacenti. Hanno utilizzato le stesse modalità logistiche utilizzate per il traffico di stupefacenti, il contrabbando, la tratta degli esseri umani e via elencando per mettere su il business della contraffazione.
  Il sistema è esattamente lo stesso, con l'aggravante che negli ultimi anni tali gruppi si sono inseriti in un mercato globalizzato, rendendo così ancora più difficile ripercorrere la filiera e dando, quindi, veramente del filo da torcere all'investigatore che deve risalire dal sequestro fino ad arrivare ai produttori, alle sedi di stoccaggio, alle altre attività, alle reti di distribuzione e ai Paesi.
  Tutto questo diventa ancora più complicato se consideriamo che quest'attività criminale, anche a Napoli, dove esistono dei luoghi di produzione, si sviluppa poi in tutta Italia, ma soprattutto all'estero. Guardate che non si sviluppa solamente negli altri Paesi europei, ma si sviluppa dovunque. Allegate alla relazione – magari ve le illustro direttamente – ci sono due indagini che danno proprio la misura di quanto sia transnazionale questo fenomeno.
  Accanto al gruppo criminale organizzato, sia esso riferibile e gestito dalla camorra o da altri – abbiamo tanti processi che ci hanno dimostrato che questo è accaduto, ma anche ’ndrine calabresi hanno dimostrato di essere interessate al fenomeno della contraffazione – e accanto, quindi, all'attività criminale vera e propria e, quindi, al nucleo dell'associazione per delinquere esiste tutta una categoria di soggetti che si muovono o all'interno dell'organizzazione, o comunque a fianco dell'organizzazione e che sono essenziali per portare a termine il progetto criminale.
  Mi spiego. Il fenomeno è un fenomeno complesso. È un fenomeno che parte da un Paese, ma richiede alleanze, collegamenti, capacità tecniche per importare i prodotti e capacità sempre tecniche per gestire le società alle quali normalmente si fa riferimento. Richiede tali complessità di competenze che le organizzazioni criminali da sole, senza il supporto essenziale direi di tutta una categoria di soggetti che, proprio per essere particolarmente competenti in determinati settori – pensiamo alle competenze in materia doganale e alle competenze in materia societaria – non potrebbero gestirlo.
  Abbiamo detto che si tratta di un sistema industriale strutturato, che si muove esattamente come quelli reali, quelli leciti, quelli veri. Quindi, le organizzazioni hanno bisogno, ovviamente, di tutto questo supporto di tipo tecnico, che però non è rappresentato dalla normale assistenza legale o societaria che avviene nelle imprese legali. Pertanto, deve ricorrere a questi soggetti.
  Dicevo che questi soggetti, in alcuni casi, entrano a far parte della compagine associativa criminale. Si tratta di soggetti che sono direttamente intranei alla società e Pag. 6che vengono utilizzati proprio a tale scopo. Hanno questo specifico ruolo.
  Altri – e sono quelli che reputo più pericolosi – sono quelli che si muovono, invece, all'esterno, cioè sono quelli che, pur non essendo organici all'organizzazione criminale, prestano la loro competenza professionale per la realizzazione di determinate operazioni, pur nella consapevolezza del soggetto e del gruppo al quale prestano tale attività. Si tratta di soggetti che si muovono liberamente sul mercato e che offrono le proprie prestazioni anche a più organizzazioni.
  Sono un po’ la stessa figura, se vogliamo fare un parallelo, del broker delle sostanze stupefacenti. Quando parliamo di traffico di sostanze stupefacenti, ci sono soggetti che fungono da fornitori di partite di sostanze stupefacenti e che non sono inquadrabili solo in un'organizzazione, ma si muovono sul mercato, offrendo praticamente i propri collegamenti con i Paesi produttori della sostanza stupefacente e mettendoli a disposizione delle varie organizzazioni.
  Un poco come accade nel traffico di stupefacenti accade anche nel fenomeno della contraffazione, perché – ripeto – non è il fenomeno da strada, ma è un fenomeno complesso, che presenta profili di grande complessità.
  Veniamo più specificamente alla Campania e a perché il fenomeno sia iniziato lì o si sia sviluppato lì. La Campania sicuramente rappresenta uno degli esempi principali. Naturalmente, la presenza della camorra in Campania ha avuto la sua incidenza. Devo dire che hanno incominciato proprio loro, le organizzazioni camorristiche, soprattutto dell'area metropolitana, cioè del centro della città.
  Questi gruppi, questi sodalizi camorristici, che cosa hanno fatto? Hanno sfruttato la condizione di depressione economica e sociale che caratterizzava e caratterizza tuttora il territorio campano e soprattutto che cosa hanno sfruttato? Hanno sfruttato l'esistenza di piccole realtà produttive e commerciali, di piccole dimensioni. Hanno sfruttato l'enorme diffusione della vendita ambulante e le difficoltà di occupazione lavorativa. Hanno assorbito persone e alcune volte hanno assicurato anche la sistemazione di persone vicine alla stessa organizzazione criminale, sfruttando la difficoltà del controllo totale e capillare del territorio a causa della diffusa illegalità di cui la Campania, purtroppo, è esempio.
  Le organizzazioni criminali campane che sono coinvolte e sono state coinvolte nel fenomeno della contraffazione – mi riferisco ai casi concreti, quelli di cui abbiamo testimonianza e certezza – hanno dimostrato praticamente di avere proiezioni all'estero e, in particolare, in Cina, in Romania e in Turchia, dove sempre il gruppo criminale è, direttamente o indirettamente, interessato alla gestione dei siti produttivi locali. Non solo controllano la produzione locale, ma – faccio un passo indietro – da dove vengono i prodotti contraffatti? Una parte viene dall'importazione, un'altra parte viene realizzata e prodotta in loco. Sono noti i laboratori, che spesso sono oggetto di individuazione e sequestro in tutto l’hinterland del napoletano, che o curano direttamente la produzione del bene contraffatto, oppure provvedono, e questa è una tecnica che rende ancora più complessa l'individuazione, all'assemblaggio delle varie parti che poi vanno a costituire il prodotto, le quali vengono in parte prodotte in loco e in parte importate.
  Esistono poi questi luoghi di assemblaggio. Per esempio, sono tipiche le etichette. Vengono importati i prodotti, per esempio, del made in Italy, ovviamente da fuori, dalla Cina per esempio, e poi vengono assemblati con le caratteristiche tipiche del prodotto di marca, come l'etichetta del made in Italy oppure il segno distintivo di Giorgio Armani. Dico Giorgio Armani perché è uno dei casi. Loro svolgono questo tipo di attività.
  Quando si tratta di produzioni all'estero, le organizzazioni criminali, cioè i gruppi che gestiscono il fenomeno della contraffazione, non si limitano solamente a importare i prodotti, ma hanno anche delle relazioni ben individuate sui siti di produzione. Pag. 7
  In una delle indagini, infatti, sono stati accertati i rapporti e le relazioni che esistevano tra i camorristi che gestivano ed erano i destinatari dei prodotti importati dalla Cina e le attività produttive che si trovavano in Cina. Nell'ambito di quella indagine si trattava di un soggetto cinese, questa volta, che era intraneo all'organizzazione e curava per l'organizzazione la produzione di questi beni, i quali venivano poi importati attraverso anche probabilmente collusioni o rapporti di collegamenti doganali. Certamente il primo controllo per i prodotti importati è la dogana.
  Oppure addirittura hanno una loro persona di riferimento, non del Paese di produzione, che va a gestire direttamente in loco la produzione che poi deve arrivare sul territorio italiano. Questo per quanto riguarda la produzione del prodotto contraffatto.
  La seconda strada ve l'ho detta, ed è l'utilizzo di fabbriche clandestine che assemblano o producono e poi mettono in circolazione varie tipologie di prodotti.
  Questa è la rete di produzione, ma poi c'è la rete di distribuzione, che è altrettanto ben organizzata, perché viene assicurata una distribuzione del prodotto così realizzato attraverso una capillare diffusione del prodotto stesso sul territorio nazionale e all'estero.
  Il sistema è esattamente lo stesso. Come ci si avvale di uno o più soggetti intranei al gruppo organizzato che curano la produzione, per esempio in Cina, così, quando si tratta di assicurare la distribuzione anche all'estero, ci si avvale di soggetti che sono intranei, o comunque collegati all'organizzazione e che nei vari Stati, nelle varie città o nei vari posti assicurano poi la distribuzione su tutto il territorio.
  Per chiarire e concretizzare bene questo aspetto vi riferisco quanto è emerso da due delle principali indagini che sono state portate a termine dalla Direzione distrettuale di Napoli. La prima ha riguardato soggetti di nazionalità italiana, ovviamente campana, e straniera, in particolare cinese, che erano inseriti in un contesto associativo di rilevanza transnazionale, così come ho descritto, dedito alla fabbricazione, all'esportazione e all'importazione di merce contraffatta.
  La merce arrivava sul suolo nazionale attraverso dei container provenienti esclusivamente dalla Cina. Il container conteneva sigarette contraffatte. La contraffazione riguarda, infatti, anche le sigarette, anche il tabacco. Questo ci dà anche la misura delle relazioni tra le tipologie di traffici illeciti. L'importazione di questo tipo di TLE, ossia le sigarette contraffatte, avveniva a opera di un'organizzazione contrabbandiera composta da soggetti italiani, campani, e cinesi.
  Nell'approfondire l'attività investigativa su questo contrabbando e, quindi, su questo gruppo, emergeva che, parallelamente all'importazione delle sigarette contraffatte, o di contrabbando, avveniva anche l'importazione di scarpe totalmente contraffatte. Approfondendo il contrabbando e, quindi, l'organizzazione finalizzata al contrabbando, è emerso quello che dicevamo prima: usano gli stessi canali, le stesse metodologie e le stesse rotte, il più delle volte. Gli stessi soggetti, persone cinesi e campane, provvedevano a importare un enorme quantitativo di calzature riportanti le più note marche diffuse nel mondo.
  Nell'approfondire questo filone di indagine è emerso che l'organizzazione che gestiva questo duplice traffico era una struttura verticale ed era composta di persone di diversa provenienza – i cinesi, i campani, ma anche altri soggetti – e che nell'ambito dell'organizzazione erano coinvolti soggetti che avevano contatti diretti con le fabbriche produttrici in Cina e con intermediari, spedizionieri e operatori doganali italiani ed esteri. Questi rappresentavano l'anello di congiunzione con altri sodalizi che operavano sul territorio italiano, ma anche all'estero. Vedete la rete di collegamenti che è necessaria per poter realizzare questo tipo di traffico.
  I trasporti dalla Cina verso l'Italia avvenivano esclusivamente a mezzo di container, che erano però dotati di documentazione doganale accompagnatoria totalmente fittizia, contenenti dei carichi di copertura. Tali carichi potevano essere di natura diversa, di natura eterogenea. Ciò Pag. 8era necessario a occultare i TLE da un lato e la merce contraffatta dall'altro, per sottrarre al controllo negli spazi doganali i beni che venivano importati.
  Questa era la metodologia. Le quantità enormi le trovate annotate nella relazione di scarpe riportanti i marchi Nike, Hogan, Gucci e via elencando. Naturalmente, quando parliamo di contraffazione, parliamo anche di contraffazione delle scatole, delle etichette e di tutto. La contraffazione non è solo il prodotto finito. La tecnica dell'assemblaggio è la tecnica che rende ancora più complicata l'individuazione della filiera, perché vengono importati solo dei pezzi, attraverso il passaggio in varie frontiere doganali, che poi vengono assemblati in un luogo del tutto diverso. Quindi, il prodotto finito è il risultato di una serie di passaggi che poi portano fino al momento in cui si passa dalla produzione alla distribuzione.
  Questa indagine in particolare ha evidenziato anche un altro profilo importante: c'era una perfetta integrazione tra la criminalità campana – italiana e campana in particolare – e la criminalità straniera. Il gruppo, ma anche la criminalità straniera hanno mostrato nei vari accertamenti di avere grande competenza nella gestione di questi traffici, grande capacità di prevenire ed eludere i controlli delle forze dell'ordine e grande competenza nel valutare e approfondire la domanda di mercato, assecondando e quindi indirizzando la produzione del falso verso le maggiori richieste di mercato e assicurandosi il reperimento delle merci che erano, a seconda dei momenti, maggiormente richieste. Vedete, è un'impresa esattamente identica a quella reale.
  Le persone coinvolte nelle indagini avevano ciascuna un proprio ruolo in tutta la fase dalla produzione fino alla diffusione, ma riuscivano a operare in una maniera assolutamente sinergica, in modo che il risultato dell'azione congiunta di tutti questi soggetti giungesse poi al risultato finale, che è l'acquisizione del massimo profitto, perché quello è l'obiettivo finale. Questo è l'esempio dell'importazione.
  Il secondo esempio, invece, riguarda quell'indagine che è nota con il nome di Gomorrah, perché così fu chiamata in sede Eurojust ed Europol, quando arrivò l'informazione dalla Francia che era stata riscontrata negli Stati dell'Unione europea una massiccia distribuzione di prodotti elettroutensili di alta tecnologia, uniti anche a capi di abbigliamento, tutti provenienti dalla Cina e tutti recanti marchi contraffatti.
  Quest’input, che è arrivato in Italia, ma è arrivato in Italia dall'estero, dall'Europa, ha determinato quindi l'approfondimento di quanto era emerso in sede europea. Parliamo di più Stati dell'Unione europea che avevano evidenziato questa diffusione, questa massiccia presenza di tale genere di prodotti.
  Gli approfondimenti investigativi svolti sul territorio, in particolare dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, hanno evidenziato, a mano a mano, che le società segnalate dalle autorità francesi, e anche dalle altre autorità europee, in realtà, facevano capo a dei gruppi camorristici. In genere, come dicevo prima, sono quelli che operano nell'area centrale della città, nel centro della città. I gruppi ai quali faccio riferimento sono quelli che fanno capo ai Mazzarella e ai Licciardi, due noti clan tuttora pienamente operativi e da sempre specializzati in particolare nel settore dell'importazione e della rivendita di merce contraffatta.
  Che cosa ha accertato l'attività investigativa? Ha accertato che effettivamente l'organizzazione gestiva tutte le fasi di quest'attività e gestiva totalmente il traffico, diffondendo questi prodotti in tutti i Paesi dell'Unione europea. Tant'è che nel corso delle attività coordinate – ci tengo a sottolineare «coordinate» – tra i vari Paesi, in particolare la Spagna, ma anche la Francia e l'Italia naturalmente, è emerso dalle attività congiunte svolte, per esempio, in Spagna che anche in quel territorio esisteva un'articolazione dell'organizzazione che si muoveva in loco e assicurava il buon risultato della distribuzione. Col coordinamento di Eurojust, ma anche con il diretto coordinamento delle varie autorità giudiziarie sono state eseguite operazioni di polizia in 10 Paesi dell'Unione europea. Pag. 9
  Da quest'attività congiunta svolta in Spagna è emerso un ulteriore filone di indagine. Questo filone di indagine portava all'individuazione di un'ulteriore articolazione dell'organizzazione, che, questa volta, aveva come sede e ha come sede gli Stati Uniti. Mentre gli Stati europei erano più direttamente interessati agli elettroutensili di alta tecnologia, ma anche ai capi di abbigliamento, quando parlo degli Stati Uniti, lo faccio perché la rete di distribuzione degli Stati Uniti riguarda specificamente i capi di abbigliamento.
  Le perquisizioni e le attività che ha svolto la Guardia Civil spagnola hanno portato all'arresto in quel Paese – ecco l'interazione dei gruppi criminali, italiani con spagnoli – di un'organizzazione che era finalizzata alla contraffazione, alla truffa e al riciclaggio dei proventi illeciti.

  PRESIDENTE. Dottoressa, avendo noi già acquisito la sua relazione, se vuole tirare una conclusione di carattere generale la invito a farlo, in modo da dare successivamente ai Commissari la parola per eventuali domande o chiarimenti.

  MARIA VITTORIA DE SIMONE, Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Credo di avere detto abbastanza per confermare che, quando parliamo di contraffazione, non parliamo del marocchino che vende la borsa per strada. Dietro quello c'è tutto un mondo, ed è un mondo di illegalità, che si muove a livello transnazionale.
  Approfitto anche per segnalare una questione che ritengo molto importante. Il legislatore, dopo una prima fase di sottovalutazione, nel 2009 ha adottato degli importantissimi provvedimenti in materia di contraffazione. Mi sento di dire che quella è stata una svolta nell'approccio al fenomeno.
  In che senso? Il legislatore è intervenuto, finalmente, affermando che la contraffazione ha questo tipo di struttura e che è un fenomeno e un reato gravissimo, che non fa altro che portare proventi e capitali alle organizzazioni criminali, le quali, attraverso questo strumento, da un lato, finanziano gli ulteriori traffici e, dall'altro, si inseriscono nell'economia illegale, investendo gli enormi profitti che da questo derivano.
  Dal 2009 abbiamo riscontrato una tendenza chiaramente indirizzata verso un rafforzamento anche della sanzione, ma soprattutto degli strumenti investigativi. Il rafforzamento degli strumenti investigativi lo individuiamo nell'attribuzione della competenza di questa tipologia di reato, non singolarmente considerata, ma quando è espressione di criminalità organizzata e, quindi, quando è associazione finalizzata alla contraffazione, nell'ambito delle competenze specializzate delle Direzioni distrettuali antimafia, che si occupano di criminalità organizzata.
  Attribuire la competenza alle DDA non significa soltanto assicurare delle professionalità specifiche di chi cura i procedimenti in questa materia. Significa anche, a cascata, assicurare una serie di strumenti investigativi che sono di fondamentale importanza. Significa assicurare il coordinamento a livello nazionale, ma anche a livello internazionale, per esempio a opera della Direzione nazionale antimafia, che ovviamente svolge questo tipo di ruolo. Si tratta di un ruolo fondamentale nei confronti di fenomeni che presentano delle caratteristiche di tipo transnazionale e che comunque non si muovono mai nell'ambito degli stretti confini territoriali di operatività di un'organizzazione. Quantomeno, si muovono su tutto il territorio nazionale.
  Ecco perché è necessario il coordinamento, che non può essere limitato al coordinamento interno di una procura. Mi riferisco all'ipotesi di trasferire la competenza di questi reati alle procure distrettuali e non alle Direzioni distrettuali antimafia. L'esigenza di coordinamento per la tipologia di reato, di delitto e di fenomeno che ho descritto non si limita, infatti, al distretto, ma quantomeno, proprio al minimo, si muove a livello nazionale. Il problema del coordinamento non è un problema di coordinamento interno a una procura distrettuale, ma investe quantomeno più procure distrettuali, se non addirittura Pag. 10più Stati europei, se non addirittura altri Stati.
  Perché è essenziale l'attività di coordinamento? È essenziale perché è necessario individuare il fenomeno. Il singolo delitto di contrattazione non è sufficiente. Non sempre dà immediatamente l'idea di inserirsi in un contesto più ampio.
  Uno dei problemi è proprio la mancanza della visione d'insieme. Quando vi sono informazioni a pioggia che riguardano il sequestro eseguito a Firenze, a Milano oppure a Brescia o in Sicilia, si perde il quadro d'insieme. Non si nota magari che c'è lo stesso spedizioniere o che c'è lo stesso commercialista. Per fare questo, però, è necessario avere gli elementi informativi.
  Gli elementi informativi nazionali, anche, devo dire, grazie alle competenze della Direzione nazionale, che è il punto di riferimento di Eurojust ed è punto di contatto e di riferimento della rete giudiziaria europea, li ha solo la Direzione nazionale. Si tratta dei dati investigativi che sono delle autorità giudiziarie. La Direzione nazionale dispone, infatti, di una banca dati che è l'unica in Italia che contenga i dati giudiziari.
  Questo per dire – e concludo davvero; poi chi vorrà potrà approfondire – che estrapolare questa tipologia di reato dalle competenze specializzate delle Direzioni distrettuali antimafia significa privarla del coordinamento della Direzione nazionale e della banca dati nazionale che raccoglie il patrimonio informativo su tutto il territorio nazionale, nonché impedire l'utilizzo dei servizi di polizia specializzati che si occupano di criminalità organizzata. Ciò rappresenta, a mio avviso, un arretramento rispetto alle modifiche legislative intervenute nel 2009, ma anche nel 2010 e nel 2013.
  Il legislatore dal 2009 in poi sembra aver imboccato un percorso di rafforzamento. Il primo è stato nel 2009. Il secondo è stato con il Piano straordinario contro le mafie, che ha esteso le operazioni sotto copertura e i delitti di contraffazione. Il terzo è stato quello che ha allargato l'attività di intercettazione anche a questa tipologia di reati.
  Sembra, quindi, che ci sia una tendenza, una linea a rafforzare il sistema di contrasto a questo fenomeno. L'idea di scorporarlo dall'organo giudiziario deputato a questo genere di attività sembra un'inversione di tendenza, peraltro ingiustificata, se veramente i numeri dei procedimenti sono quelli che vi ho allegato. Potrete notare come l'impatto sulle Direzioni distrettuali antimafia non sia certamente devastante, perché i numeri sono veramente estremamente contenuti.
  Vi chiedo scusa se ho preso troppo tempo e vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Sono io che la ringrazio. Il suo intervento è stato esaustivo e la relazione è molto diffusa.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SUSANNA CENNI. Cercherò di essere sintetica. Ho trovato la relazione della dottoressa De Simone – e la ringrazio davvero – di grande interesse. Sarà sicuramente interessante approfondire con calma anche l'ampia documentazione che ci è stata consegnata.
  La nostra finalità, come Commissione, avviando questa indagine, era proprio quella di tentare di mettere a fuoco la connessione tra il fenomeno contraffazione, che abbiamo, a questo punto, indagato abbastanza in questi due anni di attività, consegnando già al Parlamento diverse indagini concluse, e la criminalità organizzata.
  Dico questo perché, proprio durante questi due anni di lavoro e di indagine, più volte, anche sentendo singole procure, nell'ambito di indagini anche settoriali, sono emersi alcuni aspetti di collegamento, come diceva lei, molto spesso rivelando l'esistenza di una vera e propria impresa ben organizzata con specializzazioni: c'era chi si occupava dell'importazione, chi si occupava dei porti e chi si occupava della distribuzione del territorio, fino ad arrivare alla vendita su strada. Solo quei magistrati che hanno saputo tentare di risalire la filiera avevano contezza, almeno nelle indagini Pag. 11 che noi abbiamo svolto, di questo collegamento.
  Tuttavia, il tema è venuto fuori anche dalla lettura e dalla conoscenza di alcune indagini di carattere internazionale da parte di osservatori di carattere europeo, quali l'OCSE ed altri, che nei mesi scorsi hanno parlato anche di possibili fonti di finanziamento dall'attività di contraffazione verso il terrorismo internazionale, addirittura con ipotesi di finanziamento di alcuni attentati terroristici che ci sono stati in Francia nell'anno passato.
  È indubbiamente vero che siamo in presenza di una sottovalutazione durata per anni sotto più punti di vista, sicuramente anche quello di alcune procure forse non sufficientemente specializzate, sicuramente del legislatore e indubbiamente del consumatore. Su questo non torniamo oggi a toccare il tema, ma la percezione non piena di che cosa ci sia dietro l'acquisto di un prodotto contraffatto continua a essere molto pesante.
  Aggiungo un tema, su cui però vorrei farle una domanda. Riguarda la questione dei porti, che anche lei ha affrontato, parlando ancora forse di qualche sottovalutazione. Devo dire che una conferma di questa sottovalutazione, o quantomeno, in qualche caso, proprio di una scelta di non avere la guardia sufficiente nei confronti di alcuni fenomeni l'ho notata anche nella recente missione che abbiamo svolto a Bruxelles. Quando, facendo presente che da alcune nostre indagini concluse, nella fattispecie in modo particolare quella di Prato, emerge che, pur attivando nel nostro Paese tutti i controlli del mondo, una fetta enorme di materia prima contraffatta arriva nei porti del Nord Europa, ci sentiamo rispondere da alcune autorità che, in effetti, alcuni porti devono decidere se investono sulla movimentazione o sui controlli, francamente, cadono un po’ le braccia anche a chi sta tentando di capire quali indirizzi poter dare.
  Vorrei capire, quindi, se anche a livello di relazioni internazionali con le procure e con tutti gli organismi su questo tema si stiano alzando la guardia e il livello di attenzione o meno.

  FILIPPO GALLINELLA. Ringrazio la collega e non ribadisco quanto ha chiesto.
  Lei ha parlato di un'evoluzione normativa dopo il 2009 da parte del legislatore. Sicuramente si può sempre migliorare. Il panorama si è allargato anche a livello internazionale, come è stato detto. Vorrei sapere, però, le norme attuali riferite a chi delinque sul reato di contraffazione – le chiedo se può portare qualche esempio di sua conoscenza – fa stare le persone in galera e le sanziona abbastanza, oppure se poi, alla fine, perché la macchina della giustizia è lenta, escono, in quanto non si percepisce l'efficacia delle norme a contrasto.

  PRESIDENTE. Dottoressa, mi limito soltanto a un brevissimo corollario su queste ultime parole del collega Gallinella. Chiedo la sua valutazione sulle norme recenti in materia di tenuità del fatto, introdotte da non più di qualche mese. Non ritiene che tali norme possano impattare in modo ancora più negativo sul fenomeno, atteso che in materia di contraffazione abbiamo soltanto un'aggravante che è sopra la pena edittale di cinque anni?
  Do la parola alla dottoressa De Simone per la replica.

  MARIA VITTORIA DE SIMONE, Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Rispondo alla domanda che riguarda sia i porti, sia il finanziamento al terrorismo. La questione del finanziamento al terrorismo viene trattata nella parte che riguarda l'uso del money transfer, che viene utilizzato moltissimo nella filiera della contraffazione.
  Dico solamente questo: la disciplina del money transfer non è tranquillizzante. Tanto non è tranquillizzante che la valutazione del sistema italiano di prevenzione al contrasto al riciclaggio e al finanziamento al terrorismo, che è stata recentissimamente fatta dal GAFI e dal Fondo monetario nazionale – lo so perché ho dovuto mandare anche delle cose riguardanti il riciclaggio e altro – ha posto in evidenza proprio il fatto che in Italia la disciplina del money transfer rappresenta Pag. 12(così viene proprio detto) un'area che genera preoccupazione e che, quindi, necessita di una specifica attenzione sull'operatività realizzata attraverso gli intermediari comunitari.
  Purtroppo, questo è vero. Certamente le fonti di finanziamento provengono da altre attività illecite e certamente, quindi, gli enormi proventi illeciti che vengono introitati dalle organizzazioni criminali, che spesso, come ho detto hanno composizione mista – non ci sono solo gli italiani, ci sono anche gli stranieri – ben potrebbero essere destinati anche al finanziamento al terrorismo.
  Quanto ai porti, ho fatto un accenno a un episodio che si è verificato negli anni Ottanta a Napoli, che riguardava proprio questa, che, come ho detto, talvolta è stata vista quasi come un'occasione di sviluppo economico. È proprio quello che diceva lei. Questi flussi di importazione dalla Cina enormi che cosa determinavano? Sono sembrati allora un'occasione economica straordinaria di sviluppo, secondo l'ottica dello sviluppo della movimentazione merci. Dopo, però, ci si è subito accorti che questo determinava delle ricadute gravissime, che hanno determinato i processi che sono nati negli anni Novanta e hanno evidenziato come questa enorme apertura che c'era stata avesse determinato, diffuso e radicato il fenomeno della contraffazione.
  Vi dico di più. Dopo questa prima fase il porto di Napoli attivò dei controlli doganali talmente serrati che praticamente veniva scelto un porto diverso perché lì non c'era possibilità più di eseguire e portare a termine i traffici illeciti.
  Da un'indagine fatta dalle Dogane è emerso che negli ultimi anni, con il rafforzamento della disciplina repressiva e preventiva in materia di contraffazione, le rotte della contraffazione e dell'importazione erano cambiate. Mentre prima i beni arrivavano nei porti italiani direttamente e, quindi, c'era un'importazione diretta, adesso vengono utilizzati i porti europei. Pertanto, secondo la disciplina, all'interno dell'Unione europea praticamente diventano trasporti o comunque trasferimenti intracomunitari, ragion per cui si perde la possibilità di bloccarli.
  Il primo controllo è la dogana. Se la dogana allarga le maglie, è ovvio che quel controllo poi non possa essere più fatto. Di qui l'enorme immissione di prodotti contraffatti attraverso i porti di Rotterdam e anche di Anversa, come risulta anche a voi.
  Il problema qual è? È un duplice problema. Il primo problema è quello che riguarda i Paesi produttori. C'è stata una Conferenza di alto livello sulla contraffazione ad Alicante nel febbraio del 2016, di quest'anno, cui hanno partecipato un po’ tutti, compresa la Direzione nazionale. Tra le varie proposte c'era quella di allargare il più possibile, per esempio, gli accordi bilaterali o comunque gli accordi di cooperazione con i Paesi produttori di prodotti contraffatti. È inutile dire che era presente alla Conferenza la Cina, la quale ha apparentemente dichiarato la propria disponibilità, ma non so quanto sia sostanziale o quanto sia, invece, solo apparente.
  Il punto qual è? È necessaria una disciplina omogenea. Non è pensabile un serio contrasto, se i Paesi dell'Unione europea non hanno una disciplina uniforme e un comune sentire, cioè un intento diretto verso il contrasto al fenomeno.
  È necessario, quindi, che ci sia una piattaforma comune normativa sulla quale poi si devono innestare i rapporti di cooperazione e di collaborazione a livello di polizia e a livello giudiziario. Questa piattaforma comune investe autorità giudiziarie, apparati normativi, perché chiaramente è la legislazione che conta, forze di polizia e dogane. Se non puntiamo a ottenere questo tipo di risultato, non andiamo avanti.
  Voglio dire anche un'altra cosa: l'Italia è uno dei Paesi più interessati, perché è quello che perde di più dalla contraffazione. L'auspicio è, quindi, forse a una forte azione di Governo in sede europea per ottenere una disciplina uniforme, un controllo serio alle dogane, nei porti, alle frontiere quindi, e una cooperazione massima e una collaborazione che sia indirizzata in questa direzione. Pag. 13
  Vengo alla tenuità del fatto e all'efficacia normativa. Sicuramente sì. Quando, attraverso quegli strumenti investigativi e quelle possibilità di coordinamento è stata individuata la filiera e, quindi, è stata contestata l'ipotesi reale, che è quella dell'associazione, certamente sì. Certamente sono sanzionati efficacemente. Sicuramente sono arrestati, perché ci sono tutte le misure cautelari.
  Diverso è il singolo episodio, in cui si innesta la tenuità del fatto. Quando il fenomeno lo vediamo in maniera parcellizzata e vediamo solo un segmento dell'intera attività che viene svolta, non abbiamo la percezione di quello che c'è dietro e trattiamo in modo diverso il singolo episodio criminoso e delittuoso. È comunque sanzionato dal Codice penale, ma lo è ovviamente in maniera diversa e più blanda. Sicuramente i limiti di pena sono limiti di pena che possono portare a una pronuncia di tenuità del fatto.
  A questo proposito voglio dire, però, che questa dovrebbe essere un'ulteriore ragione per mantenere ferma la competenza delle Direzioni distrettuali antimafia, perché salvano dalla possibilità di applicare questo tipo di disposizione a tutti i singoli episodi, i quali, se non messi insieme, senza la visione complessiva, rimangono singoli episodi disseminati sul territorio, che possono avere questo tipo di risultato.
  Ciascuna procura, però, si è posta dei propri criteri. Per questo motivo la mia risposta non può essere esaustiva. Certo, ci può essere un forte impatto, ma ciascuna procura si è data dei criteri di applicazione della norma sulla possibilità di archiviare per la tenuità del fatto. Quindi, dipende dalla sensibilità della procura.
  Io conosco quella napoletana. C'è tutta una serie di esclusioni, come la verifica dei precedenti. Innanzitutto, non esistono regole di massima per cui sotto una data pena si applica la norma. No, bisogna valutare caso per caso singolarmente. Poi c'è tutta una serie di paletti. Questa, però, è la procura di Napoli. Non conosco le disposizioni che sono state date nelle altre procure.

  FILIPPO GALLINELLA. Un'ultima cosa. Se io vivo di contraffazione, cioè io da solo fabbrico in casa prodotti contraffatti e li vendo, non vado mai in galera, praticamente.

  PRESIDENTE. È un caso veramente scolastico.

  MARIA VITTORIA DE SIMONE, Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Da solo? Non lo può fare da solo. Ha bisogno dei lavoranti, delle macchine, della rete distributiva. Come fa a farlo da solo? È un esempio inverosimile. Nella realtà non si trova questo. Si trova quello che vende o quello che ha il prodotto contraffatto, ma nella realtà questo singolo caso proprio veramente non è mai capitato.

  PRESIDENTE. Ringrazio moltissimo la dottoressa De Simone, dispongo che la documentazione sia pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.

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