Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconti stenografici delle audizioni

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Martedì 31 gennaio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, nell'ambito dell'esame congiunto della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio «Verso una politica commerciale solida per l'UE nell'interesse della crescita e dell'occupazione» (COM(2016) 690 final) e della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2016/1036 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di Paesi non membri dell'Unione europea e il regolamento (UE) 2016/1037 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da Paesi non membri dell'Unione europea (COM(2016) 721 final) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
Calenda Carlo , Ministro dello sviluppo economico ... 3 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 7 ,
Vallascas Andrea (M5S)  ... 7 ,
Vico Ludovico (PD)  ... 7 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 7 ,
Bombassei Alberto (CI)  ... 8 ,
Abrignani Ignazio , Presidente ... 9 ,
Vico Ludovico (PD)  ... 9 ,
Abrignani Ignazio , Presidente ... 9 ,
Calenda Carlo , Ministro dello sviluppo economico ... 9 ,
Abrignani Ignazio , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare-NCD-Centristi per l'Italia: AP-NCD-CpI;
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta civica-ALA per la costituente libera e popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 12.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, nell'ambito dell'esame congiunto della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio «Verso una politica commerciale solida per l'UE nell'interesse della crescita e dell'occupazione» (COM(2016) 690 final) e della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2016/1036 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di Paesi non membri dell'Unione europea e il regolamento (UE) 2016/1037 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da Paesi non membri dell'Unione europea (COM(2016) 721 final).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, nell'ambito dell'esame congiunto della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio «Verso una politica commerciale solida per l'UE nell'interesse della crescita e dell'occupazione» (COM(2016) 690 final) e della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2016/1036 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di Paesi non membri dell'Unione europea e il regolamento (UE) 2016/1037 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da Paesi non membri dell'Unione europea (COM(2016) 721 final).
  Do subito la parola al Ministro Calenda.

  CARLO CALENDA, Ministro dello sviluppo economico. Grazie, presidente. In materia di politica commerciale, come sapete, le posizioni tra gli Stati membri dell'Unione europea sono profondamente divise in due fronti quasi contrapposti, tra quanti sono più attenti agli interessi della manifattura, Italia compresa ovviamente, e quanti, ossia i cosiddetti «nordici», hanno sensibilità completamente opposte e molto più orientate all'importazione.
  Il tema della modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale, insieme a quello connesso del cosiddetto «riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato», riguarda un aspetto essenziale della politica commerciale. Quest'ultima persegue interessi offensivi, con gli accordi di libero scambio, e, dall'altro lato, difensivi, in particolare nei confronti dei comportamenti scorretti. Come sappiamo, aderendo al WTO, l'Unione europea prevede dazi solo in caso di comportamenti scorretti, quindi non dazi di natura protezionistica.
  Mantenere un quadro, nel quale il commercio internazionale si possa sviluppare in modo equilibrato ed equo e nel rispetto delle regole, è un interesse prioritario del nostro Paese. Nel 2015, le esportazioni italiane hanno totalizzato 414 miliardi di euro, Pag. 4mentre nel periodo gennaio-novembre 2016, cui risale l'ultimo dato disponibile, hanno raggiunto 380 miliardi di euro, con un incremento dello 0,7 rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente.
  Abbiamo un saldo positivo dell'interscambio pari a 45 miliardi di euro, ma dobbiamo considerare che questo include la parte energia, quindi, senza la parte energia, il saldo dei beni manifatturieri supera gli 80 miliardi di euro e in alcuni casi, con un conteggio strettamente legato ai beni industriali, sfiora i 100 miliardi. Si tratta del quinto surplus di beni manifatturieri nel mondo.
  Di fronte agli squilibri del commercio internazionale o al mancato rispetto delle sue regole, la risposta non può essere la chiusura o il protezionismo, ma un'azione forte, affinché gli squilibri scompaiano e le regole vengano rispettate. In caso contrario, le spinte protezionistiche potrebbero procurare un importante danno economico all'Italia, potenzialmente pari a quei 45 miliardi di euro di surplus, che non ci possiamo permettere di perdere.
  Fatte queste premesse, per quanto riguarda la modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale, la presidenza italiana dell'Unione europea, nel secondo semestre del 2014, ha compiuto un importante investimento politico per superare l’impasse del Consiglio europeo e cercare di rispondere in modo proattivo ed equilibrato alla posizione che il Parlamento europeo aveva assunto con il voto della plenaria dell'aprile 2014. Tale voto aveva chiuso la prima lettura su un testo, che era decisamente a favore delle industrie.
  La proposta di compromesso, che presentammo al Consiglio durante il semestre di presidenza, non rifletteva le nostre posizioni nazionali per intero, che erano più ambiziose e per certi aspetti molto più vicine a quelle del Parlamento europeo, ma era una proposta realmente di compromesso, che cercava di tenere in debita considerazione le diverse sensibilità presenti in Consiglio.
  Purtroppo, questo tentativo si arenò di fronte a un'opposizione ideologica e preconcetta di alcuni Stati membri, che hanno semplicemente rifiutato l'idea di rivedere comprimere parzialmente l'applicazione della cosiddetta «regola del dazio minore», anche nota come lesser duty rule.
  Per circa un anno, dopo il Consiglio commercio tenutosi sotto la presidenza italiana, il dossier è rimasto ai margini e solo la profonda crisi del settore europeo dell'acciaio ha riportato il tema della modernizzazione dei TDI (Trade Defence Instruments) al centro del dibattito. Ancora una volta, in occasione del Consiglio competitività straordinario del novembre 2015, l'Italia è stato uno degli Stati membri a spingere per riavviare il percorso di questo iter legislativo.
  Tuttavia, solo lo scorso ottobre, con l'adozione da parte della Commissione della Comunicazione «Towards a robust trade policy for the EU» del 19 ottobre e le successive conclusioni del Consiglio europeo del 21 e 22 ottobre, il dibattito in Consiglio ha ripreso effettivamente vigore.
  Purtroppo, nonostante la pressione politica e gli interessi economici in gioco che coinvolgono anche il posto di lavoro di molti cittadini europei, la posizione di alcuni Stati membri è rimasta ideologicamente ancorata al principio di non modificare le previsioni relative alla lesser duty rule. Tuttavia, questa regola non può essere considerata un principio intangibile, perché è una garanzia WTO-plus, quindi non obbligatoria, che numerosi e importanti partner internazionali, a iniziare dagli Stati Uniti, non applicano.
  Come sapete, il Coreper dello scorso 13 dicembre ha adottato la posizione del Consiglio, per la via del trilogo informale con il Parlamento europeo su questo dossier legislativo. Nel merito, la posizione assunta dal Consiglio è dal nostro punto di vista deludente. Per poter raggiungere la maggioranza qualificata, necessaria a ottenere il supporto di alcuni Stati membri libera, la Presidenza slovacca, che si trovava nelle condizioni di dover raggiungere a ogni costo un compromesso, anche per effetto della pressione rappresentata dalle conclusioni del Consiglio europeo, ha ceduto sul merito della proposta. Pag. 5
  Ad avviso del Governo italiano, il bilanciamento della proposta di compromesso non tiene conto degli interessi della manifattura europea. La proposta del Consiglio prevede alcuni elementi estremamente negativi: il rimborso dei dazi a scadenza, in caso di review negativa, e la cosiddetta «pre-disclosure», accompagnata da una non imposizione di dazi per un periodo di quattro settimane. Si tratta di elementi certamente negativi, che dovrebbero essere bilanciati dalla parziale disapplicazione della lesser duty rule. Tuttavia, la sua disapplicazione è estremamente limitata, perché è prevista solo in alcuni casi di distorsioni di mercato nell'utilizzo delle materie prime ed è vincolata a un sistema di soglie legato al costo di produzione (27 cumulative per tutte le materie prime e 7 per cento individuale) nonché sottoposta al superamento del test sull'interesse economico europeo, che potrebbe riguardare anche soggetti non direttamente interessati all'indagine antidumping. In altre parole, a fronte dell'introduzione di novità negative per l'equilibrio della proposta, che vanno a svantaggio della nostra industria manifatturiera rispetto alla situazione odierna, il possibile vantaggio è limitato, incerto e di difficile conseguimento. Per questa ragione, il Governo si è espresso contro la proposta di compromesso, anche in occasione della riunione conclusiva del Coreper del 13 dicembre. La posizione non è cambiata e non cambierà. Per restituire equilibrio alla proposta, è necessario che gli elementi negativi vengano ridotti, se non eliminati, e soprattutto che la disapplicazione della lesser duty rule sia qualcosa di concreto e fattibile per le nostre imprese. Questa è la posizione che stiamo veicolando ai nostri parlamentari europei e sarebbe opportuno che anche il Parlamento nazionale inviasse, qualora lo condivida, un analogo segnale ai nostri europarlamentari.
  Per quanto riguarda la questione del cosiddetto «riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato», il tema riguarda il venir meno, alla data del 12 dicembre 2016, di una parte del paragrafo 15 del protocollo di accessione della Cina all'OMC: il punto aii), che di fatto concedeva a tutti i membri dell'OMC di utilizzare automaticamente, fino a quella data, una metodologia non standard per calcolare il valore normale nelle indagini antidumping contro le importazioni cinesi.
  Premesso che il testo del paragrafo 15 è effettivamente redatto in modo non chiaro, nella nostra interpretazione la scadenza del 12 dicembre 2016 non comporta l'obbligo di utilizzare i prezzi e i costi cinesi per il calcolo del valore normale nelle indagini con metodologia standard, che equivarrebbe a quello che avviene abitualmente chiamato «riconoscimento dello status di economia di mercato».
  La Commissione, senza mai sollecitare un vero dibattito in Consiglio, aveva inizialmente immaginato di presentare una proposta, che, modificando il regolamento base antidumping, concedeva il MES alla Cina, o meglio consentiva l'utilizzo di prezzi e costi cinesi nelle indagini antidumping, limitandone gli effetti negativi con alcune marginali correzioni, le cosiddette «mitigation», in particolare con la grandfather clause, cioè un salvataggio delle misure in corso.
  L'Italia si è, sin dall'inizio, battuta – anche per prima e nel silenzio degli altri Governi europei – contro questa impostazione e contro questa eventuale soluzione, perché andava oltre gli obblighi previsti dal protocollo di accessione della Cina all'OMC e metteva a rischio milioni di posti di lavoro in Europa.
  Grazie alla mobilitazione dell'industria, del Parlamento europeo e delle forze sociali di alcuni Stati membri, a cominciare dall'Italia, la Commissione ha, all'inizio 2016, da prima rallentato il percorso del dossier sul MES (Market Status Economy) della Cina, avviando finalmente una valutazione di impatto e aprendo una consultazione pubblica. Successivamente, la Commissione ha modificato la traiettoria che aveva impresso all’iter legislativo.
  La soluzione individuata nella proposta presentata dalla Commissione lo scorso 9 novembre rappresenta un cambiamento notevole rispetto alle intenzioni iniziali, che erano quelle di riconoscere, di fatto, il MES. Lo testimonia il fatto che, immediatamente Pag. 6 dopo la scadenza del 12 dicembre, la Repubblica Popolare Cinese ha chiesto l'avvio di una consultazione con l'Unione europea e anche con gli Stati Uniti, primo passo per un ricorso al sistema di risoluzione delle controversie dell'OMC.
  Essere riusciti a evitare che la Commissione proponesse semplicemente un indebito riconoscimento del MES alla Cina è stato un primo importante risultato. Tuttavia, ci troviamo ora a confrontarci con una nuova proposta, che andrà opportunamente discussa in Consiglio e con il Parlamento europeo, per apportare le necessarie modifiche.
  Il primo punto da sottolineare, a prescindere dal contenuto della proposta della Commissione, è che chiaramente la Cina non è un'economia di mercato. Lo stesso Esecutivo europeo lo ha ripetuto in più di un'occasione e non era scontato lo facesse alla luce della posizione assunta inizialmente. Fatta questa premessa, posso dire che la proposta della Commissione innova in modo radicale l'impostazione finora seguita dal regolamento base antidumping. A oggi, il regolamento contiene una distinzione tra Paesi a economia di mercato e Paesi non a economia di mercato, appositamente elencati, per i quali è escluso l'utilizzo della metodologia cosiddetta «normale». Questa distinzione, con la proposta della Commissione, viene meno, perché la proposta prevede una distinzione tra Paesi membri dell'OMC, cui si applica la metodologia di calcolo standard, e Paesi non membri dell'OMC, cui si può applicare la metodologia di calcolo del Paese analogo.
  Inoltre, è previsto che, per i Paesi, inclusa la Cina, appartenenti all'OMC, che presentino significative distorsioni di mercato, si possa adottare una metodologia di calcolo diversa, basata su un paniere di costi internazionali e simile a quella in uso negli Stati Uniti. Come indicato dalla stessa Commissione, si tratta di una soluzione country neutral, nella quale la Cina è equiparata a qualsiasi altro membro dell'OMC.
  Da parte nostra, avremmo preferito una soluzione che comportasse semplicemente l'applicazione di quella parte del paragrafo 15 del protocollo di accessione della Cina all'OMC, che è rimasta in vigore dopo il 12 dicembre 2016. Ciò avrebbe garantito la piena rispondenza del regolamento base antidumping al quadro normativo dell'OMC, evitando al contempo il riconoscimento del MES alla Cina.
  Questo rimane il nostro obiettivo principale, ma occorre essere chiari: il risultato dipenderà degli equilibri che si consolideranno in Consiglio e nel Parlamento europeo, in un percorso legislativo solo agli inizi.
  In ogni modo, quand'anche si dovesse restare nell'alveo della proposta della Commissione, questa dovrà, a nostro giudizio, essere radicalmente rivista. Il paragrafo 15 del protocollo di accessione deve diventare base giuridica della proposta. Non si tratta di singolarizzare la posizione della Cina, ma di applicare un atto internazionale, che ha valore giuridico e che resta in vigore. I criteri di valutazione per misurare la presenza delle significative distorsioni di mercato devono coincidere con i noti cinque criteri, che l'Unione europea si era data per valutare se in Cina sussistessero o meno le condizioni di mercato.
  Il ruolo del rapporto macro-economico della Commissione, che deve certificare la presenza delle distorsioni, va chiarito. La procedura di adozione deve essere semplice e non lasciare margini di discrezionalità. Il rapporto non deve essere una facoltà della Commissione, come sembra sia nella proposta normativa, ma un obbligo. Deve essere, infine, chiaramente indicato che la presenza del rapporto della Commissione è condizione necessaria e sufficiente a che le distorsioni siano acclarate, per evitare ogni rischio di inversione dell'onere della prova sulle spalle dell'industria europea. Il sistema deve essere, per quanto possibile, non contendibile.
  In altre parole, i servizi giuridici della Commissione devono preventivamente svolgere un'accurata analisi sulla tenuta del sistema, anche per quanto riguarda la metodologia di calcolo, tenendo presenti le decisioni già assunte dall'OMC e dalla stessa Corte di giustizia europea sulla metodologia del cost adjustment. Sul tema è comunque necessario un coordinamento con i Pag. 7nostri principali partner internazionali, come abbiamo chiesto prima che la proposta della Commissione europea venisse presentata. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA VALLASCAS. Grazie, presidente. Vorrei porre due domande. La prima riguarda il fatto che la Commissione europea ha imposto un dazio antidumping su alcuni prodotti dell'industria siderurgica cinese. Com'è stato scritto anche in alcuni articoli di giornale, i produttori italiani avrebbero lamentato appunto il tentativo di triangolazioni con Paesi terzi, quali Taiwan, Malesia e Indonesia, quindi c'è il segnale di un affinamento delle strategie per aggirare le misure di controllo. Vorrei sapere se noi, come Paese, in questo caso, siamo preparati ed eventualmente quali revisioni, a livello di normativa europea, si possano pensare.
  L'altra domanda è legata al fatto che il nostro Paese è coinvolto in forti interessi da parte di investitori stranieri, in particolar modo da quelli cinesi. Tant'è vero che, nel 2014, l'Italia è stata al primo posto, tra i Paesi dell'eurozona, per investimenti cinesi, quindi questa situazione potrebbe rendere, secondo me, il nostro tessuto produttivo più vulnerabile. La domanda è: questa situazione potrebbe rendere il nostro tessuto produttivo più vulnerabile di fronte alle pratiche di dumping? In sostanza, in una condizione in cui alcuni settori sono interdipendenti, quanto possono essere efficaci le misure adottate? Grazie.

  LUDOVICO VICO. Signor Ministro, ci ha offerto un quadro molto preciso e utile. I lavori che abbiamo finora svolto, sia nelle audizioni sia nelle discussioni in Commissione, mi fanno riflettere ulteriormente sullo stato di difficoltà che la situazione presenta. Questa materia importante, da lei, tra l'altro, sostenuta con una coerenza che le fa onore, riguarda gli strumenti di difesa commerciale, non la lotta alla contraffazione, come qualcuno può pensare. Quest'ultima riguarda altre questioni altrettanto importanti, che non riguardano le problematiche che stiamo esaminando in questa sede.
  Io osservo, su base informativa, che la nostra posizione è già debole rispetto al Consiglio. In qualche modo, avevamo un sostegno polacco-francese, che temo si stia anche indebolendo, da questo punto di vista. Poi, ci sono le preoccupazioni, che lei ci ha riferito oggi, su quella che potremmo chiamare «mediazione-bis», per cui mi fa piacere che abbia ribadito che non siamo d'accordo.
  Questo ci pone nella condizione di dover capire quali azioni portare avanti, in attesa del prossimo Consiglio e della fissazione della data, che non so se sia stata fissata o meno, nei singoli Stati, a partire dal Parlamento italiano, per il quale accolgo positivamente anche il suggerimento che ci ha reso. Mi chiedo se a livello di parlamenti, tempo consentendo, non fosse opportuno anche uno scambio di opinioni bilaterale con i Paesi che già avevano convenuto, ma anche con gli altri. È interessante capire la posizione dei tedeschi e del Benelux, anzi si tratta della cosa più interessante da questo punto di vista: per ragioni fondamentali che fanno il paio con gli impianti siderurgici, per come sono sistemati, e ovviamente con l'industria. Mi sono permesso solo delle osservazioni, perché i lavori sono stati molto interessanti e sono d'accordo con lei, se ho interpretato bene, che serve una iniziativa del Parlamento italiano, assumendo la posizione del Governo in questa sede, attraverso la sua relazione. Grazie.

  GIANLUCA BENAMATI. Il relatore ha già illustrato con chiarezza molti punti e ha espresso le nostre perplessità su questa comunicazione della Commissione europea, quindi non mi voglio dilungare oltre su questi aspetti.
  Anche noi apprezziamo il fatto che alcune delle osservazioni enucleate nell'ambito della discussione su questa comunicazione vengano non solo condivise, ma anche portate avanti dal Governo italiano. Nello specifico, credo che sul tema noi dobbiamo fornire un parere, che è il punto di vista del Parlamento sulla posizione europea Pag. 8 espressa nella comunicazione all'attenzione di questa Commissione, quindi mi pare di poter dire, sentite anche le parole del relatore, che la proposta di documento finale che ci accingiamo a votare sicuramente conterrà indicazioni circa l'opportunità di mantenere questi criteri di distinzione tra economie di mercato e economie non di mercato, distinzione che sostanzialmente in questa comunicazione, come bene diceva il Ministro, risulta essere affievolita e lasciata anche ad una certa discrezionalità di valutazione da parte della Commissione.
  Credo anche che il tema che dovremo trattare, come diceva sempre il relatore, sia quello di rimuovere la regola del dazio minore, ripristinando metodologie di calcolo differenti e precedentemente utilizzate e lasciando la prova in carico all'esportatore del suo comportamento. Queste ritengo siano questioni assolutamente vitali per la nostra economia. Inoltre, vi faccio notare che vi è anche la necessità di indicare, fra i famosi cinque criteri (più volte evocati) per la determinazione della tipologia di economia, anche un criterio che riguardi il dumping sociale, quindi l'aspetto di tutela e protezione del lavoro, oltre agli altri criteri.
  Mi pare che noi abbiamo, in questo momento, una forte convergenza, almeno per quanto riguarda il mio Gruppo, come emerge delle parole del relatore, anche se le parole del Gruppo esprimono assolutamente la posizione del Governo, cui diamo atto di essersi mosso in modo chiaro, nell'ambito delle differenti posizioni europee espresse da parte di Paesi totalmente produttori e Paesi importatori e di transito: il modo con cui si svilupperà il dibattito, quindi, per noi è certamente importante.
  Su quest'aspetto, oltre a chiederle come valuta l'inserimento di clausole che facciano perno anche sul dumping sociale, le vorrei porre una questione più generale per sapere se questo confronto all'interno della Commissione non possa e non debba, oggi, essere rinforzato, anche alla luce di quello che sta succedendo in ambito mondiale.
  Vediamo che la più grande economia di mercato, gli Stati Uniti, intende utilizzare l'arma dei dazi in maniera molto forte, come strumento di politica industriale, anche a tutela delle proprie produzioni. A questo riguardo, noi non crediamo che questa sia la via da perseguire assolutamente più giusta, però, in questo momento, una posizione dell'Europa, come quella definita da questa comunicazione, non solo rischia di essere penalizzante, ma a breve potrebbe anche risultare anacronistica. Allora, anche su quest'aspetto vorremmo una sua valutazione. Non siamo coloro che vogliono usare i dazi per fare guerre commerciali, ma riteniamo importante che anche questi metodi efficienti di valutazione e di risoluzione degli squilibri, che esistono, si debbano, usare con saggezza. Credo che la Commissione e l'Unione europea non possono non tenere in considerazione, specialmente in questo momento storico, questa contingenza e queste ragioni. Vorrei, anche su questo punto, conoscere la sua opinione.

  ALBERTO BOMBASSEI. Credo che questo argomento sia diventato ancora più di attualità sul tema dell'acciaio. L'argomento riguarda certamente anche altri prodotti, ma credo che l'interesse prevalente sia quello di salvaguardare soprattutto il nostro sistema di produzione dell'acciaio.
  Ho due domande da porre al Ministro Calenda, che mi sorgono spontanee. Dovremmo, per logica, avere da parte della Germania un partner con un interesse parallelo al nostro, quindi dovrebbe difendere gli stessi interessi. In realtà, abbiamo visto che la posizione quantomeno è spigolosa o equivoca, in questo senso. La domanda è: perché ci sono interessi tedeschi prevalenti in Cina, che si devono in qualche modo salvaguardare, o ci sono altre ragioni? Io credo che, se non lo facciamo noi, attraverso la politica italiana, che mi sembra chiara, ma deve essere molto più decisa, dovremmo trovare ovviamente degli alleati in Paesi industriali, come appunto la Germania o magari la Francia o gli stessi Paesi anche dell'est della Polonia e dell'ex Cecoslovacchia, che ormai sono diventati Paesi industriali a tutti gli effetti, in modo che questi siano almeno degli alleati corretti Pag. 9nell'ambito di proposte e situazioni come quella in cui ci troviamo. Grazie.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
IGNAZIO ABRIGNANI

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Vico, che mi sembra sia l'ultimo commissario a intervenire, vorrei fare anch'io una domanda, che avevo in mente da prima e che è un po’ più di carattere politico, anche perché lei, che frequenta molto questa Commissione, sa che questi sono gli argomenti principali di cui ci occupiamo.
  Noi non possiamo negare che, al di là di tutto il resto, una vera e propria politica industriale europea non esiste: una politica energetica europea è invocata da tanto tempo, ma non esiste. La domanda rivolta al Ministro è: esiste una politica europea nel settore della difesa dal dumping o, ancora una volta, al di là di quello che dice il Consiglio o che dice il Parlamento, gli Stati vanno ognuno per la propria strada e ognuno si deve difendere con i propri mezzi? Riusciremo, almeno in questo settore, a pensare alla possibilità di avere una politica europea comune?

  LUDOVICO VICO. Vorrei porre semplicemente una domanda formale al Ministro, ai fini dell'audizione e dei lavori che abbiamo svolto fino a questo momento, dopo la sua relazione e le relative conclusioni. Desidero sapere se alla nostra rappresentanza permanente a Bruxelles è stato conferito da parte del Governo e del suo Ministero, ovvero a coloro che seguono i negoziati, il mandato preciso di cercare una strategia comune con gli altri partner. La mia, credo sia una domanda molto semplice, che spero apprezzerà.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Calenda per la replica.

  CARLO CALENDA, Ministro dello sviluppo economico. Parto dalla questione su Taiwan e triangolazioni. In realtà, non serve nessuna normativa, perché le triangolazioni sono, dal punto di vista giuridico, non consentite, quindi si tratta di monitorare quello che accade e verificarlo, ma non deve essere fatta una normativa ad hoc. Esiste il principio della regola delle origini, che determina dove il prodotto è fatto, quindi un'eventuale triangolazione dovrebbe essere esclusa, a meno che non ci siano veri e propri illeciti. Ora, su quest'aspetto, ovviamente noi, ogni volta che l'industria nazionale ci chiede un intervento di monitoraggio da parte della Commissione, lo facciamo, ma vi ripeto che questo accade nell'ambito della prevenzione di fenomeni «illegali» e non della necessità di un regolamento ad hoc.
  Il secondo elemento è molto più strategico e riguarda gli investimenti stranieri, in particolare cinesi. In merito, mi fa piacere informare la Commissione che, con il Vicecancelliere tedesco Gabriel, stiamo lavorando a una bozza di proposta da sottoporre alla Commissione europea, per rafforzare i poteri di golden power, connessi agli acquisti di aziende strategiche da parte di Paesi, in particolare parte di Paesi che non sono economie di mercato.
  Non prevedo che questa proposta abbia una vita facile, anche per le ragioni dette prima. Tuttavia, questo rafforzamento, a nostro avviso, è – stiamo cercando la convergenza anche francese – assolutamente necessario, in particolare nel caso di aziende acquisite. Io sono fautore del fatto che gli investimenti stranieri in Italia vengano fatti da tutti i Paesi, non solo da quelli di mercato, ma anche da quelli non di mercato, però ci sono casi in cui può essere a rischio un trasferimento di tecnologia, quindi, al di là dei settori «riservati» alla golden power, oggi, in particolare con un processo di rivoluzione industriale in corso, bisogna, a nostro avviso, codificare altri settori, che, pur non appartenendo a quelli della difesa dell'energia, delle reti eccetera, sono settori sensibili, in particolare quelli che detengono tecnologia proprietaria.
  In merito, il nostro Governo si è mosso con quello tedesco – lo ripeto – in un percorso che sarà accidentato. In realtà, come dicevo nella mia relazione, c'è, oggi, una spaccatura profondissima in Europa, Pag. 10tra Paesi nordici e Paesi produttori, ma anche all'interno degli stessi Paesi produttori, perché la Germania ha, di fatto, come probabilmente l'onorevole Bombassei sa persino meglio di me, due anime nella propria industria. C'è un'anima ancorata alla produzione, quindi ha l'interesse di preservarla e difenderla, non dalla pura competizione, ma da quella scorretta. Poi, c'è un'altra anima che, invece, è molto più orientata all'importazione, ovvero che importa e trasforma, il che rappresenta la differenza tra produzione e trasformazione. Quest'aspetto, nel rapporto con la Germania, si sente moltissimo, infatti, quando noi discutiamo di una convergenza con i tedeschi, molto spesso, emergono anime diverse e non è detto che sia quella più industrialista a prevalere sempre.
  Fatto sta che, come ricordavo prima, il Governo italiano è stato il primo e, per un lungo periodo, l'unico a prendere una posizione formale contro il riconoscimento dello status di economia di mercato. Inoltre, questa posizione era condivisa da una parte degli altri Paesi, che, però, si sono tenuti un po’ indietro. Questo ci ha consentito un risultato molto importante, cioè la prima versione della modifica al regolamento base antidumping, che era un riconoscimento del MES, con sostanzialmente una grandfather clause per salvare le misure esistenti, e su cui la Commissione aveva fatto una fuga in avanti già a giugno. Tuttavia, questa è stata bloccata, quindi, oggi, ci muoviamo su un terreno di maggiore ragionevolezza.
  Per quanto riguarda la rappresentanza permanente, avendola casualmente frequentata per qualche mese, posso dire che il raccordo è sempre molto forte e che lavoriamo sia sul piano bilaterale che su quello multilaterale, attraverso la rappresentanza e i contatti diretti con gli Stati membri.
  Di nuovo, posso dire che sul regolamento antidumping non è facile applicare la lesser duty rule, perché, per esempio, la posizione tedesca è stata leggermente più aperta, ma, quando eravamo in Presidenza italiana, i tedeschi erano molto chiusi sulla lesser duty rule e continuano a esserlo. Lo dico perché, soprattutto nella parte in cui si definiscono le percentuali, questa versione della lesser duty rule, a nostro avviso, si rivelerà, di fatto, inapplicabile, quindi la battaglia deve essere fatta, a nostro avviso, soprattutto in Parlamento. In Consiglio, i margini sono abbastanza stretti, perché paradossalmente quelli che, insieme con noi, hanno votato contro sono i Paesi nordici, che non la vogliono per niente.
  Riteniamo, però, che su queste materie non valga tanto il ragionamento di dare un segnale politico, purché ci sia, perché, essendo materie molto tecniche, il segnale politico non conta niente, nel momento in cui poi il regolamento non è efficace nel combattere il dumping, quindi abbiamo deciso di tenere una posizione ancorata al merito, che porteremo avanti nei prossimi mesi.
  In tal senso, una cosa molto importante, per quanto riguarda lo status di economia di mercato, è, come diceva l'onorevole Benamati, l'ancoraggio ai cinque criteri. Non vogliamo che ci sia una discrezionalità tale della Commissione, per cui ci sia un riconoscimento de facto del MES. Non lo vogliamo, tanto più in una fase della storia, in cui – mi ricollego alla questione più ampia sull'assetto delle relazioni economiche e internazionali – il rischio di una cosiddetta trade diversion, cioè del fatto che gli Stati Uniti applichino dazi, già oggi sono molto più alti, che potrebbero spostare flussi verso di noi, com'è successo con l'acciaio, diventa davvero molto forte.
  Sul dumping sociale, io sono molto favorevole, anzi penso che la nuova generazione di accordi che l'Unione europea si accinge o sta negoziando, che sono più di venti, dovrà includere un riferimento più forte di quello fatto fino a oggi, che è sostanzialmente generico, al dumping sociale ambientale. Questa è sicuramente una nuova fase della globalizzazione, che richiede un'assertività maggiore nelle relazioni bilaterali con i Paesi. In merito, stiamo facendo un lavoro ad hoc in Italia per presentarne uno un po’ più definito alla Commissione europea e al Consiglio.
  Una politica industriale europea non c'è, perché un pezzo dei Paesi nordici, per l'appunto considera, l'espressione «politica Pag. 11industriale» come una parolaccia e, per essere molto franchi, la Commissione europea su questo punto ha fatto davvero poco. È stato fatto un po’ di più sul tema dell'energia, mentre la situazione del tema del commercio è molto diversa. I Paesi non possono andare per conto loro, in quanto c'è un vincolo di competenza esclusiva dell'Unione europea, tale per cui la manifestazione del volere dei Paesi si svolge in Consiglio, quindi, oggi, non possiamo difenderci come Italia o come Germania o come Francia, perché o ci difendiamo collettivamente o non ci difendiamo.
  Concludo su questo punto della difesa. Noi dobbiamo, al di là di quelle che saranno le scelte dell'amministrazione americana, considerare, prima di tutto, i dazi di protezione tout-court dell'industria nazionale sganciati da un comportamento scorretto. Essendo contrari alla normativa WTO, bisognerà vedere cosa faranno gli Stati Uniti, perché, se impongono dazi di quel tipo, la loro permanenza al WTO è dubbia. In tal senso, potete rendervi conto che stagione della storia stiamo vivendo, perché il WTO è una delle istituzioni che, seppure ha preso vita dopo, è stata immaginata a Bretton Woods, cioè è uno degli assi portanti della governance mondiale immaginata dagli americani, quindi questa è una stagione ancora per molti versi da chiarire.
  C'è un dato, però, da ricordare, al di là delle diverse posizioni. Gli Stati Uniti sono in una condizione molto diversa dalla nostra, per i motivi che menzionavo prima, cioè noi abbiamo un amplissimo – e ancora di più l'Europa – surplus commerciale, mentre l'America ha un deficit. È nel nostro interesse poter continuare a esportare ma, siccome credo sia evidente che l'imposizione di dazi sganciati da comportamenti scorretti genera, nella controparte, un analogo comportamento uguale e contrario, c'è il rischio di vedersi i mercati chiusi alle proprie merci.
  La linea del Governo italiano, quindi, è molto intransigente nella difesa dai comportamenti scorretti dell'industria nazionale ed europea ma, allo stesso tempo, è molto attenta a non passare il confine del protezionismo. Questo accade non per ragioni ideologiche, ma per ragioni molto concrete: il protezionismo danneggerebbe, in primo luogo, il made in Italy, che è stata, in questi anni difficilissimi, una delle nostre fonti di crescita. Vi ricordo che l'anno scorso, ma probabilmente anche quest'anno, anche se lo sapremo quando acquisiremo l'ultimo dato, c'è stato il record assoluto di export italiano, quindi noi dobbiamo stare molto attenti. Detto questo, per concludere, vorrei dire che il quadro è in fieri, perché ovviamente, come spiegavo prima, la posizione degli Stati Uniti cambia completamente lo scenario. Inoltre, la loro posizione, in questo momento, non è ancora chiara fino in fondo, anche nelle sue conseguenze sul sistema della governance degli scambi.
  Il Governo italiano, su questa situazione, manterrà una vigilanza molto ampia ed elevata. Abbiamo il prossimo al Consiglio informale, se non sbaglio, a La Valletta, di cui non ricordo esattamente la data, e torneremo su tutti questi punti. Comunque, un raccordo con gli Stati Uniti d'America, in particolare riguardo alla questione del MES alla Cina, era importante ieri e diventa fondamentale oggi, perché non possiamo pensare di essere quelli che unilateralmente disarmano, sempre – lo ripeto – nei confronti di comportamenti scorretti e mai nei confronti della normale concorrenza e competizione. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro Calenda per la replica esauriente e completa.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.45.

Pag. 12