Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3
Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, sulle linee programmatiche del suo Dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento):
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 ,
Alfano Angelino (AP-NCD-CpI) , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 8 ,
Alfano Angelino (AP-NCD-CpI) , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 8 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12 ,
Quartapelle Procopio Lia (PD) ... 12 ,
Romani Paolo ... 13 ,
Sibilia Carlo (M5S) ... 14 ,
Compagna Luigi ... 15 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 16 ,
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 17 ,
Alli Paolo (AP-NCD-CpI) ... 18 ,
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI) ... 19 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 19 ,
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI) ... 19 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 20 ,
Cirielli Edmondo (FdI-AN) ... 20 ,
Causi Marco (PD) ... 22 ,
Casini Pier Ferdinando , presidente della 3a Commissione del Senato ... 22 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 23 ,
Alfano Angelino (AP-NCD-CpI) , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 23 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 25 ,
Alfano Angelino (AP-NCD-CpI) , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 25 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 26
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare-NCD-Centristi per l'Italia: AP-NCD-CpI;
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta civica-ALA per la costituente libera e popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod;
Misto-UDC: Misto-UDC.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FABRIZIO CICCHITTO
La seduta comincia alle 13.35.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e la trasmissione in differita sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, sulle linee programmatiche del suo Dicastero
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, sulle linee programmatiche del suo Dicastero.
In primo luogo, gli faccio i miei auguri. In secondo luogo, rilevo che credo sia il quarto ministro degli esteri che la Commissione ha il piacere di audire in questa legislatura e che, dei suoi tre predecessori, due non sono più ministri perché sono assurti a più alti incarichi. È un secondo augurio che gli faccio.
Fatti questi auguri, ritengo che la cosa migliore sia dare subito la parola al ministro. Dopodiché, il sottoscritto e il presidente Casini interverranno nel corso del dibattito, come gli altri colleghi.
Do subito la parola al ministro Alfano.
ANGELINO ALFANO, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Sono molto onorato di essere qui, di fronte alle Commissioni esteri di Camera e Senato, per illustrare, dopo un mese dall'assunzione della mia nuova funzione, le linee di indirizzo politico del Dicastero da me guidato.
Vorrei fare una premessa metodologica. L'agenda di politica estera è talmente ampia che, se la si volesse sviluppare tutta in modo minuzioso e approfondito, con ogni probabilità non sarebbe sufficiente questa seduta. Dunque, si è necessariamente chiamati a una scelta di metodo. La scelta che vi sottopongo, che quindi esclude per definizione l'esaustività che può giungere anche nel corso delle domande e nel corso del dibattito, è il metodo di illustrare la visione di insieme che connoterà il mio mandato.
La seconda premessa è che, nel dire numerose cose, mi presterò all'obiezione della compatibilità tra esse e la durata del Governo. Vorrei prevenire tale obiezione ricordando che un Governo che ha il fiato dei prossimi dodici mesi, che è la scadenza naturale della legislatura a tutto concedere, è un Governo che è comunque chiamato ad assolvere alcuni compiti.
La questione che vorrei sottolineare nel rimuovere preventivamente questa possibile obiezione è il fatto che io sono il trentasettesimo ministro degli esteri dell'epoca repubblicana, ma che la politica estera italiana non è cambiata trentasette volte. C'è un flusso di fondo della politica estera repubblicana che ha fatto da contrappunto di continuità all'instabilità di governo e che ha assicurato che l'Italia fosse l'Italia nello scenario mondiale a prescindere non solo dai ministri, ma anche dai colori politici dei governi della Repubblica.
Vi è, dunque, una continuità oggettiva della politica estera italiana sul grande orizzonte transatlantico, sulla fede nel processo Pag. 4 di integrazione europea, sulla vocazione mediterranea e sulla difesa e tutela dei diritti umani. Su questi quattro grandi pilastri c'è stata una continuità, ragion per cui mi posso permettere oggi di dire delle cose che sono già state dette e delle cose che presumibilmente lo saranno, a prescindere da chi mi ha preceduto e a prescindere da chi mi e ci succederà.
Il secondo elemento di continuità – questo non è oggettivo come il precedente appena enunciato, ma è soggettivo – è che la pratica sul campo alla Farnesina della politica estera mi ha reso consapevole di un qualcosa che aveva anche un po’ animato la mia scelta nell'accettare di svolgere la funzione di Ministro degli affari esteri, ossia il progressivo scolorirsi delle frontiere tra politica interna e politica estera.
Basti pensare alla questione del terrorismo internazionale e della sicurezza a livello internazionale, oltre alla grande questione dell'immigrazione. Su queste due grandi questioni chi viene dal Viminale prende un'impugnatura diversa ma non cambia materia. Vede, osserva e agisce sullo stesso oggetto, sulla stessa materia, prendendola da un lato diverso.
Devo dire che siamo in presenza di una grande situazione, che crea anche un fascino particolare a questa nostra annata 2017, perché siamo a gennaio e abbiamo davanti a noi un anno di politica estera come pochi ce ne sono stati nel recente passato. È un anno che vede il mondo protagonista di transizioni importanti. Le ultime due in ordine cronologico sono la transizione newyorkese tra Ban Ki-moon e Guterres e la transizione americana tra Obama e Trump. Poi c'è una serie di scenari del tutto aperti che il mondo ci consegna proprio quest'anno, un anno straordinariamente importante.
Il nostro ancoraggio alle linee di fondo ci rende sicuri nel percorrere quest'anno. È un ancoraggio – lo vorrei dire – al quale sono personalmente legato. Io sono nato nel 1970 e nella mia famiglia, considerato che mio padre è nato nel 1936, sono il primo, tra mio padre, mio nonno, il padre di mio nonno e il padre del padre di mio nonno, che abbia conosciuto solo la pace. Sono il primo. Mio papà da bambino ha conosciuto la guerra. Io sono il primo che abbia conosciuto solo la pace. Credo che questo c'entri molto con l'Europa e con una politica estera che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ha posizionato l'Italia dalla parte giusta.
Lo scenario internazionale che abbiamo davanti è uno scenario molto delicato e anche assolutamente suggestivo, come dicevo poco fa, ed è un contesto internazionale in cui la volatilità delle posizioni politiche e delle posizioni in politica estera la spiego nel modo seguente: abbiamo avuto la rivoluzione digitale, che ha cambiato il mondo, così come la globalizzazione, e non poteva non cambiare anche la politica estera.
Ci troviamo di fronte a un cambio di fondo, che sta nella parola chiave di questo nostro tempo: velocità. È questa la parola chiave del tempo di cui siamo cittadini e abitanti. È la velocità, perché è la velocità della rivoluzione che stiamo attraversando.
Rispetto a questa velocità dobbiamo abituarci a una politica estera che cambia ritmo. Noi eravamo abituati alla politica estera come a un'arte e a una scienza che apparteneva a saggi condottieri o a navigati piloti che erano in grado di cambiare millimetricamente la rotta della nave, che faceva contrasto alla politica interna, in cui il ritmo è più dinamico. Oggi la politica estera ci sta dicendo l'esatto contrario, cioè che siamo di fronte a cambiamenti di scenario in cui la politica estera cambia ritmo, se vuole essere una politica estera da protagonisti.
Questo scenario internazionale così mutevole ci consegna oggi, proprio per questo ritmo cambiato, delle diplomazie alle quali è affidato un compito che per definizione non è militare, ma è dei diplomatici e delle diplomazie che contrastano forze che vogliono esprimere supremazie al fine di stroncare e di sconfiggere alcune democrazie.
Questa è, secondo me, la chiave di quest'anno, che non è molto ordinario. Ho già avuto la possibilità di andare all'ONU in rappresentanza del nostro Paese e vorrei sviluppare con voi un ragionamento che discende dalle questioni globali e arriva a quelle più specificamente interne nostre. Pag. 5
Non dobbiamo illuderci, ovviamente, di poter fare parte di uno scenario mondiale guardando a un'agenda tutta italiana. C'è un'agenda del mondo. C'è un'agenda del mondo che si esprime, intendo in questo 2017 soprattutto, attraverso due grandi ambiti: l'ambito del Consiglio di sicurezza dell'ONU, in cui noi abbiamo il seggio quest'anno, e l'ambito del G7.
Quest'agenda è globale. Noi dobbiamo stabilire che partita giocare. Nel giocarla, la mia idea è che, usando un'immagine calcistica, dobbiamo giocarla a testa alta e guardare tutto il campo. Dobbiamo guardare gli altri giocatori, non guardando il pallone tra i nostri piedi. Dobbiamo guardare qual è l'agenda del Consiglio di sicurezza dell'ONU, e dell'ONU nel suo insieme, nonché l'agenda del G7, che noi presiederemo, per vedere quali sono gli assetti fondamentali di queste strategie che i grandi organismi globali si danno. Dentro queste strategie possiamo giocare la nostra partita da italiani e da europei.
Nell'agenda internazionale delle Nazioni Unite avremo alcune grandi questioni. Le ho sintetizzate in dieci, per rendere chiare a queste Commissioni quali siano le dieci questioni di fondo di cui si occuperà l'ONU, visto che siamo nel Consiglio di sicurezza.
Voglio anche dirvi che ieri, nel mio primo intervento al Consiglio affari esteri presieduto dall'italiana Federica Mogherini, ho voluto spiegare ai colleghi che la nostra presenza all'ONU la vediamo come italiani, ma la vediamo anche come europei e che metteremo a disposizione dell'Europa, in un core di Paesi europei e con un core di Paesi europei, la nostra presenza all'ONU, perché c'è un nucleo di Paesi europei alle Nazioni Unite con i quali fare squadra.
Ci sono, dunque, dieci grandi questioni ONU: soluzione politica al conflitto siriano; stabilizzazione della Libia; situazione del Libano, incluso il riesame strategico della missione UNIFIL, di cui siamo il principale contributore; sostegno al processo di pace in Medio Oriente; sostegno alla mediazione dell'ONU in Yemen; situazione in Somalia, in Eritrea e nel Corno d'Africa nel suo insieme; crisi dell'Africa centrale, come la stabilizzazione della Repubblica Centrafricana e lo stallo istituzionale nella Repubblica democratica del Congo; consolidamento della pace e contrasto al terrorismo e ai flussi illegali nel Sahel; situazione in Sud Sudan.
Poi c'è un decimo punto sul quale mi soffermerò qualche istante in più, perché descrive l'oggi e prefigura il domani dell'ONU. Credo che in un'occasione importante come questa non siano istanti in più persi.
Ci sono nell'ONU alcune questioni che si sono consolidate, che possiamo considerare delle questioni trasversali consolidate in ambito Nazioni Unite, e ce ne sono altre che tendono ad affermarsi, ma che, anche per una partita che disegna in prospettiva nuovi rapporti tra Consiglio di sicurezza e Assemblea generale, trovano qualche contrasto nell'affermarsi, ma prefigurano una linea di indirizzo di fondo di medio-lungo termine.
I temi trasversali che si sono già affermati nell'agenda sono quelli che riguardano donne, pace e sicurezza, bambini e conflitti armati, protezione dei diritti civili, estremismo violento, conseguenze umanitarie della crisi. Sono ormai diventati temi onusiani.
Poi ce ne sono degli altri che tendono a diventarlo, ma su cui l'appartenenza formale all'agenda non è consolidata. Mi riferisco, in questo caso, a sicurezza e cambiamenti climatici, collegamento fra terrorismo e criminalità, Stato di diritto e lotta alle impunità. Su questi temi – mi verrebbe da mettere un piccolo asterisco anche su quest'ultimo – c'è discussione, oltre ad una tendenza a frenare rispetto al mantenimento pieno delle competenze dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e, ovviamente, della sovranità dei singoli Paesi.
Dopodiché, avremo il G7, e passo all'altra agenda. Parlare di G7 a volte può dare l'impressione del verificarsi di un evento di grande portata mediatica, ma quell'evento non contiene solo la dichiarazione finale a uso dei titoli delle agenzie. Contiene il lavoro di un anno su alcune questioni. Penso che sia importante da parte nostra Pag. 6anche oggi conoscere quali sono le questioni sulle quali il G7 si è mosso fino al 2016, per cominciare a intuire quale sia la direzione di marcia per il G7 2017, cioè quali siano i punti principali di quest'agenda, che ovviamente non ha la forza numerica e quantitativa delle Nazioni Unite, ma ha la forza dei sette Paesi che lì sono rappresentati.
Proprio leggendo questo elenco ci si rende conto di come queste agende globali anche nel loro combinato disporsi e, in parte, sovrapporsi determinino poi le agende nazionali. Il nostro compito sarà – diciamolo in termini molto pratici – quello di costruire, sulla base delle conclusioni della scorsa presidenza giapponese, delle conclusioni che abbiano il senso di un'innovazione rispetto all'anno prima.
L'agenda dell'anno prima, cioè del 2016, nel G7 aveva trattato economia mondiale e crescita globale, migrazioni e rifugiati, commercio internazionale, infrastrutture e promozione degli investimenti, salute globale, uguaglianza di genere e ruolo delle donne nella società e nell'economia, cyberspazio nella sua versione di accessibilità e sicurezza, lotta alla corruzione vista come essenziale per la crescita economica e il mantenimento anche della pace e della sicurezza, clima ed energia in primo luogo nella prospettiva di dare attuazione agli impegni di Parigi.
Se queste sono le agende ONU e G7, sarebbe in qualche modo sganciato dalla realtà immaginare che queste agende non verranno influenzate dalle transizioni di cui parlavo prima. Un elemento di influenza è un'agenda di riforme dell'ONU che Guterres sta portando avanti in un sistema nuovo di relazioni tra Segretariato generale e Assemblea generale e, quindi, anche con il Consiglio di sicurezza.
L'altra questione è la transizione di Trump. Dico adesso delle cose che avevo detto già prima di diventare Ministro degli esteri. Sono convinto che i valori transatlantici usciranno consolidati dalle relazioni con l'Amministrazione Trump e ho un diritto e un dovere: ricordare che Trump è eletto da decine di milioni di cittadini abitanti della più grande democrazia del mondo e che noi dobbiamo avere fiducia nella più grande democrazia del mondo, come la più grande democrazia del mondo nella sua tradizione ha avuto fiducia nell'Italia e nell'Europa.
Non si è ancora insediato. Siamo alle dichiarazioni. Penso che dovremo far valere la forza dell'Europa – su questo tornerò dopo – ma che, al tempo stesso, abbiamo il diritto e il dovere di rispettare gli esiti delle elezioni di quella grande democrazia e di fare un investimento di fiducia e non di ostilità.
Vedremo comunque quali saranno i riflessi geopolitici. Penso che ce ne accorgeremo immediatamente. Penso, per esempio, al rinnovato e innovato rapporto che ha annunciato il presidente eletto nei confronti della Russia. Sulla Russia sono convinto che abbiamo preso la strada che dovevamo prendere, come Italia. Abbiamo partecipato alle sanzioni e abbiamo pagato un conto alle sanzioni, anche commerciale, per difendere i princìpi fondamentali, sui quali non arretriamo. Al tempo stesso, abbiamo detto e considerato che la Russia è un affidabile partner sotto il profilo dell'approvvigionamento energetico e, nel contempo, un utile partner, un utilissimo partner, nella lotta al terrorismo internazionale.
La lezione delle vicende attuali, per quanto mi riguarda, è duplice. La prima è il fatto che la politica estera sia il punto di compromesso possibile e il punto di intersezione possibile tra tutti i princìpi più alti e un altro principio, che è il principio di realtà. Se si ossequiano solo i princìpi più alti, senza tenere conto del principio di realtà, si rischia di fare dei discorsi puramente accademici senza leadership politica. Se si prende atto solo del principio di realtà e si trascurano i princìpi alti, i princìpi ideali, si diventa dei cinici che non hanno visione.
Credo che l'Italia abbia assunto una postura corretta proprio interpretando il punto di matrimonio possibile tra i princìpi più alti e il principio di realtà, ed è la ragione per la quale abbiamo pagato un conto alle sanzioni, ma abbiamo voluto ribadire di non considerarle un automatismo Pag. 7 e di considerarle comunque un mezzo e mai un fine.
Le sanzioni sono lo strumento per superare alcuni vincoli che derivano dai princìpi fondamentali della relazione con la Russia e poter ritornare a una stabilizzazione positiva dei rapporti con Mosca. Peraltro, solo un imprudente – lo dico con un eufemismo – potrebbe considerare auspicabile la prosecuzione a questo livello di freddezza dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Russia. Penso che qualunque persona più responsabile dovrebbe auspicare un riscaldamento dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Russia.
Qual è poi la seconda grande questione che ci deriva? Essa incrocia, cosa che dirò dopo, lo scenario mediorientale e le guerre in corso. Qual è la seconda lezione che questo nostro tempo ha insegnato a me e a noi, almeno a me certamente? È che in politica estera valgono alcune regole che – lo dico in riferimento a Putin, nuovamente – valgono anche nelle leggi della fisica. Se c'è un vuoto, quel vuoto non rimane lì in eterno. Qualcuno interviene a colmarlo.
Grandi continenti politici – mi riferisco all'Europa – di fronte ad alcune scelte hanno due approcci possibili. Rispetto a un vuoto che viene colmato hanno da scegliere se lamentarsi e basta, o se assumere con leadership iniziative nuove che possano candidarli ad avere una capacità di colmare dei vuoti e di assumere una forte iniziativa politica. Mai come nella storia recente la politica estera ha necessitato di leadership politiche globali e anche di leadership politiche europee molto forti.
Se discutiamo con i russi, perché questa è la verità, in tutte le più delicate crisi internazionali, occorrerà vedere in prospettiva – magari non sarà possibile in quello di Taormina – e valutare le condizioni per ritornare a un G8 che superi l'attuale condizione del G7.
Abbiamo anche sperimentato questo nella vicenda iraniana e dobbiamo riconoscere che qualsiasi discussione sulle sanzioni alla Russia che fosse limitata agli europei e non includesse gli Stati Uniti sarebbe di fatto inconcludente, anche alla luce del carattere extraterritoriale delle sanzioni americane. Il caso iraniano ci racconta qualcos'altro in questo senso.
Quello che stavo dicendo poco fa mi porta a ragionare sull'Europa. Abbiamo un anno straordinario, dicevo. In quest'anno straordinario avremo elezioni nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania e avremo anche la Brexit. Ho avuto modo di incontrare il Primo Ministro May, già collega come ministra dell'interno, a Downing Street, insieme al collega Johnson, e ho fatto presenti due cose.
La prima, che ritengo non sia una parolaccia, è la tutela dell'interesse nazionale. Noi abbiamo centinaia di migliaia di italiani che fanno a Londra dei lavori, dai più finanziariamente riconosciuti come di pregio a quelli che esprimono tutta la dignità di emigranti italiani che vanno lì magari per fare i pizzaioli. Noi difendiamo l'interesse nazionale difendendo la loro presenza lì.
La seconda questione che ho voluto rappresentare è che siamo talmente affezionati all'idea della sicurezza globale e della sicurezza europea da considerare che il Regno Unito sta per uscire dall'Unione ma non sta per uscire dall'Europa e che ci sono fori europei – mi riferisco all'OSCE in primo luogo, ma anche ad altri elementi di collegamento tra l'Europa e il Regno Unito – che in materia di sicurezza ci devono far stare uniti. Ci devono far stare uniti, perché l'idea della sicurezza globale non può prescindere da tutti coloro i quali possono dare una mano d'aiuto.
Su questi elementi ho voluto anche girare alcune capitali europee all'inizio del mio mandato – infatti sono stato a Madrid, a Berlino, a Londra e a Parigi – perché ritengo che sarà cruciale per noi, come ha scritto nei giorni scorsi il Presidente emerito Giorgio Napolitano in un bel contributo offerto a La Stampa di Torino, che cito tra virgolette: «non indebolire l'argine europeistico, oscurando lo straordinario bilancio del processo di integrazione europea».
Richiamo quello che ho detto poco fa relativamente alla pace. Se da quando c'è l'Europa c'è la pace e prima che ci fosse l'Europa c'era la guerra, io non credo che Pag. 8ciò venga da un caso. Credo che ci sia un nesso diretto storico e politico tra l'Europa e la pace e tra la pace e l'Europa. Dovremo fare questo argine con una creatività significativa, ipotizzando cerchi concentrici e cooperazioni rafforzate che ci permetteranno di andare avanti senza alcun veto, aspettando camminando, si potrebbe dire, alcuni Paesi più recalcitranti.
Del resto, non voglio sviluppare qui tutto il dibattito possibile sull'Europa, ma chiediamoci quante Europe abbiamo oggi. Abbiamo l'Europa dell'Unione europea, ma abbiamo l'Europa degli opting out. Abbiamo l'Europa dell'Unione europea, ma abbiamo anche l'Europa di Schengen. Abbiamo l'Europa dell'Unione europea, ma abbiamo l'Eurozona. Abbiamo l'Europa dell'Unione, ma abbiamo l'OSCE.
Quante Europe abbiamo oggi lo sappiamo già e non c'è bisogno di consultare gli astri per sapere che la prospettiva dell'Europa è una prospettiva che comunque dovrà contemplare l'ipotesi di un cammino di coloro i quali su alcune questioni vorranno andare più velocemente e più avanti di altri.
Questo nostro approccio è fatto di europeismo, atlantismo, Mediterraneo e multilateralismo. Ricordiamoci che una delle attitudini fondamentali e delle linee di fondo del nostro Paese in questi decenni è stato il multilateralismo, che si deve sempre più connotare di efficacia attraverso la nostra presenza in questi fori di cui stiamo parlando. Spesso il multilateralismo è stato il luogo istituzionale che ci ha consentito l'esercizio su qualcosa che nasce dal profondo della nostra storia, che è storia di civiltà giuridica antichissima, che riguarda il culto e la difesa dei diritti umani.
Molto spesso l'Italia, grazie al fatto che venivamo da una determinata storia, ha avuto una sua necessaria presenza all'interno di contesti internazionali che hanno dato una rendita di posizione geopolitica che era assicurata dall'appartenenza alla NATO. Questa rendita di posizione, secondo me, va svanendo. Dobbiamo essere consapevoli che la rendita di posizione, ossia l'essere appartenuti al gruppo dei fondatori dell'Unione europea, il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti d'America, la presenza all'interno della NATO, tutte cose vere e innegabili, che ci hanno dato i risultati brillanti di cui abbiamo appena parlato, va a stemperarsi, va a diminuire di intensità.
Non gli organismi che ho citato vanno a diminuire di intensità, anzi, mi sia consentito un particolare e caloroso saluto a un italiano che è presidente dell'Assemblea parlamentare della NATO e che è membro della Commissione esteri della Camera, l'onorevole Paolo Alli. Credo che vada detto che questo è un incarico importante per l'Italia.
Vorrei dare un momento di riconoscenza personale anche all'onorevole Manciulli, che peraltro è il vicepresidente della stessa Commissione, che, da italiano, capo della delegazione italiana dei parlamentari della NATO, si è battuto un po’ da kingmaker nell'operazione elettorale che ha portato l'onorevole Alli a diventare presidente dell'Assemblea parlamentare della NATO.
PRESIDENTE. Confermo che questa è una Commissione che porta fortuna.
ANGELINO ALFANO, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Esatto. Io ne sono convinto e, quindi, mi aspetto anche sul piano personale, avendovi messo piede oggi, delle grandi cose.
Cosa voglio dire – scusatemi – in modo tale da non abusare della vostra pazienza e lasciare spazio poi agli interventi? Voglio dire che, rispetto al calo di significatività della presenza in quei fori e della rendita di posizione che si va a scolorire, ciò che occorre è l'iniziativa politica. Vale sempre dove sei e vale sempre più cosa fai.
Prima la gara nelle politiche estere dei singoli Paesi era per essere invitati ai consessi. Se eri in quei consessi, contavi. Oggi o prendi un'iniziativa politica e dimostri di essere tra quelli che fanno determinate cose, o il fatto in sé di appartenere a dei consessi è un qualcosa che, di per sé, non ti riconosce nulla che sia ulteriore rispetto al far parte di questi consessi.
Sulla scelta delle iniziative da attuare vorrei usare la parola «insieme» rispetto Pag. 9alle Commissioni. Ho potuto leggere un importante documento del presidente Cicchitto e anche giovarmi della sua visione, un documento del 2014, che ha i limiti del tempo trascorso, ma ha tutta la visione del mondo attuale ed è di una certa profondità. Ho potuto apprezzare le iniziative anche in trincee sul campo del presidente Casini relativamente a una serie di azioni da lui svolte sul piano anche della diplomazia parlamentare internazionale, da ultima la vicenda del Venezuela, su cui vorrei spendere qualche parola.
Noi abbiamo Taormina, come dicevo; abbiamo l'impegno in ambito ONU, su cui mi sono già soffermato, e abbiamo l'appuntamento dei Trattati di Roma; la data individuata è il 25 marzo, il sessantesimo dei Trattati di Roma; vi è poi la presidenza del vertice del processo dei Balcani occidentali da svolgere quest'anno. Abbiamo individuato Trieste come città nella quale sarà ospitato il vertice, che si svolgerà il 12 luglio.
Vorrei sottolineare una cosa che nella pubblicistica italiana ogni tanto viene sottovalutata, ossia la nostra partecipazione all'OSCE nella veste, in questo momento, di membri della troika che l'anno prossimo andrà ad avere la presidenza. Quest'anno abbiamo già la presidenza del gruppo di contatto mediterraneo e abbiamo già previsto una ministeriale in Italia. Le nostre priorità fondamentali sono la sicurezza, la gestione dei flussi migratori, la centralità del Mediterraneo e il futuro dell'Europa. Queste sono le nostre priorità strategiche.
Comincio dalla sicurezza e provo ad andare, adesso, più rapidamente. Sulla sicurezza il tema è uno e riguarda l'antica idea di sicurezza. L'antica idea di sicurezza comprendeva muri, ponti levatoi, ancor prima, acquisizione di informazioni e custodia gelosa delle informazioni. Secondo me, e secondo gli analisti più accorti, non funziona. Bisogna capovolgere tale visione.
La moderna idea di sicurezza comporta scambio di informazioni, abbattimento dei muri, presa di consapevolezza che il terrorismo internazionale si fonda essenzialmente sull'inesistenza dei muri e sulla valicabilità delle frontiere attraverso il reclutamento Internet, implementazione delle banche dati europee. Base di tutto questo è la fiducia, perché, se non ti fidi, non scambi le informazioni.
Su questa moderna idea di sicurezza noi stiamo investendo parecchio. Come? Stiamo investendo in cooperazione di polizia, cooperazione giudiziaria, rapporti con l'Europa, implementazione delle banche dati, scambio di informazioni con i partner strategici americani, e non solo americani.
Il tema reale è che ormai abbiamo un sistema di minacce che è cambiato rispetto al passato. In questo rientrano – lo dico agli onorevoli Manciulli e Alli – anche alcune questioni che riguardano la NATO.
Ho visto le polemiche su Trump, il quale ieri ha dichiarato che la NATO è obsoleta. Se si vuole criticare Trump, lo si critichi, ma, a mio avviso, è sotto gli occhi di tutti che, per fatto storico, la NATO guarda a Est, ma c'è una serie di minacce asimmetriche, ibride, liquide che vengono da Sud. O l'Europa si organizza anche con un sistema di difesa che guardi a Sud, oppure, per la postura naturale e storica della NATO e per la data di nascita della NATO, siamo a guardare un fronte che non è l'unica ragione per la quale oggi occorre affermare le esigenze di difesa.
Lo dico parlando del tema della sicurezza. Il terrorismo di Daesh resta una minaccia gravissima per le nostre società, ma alcune sconfitte sul terreno – mi riferisco a Iraq, Siria e Libia – sembrano aprire la strada all'idea di una sua sconfitta più importante e definitiva.
Adesso, dopo la vittoria di Sirte, c'è la battaglia di Mosul. A Mosul serviranno approcci più inclusivi. Noi siamo tra i maggiori contributori dello sforzo di contrasto a Daesh. Adesso, però, secondo me, dobbiamo influenzare ancora di più la strategia della coalizione internazionale a guida americana, affrontando di più l'emarginazione di segmenti della popolazione che anche per questo finiscono poi attratti dal meccanismo perverso jihadista.
Passo al Medioriente. Sul Medioriente a Parigi c'è stata questa dichiarazione. Ieri se n'è discusso anche al Consiglio affari esteri. Riteniamo che il processo di pace in Medioriente Pag. 10 sia una linea strategica per ottenere la pace nel mondo. Ne ho discusso a Roma, la scorsa settimana, quando ho incontrato il Presidente Abu Mazen. Poi ho rappresentato la posizione italiana a Parigi.
Voi siete a conoscenza della comunicazione finale di Parigi. In ogni caso, ne ho copia qui, se serve per questo dibattito. Noi abbiamo sostenuto con convinzione la soluzione dei due Stati rispetto anche alle illusioni di deviare da questo percorso e abbiamo contribuito alla dichiarazione di Parigi, a nostro avviso rendendola anche più equilibrata. Nel documento è stato riaffermato, ovviamente, l'obiettivo dei due Stati ed è stato ribadito che gli insediamenti sono un ostacolo, ma abbiamo anche ribadito che non sono l'unico ostacolo a questa finalità di pace, alla luce del fatto che continuano gli atti di violenza e di istigazione e che ci troviamo ancora in presenza di un contesto in cui i terroristi sono da alcuni accolti come dei martiri. Fino a quando i terroristi saranno accolti come martiri, non ci sarà alcuna chance di pace.
Infine, nella stessa risoluzione di Parigi, proprio per l'azione diplomatica italiana, è stato rafforzato il concetto del carattere imprescindibile dei negoziati diretti tra le due parti.
Quanto alle migrazioni, quando i migranti arrivano qui, c'è solo da gestirli. Il tema è non farli partire, come è evidente. Per non farli partire, noi abbiamo sempre rifiutato l'idea che l'Italia potesse diventare una specie di hotspot europeo, blindando le frontiere a nord e, nel frattempo, facendo nel Mediterraneo un lavoro per tutti. Su questa questione il tema è quello delle frontiere esterne. Noi abbiamo una strategia molto chiara, che si è espressa nei compact con alcuni Paesi fondamentali.
La nostra strategia in Europa è fare in modo che i ricollocamenti siano già decisi e che quelli già decisi siano effettivamente attuati, che il regolamento di Dublino sia superato, che la Guardia costiera europea sia rapidamente operativa, che funzioni il sistema europeo dei rimpatri e che si svolga una lotta al traffico di esseri umani. Abbiamo ribadito queste cose anche nel corso dell'incontro con il Commissario Avramopoulos dello stesso giorno.
Sul Migration Compact ci sono tre priorità fondamentali da dare alla nostra diplomazia. Le ho già date. Abbiamo nominato il primo ambasciatore italiano in Niger. Quanto alla vicenda della Tunisia, dopodomani sarò in Tunisia. Poi c'è la questione con la Libia. Altri Paesi con cui approfondire l'interlocuzione sono Nigeria, Mali, Etiopia e Senegal.
Con riguardo alla Libia, pur con tutti i caveat connessi con il fragile contesto politico e il deteriorato quadro di sicurezza, ci sono stati degli sviluppi e possono determinarsi maggiori opportunità. Il Governo riconosciuto dall'ONU appare avere maggiori spazi di azione.
Anche rispetto a un dibattito che si è prodotto in questi giorni relativamente alla nostra presenza in Libia vi dico che la presenza del nostro ambasciatore ha rappresentato un grande segnale politico. Si tratta di una presenza già stabilita dal Governo nei mesi scorsi. Abbiamo dato attuazione a quella decisione dopo aver verificato anche con gli organismi dell’intelligence le condizioni di sicurezza che consentissero la presenza del nostro ambasciatore lì.
Quali sono i fatti nuovi che si sono verificati in Libia rispetto al dibattito italiano di questi giorni? Perché adesso in Libia è possibile fare qualcosa in più? Per due questioni di fondo.
In primo luogo, la vittoria di Sirte ha consentito che il Governo non fosse più concentrato in modo quasi esclusivo a combattere Daesh, ragion per cui si può concentrare su altre cose. Prima aveva la questione di Sirte e la questione di Daesh.
In secondo luogo, grazie anche al nostro lavoro diplomatico con la Banca centrale, hanno potuto approvare il bilancio e adesso hanno i soldi per pagare i soldati. Questi due sono i fatti nuovi che hanno determinato un avanzamento di scenario.
Voglio dire una cosa molto chiara. Per quanto riguarda il nostro rapporto con i Paesi africani, e anche con la Libia, anzi, in ordine logico rispetto a quello che stavo dicendo, con la Libia e poi con i Paesi Pag. 11africani, dobbiamo avere la bravura di ragionare con loro sull'immigrazione, mettendoli in un contesto complessivo di partenariato più strategico e generale. Rischiamo, infatti, che, poiché i nostri interlocutori considerano la questione migratoria importante ma non esaustiva del tutto, se la impostiamo solo da quel lato, si crei una situazione che non viene accettata dall'altra parte.
Da questo punto di vista abbiamo fatto delle scelte che sul piano della cooperazione sono molto importanti. Con la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, appena sono arrivato, abbiamo approvato un Piano di 135 milioni di cooperazione.
Vorrei dire che la cooperazione è un punto strategico della politica estera italiana, che l'Africa vedrà investimenti ancora più significativi e che questo è un punto per noi essenziale.
Al tempo stesso, noi dobbiamo essere onesti e dire che è necessario fare un passo avanti in quello che in inglese si chiama «more for more» e porre qualche condizione.
Noi abbiamo alcuni Paesi africani da cui partono tantissimi migranti e a cui noi diamo tantissimi soldi. Bisogna che ci intendiamo su questo: non è possibile dare tantissimi soldi, senza chiedere che loro ci diano un tantino di aiuto nel non farli partire. Noi chiediamo che venga gestita lì, con maggiore efficienza ed efficacia, la questione delle partenze, anche in ragione della nostra contribuzione economica. Questo ci chiama anche a tutta la nostra vocazione mediterranea, a tutta la questione della cooperazione.
Nel 1973 un uomo di Stato che ha fatto il ministro degli esteri, Aldo Moro, aveva affermato che l'attenzione dell'Europa per il Mediterraneo nasce dalla consapevolezza che il suo destino è legato al destino del Mediterraneo. Ditemi se non è esattamente così e provate a riflettere alle conseguenze elettorali su tutto lo scacchiere europeo dei flussi migratori.
Un altro uomo come Giorgio La Pira aveva detto che il Mediterraneo è la prosecuzione del lago di Tiberiade. Un altro uomo, cioè François Mitterrand, aveva detto che trasformare il Mediterraneo e i suoi popoli in una comunità di destino è l'unico obiettivo possibile per la nostra Europa. Noi dobbiamo muoverci in quel solco.
Per quanto riguarda la Siria, noi abbiamo un riavvicinamento chiaro tra Mosca e Ankara. Sono pronto, sia sulla Libia che sulla Siria, a rispondere a tutte le domande di approfondimento che ritengo assolutamente utile e necessarie.
Tutto quello che ho appena detto si è tradotto in un'azione diplomatica nei confronti delle parti siriane. Hanno sottoposto un accordo, che, come voi sapete, è stato poi recepito dal Consiglio di sicurezza dell'ONU con la risoluzione n. 2236.
Con tutti i condizionali d'obbligo, probabilmente nei prossimi giorni ci sarà un incontro ad Astana. Noi abbiamo un'idea molto chiara: Astana non cancella Ginevra e non cancella quanto ha fatto l'ONU.
Le prossime settimane saranno cruciali e io dico al presidente Casini e al presidente Cicchitto che sono pronto a venire a riferire ogni evoluzione sulla Siria. Comunque, sono in contatto con de Mistura per avere tutte le informazioni del caso. Non sto qui a sottolineare che durante le conversazioni noi abbiamo posto la questione umanitaria e le evacuazioni come un elemento fondamentale.
Vorrei toccare un ulteriore punto sulla Libia. Ovviamente noi abbiamo grande rispetto per l'accordo del 2015. Non sappiamo, perché è impossibile dirlo, se ci siano delle alternative, anzi ci chiediamo qual è l'alternativa e non ne vediamo. Penso che comunque dovremmo incoraggiare le parti libiche al negoziato e avvicinarle. L'approccio italiano, per la storia italiana, è quello di dare un aiuto affinché si mettano d'accordo tra di loro.
Un punto che mi sembra essenziale sottolineare è che noi badiamo al popolo libico tutto, non consideriamo quello dell'Ovest diverso da quello dell'Est. Questa è la ragione per la quale – oltre a quella su Trieste, questa è un'altra notizia che sto dando più specificamente adesso – abbiamo deciso di realizzare dei progetti umanitari per l'Est della Libia e di inviare kit di Pag. 12medicinali a beneficio dei civili che vivono nell'Est. Questo è volto a sottolineare i nostri rapporti di fraterna amicizia.
Nel ragionamento tra Est e Ovest, voglio sottolineare che noi siamo stati tra i primi a chiedere un ruolo per Haftar. Ovviamente abbiamo dato pieno sostegno e legittimazione al governo legittimato dall'ONU, ma abbiamo anche detto che un ruolo per Haftar era indispensabile.
Quando parliamo della questione mediterranea, non ci distraiamo. Ho parlato poco fa della vicenda dei Balcani occidentali e del nostro rapporto con i Balcani. Io credo che su questo dovremmo fare un investimento, in modo tale che sia sul nostro fronte balcanico che sul nostro fronte mediterraneo abbiamo questa nostra postura.
Sull'Europa dico quattro flash. In primo luogo, bisogna consolidare la pace e difenderla. Il secondo punto è la ripresa della crescita. I padri fondatori avevano promesso peace and prosperity, ma la prosperità si è fermata in Europa. Infine, occorre organizzare un sistema che rafforzi la sicurezza e lavorare sulla difesa comune.
Lavoreremo per far sì che la nostra celebrazione non sia solo la celebrazione dei decenni trascorsi in pace e con una crescita economica, ma abbia una bussola. Nei limiti del possibile, per noi la bussola deve essere la difesa comune come obiettivo di fondo.
Faccio presente che questo è nella storia nella tradizione italiana e che Alcide De Gasperi morì con il dolore al cuore di non essere riuscito a organizzare la Comunità europea di difesa, che fallì nei primi anni Cinquanta. Io avrei altre cose importanti da dire, ma mi fermo qui, anche per l'ovvio dissenso alla mia prosecuzione da parte del presidente della Commissione della Camera.
Dico solo tre tweet. In primo luogo, occorre rafforzare i rapporti con la nostra diplomazia vaticana per quanto riguarda la persecuzione dei cristiani nel mondo.
In secondo luogo, un lavoro importante è stato fatto sul Venezuela dal presidente Casini, e noi lo stiamo rafforzando e valorizzando, potenziando anche i nostri presìdi diplomatici lì e svolgendo una serie di iniziative che lascio scritte qui al presidente della Commissione della Camera.
L'ultimo flash riguarda la diplomazia economica commerciale, che rimane da alcuni anni (non da troppi, perché ci fu un momento in cui scattò esattamente questo nella nostra diplomazia) un elemento strategico del nostro essere presenti nel mondo. Riteniamo, infatti, che il vivere all'italiana nel mondo sia una componente essenziale anche del nostro prestigio mondiale.
Ricordo che ci sono 2,3 milioni di non italiani che in questo momento studiano l'italiano nel mondo per il piacere di conoscere la nostra lingua e che la promozione del sistema Paese a livello globale rimane una nostra priorità.
Io vi ringrazio. Mi sono trattenuto più a lungo di quello che avevo preventivato, ma vi assicuro che il mio approccio al Parlamento è talmente rispettoso che, se l'ho fatto, è solo per il desiderio di dire a voi esattamente tutto ciò che vorrei connotasse la nostra azione comune. Vi ringrazio.
PRESIDENTE. La ragione del mio dissenso rispetto alla prosecuzione del discorso del ministro deriva dal fatto che noi abbiamo sostanzialmente un'ora per gli interventi e qui ho allo stato 13-14 interventi. Mi affido all'autodisciplina dei colleghi. Del resto, abbiamo altre esperienze in materia.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Sarò breve, così da dare la possibilità anche ad altri colleghi del Gruppo di intervenire.
Io vorrei ringraziare il ministro per il rimando alla continuità, che è particolarmente importante in una Commissione che porta fortuna, come abbiamo visto, ma soprattutto perché viviamo in un periodo di grande discontinuità. Ricordarci quali sono i pilastri sui quali è proceduta la nostra politica estera negli anni dal dopoguerra a oggi è importante per non perdere la strada, in un momento in cui noi pensiamo che i capisaldi occidentali appaiano messi in discussione. Pag. 13
Il dibattito che c'è in questo momento sul commercio internazionale, sulla libera circolazione delle persone, le difficoltà che stanno vivendo le democrazie, i cambiamenti radicali che si vedono anche all'interno del mondo occidentale non ci devono assolutamente far dimenticare, da un lato, che uniti siamo più forti e, dall'altro, quali sono gli strumenti con i quali la politica estera italiana è riuscita, in questi settanta anni repubblicani, a portare avanti il nostro interesse nazionale.
In questo senso, credo che sia particolarmente calzante il tema di quanto la politica estera italiana si è appoggiata sui fora multilaterali come strumenti dentro i quali prendere un'iniziativa forte di politica estera. Ha fatto riferimento agli incontri del 2017, che saranno luoghi in cui la politica estera italiana dovrà prendere un'iniziativa per tenere alta la possibilità di comporre i conflitti e le difficoltà che stiamo vivendo.
In particolare, credo siano importanti il tema del 25 marzo e dei trattati di Roma, il tema della Libia, che dobbiamo probabilmente affrontare ancora una volta privilegiando lo sforzo multilaterale e facendoci strumento primo di questo sforzo, e gli appuntamenti in seno al Consiglio di Sicurezza.
Credo che il tema multilaterale sia un tema importante anche per noi. La Commissione esteri è diversa dalle altre, perché è una Commissione che dovrebbe cercare di sforzarsi di superare i contrasti tra partiti.
Credo che tutti noi, anche relativamente a quello che è successo qualche giorno fa sul tema della Libia, dovremmo cercare di sforzarci di essere continui in quello che diciamo in questa Commissione, anche rispetto all'evoluzione che vediamo sul terreno.
Se qui noi diciamo che si deve dare alla politica una chance, gli strumenti che l'Italia mette a disposizione di una soluzione politica, a partire dalla nostra sede a Tripoli, devono poi essere sostenuti in modo ampio, coerente e solido un po’ da tutte le forze politiche. Altrimenti, noi indeboliamo questo sforzo di unità e di forza nell'unità che credo sia cruciale per superare questo 2017, che sarà un anno particolarmente difficile.
PAOLO ROMANI. Cercherò di essere anch'io abbastanza breve. Ministro, Lei ha ricordato che ci attende un anno con delle coincidenze straordinarie: la presenza all'ONU nel Consiglio di Sicurezza, in un difficile equilibrio con l'Olanda; il sessantennale dei Trattati di Roma; il G7. Mi piacerebbe chiamarlo G7 e mezzo, nell'augurio che diventi un G8.
Io ho notato, anche nella Sua relazione di oggi, al di là di un passaggio che Lei ha fatto a due terzi del suo discorso, una certa vocazione all'ecumenismo tradizionale della diplomazia italiana.
Invece, Lei a due terzi del suo ragionamento ha detto che è il tempo delle scelte, che andrebbero fatte.
Nell'intervento all'ONU che mi sono andato a rileggere dice: «Credo che l'inclusività sia la chiave di un effettivo multilateralismo e che sia ora di affrontare le nostre sfide comuni».
Questo – lo citava prima anche l'onorevole Quartapelle – può essere interpretato in maniera difforme: potrebbe essere visto come una vocazione autentica alla partecipazione a tutti i fora e a tutte le iniziative diplomatiche che ci sono e che ci saranno il prossimo anno, oppure potrebbe dire che alle volte non si possa scegliere o che non si debba scegliere.
Io dico che, invece, si deve scegliere. Coloro che partecipano al processo di pace in Siria non sono tutti quelli che sono sul terreno e, quindi, sono scelte che vanno fatte. Coloro che tendenzialmente erano esclusi in una prima fase, a mio avviso, dovrebbero partecipare. Parlo della comunità curda e parlo anche del ruolo del governo di Assad.
Lei, nell'intervento all'ONU, ha anche detto che è «convinto da sempre che ci sia la necessità della primazia della volontà politica, sopra o oltre la miseria della forza militare».
Anche questo passaggio mi preoccupa per certi versi, perché non è vero che è sempre così. Infatti, Daesh va combattuta militarmente, al Nusra e alZenki vanno Pag. 14combattute militarmente ed Eunavfor Med nella fase tre, ammesso che ci si arrivi mai – io mi auguro che ci si arrivi –, è qualcosa che si dovrà muovere militarmente contro gli scafisti.
Mi piacerebbe, ministro, che Lei, del discorso ovviamente breve, che ha tenuto all'ONU all'atto dell'insediamento del seggio italiano, declinasse questi due concetti in una maniera più puntuale e più precisa, ad esempio sugli scenari a cui io ho appena accennato.
Pongo inoltre due domande brevi e puntuali. È emerso sui giornali che le ONG, ma anche, purtroppo per noi, la Guardia costiera, che svolge a quanto pare una politica totalmente autonoma rispetto alle altre forze armate, soprattutto alla Marina, siano e possano essere in contatto diretto con gli scafisti.
Qui non siamo più a operazioni di salvataggio al largo, ma siamo a poche miglia dalle coste libiche, dove le ONG si vanno a prendere i canotti che stanno per affondare, ma previa telefonata fatta alle ONG stesse. Queste ultime, in collaborazione con la Guardia costiera, si vanno a prelevare in acque territoriali libiche coloro che rischiano di affondare.
Siccome l'articolo che è apparso su La verità non è stato smentito, vorrei capire se su questo punto ci possono essere informazioni più puntuali e più precise.
Ho un'ultima domanda molto veloce. Lei è al corrente, ministro, che a Deir el-Zor, capoluogo provinciale della Siria, grazie anche a un bombardamento americano di qualche mese fa, che ha ammazzato circa ottanta soldati siriani e ne ha feriti altri cento, Daesh sta praticamente occupando una città che è assediata da circa quattro anni?
In questa città ci sono 150.000 persone e, se per caso Daesh fosse sul punto di occuparla o la occupasse, 150.000 persone, come si diceva nel Medioevo, verrebbero infilzate a fil di spada (perché tanto più o meno lì siamo, in un periodo simile al Medioevo) e ci sarebbe il rischio di un massacro di massa.
Nessuno ne parla. Io penso che Aleppo sia stato un evento straordinariamente importante, molto dissimile da quello che hanno raccontato i media occidentali, e che a Deir el-Zor rischi di capitare più o meno la stessa tragedia.
Vorrei sapere se su questo punto avete informazioni ulteriori.
CARLO SIBILIA. Io farò soltanto una piccola premessa, semplicemente per non far passare inosservato che al Movimento 5 Stelle questa audizione sembra surreale. Veniamo da un Governo che per quanto ci riguarda ha fatto tre anni di legislatura fallimentare, puntando tutto su un referendum, quello del 4 dicembre. Oggi, il 17 gennaio 2017, dopo la sconfitta di quel Governo su quel referendum, ci troviamo ad avere come ministro degli affari esteri una persona che è stata chiaramente parte attiva di quello stesso Governo che ha avuto quel grossissimo fallimento decretato dalle urne e dagli italiani il 4 dicembre 2016.
Se avessimo dovuto scegliere una persona da non nominare come ministro degli affari esteri, avremmo scelto probabilmente il ministro Alfano.
Fatta questa dovuta premessa, perché chiaramente non poteva essere diversamente per quanto riguarda il nostro Gruppo, non possiamo non far notare che, nonostante sembri che nel nostro Paese nulla sia cambiato, in realtà qualcosa si muove. L'Italia si muove un po’ come un bradipo, però in realtà nel contesto internazionale qualcosa si muove.
Infatti, si dà il caso che ci sarà a brevissimo l'insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti, che già ha fatto capire, in maniera molto nitida, quali siano i nuovi obiettivi di politica estera di tutto il mondo, non soltanto dell'Italia.
Io vorrei porre questa domanda al ministro. Il presidente eletto Trump è quello che il vostro Governo ha denigrato attraverso le parole del «Tamagotchi» Renzi, che vive soltanto nella televisione e poi esce ogni tanto e ci dice la sua. Infatti, chiaramente Renzi sosteneva Hillary Clinton e già ci ha messo, secondo me, in una situazione di difficoltà nei rapporti internazionali.
Da questo punto di vista, vorrei sapere da Lei se quelle Sue dichiarazioni hanno creato delle difficoltà nei rapporti con gli Pag. 15Stati Uniti e se siete in grado di ricucire quel tipo di rapporto che, secondo noi, il Presidente Renzi aveva in qualche modo incrinato.
Una domanda che vorrei porle riguarda le sanzioni alla Russia. Trump nell'intervista al Bild ha affermato che le sanzioni alla Russia sono assolutamente sbagliate. Noi cosa faremo? Le terremo ancora o le cancelleremo definitivamente, cosa che si sarebbe dovuto fare anni fa per non far perdere miliardi di euro alla nostra economia?
In secondo luogo, per ciò che concerne la NATO, la vogliamo rivedere o ci vogliamo fare gli applausi? Io ho capito quello che Lei ha cercato di dire nel suo discorso, ma la domanda è: noi che intenzioni abbiamo? Vogliamo far scegliere ai cittadini? Vogliamo portare avanti una proposta di legge popolare, quello che noi abbiamo fatto in Commissione esteri in questi anni, mentre Lei era al Ministero degli interni, e discutere un nuovo modo di aderire alla NATO, oppure vogliamo continuare come abbiamo fatto fino adesso?
La terza questione riguarda Brexit e l'euro. L'Italia in che modo si approccerà all'Unione europea su questi punti? Per noi ci sarà il momento di mettere in discussione la nostra appartenenza a questa moneta unica, che sappiamo benissimo essere, come definita dal neoeletto Presidente degli Stati Uniti, un modello di governo a favore della Germania, dell'economia tedesca? Vogliamo fare qualche passo che ci dia finalmente la possibilità di mettere in discussione questo metodo di governo, che ci crea soltanto difficoltà all'economia interna?
Noi non ci possiamo permettere questa moneta unica, quindi saremo in grado, diremo qualcosa in questo senso oppure continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto, dritti verso il baratro con allegria, con ottimismo e con democristianità? Queste sono le domande che vorrei farvi.
Soprattutto non ho sentito una parola sul conflitto israelo-palestinese. Se ho perso il passaggio mi auguro possa approfondire qualcosa in più.
Se devo dire che la questione delle migrazioni deve essere affrontata dalla persona che con il suo Ministero ha architettato il sistema dell'accoglienza, cioè la gestione che attualmente in Italia è qualcosa di quanto più fallimentare esista come gestione politica, 3 miliardi e 100 milioni di soldi nostri, di cittadini italiani, che vengono veramente sprecati, perché queste persone non vengono integrate, non vengono accolte nella maniera giusta e con i dovuti diritti, se vedo qualche rischio è proprio nella gestione delle migrazioni.
Evidentemente non c'è stata già in passato una qualità da questo punto di vista, avete già dimostrato di aver fallito in questo senso. Mi chiedo se la continuità sarà una continuità ideologica oppure sarà frutto delle scelte. Io mi auguro che Lei sia il trentasettesimo Ministro degli affari esteri, e l'ultimo espresso dai partiti politici italiani.
LUIGI COMPAGNA. Grazie, signor presidente. Signor ministro, a differenza del collega che mi ha preceduto, io ho trovato invece trattata (dal mio punto di vista ben trattata) la questione israelo-palestinese attraverso le citazioni che Lei ci ha fatto del documento varato a Parigi e anche della sottolineatura del contributo italiano a questo documento.
Mi permetta però, signor ministro, di chiederle un maggiore chiarimento proprio sotto il profilo della politica estera italiana, che su questo terreno ha vissuto di continuità, ma anche di molti sbalzi. L'ultimo che abbiamo registrato in Parlamento è stato poche settimane prima dell'avvicendamento al Governo: il Suo predecessore è stato duramente corretto, in occasione di un vertice europeo, dall'allora Presidente del Consiglio, per l'atteggiamento italiano sull'Unesco, su Gerusalemme e quant'altro.
Almeno a giudicare dalle cronache del Corriere della Sera, si ebbe la sensazione che il suo predecessore fosse preso a schiaffi tramite il Corriere della Sera (ovviamente «schiaffi» da codice Gelli, non fisici) e poi il giorno dopo il suo predecessore ha argomentato raccogliendo la critica fondamentale, dicendo «qui si procede troppo con il pilota automatico». Pag. 16
Questo pilota automatico però – diciamoci la verità – è italo-europeo, europeo e viene dagli ambienti delle Nazioni Unite, e non da oggi. Non a caso non le sarà sfuggito come il Primo Ministro israeliano Netanyahu ha definito l'incontro di settanta Paesi: lo ha definito, con perfidia diplomatica ma con parole che fanno male soprattutto all'Europa, «il secondo processo Dreyfus».
Ho l'impressione che, al di là della brillante redazione del documento conclusivo, il problema sia che iniziative di questo genere sono controproducenti perché, come Lei stesso ha ricordato, se si vuole ancora tenere in vita la prospettiva dei due Stati, bisogna lasciare tempo e spazio all'incontro tra questi due Stati, non inseguire, come ha fatto la comunità internazionale, la prospettiva di procedere a riconoscimenti unilaterali del movimento palestinese in quanto statualità palestinese, senza neanche avere la prudenza di accertarsi che la rappresentanza sia di Abu Mazen e non di Hamas, cosa che Abu Mazen non è in grado né di garantirci, né di dirci.
La mia sensazione è che, se possibile, sarebbe opportuno aprire uno spicchio su un terreno che invece da parte del precedente Governo, almeno nel contatto con il Parlamento, fu completamente eluso, laddove neanche di fronte allo «schiaffo» ci fu un chiarimento parlamentare.
PRESIDENTE. Credo che dobbiamo fare i conti con una serie di cose che determinano uno sconvolgimento del quadro internazionale.
Dietro le nostre spalle in una chiave più strutturale c'è un'angolazione della globalizzazione che nessuno aveva previsto in questa direzione, per cui i più colpiti sono stati l'Europa e per certi aspetti anche gli Stati Uniti, una crisi finanziaria nel 2008, aggravata nel 2010, che ha prodotto la più lunga recessione, fenomeni intrecciati di immigrazione e di terrorismo – sottolineo – islamico.
Tutto questo ha provocato alle nostre spalle uno sconvolgimento del quadro, in cui – procedo ovviamente per sciabolate – ci troviamo di fronte ad un fallimento in politica estera sia dell'Amministrazione americana di Bush, sia di quella di Obama, e per molti aspetti oggi la vittoria di Trump e quello che sta dicendo sono anche il frutto di questa situazione e del vuoto che si è determinato.
Non ho una visione particolarmente angelicata della Russia di Putin, che si inserisce anch'essa in questo vuoto e sta giocando una partita di assoluta spregiudicatezza in due direzioni: da una parte accentuare lo smantellamento dell'Europa, dall'altra ricontrattare con gli Stati Uniti tutte le condizioni di una ricostruzione di un bipolarismo di nuovo tipo rispetto a quello che ha caratterizzato la guerra fredda.
Rispetto a questo, detto molto schematicamente, c'è il problema dell'Europa e c'è il problema della NATO, nel senso che l'Europa finisce la sua rendita di posizione, che ha sperperato in modo molto rilevante dal punto di vista economico e da quello della politica estera e della difesa; dal punto di vista economico per la linea di austerity che ha condotto, dal punto di vista della politica estera nel senso che non l'ha avuta, e c'è stata una politica estera dei singoli Stati europei spesso assolutamente divergente rispetto ad essa.
Diversamente dagli amici del Movimento 5 Stelle, reputo che in questo contesto la NATO abbia un ruolo molto rilevante, a due condizioni: a condizione che si ponga due problemi e non uno, perché indipendentemente dalla vicenda delle sanzioni rimane il problema di un confronto sul lato della Russia, perché la Russia non è stata ferma, ma si è impadronita della Crimea venendo meno a tutti i meccanismi consueti della normalità giuridica internazionale e sta facendo quello che sta facendo in Ucraina; però quello è un lato di contenimento e di rassicurazione, difensivo rispetto ad un'aggressività. L'altro lato è quello del Medio Oriente e della lotta al terrorismo.
La NATO deve anzi ampliare il suo ruolo rispetto a questo nodo, deve ampliarlo con questo tipo di valutazione. L'Europa a sua volta deve scegliere se contribuire alla NATO in termini diversi da quelli che ha dato e se darsi una politica estera e della difesa. Pag. 17
Ricordo alle Commissioni esteri due cose straordinarie che sono avvenute in questi giorni. C'è stata una riunione sulla Siria fatta dall'Iran, dalla Turchia e dalla Russia senza gli Stati Uniti e senza l'Europa, e voglio chiedere alla diplomazia ecumenica che caratterizza la Farnesina se questo non caratterizzi un enorme problema e un'enorme questione.
Un altro dato è il comunicato congiunto tra la Russia e la Cina per condannare l'operazione fatta dalla Sud Corea di munirsi di missili difensivi rispetto alla Nord Corea, il che mi sembra un'altra operazione assolutamente straordinaria ed eccentrica, che conferisce a tutto il quadro una visione meno angelicata di quella che, talora per tranquillizzarci, abbiamo.
Siamo in campo aperto, non siamo più né come Italia né come Europa in una realtà protetta. Trump, che io non demonizzo affatto, rappresenta comunque un momento isolazionista e per certi aspetti anche economicamente molto concorrenziale con tutti. La Russia rappresenta a sua volta un dato molto aggressivo e imperiale non di tipo comunista (il comunismo non c'entra per niente, c'entrano paradossalmente semmai spezzoni di cultura zarista addirittura) e l'Europa deve dimostrare se esiste o non esiste.
In questo quadro il fatto che vengano a romperci le scatole sullo 0,2 per cento a fronte della loro assoluta inesistenza sul terreno dell'immigrazione ricorda quel pianoforte che suonava sulla plancia del Titanic.
ERASMO PALAZZOTTO. Ringrazio il presidente Cicchitto per aver provato a inserire in questa discussione alcuni elementi di crisi che non vanno sottovalutati. Lo dico con preoccupazione, signor ministro, perché nella Sua relazione ho trovato un lungo e corposo elenco dell'agenda politica, del G7, delle Nazioni Unite, e non mancava nessuna delle questioni sul tavolo. Quello che mancava era una visione rispetto a queste questioni e forse una lettura complessiva del quadro in cui ci troviamo ad operare.
Fuori da ogni ruolo prestabilito di maggioranza e opposizione proverò quindi a porre sul tavolo alcune questioni non più rinviabili quantomeno rispetto a una discussione franca tra noi parlamentari.
Il 2017 rischia di essere l'anno del caos, tutto quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi si avvia ad una rovinosa conclusione sotto alcuni aspetti. Per quanto riguarda i nostri interessi più immediati, la questione libica rappresenta il punto più problematico. E vorrei che la finissimo di raccontare qualcosa che non esiste, perché altrimenti rischiamo di non fare una discussione vera sui possibili scenari.
È inutile descrivere quanto sta accadendo in Libia come una guerra tra bande. Qualche giorno fa il generale Haftar si è fatto fotografare su una nave russa. Haftar controlla i terminali della Mezzaluna petrolifera e non riconosce la legittimità di un governo, che allo stato attuale non riconoscono nemmeno le milizie in Tripolitania, le quali restano lì finché un flusso di denaro è garantito anche dal traffico di esseri umani. Questo perché a Sabratha a controllare il traffico di esseri umani sono gli stessi che sostengono oggi il governo di al Sarraj.
Noi abbiamo qualche problema a definire quello come il vero interlocutore e in questo credo che ci sia stata una sovraesposizione del nostro Governo anche per mandato americano e che alcune operazioni siano state quantomeno un po'affrettate, perché rischiano di sovraesporci rispetto a un conflitto i cui esiti sono imprevedibili, considerando che ad oggi a difendere l'iniziativa italiana non abbiamo sentito il ministro degli esteri inglese o quello francese, che invece giocano una partita sul fronte orientale della Libia per garantire interessi strategici, esattamente come l'Egitto ed altri partner.
Il cambio di presidenza negli Stati Uniti potrebbe determinare un disastro per noi da questo punto di vista perché, se fino ad oggi abbiamo avuto la copertura di un alleato importante come l'Amministrazione Obama sulla vicenda libica, non escluderei che da domani ci troveremo da soli a gestire tale vicenda. Mi piacerebbe quindi sapere quali misure questo Governo intenda mettere in campo, anche alla luce dei Pag. 18rischi che il nostro Corpo Diplomatico corre in questa spericolata impresa della riapertura dell'Ambasciata a Tripoli.
Sulla Siria, la Russia, l'Iran e le Turchia, come ricorda il presidente Cicchitto, si riuniscono, non perché fanno una forzatura sul piano internazionale, ma perché sono gli attori che oggi sul campo stanno gestendo quella partita, mentre purtroppo tutti gli altri sono fuori.
Le forze della Coalizione sono impegnate da sei mesi in una battaglia a Mosul di cui non si ha più notizia. La Turchia gioca su più tavoli una partita pericolosa per noi; il ricatto che la Turchia conduce su un doppio binario, da una parte nei confronti della NATO a cui minaccia la chiusura della base di Incirlik, dall'altra nei confronti dell'Europa per quanto riguarda la vicenda dei flussi migratori, ci dice qual è la condizione di ricattabilità in cui ci troviamo.
Non affronto la questione che riguarda Israele e Palestina. La Conferenza di Parigi mi pare che abbia rappresentato la drammaticità di una situazione ormai sfuggita al controllo, in cui, anche grazie all'elezione di Trump, Israele ha già annunciato che continuerà a violare le risoluzioni internazionali facendo nuovi insediamenti nella parte orientale di Gerusalemme.
Vado velocemente a due altre grandi questioni. La questione dei rapporti con la Russia e delle sanzioni; per me continuare su quella strada è un errore, probabilmente chi ci ha imposto quelle sanzioni domani sarà il primo a toglierle, e noi che non avevamo quell'interesse ci troveremo con il cerino in mano, ma soprattutto la questione europea. Oggi il punto vero di crisi è un'Unione europea che si avvia verso il collasso, al di là del nostro europeismo incondizionato, perché i vincoli finanziari e fiscali sono divenuti insostenibili davanti alla gestione della crisi economica e per la sua incapacità di affrontare la questione dei flussi migratori.
Su questo mi permetta, signor Ministro, al netto delle vicende che riguardano la revisione di Dublino, Schengen, gli hotspot e tutto quello che potremmo dire magari in un'altra occasione, c'è una vicenda drammatica: le immagini di cosa sta accadendo a Belgrado, di quei ragazzi disperati in fila per la ricerca di un pasto caldo, di una coperta, le immagini dei piedi amputati dei bambini per il freddo della gelata siberiana che si è abbattuta su quelle persone alle porte dell'Europa, sono insostenibili. Non si capisce perché non partano convogli di aiuti umanitari in questo momento per la Serbia, per aiutare e sostenere quelle persone in difficoltà. Noi saremo giudicati dalla storia per quelle immagini e per questi fatti e, oggi, è inaccettabile che le frontiere dell'Europa restino chiuse e resti chiuso anche l'aiuto umanitario, che quelle persone dovrebbero ricevere subito dall'Europa. Questo è inaccettabile e io penso che su questo punto saremo giudicati dalla storia e ne pagheremo le conseguenze.
PAOLO ALLI. Grazie, signor Ministro, per il quadro ampio e chiaro in un contesto di forte trasformazione. Certo, il Suo è stato un quadro analitico, ma anche con alcuni richiami sintetici importanti, soprattutto quello dello logica del multilateralismo.
Faccio due osservazioni, di cui la prima sulla NATO. È, per me, sinceramente un po’ imbarazzante, tutte le volte che si parla della NATO, rendersi conto che è un animale del tutto sconosciuto. Ora, se si può tollerare che la NATO rimanga sconosciuta nell'opinione pubblica per una mancanza di informazione anche sulla storia e sulle evoluzioni, fa più senso accorgersi che è un animale sconosciuto anche dentro queste aule parlamentari. Sembra che la NATO sia una entità aliena, che sta da qualche parte, ma la NATO siamo noi e i nostri sistemi di difesa, che sono coordinati. Oggi come oggi, la NATO è comunque l'unico sistema di sicurezza comune che l'Europa ha a disposizione, in attesa di un – speriamo e auspichiamo – futuro sistema europeo di sicurezza, ma noi dobbiamo essere realisti e partire da quello che esiste.
Certo, si tratta un sistema che, oggi, serve più all'Europa, forse, che agli Stati Uniti, ma serve anche gli Stati Uniti. Siamo in un contesto, nel quale, se consideriamo l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, arriviamo a poter dire che l'80 per Pag. 19cento dei costi della NATO sono sostenuti da Paesi, che non sono dell'Unione europea. Questo è evidentemente un'asimmetria, sulla quale anche il presidente eletto Trump è intervenuto ieri, ma già Obama diceva da un paio d'anni di riequilibrare il tema delle spese per la difesa della sicurezza dei Paesi europei. Questa è una responsabilità che anche noi, come parlamentari, abbiamo, perché, tutte le volte che si parla di spese per la difesa, sembra che si buttino via i soldi, quando, in realtà, si tratta di investimenti per il nostro futuro.
Tuttavia, bisogna anche notare la differenza, se vogliamo commentare le esternazioni del presidente eletto Trump, tra il concetto di non adeguatezza sul terrorismo e sui costi, rispetto ad altre interpretazioni, in primis quella della Federazione russa, che lo ribadisce, dicendo «abbiamo sempre detto che la NATO è una minaccia per la pace». Mi sembra che queste siano due cose diverse e credo che, se Trump non se n'è già accorto, lo farà presto, anche perché, aver messo, come Ministro della difesa, il generale James Mattis e, come Segretario di Stato, Rex Tillerson, che ha attaccato frontalmente Putin nei giorni scorsi, forse dà l'idea che anche nel contesto americano le idee non siano molto chiare o che comunque si tratti di uno work in progress.
Un'ultima cosa sulla NATO: il tema Est-Sud mi sembra che si sia molto riequilibrato negli ultimi anni e credo che il Presidente Manciulli posso darmene atto, dato che, anche all'interno dell'Assemblea parlamentare, lo vediamo; quindi è vero che predomina ancora la preoccupazione sul lato Est, ma si sta investendo molto anche sul lato Sud e sul terrorismo.
Vorrei fare una seconda veloce osservazione su due temi, che sono ancora di più ampio respiro, se vogliamo, però mi sembra giusto segnalarli. Il primo riguarda la Cina. Ci troviamo di fronte a una Cina, che è sempre più assertiva sul piano della politica internazionale. La presenza di Xi Jinping a Davos è stata enfatizzata dai mezzi di informazione. Io sono molto preoccupato del rischio di uno scontro tra la Cina e la nuova Amministrazione americana, molto più che della Russia, perché Putin gioca «con quattro carri armati», ma la Cina ha una potenza economica e militare vera, quindi io credo che l'Italia e l'Europa non possano rischiare di essere travolti da un potenziale conflitto tra Cina e Stati Uniti, anche se speriamo che non accada. Credo che la nostra diplomazia debba tenere in forte considerazione il rapporto con la Cina e rafforzare questi legami, il che non vuol dire essere proni di fronte al gigante cinese, ma comunque tener conto di questa vicenda.
L'ultima questione riguarda l'India, di cui non si parla mai. Io credo che in un contesto globale, dove Stati Uniti, Russia, Cina e la fragile Europa sembrano farla da padrone, l'India sia un attore, che sicuramente apparirà nei prossimi anni sullo scenario, ed è un potenziale attore con cui l'Europa potrebbe fare i conti, in un ragionamento di alleanza economico-commerciale e anche di sicurezza. Già l'India partecipa ad alcune operazioni della NATO, anche se queste cose non si sanno. Inoltre, credo che sia importante superare le tensioni innescate dalla vicenda dei marò con l'India, anche in prospettiva futura.
PIA ELDA LOCATELLI. Ringrazio il Ministro per la sua ampia relazione, che, di fatto, ci ha descritto uno scenario della situazione politica del mondo, tracciando quello che Lei ha definito essere il «flusso di fondo» della politica estera del nostro Paese.
Ha indicato quattro filoni, per alcuni dei quali ha puntualizzato le nostre posizioni, ma io vorrei richiamare l'attenzione su uno di questi quattro filoni, che è quello della difesa della tutela dei diritti umani, e mi fermo proprio su questo, perché ci sono problemi di violazione dei diritti umani relativi ad alcuni nostri connazionali all'estero.
Mi riferisco a Cristian Provvisionato, che è detenuto in un centro di polizia, non in un carcere, della Mauritania...
PRESIDENTE. Abbiamo incontrato l'Ambasciatore.
PIA ELDA LOCATELLI. Appunto, il nostro presidente Cicchitto sta seguendo la Pag. 20vicenda. Mi riferisco al caso di Giulio Regeni, per il quale ho preparato un'interrogazione per domani in Aula, perché tra una settimana è l'anniversario della scomparsa e tra due settimane del ritrovamento.
Tuttavia, io vorrei richiamare l'attenzione su un altro caso più recente, che è avvenuto in Turchia. Chiaramente la Turchia ci preoccupa, per quello che sta avvenendo e che già avveniva prima del fallito colpo di Stato, con la dichiarazione dello stato di emergenza e, per quanto mi riguarda, anche la sospensione dello Stato di diritto. Ci sono decine di migliaia di persone arrestate, tra cui alcuni colleghi parlamentari, che abbiamo tentato di andare a visitare, ma naturalmente il permesso non ci è stato concesso. Ci riproveremo e lo faremo in modo più istituzionale, perché c'è già la disponibilità di alcuni colleghi europei (uno portoghese, uno spagnolo e uno tedesco) a costituire una sorta di delegazione di parlamentari, che si occupino in particolare di diritti umani.
Inoltre, chiederemo al Ministro della giustizia turco, Bekir Bozdag, di avere il permesso per la visita in carcere. In passato abbiamo tentato di farlo ma ci hanno tenuto a 300 metri di distanza per evitare che le nostre voci – nemmeno quelle – venissero sentite.
Cos'è successo l'altro giorno? Una nostra concittadina, l'avvocata Barbara Spinelli, è stata fermata all'aeroporto di Istanbul ed è stata messa in una specie di camera di sicurezza o comunque nel posto di polizia dell'aeroporto di Istanbul, trattenuta dalle 19.30 alle 13 del giorno successivo. Inoltre, hanno tentato di portarle via il cellulare, anche se lei si è opposta, e non ha avuto la possibilità di comunicare con la nostra console, che l'ha chiamata il giorno successivo, quando le hanno ridato l'accesso al telefono. Questa persona è stata poi espulsa: non è stata lasciata entrare in Turchia e non le sarà più possibile tornare in Turchia.
Credo che questa sia una cosa assolutamente inaccettabile. Per l'avvocato Spinelli, con la quale tra l'altro abbiamo collaborato, perché è la coordinatrice del rapporto-ombra della CEDAW, la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, secondo me, sono stati violati i diritti umani in quel Paese e lo dico anche pro domo mea: non vorrei che mi succedesse la stessa cosa, quando, tra non molto, ritornerò in Turchia, tentando di andare a visitare il collega Demirtas che, tra l'altro, poche ore fa è stato condannato a 142 anni di prigione.
Insomma, la situazione dei diritti umani, che è un tema che non dovrebbe avere frontiere, si pone pesantemente in Turchia, riguardo ai cittadini italiani, riguardo agli stessi cittadini turchi. Che cosa intende fare Lei su questo tema, nel Suo periodo di mandato, come Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale?
PRESIDENTE. Vi ricordo l'ordine dei nostri lavori. Adesso do la parola all'onorevole Cirielli, con cui completiamo gli interventi dei gruppi. Poi ci saranno quattro interventi di colleghi che appartengono ai vari Gruppi e la replica del Ministro. Ho dimenticato di dire che c'è anche l'intervento del presidente Casini. Dobbiamo capire come riuscire a conciliare il tutto.
EDMONDO CIRIELLI. Signor Ministro, devo dirle che la valutazione di ciò che ha detto, per la sua ampia generalità, mi porta, come rappresentante di Fratelli d'Italia, a condividere l'analisi e valutare positivamente anche la continuità sulla linea politica dell'Italia. È chiaro che la mia valutazione rimane superficiale, appunto per la generalità del Suo intervento.
Ho apprezzato in maniera particolare la Sua posizione sulla Russia, anche se, così come hanno detto altri colleghi, è importante che, alle parole, corrispondano rapidamente i fatti, perché rischiamo, dall'essere stati, da sempre, i maggiori oppositori a queste sanzioni, di trovarci magari tra gli ultimi nel fare passi concreti perché le cose cambino. Allo stesso tempo, apprezzo particolarmente la Sua posizione, che mi sembra assolutamente in linea con quelle democraticamente espresse, ma anche con la storia italiana, sugli Stati Uniti e sulla svolta del popolo americano con il nuovo presidente. Peraltro, non posso non sottolineare Pag. 21come erano state improvvide le parole del Suo predecessore, che, prima delle elezioni, aveva espresso un parere negativo sul candidato Trump, stravolgendo le regole della linea diplomatica italiana, con l'intromissione, addirittura, rispetto al nostro principale partner.
Sulla vicenda della NATO, credo che sia evidente che già Obama aveva detto che le spese debbano essere divise più equamente. Come è stato detto da più parti, è importante che l'Unione europea, ma anche la stessa Italia, di fronte a questo scenario mutato, adeguino il finanziamento al nostro strumento militare, alle nostre Forze armate, per essere in grado di affrontare una svolta che sia credibile.
Più in generale, credo che noi, pur avendo un ruolo importante, come Paese, e pur essendo temporaneamente nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, dobbiamo anche commisurare le nostre ambizioni alle reali possibilità dell'Italia, quindi guardare strettamente agli scenari di interesse, che partono da una vicinanza geografica: Medio Oriente, Mediterraneo e Balcani occidentali, come in parte ha anche accennato.
Io credo che ci sia un'unica lacuna, che mi permetto di sottolineare, sulla vicenda turca. Mi fa piacere che la collega Locatelli abbia citato non soltanto la vicenda dell'avvocato Spinelli, che rappresenta un fatto senza precedenti e dimostra arroganza nei confronti del nostro Stato da parte della Turchia, ma è evidente che la Turchia, nel Mediterraneo, svolge un ruolo destabilizzante, sicuramente incoraggiato in passato dagli Stati Uniti, dall'Inghilterra e dalla Francia. La Turchia, prima, ha destabilizzato la Siria e, adesso, si mette d'accordo sostanzialmente con la Siria, che aveva destabilizzato. Credo che noi dobbiamo attentamente guardare – lo dico senza cinismo e con realismo – al ruolo pericoloso, che la Turchia svolge, oggi, all'interno del Mediterraneo, oltretutto facendo parte della NATO.
Sulla vicenda libica, mi permetto di sottolineare, anche perché rimanga a verbale, che c'è stato uno degli errori più clamorosi da parte del Governo che vi ha preceduto. C'è stato uno schieramento ufficiale dalla parte di un governo, riconosciuto da parte della comunità internazionale, ma assolutamente non adeguato a rappresentare il territorio. Insomma, lo scenario in campo è chiaro e, oltretutto, abbiamo l'esempio dei nostri alleati storici, i francesi, che, da tempo, «trafficano» – mi passi il termine – politicamente con Haftar. Probabilmente anche la vicenda dell'Egitto e anche i contrasti tra Inghilterra e Francia in questo scenario potrebbero essere anche una chiave di spiegazione della vicenda tragica del nostro connazionale Regeni.
Tuttavia, senza fare illazioni, io credo che l'Italia debba svolgere un ruolo di mediazione tra Tripoli e quello di Tobruk, perché schierarsi mi sembra veramente pericolosissimo per la nostra presenza, non solo dell'Ambasciata, ma anche dei tanti italiani, che lavorano in aziende importanti e svolgono un'attività, che espone direttamente i nostri cittadini. Io, quindi, La invito caldamente a prendere, anche con quel piglio, che Lei ha citato, di ex ministro dell'interno, in mano questa situazione, perché la vicenda libica assolutamente potrebbe avere risvolti pericolosissimi.
Sulla vicenda relativa all'immigrazione, credo che la Sua attività, come l'esperienza assunta da Ministro dell'interno, debba spingere più che a forti pressioni, come Lei, anche legittimamente, ha detto dell'Africa centrale, a fare accordi internazionali per i rimpatri, relativamente agli stranieri clandestini e agli stranieri delinquenti, che stanno nelle nostre carceri o sono comunque in attesa di giudizio. Noi dobbiamo fare accordi seri con questi Paesi, perché si riprendano i delinquenti, anche con i dovuti ristori economici, affinché questi scontino nei loro Paesi di origine la pena che dovrebbero scontare in Italia.
Penso che una parola particolare dovrebbe avere la vicenda tunisina, un Paese a noi storicamente vicino, che deve essere aiutato seriamente, anche perché la questione è importante. Sulla vicenda israeliana, condivido il Suo punto di vista, anzi credo che noi, nell'ambito della politica di equilibrio ordinaria e storica dell'Italia sulla questione palestinese, non dobbiamo dimenticare che Israele è un alleato determinante Pag. 22 e strategico per l'Italia e che certamente non è pensabile ottenere la pace, se nell'ambito del governo palestinese attuale, quindi nell'organizzazione dell'Autorità Nazionale Palestinese, ci sono ministri che non riconoscono il diritto ad esistere di Israele. Credo che questo problema sia certo.
Sulla vicenda dei Balcani, condivido la Sua attenzione, ma ci sono state tante défaillance, per cui noi dobbiamo agire come Stato. Farò a breve un'interrogazione sulla vicenda della Macedonia e di Skopje, dove l'Italia viene vista come un Paese che ha cercato di fomentare un colpo di Stato. Ovviamente io spero che questo non sia vero, anzi penserei di escluderlo, ma credo che l'Italia debba intervenire – dico una banalità – sempre a favore di questi Paesi, che tradizionalmente guardano favorevolmente all'Italia, non certamente per intromettersi in vicende interne, ma per sostenere i processi di democrazia e di adesione all'Europa.
Penso che sugli italiani all'estero qualcosa in più si debba dire e fare. Sulla cultura italiana, qualcosa ha detto, ma si tratta di temi sicuramente importanti, che hanno risvolti di tipo economico.
Credo che anche la Cina rappresenti un partner soprattutto sulla cooperazione finanziaria e che l'Italia debba giocare anche un ruolo, che sia, non dico a se stante, perché sarebbe esagerato, dal momento che siamo nell'ambito dell'Unione europea e della NATO, ma avendo una propria chiara politica diplomatica nei confronti della Cina, perché è un partner sicuramente importantissimo. La ringrazio.
MARCO CAUSI. Ministro, La ringrazio per l'ampia ed esaustiva relazione. Mi permetto di suggerirLe un'importante attenzione da avere, nei prossimi mesi, ad alcuni temi di politica economica internazionale. Non credo che sarà facile capire che effetti avrà la «Trumpnomics», perché, in questo caso, siamo al di là di una tradizionale visione fra destra e sinistra, quindi le politiche economiche di Trump sono, da un certo punto di vista, anche insondabili e dovremo valutarle sul campo, anche in coordinamento ovviamente con il Ministro dell'economia e delle finanze e col Ministro dello sviluppo economico. Naturalmente noi abbiamo un tema di grande preoccupazione sui dazi doganali per cui, se Trump dovesse finanziare con una tassa sulle importazioni il suo programma di sgravi fiscali, l'Italia sarebbe uno dei Paesi più a rischio, anche rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea.
Poi, ci sono – e chiudo – alcuni dossier OCSE-G20, che sono stati avviati durante l'Amministrazione Obama e sorretti dall'Unione europea, come, per esempio, i dossier sulla fine del segreto bancario oppure sulla tassazione delle multinazionali, quindi su regole che impediscono alle multinazionali, in particolare nel campo dell'economia digitale, di spostare i profitti fra le varie giurisdizioni, che dovremmo fortemente difendere da eventuali ripensamenti dell'Amministrazione statunitense.
PIER FERDINANDO CASINI, presidente della 3a Commissione del Senato. Vorrei intervenire solo per recare il mio pieno consenso alla relazione del Ministro Alfano, che ha enucleato un disegno ideale politico coerente e in piena continuità con la nostra tradizionale politica estera, in una condizione descritta bene e di grande variabilità per il mondo. Penso che sulla sua politica si ritrovi non solo la maggioranza, ma un ampio consenso di forze parlamentari più largo.
Questa è la forza della politica estera italiana, che sulle grandi direttrici ha sempre saputo accomunare almeno gran parte dell'opposizione. Pertanto, capisco le critiche solo come una stantia riproposizione di posizioni all'interno del Parlamento di pura facciata esterna, perché francamente non ne capisco il costrutto.
Tra parentesi, sulle questioni complicate, il Ministro ha detto quello che pensiamo in gran parte tutti noi, cioè che con la Russia, in piena coerenza con i nostri alleati di sempre, che sono gli Stati Uniti d'America, bisogna cercare di superare le sanzioni. Io vado un po’ più avanti, perché non sono il ministro degli affari esteri, ma solo il presidente di una Commissione: ho la speranza di un miracolo, cioè che il G7 possa diventare G8 già da Taormina. Lasciamo Pag. 23 lavorare la diplomazia e io sono convinto che, anche se giustamente non lo viene a dire qui, il Ministro degli affari esteri era già all'opera.
Sulla priorità della politica mediterranea, condivido quanto detto perché il tema è fondamentale. Mi sono piaciuti anche i richiami storici alla frase di Moro, che veramente enuclea bene un nostro interesse nazionale, ma anche dell'Europa. Infine, lo ringrazio per il tema del Venezuela, che ha evocato. La prossima settimana, speriamo di poter realizzare in Senato un dibattito sulla situazione venezuelana. C'è la necessità che la Farnesina ci spieghi bene cosa intenda fare per adempiere alle direttive che il Ministro ha confermato qui, oggi, cioè di rafforzare la presenza diplomatica e consolare dell'Italia a Caracas proprio per aiutare i nostri connazionali. Esprimo, in questo momento, come membro del Parlamento italiano, la solidarietà ai parlamentari arrestati senza nessuna imputazione, anche in queste ore, in Venezuela, in dispregio di tutte le norme e del rispetto sacrosanto dei canoni democratici.
PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al Ministro per la replica.
ANGELINO ALFANO, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Ringrazio i parlamentari intervenuti e i presidenti delle Commissioni. Ho dieci minuti a disposizione e le domande sono numerosissime, per cui provo a mettermi in modalità «tweet».
Vorrei, prima di tutto, esprimere, a pochi giorni dall'anniversario della sua scomparsa, un pensiero commosso a Giulio Regeni. Credo che questa Commissione debba ricordare l'italiano, il ricercatore, l'appassionato di libertà. Dunque, questo pensiero commosso si unisce alla prosecuzione di un impegno di ricerca della verità, che non verrà mai meno e su cui è impegnato il nostro sistema giudiziario, nell'ambito di cooperazione che gli è proprio, e il nostro sistema diplomatico, dal punto di vista del lavoro e di ogni sforzo per raggiungere la verità.
Per quanto riguarda gli interventi, risponderò in ordine. L'onorevole Quartapelle ha sottolineato il mio riferimento alla continuità e la ringrazio di averlo percepito come un elemento essenziale della mia introduzione. Credo che la prospettiva del multilateralismo sia solida, connotata dall'aggettivo «efficace», cioè penso che noi dobbiamo dare sempre di più l'idea che quella dell'efficacia sia la strada giusta e lo dobbiamo ogni giorno dimostrare.
Per la sua particolare inclinazione al tema, vorrei dire all'onorevole Quartapelle di un mio desiderio. Noi abbiamo il Fondo per l'Africa, che è ingente, perché è di 200 milioni di euro; vorrei quindi lavorare insieme al Parlamento per renderlo il più fruttuoso possibile e per ricevere, anche da queste Aule, delle istanze e una visione strategica sul suo uso. A noi non manca la visione e ho provato a rappresentarla, ma siamo pronti a ogni forma di collaborazione.
L'onorevole Romani è assente, quindi sarò un po’ più sintetico nella replica. È chiaro che il bisogno e il desiderio di pace si esprimano attraverso concetti, come quello che io ho usato nei confronti dell'esercizio della forza militare. Il desiderio di pace non annulla la necessità dell'uso della forza, quando essa sia indispensabile, ma non si può annientare il desiderio di non usare la forza. L'onorevole Romani ha fatto una serie di domande molto specifiche sulla vicenda siriana, per cui faccio una proposta ai due presidenti di Commissione. Avremo settimane decisive sulla questione siriana in vista di Astana, quindi propongo, piuttosto che dare risposte spezzettate adesso e di rinvio a dopo, di venire a riferire sulle evoluzioni del post-Astana, se dovesse andare in porto l'evento di Astana. Peraltro, manderemo lì un inviato, che seguirà per nostro conto i lavori. Propongo, dunque, un mio riferire alle Commissioni.
All'onorevole Sibilia, che è assente, vorrei dire una cosa molto semplice: loro usano solitamente aggettivi nei miei confronti, ma io non posso ricambiare, perché sono stato prima Ministro dell'interno e adesso sono Ministro degli affari esteri, per cui mi appello alla clausola di reciprocità, perché loro sappiano che io penso di loro almeno quello che loro pensano di me, Pag. 24ovviamente con grandissimo rispetto per i milioni di loro elettori.
Seguendo l'ordine logico delle sue domande, riguardo alla seconda, sul ricucire i rapporti con gli Stati Uniti, posso dire che noi siamo una grande potenza. È inutile che ci giriamo attorno: presidenti del Consiglio di centrodestra avevano tifato per McCain, che ha perso, ed è capitato che un presidente di centrosinistra abbia fatto tifato per Clinton, ma Clinton ha perso. Non era cascato il mondo nelle relazioni con gli Stati Uniti allora, come non è cascato adesso. Non voglio fare io la difesa d'ufficio del Presidente del Consiglio Renzi, perché non lo è più, però ci sono precedenti in materia.
Per quanto riguarda le sanzioni alla Russia, che è un tema posto dall'onorevole Sibilia, ma anche da altri e, da ultimo, dall'onorevole Cirielli, che ringrazio per il tono e per il modo delle sue considerazioni. Il nostro ragionamento è molto semplice: per noi le sanzioni sono un mezzo e non il fine, per cui speriamo che vengano superate, ma, per farlo, c'è un accordo, che è stato fatto a Minsk. Ci sono gli Accordi di Minsk che vanno attuati e realizzati; noi dobbiamo tifare perché si risolva la questione con l'attuazione degli Accordi di Minsk e si superino le sanzioni, senza che vengano superate come con il salto con l'asta, ossia superando il livello di adempimento senza che, appunto, si proceda a realizzare quanto previsto negli Accordi di Minsk. Siamo fiduciosi; tant'è che esprimo lo stesso tifo del presidente Casini verso il superamento e verso la re-inclusione nel G7, o G8, della Russia.
Sulla NATO credo di essere stato molto chiaro e recepisco in pieno le considerazioni, che mi sembrano del tutto pertinenti, da parte del presidente Alli.
Su euro e Brexit, rispondendo sempre a Sibilia e, anche in questo caso, per tweet, posso dire che ormai ci sono due grandi emisferi in Europa, quello di chi l'Europa la vuole lasciare e quello di chi l'Europa la vuole cambiare, mentre è estinta la posizione di chi la vuole tenere così com'è. Noi apparteniamo all'emisfero di chi la vuole cambiare in meglio e non apparteniamo all'emisfero di chi la vuole lasciare, perché noi riteniamo che, fosse anche solo per la pace, valga la pena avere investito tutto di noi stessi nell'Europa. Questa è una fede ragionevole e concreta e non è cieca. Sotto quest'aspetto, in discendenza, c'è esattamente la nostra volontà di migliorare l'Unione, di rafforzare la Banca centrale e tutta una serie di cose, che, quando vorremo fare un dibattito specifico sull'Europa, verrò qui a illustrarvi. Come collocazione nell'emisfero, noi facciamo parte dell'emisfero di chi vuole migliorare l'Europa e la vuole cambiare, ma non di chi la vuole lasciare.
Poi è stato detto «democristianità», ma non lo ritengo offensivo, quindi non replico.
Ringrazio il senatore Compagna per alcuni riconoscimenti relativamente alla nostra posizione. In merito alla questione dei due Stati, abbiamo incontrato Abu Mazen, ma noi riteniamo un tesoro il fatto che Israele sia una grande democrazia collocata in quella parte del mondo, cioè un tesoro dal punto di vista del bene prezioso da difendere. Inoltre, pensiamo anche che nessuno sia esente da colpe, anche se si debba agire con equilibrio. Ci sono gli insediamenti e tutto il giudizio sugli insediamenti è risalente nel tempo, non dall'altro ieri. Al tempo stesso, però, i martiri non sono tali, ma terroristi. Voglio anche segnalare, perché sono stato dentro la vicenda di Parigi, quindi la conosco nel dettaglio, il cambio di tonalità di Netanyahu tra il prima e il dopo; prima c'è stata la considerazione rappresentata correttamente dal senatore Compagna e dopo c'è stata la telefonata Kerry-Netanyahu, in cui Netanyahu ha espresso, ai fini di un giudizio di merito sul documento, un cambio di tonalità nel parere. Il diritto a esistere di Israele, per quanto mi riguarda, è in re ipsa, per cui non ho bisogno di precisarlo.
Riguardo il tema del pilota automatico, Le assicuro che appunto l'assenza di pilota automatico ha consentito alla Farnesina e a noi di operare una mediazione operosa, perché il nostro – non è un gioco di parole – atteggiamento prima di Parigi, appunto la sera prima, quindi sabato notte, è stato quello di porre una riserva sul documento Pag. 25per com'era inizialmente formulato. L'ho detto anche domenica in televisione, poco prima della partenza per Parigi, e ringrazio il presidente Casini per avermelo ricordato. Condivido tutto quello che ha detto il presidente Cicchitto, ma soprattutto la sua conclusione. Siamo in campo aperto e non c'è nessuna rendita di posizione. Questo chiede leadership ed esercizio multilaterale, che poi, nel gergo italiano, vuol dire anche fare squadra tra Paesi, che hanno gli stessi valori e la stessa visione della libertà.
Ringrazio l'onorevole Palazzotto. A lui mi uniscono battaglie violente in Aula, ma la sua postura di politica estera lo fa...
PRESIDENTE. È più ecumenica...
ANGELINO ALFANO, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Esatto. Ringrazio molto di questo. Lei ha ragione, perché, appunto per la sua complessità, l'anno 2017 offre grandi opportunità, ma anche alcuni rischi da lei evidenziati. Così come anche sulla questione libica, condivido alcuni suoi giudizi relativamente ad alcuni aspetti sull'Est. Noi stiamo lavorando appunto sulla dimensione umanitaria e degli aiuti all'Est, per dire che l'Est è un interlocutore, perché c'è un popolo unico in Libia.
È evidente che, in quella sua considerazione, c'è anche il pezzo di ragionamento, che ho precisato io, sul fatto che in Siria c'era stato un vuoto e – è inutile girarci intorno – qualcuno l'ha occupato. Ora, se noi vogliamo lasciare un vuoto in Libia, perché qualcun altro lo occupi, la lezione della Siria sarà propagata anche in quella dimensione. Signori, se un'area del mondo lascia un vuoto, un'altra area del mondo lo occuperà; non c'è bisogno di consultare gli astri.
Sulla Russia e sulle sanzioni ho risposto, così come sulla questione delle immigrazioni bisogna lavorare sulla frontiera esterna e avere un rapporto, al tempo stesso di umanità e di rigore, nei confronti dell'Africa. Ci vuole la grande umanità della nostra cooperazione, ma anche quel rigore, che serve per dire «signori, ragioniamo con reciprocità».
Sulla Serbia, posso dirvi che ci andrò prestissimo. Ho fatto anche una visita a Pristina. Penso che quello di luglio sia un evento importante, perché abbiamo nel cuore assolutamente questo tema e vedremo tutte le iniziative che potremo assumere.
All'onorevole Alli ho già risposto poco fa, mentre all'onorevole Locatelli, che ha posto un aggregato complessivo di vicende di species sotto il genus dei diritti umani, posso dire che le considero tutte ragguardevoli. Io potrei fare un elenco, dal caso Provvisionato, con l'attivismo del presidente Cicchitto, al caso Regeni e alla questione turca, fino al nostro aver seguito la vicenda dell'avvocata Barbara Spinelli, tutte questioni che seguiamo costantemente. Anche in questo caso, vorrei offrire un assist ai presidenti e poi valuteranno loro: se noi, stralciando la questione sui diritti umani e altro, vogliamo fare un approfondimento di Commissione, io sono prontissimo. Inoltre, ciò che assicuro è di essere anche disponibile a un rapporto bilaterale di segnalazione di vicende, che dovessero emergere, perché la nostra Unità di crisi e la nostra struttura sono sempre serventi rispetto ai nostri connazionali all'estero.
L'onorevole Cirielli, oltre ciò che ha detto sulle sanzioni verso la Russia, poneva la questione turca, che a me pare molto importante. Anche sulla questione turca, noi dobbiamo essere chiari e vorrei richiamare una considerazione, che ho fatto nella mia introduzione, sul rapporto tra i grandi principi generali e il principio di realtà. C'è un nesso diretto tra la relationship, tra il sistema di relazioni dell'Europa con la Turchia, e il flusso dei migranti nella rotta balcanica. Noi siamo tra quelli che hanno detto «cari amici europei, non si è risolto tutto il tema delle migrazioni, perché voi avete fatto l'accordo con la Turchia», per cui noi vogliamo replicare con la Libia e con tutti gli altri Paesi con cui fosse o sia necessario un rapporto bilaterale per impedire il transito dei migranti. Questo è il bilanciamento, ma non ci porta, per converso, a dire «interrompiamo il nostro rapporto con la Turchia». Ci sono alcune questioni e, a Parigi, ho parlato con il collega Pag. 26Ministro degli esteri turco, con cui ho programmato un incontro. Quella potrà essere l'occasione anche per sottolineare con l'evidenziatore alcuni elementi, che sono venuti fuori da questo nostro dibattito.
Anche all'onorevole Cirielli dico che la questione balcanica per noi è fondamentale. La svolgiamo con una proiezione, che è quella classica italiana, di chi guarda al Mediterraneo non solo verso Sud, ma anche verso i Balcani. Credo che il nostro approccio ci possa dare una specificità, nonostante l'esercizio si chiami «Processo di Berlino», che, in questo anno, può essere uno dei nostri elementi di leadership nel processo complessivo europeo.
L'onorevole Causi mi ha sollecitato una cosa molto giusta, derivante anche dal mio deficit informativo, perché faceva parte del finale della mia relazione, cioè l'aspetto della politica economica internazionale e anche della diplomazia economica, che ho dovuto tagliare, perché mi ero forse soffermato troppo sulle parti precedenti. Lo rassicuro sul fatto che l'attenzione è enorme, anzi, tra gli indirizzi che ho dato alla Farnesina al mio arrivo, c'è stato quello di un'inclinazione ancora più intensa nella direzione della diplomazia commerciale, perché noi siamo un sistema e, nel fare sistema, la politica economica internazionale è un tema non di incrocio occasionale, ma è un epicentro essenziale della nostra attività di politica estera. Vi ringrazio.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Manciulli, la senatrice Giannini e l'onorevole Porta, che, rinunciando a parlare, cosa di cui mi dispiace molto, hanno consentito di chiudere la nostra audizione solo un po’ fuori tempo massimo. Chiedo scusa a loro, ma il vincolo non è mio e non è della Presidenza della Commissione.
Dichiaro chiusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.35.