Sulla pubblicità dei lavori:
Gelli Federico , Presidente ... 3
Audizione del prefetto di Venezia, Domenico Cuttaia:
Gelli Federico , Presidente ... 3 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 3 ,
Gelli Federico , Presidente ... 9 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 9 ,
Gelli Federico , Presidente ... 10 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 10 ,
Gelli Federico , Presidente ... 10 ,
Beni Paolo (PD) ... 10 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 10 ,
Beni Paolo (PD) ... 10 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 10 ,
Gelli Federico , Presidente ... 13 ,
Rondini Marco (LNA) ... 13 ,
Moretto Sara (PD) ... 14 ,
Beni Paolo (PD) ... 15 ,
Gelli Federico , Presidente ... 16 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 16 ,
Rondini Marco (LNA) ... 17 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 17 ,
Rondini Marco (LNA) ... 17 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 18 ,
Moretto Sara (PD) ... 21 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 21 ,
Gelli Federico , Presidente ... 23 ,
Cuttaia Domenico , prefetto di Venezia ... 23 ,
Gelli Federico , Presidente ... 23
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FEDERICO GELLI
La seduta comincia alle 8.50.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e, ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire anche in seduta segreta.
Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, apriamo il circuito.
Audizione del prefetto di Venezia,
Domenico Cuttaia.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del prefetto di Venezia, dottor Domenico Cuttaia.
L'audizione è stata sollecitata con particolare riferimento alla situazione che si è determinata a Cona, con forme di proteste che hanno avuto anche risvolti di ordine pubblico. Il signor prefetto risulta essere intervenuto anche in tale circostanza e vorremmo che ci desse informazioni e valutazioni in merito.
Con l'occasione, alcuni aspetti vanno rilevati. Il centro di Cona presenta caratteristiche che questa Commissione ben conosce, ossia isolamento sotto il profilo geografico e sovraffollamento. Quello che vorremmo fosse più chiaro è il dato del sovraffollamento. I dati a nostra disposizione di ieri andrebbero anche più in là di quelli che sono apparsi sulla stampa. Saremmo «oltre», cioè, non solo quanto ammesso, ma addirittura quanto comunicato dalla stampa nelle ultime giornate.
Vorrei chiedere al prefetto un chiarimento sull'ente gestore, che in molte occasioni abbiamo visto essere al centro di scandali o di indagini. Nel caso di Cona l'ente gestore è «Ecofficina». Che tipo di valutazioni sono state fatte in proposito e quali provvedimenti pensa di adottare la Prefettura?
Da ultimo, sulla stampa sono apparse notizie sull'utilizzo di ex caserme per l'accoglienza degli immigrati. Il prefetto ci può dare una valutazione della situazione del Veneto, visto che ha anche il compito di coordinare le prefetture di quella Regione?
Il Veneto è una di quelle Regioni che appaiono in prima linea proprio nel gestire e nell'affrontare il tema dell'accoglienza. Sappiamo che nella Regione Veneto insiste una maggiore concentrazione – potrei dire – di caserme o ex caserme del nostro Paese, per motivi ovviamente storici. Vorrei capire dal signor prefetto che tipo di valutazione è stata fatta con i suoi colleghi e se ci sono prospettive in quel senso.
Nel dare il benvenuto al nostro ospite, gli cedo la parola.
DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. La ringrazio, signor presidente, e mi permetto di rivolgere a lei e ai suoi colleghi componenti della Commissione un deferente saluto, grato anche per la possibilità che mi viene offerta di poter illustrare la situazione dell'accoglienza dei migranti nel territorio della città metropolitana di Venezia e, in generale, nel territorio del Veneto.
Desidererei preliminarmente anche dissolvere ogni dubbio circa la situazione dell'accoglienza Pag. 4 nella ex base militare di Conetta, frazione di Cona, precisando che certamente non è una soluzione ottimale, ma che le condizioni di vivibilità sono assicurate. Quindi, non si può parlare di migranti che siano stipati.
Questa non è una valutazione soggettiva, ma una considerazione puramente oggettiva. Basti considerare che l'area occupata dalla struttura temporanea di accoglienza di Cona ammonta a più di 210.000 metri quadrati. Sono 210.000 metri quadrati recintati, perché era una caserma. Come voi sapete, però, i migranti, gli ospiti, hanno libertà di entrata e di uscita.
L'unico limite è quello del rientro alle 21, per ragioni anche di tipo logistico, anche perché riteniamo che gli ospiti non abbiano motivo di permanere durante le ore notturne fuori dal centro. Dalle 8 in poi possono, ovviamente, uscire, rispettando gli orari dei pasti. Questo nel loro interesse. Se saltano il pasto, se ne faranno una ragione, ma vanno rispettati gli orari.
Sono, dunque, 210.000 metri quadri. È un territorio pianeggiante, dove non ci sono rovi o ostacoli naturali. I migranti possono tranquillamente passeggiare o organizzarsi. Infatti, ci sono dei campetti di calcio per svolgere le attività di svago durante la giornata.
Di questi 210.000 metri quadrati, circa 5.000 metri quadrati sono coperti. La copertura riguarda fabbricati in muratura, che erano proprio i locali della caserma, e delle tendostrutture che sono state installate proprio per far fronte al progressivo aumentare del numero dei migranti.
La struttura è dotata anche dei relativi necessari servizi igienici. Abbiamo 167 bagni, 241 lavabi e 121 docce. Ci sono due moduli prefabbricati destinati a infermeria e astanteria.
Abbiamo poi tre aule didattiche, per complessivi 360 metri quadri, che accolgono dalle 25 alle 30 persone. Sono aule didattiche che servono proprio a insegnare la lingua italiana e anche a informare gli ospiti dei loro diritti e dei loro doveri, per esempio di quello che possono fare nel caso in cui la Commissione per la valutazione dello status di rifugiato o per il riconoscimento della protezione internazionale dovesse esprimere esito negativo, con la possibilità di proporre ricorso.
Alla luce di questa situazione, ribadisco che non c'è una condizione di invivibilità o una condizione estremamente negativa di vita. È chiaro, comunque, che non è la situazione migliore, non è la situazione auspicabile, soprattutto se raffrontata ad altri centri temporanei di accoglienza esistenti nel territorio della città metropolitana di Venezia.
Complessivamente, abbiamo circa 2.000 ospiti. Di questi 2.000 ospiti, al momento 975 sono proprio concentrati su Cona, anche se stiamo cercando di farne uscire alcuni, perché abbiamo trovato la disponibilità al momento, ahimè, di soli 60 posti.
Praticamente, che cosa facciamo? Proprio perché ci rendiamo conto di questo e proprio perché tra i migranti c'è un circuito informativo, loro sanno benissimo che negli altri centri, dove ci sono 40 o 50 posti, abbiamo anche delle convenzioni e che i comuni più sensibili a queste questioni hanno instaurato delle possibilità di impiego lavorativo (a titolo gratuito chiaramente, ma con copertura assicurativa). Quindi, gli ospiti sono più inseriti nel contesto sociale e anche nel contesto urbano.
Proprio per favorire l'aspirazione di queste persone ad andare a vivere in altre strutture, noi facciamo una sorta di graduatoria per ordine di anzianità. A mano a mano che si liberano posti, a mano a mano che acquisiamo disponibilità con delle convenzioni, una parte di questi ospiti esce. Siamo all'incirca tra i 40 e i 50 ospiti al mese. Quindi, da parte loro, c'è questa aspettativa. Ultimamente, purtroppo, questo flusso in uscita si è un po’ bloccato, perché non abbiamo avuto alcuna possibilità di trasferimento in altre località.
Nel contempo, durante la stagione estiva, così come accade ogni anno, abbiamo avuto un afflusso notevole, che ha determinato quindi l'ulteriore ampliamento delle presenze nel centro di Cona. Tutto questo ha portato a una protesta il 27 agosto, il giorno prima – questo è un dato che va sottolineato – dell'apertura della Mostra del cinema di Venezia. Pag. 5
Questa struttura si trova in linea d'aria ad una ventina di chilometri da Venezia. La strada è un po’ più tortuosa, ragion per cui sono 35 chilometri, ma in linea d'aria sono 20 chilometri. In quell'occasione è successo che una cinquantina di migranti, su un numero complessivo che allora potevano essere di 850 – nel frattempo, ne sono arrivati altri – ha inscenato una manifestazione di protesta.
La manifestazione, comunque, non ha avuto riflessi all'esterno, perché c'è una strada Provinciale e una diramazione della strada Provinciale in sterrato che porta proprio alla struttura. Loro si sono collocati in questo viottolo sterrato, senza andare sulla strada Provinciale. Non c'è stato alcun disagio per la circolazione, né sotto altri punti di vista la popolazione locale ha dovuto sopportare alcunché.
Al momento, però, non sapendo che tipo di manifestazione fosse e dove volessero andare a parare, è chiaro che c'è stato un momento di tensione. Poi mi è stato riferito telefonicamente dal gestore che il sindaco di Cona si era avvicinato alla struttura, parlamentando con queste persone e dicendo loro che avrebbe tempestivamente informato gli organi di stampa, le televisioni e altro per farle avvicinare alla struttura.
Poiché il prefetto è anche autorità Provinciale di pubblica sicurezza e ha poteri, ma soprattutto doveri e responsabilità, ho ritenuto in forma molto drastica – cosa che non sono abituato a fare nei rapporti con i sindaci, ma che in quell'occasione ho dovuto fare – di intimare formalmente al sindaco di non assumere alcuna iniziativa nei confronti dei migranti, perché non si sapeva a che cosa precludesse questa manifestazione iniziale.
Questa intimazione formale ho ritenuto di inviarla anche alla Procura della Repubblica, proprio per chiarire fin dall'inizio che non ci dovesse essere alcuna interferenza nella gestione di una problematica attinente all'ordine e alla sicurezza pubblica. Sulla base di questo, mi sono tempestivamente recato all'ingresso della struttura.
Nel frattempo, d'intesa con il questore, avevamo fatto convergere nelle immediate vicinanze – praticamente all'inizio della diramazione del viottolo che parte dalla strada Provinciale – un determinato numero di personale (una quarantina di operatori della Polizia di Stato e dei Carabinieri) posizionato di qua e di là, per vedere come si sarebbe sviluppata questa manifestazione di protesta.
Sono andato sul posto e ho chiesto di parlamentare con coloro che avevano assunto l'iniziativa, ripeto, all'incirca una cinquantina di persone. Volutamente ho lasciato gli operatori delle forze dell'ordine all'esterno e sono andato da solo, accompagnato da una collega. La prossima volta entrerò senza essere accompagnato da nessuno, perché non voglio creare un minimo rischio. Ripeto, ero convinto che non ci fossero assolutamente rischi per l'incolumità personale, ragion per cui, anche in maniera evidente (non voglio dire plateale, ma evidente) sono voluto entrare da solo, accompagnato da questa collega.
Ho ritenuto fin dall'inizio che non ci fossero situazioni assolutamente di pericolo, vedendo che i ragazzi – si tratta veramente di ragazzi di giovane età; l'età media varia dai 20 ai 25 anni nella maggior parte dei casi – avevano un atteggiamento piuttosto tranquillo. Chiedevano delle garanzie, ma il loro era un atteggiamento piuttosto tranquillo. Quindi, sono rimasto a parlamentare con loro un paio d'ore.
Erano tutti africani di Senegal e Nigeria di lingua francese. Per quanto conosca il francese, è sempre bene, per evitare che ci possano essere equivoci e cattive interpretazioni, che ci sia un interprete. Quindi, abbiamo conversato.
Loro chiedevano alcune cose impossibili. Chiedevano, per esempio, che le Commissioni fossero ancora più rapide, ma più rapide di quello che sono per il rilascio del provvedimento di protezione internazionale. In Veneto praticamente abbiamo tre Commissioni: Verona, Padova e Treviso. Facciamo capo a Padova, come territorio di Venezia. Nel giro di due o tre mesi le Commissioni si pronunciano. Pag. 6
I problemi vengono dopo. Poiché queste persone sono abilitate a proporre ricorso e dato che tutti propongono ricorso al tribunale, i tempi di attesa si prolungano a dismisura, tant'è che so che il Governo sta adottando dei provvedimenti proprio per cercare di rendere ancora più snelle le procedure di ordine giudiziario in sede di ricorso.
Loro chiedevano anche una sorta di «affidamento» sui giudizi positivi da parte della Commissione. Ho fatto presente che intanto la Commissione non dipende dalla Prefettura, ma è un organo autonomo, che fa capo al Ministero dell'interno. Quindi, io non posso avere un'interlocuzione diretta per quanto riguarda il merito delle decisioni.
In secondo luogo, ci sono delle leggi che presiedono allo svolgimento delle attività delle Commissioni e queste leggi richiedono che ci sia un'attenta analisi delle situazioni e la verifica dei presupposti per ottenere la protezione internazionale.
Ho ribadito che comunque il nostro è un Paese estremamente garantista da questo punto di vista e che loro potranno in ogni caso – come fanno e come hanno fatto i loro predecessori – ricorrere agli organi giudiziari. La materia delle loro lagnanze era soprattutto questa.
Poi c'erano anche aspetti secondari, che in qualche modo abbiamo sanato, come il wi-fi, per esempio. Eravamo già in corso di realizzazione e nel giro di pochi giorni abbiamo provveduto, non perché ci sia stata la protesta, ma perché avevamo già l'intesa con la cooperativa che gestisce l'accoglienza. L'avevamo già definito. C'erano poi alcune questioni relative ai pasti e anche ai provvedimenti che interinalmente rilascia la questura, situazioni facilmente risolvibili. Loro sono rimasti soddisfatti di questo colloquio con il prefetto. Non è certamente la prima volta che vado. Conoscono abbastanza bene sia il prefetto, sia il viceprefetto.
Questi soggetti erano nuovi, debbo dire, perché abbiamo delle situazioni particolari. Spesso vengono trasferiti in Veneto coloro che sono appena sbarcati. Ogni tanto, però, vengono trasferiti anche per sgravare le strutture siciliane per migranti, che già hanno una permanenza di cinque o sei mesi.
Qualcuno di questi si lamentava dicendo: «Noi siamo arrivati adesso, però ci avete messo in coda nella speciale graduatoria di trasferimento nelle altre strutture, pur essendo già quasi da un anno in Italia». «Sì, voi avete ragione,» ho risposto, «ma per noi e anche per i vostri compagni di accoglienza siete appena arrivati. Comunque, troveremo anche un sistema da questo punto di vista».
La situazione si è acquietata, se non che una quindicina di questi – io poi me ne sono andato tranquillo; me l'ha riferito il questore – non voleva sentire ragione.
A questo punto, mi è venuto il sospetto che qualcuno forse potesse essere «sollecitato» dall'esterno. Ovviamente, non ho prove o indicazioni, ma ho sospettato che fosse sollecitato dall'esterno a fare questa iniziativa di protesta, perché ormai questi quindici non avevano argomenti. Non avevano alcun motivo di continuare a protestare.
Quindi, mi è venuta in mente questa corrispondenza tra le manifestazioni di protesta e il fatto che quel giorno fossero arrivati, come sempre avviene ogni anno in occasione della Mostra del cinema, le televisioni e giornali di tutto il mondo. Ho pensato che magari una protesta di migranti a Cona potesse richiamare l'attenzione dei mass media. È un'interpretazione un po’ maliziosa, ma potrebbe essere una interpretazione per spiegare le ragioni di questa insistenza.
Il questore, comunque, è dovuto intervenire, visto che non si spostavano, che i fornitori dovevano entrare e che già all'interno anche gli altri si erano molto seccati, perché a causa di questa storia erano quasi le 14 e il pasto non veniva servito. Pertanto tutti gli altri cominciavano un po’ a protestare. Quindi, il questore, con modi non bruschi, ma magari un po’ più determinati, li ha fatti spostare; ma nessuno si è fatto male. Nessuno ha riportato alcuna conseguenza e la questione si è chiusa.
Questa, sostanzialmente, è stata, da quando abbiamo istituito il centro, il 27 o Pag. 7il 24 luglio dell'anno scorso, la prima manifestazione di un certo spessore. Per la verità, ne abbiamo avute altre due in precedenza. Una era per il vitto, ma è durata pochissimo. È stata una protesta di dieci minuti o un quarto d'ora. L'altra era per il fatto che avevamo trasferito un congruo numero di migranti da Eraclea – che l'onorevole Moretto conosce bene – a Cona. Si è trattato di un trasferimento molto pesante per loro, perché li abbiamo trasferiti da una zona di mare e da una zona urbanizzata in una zona agricola, qual è quella di Cona. Il centro di accoglienza di Cona si trova proprio in campagna, abbastanza lontano dai centri abitati. In linea d'aria è piuttosto vicino alla frazione di Conetta, ma comunque lontano dai più importanti centri abitati.
È una situazione da questo punto di vista, anche sotto l'aspetto dell'ordine e della sicurezza pubblica, sostanzialmente gestita e gestibile, anche se mi rendo conto che, se si dovesse incrementare ancora l'afflusso, ovviamente dei problemi li potremmo incontrare.
Penso che la Commissione voglia sapere come mai si sia arrivati a Cona a questo sovraffollamento. È un sovraffollamento non relativo alla capienza del sito, perché con 210.000 metri quadrati vi renderete conto che possiamo metterci molta gente. È un sovraffollamento relativo alla dotazione che abbiamo nel territorio ed è di per sé una soluzione senz'altro gravida di problemi.
Non è mai opportuno installare centri di accoglienza che abbiano un così elevato numero di persone, prima di tutto perché si pone oggettivamente un problema anche di convivenza con la comunità circostante e, in secondo luogo, perché è difficile varare e mettere in atto tutte quelle iniziative per l'integrazione. Uno degli elementi importanti dell'accoglienza, infatti, è l'integrazione nel contesto sociale ed economico circostante.
Un terzo elemento è il fatto che – noi forse non ce ne rendiamo conto, non conoscendo proprio le situazioni particolari all'interno degli Stati di provenienza di queste persone – ci sono spesso anche delle difficoltà di dialogo tra i migranti stessi, perché ci sono delle etnie che non vanno d'accordo tra di loro. Spesso ci troviamo a dovere risolvere problemi di dialogo tra loro, che magari qualche volta finiscono anche in qualche scazzottata.
Quando dico «noi», mi riferisco ai prefetti in generale e ai prefetti del Veneto in particolare. Cerchiamo di evitare che ci siano queste situazioni, proprio perché sono difficili da gestire. La scelta di Cona, come la scelta della Caserma «Serena» di Treviso o della Caserma «Prandina» o di Bagnoli a Padova non sono delle scelte: non è che noi consapevolmente abbiamo optato per queste soluzioni. Sono, purtroppo, situazioni che abbiamo dovuto individuare a fronte della pratica impossibilità di trovare altre soluzioni.
Le soluzioni di accoglienza, quelle che sono previste e che sono in vigore dal 2014 in poi, sono sostanzialmente basate sullo strumento convenzionale – cioè sulle convenzioni che facciamo con degli operatori del privato sociale e con i soggetti di solidarietà sociale – o sulla possibilità di utilizzare beni demaniali, affidandone poi in ogni caso la gestione ad organismi di solidarietà sociale.
Lo strumento principale è quello di cercare di sistemare questi migranti attraverso lo strumento convenzionale. Alla luce dell'Intesa Stato-Regioni e Stato-Città e Autonomie locali intervenuta il 10 luglio del 2014 abbiamo riportato in sede locale il principio ispiratore di questo accordo, di questo protocollo che è intervenuto tra Governo, Regioni e Autonomie locali, queste ultime rappresentate dall'ANCI e dall'Unione delle province italiane: si tratta di ripartire i migranti sul territorio e, quindi, sui comuni proporzionalmente all'indice demografico della popolazione.
Questo avviene su base nazionale, Sicilia esclusa, perché la Sicilia è luogo di sbarco e ha un numero impressionante di migranti (come accoglienza provvisoria, ma anche come accoglienza più prolungata).
Per quanto riguarda le altre Regioni, viene stabilita una suddivisione in base al criterio della densità demografica. Il Veneto è una delle Regioni più densamente Pag. 8abitate e, quindi, sostiene un carico anche notevole di migranti. Attualmente, la quota assegnata al Veneto è di 13.200 unità. Ne accogliamo al momento 12.300, ragion per cui siamo vicini sostanzialmente alla quota che ci è stata assegnata.
Ovviamente, queste quote non sono rigide, ma sono quote che vengono costantemente aggiornate. Quante volte l'abbiamo raggiunta la quota? L'abbiamo raggiunta e poi il ministero l'ha rivista in aumento, proprio perché ci sono stati degli sbarchi.
La suddivisione a livello nazionale avviene in questo modo: a livello Provinciale è compito del prefetto del capoluogo di Regione, ma è un compito che il prefetto svolge d'intesa con i propri colleghi. Pertanto, anche noi abbiamo applicato questo criterio nell'ambito di ciascuna Provincia e ripartiamo il carico che ci viene assegnato. Il carico che viene assegnato alla Regione lo ripartiamo poi tra le diverse province.
Delle sette province del Veneto, cinque sostanzialmente hanno un numero di abitanti tra 820.000 (Provincia di Venezia) e 890.000 (Provincia di Verona), tranne due (Belluno e Rovigo) che hanno un numero di abitanti notevolmente inferiore e, quindi, ospitano anche un numero di migranti notevolmente inferiore (questo nonostante Belluno, dal punto di vista della dimensione territoriale, sia forse la Provincia più grande del Veneto). Tuttavia il criterio che abbiamo utilizzato in modo privilegiato, conformemente a quanto ha stabilito la Conferenza unificata Stato-Città e Stato-Regioni, è il criterio della densità demografica.
Chiaramente, anche per lo spirito di solidarietà che anima i prefetti, non applichiamo questo in maniera estremamente rigida, ma, laddove ci siano delle situazioni di difficoltà, ci veniamo incontro reciprocamente. Se in una Provincia vediamo che un prefetto si trova in grandissima difficoltà, andiamo a chiedere agli altri prefetti se provvisoriamente possono prendersi 10-20 persone (se costoro ad esempio devono andare a Treviso, che è una delle province che purtroppo ha le maggiori difficoltà). Ci veniamo incontro, ma sono scostamenti molto limitati, perché il criterio è questo.
Ogni prefetto, nell'ambito della propria Provincia, ha cercato – debbo dire «ha cercato», perché non ci siamo riusciti, non per colpa nostra – di attuare questa impostazione, ripartendo i migranti sul territorio Provinciale in base al criterio proporzionale.
Giova osservare al riguardo che sui 576 comuni della Regione Veneto ce ne sono ben 323, quindi molto più della metà, che non hanno alcun migrante. Il fatto di non avere alcun migrante si spiega anche con difficoltà oggettive di trovare situazioni di accoglienza, ma spesso si ha anche questa conseguenza per la mancata disponibilità del territorio e la mancata disponibilità degli amministratori.
Questi ultimi, oltre a rifiutarsi di ricevere migranti, in qualche modo cercano di scoraggiare le organizzazioni di solidarietà sociale con una forma di pressione – che per carità, è anche lecita; non ho nulla da obiettare – a proporre le loro offerte in sede di gara.
Conformemente a ciò che dispone la normativa vigente, quando ci rivolgiamo alle organizzazioni di solidarietà sociale – per la massima parte cooperative – e bandiamo una gara formalmente, riceviamo le offerte. Sulla base di queste offerte poi stipuliamo le relative convenzioni.
Per quanto riguarda il territorio della Provincia di Venezia – oggi città metropolitana di Venezia – abbiamo finora bandito sette gare, la maggior parte delle quali purtroppo ha dato un esito estremamente negativo.
Detto questo, nella fase iniziale dell'accoglienza non abbiamo avuto soverchi problemi, diciamo così, perché nei primi sei mesi del 2014 praticamente la situazione ricalcava quella che si era verificata nel 2011 allorquando, a seguito della cosiddetta «emergenza Nord Africa», l'allora Governo dispose in via emergenziale un sistema di accoglienza. Quindi, eravamo collaudati da questo punto di vista e abbiamo sostanzialmente adottato un sistema che ricalcava quello precedente. Pag. 9
Conoscevamo anche gli organismi di solidarietà sociale e i diversi referenti. Abbiamo riproposto ai sindaci tutto quello che c'era e nei primi sei mesi la situazione nel Veneto, come nel resto del Paese, non ha avuto particolari problematiche.
Le problematiche, invece, si sono imposte già all'inizio dell'estate, il che ha motivato quell'intervento della Conferenza unificata. Abbiamo patito i primi problemi in quanto si è manifestata in maniera più evidente la contrarietà ad accogliere da parte degli enti locali e degli amministratori.
Comunque, in un modo o nell'altro abbiamo risolto, ma – ahimè – non potendo rispettare quello che era, invece, il principio cardine, cioè la distribuzione diffusa sul territorio con il principio proporzionale, in maniera che il carico di accoglienza – chiamiamolo «carico»; per carità, non voglio urtare la suscettibilità di nessuno, ma è visto, in effetti, come un problema anche dalle comunità locali – fosse distribuito uniformemente sul territorio e su tutti in maniera proporzionale.
Noi abbiamo fissato un limite di 350. Venezia, in base al criterio proporzionale, dovrebbe accoglierne 500-550. Abbiamo fissato, d'intesa con i sindaci, un limite massimo di 350 e un limite minimo per i comuni piccoli, per cui l'accoglienza dovesse essere non inferiore a 10 unità.
I problemi grossi si sono posti nell'estate del 2015, in particolare nel mese di giugno, ma anche nel mese di luglio, quando abbiamo avuto un afflusso eccezionale sulle coste italiane, che poi ha avuto il suo riflesso in Veneto: nel solo mese di giugno abbiamo avuto 3.000 arrivi per la Regione Veneto e questo per Venezia ha significato un carico di circa 500 unità, arrivate quasi all'improvviso.
Mi permetto di aprire una parentesi. Come avviene il trasferimento dei migranti? Il trasferimento dei migranti, proprio in virtù dell'esito della Conferenza Stato-Regioni, Stato-Città e Autonomie locali, non avviene sulla base di un dialogo o di un'intesa, non è che il ministero chieda ai prefetti se hanno la disponibilità ad accogliere i migranti. No, perché, se dovesse chiedere questo, ognuno di noi rappresenterebbe le oggettive difficoltà.
Visto che c'era stata quell'Intesa, il ministero ce li trasferisce. Quindi, la sera arriva la telefonata con cui si dice che l'indomani, di quelli che sono sbarcati a Pozzallo, a Porto Empedocle o a Trapani – ormai conosciamo tutti i posti –, ce ne manderanno 300-400. Questi di solito arrivano all'alba, alle 5 o alle 6 del mattino. Arrivano in pullman. Ogni Prefettura manda il suo pullman e quindi facciamo la ripartizione. Ogni pullman prende i migranti e li porta nelle rispettive questure, perché le questure fanno l'identificazione.
Nella fase iniziale questo passaggio saltava e l'identificazione avveniva in una fase successiva, il che comportava che una buona parte di questi migranti, arrivata sul territorio, se ne andava e cercava di andarsene nel Nord Europa. Proprio perché ci sono state le proteste di alcuni Paesi europei, il ministero è stato molto determinato nel dire che le identificazioni vanno fatte immediatamente.
Quindi, quando i migranti arrivano, abbiamo la ripartizione nei pullman e ogni pullman li porta nelle province di destinazione. Queste persone vengono, quindi, identificate in maniera congrua, anche con l'apposizione delle impronte digitali ad opera della questura. Dopodiché in giornata si procede alla loro dislocazione presso i diversi siti di accoglienza.
PRESIDENTE. Mi scusi, signor prefetto, per capire, da quando sono in funzione gli hotspot continua a succedere questo? Quando sbarcano, i migranti vengono fotosegnalati e identificati nei quattro hotspot. Quando li mandano da voi, dovrebbero essere già fotosegnalati e identificati.
DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. No, perché la maggior parte non passa dagli hotspot e anche quelli che passano dagli hotspot hanno un'identificazione molto sommaria. È la questura che li deve munire poi di un documento. Debbono necessariamente passare dalla questura per essere muniti di un documento che attesti la loro legittima presenza sul territorio. Pag. 10 Quindi, c'è una prima identificazione negli hotspot, dove comunque – diciamo così – l'afflusso è notevole.
PRESIDENTE. Questo è un punto cruciale, altrimenti non ci intendiamo. Noi abbiamo visitato tutti e quattro gli hotspot e abbiamo verificato che la Polizia scientifica è presente e fa le fotosegnalazioni e le identificazioni. Non credo che ci sia bisogno, una volta che un migrante è stato fotosegnalato e identificato da agenti della Polizia scientifica, di un ulteriore...
DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. Questo avviene. Avviene un'ulteriore identificazione proprio perché la questura deve fornirli del documento.
PRESIDENTE. È la questura quella che fa questo lavoro.
PAOLO BENI. Noi sappiamo dai dati che dagli attuali hotspot in funzione passa circa il 40 per cento degli sbarchi. Dipende dai periodi. Probabilmente anche meno. È chiaro che questo meccanismo che lei descriveva, dell'arrivo a un porto e del trasferimento quasi immediato coi pullman durante la notte, riguarda quel 60 per cento e più di sbarchi che non passano dagli hotspot.
DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. Onorevole, anche per coloro che sono già transitati dagli hotspot si pone un problema di munire queste persone di un documento. Loro vanno in giro. La questura rilascia una sorta di attestazione che questa persona è presente sul territorio e ha già adempiuto alle prime formalità.
Per esempio, la dichiarazione è un elemento importante, perché gli hotspot identificano e fanno una prima scrematura, ma la dichiarazione di richiesta di protezione internazionale la rendono in questura.
PAOLO BENI. Quello sì...
DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. Questo passaggio è assolutamente obbligato, anche se in buona parte non solo hanno già avuto una preventiva identificazione, sia pur sommaria, ma hanno avuto anche uno screening sanitario. Anche quello è sommario però, ragion per cui, ogni volta, quando arrivano qui, ci sono il controllo in questura, la dislocazione nel centro di accoglienza e l'immediato avvio nelle strutture sanitarie. Scopriamo ogni tanto – poche volte – che qualcuno ha anche qualche patologia, perché, ripeto, il controllo che si fa è sommario.
Considerato in determinati giorni, in un determinato periodo, l'afflusso è veramente notevole. È un controllo che, per forza di cose, è anche generico. Quindi, si rende necessario operare sia il controllo sull'identificazione, dotando queste persone anche di ulteriori documenti identificativi e formalizzando la loro posizione di richiedenti protezione internazionale, sia le visite di controllo sanitario.
Tutto questo sta a dimostrare come spesso – anzi sempre – anche se ce l'aspettiamo, veniamo a sapere dell'arrivo di queste persone la sera per l'indomani. Dopodiché, nel momento in cui lo sappiamo e le dislochiamo, avvertiamo anche i sindaci, perché è anche giusto che i sindaci vengano avvertiti.
Lì ci prendiamo sempre molte lamentele, perché i sindaci forse non immaginano – anche se gliel'ho spiegato più volte – qual è la situazione. Si lamentano del fatto che vengono avvertiti all'ultimo momento e che vengono avvertiti a cose fatte, ma vengono avvertiti all'ultimo momento perché noi lo sappiamo all'ultimo momento. Ripeto, il ministero non può che operare in questo modo, alla luce dell'Intesa che è stata sottoscritta il 10 luglio del 2014.
Nel giugno-luglio del 2015 abbiamo avuto una situazione difficilissima, perché l'improvviso e continuativo arrivo di questi migranti ha di fatto esaurito le possibilità di accoglienza. Nell'ambito di questi bandi, di queste richieste, abbiamo ricevuto da un'associazione di volontariato che aveva sede nella Provincia di Modena – non era neanche veneta – una disponibilità di circa 450 posti a Eraclea, che è una località di mare. Pag. 11
Presi dalla necessità di fronteggiare questa situazione, ne mandammo una sessantina o una settantina. Questa struttura provvisoria – diciamo così – si trovava all'interno di un residence dove c'erano delle seconde case e dei turisti. L'onorevole Moretto ha partecipato anche personalmente ad un incontro con la popolazione presente, incontro che ha visto anche un momento di grande tensione.
Era una situazione necessitata, non una scelta. Non c'erano alternative, tant'è che per la preoccupazione, ovviamente, non ci ho dormito di notte. Portare questi ragazzi, che hanno anche un retroterra culturale e delle abitudini e tradizioni loro, in un residence dove normalmente le ragazze e le donne girano in costume da bagno, può creare anche qualche problema. Comunque si creano problemi e contesti particolari, tant'è che questa situazione è stata sottolineata anche da leader nazionali dei partiti, che spesso sono venuti a Eraclea e hanno incontrato la popolazione.
Ci sono state polemiche, assolutamente condivisibili, ma, in mancanza di alternative, piuttosto che lasciare queste persone per strada – dove sì avrebbero creato problemi di ordine pubblico e anche di salute – abbiamo dovuto adottare questa soluzione, che non poteva che essere estremamente provvisoria. Per questo motivo mi sono dedicato alla ricerca di una soluzione alternativa, utilizzando un bene demaniale.
Lo Stato ormai possiede ben poco sul territorio. I beni demaniali sono beni dello Stato e, chiaramente, sono caserme dismesse, ma le caserme dismesse in Veneto, quelle nel territorio di Venezia, sono veramente dei ruderi. Non sono degli edifici, sono dei ruderi inutilizzati e pieni di rischi. È una cosa anche questa su cui la Commissione non può interloquire, ma è un problema serio, anche perché è veramente un peccato avere questo patrimonio, che una volta era un patrimonio costituito da edifici di pregio, e vederlo ridurre in questo modo, dopo decenni di abbandono.
Questi sono ruderi del tutto inutilizzati, dove c'è amianto, dove ci sono situazioni anche pericolose per chi si dovesse avvicinare. Certo, sono messi in sicurezza attraverso una recinzione esterna, un perimetro esterno, ma praticamente sono inutilizzabili, perché per rimettere in sesto questi ruderi occorrerebbe un tempo enorme e soprattutto una spesa sproporzionata.
Invece proprio a Cona abbiamo individuato una caserma che non era stata dismessa dal demanio militare, il che spiega come si trovasse in condizioni accettabili. Non era più utilizzata, ragion per cui ci siamo attivati attraverso il Ministero dell'interno, spingendo sul Ministero della difesa, e abbiamo potuto acquisirne la disponibilità.
Questa disponibilità di Cona in prima battuta si è resa necessaria proprio per sgravare Eraclea e togliere da Eraclea quella presenza di migranti, che, nel frattempo, era arrivata a circa 200 unità e che costituiva veramente, sotto tutti i punti di vista, un pericolo che andava assolutamente eliminato.
Cona è nata in questa prospettiva e con questa finalità, ma poi si sono andati incrementando ulteriormente l'accoglienza e il numero delle persone ospitate, perché non siamo riusciti a trovare soluzioni alternative. Le gare che abbiamo bandito sono gare che hanno avuto esiti molto, molto parziali.
Per esempio, a fine 2015 abbiamo bandito una gara per 1000 posti. Erano tempi in cui i soggetti di solidarietà sociale riuscivano a fare delle offerte congrue e avevamo ricevuto un'offerta per 861 posti. Dopo qualche giorno, a mano a mano, le società e le cooperative venivano dicendo che non avevano più la disponibilità, perché il proprietario che doveva affittare gli edifici e i capannoni aveva ritirato la sua disponibilità.
Per farla breve, dagli 861 siamo rimasti con 161 posti. Di gara in gara, proprio per evitare che Cona potesse essere sovraffollata, siamo andati sempre verso una situazione negativa. L'ultima gara l'abbiamo fatta nel mese di luglio scorso, per 961 posti. Ci avrebbe consentito non dico di azzerare, perché Cona è una struttura efficiente, ma di mantenerla sulle 150-200 presenze, come dovrebbe essere, proprio perché una presenza superiore ai 200 posti Pag. 12pone oggettivi problemi, di cui il prefetto si deve fare carico senz'altro.
Ebbene, di questi 961 posti, le offerte sono state fatte da una sola cooperativa: alla fine ha partecipato alla gara una sola cooperativa. Questa cooperativa ha offerto 86 posti, di cui 20 poi non potevano essere attribuiti e, quindi, i posti sono scesi a 66. Sono i 66 posti che stiamo cercando di distribuire, interloquendo in maniera critica con i sindaci. Mi pare che il sindaco di Fossalta di Piave ne dovrebbe ricevere 6, ma sta facendo tante polemiche e anche la popolazione in questo lo sta seguendo.
Questo per dire il clima e la criticità che si sta manifestando e che ci impedisce – questo riguarda me, la collega di Treviso e la collega di Padova – di trovare altre soluzioni, come vorremmo noi, per distribuire uniformemente sul territorio per piccoli gruppi i migranti.
Sono a disposizione, ovviamente, di qualsiasi chiarimento la Commissione voglia chiedere, ma la complessità della problematica mi ha indotto anche a rimettere una relazione – sempre se il presidente ne conviene – che sostanzialmente riproduce quello che ho detto, con una serie di allegati, in maniera da offrire tutta la documentazione a supporto dell'illustrazione che ho fatto.
I problemi che riguardano Cona sono sostanzialmente analoghi ai problemi che riguardano la Caserma «Serena» di Treviso e la Caserma di Bagnoli, la quale Caserma di Bagnoli ha avuto soprattutto la funzione di ospitare in buona parte gli ospiti che erano stati dislocati in precedenza nella Caserma «Prandina» a Padova.
La Caserma «Prandina» si trovava nella stessa situazione in cui si trovava il centro di accoglienza di Eraclea, perché dentro la città di Padova, il che aveva determinato reazioni particolarmente vivaci sia da parte del sindaco, sia da parte della popolazione. Quindi, la Prefettura di Padova si è trovata nella necessità di dover rinvenire un altro sito, proprio per evitare l'accoglienza in quei termini nella città di Padova.
Un ultimo elemento riguarda i minori. Non abbiamo avuto finora grosse problematiche per i minori, i quali sono stati accolti da strutture poste a disposizione da alcuni organismi di solidarietà sociale. Il problema tenderà però a porsi perché negli ultimi tempi stanno affluendo – lo vedo anche in altri territori – molti minori non accompagnati. Ci stiamo, pertanto, predisponendo al riguardo e bandiremo nei prossimi giorni un'altra gara per un numero limitato di minori (100 posti).
Ritengo che parteciperanno anche questi organismi di solidarietà sociale che stanno accogliendo e ospitando minori e che in parte hanno delle convenzioni, ad esempio con il comune di Venezia. Quindi, l'augurio è che ci possano essere altri soggetti di solidarietà sociale e che, trattandosi di minori e poiché l'età tende ad abbassarsi, ci siano minori controindicazioni e una minore avversione da parte delle comunità locali.
Ovviamente, poi a fine anno, poiché tutte le convenzioni di accoglienza che abbiamo avranno scadenza al 31 dicembre, dovremo rinnovare il bando di gara. Mi giungono voci – anche qualcuno degli organismi di solidarietà sociale l'ha fatto presente – che alcuni vorrebbero mollare la presa perché queste situazioni di difficoltà, l'avversione manifestata dagli amministratori e la contrarietà anche da parte delle opinioni pubbliche locali li stanno collocando in una posizione di difficoltà. È chiaro che cercheremo di dissuadere eventuali disimpegni da questo punto di vista, perché potrebbero crearci problemi veramente gravi.
Auspichiamo anche – ma su questo ritengo che non ci possano essere dubbi – che alcuni aspetti che sono stati messi in rilievo anche dagli organi di informazione relativamente ai ritardati pagamenti possano essere risolti. Se a tutte queste difficoltà dovessimo sommare anche il ritardo nei pagamenti, sarebbe grave.
Questi organismi di solidarietà sociale si impegnano a svolgere un lavoro che spesso è anche eccellente, con molti volontari. Se dovessero operare in regime di mercato e solo con dipendenti retribuiti, non ce la potrebbero fare, chiaramente, perché non si tratta solo di far dormire gli ospiti e di Pag. 13fornire i tre pasti, ma anche di svolgere tutta un'attività volta a favorire l'integrazione e l'acquisizione degli elementi fondamentali della lingua italiana, nonché l'installazione di ambienti per la tutela della salute di primo impatto, tramite convenzioni con medici e personale infermieristico. C'è tutta una serie di prestazioni da svolgere che, chiaramente, non offre molti margini di guadagno da questo punto di vista.
Avere un disimpegno sarebbe molto grave. Ho motivo di ritenere che il ritardo nel pagamento potrà essere superato nei prossimi giorni e chiaramente anche questo sta ponendo un qualche problema.
Infine, circa la situazione della cooperativa «Ecofficina» che gestisce la Caserma di Conetta, ovviamente, prima di affidare incarichi anche a seguito di gare, riuniamo il Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, esteso anche alla DIA. Forse andiamo anche un po’ al di là degli obblighi di legge, ma cerchiamo di fare veramente una radiografia dei componenti di questi soggetti di solidarietà sociale, chiedendo anche notizie ad altre prefetture di riferimento.
Abbiamo avuto notizia di qualche problema di ordine giudiziario che potrebbe avere «Ecofficina», motivo per il quale non io, ma la Prefettura di Padova (questa cooperativa ha sede a Padova) ha chiesto lumi, mandando tutta la documentazione all'Autorità nazionale Anticorruzione, la quale ha dato il suo via libera.
Io stesso poi ho chiesto – anche sulla base di un articolo di giornale – notizie al procuratore della Repubblica di Padova, ma mi è stato risposto che al momento non ci sono preclusioni o indicazioni che possano ostare all'affidamento di un servizio.
Ovviamente, monitoriamo costantemente lo svolgimento del servizio con ispezioni senza preavviso, proprio per verificare l'andamento del servizio. Al tempo stesso, la struttura di Cona ha ricevuto quattro ispezioni molto accurate da parte della competente ASL (l'ASL n. 14). L'ultimo controllo c'è stato il 2 settembre scorso.
Questi controlli ho piacere che vengano svolti, perché dobbiamo cercare di svolgere un servizio, anche a tutela degli ospiti e della comunità circostante. Visto che sottoscrivo io le convenzioni, ci tengo che ci siano. Da questi controlli non sono emerse in alcun modo situazioni di criticità o situazioni che richiedessero interventi particolari.
Debbo, altresì, dire che, proprio per la massima trasparenza, è consentito a chiunque lo richieda di poter visitare i locali della struttura. L'accesso è consentito a chiunque lo chieda, ovviamente parlamentari, consiglieri regionali, ma anche amministratori locali di altri comuni, società di solidarietà, rappresentanti di comunità, diversi giornalisti, a tutti, tranne il privato cittadino che voglia andare lì per curiosità, perché non è un baraccone da circo aperto alla curiosità di chiunque. Occorre che il richiedente abbia, ovviamente, un titolo per verificare le condizioni in cui si trovano le persone dopodiché viene fatto entrare senza alcuna minima limitazione.
Da tutte le visite che sono state svolte non sono risultate – o almeno non ho dovuto registrarle – situazioni di criticità particolare, fermo restando che, di per sé, la situazione di Cona è una situazione difficile, che auspicherei di poter ridimensionare in maniera consistente dal punto di vista del numero delle persone accolte.
PRESIDENTE. Ringrazio il signor prefetto. È stato molto esaustivo e ha fatto un lungo e importante dettaglio della sua attività, sia nell'ambito della sua Prefettura e del suo territorio di competenza, sia del territorio Veneto.
Ci ha consegnato anche del materiale che, ovviamente, è a disposizione di tutti i colleghi della Commissione. Mi sembra un bel tomo di documentazione, ragion per cui ci sarà la possibilità di poter approfondire le questioni da lui rappresentate.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MARCO RONDINI. Grazie, presidente. Intervengo molto brevemente. Sulla stampa abbiamo letto una sua dichiarazione che era una risposta alla situazione che si era Pag. 14venuta a creare proprio a Cona. Lei diceva: «La situazione si stabilizzerà, entro settembre avremo i responsi delle Commissioni incaricate di accertare chi ha titolo o meno per ottenere lo status di rifugiato. Nella maggior parte degli accertamenti compiuti finora, l'esito è stato negativo. Contemporaneamente, arriveranno i primi pronunciamenti dei tribunali chiamati a giudicare i ricorsi e, quindi, saranno operative le espulsioni».
La domanda che volevo farle era questa: a fronte degli esiti delle Commissioni di esame dei ricorsi, quante sono state le espulsioni che sono state notificate?
SARA MORETTO. Innanzitutto ringrazio il prefetto Cuttaia per essere qui oggi e per averci così dettagliatamente relazionato sulla sua attività. Ovviamente, colgo anche questa occasione istituzionale per ringraziarlo per il lavoro che lui e tutto il personale della Prefettura svolgono ogni giorno, su un tema molto difficile, che comporta delle relazioni spesso non facili, sia con le amministrazioni locali, sia con i cittadini. Come si diceva prima, ho avuto in diverse occasioni modo di partecipare insieme a lui a incontri con la popolazione che non sono stati assolutamente facili e che lui ha gestito, a mio parere, in maniera assolutamente positiva.
Molte delle mie domande, vista la vicinanza territoriale, ho avuto occasione di fargliele di persona e non starò a ripeterle oggi. Vorrei partire da due considerazioni e poi fare tre domande.
Innanzitutto vorrei partire dal fatto che, ovviamente, i numeri dimostrano che le comunità venete stanno comunque accogliendo. Vorrei anche far presente che ci sono state nel nostro territorio anche esperienze positive, con numeri ovviamente più ridotti, esperienze virtuose di accoglienza e integrazione, a dimostrazione che forse spesso fanno più rumore le voci contrarie, quelle che protestano. Le voci silenziose sono quelle, invece, dell'accoglienza, che consentono esperienze positive, come anche talune in corso proprio nel mio comune.
Vorrei cercare di capire un po’ dai numeri anche una situazione che il prefetto ha ben descritto prima. Se guardiamo i numeri del 26 settembre, che rappresentano gli ultimi dati disponibili in Veneto, come diceva prima il prefetto, vediamo che sono attualmente presenti 12.328 persone all'interno della quota assegnata in base alla ripartizione nazionale.
Di queste, 434 – quindi pochissime – sono all'interno della rete SPRAR. Mi risulta che alcuni comuni – pochi – abbiano partecipato all'ultimo bando SPRAR; ma in Veneto l'accoglienza attraverso il modello SPRAR possiamo dire che di fatto è ininfluente e insignificante.
Delle suddette persone 9.280 sono in strutture temporanee, mentre c'è un numero che balza agli occhi, ossia le 2.614 persone presenti nei centri di prima accoglienza.
Se andiamo a vedere i numeri di altre Regioni che stanno facendo un'accoglienza numericamente corposa – mi riferisco, per esempio, alla Lombardia o al Piemonte – notiamo che la colonna degli immigrati presenti nei centri di prima accoglienza è vuota. Quindi, in queste Regioni, dopo l'arrivo dei migranti, questi vengono distribuiti – se ho capito bene – in strutture temporanee e numericamente limitate, mentre in Veneto penso che questo 2.614 sia semplicemente la somma di Cona, di Bagnoli e della Serena di Treviso.
Quindi, di fatto possiamo dire che in Veneto è come se ci fossero altri tre hotspot, oltre a quelli che ci sono al Sud. Di fatto, in Veneto il modello che era stato predefinito nel 2014 non sta operando, per i vari motivi che venivano detti prima, prima di tutto perché non vi è la possibilità di attuare quest'accoglienza diffusa.
Questi numeri, però, ci invitano a riflettere anche sulla possibilità di ricercare oggi altre sedi demaniali. Si stava ragionando in questi giorni – appariva dalla stampa – su due sedi, una di Chioggia e una di Abano. Ieri sera, o l'altra sera, c'è stata una protesta anche piuttosto pesante ad Abano, che è una cittadina, contro l'ipotesi di individuare lì nell'area «Primo ROC» un'ulteriore sede di ospitalità per questi migranti. Pag. 15
Quindi di fatto ci troveremmo nella situazione del cane che si mangia la coda, nel senso che si individuerebbero altre strutture per svuotare quelle esistenti, ma su queste si verrebbe a creare la stessa situazione precedente. Sarebbe come far spostare queste persone nei diversi beni demaniali della Regione, senza però riuscire a risolvere il problema o a fare gare per disinnescare queste situazioni. Da un lato, mi chiedo se effettivamente abbia senso svuotare un posto per riempirne un altro e creare altre nuove e uguali tensioni. Dall'altro lato, noi abbiamo audito anche il presidente della Regione Veneto, il quale ha affermato e confermato di non voler, come Regione, partecipare alla gestione di questo fenomeno. Mi risulta, infatti, che il coordinamento venga fatto tra prefetti, mentre – e le chiedo conferma – la Regione non svolge alcun ruolo di coordinamento nella distribuzione dei migranti.
In più, c'è l'aggravante del tessuto degli enti locali dei sindaci che, per vari motivi, prima di tutto quelli legati al consenso – diciamocelo – ed altri legati all'incertezza della durata della permanenza dei migranti nei territori, ha portato a questa situazione. La domanda è se effettivamente lei ritiene che abbia senso spostare i migranti per ricreare le stesse situazioni.
La seconda domanda che volevo farle riguarda i bandi. I bandi vengono fatti, ovviamente, secondo le indicazioni del ministero. Volevo capire se ad oggi effettivamente le cooperative che partecipano debbano dimostrare in via preventiva la disponibilità effettiva degli immobili e dei luoghi che mettono a disposizione per l'ospitalità. Mi risulta che in alcuni comuni le cooperative abbiano dato delle disponibilità che poi effettivamente non avevano e che servivano – le fornisco ovviamente una mia interpretazione – a ottenere l'affidamento, per poi ripiegare in altre situazioni, alla ricerca di convenzioni dirette con i privati, magari non certe e non del tutto chiare e trasparenti.
L'ultima domanda è relativa ai rimpatri. Si parlava del fatto che la gran parte dei migranti presenti in Veneto è proveniente dalla Nigeria. Le volevo chiedere qual è il grado di efficacia dei rimpatri, visto che con la Nigeria c'è un accordo bilaterale e se effettivamente, per la sua esperienza – nel caso in cui l'accordo ci sia – i rimpatri vengano effettivamente svolti.
Chiudo con un'ultima considerazione. Mi risulta che lei faccia periodicamente anche dei tavoli di coordinamento con i sindaci. La partecipazione di fatto non c'è. Quindi, effettivamente manca un luogo nel quale tutte le Istituzioni, dalla Regione all'ultimo dei comuni, affrontino in sede comune e condivisa un problema che, a mio parere, riguarda tutti. Vorrei sapere se lei sa che in altre Regioni, invece, questo accade e funziona.
So, per esempio, che anche in Lombardia – per citare un esempio a voi vicino – ci sono situazioni di difficoltà e di crisi, ma i numeri dimostrano che di fatto il modello si sta applicando e che l'accoglienza diffusa c'è. Quindi, vorrei sapere se ha rapporti anche con altre Regioni e se questi tavoli che da noi in Veneto non funzionano, invece altrove ci sono.
PAOLO BENI. Io non aggiungo quasi niente, perché condivido le domande che faceva la collega. Ringrazio, tra l'altro, il prefetto di tutte le informazioni che ci ha dato. Mi sembra che abbia fornito un quadro molto chiaro. Aggiungo semplicemente una considerazione, che è più una richiesta di un'opinione, se può darcela, e non tanto semplicemente di un'informazione d'ufficio.
Mi sembra chiaro, dal quadro che lei ci ha fatto – premesso che tutta la Commissione l'ha constatato e che credo che su questo ormai siamo tutti d'accordo – che sicuramente non sia il modello delle caserme delle mille persone quello che può funzionare. Quella è una soluzione di emergenza che bisogna riuscire ad evitare. La scelta fatta e condivisa da tutti è quella dell'accoglienza diffusa dei piccoli gruppi sul territorio. Da qui l'accordo del 10 luglio 2014.
Il problema mi pare evidente dai dati che lei citava, ossia dai dati del Ministero dell'interno. Come ricordava la collega, il problema è che questo meccanismo in Veneto non sta funzionando. Prova ne è il Pag. 16fatto che, a fronte di 400 posti SPRAR, sui 12.000 complessivi ce ne sono invece più di 9.000 nei centri straordinari. Questo vuol dire che, poiché i progetti SPRAR nascono dal territorio e dall'iniziativa dei comuni e delle associazioni, c'è una resistenza e fotografa una situazione di disimpegno degli enti locali in partenza. Poi ci si attiva nei posti del territorio su input delle prefetture, perché devono risolvere il problema.
I 9.000 posti dei CAS non bastano ad arrivare ai 12.000 che i prefetti del Veneto hanno in carico, tant'è vero che si ricorre alle tre caserme. Così si spiega quella colonna dei dati a disposizione della Commissione V, che inserisce il Veneto fra le Regioni che hanno centri governativi, come il CARA di Mineo: quella è la categoria che viene attribuita alle tre caserme. Questa situazione è un problema. Sono un problema i 975 migranti presenti su una capienza – mi pare di capire – abilitata per 200 circa.
Passo alla domanda. Il prefetto ha un compito: è l'ufficio territoriale del Governo sul territorio. I sindaci hanno un ruolo istituzionale. Come lei sa, c'è anche una discussione su questo e c'è un ruolo dell'ANCI. Pensa che sia possibile usare questa situazione sulla base di iniziative che potrebbero essere assunte a livello di Conferenza unificata?
C'è un'ipotesi, ventilata dagli stessi esponenti dell'ANCI, di una ripartizione proporzionale per numero di abitanti, che però vincoli i comuni. Pensa che questa possa essere una soluzione al problema? Oppure, se ritiene che una soluzione vincolante per i comuni sia istituzionalmente non praticabile, potrebbe essere praticabile uno sforzo maggiormente incentivante nei confronti dei comuni stessi?
Arrivo all'ultima questione. Mi risponda nei limiti di quello che ci può rispondere, ovviamente.
Gli enti gestori che partecipano a questi bandi sono, il più delle volte, associazioni e cooperative. Fermo restando che si abbia la disponibilità della struttura fisica per ospitare, la gestione di queste attività è comunque lavoro per le cooperative sociali. Lei ritiene che ci siano delle tensioni o delle pressioni nei territori per scoraggiare la partecipazione? Di questi tempi mi suona anche strano che, a fronte di un bando con mille posti disponibili, alla fine se ne riescano ad occupare soltanto 170.
PRESIDENTE. Do la parola al signor prefetto per una breve replica.
DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. Per quanto riguarda la prima delle domande, lei faceva riferimento a una mia dichiarazione agli organi di stampa. Io traevo spunto dal fatto che, comparando i mesi di luglio e agosto di quest'anno con i mesi di luglio e agosto dell'anno scorso, si registrava un calo significativo degli arrivi, che si attestava sul 20-25 per cento.
Questo che cosa significa? Significa che, a fronte di un numero inferiore di ingressi nei centri di accoglienza e a fronte di una più veloce istruttoria da parte delle Commissioni, si può prefigurare, dopo la stagione estiva, quindi nei mesi da ottobre in poi, una sorta di stabilizzazione. Gli arrivi stanno calando e nella stagione autunnale calano in maniera consistente, perché ci sono meno sbarchi. Nel frattempo, noi abbiamo le fuoriuscite.
Sostanzialmente, le Commissioni non dipendono da noi, ma abbiamo un rapporto quotidiano anche a livello informativo. Su per giù un 15 per cento – la media è questa – consiste in decisioni positive. La decisione positiva, che consiste nel riconoscimento della protezione internazionale, ci abilita, per così dire, a non accogliere più queste persone.
Chiaramente, questo non avviene dall'oggi al domani. Non diciamo: «Adesso esci immediatamente, perché hai la protezione internazionale e non ti vogliamo accogliere». È gente che comunque non sa a chi rivolgersi. Ma lasciano i centri, quindi, siamo in grado di poterne accogliere altra.
Ormai ci avviamo quasi ai tre anni, ragion per cui cominciano ad esserci anche le decisioni del tribunale sui ricorsi. Sono ancora poche ma paradossalmente, dal mio punto di vista, quando sono positive è meglio, perché così uno ha la protezione internazionale, se ne va ed è contento, perché Pag. 17avendo la protezione internazionale se ne può andare anche in Europa, che nella maggior parte dei casi è la loro aspirazione.
Se la decisione è negativa, ci sono tutti i presupposti per effettuare l'espulsione, perché si tratta di persone che non avrebbero più titolo, e per organizzare anche il relativo accompagnamento alla frontiera.
Da questo versante rispondo anche all'onorevole Moretto. I casi sono proprio pochi, sono singoli. Il grosso ancora ci deve essere da parte delle competenti autorità giudiziarie. Sappiamo, per averlo letto sui giornali, che il ministro della giustizia si sta adoperando per trovare e individuare dei meccanismi per velocizzare anche questo aspetto, come è stata velocizzata l'istruttoria delle Commissioni. Prima avevamo una sola Commissione in Veneto. Adesso ne abbiamo tre, ragion per cui i migranti stanno diminuendo.
Rispetto all'anno scorso, registriamo per il Veneto un afflusso sostanzialmente del 20 per cento in meno, anche se quel 20 per cento in meno di migranti arriva e si aggiunge a quelli che c'erano prima. Ognuno di noi, però, deve cercare anche di individuare quelli che possono essere gli aspetti positivi, anche per non alimentare tensioni.
Ho detto questo ai giornalisti: calcoliamo che ci sono meno ingressi, calcoliamo che le Commissioni lavorano alacremente e che, quindi, abbiamo decisioni positive e che queste decisioni positive significano uscite dai centri d'accoglienza, immaginiamo che aumenteranno nei prossimi mesi – spero nelle prossime settimane – anche le decisioni – sia negative, sia positive – dell'autorità giudiziaria. Pertanto, sulla base di elementi positivi, immagino – ma mi posso sbagliare – che nel prossimo futuro, un futuro immediato, la situazione tenderà a stabilizzarsi, cioè a non avere altre aggiunte. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che dovremmo dedicarci tutti a una migliore redistribuzione delle persone che ci sono.
Qual è uno dei motivi di avversione dei sindaci? È quello di dire: «Me ne mandi 20-25. Io potrei anche prenderli, però, se poi diventano 40-50, che facciamo per il futuro? Che risposte do ai miei concittadini?» Ho voluto significare questo: guardate che, in prospettiva, la situazione non solo si stabilizzerà, ma tenderà, sia pure in maniera progressiva e lenta, a far diminuire il numero. Quindi, se ci dedichiamo a distribuire meglio quelli che già ci sono (non quelli che debbono arrivare, ma quelli che già ci sono), il carico che andremo a dare a ogni comune sarà un carico prefissato e non suscettibile di aumento.
Mi rendo conto che è un po’ difficile spiegarlo. A me sembra più evidente. Gli interlocutori sembrano un po’ più titubanti, ma i numeri ci dicono questo. Le statistiche servono a qualcosa. I numeri ci dicono che rispetto a luglio e ad agosto dell'anno scorso il fenomeno non è in aumento, ma è in diminuzione, anche se, pur essendo in diminuzione, si tratta comunque di numeri che si aggiungono a quelli già esistenti.
Tuttavia, ho motivo di valutare positivamente l'immediato futuro in tal senso e mi auguro, da qui a qualche mese, di poter essere ancora più preciso e concreto in questi termini numerici.
Non so se sono stato esauriente.
MARCO RONDINI. Rispetto ai dinieghi, i migranti poi fanno ricorso nel 100 per cento dei casi o c'è una quota di migranti che non fa ricorso e che, quindi, decide di entrare in clandestinità?
DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. Diciamo che sono pochissimi quelli che non fanno ricorso. Per questi abbiamo adottato immediatamente il provvedimento di espulsione, con l'accompagnamento alla frontiera.
Poiché la correttezza impone che, quando ci vengono poste delle domande, noi dobbiamo dire le cose come stanno, loro sanno tutti ormai che hanno possibilità di fare ricorso. All'inizio c'era qualcuno che non lo faceva. Adesso lo fanno tutti.
MARCO RONDINI. Rispetto alle espulsioni lei diceva che comunque sono pochissime quelle che sono state effettuate fino ad ora.
Pag. 18 DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. Le espulsioni sono pochissime perché le decisioni sono pochissime. Sono veramente numeri insignificanti. Invece, è più significativo il numero di quelli che ottengono la protezione internazionale, proprio perché sono posti che si liberano.
Nel Veneto, a seconda dell'angolo visuale, che può essere negativo o positivo, la maggior parte – o comunque un buon numero, tra il 65 e il 70 per cento, anche se il numero è variabile – sono di origine nigeriana. Per quasi tutti i nigeriani la Commissione si esprime negativamente.
Debbo dire che il tribunale – abbiamo già avuto le decisioni positive – ha ribaltato anche la decisione della Commissione per alcuni nigeriani. Adesso non so se questo avrà poi un riflesso sulle decisioni della Commissione e se, quindi, rivedranno un po’ la propria posizione e magari decideranno in senso positivo per alcune situazioni che sono al limite, in relazione ad alcune aree della Nigeria che sono interessate da conflitti notevoli e da guerre civili.
Tuttavia, la situazione è questa. Noi facciamo conto più sui giudizi positivi, perché questi giudizi positivi si traducono in liberazione di posti. Dal mio punto di vista ritengo che dal mese di ottobre in poi avremo una sorta di stabilizzazione e, quindi, non dovremo aumentare neanche Cona. Più che non aumentare Cona, però, la vorrei un po’ sgravare e svuotare.
Gli aspetti nel prossimo futuro sono positivi. Poi è chiaro che, quando riprenderanno i flussi – da questo punto di vista lavoriamo alla giornata –, da aprile-maggio del prossimo anno in poi, se riprenderanno, si proporrà il discorso. Adesso ci avviamo verso una fase di maggiore stabilità, se non addirittura di saldo negativo, nel senso che le uscite potrebbero essere superiori agli ingressi, anche se di poco.
Questo dovrebbe comportare una maggiore serenità e, quindi, una maggiore possibilità di incidere sulla redistribuzione sul territorio, perché i sindaci dovrebbero avere la consapevolezza che i numeri che andremo a dare ai comuni non saranno numeri suscettibili di aumento e, quindi, tranquillizzare anche la popolazione. Se però mi trovo un sindaco a cui ne mando 6 e mi fa le barricate, la vedo un po’ difficile.
Comunque, debbo anche sottolineare – forse questo non l'ho detto – che abbiamo anche delle realtà estremamente positive di sindaci che collaborano in maniera esemplare, sia nel Veneto in generale, sia nella Provincia di Venezia. Debbo citare, per esempio, il sindaco di Mirano, che è anche presidente regionale dell'ANCI. Lì abbiamo situazioni positive, nel senso che, oltre all'accoglienza di queste persone, ci sono anche iniziative – che stanno avendo veramente successo – di integrazione con la popolazione, di incontri con la popolazione, di impiego di queste persone. Si tratta di un impiego sempre a titolo gratuito in attività socialmente rilevanti: sistemano i giardini e sono stati coinvolti anche nel restauro di beni pubblici in forme ausiliarie. Non si occupano del restauro, ma lavorano in forma ausiliare.
Cosa succede? Succede che le persone, i cittadini, vedono che questi ragazzi lavorano. Escludo tassativamente che ci possa essere una qualche valenza razzista, assolutamente, anche perché il Veneto è stato terra di immigrazione e, quindi, ha anche una sensibilità personale. Ci sono tanti organizzazioni di solidarietà sociale.
Il fatto è che purtroppo vengono veicolati messaggi come le stragi, il terrorismo, gli arresti, le espulsioni di imam esaltati, e tutto questo prevale, quindi il cittadino si preoccupa. C'è una reazione. Tuttavia, quando vedono e toccano con mano che ci sono soluzioni, quando vedono queste persone che lavorano e si comportano bene, non ci sono problemi e la situazione si stabilizza naturalmente.
Devo aggiungere che in quasi tre anni di accoglienza nel veneziano e nel Veneto non abbiamo avuto episodi criminosi. Li possiamo contare sulle dita di una mano. Sono quattro o cinque episodi. Noi ne abbiamo accolti 12.000 e ne sono transitati 20.000. Gli 8.000, soprattutto nella fase iniziale, erano quelli che non venivano registrati dalla Polizia, né dagli hotspot e se ne andavano. Quindi, ne sono transitati 20.000. Pag. 19
Abbiamo quattro o cinque casi, di qualcuno che aveva il sacchetto di marijuana, di qualcuna che si è prostituita, situazioni che non hanno avuto alcun impatto negativo. Ad Eraclea ci sono zero furti in appartamento e zero reati.
In quei due mesi ho potuto dire al sindaco che, rispetto all'anno scorso, la criminalità è diminuita, proprio perché c'è la vigilanza delle forze dell'ordine. Noi ci teniamo e attenzioniamo questo particolarmente.
Li indottriniamo. Io vado e faccio incontri. Li invito a stare attenti e a rigare dritto. Glielo dico anche in toni un po’ come quelli di un padre che può parlare a un figlio, non con l'idea di volerli discriminare. Dico loro: «State attenti che, se non rigate diritto, il vostro comportamento viene esaminato anche dalla Commissione».
Facciamo anche quest'opera di forte sensibilizzazione e debbo dire – spero di non essere smentito nei prossimi giorni dai fatti – che in quasi tre anni di permanenza non si è verificato un episodio negativo. Anche quelli che sono nettamente contrari all'accoglienza non possono dire che si è verificato qualcosa da una parte, che è aumentata la criminalità. A Cona sono diminuiti gli episodi, proprio perché questo porta a una vigilanza. Non succede niente, dove ci sono questi centri di accoglienza.
A Jesolo, dove ce ne sono 100 e ci sono stati in passato servizi televisivi, abbiamo avuto un calo dei furti in appartamento del 70 per cento. Non c'entra niente con l'immigrazione. Abbiamo sviluppato un'azione intensa per merito delle forze dell'ordine, ma il fatto che ci siano degli immigrati non ha comportato alcun problema. Anzi, ha agevolato il fatto che siano aumentati la vigilanza e i controlli, perché la Polizia e i Carabinieri vanno a controllare.
Controllo anch'io, perché dobbiamo pagare le cooperative. Voglio capire se tutti questi 100 mangiano la mattina e la sera oppure se ne vanno in giro e ci addebitano i costi. C'è questo viavai che comunque poi si trasforma anche in controllo del territorio. Ci sono questi aspetti positivi. Ripeto, in questi comuni abbiamo avuto esperienze positive.
Quanto alla Regione Veneto, nella documentazione che consegnerò alla Commissione ho dato atto anche delle riunioni che abbiamo fatto complessivamente: sono 9 riunioni del tavolo di coordinamento regionale. Il tavolo di coordinamento regionale è una struttura, anche se non organizzativa, che è stata istituita dal Ministero dell'interno. Quindi, il tavolo di coordinamento regionale è composto dai prefetti, dalla Regione – debbo dire che il presidente Zaia in più di un'occasione ha partecipato ai lavori del tavolo di coordinamento regionale per esprimere la propria posizione contraria, però è intervenuto –, dai questori, dai sindaci dei capoluoghi di Provincia e dai presidenti delle province, nonché dalle organizzazioni che a diverso titolo sono coinvolte (Croce Rossa, i rappresentanti degli organismi militari e via elencando).
Ne abbiamo fatte 9. Abbiamo tracciato quella che, a nostro parere, doveva essere l'impostazione da dare, cioè quella dell'accoglienza diffusa. Poi ho istituito a Venezia – anche qualche collega mi ha seguito in questo – un altro organismo che voleva essere di coordinamento, che abbiamo definito «cabina di regia».
Il discorso che ho fatto ai sindaci è questo: dobbiamo essere i protagonisti dell'accoglienza. Non è giusto che venga imposta dall'alto. D'altronde, il Ministero dell'interno, l'amministrazione centrale, al pari di quello che fece il Governo nel 2011, sta cercando di coinvolgere tutte le diverse componenti, in una logica in cui per Governo, per potere esecutivo, debba intendersi l'assetto costituzionale fondato sulla Repubblica delle autonomie. Debbono intendersi, quindi, il Governo con i suoi rappresentanti, che sono i prefetti, le Regioni e le autonomie locali.
Quindi, abbiamo istituito questa cabina di regia, dicendo espressamente ai sindaci: «Noi prefetti siamo abituati ad eseguire. Decidete voi». Ho detto «Decidete voi come, in quale misura, in quale proporzione sistemarli. Voi decidete e noi eseguiamo. Noi eseguiamo significa che, se voi Pag. 20mi dite che dobbiamo osservare questa proporzione, io osservo quell'indicazione e cercherò di trovare le disponibilità alloggiative in quella proporzione».
La cabina di regia che abbiamo istituito si è riunita cinque volte. Della cabina di regia fanno parte tutti i comuni, l'ANCI e anche la Regione. Alle riunioni, purtroppo, hanno partecipato in media non più di 10-12 comuni (perlopiù i comuni che poi si prodigano maggiormente). La Regione è sempre intervenuta, anche con l'assessore regionale, e l'ANCI, ovviamente, è sempre intervenuta.
Relativamente alla Regione debbo dare atto che, pur avendo il presidente Zaia manifestato sempre netta contrarietà, non aderendo all'invito di trovare una soluzione di accoglienza diffusa, la Regione – questo lo debbo dire – ha sempre attuato quello che di competenza le spetta in materia sanitaria.
In materia sanitaria la collaborazione della Regione è stata ottimale: non abbiamo mai avuto un problema. Penso a quando ci siamo trovati di fronte a situazioni come i sospetti di scabbia. Sappiamo che il primo screening che si fa non è quando ci sono tutti questi sbarchi, perché ci sono dei problemi, ragion per cui qualcuno ci è arrivato con la scabbia.
La Regione ha dato subito la massima priorità, tant'è che ho fatto un discorso ai sindaci e li ho invitati a prendere spunto dalla Regione. Il presidente Zaia ha sempre manifestato netta contrarietà e con il prefetto di Venezia è stato qualche volta un po’ ipercritico (anche se sul piano personale c'è il massimo rispetto reciproco, ci mancherebbe altro). Tuttavia, non ha mai fatto venire meno la propria collaborazione, proprio perché la Regione ha dei compiti.
La Regione infatti non può dire di essere contraria e quindi infischiarsene di questi soggetti, non farli visitare e non far avere loro l'assistenza sanitaria. Prima di tutto perché c'è un obbligo e, in secondo luogo, perché, se non dovesse farlo, i primi problemi sarebbero proprio per i cittadini italiani, per i cittadini veneti, perché magari, se non si cura, la scabbia poi si diffonde.
Ai sindaci ho fatto questo discorso. Le competenze della Regione sono di ordine sanitario e le svolge egregiamente, ma loro, oltre a essere i capi dell'amministrazione, oltre a essere i depositari della sovranità popolare in ambito locale, sono anche ufficiali di governo, sono anche pubblici ufficiali, sono anche autorità locale di pubblica sicurezza. Quindi, hanno dei doveri. Loro manifestano la loro contrarietà. Il prefetto ne prende atto e la rappresenta anche al Governo, ma, nel manifestare la loro contrarietà, devono cercare quantomeno di attenuare i disagi che ci possono essere sul territorio.
Un caso esemplare riguarda il sindaco di Cona, con il quale sul piano personale ho un buon rapporto (queste sono vicende istituzionali, ma poi sul piano dei rapporti umani, ci mancherebbe altro, c'è il massimo rispetto reciproco).
Tutte queste cose le facciamo d'intesa col Provveditorato regionale per le opere pubbliche. I prefetti si trovano a gestire queste situazioni. Come si diceva prima, a Cona, Treviso e Padova, praticamente sono centri governativi e, quindi, ce ne dobbiamo fare carico noi. Siamo noi i responsabili. Se cade qualcosa dal tetto e si fa male qualcuno, il responsabile sono io. Non abbiamo una struttura d'ufficio in grado di intervenire. Non abbiamo geometri e architetti. Quindi, ci dobbiamo appoggiare al Provveditorato per le opere pubbliche, con il quale troviamo una forte corrispondenza da questo punto di vista.
A Cona avevamo individuato una soluzione. Proprio perché ci rendevamo conto che il numero era elevato, avevamo individuato la possibilità di installare dei moduli abitativi, dotati di aria condizionata e riscaldamento, moduli abitativi 25x30, in maniera da avere, al posto della tendostruttura, che ospita 300 persone, 10-15 di questi moduli. Per fare questo, però, è necessario un parere vincolante dell'amministrazione comunale e della Regione.
Il Provveditorato per le opere pubbliche ha indetto una Conferenza dei servizi, alla quale hanno partecipato la Regione e il sindaco. Il sindaco ha espresso il suo parere negativo e la Regione, in una prima Pag. 21riunione, si è associata al parere negativo. Alla seconda riunione non ha partecipato e, come voi sapete, in virtù del fatto che non si raggiunga un'altra intesa, questa Conferenza dei servizi è stata portata a livello di Presidenza del Consiglio, che comunque dovrà decidere.
Mi sono sentito di scrivere, in forma assolutamente garbata, al sindaco – questa lettera la troverete allegata –, per dire che, se lui era contrario, io prendevo atto e rispettavo la sua contrarietà. Tuttavia, un conto è essere contrari all'accoglienza, un conto è essere contrari all'accoglienza in questi numeri, un conto è, nel manifestare questa posizione di contrarietà, lasciar sopportare un disagio a questa povera gente. Mi auguravo di poter togliere tutti questi mille migranti, ma, fintanto che erano lì, avendo preso atto della contrarietà del sindaco, dovevamo cercare di rendere loro agevole la vita. Tutto qui. Quindi, l'ho invitato a rivedere la propria posizione. Porto questo a titolo di esempio.
Penso di aver risposto, onorevole Moretto. Mi faccio prendere anche dalla passione, perché sono situazioni che vivo quotidianamente.
SARA MORETTO. Vorrei sapere se effettivamente i rimpatri con la Nigeria si fanno e se c'è l'effettività della disponibilità dei beni delle cooperative.
DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. I rimpatri sono, purtroppo, quei pochi che si sono fatti. Si sono fatti, ma sono pochissimi. Sono un numero impercettibile rispetto alla presenza dei migranti.
Per quanto riguarda la disponibilità, abbiamo uno schema di convenzione che è modulato su quello nazionale. È chiaro che accettiamo le offerte e poi le dobbiamo valutare. Solitamente aggiudichiamo, ma, prima della sottoscrizione della convenzione, andiamo a verificare se i luoghi sono o non sono praticabili.
Di solito, questo lo facciamo anche quando vengono i sindaci. Qualcuno non viene e dice che così sembra che avalli la scelta della Prefettura. Lo facciamo anche d'intesa con i sindaci, proprio per valutare la congruità del posto.
Per esempio, ultimamente abbiamo avuto il caso di Camponogara. Avevamo aggiudicato a una cooperativa 10-12 posti sulla base della loro offerta e loro ci avevano detto che avrebbero ospitato questi 12 migranti in un edificio agricolo e che sarebbero stati disponibili a partire dal 30 settembre.
Quindi, abbiamo aggiudicato, informando il sindaco. Il sindaco, dopo che è stato informato, mi ha scritto dicendo di essere molto preoccupato, perché sapeva che lì era stato rilasciato amianto e che c'erano delle situazioni particolari che avrebbero potuto creare problemi anche agli ospiti.
Dopodiché, mi ha mandato un'informativa dell'ASL, che aveva fatto un sopralluogo. Sulla base di quello che ha detto l'ASL, quindi, non ho fatto seguire all'aggiudicazione la firma della convenzione. La cooperativa mi ha detto che avrebbe cercato un altro posto, ma ho risposto che il bando diceva questo e che mi avevano fatto quell'offerta. Se mi assicurava che entro il 30 settembre la situazione era sgombra da qualsiasi difficoltà o criticità, andava bene, altrimenti non se ne sarebbe fatto niente. Non se n'è fatto niente e, quindi, abbiamo bloccato tutto e non abbiamo fatto la convenzione.
Resta sempre il fatto, però, a mio parere, che l'amianto c'era prima e ci sarà dopo e che ci sono, residenti in quell'area, anche dei cittadini di Camponogara. L'amianto non vale solo per i migranti, ma vale anche per gli italiani. Io i migranti lì non li ho mandati, poi il sindaco non so cosa farà per quanto riguarda i cittadini che sono residenti nella zona.
La terza serie di domande riguardava le soluzioni dell'ANCI. Non so se poi sarà l'onorevole Fassino a essere nominato a presiedere questa struttura di coordinamento alla Presidenza del Consiglio, ma penso che ci siamo mossi, almeno per quanto riguarda il Veneto, in piena intesa con l'ANCI, perché condividiamo assolutamente la visione dell'ANCI: il problema può essere affrontato solo se c'è la possibilità di distribuire uniformemente, in forma diffusa e proporzionalmente al numero degli Pag. 22abitanti, i migranti. È l'unico modo che può consentirci di poter avere un'accoglienza nel senso proprio del termine, in grado di poter svolgere anche tutte le attività per inserire nel contesto sociale ed economico il migrante e, quindi, favorirne l'integrazione.
Dal mio punto di vista, non si possono utilizzare solo strumenti coercitivi. Ci deve essere la disponibilità. Vanno ricercate intese, anche convincendo e illustrando la situazione agli amministratori e soprattutto ai cittadini.
Se debbo esprimere un giudizio, vedo che, più passa il tempo, più diventa difficile ottenere l'adesione dei cittadini, anche perché chi è favorevole all'accoglienza, o comunque non ha nulla da eccepire, di solito non partecipa a trasmissioni televisive, non fa interventi sugli organi di informazione e non va in giro negli uffici e nei luoghi di lavoro a manifestare questo suo intento. Chi è contrario, invece, coglie ogni occasione per manifestare questa sua contrarietà. Quindi, nell'immaginario collettivo si ha la sensazione che ci sia una forte carica di contrarietà da parte dell'opinione pubblica.
Ho avuto modo, ogni tanto, di vedere le trasmissioni televisive. Sui prefetti tutti si divertono a gettare il carico di responsabilità, anche con commenti che forse potrebbero essere meno ingenerosi. Tutto sommato, non facciamo altro che attuare le direttive dei governi. Le abbiamo attuate nel 2011, quando si è trattato di fronteggiare il primo arrivo dei migranti a seguito della crisi del Nord Africa, e l'abbiamo fatto nel 2013, quando con il Governo Monti, con il ministro dell'interno Cancellieri, si è ribaltata la situazione e abbiamo dovuto mandare via i migranti. L'accoglienza che era stata istituita dal Governo Berlusconi, con il ministro dell'interno Maroni nel 2011, infatti si bloccò. Il Governo Monti cessò con la politica di accoglienza e noi prefetti ci trovammo a gestire anche lo sgombero.
Ricordo che a Venezia avevamo 80 migranti che non volevano lasciare il centro di accoglienza. Qualche sindaco mi ha definito «il prefetto dei migranti». In quell'occasione non fui certo il prefetto dei migranti, ma dovetti adottare tutte le misure per attuare gli indirizzi di governo e, quindi, dovetti, trovando le condizioni favorevoli di tempo e di luogo e, rispettando sempre la dignità delle persone, assolvere all'ingrato compito di sgomberare con la forza lo stabile da cui i migranti non volevano andarsene. Quindi, noi non facciamo altro che eseguire gli indirizzi di governo e lo facciamo con piena consapevolezza e senso del dovere.
Ritengo di aggiungere che, in questo contesto, come ha fatto presente anche l'onorevole Moretto, non sono solo i prefetti e i funzionari della carriera prefettizia a lavorare, ma anche il nostro personale, che si trova spesso a condividere situazioni di grande disagio. Come ho accennato all'inizio, spesso gli arrivi avvengono nel cuore della notte, di sabato e di domenica, all'alba.
Noi andiamo con i nostri collaboratori, con gli impiegati della Prefettura, i quali – per noi va bene così, ci mancherebbe altro – considerati anche i trattamenti economici non particolarmente rilevanti che hanno – non ricevono un euro in più per il lavoro che svolgono. Recuperano solo le ore, ma un conto è recuperare le ore dalle 5 alle 8 del mattino il sabato e la domenica, un conto è recuperarle nel periodo diurno.
Insieme agli altri prefetti abbiamo rappresentato al Ministero dell'interno questa situazione. Il Ministero dell'interno ne ha preso atto e ci ha assicurato che interverrà anche in tal senso. Si tratta di impiegati dello Stato il cui lavoro oscuro forse non è adeguatamente apprezzato. Oggi è facile dare addosso ai dipendenti dello Stato, mentre invece spesso abbiamo occasione di poter registrare come ci sia un impegno, con spirito di sacrificio e abnegazione, di queste persone, che non hanno mai detto un «no» e non hanno mai osato criticare una direttiva del prefetto per quanto riguarda il loro lavoro (anche perché vedono che il prefetto e i prefetti sono in prima linea e sono i primi a sacrificarsi).
Fanno questo per spirito di servizio, ma – mi permetto di aggiungere anche – per uno spirito umanitario che non può non Pag. 23pervadere l'animo di ciascuno di noi. Quando ci troviamo di fronte a queste persone, vediamo nei loro occhi la sofferenza, quello che hanno patito, quello da cui sono scappate. Di fronte a queste sofferenze ci facciamo carico di rendere l'accoglienza, per quello che è possibile fare, la più dignitosa possibile e la meno disagevole.
PRESIDENTE. Grazie, signor prefetto, per la sua passione e per l'impegno che mette nello svolgere il suo ruolo istituzionale. La ringraziamo perché abbiamo apprezzato la determinazione, ma anche la competenza con la quale svolge questo ruolo non facile, che è stato attribuito dal Governo alle prefetture nel gestire una difficile accoglienza nel nostro Paese, con tante difficoltà che ogni territorio manifesta in maniera sempre più forte e complicata da affrontare.
Credo che quest'audizione, che è andata anche oltre la normale durata delle nostre audizioni, perché oggi non avevamo gli impegni della seduta dell'Assemblea, ci abbia permesso di apprendere quello che avviene in un territorio molto importante per il nostro Paese. Il Veneto è una Regione importante e straordinaria, sia per la dimensione della Regione, sia per il numero di abitanti, sia per le città che comprende. Aver sentito dalla sua voce la rappresentazione delle modalità e degli strumenti con i quali le prefetture si sono disposte a rispondere a questo problema – che non è, ovviamente, un problema solo della Regione Veneto, ma è un problema dell'Italia intera e dell'Europa intera – credo ci sia servito moltissimo, anche nella definizione degli impegni prossimi che abbiamo in calendario e che dopo, appena concluderemo quest'audizione, nel nostro breve Ufficio di presidenza cercherò di illustrare ai colleghi.
La ringraziamo e le chiediamo di portare il nostro saluto anche a tutti i suoi collaboratori, con i quali condivide questa scommessa e questa sfida.
DOMENICO CUTTAIA, prefetto di Venezia. La ringrazio, signor presidente. Ringrazio i signori parlamentari per l'attenzione e la cordialità con cui sono stato seguito.
PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.40.
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