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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 127 di Mercoledì 8 marzo 2017

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 

Audizione di Paolo Inzerilli:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 ,
Inzerilli Paolo  ... 4 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 ,
Inzerilli Paolo  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Inzerilli Paolo  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Inzerilli Paolo  ... 7 ,
Grassi Gero (PD)  ... 7 ,
Inzerilli Paolo  ... 7 ,
Bolognesi Paolo (PD)  ... 8 ,
Inzerilli Paolo  ... 8 ,
Grassi Gero (PD)  ... 8 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Inzerilli Paolo  ... 8 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 ,
Inzerilli Paolo  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Inzerilli Paolo  ... 9 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 ,
Inzerilli Paolo  ... 9 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 ,
Inzerilli Paolo  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 10 ,
Inzerilli Paolo  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Inzerilli Paolo  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Inzerilli Paolo  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Inzerilli Paolo  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Inzerilli Paolo  ... 10 ,
Grassi Gero (PD)  ... 11 ,
Inzerilli Paolo  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Inzerilli Paolo  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Inzerilli Paolo  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Inzerilli Paolo  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Inzerilli Paolo  ... 11 ,
Grassi Gero (PD)  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Inzerilli Paolo  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Inzerilli Paolo  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Inzerilli Paolo  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Inzerilli Paolo  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Inzerilli Paolo  ... 13 ,
Fornaro Federico  ... 13 ,
Inzerilli Paolo  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Inzerilli Paolo  ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Inzerilli Paolo  ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Inzerilli Paolo  ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Inzerilli Paolo  ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Inzerilli Paolo  ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Inzerilli Paolo  ... 14 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Inzerilli Paolo  ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 15 ,
Inzerilli Paolo  ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 15 ,
Inzerilli Paolo  ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 15 ,
Inzerilli Paolo  ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 15 ,
Inzerilli Paolo  ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 15 ,
Inzerilli Paolo  ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 15 ,
Inzerilli Paolo  ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 15 ,
Inzerilli Paolo  ... 15 ,
Fornaro Federico  ... 16 ,
Inzerilli Paolo  ... 16 ,
Fornaro Federico  ... 16 ,
Inzerilli Paolo  ... 16 ,
Fornaro Federico  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 16 ,
Inzerilli Paolo  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Inzerilli Paolo  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Inzerilli Paolo  ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 16 ,
Inzerilli Paolo  ... 16 ,
Grassi Gero (PD)  ... 17 ,
Inzerilli Paolo  ... 17 ,
Grassi Gero (PD)  ... 18 ,
Inzerilli Paolo  ... 18 ,
Grassi Gero (PD)  ... 18 ,
Inzerilli Paolo  ... 18 ,
Grassi Gero (PD)  ... 18 ,
Inzerilli Paolo  ... 18 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 14.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Nel corso della riunione odierna, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di:

   incaricare la dottoressa Tintisona di acquisire eventuale, ulteriore, documentazione fotografica relativa al ritrovamento del corpo di Aldo Moro e alla successiva autopsia;

   incaricare il generale Scriccia di valutare l'acquisizione di documentazione di interesse nel filone «varie» dell'archivio della Commissione stragi;

   integrare, con un ulteriore nominativo, la delega già conferita al dottor Donadio, al dottor Salvini e al colonnello Occhipinti di acquisire sommarie informazioni testimoniali da persone informate della vicenda della scoperta del covo brigatista di via Fracchia, a Genova;

   declassificare e rendere disponibili come documenti liberi, previa obliterazione dei dati personali sensibili i seguenti documenti: 776/1, 843/1, 871/1;

   declassificare i documenti 776/2 e 867/1.

Comunico inoltre che:

   il 3 marzo 2017 il dottor Donadio ha depositato tre proposte operative: una, libera, relativa all'acquisizione della cartella clinica di Prospero Gallinari; una, riservata, relativa all'acquisizione e analisi delle foto del corpo di Aldo Moro; una, riservata, relativa alla possibile audizione di una persona al corrente dei fatti;

   il 6 marzo 2017 il dottor Donadio ha depositato sei proposte operative, riservate: una relativa all'acquisizione, presso lo SCICO della Guardia di finanza e il Comando generale dell'Arma dei carabinieri, di documentazione relativa a una persona al corrente dei fatti; una relativa all'acquisizione di documentazione video relativa alla strage di via Fani; una relativa alla possibile escussione di una persona al corrente dei fatti; una relativa all'acquisizione di elementi circa i furti di veicoli della Polizia di Stato in epoca anteriore e prossima al sequestro di Aldo Moro; una relativa all'acquisizione della documentazione fotografica relativa al ritrovamento del corpo di Aldo Moro; una relativa alle condizioni di reclusione di Mario Moretti;

   il 7 marzo 2017 il dottor Donadio ha depositato una proposta, riservata, di acquisizione, presso la Procura di Roma, di copia integrale degli atti del procedimento nei confronti di Paolo Inzerilli ed altri, definito con decreto di archiviazione del Giudice per le indagini preliminari di Roma in data 9 giugno 1997;

   nella stessa data l'Archivio storico del Senato ha trasmesso un documento di libera consultazione estratto dall'archivio della Commissione stragi;

   nella stessa data la dottoressa Tintisona ha depositato una nota, riservata, relativa all'incontro tra Mario Moretti e Franco Piperno che sarebbe avvenuto nell'estate 1978;

   nella stessa data il tenente colonnello Giraudo ha depositato una nota, riservata, Pag. 4con allegata documentazione relativa ad Arcangelo Montani e Marcello Gismondi.

   Comunico infine che, come già deliberato, il prossimo 20 marzo si svolgerà una missione a Torino, allo scopo di svolgere l'audizione di Guido Bodrato.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione di Paolo Inzerilli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del generale Paolo Inzerilli, che ringraziamo per la sua presenza oggi. Il generale Inzerilli ha avuto importanti ruoli nei servizi di intelligence sin dal 1974. È stato direttore della settima divisione del SISMI dal 1980 al 1986, direttore dell'Ufficio centrale per la sicurezza dal 1987 al 1989 e capo di Stato maggiore del SISMI dal 1989 al 1991. Ha a lungo comandato l'organizzazione Gladio (1974-86) ed è stato, inoltre, consulente per la Commissione parlamentare d'inchiesta sul dossier Mitrokhin e autore di volumi pubblicati sulla struttura stay-behind e italiana (Gladio – La verità negata e La vittoria dei gladiatori).
  Ricordo che il generale Inzerilli è già stato sentito dai collaboratori della Commissione il 6 febbraio 2016. Nelle mie domande farò anche riferimento a quanto già dichiarato da lui in quella sede.
  Porrò al generale Inzerilli alcune domande specifiche sul periodo del sequestro Moro, riservandomi poi di formulare alcune domande di tipo più generale sulla struttura Gladio. Da quanto sin qui accertato, a noi risulta che durante il sequestro Moro ci sia stata una mobilitazione da strutture da lei dirette o coordinate. Dalle dichiarazioni rilasciate da Decimo Garau all'autorità giudiziaria il 20 ottobre 1991 risulterebbe, tuttavia, un'attivazione specifica, anche se di relativa importanza. Una più consistente è, invece, successiva e si riferisce al sequestro Dozier.
  Per quanto attiene alla vicenda Moro leggo, sintetizzando, la dichiarazione di Garau: «Durante il sequestro dell'onorevole Moro ho partecipato a un'esercitazione programmata già prima del rapimento e, se ben ricordo, fin dal dicembre 1977, consistente nell'esfiltrazione di una persona da attuarsi nella zona della Tolfa. L'esercitazione consisteva nel portare l'esfiltrando da Roma e Cerveteri e poi di qui, passando per la Tolfa, fino a una spiaggia, forse quella di Santa Severa. Ricordo che durante il percorso da Roma a Cerveteri il nostro pullmino fu fermato da un posto di blocco dai Carabinieri, ma il controllo, peraltro generico, non consentì ai Carabinieri di accorgersi della cassa nella quale era posto il tenente Mura. Così proseguimmo fino a Cerveteri senza particolari ostacoli. Tutta l'esercitazione durò tre o quattro giorni. Durante gli spostamenti avemmo modo anche di osservare dei casolari che potevano nascondere movimenti sospetti. Avevamo avuto direttive, infatti, di segnalare alla centrale (colonnello Inzerilli), eventuali fatti sospetti in considerazione del sequestro in atto».
  Nella sua audizione alla Commissione stragi del 29 novembre 1990 lei ha minimizzato questa vicenda dicendo che «la sensibilizzazione va intesa in questo senso: ognuno deve riferire se vede qualcosa di particolarmente strano. Questo non significa attivare la rete».
  Rispetto a questa ricostruzione colpiscono sono diversi elementi. Uno è l'inefficienza dei posti di blocco, che fu rilevata già nella prima Commissione Moro. L'altro è il senso di questa direttiva impartita, che appare generica. Cosa si intendeva fare? Dare un'occhiata in giro casualmente o coordinarsi con le forze di polizia o altre strutture? Sulla base di quale mandato si operava o erano estranei al mandato, ma erano frutto di una programmazione di attività precedenti?

  PAOLO INZERILLI. Durante il sequestro Moro noi non abbiamo avuto nessun compito di carattere operativo, né io ho attivato la struttura, nel modo più assoluto. Abbiamo continuato a svolgere l'esercitazione già programmata nonostante la città Pag. 5di Roma in quel periodo, in quei giorni, fosse diventata quasi sottoposta alla legge marziale, nel senso che era piena di Carabinieri, di Guardia di finanza, dell'Esercito, a costituire posti di blocco soprattutto in uscita da Roma su tutte le strade consolari e anche le minori.
  Ho deciso, anche contro il parere di uno dei miei collaboratori, di continuare quello che avevamo programmato. Mi serviva, onestamente, per saggiare sia le capacità tecniche – diciamo così – del personale civile che stava finendo il corso, sia per testarne la resistenza allo stress. È ovvio che dover passare, sapendo qual è la situazione, in mezzo a posti di blocco di questo, di quello e di quell'altro nascondendo una persona dentro un furgone pieno di casse di materiale elettrico comportava una certa necessità di avere i nervi saldi.
  Avevo predisposto, comunque, per essere tranquillo, che dietro questo furgone ci fosse un altro mezzo, una macchina normale, dove c'era un mio capitano dei Carabinieri, il quale quindi sarebbe intervenuto, se fosse successo qualcosa, per dire: «Fermi tutti: è roba nostra».
  Preciso che in tutte le esercitazioni in cui partecipavano i civili ognuno di loro aveva una busta sigillata, dentro la quale c'era una tessera con il numero di telefono di una delle installazioni militari a tutti gli effetti, come poteva essere Cerveteri. Questa tessera diceva: «Il latore della presente sta operando per conto dello Stato maggiore difesa nel quadro dell'esercitazione». Se succedeva qualcosa, il civile doveva consegnare questa busta, che veniva aperta dal carabiniere, dal poliziotto o da chi l'aveva fermato e poteva, quindi, controllare automaticamente, chiamando quel numero, che corrispondeva a un numero della Difesa.
  L'esercitazione è andata bene.
  La seconda parte della sua domanda: la sensibilizzazione non significa attivare la struttura. Le Brigate rosse non erano nate il giorno prima. Quindi, quello che io avevo disposto per tutte le reti esistenti era che appunto dessero un'occhiata in giro, nel senso che cose strane, movimenti strani potevano significare qualcosa, magari non per loro, ma messi insieme.
  Chiaramente, tutto questo è ultracompartimentato. Se qualcuno degli esterni avesse trovato qualcosa di particolare, lo riferiva solamente alla centrale ed ero io che poi decidevo, se trovavo che era una cosa sufficientemente interessante, di passarlo a chi di dovere e, quindi, o ai Carabinieri, o alla Polizia, o alla Guardia di finanza, a seconda di quello che poteva essere l'interesse.
  Parlavo prima con il vostro consulente, il dottor Donadio. Una delle sensibilizzazioni, tanto per dire, che si è protratta nel tempo era che alcuni dei civili, per esempio, lavoravano in banca, non come direttori, ma come funzionari. Quindi, erano in condizione – sensibilizzarli significava questo – di controllare se c'erano movimenti strani di somme notevoli, o in entrata, o in uscita, su un conto corrente che normalmente, invece, era normale.
  Questo significa sensibilizzare. Non significa attivare la rete, non significa ricercare informazioni. Significa soltanto tenere gli occhi aperti, che è quello che poi abbiamo dovuto fare quando ci hanno mandato a cercare l'eventuale covo delle Brigate rosse, quando avevano rapito il generale Dozier.
  Uno dei discorsi che io ho fatto a suo tempo al mio personale – eravamo una ventina – nella zona tra Prato e Roncobilaccio riguardava una cosa che può sembrare banale e stupida, ma era quella, per esempio, di controllare l'acquisto di pane da parte di una persona nei supermercati. Non c'è nessuno che compri dieci chilogrammi di pane, normalmente, a meno che non sia un collegio. Se un singolo personaggio compra pane a chili, significa che in casa sua non c'è soltanto lui, la moglie e il figlio, ma c'è qualcun altro. Questo poteva essere un indizio dell'eventuale rifugio, dell'eventuale covo delle BR, perché chiaramente ci sarebbe stata parecchia gente e si dovevano dare il cambio la mattina e la sera, eccetera.
  Questo è il significato di sensibilizzazione.

  PRESIDENTE. Altra domanda. Nell'audizione dell'ammiraglio Martini presso la Commissione stragi del 6 ottobre 1999 uno Pag. 6dei parlamentari ha richiamato una dichiarazione da lei rilasciata secondo cui molti documenti raccolti dal SISMI sulla cosiddetta «Gladio rossa» furono distrutti nel 1974, quando si procedette alla distruzione dei fascicoli del SIFAR. Può darci qualche elemento su questo passaggio? Qual è la sua valutazione della situazione della cosiddetta «Gladio rossa» nei primi anni Settanta? Questo è un tema che parte da una sua dichiarazione e a cui poi non è stata data una risposta o un approfondimento.

  PAOLO INZERILLI. «Gladio rossa» è un nome che ho dato io a quella struttura. Ho sempre parlato di tre Gladio. Ho appiccicato queste tre etichette, avendo letto quello che è successo: la Gladio bianca è la nostra, la Gladio rossa è quella del Partito comunista dell'epoca (anni Cinquanta soprattutto) e la Gladio nera è quella che è saltata fuori, cioè gli NDS. Gladio nera perché, pur essendo un organo teoricamente delle Forze armate, è molto infiltrato da parte della destra dell'epoca.
  Della Gladio rossa io mi sono interessato solamente quando ero capo di Stato maggiore, perché ci sono state richieste specifiche da parte della Procura di Roma. Se non ricordo male il sostituto era De Ficchy, al quale abbiamo consegnato tutto il materiale documentale che era stato raccolto negli anni dal Servizio. Poi è uscito un libro – non scritto da noi – che ha riassunto tutta la documentazione che il Servizio ha passato al magistrato.
  Non mi ricordo personalmente se sono stati distrutti i documenti relativi alla «Gladio rossa». Sicuramente tutto quello che c'era – parlo degli anni Novanta – è stato in toto consegnato alla magistratura.

  PRESIDENTE. Quello degli anni Novanta sì. Io chiedevo se furono distrutti documenti di Gladio – io ho detto «Gladio rossa», ma più in generale di Gladio – nel 1974, quando si distrusse il materiale SIFAR.

  PAOLO INZERILLI. Nel 1974... Adesso la data esatta non la so. Noi abbiamo distrutto molta documentazione negli anni, parlo anche del periodo prima di me, in quanto non considerata più necessaria e più aggiornata. Esisteva all'epoca – non mi ricordo esattamente la data – una direttiva specifica dell'Ufficio centrale sicurezza interna (UCSI) di distruggere tutta la documentazione non necessaria, soprattutto – uno dei tanti vizi della burocrazia – le copie delle fotocopie, per cui dello stesso documento si trovavano magari 4, 5, 6 copie del tutto inutili.
  Quindi, delle distruzioni sono state fatte sicuramente sempre e comunque. Mi riferisco al materiale che riguardava la Gladio, per quello che ne so io, è chiaro. Questo è successo sicuramente anche negli altri uffici del SISMI e soprattutto del SIFAR.
  Del SIFAR, che io sappia, sono stati distrutti soprattutto i documenti ritenuti non giustificabili, cioè elenchi di persone che non avrebbero dovuto essere coinvolte in nessun tipo di attività da parte del servizio di allora. Parlo del SIFAR.

  PRESIDENTE. Un'altra questione, che fu già sollevata dalla Commissione stragi, è relativa alle vicende di un fascicolo che lei illustrava alla struttura anti-invasione stay-behind. Lei e Martini avete detto che, come di prassi, il fascicolo fu illustrato e consegnato il 16 dicembre del 1977 al Ministro della difesa Attilio Ruffini, che fu in carica dal 18 settembre 1977 al 14 gennaio 1980, ma che poi il documento non fu restituito fino a luglio del 1980 e che, quando fu cercato nel corso del sequestro Moro, non era presente presso la cassaforte del Ministero.
  La questione si intreccia con quella del fatto che Moro fosse al corrente di segreti NATO. Questo tema, come è noto, fu oggetto di un'inchiesta nel corso del sequestro, che giunse alla conclusione che Moro non disponeva di informazioni sensibili. Tale conclusione appare, peraltro, in parziale contraddizione con alcuni passaggi del «memoriale» trovato in via Monte Nevoso.
  Vorremmo, per quanto di sua conoscenza, che ci spiegasse meglio questa vicenda. Quali erano le norme e la prassi che regolavano la circolazione del fascicolo stay- Pag. 7behind e in che senso l'operato di Ruffini costituiva o poteva costituire un'anomalia?

  PAOLO INZERILLI. Allora, va precisato che fino al 1975 non è mai stato fatto nessun briefing e nessuna informazione ai politici. Il Servizio dipendeva dal capo di Stato maggiore della difesa ed era l'unica persona a cui il Servizio faceva il briefing sulle attività dello stay-behind.
  Dal 1975 abbiamo iniziato – dico «abbiamo» perché sono stato io quello che ha scritto il primo briefing col mio capo ufficio di allora – e la prima informativa ai politici è stata fatta al Ministro della difesa, che all'epoca era Forlani, se non ricordo male.
  Da quel momento in poi abbiamo informato tutti i Ministri della difesa, ma lì si fermava. Quindi, a livello teorico, l'onorevole Moro non doveva essere a conoscenza di nulla di tutto ciò. Il ministro era tenuto a non divulgare quello che sapeva, quello che gli veniva detto. Poi, siamo tutti umani e può essere che qualcuno abbia sbarellato. Comunque, questa era la direttiva e questo era quello che si faceva.
  Il ministro del fascicolo non era Ruffini, se non ricordo male, ma era Lattanzio, che non l'ha restituito. Quando Martini è andato a controllare la cassaforte del ministro – ero stato io a dire a Martini di controllare se, nel controllare la cassaforte del ministro, avesse trovato questo briefing – il briefing non c'era. Da tener presente, per quello che io mi ricordo, per come conosco come funzionava il ministero, non è che esisteva una sola cassaforte; di casseforti ce n'erano parecchie.

  GERO GRASSI. Il ministro era Ruffini, non Lattanzio. Lattanzio si era dimesso per il caso Kappler nel 1977. Poi era passato al Ministero dei trasporti.

  PAOLO INZERILLI. Posso sbagliarmi. Comunque sia, il fascicolo è tornato, mi pare un anno o due anni dopo – adesso non me lo ricordo; basta andare a controllare nelle carte – restituito dal capo di gabinetto, o dal sottocapo... dal vicecapo di gabinetto dell'epoca, che era un ammiraglio, se non ricordo male.
  Comunque, ci tengo a precisare che il briefing era fatto ad hoc per i politici, quindi non c'era nessuna indicazione di livello operativo che consentisse a chiunque di poter ricostruire dove erano le reti, quante erano, dove erano dislocate, quanti uomini c'erano per ogni rete, eccetera. Era la parte – come posso dire? – storica, che quindi aveva valore chiaramente dal punto di vista politico, ma non aveva nessun valore dal punto di vista operativo. Quindi, alle BR, come d'altra parte ho letto in una delle deposizioni che sono state fatte in questi periodi, non interessava, chiaramente, assolutamente nulla della struttura antinvasione.
  Per quello che ricordo io – secondo passaggio – Moro nel suo «memoriale», diciamo così, nelle carte che sono state trovate, parla di controguerriglia. Controguerriglia significa un discorso che è esattamente l'opposto di quello che era la nostra pianificazione operativa. Dagli anni Cinquanta fino alla metà degli anni Settanta, 1977 o 1978, adesso non ricordo con esattezza, la priorità delle attività era quella di svolgere immediatamente, subito dopo l'invasione, l'attività di guerriglia contro gli invasori, chiunque essi fossero. Chiaramente, la minaccia più importante era quella da parte delle forze del Patto di Varsavia. Poi, come seconda priorità, le altre attività.
  Questo perché la dottrina NATO di allora – parlo degli anni Cinquanta – prevedeva che, essendo gli eserciti in fase di ricostituzione dopo la guerra, non esistevano in realtà eserciti in Europa, eccetto quello dell'Unione Sovietica. Tutti gli altri eserciti erano stati spazzati via, compreso quello italiano, dalla guerra. Gli altri due eserciti che esistevano erano quello inglese, che stava Oltremanica, e quello americano, che stava oltre l'Atlantico.
  Quando è cambiata la dottrina NATO, nel senso che le capacità delle forze militari di tutta la NATO è stata tale da poter decidere di fare la difesa da parte delle forze armate ai confini, è cambiata la priorità delle attività dello stay-behind, per cui la guerriglia è passata come ultima delle priorità. Nella prima fase la priorità numero 1 era rallentare l'avanzata. Nella fase Pag. 8successiva, che è andata avanti fino agli anni Novanta, la guerriglia era l'ultima delle priorità, perché la guerriglia avrebbe dovuto coadiuvare la controffensiva da parte delle forze armate regolari. Questa è la differenza fondamentale.
  Quindi, in teoria – ripeto, in teoria – Moro non doveva sapere assolutamente nulla di quanto riguardava la Gladio. Aveva saputo qualcosa, invece, per quello che riguardava l'esistenza in ambito NATO di qualche cosa per fare la controguerriglia. Quindi, il discorso è completamente l'opposto.

  PAOLO BOLOGNESI. Quando lei dice «Ho fatto controllare le casseforti», cosa vuol dire? Normalmente, è una cosa normale che uno vada a controllare le casseforti, il contenuto delle casseforti, oppure è stata una cosa fatta – come posso dire – di soppiatto?

  PAOLO INZERILLI. No, di soppiatto niente. Primo, non l'ho detto io. Qualcuno ha dato l'incarico all'ammiraglio Martini, vice capo del Servizio pro tempore, di andare a controllare la cassaforte del ministro e di controllare se esistevano o no documenti NATO di cui l'onorevole Moro potesse essere a conoscenza. In quel contesto, io ho chiesto all'ammiraglio Martini, col quale ero in rapporti ottimi dal 1976, di controllare... È stato il primo capo reparto del Servizio militare a essere indottrinato, perché neanche i capi reparto venivano indottrinati; anche all'interno del Servizio c'era la compartimentazione. C'erano solo tre persone che conoscevano l'attività: il sottoscritto, perché la dirigeva, il capo dell'ufficio e il direttore del Servizio. Nessun altro. Quindi, io ho chiesto all'ammiraglio Martini, avendo saputo che avrebbe dovuto fare questo controllo alla cassaforte del ministro, di controllare se trovava questo briefing che era stato fatto e inviato al ministro.

  GERO GRASSI. Presidente, soltanto perché rimanga agli atti, il ministro era Attilio Ruffini. È certo.

  PRESIDENTE. Non ho dubbi.

  FEDERICO FORNARO. Nella sentenza del 2001, che reca la sua assoluzione e quella di altri, si fa riferimento al fatto che le seguenti autorità politiche hanno ricevuto il briefing sull'attività di stay-behind in periodi antecedenti al 1975: Giulio Andreotti nel 1960, Francesco Cossiga nel 1967, Luigi Gui nel 1968. Lo segnalo solo perché agli atti risultano cose differenti da quelle che lei ha detto.

  PAOLO INZERILLI. Cossiga era Sottosegretario alla difesa. Tra i suoi compiti c'era quello... Dagli anni Cinquanta fino agli anni 1975-76 il personale civile doveva aver fatto il servizio militare per potere far parte della Gladio e veniva richiamato normalmente, come succedeva all'epoca, cioè praticamente durante le estati. Era l'unico periodo in cui si potevano fare i richiami. Il sistema funzionava nel senso che chi stava al posto mio prima di me, e io per un anno o due, mandavamo tramite scala gerarchica militare, non come Servizio, ma come RUD (Raggruppamento unità difesa), al Ministero della difesa l'elenco del personale da richiamare e il sottosegretario aveva il compito di inserire... Quindi, in questo senso Cossiga sapeva.
  Andreotti trovo strano che sapesse qualcosa negli anni Sessanta. Ripeto, il primo briefing l'ho scritto personalmente io e sono sicuro della data. Era il 1975 e il ministro era Forlani. Da quel momento in poi tutti i ministri sono stati aggiornati. Martini, quando ha assunto la direzione del Servizio, ha ristretto il briefing rispetto a quello che era stato compilato fino allora, ma ne ha esteso la comunicazione, oltre che al Ministro della difesa, al Presidente del Consiglio e ai Capi di Stato maggiore delle tre Forze armate, anche perché avevamo cominciato a lavorare insieme con le Forze armate, cosa che fino agli anni Settanta non era mai stata fatta.

  PRESIDENTE. Sempre su questo tema le chiedo: secondo lei, che tipo di consapevolezza poteva avere Moro di Gladio? Ricordo, a tal proposito, che dopo la pubblicazione Pag. 9 del «memoriale» di via Monte Nevoso lo stesso Martini ipotizzò che Moro avesse una conoscenza di Gladio maggiore di quanto precedentemente si riteneva (dichiarazione di Martini a Maria Antonietta Calabrò, Corriere della Sera del 1° marzo 2001).
  Inoltre, Taviani ricordò in audizione alla Commissione stragi il 15 dicembre del 1990 che Moro acconsentì, dopo la vicenda De Lorenzo-SIFAR, a «omissare» alcuni documenti che citavano lo stay-behind, che, secondo Taviani, Moro chiamava, con termine significativo, «SID parallelo».

  PAOLO INZERILLI. Sì, questa etichetta...

  FEDERICO FORNARO. È la dicitura del primo fascicolo che Andreotti consegna al Parlamento.

  PAOLO INZERILLI. Questa etichetta di «SID parallelo» ci ha «coperto». Coperto nel senso cattivo, cioè siamo stati etichettati con questa etichetta. Non era un SID parallelo. La nostra attività era quella che ormai tutto il mondo sa. C'era una sola logica, che soltanto noi potevamo sapere. Eravamo gli unici, l'unica struttura del Servizio, da sempre, che sapevamo che cosa avremmo dovuto fare dal momento in cui fossero scoppiate le ostilità. Nessuno del Servizio sapeva dove sarebbe finito, cioè se sarebbe rimasto Forte Braschi o andato da qualche altra parte, il solito Monte Soratte alle porte di Roma. Noi invece sapevamo esattamente dove andare, cosa fare, chi doveva andare e dove, quindi chi doveva andare ad AFSOUTH, chi doveva andare a SHAPE, chi doveva andare in Inghilterra, eccetera. In pratica, noi, in caso di occupazione non dico di tutto il territorio nazionale, ma – perché la speranza era quella– di parte del territorio nazionale, saremmo diventati in automatico il Servizio informazioni del momento. Il resto del Servizio avrebbe continuato a svolgere altre attività, ma chiaramente non nel territorio occupato.
  Quindi, questo «SID parallelo» potrebbe venir fuori da questa errata interpretazione. Noi eravamo, e c'erano i piani, gli unici in condizione di sapere, uomo per uomo, dove dovevamo andare, come dovevamo muoverci, quando e quali erano i mezzi a disposizione, eccetera.

  PRESIDENTE. Dalle parole di Taviani in Commissione stragi, il quadro che emerge è che, quando Moro deve riferire sulla vicenda De Lorenzo-SIFAR, trova all'interno citata questa stay-behind e chiede a Taviani: «Che devo fare?» Taviani gli dice: «Devi mantenere gli omissis». Questo è il senso.
  Quindi, la conoscenza molto probabilmente deriva da questo. Moro, molto probabilmente, non ne aveva una cognizione approfondita, ma sapeva dell'esistenza, perché, per chiamarlo «SID parallelo», doveva essere a conoscenza di quella struttura.

  PAOLO INZERILLI. Certo.

  PRESIDENTE. Nelle sommarie informazioni rese a collaboratori della Commissione nel 2016 lei ha svolto alcune considerazioni sul colonnello Guglielmi. Ha, in particolare, ricordato di aver avuto rapporti con lui dal 1979, quando Guglielmi fu nominato capo sezione, ma ha precisato che Guglielmi era consulente esterno del Servizio dal luglio 1978.
  Conferma che il passaggio di Guglielmi al Servizio avvenne nel luglio del 1978, prima come consulente, poi come effettivo, e che anteriormente al luglio 1978 Guglielmi non aveva rapporti col Servizio? Può fornirci, secondo il suo ricordo, un profilo di questo ufficiale e delle attività da lui svolte, per quanto a lei note? L'ha incrociato nella sua attività?

  PAOLO INZERILLI. Guglielmi, per quello che mi risulta, è stato al Servizio negli anni Sessanta. Stava alla prima divisione, al reparto D di allora, cioè al controspionaggio, per intenderci. Poi è rientrato in Forza armata, non so quando. Le date esatte non le conosco.
  Ho conosciuto, come ho detto, Guglielmi verso la fine del 1978, quando ha cominciato a lavorare come consulente per quanto riguarda la struttura del Servizio dell'epoca, Pag. 10 credo fosse la direzione della sicurezza interna, dedicata al controllo del personale che faceva parte del Servizio. Questo era il compito della struttura.
  L'ho conosciuto meglio dopo...

  FEDERICO FORNARO. Quando parla di Servizio intende il SISMI?

  PAOLO INZERILLI. Il SISMI.
  Ho conosciuto Guglielmi poi più tardi, perché – suppongo ricordandosi quello che aveva fatto negli anni Sessanta ad Alghero – ha chiesto a me, che ero responsabile dell'addestramento e stavo per costituire la scuola unica del Servizio, di poter addestrare il personale di questa struttura di nuova costituzione rispetto al passato con lo stesso sistema con cui facevamo i corsi per la prima divisione.
  Questi corsi per la prima divisione poi soprattutto negli anni dal 1980 in poi, cioè da quando è stata costituita la scuola del Servizio, li chiamavamo corsi TED. I corsi TED significava tiro e difesa personale, che mi sembra abbastanza ovvio, mentre la E stava per «esplosivi». Anche se qualcuno qui ha raccontato filosofia, gli esplosivi erano in funzione dell'antiterrorismo. Non insegnavamo come si fa, ma come un ordigno poteva esplodere, come si poteva cercare di neutralizzarlo, come era pericoloso toccarlo e muoverlo, eccetera. Quindi, era esattamente alla rovescia. Sono corsi che abbiamo continuato sempre a fare con la prima divisione, soprattutto – ripeto – in funzione di antiterrorismo. Questi stessi corsi TED li abbiamo fatti per il personale della struttura nella quale c'era Guglielmi.

  PRESIDENTE. Quindi, Guglielmi non aveva un ruolo di rilievo nel Servizio?

  PAOLO INZERILLI. Per quel che mi ricordo, no. Era sovrastato da Musumeci.

  PRESIDENTE. Le dice niente il nome del colonnello Giovanni De Iudicibus?

  PAOLO INZERILLI. Sì.

  PRESIDENTE. Ci sa dire qualcosa?

  PAOLO INZERILLI. De Iudicibus è stato per un periodo mio capo ufficio. Io sono arrivato praticamente insieme al colonnello Primiceri. Quando Primiceri è stato ritrasferito, cioè è rientrato in Forza armata, De Iudicibus, che era il vice nel periodo di Primiceri, ha assunto automaticamente il comando dell'ufficio R. In quella veste, chiaramente, io ho dovuto «briefarlo» come capo ufficio. Questa era la prassi. È tutto lì. Rapporti particolari non ci sono mai stati.

  PRESIDENTE. Nel corso delle sommarie informazioni rese ai nostri collaboratori, lei ha dato dei riscontri sull'infondatezza delle affermazioni di Antonino Arconte. Può sottolinearle rapidamente di fronte alla Commissione?

  PAOLO INZERILLI. Sì. Se le interessa poi posso depositare i pezzi di carta che mi sono stati dati a suo tempo.
  Primo, non esiste e non è mai esistita una sigla, una matricola G71. Tutto il personale aveva dalle origini, dal 1958, quando è iniziato il reclutamento... Inizialmente erano soprattutto due le strutture: la Stella alpina, che riguardava il Friuli, e la Stella marina, che riguardava in particolare la zona di Trieste. Erano eredità delle organizzazioni precedenti in funzione anti-titina, quando Tito cercava di arrivare all'Isonzo. Le matricole, quindi, erano SA seguita da un numero o SM seguita da un numero. Tutti gli altri avevano esclusivamente un numero a quattro cifre, che poteva essere 0001. Quindi, non esisteva G71.
  Secondo, il 1971 è l'anno che dà la matricola vera di quando Arconte è stato incorporato nella Marina. È l'anno della sua incorporazione. Oltre al 71 nella sua matricola c'è una M. Nella prassi della Marina questo significa incorporato nel 1971 e mandato alla Maddalena. La Maddalena era l'equivalente per la Marina di quello che il CAR – Centro addestramento reclute – era per l'Esercito. Per la Marina era la stessa cosa. In particolare La Maddalena era la scuola di formazione dei sottufficiali della Marina.
  Terzo, Arconte, sempre carte alla mano, è stato considerato come «comune di seconda Pag. 11 classe». Significa poco meno di caporal maggiore. Questa è una delle tante discrasie con quello che lui racconta.
  Quarto, nelle famose lettere che dice di aver ricevuto c'è scritto «da dare al capitano Arconte». Nella Marina non esiste il grado di capitano. Esistono i gradi di capitano di corvetta, capitano di fregata e capitano di vascello, che corrispondono al maggiore, tenente colonnello e colonnello nell'Esercito. Da caporal maggiore a diventare capitano... Credo di aver detto a chi mi ha interrogato, con una battuta, che l'unico caporale che è diventato qualcuno si chiamava Adolf Hitler. Nessun caporale ha fatto carriera, compreso il signor Arconte.
  Quinto, nella lettera che Arconte ha prodotto, quest'ordine particolare viene dal capo ufficio del personale, che è una cosa inesistente e impensabile in qualunque esercito del mondo. Gli ordini operativi vengono dati da altre strutture, non certo dal capo dell'ufficio del personale.
  Aggiungo che in una di queste lettere che ha prodotto c'è la controfirma, secondo lui, di Martini. Martini non avrebbe mai, dico mai, controfirmato una lettera scritta da qualcun altro. O firmava lui, o faceva firmare, come è stato quando io ero capo di Stato maggiore, «d'ordine» e, quindi, firmavo io. «D'ordine» significa che era Martini che mi aveva detto di farlo. Quindi, è impensabile.
  Una delle poche cose vere è che dice di essersi imbarcato su una nave di cui non ricordo il nome.

  GERO GRASSI. Jumbo M.

  PAOLO INZERILLI. Perfetto. È sacrosantamente vero. Un piccolo particolare è che si è imbarcato su quella nave ed è ritornato a La Spezia sei mesi dopo. Esiste il verbale – non so come si chiami in Marina – con la data di imbarco e la data di sbarco. Il suo compito era quello di ingrassatore di macchina. Lì ci sono i dati. Chiunque avrebbe potuto cercarli e non è stato fatto.

  PRESIDENTE. Io ci credo. Noi abbiamo chiesto se ce li davano. Se lei ha qualcosa e ce li dà, anche in fotocopia, ci fa un favore. Il Ministero della difesa non è riuscito a trovare tracce della Jumbo M.

  PAOLO INZERILLI. Li consegnerò alla segreteria della Commissione. Se fate per voi una fotocopia, ve li lascio. Tra le altre cose, queste carte me le ha mandate un giornalista, di cui non mi ricordo con esattezza il nome. Se non ricordo male, una giornalista di RAI 3. Quindi, lei è riuscita ad averli. Le Commissioni d'inchiesta non sono riuscite ad averli. Non so cosa farci. Sono quelli. Quindi, ci sono dei dati che sono incontrovertibili. Arconte può raccontare quello che vuole.

  PRESIDENTE. Il riferimento al grado di caporal maggiore e al ruolo di ingrassatore, con il resto, sarà da approfondire. Può darsi che adesso, dopo che lei ce li trasmette, chiediamo di fare una verifica.

  PAOLO INZERILLI. Quello che ho già detto anche al vostro consulente, generale Scriccia, quando sono stato sentito da lui per rendere sommarie informazioni testimoniali, è che certi ordini, visto che sono stato 17 anni al Servizio...

  PRESIDENTE. Magari non vengono messi per iscritto.

  PAOLO INZERILLI. Esatto, bravo.

  PRESIDENTE. Avevamo anche noi il sospetto.

  PAOLO INZERILLI. Si fanno a quattr'occhi.

  GERO GRASSI. Non sono cose belle da sentirsi dire.

  PRESIDENTE. Al di là delle battute, che possono far piacere o non far piacere, se uno fa attività di intelligence per difesa del proprio Paese e lo mette per iscritto e lo manda in giro per il mondo, più che attività di intelligence, è divulgazione nel mondo dei segreti del Paese. Pag. 12
  Una questione su cui ci si è a lungo interrogati è quella sulla circolazione di armi e munizioni riconducibili a depositi di strutture segrete come i NASCO. Per quanto attiene alla vicenda Moro, un appunto della Questura di Roma, datato 27 ottobre 1978 e siglato da Domenico Spinella riportava: «Dagli esami compiuti dai periti» – sappiamo che è tutt'altra storia – «su alcuni bossoli rinvenuti in questa via Fani risulterebbe che le munizioni usate provengono da un deposito dell'Italia settentrionale le cui chiavi sono in possesso di solo sei persone». Glielo chiediamo per capire non se è vero o no, ma per capire quali messaggi si volevano mandare e a chi, con quell'appunto, al di là del fatto che in realtà quei bossoli provenivano dalla ditta Fiocchi ed erano per il commercio estero.
  Il perito balistico Ugolini, escusso dai collaboratori della Commissione il 5 febbraio 2016 – il perito Ugolini è lo stesso che sui proiettili di via Fani dice questo, un mese dopo, su quelli di via Gradoli dello stesso tipo, dice che appartengono a una tabella merceologica normale della ditta Fiocchi per l'estero; ha avanzato il dubbio «che qualcuno non abbia riportato in maniera impropria qualche chiacchiera informale, voci, supposizioni o mere ipotesi, che magari erano riferite ad armi nascoste, forse dell'epoca dei partigiani o altri».
  La notizia, che probabilmente derivò dal mondo dei periti, fu pure ritenuta infondata da un rapporto del CESIS del 1991, che bollava come «una palese forzatura» l'accostamento delle munizioni utilizzate in via Fani a quelle dei NASCO.
  Al di là di questa vicenda, i NASCO cos'erano, che tipo di armamenti avevano dentro e soprattutto – questa cosa a noi ronza nell'orecchio – se uno deve fare un depistaggio, una falsa informazione, qualunque cosa, perché parlare proprio un NASCO dell'Italia settentrionale le cui chiavi ce le hanno sei persone? Avevate, sei lucchetti? Vorremmo capire quale messaggio si voleva mandare con la menzione di queste sei chiavi.

  PAOLO INZERILLI. Innanzitutto cominciamo a dire che non esistevano chiavi. I NASCO – per dire nascondigli – erano delle buche scavate nel terreno dove venivano messi dei contenitori in plastica antiroditori, una roba pazzesca, puzzolente da morire, oppure delle cassette metalliche depressurizzate, in maniera che si potesse conservare tutto il materiale per anni senza problemi.
  Si dà il caso che nel 1972 tutti i NASCO siano stati ritirati, eccetto i 12 che il giudice istruttore Mastelloni ha recuperato nel 1991, perché stavano sotto a delle strutture che, a suo tempo, andavano bene ma che poi, invece, ad esempio, siccome avevano allargato il piazzale davanti alla Chiesa o avevano allargato il cimitero, o qualcosa del genere, non si potevano recuperare senza che nessuno se ne accorgesse. Ci volevano gli operai con il martello pneumatico. Gli altri NASCO sono stati tutti, dal primo all'ultimo, recuperati. Quindi, all'epoca del sequestro Moro non era possibile che esistesse nessun altro NASCO sparso per l'Italia.

  PRESIDENTE. Per lei questa cosa delle sei chiavi non ha nessun riferimento a luoghi, a eventuali soggetti?

  PAOLO INZERILLI. Zero. Non solo, ma tenga presente un'altra cosa, che i NASCO venivano interrati da personale del Servizio e che nelle casseforti c'era il messaggio che sarebbe stato mandato solamente nel momento della necessità alle varie reti, spiegando come andare a ritrovare i NASCO.

  PRESIDENTE. Senza necessità di chiavi, quindi.

  PAOLO INZERILLI. Zero. Dovevano semplicemente, ad esempio, muoversi dall'angolo sinistro del campanile di San Giusto 100 metri verso destra, 40 metri verso sud e lì scavare. Punto. È tutto lì. Quindi, la storia delle chiavi è inesistente.

  PRESIDENTE. Io ho altre due domande, poi lascio la parola ai colleghi.
  Le pongo poi una questione generale sulla Gladio.
  In sede giudiziaria è stata esclusa l'esistenza di nessi tra la struttura Gladio e Pag. 13fenomeni eversivi degli anni Settanta. Si è anche evidenziata la differenza tra la struttura Gladio e i Nuclei per la difesa dello Stato. In diverse sedi si è, tuttavia, posto il tema delle liste che il colonnello Cismondi distrusse nel 1973, quando prese il posto del colonnello Specogna al centro Ariete. Lei ci sa dire che cosa successe?

  PAOLO INZERILLI. Per quello che io mi ricordo di questa distruzione, non riguardava la Gladio. Quegli elenchi erano gli elenchi del personale che aveva fatto parte dell'organizzazione O. Era un'organizzazione creata nel dopoguerra e vissuta fino all'anno 1956, quando è arrivata la Gladio. Specogna aveva fatto parte della O e, quindi, aveva conservato quegli elenchi per gli affari suoi in cassaforte a Udine. Quando è subentrato Cismondi, sostituendolo, se non ricordo male, nel 1975, nel guardare il carteggio eccetera, ha visto che c'erano quegli elenchi; Cismondi, chiaramente, non capiva che cosa fossero e a cosa servissero, perché non avevano niente a che fare con gli elenchi del personale dell'organizzazione Gladio.

  PRESIDENTE. Quindi, era l'elenco del personale della O che fu levato di mezzo.
  Ultima domanda. Vorrei chiederle un commento su una considerazione che lei fa nel suo volume La vittoria dei gladiatori, pubblicato nel 2009, polemizzando con le inchieste giudiziarie di Venezia e Roma. Lei afferma (pagina 149): «L'inchiesta prende spunto nel novembre del 1990 dal ritrovamento in via Monte Nevoso a Milano di documentazione delle BR riferita al sequestro e all'assassinio dell'onorevole Moro. Cosa c'entrasse Gladio, disvelata da Andreotti pochi mesi prima, con le BR e l'omicidio Moro non si sa, ma tant'è». Anche in altre sedi lei ha respinto questo nesso.
  Poiché compito della Commissione è anche rivalutare le conclusioni delle precedenti inchieste parlamentari e giudiziarie, le chiedo: che tipo di valutazione lei o altri all'interno del Servizio faceste del legame tra Gladio e caso Moro, che venne affermato anche tramite vere e proprie campagne di stampa, nel 1990?

  PAOLO INZERILLI. Noi non abbiamo fatto mai all'interno del Servizio nessun accostamento del genere. L'accostamento del ritrovamento delle carte di via Monte Nevoso con la Gladio è una cosa uscita dalla Procura di Roma, che aveva aperto un'indagine sul ritrovamento delle carte di via Monte Nevoso. Quando è arrivato il carteggio dalla Procura di Venezia (parlo del giudice istruttore Casson all'epoca), è arrivato perché Casson si è spogliato dell'inchiesta – io dico che giustamente, a un certo punto, si è deciso a spogliarsi di un'inchiesta che non gli competeva, perché competeva a Roma – e ha mandato tutto il carteggio a suo tempo sequestrato, o comunque tutto quello che era, comprese le sue richieste di rinvio a giudizio, alla Procura di Roma, la quale ha riunito le due cose, penso del tutto casualmente. Esisteva un procedimento aperto e ha infilato dentro anche quest'attività.
  Probabilmente il leitmotiv di questo è che nelle accuse di Casson c'erano quelle accuse di banda armata, di eversione, di attentato alla Costituzione e altre cose del genere, per cui è chiaro che la procura, avendo questo fascicolo aperto per eversione e per terrorismo sulle Brigate rosse, ha riunito le due cose, anche se poi non esisteva nessun minimo contatto, assolutamente zero. Quindi, questo, da quello che mi ricordo, è il motivo.

  FEDERICO FORNARO. Vorrei approfondire alcune questioni. La prima: nell'audizione del 27 ottobre 2016, a margine di un ragionamento che stavamo facendo su Hypérion, Alberto Franceschini ha riferito che lei, a margine di un convegno, gli disse che Hyperion era stata una sorta di camera di compensazione dei vari Servizi a livello europeo.
  Vorremmo capire qualcosina in più rispetto a questa enigmatica definizione, ammesso che lei l'abbia detta.

  PAOLO INZERILLI. Ho già spiegato nelle sommarie informazioni rese al generale Scriccia, che non ho mai partecipato a nessun convegno insieme a Franceschini. Ho conosciuto Franceschini per caso, per Pag. 14sbaglio – ci saremo visti due ore – a casa di un'altra persona, che non c'entra assolutamente niente. Ho chiarito, sempre nelle sommarie informazioni rese al generale Scriccia, che, per quello che io ricordo, l'Hypérion era una struttura che interessava al Servizio perché il Servizio era convinto che fosse un punto di contatto fra terroristi di varie nazionalità, in particolare Brigate rosse e RAF, se non ricordo male.
  Quindi, niente di tutto quello che ha raccontato Franceschini è vero. Franceschini poi si è ricordato che non gli avevo detto niente. Non gli ho parlato direttamente, ma ho chiesto di farlo a chi me l'aveva presentato quel giorno. Ho chiesto a questo amico comune di dire a Franceschini che in Commissione chiarisse il discorso. Non ha voluto farlo, trincerandosi dietro al fatto che lui davanti a questa Commissione rispondeva solamente alle domande che gli venivano poste e, quindi, non tornava sulle sue precedenti dichiarazioni.
  Questi sono i dati di fatto.

  PRESIDENTE. Comunque, generale, adesso, al di là di quello che pensa Franceschini, la cosa che a noi interessa è quella che lei ha appena detto, cioè che voi avevate «attenzionato» Hypérion perché lo ritenevate un punto, un'associazione in cui terroristi di diverse nazioni si incontravano.

  FEDERICO FORNARO. Da che periodo, generale?

  PAOLO INZERILLI. Il periodo esatto non me lo ricordo, anche perché io non c'entravo proprio nulla. Era il periodo in cui l'ufficio R, quindi il mio ufficio dal punto di vista ordinativo, ma non dal punto di vista reale, perché io non avevo niente a che fare con R... Stiamo parlando degli anni Settanta, del 1974. Io ho assunto la direzione a novembre del 1974, quindi stiamo parlando di quel periodo lì, 1975-76.

  FEDERICO FORNARO. Per quel che lei ricorda, al di là di quest'attività – che può essere stata svolta da Hypérion o, secondo quello che noi abbiamo ricostruito, probabilmente da un'altra struttura che si chiamava Centro di cultura popolare, dove effettivamente c'era un coordinamento, risultava anche dall'attività fatta dei Servizi un coordinamento dei vari gruppi terroristici – accantonando il tema della camera di compensazione e puntando più su questo ruolo, nei colloqui con i suoi colleghi c'era la sensazione di una copertura da parte di qualche Servizio di quel tipo di attività? Qualche Servizio non italiano, ovviamente.

  PAOLO INZERILLI. Non mi ricordo niente di questo. Mi ricordo che la copertura «ufficiale» era quella che doveva essere una scuola di lingue o qualcosa del genere.

  FEDERICO FORNARO. No, ma, per intenderci, i Servizi francesi o quelli inglesi avevano, a suo ricordo...

  PAOLO INZERILLI. No. Io non mi ricordo niente di tutto questo. Ripeto, io mi ricordo che l'ufficio R era sensibile e cercava di sapere chi fossero gli italiani che frequentavano questo posto.

  FEDERICO FORNARO. Perché c'era questo dubbio.

  PAOLO INZERILLI. Perché c'era il dubbio che, invece, fosse un modo di...

  FEDERICO FORNARO. Una copertura.

  PAOLO INZERILLI. Di colloquiare.

  FEDERICO FORNARO. Un centro logistico anche di supporto di quelli che uscivano dall'Italia e un centro di collegamento tra i vari...

  PAOLO INZERILLI. Tra i vari movimenti.

  FEDERICO FORNARO. Seconda domanda, sempre nel suo ricordo e frugando nei cassetti della sua memoria, visto che ne ha passate tante: Edgardo Sogno e i suoi Pag. 15CRD entrarono in qualche modo in contatto o avevano un rapporto con Gladio?

  PAOLO INZERILLI. Assolutamente no. Sempre nelle sommarie informazioni rese a Scriccia ho chiarito a proposito di un'altra cosa. Mi aveva chiesto cosa sapevo, se non ricordo male, di un certo Tiberti, che era uno dei 622, che è stato «congelato» negli anni Sessanta, se non vado errato, proprio perché era in contatto con Sogno ed era diventato l'editore... Da notare, partigiano uno e partigiano l'altro.

  FEDERICO FORNARO. Infatti, volevo poi arrivare...

  PAOLO INZERILLI. Esatto. Tutti e due, sia Sogno che questo Tiberti. Però, col criterio che avevamo allora, nessuno doveva interessarsi di politica attiva, qualunque fosse l'oggetto. Siccome Sogno aveva già iniziato il movimento – non mi ricordo con esattezza la sigla...

  FEDERICO FORNARO. Negli anni Sessanta o Settanta?

  PAOLO INZERILLI. La data esatta non me la ricordo.

  FEDERICO FORNARO. Forse più vicina al 1970.

  PAOLO INZERILLI. È tutto legato a quando Sogno inizia la sua attività «politica». Questo Tiberti diventa l'editore della rivista che Sogno pubblicava. Questo è stato il motivo per cui è stato non allontanato, ma «congelato». Dico questo a dimostrazione che non c'era il minimo contatto.

  FEDERICO FORNARO. Nella fase di selezione e arruolamento, nella fase iniziale, le Brigate Franchi non rappresentarono uno dei potenziali...

  PAOLO INZERILLI. No. I partigiani sì, però, ripeto, un conto è aver fatto la guerra come partigiano, tant'è vero che Sogno è stato fatto socio onorario dell'associazione, quando è stata fondata, come partigiano...

  FEDERICO FORNARO. Io ho solo un dubbio sulle cose che lei dice, perché l'editore della rivista di Sogno non era Tiberti. Non vorrei che confondesse con Gironda.

  PAOLO INZERILLI. No, Gironda è un editore... Siamo amici, facevamo il liceo insieme.

  FEDERICO FORNARO. Le segnalo che l'editore della rivista di Sogno era Gironda, non era Tiberti.
  Il nome di Roberto Dotti non le dice nulla?

  PAOLO INZERILLI. No.

  FEDERICO FORNARO. Non ha mai sentito parlare di lui.
  Un'ultima curiosità. Nella storia di Gladio ci sono autori che hanno parlato sostanzialmente di una fase iniziale, in cui il coordinamento a livello internazionale, prima che entrasse in campo direttamente la CIA e, quindi, gli Stati Uniti, era inglese. Le risulta?

  PAOLO INZERILLI. Per quello che riguarda l'Italia l'idea di Gladio è nata nel 1951. Gladio nasce nel 1956. Il reclutamento inizia nel 1958. Nel 1951 nasce questa idea. Siamo uno degli ultimi Paesi, se non vado errato, che costituiscono la Gladio, cioè che costituiscono lo stay-behind. Francesi, belgi, olandesi, eccetera, avevano già cominciato nel 1948-49.
  Esiste un appunto del 1951 in cui si dice al Capo di Stato maggiore della difesa, praticamente: «Abbiamo due sponsor che ci potrebbero aiutare a mettere in piedi questa organizzazione». Lo sponsor era sia dal punto di vista addestrativo, degli istruttori e di come organizzare la struttura, sia dal punto di vista economico. Siccome dal punto di vista economico la prevalenza, ovviamente, all'epoca era quella degli americani, alla fine sono stati scelti come sponsor gli Stati Uniti, sempre però mantenendo ottimi rapporti comunque con gli inglesi. Questo è andato avanti fino agli anni Settanta.

Pag. 16

  FEDERICO FORNARO. Cosa intende per ottimi rapporti con gli inglesi? Che la struttura aveva una dipendenza economica sostanzialmente dagli Stati Uniti, ma c'era un rapporto e una relazione anche con i Servizi inglesi?

  PAOLO INZERILLI. Sì, diciamo che, da quando è iniziata la costituzione dello stay-behind, abbiamo avuto rapporti ottimali con tutti i Servizi, americani, inglesi, francesi, belgi e lussemburghesi in particolare, perché con noi italiani costituivano la parte «francofona», meno rigida rispetto a olandesi, tedeschi in particolare, e norvegesi. Gli anglosassoni erano un gruppo che marciava in una certa maniera e noi eravamo molto più mediterranei, ovviamente, tant'è che i belgi venivano tutti gli anni ad addestrarsi in Italia.
  Quando io ho iniziato le attività e ho assunto l'incarico, le esercitazioni erano quasi tutte con l'organizzazione dello stay-behind italiano e le forze speciali soprattutto inglesi e americane. Man mano abbiamo esteso il discorso alle organizzazioni di tutti i Paesi della NATO. Quindi, non ci sono stati problemi con nessuno dei Paesi.

  FEDERICO FORNARO. Di queste esercitazioni ce ne furono nel 1978 e nei mesi attorno al sequestro al rapimento e all'uccisione dell'onorevole Moro?

  PAOLO INZERILLI. No, a livello internazionale non ricordo niente del genere. L'esercitazione che ho citato prima è stata una cosa interna nostra. Non mi ricordo esercitazioni particolari.

  FEDERICO FORNARO. Un'ultima cosa. Chiedo di proseguire in seduta segreta, perché intendo citare un documento segreto.

  PRESIDENTE. Passiamo in seduta segreta. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (I lavori proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica)

  PRESIDENTE. Il nome di Tullio Moscardi le dice niente?

  PAOLO INZERILLI. No.

  PRESIDENTE. Quel colonnello suo capo ufficio riempì un modulo e fece una segnalazione per farlo entrare ai Servizi proprio in quegli anni.

  PAOLO INZERILLI. Vorrei chiarire. Questo è possibile. Noi – dico noi nel senso SB – utilizzavamo il capo dell'ufficio R per fare le richieste di informazione come se fossero fatte per lui, per il resto dell'ufficio R. Questo può essere il motivo. Se era un discorso per entrare nel Servizio...

  PRESIDENTE. Per entrare al Servizio.

  PAOLO INZERILLI. Quindi, era roba soltanto di De Iuidicibus. Non era roba mia.

  GERO GRASSI. Su Il Tempo del 27 febbraio è stata pubblicata una sua intervista, generale.

  PRESIDENTE. Di che anno?

  GERO GRASSI. Di quest'anno, di qualche giorno fa. Io l'ho letta. Vorrei che lei chiarisse un passaggio. A un certo punto, lei dice che «i Nuclei di difesa dello Stato rispondevano al Ministro della difesa». Poi sotto è scritto, sempre virgolettato – quindi, roba che ha detto lei; se poi non è vero, io le chiedo scusa e passiamo avanti – che «le persone che lavoravano per quella struttura erano direttamente sotto la responsabilità politica della difesa, cioè dello stesso Andreotti». Poi dice: «Guarda caso, gli aderenti a questi nuclei non erano partigiani e patrioti» – come Gladio – «ma erano anche uomini molto chiacchierati dell'estrema destra, quella eversiva. Quindi dirottando l'interesse dell'opinione pubblica su Gladio, si parlò assai meno dell'altra struttura».
  Non so se sono stato chiaro.

  PAOLO INZERILLI. Chiarissimo.

Pag. 17

  GERO GRASSI. Sono cose che avrebbe detto lei, perché sono virgolettate. Lei nell'intervista dice che, quando scoppia Gladio, Andreotti la fa scoppiare, ne parla in un certo modo eccetera, per distogliere l'attenzione da un'altra struttura. E poi lei dice che, essendo stato Andreotti per molti anni al Ministero della difesa, è stato quello che più se ne è servito e che, di fatto, ha fomentato e «ingrassato» tutto questo.
  Premesso che il «divo Giulio», come sta scritto nell'occhiello dell'articolo, non può rispondere, io chiedo a lei di dirci qualche cosa in più, perché leggerlo ci porta almeno a una considerazione: che esisteva una struttura della quale noi non sapevamo niente.

  PAOLO INZERILLI. Le dirò che neanch'io ne sapevo niente, senonché sono stato interrogato, a suo tempo dal giudice istruttore Salvini, a Milano, il quale stava indagando sulla strage di piazza Fontana. Dalle sue indagini sono emersi i Nuclei di difesa dello Stato. Questi Nuclei, da quello che risulta, dipendevano dalla Terza Armata, che negli anni Settanta – credo – ancora esisteva. Poi la Terza Amata è stata sciolta.
  La Terza Armata era una eredità della Prima Guerra Mondiale, evidentemente, ma sarebbe dovuta essere il comando italiano di tutte le forze italiane nel Nord-Est, dalla Lombardia fino al confine jugoslavo, nell'ambito della NATO. È stata sciolta.
  La caratteristica del reclutamento dei Nuclei di difesa dello Stato era che sarebbero dovuti essere tutti ex militari che avevano partecipato durante il servizio di leva agli uffici I (da cui viene fuori il discorso del colonnello Spiazzi, tanto per intenderci: capo ufficio informazioni non del Servizio; due cose completamente separate).
  La differenza notevole è che all'interno di questa struttura c'erano, a suo tempo, nomi e cognomi di personaggi dell'estrema destra, cosa che nella Gladio «bianca» abbiamo sempre rifiutato. Ho ricordato che di fronte alla Commissione stragi presieduta dal senatore Gualtieri, se non ricordo male, chi mi ha attaccato più ferocemente, ancora più del PCI, è stato l'onorevole Staiti di Cuddia, ex «missino» di ferro, che è scomparso poco tempo fa. Non riuscivo a capire perché ce l'avesse tanto con me. L'ho capito dopo, perché Il Movimento sociale all'epoca era considerato il difensore delle Forze armate e, quindi, non era riuscito a digerire che noi, Forze armate, avessimo rifiutato di arruolare gente come quella. Poi è finita come è finita sui giornali e non solo.
  Lo stesso, quando è scoppiata la Gladio, tanto per rafforzare il concetto, ci sono stati due personaggi che hanno detto in contemporanea che facevano parte della Gladio: uno è il colonnello Spiazzi e uno è Vinciguerra. Tutti e due alle prime battute hanno detto che facevano parte della Gladio, senonché facevano parte dell'altra struttura, sia uno che l'altro.
  Questo discorso – adesso non so se risulta abbastanza chiaro nell'intervista che ho fatto – l'ho citato perché? Perché la scusa di Andreotti per rivelare l'esistenza della Gladio è stata la scusa che era pressato dalla magistratura, alias Casson. Contemporaneamente Salvini stava facendo l'altra indagine. Come diceva Andreotti stesso, a pensar male eccetera.
  È un po’ strano che Andreotti faccia fare un accertamento tre o quattro mesi prima di far uscire le notizie. Questo controllo fu fatto dal Capo di Stato maggiore della difesa dell'epoca. Chiarisce ad Andreotti, Presidente del Consiglio dei ministri, che è tutto a posto, tutta gente perbene, non c'è contrasto, non c'è questo, non c'è quello, non c'è quell'altro, e la cosa viene messa in piazza.
  In contemporanea, però, c'è l'altra struttura, quella degli NDS. Andreotti è stato Ministro della difesa. È possibile che non abbia saputo che esisteva una struttura che dipendeva dalla Terza Armata e, quindi, dallo Stato maggiore della difesa? Non credo che sia molto fattibile.
  Ma c'è un'altra cosa: non mi ricordo se in Parlamento o al Senato, in una dichiarazione ufficiale fatta, Andreotti disse: «La Gladio è stata sciolta negli anni 1972-73». Guarda caso, sono gli anni in cui viene sciolta la struttura NDS. Ci sono un po’ troppe coincidenze, a mio parere. Poi Andreotti non può rispondere, ma questi sono dati di fatto.

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  GERO GRASSI. Così per sdrammatizzare: non credo che avrebbe risposto, se ci fosse stato.

  PAOLO INZERILLI. Questo è sicuro. Ho raccontato prima uno degli episodi, sempre in Commissione, in Parlamento. Una delle dichiarazioni che ha fatto è che l'ammiraglio Martini e io avevamo emanato una direttiva, quando ormai era scoppiato il caos e avevamo congelato il reclutamento, per cominciare ad addestrare il personale dello stay-behind in funzione anticriminalità organizzata.
  Tutti i nostri avevano come compito di controllare spiagge, zone di lancio, zone di atterraggio, per le questioni nostre, passaggi di frontiera, eccetera. Quindi, quale miglior possibilità non di intervenire, ma di raccogliere dati che poi arrivassero alle forze dell'ordine, ad esempio: «Ieri sera sono sbarcati col gommone a Capo Marrargiu». In quell'intervento Andreotti ha detto: «Oltretutto, questa direttiva non è stata mai comunicata al Governo e io non l'avrei comunque avallata».
  Quando nel processo infinito, nel quinto e ultimo mio processo – a ruota, ne finivo uno e mi accusavano dell'altro – a Rebibbia, che è durato cinque anni, Andreotti è stato convocato davanti alla Corte di assise come teste chiamato dall'accusa, una delle cose che è stata citata è stata questa. Si dà il caso che ho imparato il mio mestiere piuttosto bene, soprattutto come capo di Stato maggiore. Ho tirato fuori un pezzo di carta a firma mia nel quale mandavo la direttiva al Ministro della difesa dell'epoca. La risposta di Andreotti è stata: «Ah, è vero. Il Governo lo sapeva, ma io no». Questo per chiarire quale sarebbe stata la risposta di Andreotti.

  GERO GRASSI. Però, c'è una gara, generale, nella quale il primato è tutto da attribuire, tra Forze armate e un pezzo di classe politica sull'opacità delle dichiarazioni e delle azioni. Non lo dico a difesa di Andreotti, ma per la storia.

  PAOLO INZERILLI. Come vede, io sono qui per l'ennesima volta.

  GERO GRASSI. Andreotti avrebbe voluto esserci.

  PAOLO INZERILLI. Ci siamo trovati per quattro anni con Andreotti. Io ho fatto il consulente alla Commissione d'inchiesta sul dossier Mitrokhin e lui faceva il commissario. Il faccia a faccia l'abbiamo avuto per un bel pezzo.

  PRESIDENTE. Bene. Noi ringraziamo il generale Inzerilli.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.35.