Sulla pubblicità dei lavori:
Gelli Federico , Presidente ... 2
Audizione del Prefetto Franco Gabrielli, Capo della Polizia, Direttore generale della Pubblica Sicurezza:
Gelli Federico , Presidente ... 2
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 3
Gelli Federico , Presidente ... 9
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 9
Gelli Federico , Presidente ... 12
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 12
Gelli Federico , Presidente ... 13
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 13
Gelli Federico , Presidente ... 15
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 15
Gelli Federico , Presidente ... 15
Rondini Marco (LNA) ... 15
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 15
Rondini Marco (LNA) ... 16
Fontana Gregorio (FI-PdL) ... 16
Dambruoso Stefano (CI) ... 17
Patriarca Edoardo (PD) ... 17
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 18
Patriarca Edoardo (PD) ... 18
Gelli Federico , Presidente ... 18
Patriarca Edoardo (PD) ... 18
Gelli Federico , Presidente ... 18
Brescia Giuseppe (M5S) ... 18
Carnevali Elena (PD) ... 19
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 19
Carnevali Elena (PD) ... 19
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 19
Carnevali Elena (PD) ... 19
Gelli Federico , Presidente ... 20
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 20
Brescia Giuseppe (M5S) ... 23
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 23
Brescia Giuseppe (M5S) ... 23
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 23
Gelli Federico , Presidente ... 23
Rondini Marco (LNA) ... 23
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 23
Gelli Federico , Presidente ... 24
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FEDERICO GELLI
La seduta comincia alle 13.35.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla Web-tv della Camera dei deputati.
Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Dispongo pertanto l'attivazione dell'impianto.
Ove necessario, anche su richiesta di un commissario, ovvero del prefetto Gabrielli, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
Al riguardo, per assicurare la massima fluidità al dibattito pubblico, prego i colleghi di riservare eventuali quesiti da sviluppare in sede riservata alla parte finale della seduta.
Audizione del Prefetto Franco Gabrielli, Capo della Polizia, Direttore generale della Pubblica Sicurezza.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del prefetto Franco Gabrielli, capo della Polizia e direttore generale della pubblica sicurezza, che ringrazio per aver accettato il nostro invito.
Il 20 gennaio 2015, la Commissione aveva ospitato il suo predecessore, il prefetto Alessandro Pansa. Lei stesso è intervenuto presso questa Commissione, ma in ragione di un altro incarico, nella seduta del 18 giugno 2015.
La Commissione ha avuto modo di ascoltare recentemente il ministro Minniti, lo scorso 22 febbraio, il quale ci ha illustrato le linee generali del suo mandato e del suo intervento anche sul tema dei migranti.
Essendo le Camere impegnate nella conversione del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, ossia il decreto-legge volto all'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e al contrasto dell'immigrazione illegale, la Commissione non può non cogliere l'occasione per una sua valutazione del provvedimento.
In particolare, vorrei ricordare, avendo approvato una propria relazione in tema di hot spot – signor prefetto, ovviamente gliela farò recapitare se non avesse ancora avuto modo di consultarla – la nostra Commissione si è organizzata attraverso filoni di attività e di indagine che riguardano diversi profili. Uno di questi è stato proprio il lavoro svolto nei sopralluoghi, nelle ispezioni, nell'attività di gestione dei quattro hotspot presenti. Abbiamo elaborato una relazione, che è stata poi inviata al Parlamento e al ministro.
Un altro filone, su cui stiamo lavorando proprio in questi giorni, riguarda le vicende di «Mafia Capitale» del CARA di Mineo. Un gruppo di lavoro sta lavorando al testo di una relazione al Parlamento.
Un altro ancora è sui minori stranieri non accompagnati, altro argomento di grande sensibilità e di grande impatto, in maniera particolare con le ricadute che sulle comunità locali e sulle amministrazioni comunali questo può avere. Pag. 3
Stiamo, inoltre, portando avanti un altro gruppo di lavoro sulla sanità e l'assistenza sanitaria dei migranti.
Grazie ai nostri collaboratori – ringrazio per la collaborazione della Polizia di Stato, che, attraverso il vostro ufficiale di collegamento, ci permette di integrare il lavoro con le altre Forze dell'ordine – stiamo anche facendo un lavoro di monitoraggio, che abbiamo deciso di effettuare a campione sui centri maggiormente impegnativi presenti nel nostro territorio nazionale, che possa aiutare ad avere una pronta visione di quello che accade nel nostro Paese e non ad arrivare, come spesso purtroppo accade, a vicenda conclusa o registrata dagli organi di stampa o dalla comunicazione formale.
Relativamente al tema degli hotspot, alla disciplina del fotosegnalamento e alla disposizione in base alla quale, in caso di rifiuto reiterato del cittadino straniero di sottoporsi a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici, si può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza per i rimpatri (uno dei nuovi soggetti, così definito dal decreto) per il tempo strettamente indispensabile, e comunque per un tempo massimo di 30 giorni, ritiene che questa disposizione sia sufficiente a fornire una base giuridica alle attività effettuate presso gli hotspot?
Questa è una prima domanda. Ovviamente, gli altri colleghi dopo il suo intervento proporranno, eventualmente, altri quesiti.
Il decreto contiene anche alcune disposizioni sulla disciplina delle espulsioni: i centri di identificazione ed espulsione vengono appunto ridenominati, come si diceva, «centri di permanenza per il rimpatrio», e viene prolungato il termine massimo di trattenimento presso questi centri dello straniero precedentemente detenuto presso strutture carcerarie per almeno 90 giorni.
Ai 30 giorni già previsti vengono aggiunti ulteriori 15 giorni previa convalida dell'autorità giudiziaria nei casi in cui risultino particolarmente complesse le procedure di identificazione, come avevamo detto, o quelle di organizzazione del rimpatrio.
Intorno a queste questioni più puntuali ruota poi la generale questione della sicurezza legata al tema dell'accoglienza e dei migranti. L'argomento si può estendere nel modo che lei riterrà più opportuno.
Prima di cedere la parola al prefetto Gabrielli, avverto che lo accompagnano il dottor Stefano Gambacurta, direttore dell'ufficio per l'amministrazione generale del Dipartimento della pubblica sicurezza, e la dottoressa Paola Mannella, direttore dell'ufficio legislazioni e affari parlamentari e dell'ufficio per l'amministrazione generale del Dipartimento della pubblica sicurezza.
Ringrazio il prefetto Gabrielli e, anche al fine di dare ordine al dibattito, come sempre darò la parola prima a un esponente per ogni gruppo e poi anche a tutti gli altri.
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Presidente, onorevoli commissari, consentitemi di esordire con un ringraziamento per l'occasione che mi viene offerta di sviluppare un focus sugli sforzi che le componenti dell'amministrazione della pubblica sicurezza dispiegano quotidianamente per garantire un controllo sui flussi migratori, rispettoso non solo degli obblighi che ci provengono dal diritto unionale, ma anche dei diritti fondamentali di un'umanità sofferente.
Il signor ministro dell'interno, come ricordava lei, presidente, il 21 febbraio scorso presso la Commissione ha già fornito un'esauriente panoramica sulle iniziative anche di carattere legislativo varate dal Governo per affrontare l'ulteriore evoluzione di un fenomeno che ormai da tempo non possiamo considerare più come transitorio e passeggero.
Si tratta, piuttosto, di un fattore strutturale di questa fase storica, aperta dalla caduta del muro di Berlino, che ha visto – sono dati di una rilevazione ONU del 2015 – raddoppiare le correnti migratorie provenienti dai Paesi meno sviluppati, fino a superare il tetto complessivo degli 80 milioni di persone. È la stessa rilevazione a sottolineare come la popolazione in movimento a livello mondiale possa essere stimata in 240 milioni di persone, circa un Pag. 4terzo delle quali, oltre 76 milioni, ospitato in Europa.
Le crisi e i conflitti di questi ultimi anni hanno amplificato quest'onda lunga, riportando il bacino del Mediterraneo al centro di una rinnovata via di fuga dai Paesi meno sviluppati, aprendo nuove rotte ai flussi dei migranti.
La Primavera araba, con le situazioni di instabilità da essa indotte nell'area del Nord Africa e del Medio Oriente, rappresenta – è quasi banale dirlo – uno dei fattori che più di altri ha permesso di aprire spazi per movimenti incontrollati di popolazioni verso il vecchio continente. A ciò si è aggiunto quasi contestualmente un allentamento dei controlli sulle frontiere da parte dei Paesi della fascia subsahariana, che ha incrementato la pressione migratoria sull'area del Maghreb e del Nord Africa, dando vita a nuovi flussi, che si sovrappongono a quelli originati dai Paesi rivieraschi.
Alla base di questo fenomeno stanno sicuramente fragilità, frequentemente ricorrenti in questa zona, oggetto di attenzione anche da parte dei cartelli dei narcos sudamericani, che vi intravedono un terreno favorevole per sviluppare nuovi e meno controllati canali del traffico di droga verso l'Europa.
In parallelo, si sono diversificate anche le vie lungo le quali si sviluppano le correnti migratorie che si muovono verso il nostro continente. A parte la rotta balcanica, tutte le altre direttrici gravitano sul bacino del Mediterraneo e sul suo attraversamento da diversi punti.
La via del Mediterraneo occidentale punta sulla Spagna, passando attraverso l'area del Maghreb. Quella del Mediterraneo orientale parte, invece, dalla Turchia e ha come meta di arrivo la Grecia, la Bulgaria e Cipro. La rotta oggi più frequentata, però, è quella del Mediterraneo centrale, che dall'Africa occidentale si snoda attraverso il Niger, il Mali e la Libia, e in misura minore l'Egitto, per puntare verso il nostro Paese.
È soprattutto attraverso questa via che, dal 2014 e fino alla fine dello scorso mese di febbraio, sono giunti in Italia, dopo «viaggi della speranza» estremamente pericolosi e travagliati, più di 505.000 migranti, ad un ritmo costantemente crescente. Solo lo scorso anno, gli stranieri sbarcati sulle nostre coste o soccorsi in mare dal dispositivo navale dispiegato, sono stati più di 181.000, un numero che supera del 24 per cento quello registrato nel 2015. Anche quest'anno, il trend è abbastanza significativo, anche se su questo consentitemi di fare una parentesi.
Leggo allarmate rappresentazioni sull'aumento del 74-75 per cento rispetto ai dati dell'anno scorso. L'esperienza ci insegna che un periodo così breve non è molto significativo. L'anno scorso, ad esempio, nello stesso periodo avevamo registrato un decremento e poi abbiamo avuto un'esplosione in un altro periodo. Non mi innamorerei, quindi, delle fotografie che ci consegnano i brevi periodi. Registriamo un trend crescente e registriamo – credo il dato più significativo che interessa anche questa Commissione – che la Libia continua a rappresentare, a causa della nota situazione interna, il ventre molle della cintura nord-africana, tanto che nel 2016 l'82 per cento delle persone arrivate nel nostro Paese proveniva da quel contesto.
La via libica è gestita da network criminali, verosimilmente autonomi tra loro, non di rado legati a formazioni integraliste di matrice islamica, con complicità nelle formazioni militari e paramilitari attive in Libia. Tali organizzazioni delinquenziali si avvalgono, per il trasporto di migranti, di una manovalanza solo in minima parte di nazionalità libica. Lo dimostra la compagine etnica dei 770 scafisti arrestati nello scorso anno, il 58 per cento dei quali è composto da soggetti provenienti da Egitto, Gambia e Senegal, mentre solo il 15 per cento è di nazionalità libica.
Di contro, i flussi migratori che utilizzano i porti egiziani sono di entità meno considerevoli e sono composti in prevalenza da cittadini dei Paesi del Corno d'Africa.
Attraverso il canale egiziano, gestito da sodalizi criminali con forti legami con le popolazioni beduine del Sinai, sono giunti in Italia 12.766 stranieri, un numero che, seppure di dimensioni più contenute, è Pag. 5comunque superiore al dato del 2015 del +15 per cento.
Infine, su grandezze numeriche più contenute, sono in aumento anche gli stranieri che partono da basi in Tunisia in Algeria.
La rotta balcanica, dopo l'accordo del 18 marzo 2016 tra Unione europea e Turchia, con la contestuale chiusura delle frontiere terrestri di alcuni Stati membri, si sviluppa soprattutto via mare, secondo percorsi che partono dalla Turchia e dalla Grecia, con transiti in Macedonia, in Montenegro, per poi attraversare l'Adriatico in direzione dell'Italia.
Lungo questa via sono giunti sulle nostre coste circa 3.700 migranti, un numero comunque in aumento rispetto a quello del 2015, quando gli stranieri transitati da quella rotta erano stati 2.471.
Il traffico dei migranti su questa direttrice è gestito da organizzazioni criminali transnazionali, che operano con tecniche più raffinate. Si inquadra in questo contesto il ricorso per il trasporto anche a velieri, yacht e gommoni oceanici, condotti da skipper reclutati tra le marinerie del Mar Nero, soprattutto ucraini (44 degli scafisti di questa nazionalità arrestati nel 2016 a fronte dei 21 del 2015).
Un'analisi globale dei dati rilevati dalle dichiarazioni rese dai migranti subito dopo gli sbarchi o soccorsi in mare, evidenzia anche i mutamenti dei luoghi di provenienza dei flussi migratori.
Il 2016 ha, infatti, segnato una forte contrazione degli arrivi da Paesi come la Siria (-84 per cento), la Somalia (-41 per cento) e l'Eritrea (-48 per cento), segnati da feroci conflitti interni o, nel caso dei due Paesi del Corno d'Africa, dalla dissoluzione delle strutture statuali.
In realtà, i flussi più consistenti provengono soprattutto dai Paesi dell'Africa subsahariana e centro occidentali, tra i quali spiccano la Nigeria (37.536 arrivi), il Gambia (11.928), la Costa d'Avorio (12.384), il Senegal (10.322) e l'Egitto (4.212); per quanto concerne l'Asia, dal Bangladesh (7.933).
Si tratta di Paesi che, in linea di principio, generano correnti migratorie derivanti da motivi di natura economica, anche se le particolari condizioni di instabilità che si registrano in taluni di essi non consentono, ovviamente, di escludere che i driver siano legati a situazioni di pericolo di persecuzioni. È il caso della Nigeria, dove le violenze esercitate in alcuni distretti dai gruppi islamisti legati all’Islamic State, quali il famigerato Boko Haram, contribuiscono ad alimentare i flussi in uscita.
Colgo l'occasione per riferire che, nonostante le vie di transito dei migranti attraversino territori spesso controllati da gruppi jihadisti o connotati da scenari di guerra, non emergono oggi riscontri a ipotesi di infiltrazione o tentativo di infiltrazione terroristica da parte di gruppi del radicalismo islamico. Raramente, peraltro, sono stati segnalati soggetti sospetti dai migranti.
Questa dinamica si spiega, verosimilmente, con il fatto che le rotte dell'immigrazione che passano attraverso il Mediterraneo centrale sono particolarmente controllate già al largo delle coste italiane e sono quindi meno attraenti per potenziali terroristi. Sono oggetto, comunque, di particolari attenzioni investigative le rimesse in denaro effettuate dall'Italia in favore di soggetti non sempre identificati, localizzati in zone di Siria, Somalia e Libia, dove sono in corso scontri con gruppi e milizie ispirati al radicalismo islamico. Anche in questo caso, però, le evidenze raccolte non corroborano ancora legami con il terrorismo.
La lotta alle reti dei trafficanti di esseri umani resta, comunque, una delle priorità dei nostri apparati di law enforcement, come testimoniano le 58 operazioni di particolare rilievo condotte dalla Polizia di Stato nel corso del 2016. Cito soltanto per la sua importanza l'operazione «Glauco 3» della squadra mobile di Palermo, culminata, il 4 luglio 2016, nell'arresto di 23 persone, che ha consentito di disarticolare un ramificato network, composto soprattutto da eritrei. L'organizzazione è risultata dedita a una pluralità di attività illecite, tra le quali anche il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, il traffico internazionale di stupefacenti e il riciclaggio.
In questo contesto di indagine, è risultato decisivo il contributo fornito da un collaboratore di giustizia eritreo, che ha permesso di ricostruire l'architettura dell'agguerrita Pag. 6 consorteria. L'analisi dei dati investigativi raccolti dimostra come i sodalizi stranieri non abbiano intessuto fino ad oggi stabili legami con le mafie «storiche» italiane per la gestione di queste attività illecite.
Esistono, comunque, indicazioni che vengono attentamente monitorate di possibili interessi della delinquenza organizzata pugliese, che potrebbe sfruttare anche le relazioni strette per il contrabbando con gruppi dell'area anatolico-balcanica.
Anche le mafie su base etnica non sembrano disporre di reti criminali stabili specificamente dedite al traffico dei migranti. Nondimeno, sono state acclarate attività illecite da parte di spezzoni di questi clan, che vedono un crescente coinvolgimento di cittadini libici.
La direttrice del Mediterraneo centrale non è solo la più affollata, ma anche la più pericolosa per i migranti che vi si avventurano. L'assoluto disprezzo per la vita umana dei sodalizi criminali che gestiscono il traffico, insieme all'impiego di imbarcazioni in condizioni fatiscenti, impiegate in condizione di sovraccarico, formano un cocktail micidiale che espone ogni traversata a un rischio di naufragio estremamente alto. Lo testimoniano le stime dell'UNHCR, secondo cui nel 2016 i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo sarebbero stati 4.734, a fronte di 390 corpi recuperati, e 220 nello scorso mese di gennaio, 9 i corpi recuperati.
Si ascrive a merito del nostro Paese – e mi piace in questa sede ricordarlo – l'essersi fatto carico per primo e da solo, salvo un contributo della Slovenia, di quest'emergenza umanitaria con l'operazione «Mare Nostrum», che ha rappresentato la start-up degli interventi organici di soccorso in mare, una linea d'azione diventata parte integrante della strategia dell'Unione europea, che ne ha fatto una delle direttrici principali del programma di azione immediata definito dall'agenda del 13 maggio 2015.
Anche sulla scorta di questi indirizzi, sono attualmente tre le iniziative di pattugliamento delle acque del Mediterraneo: dal marzo 2015, infatti, è attiva l'operazione «Mare sicuro» della Marina militare, il cui dispositivo, nell'ambito di una più ampia missione di tutela della sicurezza marittima, assicura la protezione dei mezzi nazionali impiegati in attività di soccorso, e attua misure volte a prevenire il reimpiego dei natanti utilizzati per il trasbordo illecito dei migranti.
A questa iniziativa di carattere nazionale si aggiungono le operazioni congiunte «Triton», coordinata dall'agenzia Frontex, e «EUNAVFOR MED», attivata nell'ambito delle politiche PESC dell'Unione, delle quali l'Italia ospita le relative strutture di coordinamento e comando.
L'operazione «Triton», in particolare, cui partecipano 27 Paesi e la cui durata è stata già prorogata al gennaio del prossimo anno, ha un accentuato carattere multifunzionale. I suoi obiettivi, infatti, si muovono in un disegno di rafforzamento del controllo delle frontiere e di supporto nella gestione dei flussi migratori. Tornerò in seguito sul contributo che, nell'ambito di quest'operazione, viene fornito dal nostro Paese per la gestione delle procedure di identificazione presso gli hotspot dei migranti nonché sul piano investigativo.
Mi preme qui, però, sottolineare come uno degli assi portanti dell'operazione sia rappresentato dall'assistenza tecnico-operativa nelle attività di ricerca e soccorso in mare dei migranti.
Su questo versante «Triton» impiega oggi 11 assetti navali (6 italiani, 2 maltesi, uno di Francia, Portogallo e Norvegia) e 4 assetti aerei (2 maltesi, uno italiano e uno danese), che contribuiscono al pattugliamento del corridoio del Mediterraneo centrale, allargato fino a comprendere le acque circostanti la Puglia, nell'intento di prevenire possibili partenze da Albania e Montenegro.
Il dispositivo agisce secondo linee operative in base alle quali i migranti soccorsi in mare vengono trasferiti in Italia o a Malta nel caso in cui l'intervento sia avvenuto nelle acque territoriali o nella zona contigua di quel Paese. Nei porti maltesi vengono, invece, trasferite le imbarcazioni lasciati alla deriva dagli scafisti per la loro successiva distruzione da parte delle competenti Pag. 7 autorità al fine di evitarne la riutilizzazione in altri trasbordi illeciti.
L'iniziativa EUNAVFOR MED, iniziata nel 2015, attualmente prorogata fino a luglio di quest'anno, ha visto gradualmente incrementare i suoi compiti. Dopo una prima fase focalizzata sul contrasto delle reti dei trafficanti di migranti attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento in alto mare, il mandato è stato esteso, in conformità alla risoluzione ONU n. 22/40 del 2015, alla possibilità anche di procedere in acque internazionali al fermo, all'ispezione, al sequestro e al ri-dirottamento delle imbarcazioni sospettate di trasportare illegalmente i migranti.
È questa la missione EUNAVFOR MED Sophia, che in futuro dovrà conoscere un'ulteriore evoluzione, che consentirà anche di intercettare i natanti sospettati di essere adibiti a trasbordi illegali nelle acque territoriali, conformemente al consenso prestato dallo Stato costiero interessato.
In attesa che questa prospettiva si perfezioni, a EUNAVFOR MED è stato anche attribuito il compito di garantire l'osservanza dell'embargo sulle forniture di armi alle milizie libiche e di sviluppare, con il concorso di Frontex, programmi di addestramento in favore della Guardia costiera libica.
Il dispositivo della missione – composto da 6 assetti navali d'Italia (2 le unità della Marina militare), Francia, Germania, Spagna e Regno Unito – vede la presenza a bordo delle diverse unità di ufficiali di collegamento delle nostre Forze di polizia e opera in stretto raccordo con Frontex, secondo intese dirette a superare i possibili profili di sovrapposizione.
Tali intese, peraltro, estendono anche alle navi impiegate nell'ambito di EUNAVFOR MED le procedure operative di cui ho detto per lo svolgimento di eventuali interventi di search and rescue e prevedono la possibilità per i battelli italiani impiegati in tale contesto di eseguire interventi di polizia secondo le linee guida impartite sin dal 2015 della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.
Parallelamente all'intervento umanitario in mare, l'altro caposaldo della strategia europea è l'adozione di un nuovo modello di accoglienza e di controllo dei migranti.
Il sistema si muove all'interno di una cornice di obiettivi condivisi che puntano ad assicurare una più efficace gestione delle frontiere, a disincentivare l'immigrazione irregolare e a realizzare una politica comune di asilo forte, capace di garantire la protezione a quanti ne hanno diritto, scongiurando i possibili abusi.
La declinazione di questi obiettivi nel contesto dell'emergenza Mediterraneo è l'adozione del cosiddetto approccio hotspot, incentrato sull'individuazione di punti di crisi dove è più forte la pressione migratoria e sull'adozione di procedure operative in grado di armonizzare i diversi interventi da attuarsi in occasione degli sbarchi da parte sia delle nostre autorità sia delle agenzie europee.
Si tratta di un metodo che mira a sviluppare in maniera coordinata diversi filoni di azione, da quello del primo soccorso sanitario alla corretta e tempestiva identificazione dei migranti, alla possibilità di avviare le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, fino ad eventuali ricollocazioni e rimpatri.
Sulla base di questa direttrice d'azione, nel nostro Paese sono stati realizzati, come è noto, quattro hotspot (Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto), per una capienza complessiva di 1.600 posti, mentre altri due dovrebbero essere attivati a Messina e a Mineo entro la fine del corrente mese di marzo.
Le località sede di queste strutture sono, naturalmente, la destinazione privilegiata dove vengono trasportati i migranti soccorsi in mare. Tuttavia, l'attuale capacità ricettiva ha consentito di assorbire nei punti di crisi una percentuale non maggioritaria degli stranieri (29,1 per cento), mentre oltre il 70 per cento di questi sono condotti in altri porti, dove vengono attuate le prescritte procedure anche di identificazione.
Solo quando non è possibile realizzare un trasferimento a terra per piccoli gruppi, i migranti vengono trasferiti presso le questure per lo svolgimento degli adempimenti finalizzati al primo accertamento dell'identità Pag. 8 e allo svolgimento delle altre attività amministrative.
L'approccio hotspot è stato oggetto di critiche anche da parte di ONG, che hanno sostenuto la mancanza di un'adeguata base normativa.
Si potrebbe osservare che queste strutture, per il loro carattere multitasking, hanno fin dall'inizio assolto a compiti che nel nostro sistema venivano espletati nelle diverse strutture di gestione dell'immigrazione. Non mi dilungo sul tema, se non per annotare che sia il regolamento della Guardia di frontiera e costiera europea sia il «pacchetto immigrazione» varato dal Governo e all'esame delle Camere hanno fornito un espresso riconoscimento della funzione dei punti di crisi, superando ogni dubbio anche di natura nominalistica.
Come ho già accennato, l'altro fattore di novità introdotto in attuazione dell'agenda europea è l'adozione di nuove Procedure Operative Standard, che abbracciano l'intera filiera degli interventi da attuarsi in occasione degli arrivi dei migranti sia presso gli ospedali sia presso gli altri porti alternativi.
Le linee guida, messe a punto congiuntamente dal mio Dipartimento e dal Dipartimento delle Libertà civili (con i contributi di Frontex, Europol, EASO nonché di UNHCR e OIM), sono in vigore ormai da oltre un anno e prevedono sin dall'inizio un attivo coinvolgimento proprio di queste ultime agenzie di organizzazione, coinvolgimento che anche per la sua ampiezza è una garanzia di rispetto dei diritti dei soggetti che versano in particolari debolezze, contributo che a dire il vero comincia ancor prima della fase di gestione operativa degli arrivi.
Mi riferisco alla partecipazione di relatori della Commissione europea, dell'UNHCR e dell'OIM ai seminari organizzati dal ministero per preparare gli operatori che a vario titolo intervengono nelle attività destinate a svolgersi nei punti di crisi.
Nella fase susseguente gli sbarchi, l'UNHCR e l'OIM intervengono subito dopo il triage medico, eseguito nell'immediatezza dello sbarco, non solo per contribuire all'identificazione dei migranti ma anche per fornire da subito una corretta informazione sull'esercizio del diritto di asilo. Durante la permanenza, inoltre, i rappresentanti dell'UNHCR forniscono informazioni strutturate sulle procedure da seguire per il riconoscimento della protezione internazionale nonché sui diritti e doveri delle persone in ingresso.
Aggiungo che il personale dell'EASO assiste i richiedenti asilo rientranti nel programma di relocation, che vengono indirizzati su un canale dedicato. Del pari, i funzionari di Frontex ed Europol partecipano in veste di osservatori e componenti dei vari team alla susseguente fase dei controlli personali di sicurezza che le nostre Forze di polizia effettuano sui migranti e sui loro effetti personali, nel rispetto dei diritti fondamentali e delle esigenze di carattere investigativo eventualmente evidenziatesi.
Colgo l'occasione per precisare che, nell'ambito dell'operazione «Triton», partecipano alle operazioni che si svolgono negli hotspot e negli altri punti di sbarco complessivamente 649 operatori di altri Paesi. Le attività svolte da questo personale spaziano dallo svolgimento delle interviste e dei debriefing all'interpretariato e a compiti di supporto di varia natura.
L'aspetto delle nuove procedure che da alcune parti ha suscitato voci critiche riguarda soprattutto il momento dell'identificazione, a cominciare dagli adempimenti preliminari, consistenti nella compilazione, da parte dei migranti, di un foglio notizie. Mi sembra, tuttavia, che questi giudizi negativi siano infondati.
Il foglio notizie non è altro che un questionario semplificato, in cui si richiede allo straniero di indicare, oltre alle proprie generalità e nazionalità, il luogo di partenza del suo viaggio verso l'Italia e i motivi che lo hanno indotto a lasciare il Paese d'origine. Quest'adempimento si inserisce nello screening preliminare, cui contribuiscono anche appositi team composti da esperti stranieri sotto la supervisione italiana, attivati nell'ambito dell'operazione «Triton», cui ho fatto cenno.
La compilazione del modulo è propedeutica alla successiva fase di accompagnamento Pag. 9 al fotosegnalamento e, in ogni modo, non precostituisce posizioni giuridiche né impedisce al migrante di avanzare, in un tempo successivo e con maggiore calma, la richiesta di protezione internazionale, evidenziando motivi e circostanze non indicate nel foglio notizie.
Proprio in considerazione di questa possibilità, sono previsti e garantiti meccanismi che consentono di rinviare lo straniero al personale degli uffici immigrazione operanti negli hotspot o nei porti di sbarco anche al momento del fotosegnalamento o dei rilievi fotodattiloscopici.
Anche sulle procedure con le quali vengono svolti questi rilievi sono state manifestate critiche, soprattutto perché collegate all'obbligatorietà per tutti gli sbarcati di età superiore ai 14 anni del rilevamento delle impronte digitali.
A tale riguardo vorrei dire che la doverosità dell'esecuzione di queste attività è sancita direttamente dal diritto dell'Unione e, in particolare, dal Regolamento n. 603 del 2013, entrato in vigore il 20 luglio 2015, istitutivo del sistema Eurodac. È lo stesso regolamento a fissare il termine di 72 ore per il completamento di quest'operazione.
Peraltro, dell'obbligo di sottoposizione al cosiddetto fotosegnalamento i migranti vengono puntualmente informati dal personale di Polizia e dagli esperti di Frontex con l'aiuto dei mediatori culturali. Da questo punto di vista, il trattamento dello straniero non è diverso da quello a cui viene sottoposto il cittadino italiano sprovvisto di documenti sulla base di una norma, l'articolo 4 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che, sebbene risalente a un'epoca di autoritarismo, è sempre stata ritenuta coerente con il quadro costituzionale.
L'obbligatorietà dei rilievi, del resto, è ribadita anche dall'articolo 17 del decreto-legge Immigrazione, che sta esaminando il Parlamento, che considera il rifiuto a sottoporsi ai rilievi come sintomatico del rischio di fuga, che legittima il trattenimento nei centri per il rimpatrio. Tali atteggiamenti, tuttavia, risultano in forte diminuzione rispetto al passato e riguardano solo il 3 per cento dei migranti sbarcati.
Mi sembra, quindi, che si possa fare giustizia delle molte critiche rivolte al nostro sistema di gestione dell'immigrazione, giunte anche al punto di ipotizzare l'esistenza di casi di tortura ai danni di quanti si rifiutano di acconsentire al rilievo delle impronte digitali.
Se mi consente, presidente, vorrei andare in riservata.
PRESIDENTE. Passiamo in seduta segreta.
(I lavori della Commissione proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. A quanti sostengono questa tesi desidero ricordare che le operazioni di fotosegnalamento vengono videoregistrate secondo una logica di trasparenza che credo abbia pochi eguali in Europa. Mi sembrano anche significativamente rassicuranti le conclusioni espresse nel rapporto steso dall'Agenzia europea per i Diritti fondamentali in ordine alle due visite effettuate nel settembre 2016 presso i punti di crisi di Pozzallo e Taranto.
Pur evidenziando la necessità di alcuni miglioramenti, l'Agenzia ha sottolineato, oltre al generale miglioramento dei servizi, una serie di positività riguardanti il trattamento dei portatori di vulnerabilità, la cooperazione tra i vari attori presenti negli hotspot e, appunto, le procedure di rilevamento delle impronte digitali. Il punto di crisi di Pozzallo è stato, in particolare, considerato un esempio di best practice che potrebbe essere ripreso anche da altri Paesi, come la Grecia, che sono il front end dei flussi migratori.
Al di là di questo, credo che dobbiamo abbandonare l'illusione che l'obbligo del rilevamento delle impronte digitali possa essere eluso o bypassato. Non debbo ricordare i richiami che proprio l'Unione europea ci ha rivolto e le conseguenze cui l'Italia andrebbe incontro in caso di inadempimento, in un momento in cui si cerca di costruire, sia pure con qualche fatica, un Pag. 10sistema di gestione comune dell'emergenza mediterranea.
Da questo punto di vista, vorrei sottolineare come, rispetto anche al recente passato, siano stati compiuti notevoli passi in avanti, che ci pongono assolutamente in linea con gli impegni europei.
Nel 2016, infatti, più del 97 per cento dei migranti giunti nei punti di crisi e più del 95 di quelli sbarcati nei porti individuati come destinazione alternativa è stato fotosegnalato, un andamento confermato anche dai primi dati di quest'anno: al 1° febbraio scorso è stato fotosegnalato il 100 per cento delle persone sbarcate maggiori di 14 anni.
Apro una parentesi per riferire che anche le attività di identificazione degli stranieri detenuti in vista della successiva espulsione al termine della pena hanno fatto registrare un andamento positivo grazie al protocollo definito nel 2015 dal mio Dipartimento con l'amministrazione penitenziaria.
La fluidificazione delle attività realizzatasi con quest'atto di intesa ha consentito, dal 1° gennaio 2016 al febbraio di quest'anno, di identificare in carcere 802 stranieri, in maggioranza cittadini marocchini (241), tunisini (173), albanesi (104), riducendo di conseguenza i transiti nei centri per il rimpatrio.
Torno alle procedure dell'approccio hotspot per evidenziare che, al termine del fotosegnalamento, tutti i richiedenti la protezione internazionale vengono trasferiti nel più breve tempo possibile negli hub regionali, per poi essere avviati verso i centri di accoglienza individuati dalle prefetture. Solo coloro che non hanno manifestato la volontà di richiedere questo status ricevono, sulla base di una valutazione caso per caso, il provvedimento di respingimento o di espulsione e vengono trasferiti nei centri per i rimpatri, ovvero ricevono l'intimazione ad allontanarsi dallo Stato entro sette giorni.
Anche questo è un aspetto sul quale si sono appuntate critiche, che sottolineano come questi provvedimenti restino ineseguiti a causa della fragile condizione in cui versano i destinatari e siano all'origine di zone grigie esposte a diverse forme di sfruttamento. Tornerò a breve su questi problemi, affrontandoli insieme al più ampio tema dell'effettività delle misure espulsive.
Mi preme qui sottolineare come resti imprescindibile continuare a perseguire la ricerca di intese sempre più strette con il Paese di immigrazione. È questa una via fortemente caldeggiata dall'agenda europea e ribadita anche dal Consiglio GAI del 20 maggio 2016, da cui è scaturito un invito all'Unione europea a lanciare un piano di cooperazione e supporto finanziario in favore della Libia e degli altri Paesi a più forte vocazione migratoria.
La linea è confermata anche dalla Commissione europea nel piano presentato il 2 marzo scorso, nel quale vengono indicate una serie di direttrici strategiche. Si tratta del cosiddetto «Migration compact», che la Commissione ha fatto proprio individuando progetti di dettaglio, i «mini compact», dedicati a Niger, Nigeria, Senegal ed Etiopia.
Le iniziative avviate, sulle quali è stato fatto un punto di situazione nell'ottobre dello scorso anno, sono ancora in via di perfezionamento. In quest'ambito, un filone particolare riguarda l'avvio di programmi volti a rendere più incisiva la cooperazione con gli organi di polizia dei Paesi di immigrazione, superando le problematicità che ancora oggi sussistono.
L'obiettivo è sviluppare un'azione strategica di lungo periodo capace di innalzare il livello di preparazione degli apparati di law enforcement dei Paesi di origine e di transito dei flussi, migliorandone le capacità di prevenzione e repressione.
Si tratta di una prospettiva che, evidentemente, non può essere perseguita dal singolo Stato e della quale, infatti, si è fatta carico l'Unione europea con il programma «Better migration management» (BMM), presentato nel dicembre 2015 e inserito nel processo di Khartoum, di cui l'Italia è uno degli stakeholder.
Il BMM, di durata triennale, assegna un ruolo decisivo alla Polizia di Stato nella costruzione di una cultura specialistica di polizia giudiziaria, scientifica e di frontiera in una serie di Paesi dell'Africa centrorientale Pag. 11 (Sudan, Sudan del Sud, Kenya, Etiopia, Somalia, Eritrea, Gibuti e Uganda).
A ciò si aggiungono gli accordi di riammissione, che la stessa Unione europea ha stipulato con 17 Paesi, tra i quali anche quelli dell'Europa orientale, cui si aggiungeranno altri 5 analoghi strumenti, al momento in fase di negoziazione, con Bielorussia, Cina, Marocco, Tunisia e Algeria.
La via degli accordi di riammissione è, del resto, uno degli architravi storici della politica italiana di gestione dell'immigrazione, che continua a essere praticata nonostante le difficoltà dello scenario internazionale post-Primavera araba.
Nel corso degli anni, sono stati 30 gli accordi siglati, di cui 17 con Stati membri dell'Unione e 13 con Paesi terzi. A questi si aggiungono le intese stipulate dal mio Dipartimento con gli omologhi organi di law enforcement dei Paesi a forte vocazione migratoria. Attualmente, i memorandum conclusi sono 11 e sono, inoltre, in corso i contatti per la negoziazione di analoghe intese con le autorità di Bangladesh, Costa d'Avorio, Ghana, Pakistan e Senegal.
Si tratta di intese di natura squisitamente tecnico-operativa e, come è pacifico nel nostro ordinamento, possono essere stipulate a un livello infra-governativo, in quanto non implicano scelte di natura politica, ma si limitano a misure di fluidificazione di procedure già contemplate dall'ordinamento.
Quasi sempre questi strumenti prevedono ampie concessioni da parte italiana di aiuti anche in forma di assistenza tecnica, forniture di mezzi e attività formativa destinate o specificamente mirate all'agevolazione del rimpatrio o a una più ampia collaborazione di polizia. È proprio in quest'ultimo contesto che si inquadra il recente e tanto contestato accordo con il Sudan.
Colgo l'occasione per precisare che questo memorandum of understanding si inserisce nelle attività del processo di Khartoum, cui ho fatto cenno, e si riferisce allo sviluppo di forme di cooperazione di Polizia per il contrasto di una vasta gamma di forme di criminalità, quali il contrabbando delle armi, il traffico degli stupefacenti, i reati informatici e il riciclaggio. La lotta alla tratta e al traffico di migranti è, dunque, solo uno degli argomenti toccati dall'accordo.
Come è noto, quest'iniziativa è stata fatta oggetto di critiche a seguito del rimpatrio di un gruppo di cittadini sudanesi con un volo in partenza dall'aeroporto di Torino il 24 agosto dello scorso anno. Il caso ha riguardato 47 cittadini sudanesi, 25 dei quali provenienti da quello che all'epoca si chiamava CIE, di Taranto, e già destinatari di provvedimenti di espulsione regolarmente convalidati, e altri 22 rintracciati il precedente 22 agosto a Ventimiglia, per i quali venivano subito avviate le previste procedure di identificazione e di allontanamento coattivo dal territorio nazionale.
Nel corso di tali procedure, sia in sede di intervista sia in sede di giudizio di convalida, ciascuno dei 22, benché informato di tale possibilità, esprimeva la volontà di non richiedere asilo politico. Il 24 agosto, quindi, l'intero gruppo veniva accompagnato a Torino, ma solo 40 venivano imbarcati su un volo charter per Khartoum. Gli altri 7, per i quali non era stato possibile reperire un posto a bordo, venivano trasferiti e trattenuti presso il CIE torinese.
Come di prassi, al momento dell'ingresso in questa struttura, è stato loro consegnato l'opuscolo informativo sui propri diritti e doveri e il successivo 26 agosto, durante l'udienza di convalida del trattenimento, due di essi esprimevano la volontà di richiedere la protezione internazionale, formalizzando la relativa richiesta il 28 agosto successivo. Nei giorni seguenti, anche i restanti cinque decidevano di presentare un'analoga richiesta.
Aggiungo che tutti questi cittadini sudanesi hanno ottenuto in tempi diversi lo status di protezione internazionale, ovviamente nelle sue forme più o meno lasche.
Mi sembra, dunque, che l'attività svolta sia mossa nel rispetto non solo formale ma anche sostanziale delle procedure previste e attuando il principio della valutazione caso per caso delle singole posizioni.
Se l'onorevole presidente lo consente, desidererei aprire una finestra per riferire Pag. 12anche sul tema delle procedure attuate in favore dei minori stranieri non accompagnati.
PRESIDENTE. Ci interessa molto.
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. All'attenzione delle signorie loro fornirò qualche ragguaglio statistico per «dimensionare» il fenomeno.
Durante il 2016, i minori sbarcati sulle nostre coste sono stati 28.223. Di essi, 25.846, per una percentuale pari al 91 per cento, sono non accompagnati da familiari adulti. È quasi superfluo ricordare che in questo campo gli attori istituzionali protagonisti sono i servizi sociali territoriali e l'autorità giudiziaria minorile, alla cui responsabilità sono affidate, in coerenza con i princìpi enunciati da convenzioni internazionali e dal diritto unionale, le misure di assistenza e di protezione necessarie a salvaguardare l'integrità psicofisica dei non maggiorenni, anche attraverso il collocamento nelle apposite strutture degli enti locali.
In questo contesto, l'azione degli organi di Polizia è limitata ai casi in cui occorra attuare, sempre in raccordo con gli stessi servizi sociali, misure di soccorso e di accoglienza/urgenza. Sono questi gli interventi che il dispositivo delle Forze di polizia effettua anche nei luoghi di sbarco, avvalendosi dell'apporto dei presìdi sanitari nonché di enti e associazioni di volontariato autorizzati dal Ministero dell'interno.
Ricordo che la tutela dei minori è uno dei focus del progetto «Praesidium», in base al quale soggetti del volontariato assicurano ai minori non accompagnati, attraverso colloqui individuali o sessioni collettive, un'informazione sui rischi legati alla tratta di esseri umani o di sfruttamento.
I minorenni stranieri vengono trasferiti dagli operatori di Polizia in centri di prima accoglienza per l'espletamento delle procedure di identificazione, di accertamento dell'età e della situazione di soggetto non accompagnato, informando i servizi sociali e la prefettura.
Vorrei ricordarvi che il tristemente noto Anis Amri arrivò nell'aprile del 2011 sulle nostre coste dichiarandosi minore, essendo invece nato nel 1992, e quindi poi risultando in una fase successiva maggiorenne.
Sono questi ultimi servizi, attraverso la rete dello SPRAR, a curare poi la ricollocazione in comunità di secondo livello con l'ausilio anche di soggetti del mondo del volontariato, previa verifica delle disponibilità alloggiative da parte delle prefetture, che trovano comunque un punto di riferimento in una struttura ad hoc istituita nell'ambito del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero.
In questa panoramica, non posso non fare cenno anche al fenomeno dei minori che si allontanano dalle strutture dove sono ospitati.
Delle circa 4.000 segnalazioni di minorenni scomparsi inserite nel CED interforze, quasi il 90 per cento riguarda soggetti stranieri. Dal 2012, la ricerca dei minori allontanatisi sia italiani sia stranieri dal loro domicilio avviene secondo procedure uniformi sul territorio nazionale, adottate dalle prefetture in attuazione delle linee guida diramate dal commissario straordinario del Governo per le persone scomparse.
Le attività di rintraccio, che naturalmente vedono un attivo coinvolgimento degli organi di Polizia sul territorio, consentono di ottenere significativi risultati. L'esperienza di questi anni ha dimostrato come il numero dei soggetti ritrovati arrivi nel tempo a circa l'80 per cento del totale.
Mi sembra opportuno offrire anche una panoramica sulle attività di rintraccio degli stranieri in posizione irregolare e sul loro rimpatrio.
Il piano presentato dalla Commissione europea il 2 marzo scorso, cui ho già fatto cenno, raccomanda l'importanza di un'azione più risoluta su questo versante, sottolineando tra l'altro la necessità di una velocizzazione delle procedure nazionali per il riconoscimento della protezione internazionale e l'esecuzione dell'espulsione, un richiamo che si estende anche alla necessità per i Paesi membri di adottare le misure occorrenti per contrastare gli abusi del sistema, non escludendo la possibilità Pag. 13di una revisione anche della «Direttiva rimpatri» del 2010.
Il decreto-legge Immigrazione (d.l. n. 13 del 2017) si muove proprio in questa direzione, con misure che accelerano sia i procedimenti amministrativi di competenza delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, sia il rito dei ricorsi giurisdizionali.
A ciò si aggiungono misure organizzative nel settore dell'asilo e della prima accoglienza. Sul versante dell'azione di Polizia, l'articolo 18 del decreto-legge conferisce ulteriore spinta all'utilizzazione di un sistema informativo dedicato al tracciamento delle posizioni amministrative degli stranieri irregolari, capaci di dialogare con le piattaforme informatiche dei richiedenti asilo e realizzando migliori sinergie sul piano della condivisione dei dati.
Il pacchetto varato dal Governo interviene anche per innalzare il gradiente di effettività dei provvedimenti di allontanamento, tema che rappresenta uno dei pilastri sui quali riposa la credibilità delle politiche migratorie di qualunque Stato.
La storia dell'ultimo quarto di secolo ci dimostra come la capacità del nostro Paese di fornire una risposta efficace abbia avuto un andamento sinusoidale, con picchi in corrispondenza degli interventi varati per adeguare il sistema al mutare delle dinamiche migratorie e progressivi declini.
Nell'ultimo anno, in particolare, sono stati rintracciati 41.473 irregolari, tutti destinatari di respingimento e di espulsione con varie formule. Quelli effettivamente allontanati dal territorio nazionale sono stati 18.664. In termini percentuali, non siamo distanti dalle punte massime, ma resta sempre un significativo differenziale se guardato in termini assoluti.
Ritengo, dunque, di fondamentale importanza la scelta compiuta dal Governo con il decreto-legge di introdurre misure volte a innalzare il potenziale esecutivo delle misure espulsive. Gli interventi più incisivi sono lo stanziamento di risorse aggiuntive per l'esecuzione dei rimpatri (più di 19 milioni di euro) anche attraverso voli charter e il potenziamento della rete dei centri di rimpatrio, una misura quest'ultima non più rinviabile data la grave anemizzazione della capacità ricettiva delle quattro strutture (Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta), oggi in funzione, che consentono di ospitare solo 125 donne e 234 uomini.
Vi faccio un esempio per dirvi la complessità di questa situazione, anche sotto il profilo delle tempistiche con cui le autorità consolari prevedono poi il riconoscimento. Vorrei dire una parola di chiarezza.
I rimpatri si fanno se c'è qualcuno che se li prende. Non basta il fatto che noi non li vogliamo più.
PRESIDENTE. Li accompagniamo...
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. No, li accompagniamo dove? Siccome non abbiamo frontiere terrestri dove poter fare un'azione, il tema è di rimpatriarli.
Il rimpatrio presuppone che l'autorità di uno Stato sovrano li riconosca come propri cittadini. Percentualmente, questo è sempre un problema, perché le autorità molto spesso dicono che quelli si presentano come cittadini di quello Stato, ma non lo sono. Anche laddove questo tipo di identificazione interviene, se non ci sono tempi di trattenimento che corrispondono alle tempistiche delle autorità consolari, capita come è capitato recentemente per un Paese di cui non dirò: abbiamo chiesto l'identificazione di 40 persone, di cui ne hanno riconosciute solo 20 quando ormai solo 13 erano ancora nella condizione di poter essere espulse. Come vedete, la creazione di questi centri è un dato assolutamente importante.
Un'altra sottolineatura che vorrei fare è che la distribuzione sul territorio non è in una logica afflittiva, cioè non si creano i centri perché, visto che ce li hanno tutti, è opportuno che tutti ne debbano soffrire. Lo abbiamo chiesto noi per un fatto molto semplice anche in una logica di spending review.
Si fa molto spesso un gran parlare della presenza delle Forze di polizia sul territorio nazionale. Apro e chiudo parentesi: sugli immigrati il peso grava quasi principalmente sulla Polizia di Stato. Se prendo Pag. 14una persona a Massa-Carrara – è la mia provincia, non faccio torto a nessuno – e il CIE di Torino è già pieno e l'altro disponibile è Caltanissetta, io devo prendere quattro persone per portare quest'immigrato irregolare a Caltanissetta, e quindi avrò la certezza matematica che per cinque giorni quattro operatori della Polizia di Stato non saranno presenti sul territorio.
La presenza dei centri per il rimpatrio in ogni regione – ripeto – non risponde a una logica afflittiva dei territori, ma a una logica di risparmio delle risorse. Se creo un centro per il rimpatrio in Toscana, i colleghi di Massa-Carrara non andranno a Caltanissetta, a Taranto o a Torino nella situazione più vantaggiosa.
In questo senso, il progetto prevede un ampliamento della potenzialità alloggiativa fino a 1.600 posti, da raggiungere gradualmente nel triennio 2017-2019, con la riattivazione di strutture esistenti o la realizzazione di nuove, sempre mediante il coinvolgimento delle Regioni. Peraltro, vi confermo che sono già iniziati i confronti con le Regioni e registriamo complessivamente un clima di collaborazione.
Noi abbiamo espresso alcune indicazioni. Vorremmo che questi centri non fossero nei centri abitati, ma possibilmente vicini ad aeroporti o a luoghi nei quali è facilitato il raggiungimento di luoghi dai quali far partire gli irregolari e anche vicino alle nostre strutture. Se, infatti, li collochiamo in luoghi dove garantiamo la presenza di nostre strutture o di strutture dell'Arma dei carabinieri, ovviamente questo consente di disperdere minori risorse.
L'allargamento della rete dei centri e la loro distribuzione in modo omogeneo sul territorio sono, dunque, una chiave di volta irrinunciabile in una rinnovata strategia di sana gestione dell'immigrazione, che impone a tutti di approcciare il tema abbandonando logiche «nimby». Questa linea di interventi consentirà di valorizzare i rintracci degli stranieri in posizione regolare effettuati dalle stesse Forze di polizia nelle consuete attività di controllo del territorio o di iniziative più mirate, destinate a svilupparsi anche nell'ambito di forme di cooperazione europea.
L'importanza di agire su questo versante è stata da me sottolineata in una circolare ai prefetti e ai questori del 30 dicembre 2015, cui forse sono stati attribuiti significati eccessivi.
Mi limito a ricordare come tali indicazioni siano inserite nella filosofia operativa dei piani coordinati di controllo del territorio e, più precisamente, a quel filone di interventi volti alla lotta alle diverse forme di criminalità connesse allo sfruttamento della manodopera e alle situazioni di clandestinità.
Al riguardo, cito tra le ultime occasioni di polemica il fatto che si sia considerata una circolare per il rintraccio di cittadini di un determinato Paese, che non diremo, ma che sta su tutti i giornali – è un modo garbato per non dirlo in questa sede – come una sorta di attività di retata.
Questo è un Paese che molto spesso ha problemi di memoria. Io ho trovato questa circolare al Dipartimento dal 2000, quindi sono 16 anni che si fa periodicamente questa circolare, per una ragione semplicissima. Dal momento che i centri non sono nella condizione di accogliere un numero adeguato di persone, quando si creano le condizioni per rimpatriare un numero significativo, si va semplicemente al rintraccio delle persone che già sono in una condizione di irregolarità.
Non si vanno a cercare delle vittime. Si va semplicemente a verificare la presenza sul territorio di persone che non ci stanno regolarmente. Se poi si ritiene che ci debbano stare, forniteci delle leggi diverse, così noi le applicheremo, in maniera che possiamo considerare regolari gli irregolari. Finché avremo delle leggi che ci dicono che queste persone sono irregolari, dobbiamo semplicemente applicare la legge.
Mi rendo conto che talune espressioni contenute in questi atti possano avere alimentato sospetti di larvate operazioni di espulsione di massa. In realtà, vorrei assicurare che l'iniziativa in questione si è mossa nell'ambito delle consuete attività propedeutiche alla ricerca di stranieri irregolari e alla loro espulsione sempre in base a valutazioni caso per caso delle loro Pag. 15situazioni singole e nel rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo.
Peraltro, nel caso di specie, si è trattato di un'operazione congiunta di rimpatrio mediante i voli charter coordinata da Frontex, cui hanno partecipato altri Stati membri. Se ci vengono messi a disposizione degli aerei per fare questo tipo di attività e non abbiamo centri in grado di ricevere un numero significativo di persone, ripeto, adottiamo delle procedure che solo una lettura a mio giudizio non serena e non onesta contrabbanda per verità. Ripeto che sono persone irregolari e devono essere allontanate, perché così prescrive la legge.
Avviandomi a concludere, credo si possa riconoscere l'enormità degli sforzi compiuti dal nostro Paese per far fronte a flussi di dimensioni che nella storia recente dell'Europa occidentale hanno davvero pochi precedenti. L'impegno di questi anni conosce pagine in cui il nostro dispositivo ha dato prova di straordinaria solidarietà umana, prima ancora che di professionalità operativa.
È stata giustamente sottolineata l'attività che la Marina militare, la Guardia di finanza e la Guardia costiera hanno svolto e continuano a svolgere per salvare vite umane in condizioni spesso drammatiche. Mi piace, in questo contesto, sottolineare come gesti di eroismo quotidiano vengano compiuti dalle donne e dagli uomini delle Forze di polizia e dagli altri attori istituzionali impegnati nelle operazioni di assistenza e di avvio dei migranti verso le diverse strutture.
Altrettanto si deve dire delle donne e degli uomini delle prefetture, cui è affidata la difficile missione di reperire le strutture dove alloggiare i migranti, assicurando nel contempo serene condizioni di convivenza e accettazione da parte delle collettività locali. Non meno di altri, tutti costoro assolvono a una funzione nobile e, per usare le parole pronunciate da Roosevelt alla Sorbona, non meno di altri sono «uomini nell'arena». Anche a loro va il merito se il nostro sistema Paese ha retto all'urto. Il mio auspicio è che anche da codesto onorevole consesso si levi per tutti loro il meritato riconoscimento.
PRESIDENTE. Ringraziamo il signor prefetto.
Sicuramente ci associamo alle sue parole – credo di poter interpretare il sentire di tutti i componenti della Commissione – per un ringraziamento a tutti gli uomini ...
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. E alle donne.
PRESIDENTE. ... gli uomini e le donne impegnati in quest'importantissimo compito.
Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
MARCO RONDINI. Anch'io mi associo ai ringraziamenti doverosi nei confronti di tutti gli uomini e le donne delle Forze della polizia, che si adoperano per garantire la sicurezza sul territorio nazionale e che fanno riferimento a lei.
Vengo alle domande. Vorrei sapere se può fornirci dei numeri relativi agli ingressi via terra, in particolare agli ingressi dei migranti che passano attraverso il Friuli. Oggi conosciamo il dato relativo al numero degli immigrati che arrivano via mare, ma non abbiamo notizie relative ai numeri e alla portata del fenomeno di coloro che arrivano dalla rotta balcanica, presumibilmente, in virtù anche di alcuni numeri riportati dal report che riceviamo periodicamente. Questi ultimi fanno riferimento, ad esempio, al numero dei pachistani o dei cittadini del Bangladesh registrati come arrivati via mare, ma che non trovano riscontro nei numeri, superiori, rispetto a quelli che avanzano una richiesta di protezione. Cito un dato per tutti: i pachistani arrivati quest'anno via mare sono 271 e le richieste avanzate sono nel numero di circa 1.800.
C'è un'altra questione che vorrei fosse oggetto di una sua risposta. Lei ci diceva che oggi solamente il 3 per cento degli immigrati si rifiuta di farsi fotosegnalare...
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. (fuori microfono) Nel 2016; nel 2017...
Pag. 16 MARCO RONDINI. Nel 2017 il 100 per cento viene fotosegnalato.
Lei ci diceva poi che il sottrarsi agli accertamenti, al fotosegnalamento, dovrebbe portare in futuro al trasferimento di queste persone all'interno dei centri per il rimpatrio: ad oggi però come procedete? Mi interesserebbe sapere come procedete ad oggi.
Inoltre, se oggi il fenomeno, come lei ci dice – e i dati ce lo confermano – è di dimensioni molto limitate, in passato sicuramente non è stato così. Sappiamo che, a fronte di 500.000 persone arrivate via mare sul nostro territorio, la richiesta di protezione è stata avanzata solamente da 270.000. Questo ci dice che 230.000 persone non l'hanno avanzata. Mi piacerebbe sapere dove sono finite.
Secondo lei, l'istituzione dei centri per il rimpatrio con una dotazione per sole 1.600 persone – questa è la previsione – può essere uno strumento sufficiente per affrontare il rimpatrio di queste persone? Di fatto, sono clandestini sul nostro territorio. Ce lo dice anche la Commissione europea, che in questi giorni ha fatto notare – e la cosa è rimbalzata agli onori della cronaca – che ci sarebbero 1-1,5 milioni di clandestini arrivati in Europa che gli Stati membri l'Unione europea devono rimpatriare. Io credo che la misura annunciata dal ministro Minniti forse non sia sufficiente per garantire un seguito alle indicazioni che arrivano anche dalla Commissione europea.
Sono sicuro che quei 230.000, quand'anche fossero sul territorio nazionale, probabilmente, anzi sicuramente – voglio chiedere a lei eventualmente conferma – andranno a ingrossare il fenomeno del caporalato. In questi ultimi giorni – non so chi abbia avuto modo di vederle nei telegiornali – sono rimbalzate ancora le immagini di questi campi, la cui presenza è totalmente intollerabile. Mi piacerebbe sapere se l'immigrazione di questi ultimi anni sia andata a ingrossare quel fenomeno e che cosa si intenda fare per far sì che vengano bonificate queste situazioni.
Ci diceva, inoltre che gli accordi bilaterali oggi sono circa 11 o 13, se non ho capito male; mi piacerebbe sapere con quali Stati ci sono questi accordi.
Ci diceva ancora che la loro implementazione prevede degli interventi economici italiani a favore di questi Stati: mi piacerebbe sapere se questi interventi economici sono stati quantificati e quali interventi si prevedono.
GREGORIO FONTANA. Anch'io non posso che associarmi al ringraziamento alle Forze di polizia della Polizia di Stato, su cui – ha detto certamente bene il prefetto Gabrielli – grava il 100 per cento degli oneri della gestione del flusso migratorio. Certamente, un grazie.
I dati per la valutazione di questa Commissione sono importanti. La sua preoccupazione, che ha illustrato a questa Commissione, rispetto alla connessione sempre più stretta tra criminalità comune e terrorismo nella gestione dei flussi migratori è sicuramente un dato preoccupante, che evidenzia quanto sia complessa e delicata la gestione del flusso migratorio.
Dicevo che i dati sono importanti. È importante quello che ha chiesto il collega Rondini prima, cioè di avere qualche numero in più sugli ingressi sulle frontiere terrestri, ma anche un numero in più sulla situazione degli stranieri irregolari. Ci sarà una stima, da parte degli organi di Polizia, del numero di quelli in posizione irregolare. Ci sono certamente i dati di chi è stato identificato e fermato per vari motivi. Questi sono dati ufficiali, ma ci sarà una stima da parte del capo della Polizia, dell’intelligence su una domanda fondamentale: quanti sono, a suo parere, gli stranieri irregolari sul nostro territorio?
Altro problema di numeri importante riguarda i rinnovi dei permessi di soggiorno, che, come è noto, gravano sulle questure in maniera diretta. Su questo punto la Commissione non ha numeri certi. Questo è importante. Se riterrà di assumere un impegno nel fornire i dati precisi di questi rinnovi... Per ora, questo è un punto assolutamente oscuro rispetto alla gestione.
Come è noto, i rinnovi vengono gestiti direttamente dalle questure, con una piccola partecipazione da parte delle commissioni, ma di fatto il silenzio/assenso vige Pag. 17come regola generale. Oggi, specialmente per quel che riguarda la protezione sussidiaria e vieppiù la protezione umanitaria, i numeri rischiano di diventare molto importanti.
Per quanto riguarda la questione dell'identificazione, sarebbe importante avere un dato anche su quello che avviene fuori dagli hotspot: su 100 identificati, quanti lo sono attraverso le apposite strutture, cosiddetti hotspot, e quanti al di fuori di queste strutture, come lei ha illustrato, nei porti o addirittura portati nelle questure di destinazione?
Questi sono dei punti importanti su cui i numeri servirebbero alla Commissione proprio per lavorare meglio.
STEFANO DAMBRUOSO. Intervengo soltanto perché, come membro di questa Commissione, ci tenevo ad associarmi al ringraziamento per il lavoro svolto dalle donne e dagli uomini della Polizia di Stato. Obiettivamente, non soltanto grazie alla relazione del capo della Polizia di oggi, ma con tutta la mediaticità che ci viene trasferita quotidianamente, è possibile davvero misurare l'impegno quotidiano della Polizia di Stato nella gestione e nel contrasto ai traffici di esseri umani che si svolgono, a partire prevalentemente dalle coste africane.
Io ho trovato rassicurante – e per questo la ringrazio – la completissima relazione che oggi ci ha prospettato sui vari aspetti che restano – anche in termini di comunicazione – fonte di problematicità e di percezione di insicurezza da parte dei cittadini, quindi dei nostri elettori.
In particolare, ho gradito la conferma della sostanziale lontananza, se non inesistenza, tra fenomeno migratorio e fenomeno terroristico, laddove anche vi sia stata la necessità di accertarne collegamenti e quello che è emerso è legato a una forma di finanziamento indiretto che ne deriva a frange terroristiche che occupano i territori da dove partono, dei porti da dove partono le imbarcazioni. Questa è un'importante conferma che, provenendo dal capo della Polizia del nostro Paese, non può che essere un'informazione rassicurante proveniente dalla nostra Commissione e confermata, appunto, dal capo della Polizia.
Non tedierò ulteriormente gli altri colleghi della Commissione. Mi piace avere il suo punto di vista sulla praticabilità oggi, in un contesto di non semplice cooperazione internazionale tra i vari Paesi coinvolti nel tentativo di gestire al meglio questo fenomeno, della molte volte citata trasferibilità sui territori da dove partono i migranti della gestione già in quella sede del fenomeno migratorio: è concretamente praticabile? Con chi si può cooperare in Nigeria, in Uganda, cioè in Paesi che hanno problematicità istituzionali che non corrispondono a quelle dei Paesi che aspirano a trasferire questo tipo di gestibilità?
EDOARDO PATRIARCA. Anch'io, prefetto Gabrielli, la ringrazio per la relazione piuttosto dettagliata e per l'impegno a nome e per suo conto di tutti gli operatori della nostra Polizia di Stato, donne e uomini che quotidianamente sono impegnati sui nostri territori. Ovviamente, chi frequenta, chi girovaga per l'Italia, vede queste cose quotidianamente.
Proverò a riprendere alcuni suoi passaggi per avere delle conferme. Mi pare di poter dire anzitutto che vi è una sorta di linea di sviluppo coerente – non poteva essere altrimenti – tra l'audizione del ministro Minniti e quanto lei ci ha illustrato. Mi pare che alcuni dati siano fortemente rincuoranti. Se lei ci dice che al 2017 – parliamo del 2016 e dei primi mesi del 2017 – il 100 per cento dei migranti che approdano sul nostro territorio è fotosegnalato, rispetto alla problematica e alla procedura eventuale di infrazione che l'Europa ci voleva assegnare, credo che questo sia un elemento di grandissimo valore.
L'altro elemento di grande valore al quale come Partito Democratico siamo stati sempre molto attenti – talvolta anche preoccupati – riguarda il tema dei minori scomparsi. Lei ci conferma il dato, a mio parere significativo, per cui l'80 per cento viene rintracciato sul nostro territorio. Generalmente, si parla di «scomparsi». Questo che ci ha fornito è un dato importante: rincuora l'opinione pubblica e il nostro lavoro se davvero l'80 per cento è rintracciato. Pag. 18
Nel momento in cui questi minori vengono rintracciati, dove vengono rintracciati e come vengono attivate delle procedure perché questo non accada nuovamente? Sappiamo che questi sono percorsi legati anche ai progetti di vita dei singoli minori. Questo era un po’ a commento delle cose che ci confermava.
Io le pongo alcuni punti molto concreti: qual è la tempistica per avviare i centri di rimpatrio per i migranti? Noi rispondiamo anche alle richieste che ci pervengono dai territori. Ovviamente, siamo parlamentari legati anche ai nostri territori e questo di un centro di rimpatrio per ogni Regione è un tema molto dibattuto nelle Regioni: quali saranno i tempi e le procedure perché questi centri di rimpatrio per i migranti siano attivati?
Anch'io poi le porrei il problema del numero. Il ministro Minniti – e lei ce lo ha confermato – parlava di 1.600 posti potenziali. Non le nascondo la preoccupazione se davvero questi numeri siano sufficienti a gestire rimpatri in modo organizzato e strutturato, come lei ci proponeva.
L'altra questione che le porrei è quella degli hotspot. Lei ha citato i quattro hotspot, che tra l'altro molti di noi hanno visitato. Mi pare che nel progetto del ministero, se ben ricordo, siano previsti hotspot in ciascuna Regione, o mi sbaglio? No. Ritiro la domanda.
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. (fuori microfono) Sono previsti altri due...
EDOARDO PATRIARCA. Altri due.
Le vorrei porre un quesito relativo al tema da lei affrontato in seduta segreta, relativo alla vicenda a cui faceva riferimento delle denunce di quest'estate, se ricordo bene. Ci conferma quello che ci ha detto?
PRESIDENTE. Passiamo in seduta segreta.
(I lavori della Commissione proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).
EDOARDO PATRIARCA. Porrei da ultimo una riflessione. Penso che sia importante per noi avere qualche informazione in più.
Lei parlava di accordi bilaterali e di politiche di sostegno ai Paesi che sono fonte di migrazione evidentemente. In questi accordi bilaterali, la progettualità in atto oggi perché proprio sia contenuto, o perlomeno governato meglio il processo migratorio, a che punto è? Siamo all'inizio di un percorso o possiamo già dire che sono state avviate procedure, progetti di collaborazione che per il futuro – immagino che questi percorsi siano piuttosto complessi, lunghi – preannunciano una possibilità di gestire i flussi migratori in maniera più regolare?
Rispetto alla legge attuale, la legge Bossi-Fini, di cui si parla tanto, nei trattati bilaterali è aperto un confronto su come immaginare un accesso per via legale di migranti, di persone di quei Paesi che desiderano entrare in Italia o in Europa non attraverso i barconi? Stiamo già riflettendo, ragionando, come Paese, anche il ministro, su come immaginare processi migratori sotto il segno della legalità e non sotto il segno dei barconi e della tratta di persone?
PRESIDENTE. Nel rispetto del criterio di un rappresentante per ogni gruppo, do ora la parola all'onorevole Brescia.
GIUSEPPE BRESCIA. Vorrei dei chiarimenti su questioni molto operative. Per ogni tipologia di centro, vorrei capire a che punto siete con i lavori. Lei ha parlato di hub regionali, quindi vorrei capire se avete individuato già le strutture, se sono strutture già esistenti o se avete in mente di costruirne di nuove. Anche in quest'ultimo caso, ce ne sarà uno per ogni Regione?
Ho sentito parlare – io sono pugliese – dell'ex CARA, assolutamente attivo, vivo e vegeto, di Bari, che dovrebbe trasformarsi in un hub regionale. Chiedo conferma di questo e se per tutte le altre Regioni avete già individuato delle strutture esistenti o ne costruirete delle nuove.
Quanto ai centri per il rimpatrio, abbiamo parlato di uno per ogni Regione. Pag. 19Anche in questo caso, la Puglia credo faccia eccezione. Lei ha citato Brindisi, ma ha dimenticato Bari. Anche il CIE di Bari è assolutamente attivo.
Ha parlato anche di Taranto, credo alludendo all’hotspot, che però utilizzate evidentemente anche come centro per il rimpatrio. La Puglia ne avrebbe tre? Chiedo conferma o smentita.
Per quanto riguarda poi gli hotspot, ha appena detto che il Governo italiano si è impegnato con l'Europa a realizzarne ulteriori due: dove state pensando di realizzarli? Uno di questi è il centro di Mineo, che volete adattare anche a hotspot?
In ultimo, chiedo, se possibile, che sia consegnato alla Commissione il testo dell'accordo con il Sudan.
ELENA CARNEVALI. La ringrazio molto di quest'audizione. Abbiamo avuto conferma, anche nel dettaglio della relazione, dello sforzo compiuto da lei e da tutto il corpo della Polizia di Stato. Credo che tutti noi riconosciamo il grande lavoro che state facendo.
Credo che dobbiamo riconoscere, anche con un certo plauso – le fatiche non sono state irrilevanti – che arrivare al tasso di saturazione del 100 per cento di persone fotosegnalate rispetti gli impegni che avevamo assunto a livello europeo e attesti il livello di capacità da parte di questo Paese.
Venendo al merito, sull'apertura dell'eventuale hotspot a Mineo, che peraltro ha già anticipato nella relazione che ha appena illustrato, l'orientamento di questa Commissione, più volte espresso – credo, quindi, di non doverlo negare – era per evitare che ci fosse una sorta di...
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. (fuori microfono) Poi lo spiegherò...
ELENA CARNEVALI. Siccome, però, lei dice...
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. (fuori microfono) Noi siamo utilizzatori finali.
ELENA CARNEVALI. Sì certo, ma almeno vorrei che rimanesse agli atti il fatto che avevamo identificato come possibile evitare di mettere un centro di accoglienza con un hotspot in condizioni di stretta vicinanza.
Non voglio anticipare le risposte, che ovviamente lascio al prefetto, ma per quanto riguarda la realizzazione dei 1.600 posti con i centri di rimpatrio, se non ricordo male, nell'audizione che abbiamo fatto con il ministro, non sono luoghi per determinate persone, che presentano alcune caratteristiche, che necessitano quindi di meccanismi di protezione perché riconosciute come pericolose. Mi sembra che questi 1.600 posti sarebbero orientati per l'accoglienza di questi tipi di persone, peraltro con degli obblighi di un trend di periodo stabilito.
Vado a un tema che ci sta particolarmente a cuore, che stiamo seguendo anche come gruppo di lavoro sui minori.
Sarà sicuramente a sua conoscenza il fatto che dall'Albania – ne abbiamo avuto conferma anche in un incontro avuto venerdì a Verona, ormai sembra una prassi sufficientemente regolare – gli stessi genitori accompagnano o affidano – perché lo consentono ahimè gli istituti giuridici di quel Paese – all'autista di turno di un autobus e praticamente consegnano fuori dalle frontiere un numero consistente di minori albanesi, che poi vengono lasciati sul nostro territorio.
Peraltro, la cosa che ha stupito moltissimo nell'incontro che abbiamo avuto a Verona è che nessuno di questi minori arriva dai centri di accoglienza: sono arrivati tutti in modo autonomo, sia che fossero albanesi, sia che fossero di altri collettivi di passaporto. C'è una capacità di ingresso, molto probabilmente, che arriva da altre vie, o comunque non c'è un diretto rapporto tra i luoghi di sbarco e la consegna in questi centri di accoglienza. Così è stato segnalato l'ingresso anche da parte della Svizzera, anzi, con l'invito a rientrare anche per quanto riguarda l'attraversamento dell'Austria.
So benissimo che tocco un tema al quale credo che molto probabilmente rivolgerebbe a noi la domanda. Credo che la pressione che in questo momento stiamo esercitando, sia sulle prefetture sia sulle Pag. 20questure, sia particolarmente rilevante, al netto del fatto che abbiamo la consapevolezza, nonostante alcuni sforzi già compiuti da parte del Governo di poter integrare il contingente di personale, la domanda che le faccio è questa: soprattutto per quel che riguarda il rilascio di eventuali permessi di soggiorno o il riconoscimento di altri titoli, a suo giudizio abbiamo ancora un tasso di miglioramento che, più che dato dalla forza degli uomini, che sono quelli che fanno tutto quello che possono, può essere nei meccanismi di procedura o nell'utilizzo di sistemi di natura informatica e altro che possono facilitare?
Devo dire che è oggettivamente molto lunga tutta la filiera del rilascio dei permessi di soggiorno, dall'identificazione a quando compilano il modello C3, e così via. L'abbiamo analizzata più volte. Rimane un gap, perché costringe le persone a rimanere nei centri di accoglienza o a non sapere quale sia il proprio destino, che può essere anche eventualmente un possibile rimpatrio grazie agli accordi, che abbiamo sicuramente migliorato.
PRESIDENTE. Do la parola al prefetto per la replica.
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Per quanto riguarda la richiesta di dati, siccome a me non piace dare i numeri a caso, per quanto riguarda le richieste sia dell'onorevole Rondini sia dell'onorevole Fontana, all'esito della mia discussione vi faremo arrivare i dati ufficiali, o meglio i dati di cui disponiamo, ma ho alcune precisazioni da fare.
Quello dell'arrivo dei migranti via terra è un tema che ha sempre accompagnato i fenomeni migratori, e anzi, prima dei numeri che stanno caratterizzando questi ultimi tre anni, statisticamente il maggior numero di irregolari era dato dai cosiddetti overstayer, persone che entrano legalmente in un Paese, perché magari vengono per turismo o per altro, e poi vi rimangono. Noi siamo tutti concentrati sugli sbarchi via mare, ma quello dell'irregolarità è un tema che ancora significativamente coinvolge anche queste persone. Comunque, produrremo i dati in nostro possesso.
Per quanto riguarda i famosi 270.000, credo che ci sia una sorta di piccola – se me lo consentite – ipocrisia nazionale. Il nostro non è mai stato un Paese di destinazione dei flussi migratori. Gli obiettivi dei percorsi migratori di queste persone sono sempre stati il Nord Europa. Noi abbiamo molto «sopportato» i flussi anche di carattere emergenziale, perché sapevamo che la stragrande maggioranza di queste persone non sarebbe rimasta nel nostro Paese.
Siccome molte di queste persone volevano comunque beneficiare delle misure di protezione e al di fuori dei rigidi canoni della Convenzione di Dublino, si è realizzata una sorta di perversa convergenza di interessi, che a un certo punto l'Europa ha detto che non era più percorribile, un po’ perché gli altri Paesi hanno chiuso le frontiere, un po’ perché con gli accordi della metà del 2015 è stata pretesa l'identificazione di tutti questi soggetti. La stragrande maggioranza di queste persone – alla domanda rispondo – non sta nel nostro Paese.
Io posso proporle e riferirle una mia esperienza. Io ho gestito, mio malgrado, dall'aprile del 2011 al dicembre del 2012, la cosiddetta «emergenza Nord Africa». In quella circostanza, siccome il flusso iniziale era caratterizzato da tunisini, nella quantità di circa 26.000-28.000, e il Governo aveva molto ben presente che queste persone non volevano rimanere in Italia, diede a questi cittadini tunisini la protezione umanitaria, utilizzando il nostro testo unico sull'immigrazione.
Ricordo che si creò una sorta di prosciugamento di queste persone, tanto che nel giro di pochissimo tempo da 26.000 ne rimasero 800. A mano a mano, poi, anche questi 800 se ne andarono. Il tema di quello che è stato credo che non faccia più stato, nel senso che oggi abbiamo un impegno con l'Europa.
Peraltro, noi abbiamo sempre questa sorta di atteggiamento in cui ci riconosciamo peggiori degli altri. Abbiamo onorato quasi tutti gli accordi intervenuti alla metà del 2015: il 100 per cento dell'identificazione, la creazione di hotspot; non mi Pag. 21sembra che l'Europa abbia attuato il tema della ricollocazione di queste persone. Tutti vengono a farci le pulci e noi magari dovremmo anche rivendicare che i compiti a casa, con grande sacrificio, con grande sforzo, anche con grande senso di responsabilità dei nostri territori, riusciamo a farli. L'Europa, invece, da questo punto di vista, per l'ennesima volta ci ha un po’ lasciato in braghe di tela.
Bastano 1.600? Io credo che il nostro ministro, saggiamente, abbia inteso intanto dare una risposta a un'anemizzazione. Bastano 1.600 posti quando oggi ne abbiamo 340? Dico: ben vengano 1.600. Oltretutto, l'idea è quella per la quale il Governo – posso dare testimonianza in particolare per il mio ministro – sta lavorando sul tema dei flussi. Se non riusciamo a contenere i flussi, non ne basteranno nemmeno 160.000.
Credo che 1.600 oggi sia una cifra ragionevole, anche perché qui – mi viene da fare la battuta anche sentendo gli interventi di alcuni parlamentari – abbiamo difficoltà a crearne per 1.600 posti, figuriamoci... Anche lì stanno nascendo una serie di atteggiamenti repulsivi, che sono anche in contraddizione: da un lato si vuole che gli irregolari vengano espulsi, dall'altro, però, non si vuole che i centri per il rimpatrio insistano sui propri territori. È sempre un po’ una contraddizione tipicamente italica.
Come però dico spesso a me stesso, il giorno in cui faremo pace con noi stessi, forse una linea la troveremo. Questo è il classico paese «nimby»: i rifiuti si producono, ma le discariche devono stare da un'altra parte; gli irregolari si devono espellere, ma i CIE/CPR li dobbiamo fare da un'altra parte.
Io credo che tutti dobbiamo concorrere. Soprattutto, dobbiamo immaginare che quello migratorio sia un tema da affrontare attraverso un approccio olistico. È ovvio che non si affronta semplicemente con i CPR, ma cercando di limitare i flussi, e anche accettando l'idea che c'è un'altra «gamba del tavolo»: oltre alla limitazione dei flussi, oltre ai rimpatri, c'è anche il tema dell'integrazione.
Ormai forse dovremmo anche noi accettare l'idea che non si può accogliere tutti e che l'accoglienza non può prescindere dall'integrazione. Questi sono i paletti sui quali credo dovremmo costruire il nostro approccio intelligente.
Degli accordi bilaterali vi produrremo l'elenco, ma vorrei fare una precisazione. L'onorevole Patriarca mi ha acceso un warning. Questi accordi bilaterali sono accordi di Polizia. Cioè non sono accordi che peraltro riguardano il MAECI (il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale), altre... Sono accordi che intratteniamo con i nostri omologhi di Polizia. La moneta di scambio non è il «mini compact», la creazione di condizioni per limitare... ma la nostra esperienza, quindi corsi di formazione, l'ampliamento dell'AFIS nelle loro strutture.
Ovviamente, daremo corso alla richiesta dell'onorevole Brescia, perché lo abbiamo già fatto anche col presidente Manconi. Per la verità, anche lì poi ravvedo sempre un certo modo dal mio punto di vista non corretto. Quando si sollevò la questione, il presidente Manconi mi chiese il testo dell'accordo e, siccome non c'era nulla di segreto, glielo mandai il giorno dopo, e si continuò per i giorni successivi a richiedere come mai l'accordo non era stato vidimato dal Parlamento... Cose che non avevano nessuna correlazione con l'accordo. Lo vedrete.
Mi fa un enorme piacere che l'onorevole Brescia me lo abbia richiesto formalmente, perché così vedrete che non c'è nulla di segreto, nulla di diverso dagli accordi di Polizia volti semplicemente a fluidificare l'applicazione di leggi che sono vigenti nel nostro Paese. Sono accordi bilaterali di Polizia, che vi comunicheremo in maniera dettagliata, così potrete vedere anche quali sono i Paesi, che ovviamente non ricordo a memoria.
Vorrei fare una precisazione relativa alle cose dette dall'onorevole Fontana.
Io ho detto che esiste, purtroppo, una stretta connessione con la criminalità, mentre, come ha poi precisato anche l'onorevole Dambruoso, non ci sono evidenze sotto il profilo del terrorismo. Per certi aspetti, Pag. 22però, secondo me questo non ci deve totalmente tranquillizzare. Questa è una modalità di approccio a un tipo di terrorismo che non è più quello dei nostri giorni.
Se immaginiamo il terrorismo dei nostri giorni come il gruppo di fuoco che parte da Raqqa o da Mosul, men che meno col barcone – sarebbe pura follia, essendoci svariate altre modalità di arrivo – questo non ci mette al riparo dalla minaccia. L'esperienza di questi ultimi due anni ci ha dimostrato che molto spesso il problema ce l'abbiamo in casa, non abbiamo bisogno di importarlo.
Io poi sono un convinto assertore che la radicalizzazione non sia una causa, ma semplicemente un effetto. Le persone che sono marginalizzate – vorrei sottolineare un aspetto – non solo economicamente... Al contrario, l'esperienza dimostra che molto spesso non si tratta di una marginalità economica. Molti dei signori criminali che si sono fatti esplodere non appartenevano alle fasce più disagiate. Esiste un tema di marginalità sociale.
Ecco perché continuo a sostenere che il punto di caduta di un'accoglienza razionale sia l'integrazione. Se non arriviamo a un'integrazione, che ovviamente è un concetto molto più ampio dell'integrazione economica, avremo sempre e comunque delle possibilità che la minaccia sia in casa.
Quanto alla stima degli irregolari, onorevole, riteniamo che siano alcune centinaia di migliaia. A dire 300.000, 200.000, 400.000, giochiamo al lotto. Sicuramente, sono un numero significativo, come peraltro emerge dai flussi irregolari, continuo a sottolineare non esclusivamente riferiti agli sbarchi, ma al fenomeno dell'immigrazione clandestina, che produce in Paesi come i nostri una massa di persone al di fuori dei circuiti regolari.
Per quanto riguarda l'identificazione, come ho riportato nella mia relazione, siamo in un rapporto di 7 a 3 o almeno questo è il dato del 2016, quello più completo: il 29 per cento avviene egli hotspot, il 70 per cento, negli altri porti. Vorrei sottolineare, però, che le modalità, gli standard e la presenza delle organizzazioni internazionali e delle varie agenzie... Ovviamente, noi siamo in grado di programmare gli sbarchi. La nave non sbarca all'improvviso. Siamo noi che indirizziamo le navi rispetto alle esigenze per farli sbarcare.
Sono assolutamente d'accordo che una delle cose che l'Europa deve perseguire – e l'Italia deve essere capofila in quest'azione – è l'individuazione dei cosiddetti «Paesi terzi sicuri». Soltanto se creiamo le condizioni per un triage di coloro che devono venire in Europa perché oggetto di persecuzioni, o comunque di una condizione di fragilità, dai cosiddetti migranti economici, è opportuno che questo avvenga in Paesi nei quali questo tipo di verifica si può fare.
Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati, ovviamente le cose che diceva l'onorevole Carnevali sono purtroppo vere. Ho sperimentato personalmente nella mia esperienza di prefetto di Roma le criticità a cui lei faceva riferimento.
Per quanto riguarda l'80 per cento dei rintracciati, si fa riferimento al corso degli anni, non li rintracciamo tre giorni dopo. Nel corso degli anni, le persone vengono rintracciate.
Già in un'altra audizione, in un altro contesto, mi sono appellato alla sensibilità dei parlamentari, perché credo sia arrivato il tempo in cui nel nostro Paese si riveda anche lo strumentario con il quale noi trattiamo i minori non accompagnati.
Le norme che oggi disciplinano questa delicata materia fanno riferimento a minori essenzialmente italiani, ovviamente esposti a determinate vulnerabilità, che in moltissime situazioni non è la condizione di questi minori stranieri, non fosse altro perché provengono da culture nelle quali a 14 anni, a 15 anni, si è già molto adulti, e quindi anche la dinamica che provoca la loro presenza all'interno di centri nati e concepiti in un certo modo forse ci dovrebbe spingere a rivedere queste cose. Da qui L'onorevole Brescia mi ha fatto correre sulla schiena il brivido di aver fatto un po’ di confusione, e invece ho guardato e ho visto che sono un po’ stanco, ma non a tal punto.
I cosiddetti ex CIE, oggi CPR, sono Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta. In Puglia Pag. 23ce n'è uno solo, Brindisi, che peraltro ci ha garantito in questo periodo una discreta funzionalità, mentre gli hotspot che riguardano, tra l'altro, la Puglia sono quattro: Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto. Sono due cose completamente diverse e non sovrapponibili.
GIUSEPPE BRESCIA. Quello di Bari che cos'è?
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Quello di Bari è un CARA.
GIUSEPPE BRESCIA. C'è anche un CIE a fianco.
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Attualmente non funziona più. Ha funzionato fino alla fine del 2016, peraltro con alterne vicende, con grossi problemi. Sapete che i CIE hanno avuto problemi proprio di incendi. Ponte Galeria, ad esempio, in questo momento è disponibile solo per il personale femminile. Lo stiamo terminando.
Per quanto riguarda il tema di Mineo e di Messina, per fortuna – io sono un cultore dell’unicuique suum, a ciascuno il suo – questo è un tema che riguarda il Dipartimento delle Libertà civili e dell'Immigrazione. Quella di realizzarlo a Mineo o a Messina era un'idea che peraltro il Ministero ha perseguito. So che ci sono stati contrarissimi avvisi, non soltanto di consessi parlamentari, ma anche della stessa procura di Catania. Su questo, però, al pari degli hub regionali, che sono di esclusiva competenza del Dipartimento delle Libertà civili e dell'Immigrazione, non faccio nessun tipo di sconfinamento.
Lo faccio, invece, perché riguarda assolutamente il mio territorio, per il tema dei permessi di soggiorno. Purtroppo, non c'è la possibilità di implementare le risorse. Come vado dicendo in giro per l'Italia, dovremmo sempre fare meglio con meno, anche se, grazie agli ultimi stanziamenti, riusciremo a immettere – almeno, ci auguriamo – tra la fine del 2017 e i primi tre o quattro mesi del 2018, oltre 1.500 uomini in più, e quindi sarà una boccata di ossigeno.
Vi faccio presente, però, che nella mia amministrazione mediamente ogni anno vanno in pensione 2.100 persone. Recupereremo da un punto di vista della freschezza, non recupereremo rispetto al numero. Se pensate che, da qui al 2030, nella mia amministrazione andranno in pensione 40.000 persone, è ovvio che il trend sarà quello di un decremento dei numeri, che dovremo progressivamente compensare con forze «fresche».
Dal mio punto di vista, non è una brutta notizia. Chi ha tirato la carretta per tanto tempo, perché molto spesso aspira ad avere una mobilità sul territorio, che è il riconoscimento di un'aspettativa che magari dura nel tempo, poi quando arriva nei territori non è che sia il massimo della vita da un punto di vista della freschezza della reattività. Immettere forze fresche è sicuramente una cosa molto positiva.
Quello che bisognerà abituarci a vivere è il dato numerico. Dei famosi organici – che tanto appassionano e tanto sono motivo di confronto e di scontro – avremo nei prossimi anni un'inevitabile contrazione, ma perché così è la matematica, non perché Franco Gabrielli è malvagio. Questi sono i frutti di situazioni che ci hanno preceduto. La maggior parte degli arruolamenti è avvenuta negli anni Ottanta, immissioni molto significative, per diverse migliaia di persone. Ovviamente, questo tipo di apporto «alluvionale» comporta poi una serie di situazioni che producono questi effetti.
Mi sembra di aver risposto a tutti. Nei prossimi giorni, presidente, avrà i dati che i commissari hanno richiesto. Mi sembra che non ci siano altre questioni.
PRESIDENTE. In coda, c'è l'onorevole Rondini, in scivolata finale.
MARCO RONDINI. Avevo chiesto anche se aveva dei dati relativamente alla crescita del fenomeno del caporalato.
FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Sì, sono dati che le forniremo proprio statisticamente, in modo che abbia un raffronto rispetto alle indagini. Su questi temi mi attaglio esclusivamente agli esiti di indagini Pag. 24 investigative. Le valutazioni sfuggono di mano. Per fortuna, ci sono indagini su questo settore, e le forniremo i dati.
Molto probabilmente, anche da questo punto di vista il trend non sarà in decremento. La manodopera che in questo tipo di condizione, molto spesso di irregolarità, si fornisce in alcuni contesti tende inevitabilmente ad accentuare, ad aumentare il numero dei soggetti che entrano in questi circuiti.
I dati sui migranti via terra, sugli accordi bilaterali, sul numero dei soggetti che sono nel circuito caporalato, quello dei permessi di soggiorno emanati, quelli sui rinnovi dei permessi di soggiorno, vi verranno prodotti nei prossimi giorni.
PRESIDENTE. Ringraziamo il prefetto Gabrielli per la sua disponibilità e per l'esaustiva relazione e il confronto che ci ha permesso di fare per migliorare il nostro lavoro e dare anche noi il nostro contributo.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.25.