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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Martedì 4 aprile 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Morassut Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del Viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, Riccardo Nencini:
Morassut Roberto , Presidente ... 3 ,
Nencini Riccardo , Viceministro delle Infrastrutture e Trasporti ... 3 ,
Morassut Roberto , Presidente ... 9 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 9 ,
Rampelli Fabio (FdI-AN)  ... 11 ,
Morassut Roberto , Presidente ... 12 ,
Nencini Riccardo , Viceministro delle Infrastrutture e Trasporti ... 13 ,
Morassut Roberto , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROBERTO MORASSUT

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, in seguito, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, Riccardo Nencini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, Riccardo Nencini, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono inoltre presenti l'architetto Francesco Giacobone, in servizio presso la segreteria tecnica del Viceministro, e l'architetto Paolo Rosa, dirigente della direzione generale politiche abitative, che ringrazio per la loro presenza.
  Do la parola al Viceministro Nencini, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  RICCARDO NENCINI, Viceministro delle Infrastrutture e Trasporti. La Commissione ci ha dato come oggetto di lavoro nove punti all'interno della cornice generale dell'edilizia residenziale pubblica; per ragioni di tempo, se la Commissione e il presidente naturalmente condividono, proverò ad affrontare punto per punto, consegnando alla fine alla presidenza un lavoro molto più parcellizzato con riferimenti, numeri, norme, in modo che la Commissione ne faccia l'uso che ritiene più opportuno.
  Se il presidente condivide, andrei avanti domanda per domanda sulla base delle richieste che sono pervenute al MIT. La prima riguardava le modalità di finanziamento degl'interventi di edilizia residenziale pubblica nella fase successiva alla soppressione del fondo Gescal, che ha rappresentato una sorta di rottura di tempo fra un prima e un dopo. Il 1998 è l'anno in cui si esauriscono i finanziamenti provenienti dalle ritenute Gescal: viene a mancare una fonte finanziaria primaria alla quale per anni si è fatto riferimento (per tutti gli anni ’80 e per larghissima parte degli anni ’90), perché nel suo ambito avveniva la programmazione dell'edilizia residenziale pubblica, con il vantaggio che si trattava di una programmazione pluriennale, con la possibilità di estendere i piani di lavoro e realizzare progetti proiettati nel futuro. La cifra utilizzata dai fondi Gescal è pari a circa 66.000 miliardi di lire, circa 33 miliardi di euro: se legata al periodo che precede il 1998, si tratta di una cifra decisamente ragguardevole; lo sarebbe ancora oggi, perché la possibilità di investire oltre 30 miliardi, dando stabilità a interventi nell'edilizia residenziale pubblica, sarebbe un investimento decisamente più che dignitoso. Gli interventi da attivare in assenza di un fondo Gescal o altro fondo che abbia tali caratteristiche di continuità nel futuro sono legati all'incremento dello stock di alloggi pubblici di edilizia sovvenzionata (poi darò anche qualche numero), perché a oggi il realizzato e il costruendo è decisamente sottodimensionato rispetto al fabbisogno reale. Pag. 4
  Qui si aggiungono misure di fabbisogno che negli ultimi 4-5 anni sono aumentate per molte ragioni, ma ne cito due in modo particolare. La prima è il cambiamento della tipologia di famiglia, perché i nuclei familiari in Italia sono aumentati moltissimo, ma sono cambiate le caratteristiche della famiglia. Se prendo ad esempio il comune «più innovativo» in questo campo, Milano, nell'anagrafe cittadina oltre il 50 per cento delle famiglie censite sono famiglie che avremmo definito fino ad alcuni anni fa atipiche, cioè non composte da uomo e donna sposati davanti a un pubblico ufficiale o a un sacerdote con figli, ma con caratteristiche molto diverse e con problemi abitativi completamente diversi, a cominciare dal minor numero di figli.
  L'altra ragione quadro è l'indebolimento del ceto medio italiano, che porta spesso a incrementare le richieste di misure quali interventi di sostegno per il pagamento del canone mensile, o addirittura, per quanto riguarda la fascia più bassa della categoria molto ampia del ceto medio, a fare domande per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, oltre naturalmente alla presenza di categorie sociali che vivono una stagione prolungata di disagio sociale, esattamente come nel tempo precedente.
  Intanto do la misura solo per capitolo (poi lascerò le carte) di ciò che è avvenuto a partire dal 2000 a seguito del trasferimento della competenza in materia di edilizia residenziale alle regioni. Il pacchetto dei provvedimenti post-Gescal che trovate è un pacchetto rilevante, magari potremmo discutere della loro omogeneità, ma il numero di fondi messi a disposizione di queste misure non è assolutamente marginale.
  Contratti di quartiere 2 nel 2002 per circa 800 milioni di euro, messi sul mercato circa 20.000 alloggi in affitto; 250 milioni di euro sempre nel 2002; tutti i programmi per la riduzione del disagio abitativo nei comuni metropolitani a partire dal 2006; i programmi di riqualificazione per alloggi a canone sostenibile a partire dal 2008 (si prevedevano allora circa 280 milioni di euro); il piano nazionale per l'edilizia abitativa del 2009; tutta la fase degli accordi di programma con le regioni, che portava nella prima fase 377 più 112 milioni; tutti gli interventi di recupero di immobili ERP che si sono succeduti nel tempo; il piano città del 2012 (Governo Monti), iniziale 224 milioni di euro; il fondo per gli investimenti per l'abitare; il fondo FIA; e molti altri. In ultimo, sia il programma di recupero a fini abitativi degli immobili confiscati alla criminalità, sia il programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica, che è il provvedimento più grosso lavorato dal Ministero Infrastrutture e Trasporti, che consta di 467,9 milioni di euro, a partire dalla fine del 2014.
  Cosa servirebbe? In superamento dei fondi Gescal e nella impossibilità di un ritorno a quella vicenda, non viene meno però i due fattori cui i fondi Gescal rispondevano, cioè mettere un numero cospicuo di risorse a disposizione dell'abitativo sociale con una durevolezza temporale, quindi la possibilità di avere un cospicuo pacchetto di fondi programmabile e durevole nel tempo. Quando leggerò fra poco i numeri, di questi due fattori si comprenderà lo stato di necessità e l'urgenza, non dico priorità, ma urgenza e rapidità e consistenza di investimento non c'è dubbio.
  La quantificazione che abbiamo fatto per interventi che abbiano una caratteristica strutturale sta tra i 400 e i 500 milioni l'anno almeno per un decennio intero, quindi una programmazione di circa 5 miliardi di euro necessaria per mettere mano concretamente all'abitativo non ancora utilizzato e per cominciare a costruire nuove parti di città, per venire incontro a quella domanda che comincia a fermarsi in liste di attesa che abbiamo misurato in circa 600-650.000 domande. In secondo luogo, accanto a questo impiego di risorse, occorre una revisione dei parametri di efficienza nella gestione di questo patrimonio, che non sempre brilla per gestione (penso alle morosità, alle occupazioni abusive, al mancato rilascio dell'alloggio in caso di decadenza dei requisiti di permanenza, ai livelli dei canoni di locazione, alla cessione degli alloggi). Infine: si deve favorire e valorizzare una maggiore tempestività delle regioni nell'utilizzo delle risorse loro assegnate. Abbiamo aperto oltre un anno fa il cosiddetto Pag. 5«contatore» per comprendere come avvenga nelle 20 regioni italiane l'accesso ai fondi ripartiti dal ministero, quindi la loro effettiva spesa sul territorio, e troverete purtroppo differenze decisamente significative.
  La seconda questione che veniva posta riguardava il quadro dei princìpi e delle attività relativi all'oggetto edilizia residenziale pubblica ed elaborazione da parte di ministero e regioni. Tralascio la parte che riguarda le competenze perché, come sapete, dopo quelle che definiamo in gergo «le leggi Bassanini» e dopo la riforma costituzionale del 2001 c'è una competenza precisa delle regioni, quindi la faccio salva. Cito soltanto però due articoli del decreto del 22 aprile 2008, che puntualizzano due punti centrali della norma: l'articolo 1, dove viene definito il contenuto nel merito di ciò che sia alloggio sociale e si spiegano i pilastri attorno ai quali il termine lavora, l'articolo 2 che riguarda il ruolo e le competenze delle regioni nella definizione dei requisiti per l'accesso e la permanenza nell'alloggio sociale, oltre alla determinazione del relativo canone di locazione, che è di competenza delle regioni. Soltanto una sottolineatura del primo aspetto: quando parliamo di edilizia sociale in locazione, consideriamo adeguato un alloggio che abbia un numero di vani abitabili tendenzialmente non inferiore al numero dei membri del nucleo familiare e comunque non superiore a 5, oltre a vani accessori quali bagno e cucina. Naturalmente l'alloggio deve essere interpretato in un certo modo (sostenibilità ambientale, risparmio energetico). Accanto a questi parametri, se andiamo a vedere la fotografia di ciò che abbiamo realizzato, i numeri sono molto diversi e riguardano l'interezza degli alloggi italiani. Il 70 per cento degli alloggi italiani venne realizzato prima delle norme antisismiche, prima dell'inizio degli anni ’70, rientrandovi anche una buona fascia di alloggi di edilizia residenziale pubblica. Naturalmente in questo caso parlo non soltanto di norme antisismiche per realizzare l'alloggio, ma anche di tutto quello che riguarda la vita energetica dell'alloggio, che lascia spesso perplessi – lo sappiamo per gli alloggi privati e non fanno eccezione gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Sono le regioni insieme all'ANCI che devono: definire il canone di locazione dell'alloggio; fissare i requisiti per beneficiare delle misure e delle agevolazioni per l'accesso alla proprietà; stabilire le modalità e i criteri per determinarne il prezzo di vendita.
  Citerò soltanto i titoli dei programmi relativi all'edilizia residenziale pubblica di interesse a livello nazionale che riguardano questo campo, poi lascerò tutta la documentazione divisa punto per punto. In primo luogo: il programma per il recupero a fini abitativi degli immobili e dei beni confiscati alla criminalità, la cui dotazione finanziaria complessiva ammonta ad oggi a circa 13 milioni di euro e il titolo che ricordavo non ha bisogno di ulteriore spiegazione, nel senso che prendiamo immobili della criminalità e, una volta rilavorati qualora vi sia necessità, li mettiamo a disposizione del mercato. La cosa riguarda le città italiane, e naturalmente questo lavoro è molto più avanzato in alcune città italiane rispetto ad altre. In secondo luogo: il piano di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica, di cui parlerò più diffusamente e rapidamente al punto 3. In terzo luogo: il piano nazionale di edilizia abitativa, destinato a garantire su tutto il territorio nazionale livelli minimi essenziali a copertura del fabbisogno abitativo che vi è in quella parte del territorio. Il piano è rivolto a incrementare il patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di abitazioni di edilizia residenziale, riguarda una serie di soggetti, quali nuclei familiari a basso reddito, giovani coppie a basso reddito, anziani in condizioni sociali ed economiche svantaggiate, studenti fuori sede (trovate nel documento un dettaglio molto più preciso) e si conclude con gli immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno 10 anni nel territorio nazionale, ovvero da almeno 5 anni nel territorio della medesima regione di appartenenza. È un piano complesso, che si articola in tre macroaree. La prima macroarea (cito anche qui i titoli e poi troverete documentazione allegata) riguarda i fondi immobiliari, quindi è diretta a incentivare l'intervento degli Pag. 6investitori privati e istituzionali attraverso una rete di fondi, in particolare il fondo nazionale costituito da fondi statali sino a un limite di 150 milioni di euro. Il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti con la Cassa Depositi e Prestiti, anzi la CDP Investimenti nel novembre 2011, ha sottoscritto 280 quote del fondo investimenti per l'abitare (FIA), circa 140 milioni di valore nominale investito, che riguarda sia l’housing sociale sia l'edilizia libera: nei due casi, housing ed edilizia libera, parliamo di 11.040 alloggi, di cui 4.310 già realizzati, 2.210 in costruzione e 4.520 ancora da realizzare. In aggiunta, sul libero mercato 494 alloggi e altro che trovate dettagliato. La seconda macroarea prevede un intervento di circa 200 milioni di euro e riguarda il finanziamento di edilizia residenziale pubblica. La terza macroarea rappresenta una somma di vari fattori diversi dal primo, fondo immobiliare, e diversi dal secondo. Li cito anche in questo caso per titoli: patrimonio abitativo di edilizia anche con risorse derivanti da alienazione di alloggi, promozione di interventi da parte di privati, agevolazioni anche amministrative in favore di cooperative edilizie, programmi integrati di promozione di edilizia residenziale pubblica. Per questi interventi sono previsti accordi di programma da siglare con le regioni: 116 milioni sono le risorse rese ulteriormente disponibili rispetto alla somma che prima ricordavo. Passiamo poi ai programmi di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile, in disponibilità circa 280 milioni di euro. Sono stati siglati 20 accordi con le regioni, più 2 con le province di Trento e di Bolzano, i fondi erogati al dicembre 2016 rappresentano circa il 51 per cento delle somme stanziate dagli accordi di programma. Programmi innovativi in ambito urbano denominati Contratti di quartiere 2. Sono programmi di intervento di recupero urbano in quartieri segnati da profonde condizioni di disagio, la dotazione finanziaria è pari a 350 milioni di euro e hanno coinvolto 57 comuni. La seconda edizione del programma prevedeva una misura molto più forte economicamente, di circa 1 miliardo e 357 milioni di euro (trovate qui nel dettaglio tutta la procedura di funzionamento del fondo). Programma sperimentale di edilizia residenziale denominato 20.000 abitazioni in affitto, l'importo complessivo è di 20.658.000 euro, è una misura che ha consentito l'attuazione di piani operativi regionali finalizzati a realizzare alloggi di edilizia residenziale pubblica da destinare e alla locazione permanente e alla locazione a termine, è un programma che ad oggi ha consentito di realizzare circa 6.300 alloggi.
  Il terzo punto delle domande pervenute riguarda l'attività del ministero nel definire il quadro dei princìpi e delle finalità dell'edilizia residenziale pubblica italiana assieme agli altri enti che lavorano sul territorio. Vi do i primi numeri in maniera molto secca e spero chiara. Abbiamo un patrimonio di alloggi di comuni ed ex IACP misurabile in circa 950.000, fortemente sottodimensionato rispetto alla domanda. Esistono ancora circa 20.000 alloggi cosiddetti «di risulta», ovvero non ancora assegnati per mancanza di risorse necessarie a effettuare interventi di manutenzione ordinaria e/o straordinaria. Il programma recente del 2014 porta circa 492 milioni di euro, interviene su due aree, la fascia A e la fascia B, la fascia A prevede interventi di manutenzione inferiori a 15.000 euro e circa 93 milioni di fondo per far fronte a questo tipo di intervento, gli altri 400 milioni sono destinati ad alloggi dove l'intervento deve stare al di sotto non dei 15, ma dei 50.000 euro, quindi 93 milioni circa per interventi sotto i 15.000 euro, 400 milioni di euro per interventi sotto i 50.000 euro. Complessivamente le due aree, la A e la B, constano di circa 28.000 alloggi su cui la nostra previsione è che sia possibile intervenire.
  Il contatore è la forma di organizzazione che il ministero si è data per capire quali siano le regioni a buon punto e quali in ritardo; stiamo lavorando con il MEF a un secondo intervento, che ha già avuto un effetto positivo con il CIPE e consiste in due misure per 350 milioni, di cui 250 milioni per intervenire su alloggi delle caratteristiche mostrate e 100 milioni per intervenire su alloggi con queste caratteristiche, ma situati nelle zone terremotate: Pag. 7250 più 100 sono 350 milioni. Oltre a questi, sempre nei fondi del ministero ci sono ulteriori 350 milioni da destinare allo stesso oggetto. La nostra previsione è che 28.000 alloggi lavorati con questi 490 milioni circa, più 350 più 350, quindi complessivamente 1 miliardo e 200 milioni entro i prossimi 3 anni, darebbero decisamente un grande impulso al recupero di alloggi ad oggi inutilizzati, perché a quei 28.000 che ricordavo prima, legati a circa 490 milioni di euro, aggiungendone 700 ne avremmo circa 35-40.000 ulteriori. Questo significherebbe mettere in protezione le zone terremotate, dove ci sono alloggi di edilizia residenziale pubblica danneggiati, e decrementare quelle straordinarie liste di attesa che si misurano in circa 600.000 richiedenti che, se non c'è un intervento (lo dico fuori dalle righe) decisamente oneroso e continuo nel tempo, sarà difficile decrementare come vorremmo. Trovate le procedure di assegnazione dei fondi nella relazione che lascerò agli atti. In questo caso (ricordo soltanto un aspetto del soggetto beneficiario) le categorie sociali cui ci rivolgiamo con questo intervento sono cittadini con provvedimento esecutivo di sfratto e in possesso di redditi non superiori a 27.000 euro, con presenza di ultrasessantacinquenni, malati terminali, portatori di disabilità con invalidità superiore al 66 per cento e minori. Questo è il punto di partenza. Troverete anche un dettaglio delle erogazioni già effettuate nella misura che prima che prima ricordavo.
  La quarta delle questioni riguardava le modalità di recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio degli enti. Il patrimonio residenziale pubblico nel suo complesso (Stato, regioni, comuni, ex IACP) ammonta (l'ultimo censimento che abbiamo è quello del 2011) a 1 milione di abitazioni. Il patrimonio di edilizia residenziale pubblica gestito da ex IACP rappresenta l'80 per cento del totale, quindi 800.000 alloggi circa, il 45 per cento è localizzato nel nord Italia, il 34,4 nel sud, il 20,3 nell'Italia centrale. Di questi alloggi, 758.000 sono gestiti in locazione, i 47.000 residui attraverso procedure che prevedono il riscatto dell'immobile. Nelle città metropolitane risultano gestiti da ex IACP circa 300.000 alloggi e si trova oltre un terzo del patrimonio totale. Tralascio di entrare nel merito delle modalità di intervento e di gestione perché le trovate dettagliate, ma c'è un punto che devo sottolineare. Per un'ordinaria, pratica diffusione degli interventi di demolizione degli alloggi che erano il cuore della domanda posta, segnaliamo quattro fronti di emergenza, quattro punti di ostacolo: uno durevole, la scarsezza di risorse specifiche disponibili a quell'effetto; due, la mancata generalizzazione degli incentivi volumetrici; tre, un iter amministrativo spesso molto lungo e molto complesso: quattro, la difficoltà nel disporre di alloggi di «parcheggio» per ospitare gli occupanti degli edifici soggetti a demolizione. Cito come esempio, anche se il problema è decisamente in via di soluzione, uno dei casi più emblematici dell'Italia, anche perché è uno dei casi più conosciuti nel mondo grazie al film Gomorra, le Vele di Scampia. Una delle ragioni del ritardo delle Vele è stato esattamente il quarto punto, la difficoltà di trovare degli alloggi sostitutivi mentre si stava lavorando al loro abbattimento e al mantenimento di una delle Vele, probabilmente la centrale, destinata a servizi di natura non solo amministrativa a favore della città nel cuore del quartiere.
  La quinta questione riguardava il recupero delle aree di proprietà dei vari enti e la loro possibile destinazione d'uso. Darò una risposta molto rapida. Come sapete, le modalità di realizzazione dell'edilizia residenziale pubblica avvengono a partire da una quarantina d'anni, dagli anni ’70, su aree concesse in diritto di superficie e quindi attraverso strumenti urbanistici di attuazione. Gli ex IACP però da verifica fatta possiedono ancora oggi aree destinate all'edificazione con diritti già acquisiti a potervi edificare, ma non avendo avuto ancora la possibilità di realizzare sul serio rispetto alla disponibilità dell'area. Naturalmente oltre ai motivi già ricordati aggiungerei una quinta ragione, ovvero la scarsità di risorse destinate.
  La sesta questione riguardava la demolizione e la ricostruzione, tenendo conto di legislazione vincolistica e legge urbanistica. Pag. 8Qui le misure e i programmi attivati sono numerosi, citerei soltanto i titoli perché trovate di nuovo il dettaglio, specificando però la cornice. La cornice è quella del recupero e della riqualificazione del patrimonio edilizio con interventi finalizzati a restituire quella parte di città, quella parte dell'abitato, trarlo dal degrado e restituirlo a condizioni di decoro, dignità di vita urbana. Segnalo qui per titolo le misure di riqualificazione e rigenerazione urbana lavorate dai vari ministeri, in particolare dal MIT, negli ultimi 25 anni. Sono sette: i PRIN, i PRU (programmi di riqualificazione urbana), i contratti di quartiere, i PRUSST, i programmi Urban 1 e Urban 2 e in ultimo il piano città del 2012.
  La settima domanda concerne le modalità attuative e le eventuali criticità relative al decreto-legge 69 del 2013 recante «Misure per il rilancio delle infrastrutture», che prevedeva un fondo con una dotazione complessiva di 2 miliardi e 69 milioni di euro, ripartiti in varie annualità tra il 2013 e il 2017: in questo ultimo anno erano previsti 142 milioni di euro. Segnalerei il programma denominato in origine «6.000 campanili» poi diventato, come evoluzione del «6.000 campanili», «Nuovi progetti di intervento». Il «6.000 campanili» prevedeva per l'anno 2014 un fondo di circa 100 milioni di euro. Ricordo le caratteristiche: comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e misure di intervento collocabili fra i 500.000 euro e il milione di euro. Sono stati finanziati con quei 100 milioni, cui si sono aggiunti nel tempo altri 50 milioni e poi ulteriori 100 milioni, 293 interventi per 250 milioni complessivi. L'evoluzione del 6.000 campanili è «Nuovi progetti di intervento», programma analogo, non uguale, perché ci sono in particolare tre differenze: ripartizione preventiva delle risorse attraverso un quadro regionale – ogni regione sa dunque quanta disponibilità di fondo sul complessivo di 100 milioni ha –; una riduzione delle soglie, quindi al di sotto anche del minimo previsto dal «6.000 campanili»; la definizione di un livello minimo di progettazione, che sia considerato corrispondente al progetto definitivo. Questi 100 milioni portano a finanziare 286 interventi, quindi 250 milioni, 293 interventi, ma in una fascia tra 500.000 e un milione, abbassando la fascia degli interventi sotto i 500.000 euro i 100 milioni danno la possibilità di accedere a 286 interventi finanziati con quelle caratteristiche di novità.
  L'ottava questione riguardava il fabbisogno abitativo da soddisfare con l'edilizia residenziale pubblica. L'Italia è il paese europeo che ha il maggior numero di case di proprietà (72 per cento), non sempre i proverbi sono segno di saggezza, ma in questo caso lo sono: siamo l'unico paese europeo che ha il proverbio «mogli e buoi dei paesi tuoi» e lo si spiega perché la mobilità territoriale è stata per secoli una mobilità molto bassa anche nel Novecento, è la ragione per la quale ancora oggi non abbiamo e non saremo destinati nelle prossime due generazioni ad avere delle città metropoli, perché se si ha il possesso dell'abitazione, oltre ad avere una popolazione più vecchia, ci si sposta con maggiori difficoltà. Il 18 per cento degli italiani (circa 4,4 milioni di famiglie) ha la casa non di proprietà, ma in affitto, poi c'è un 10 per cento che ha soluzioni di natura diversa. Molto spesso in quel 18 per cento di affitto si trovano condizioni di forte disagio sociale.
  Le domande di assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica non ancora soddisfatte, giacenti – ripeto – sono circa 600.000, quindi un patrimonio pubblico di 1 milione di alloggi Stato, regione, ex IACP, comune, e liste di attesa di circa 600.000. Cosa dovremmo fare? Una cosa l'abbiamo già fatta di recente: abbiamo rinnovato, a una quindicina di anni di distanza dal suo ultimo rinnovo, la convenzione nazionale, che consente alle varie organizzazioni di categoria di stipulare accordi territoriali che riguardano un canone di affitto concordato. Di cosa avremmo bisogno? Lo dico rapidamente: 1) quel programma pluriennale di interventi per l'edilizia residenziale sovvenzionata che ricordavo, 2) interventi di social housing (non escludo che un primo lavoro in questa direzione venga inserito all'interno di un decreto a cui sta lavorando il Ministero infrastrutture e trasporti), 3) un maggior Pag. 9utilizzo di beni appartenenti al demanio pubblico (penso ad esempio alle caserme), che ancora oggi non vengono utilizzati con la rapidità e l'efficacia che vorremmo, 4) modalità di finanziamento che superino i tradizionali canali di finanziamento, ad esempio fondi immobiliari di seconda generazione, agevolazioni a favore di imprenditori che intervengano e quindi accesso di favore per il privato attraverso la defiscalizzazione o altro per chi intenda realizzare alloggi con caratteristiche di questo tipo. In ultimo – fatto, ma da implementare – quel fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione, di cui purtroppo ravvisiamo sempre una maggiore urgenza.
  L'ultima questione riguarda le valutazioni del MIT in materia della legge n. 560 del 1993 recante norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Sarò in questo caso decisamente lapidario, perché tra il 2001 e il 2011 abbiamo assistito a una riduzione del patrimonio pubblico decisamente eccessiva: partivamo da 1.300.000 alloggi, oggi (censimento 2011) ne contiamo quel milione che prima ricordavo. Siamo quindi di fronte a due effetti negativi: decremento di alloggi con quelle caratteristiche di circa il 20 per cento e una tensione nelle città a forte pressione abitativa e disagio sociale, che richiederebbero interventi decisamente superiori per incrementare questa forma di patrimonio. Nel 2007 la Corte dei conti afferma che i ricavi da vendite coprono soltanto un terzo dei costi delle nuove costruzioni, quindi la cosa va bene, ma non benissimo e potrebbe essere oggetto anche di una nuova e differente valutazione, perché temo che dal 2007 i numeri non si siano assolutamente rovesciati. In attuazione del decreto-legge 47 del 2014, abbiamo emanato il decreto ministeriale 24 febbraio 2015, concernente le procedure di alienazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, sul quale abbiamo avuto dall'Avvocatura dello Stato un parere molto preciso rispetto a quei quattro mesi dalla data di pubblicazione del decreto, specifici per presentare programmi di alienazione. L'opinione è che possano considerarsi di carattere straordinario, quindi con il decorso di tale termine il decreto veda esauriti i suoi effetti, con il conseguente ripristino della norma vigente. Questa era la domanda dalle regioni e la risposta contenuta nel parere dell'Avvocatura espresso nel luglio del 2016, (ne do lettura) si trova alle ultime tre righe: «conferiscono al termine di quattro mesi previsto nel regolamento attuativo mero valore sollecitatorio nei confronti degli enti proprietari, al fine del più celere raggiungimento degli obiettivi di razionalizzazione e di riduzione della spesa pubblica». Questo è il parere al quale anche noi, presidente, ci atteniamo.

  PRESIDENTE. Grazie della documentata relazione che costituisce un materiale preziosissimo per il lavoro che la nostra Commissione dovrà svolgere in vista della stesura del rapporto finale sullo stato di degrado delle periferie urbane. Do la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Questa documentazione sarà molto utile anche leggerla, perché nell'audizione fatta con Federcasa emergeva il cambio di fase anche da parte loro, nel senso che si era pensato che le persone si sarebbero tutte comperate una casa, ma questo trend si è fermato e a questo punto pare che si torni indietro, quindi quel 18 per cento di persone che hanno bisogno di case in affitto potrebbe aumentare. Anche dalle precedenti audizioni emergeva l'esigenza di un nuovo, grande investimento organico sul tema abitare, con il problema, che anche lei ha posto, che nel Paese Italia la risposta è frammentata in virtù dei troppi attori che interagiscono con il bisogno, ma anche nella realizzazione delle risposte in maniera differente.
  Mi chiedevo come garantire pari condizioni ai cittadini italiani, ossia nelle regioni che non rispondono a un bisogno, cosa possa fare il ministero per accelerare alcuni processi, così come i comuni sono obbligati a fare dei centri unici per quanto riguarda gli appalti: pensare di avere 20.000 alloggi da ristrutturare, se questo non avviene Pag. 10 in tempi celeri, impone di capire se sia possibile trovare una soluzione di servizio e commissariamento, perché credo che questo sia un tema a cui va data una risposta, i tempi sono troppo lunghi e di fatto complicati.
  Aggiungo poi per esperienza diretta (esperienza datata 4 anni, da quando sono in Parlamento) che i comuni non mettono più a disposizione aree per edilizia residenziale pubblica, cioè i bandi sono stati di bacino e l'edilizia residenziale pubblica, così come viene gestita, in particolare parlando di Aler in regione Lombardia (non mi sento di dire di altri) di fatto consiste nel caricare sui comuni una quantità di problemi, perché mettere insieme i bandi e le persone senza accompagnarli da investimenti sociali, quindi senza dare un aiuto ai comuni che se ne fanno carico li ha resi da tempo (posso assicurarle per quanto riguarda la Città metropolitana di Milano) molto cauti, quindi hanno dato un «ok» alla realizzazione dell’housing sociale, che però con la crisi economica non ha così ben funzionato. L'edilizia residenziale pubblica, se non è accompagnata da un investimento sociale e modelli di edificazione che tengano conto della componente sociale, continua quindi a produrre situazioni di disagio molto gravi.
  La terza questione: va bene il bisogno di nuove case e come realizzarle, ma una cosa che non sta funzionando è la manutenzione delle case in essere. Una delle cause del degrado delle periferie sono le case tenute in maniera inidonea per una civile abitazione, certo per la complessità delle persone che vi abitano e per la mancanza di un accompagnamento sociale, quindi di risorse, ma è un tema che le Aler hanno sempre evidenziato, dicendo che finiti i fondi Gescal non avevano più soldi e non riuscivano a fare programmazione, quindi cercano di rispondere a un'emergenza, ma con i problemi che hanno non riescono a fare manutenzione. Questo è veramente un effetto città molto deleterio.
  Credo che si debba porre fine all'alienazione degli alloggi, perché laddove si sono venduti interi palazzi, al di là del problema di perdita del patrimonio da poter utilizzare in maniera diversa per gli affitti, laddove si sono fatte vendite a macchia di leopardo ha creato conflitti enormi tra persone con aspettative diverse. Abbiamo visto un caso a San Siro a Milano, dove ci sono risorse ferme (finanziate da non so da quale fondo pubblico) perché la parte della componente privata che deve compartecipare non ne vuole sapere, quindi è tutto fermo in maniera allucinante in un quartiere molto complicato come quello di San Siro. Varrebbe la pena di cambiare le regole, nel senso che non si possa vendere a macchia di leopardo, si devono vendere soltanto intere palazzine. Credo anche che ci sia una differenza fra le grandi e le piccole città, conosco le case popolari di Sondrio che sono villette, quindi in quel caso capisco che la vendita sia anche togliersi il problema delle manutenzioni, ma in una grande città questa cosa oggettivamente ha creato soltanto problemi. È vero che dal 2001 le regioni hanno questa competenza, bisognerebbe capire però se ritiene utile una riflessione sull'esigenza di omogeneizzare il più possibile le regole regionali, dato che non è possibile avere una situazione così frammentata con un popolo che ormai si sposta, specialmente quello giovanile. Dentro questa logica, visto che abbiamo dato avvio alle Città metropolitane che non hanno nessuna funzione sulla casa, sarebbe interessante capire se sia condivisibile l'idea che nella modifica – mi auguro – della legge n. 56 si possa giungere alle Città metropolitane e alla funzione della programmazione dell'edilizia pubblica e del tema abitare con una programmazione di un sistema che già di per sé è interconnesso. Questo permetterebbe di arrivare a un unico modello di gestione, perché avere case gestite dai comuni e contemporaneamente a fianco dalle regioni, è sempre stato motivo di conflitto tra cittadini, perché i comuni rispondono del loro patrimonio e dimostrano una particolare attenzione: quando il cittadino vede una casa popolare con la stessa legge e le stesse modalità di accesso gestita bene e quella a fianco un disastro è sempre motivo di conflitto, quindi bisogna capire quale tipo di riordino sia necessario in questa situazione anche istituzionale cambiata.

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  FABIO RAMPELLI. Sarò telegrafico, anche perché mi dispiace di aver potuto ascoltare soltanto una parte, a causa dei molteplici incastri della vita parlamentare a cui mi sono dovuto dedicare.
  Penso che ci siano problemi ormai abbastanza evidenti e altrettanto complessi, in particolare ci riferiamo all'edilizia residenziale pubblica e al suo destino, se deve avere ancora un destino, sarebbe opportuno e utile che un Governo mettesse definitivamente le mani sulla legge urbanistica modificandone completamente le caratteristiche rispetto a quella vigente, partendo dalla disponibilità dei suoli, perché c'è sempre meno suolo disponibile e immaginare la possibilità, qualora ce ne fosse la disponibilità economica da parte degli enti pubblici, di collocare nuovi episodi di edilizia residenziale pubblica in presenza di questo regime dei suoli è quasi impossibile, quindi c'è qualcosa che non funziona a monte. La logica conseguenza è che chi monopolizza i suoli ci fa una speculazione indiretta, perché non è neanche necessario porsi sul mercato in maniera aggressiva, basta mantenere in vita edifici vuoti, utilizzandoli come bancomat nei confronti degli istituti di credito, quindi messi a garanzia per avere finanziamenti, e il gioco è fatto, quindi i prezzi rimangono alti, le case sono invendute, a tutti sta bene così, il pubblico non è nelle condizioni di costruire nuovi quartieri di edilizia residenziale pubblica per assenza di suoli, con il conseguente monopolio da parte del privato (non per colpa sua, perché è lo Stato che non legifera, non norma, non si pone il problema, quindi, se il gioco è questo, è anche legittimo che ciascuno faccia il suo gioco). Questo è un problema importante, che andrebbe preso di petto, poi c'è quello che veniva citato poco fa (non mi voglio sottrarre alle domande al Governo, anche se la competenza in questo caso è più regionale che nazionale) della manutenzione degli alloggi. Non sono d'accordo con chi mi ha preceduto, ma considero necessario dare ossigeno alle amministrazioni pubbliche che, a causa dello stato comatoso in cui versano i bilanci, non sono in condizioni di svolgere adeguata manutenzione, quindi questi quartieri di edilizia residenziale pubblica cadono letteralmente a pezzi, e forse l'unica possibilità di immaginare una rivoluzione è cedere a riscatto gli alloggi a tutti, utilizzando il canone di locazione come acconto sull'acquisto all'origine. Questo aumenta anche il tenore sociale dei nuovi proprietari, è probabile che qualcuno non sarà d'accordo perché si prefigura l'ipotesi della concorrenza sleale, ma tutti i cittadini indigenti (non sono moltissimi, perché buona parte rimane a vita dentro le case popolari pur avendo perso tutti i requisiti, per non parlare poi degli occupanti, che spesso sono più ricchi di noti possidenti) o almeno coloro i quali sono nel titolo e occupano legittimamente un alloggio di edilizia residenziale pubblica con il principio della casa a riscatto, quindi immaginando di utilizzare il canone di locazione come acconto sull'acquisto, immediatamente si emancipano dall'indigenza e diventano proprietari, e con il bene di cui dispongono possono fare qualunque tipo di operazione, hanno un'altra credibilità se hanno bisogno di accendere un mutuo in banca per i figli, per attività commerciali da intraprendere, per qualunque tipo di necessità. Queste sono competenze però delle aziende territoriali, ex Istituti autonomi case popolari, quindi regionali, non so se sia possibile la fattispecie di linee guida date dal Governo (mi dovrò informare, ma penso che sia più facile che il Governo possa adeguatamente documentarsi rispetto alla possibilità di dare una guida), ma, se questa ipotesi fosse percorribile, almeno l'argomento della fatiscenza di questi quartieri si potrebbe affrontare con serietà. Se invece immaginiamo soprattutto nel centro-sud che di fronte ci possa essere una stagione di manutenzione ordinaria e straordinaria di questi alloggi a carico dello Stato, a carico delle regioni, a carico dei comuni, stiamo dicendo cose prive di fondamento, che sarebbero anche una specie di insulto nei confronti degli inquilini delle case popolari e dell'edilizia residenziale pubblica.
  Detto questo, lego il resto alla legge urbanistica, perché penso che si debba andare in una direzione e il mercato vada stimolato, a questo dovrebbe servire in una Pag. 12visione moderna la normativa, quindi anche l'impulso del Governo. Il mercato va stimolato intanto a convertire nel minor tempo possibile il settore edilizio da espansione a riqualificazione. Questo significa provvedere alla densificazione e quindi a non consumare altro suolo, ovvero a consumare solo suolo scadente. Questo significa immaginare di lavorare in quell'edilizia diffusa che è rappresentata dagli 8.000 comuni italiani e dalle migliaia di loro frazioni, sono territori consumati, spesso in condizioni pessime, e nelle grandi periferie urbane, nei comuni e nelle frazioni che hanno già compromesso il territorio dove si possono collocare episodi di densificazione o di sostituzione edilizia, quindi demolizione e ricostruzione, si può creare anche quel pertugio nel quale ritagliare nuove opportunità per una nuova e diversa stagione di edilizia residenziale pubblica.
  Penso che ci si debbano mettere creatività e fantasia e uscire fuori dalla logica degli standard, dei numeri e della contabilità, dalla logica ragionieristica dell'applicazione di norme che risalgono a decenni fa e che non valgono più per gli inquilini, per gli uffici, per le amministrazioni pubbliche, valgono solo per quelli che non hanno voglia di lavorare, di mettersi in sintonia con questo tempo, che va a un'altra velocità e ha già ampiamente polverizzato tutti i presupposti delle vecchie leggi di riferimento: o si prende una strada diversa oppure non si fa un servizio utile alla collettività.

  PRESIDENTE. Ho solo una domanda che volevo proporre, agganciandomi ad alcune questioni sollevate dagli interventi dell'onorevole Gasperini e dell'onorevole Rampelli.
  Abbiamo chiesto questa audizione sul tema specifico dei programmi e della situazione dell'edilizia residenziale pubblica nella Commissione d'inchiesta sulle periferie per mettere in luce il collegamento che c'è tra i due aspetti, cioè tra la riqualificazione delle periferie (il tema anche sociale delle periferie) e le politiche per l'edilizia pubblica, ovviamente per il tema del degrado e dell'invecchiamento del patrimonio messo in luce anche nella relazione se non altro dal punto di vista energetico e strutturale, che incide profondamente sui quadranti di periferia, e per la consapevolezza che emerge anche dal fatto che molti programmi integrati e collegati a politiche di edilizia residenziale pubblica hanno prodotto riqualificazione urbana, quindi l'edilizia residenziale pubblica come vettore di recupero urbano, e infine il tema della qualità sociale del vivere in periferia e quindi della stabilità delle abitazioni e della tenuta del quadro sociale.
  Sulla base di questa consapevolezza è stata richiesta questa audizione, nella relazione è stato messo in luce un punto importante, cioè la programmabilità delle risorse e l'articolazione che queste politiche di finanziamento hanno subìto dalla fine degli anni ’90 anche in virtù del fatto che si è articolata la competenza degli enti, a partire dalle regioni, però in un quadro di fragilità amministrativa dei comuni e delle città metropolitane abbiamo sentito e sappiamo quanto è complessa l'applicazione di varie generazioni di programmi complessi, che a partire dagli anni 2000 sono stati prodotti in maniera innumerevole, e sono stati descritti anche dalla relazione.
  Volevo porre, in rafforzamento alle questioni evidenziate, la questione dell'approvvigionamento dei suoli e della costituzione di un demanio pubblico, che a basso costo è l'altra componente di una sana e moderna politica dell'edilizia residenziale pubblica, perché negli ultimi decenni è venuta meno non solo la leva finanziaria, quindi la programmabilità delle risorse, ma anche l'approvvigionamento dei suoli a basso costo, per il progressivo venir meno dello strumento espropriativo e della possibilità di espandere le città, che aveva dato corpo a una certa politica di edilizia residenziale pubblica. Questo è uno dei nodi che la politica e le istituzioni debbono in qualche maniera affrontare, cioè una normativa urbanistica che incentivi la riqualificazione urbana dal punto di vista edilizio, dal punto di vista fiscale, e che possa creare i presupposti di un approvvigionamento di demanio pubblico per i comuni, non necessariamente espansivo, ma appunto di recupero, demolizione e ricostruzione. È un Pag. 13tema al quale purtroppo si gira intorno da tanti anni, anche per un certo tipo di impostazione della normativa urbanistica, un po'sospesa in virtù di questo dettato costituzionale di legislazione concorrente, in cui il bilanciamento con le regioni è sempre molto faticoso. Credo che questo sia un punto essenziale per capire come, anche attraverso provvedimenti in itinere, anche attraverso un intervento sul Testo unico dell'edilizia, che è il codice esistente, sul quale si è spesso intervenuto nel recente passato e forse si può ancora intervenire per introdurre qualche elemento di innovazione, si possa fare qualcosa che aiuti questo comparto dell'amministrazione a entrare in sintonia con le innovazioni sul piano della programmabilità delle risorse.
  Infine, l'ultima legge, la n. 326 sul condono: c'è la possibilità di acquisire il patrimonio abusivo, in alternativa alla demolizione in danno, non solo come servizi ma come patrimonio abitativo che possa essere utilizzato per politiche di edilizia residenziale pubblica, considerando che essa è da qualche anno annoverata nel regime degli standard, quindi considerata servizio dal punto di vista della legge? Si può acquisire questo patrimonio non solo a fini di servizi terziari, come la legge prevede, ma anche a fini abitativi?

  RICCARDO NENCINI, Viceministro delle Infrastrutture e Trasporti. Divido le questioni poste in tre punti e partirei dall'ultima. Direi di sì, salvo verifica. Condivido le considerazioni che sono state fatte circa il demanio pubblico e quello che vi ruota attorno. Spiego meglio: si è in una fase decisamente diversa, non solo perché sono passati vent'anni dal venir meno dei fondi Gescal, quindi è diventata consuetudine che non ci siano più, ma anche del mercato italiano della casa e delle nostre abitudine: l'abitudine che sta diventando prevalente sull'auto che taluni considerano essere probabile anche per la casa riguarda il passaggio dall'economia dell'acquisto all'economia dell'uso, il che determinerebbe ulteriori e profondissime modifiche rispetto allo stato che abbiamo conosciuto. Quel 72 per cento di proprietà dell'abitazione è diventato una sorta di fondo risparmio, per famiglie tradizionalmente legate alla terra, com'erano le famiglie tipiche italiane. La modificazione della struttura-tipo della famiglia e l'aumento della mobilità soprattutto ma non soltanto studentesca (migranti e quant'altro) determinano nel mercato italiano della casa uno sconquasso (uso intenzionalmente il termine «sconquasso»), che porta a una prima necessità, ossia a rileggere la relazione tra Stato e regioni, tra Stato e comuni, non solo per questo quadro profondamente cambiato, ma perché quando si va concretamente a operare si trova una protezione e una salvaguardia del proprio ambito di responsabilità e di potere ciclico che difficilmente viene mollato. Cito due casi significativi. Il primo riguarda la questione che lei aveva sotto sottolineato, ossia la capacità di spesa delle regioni. La possibilità di commissariare esiste già; quando vedrete i dati del contatore, non sono dati sorprendenti perché generano stupore, però la differenza è reale: abbiamo regioni che dopo aver speso tutto chiedono ancora «100 lire» e regioni che non hanno ancora speso le «100 lire» iniziali, quindi il commissariamento è possibile. Il contatore nasce come «pre-commissariamento», nel senso che è una sorta di lavagna che mostra come potrebbero funzionare bene le cose anche in una specifica regione. L'altra questione riguarda le città metropolitane, non c'è dubbio che il grosso dello sviluppo ormai passi da lì: abbiamo provato a chiedere alla Conferenza delle regioni non di spalancare una finestra, ma almeno di aprire un pertugio per dare maggiori poteri alle Città metropolitane nel governo del tema casa, ma siamo stati respinti con forti perdite, perché questa è una materia che le regioni (ha ragione l'onorevole Rampelli) non mollano facilmente. Lo vediamo nell'assegnazione dei fondi, dove l'Anci ci chiedeva a suo tempo di lavorare perlomeno con le Città metropolitane, perché lì c'è maggiore densità, lì c'è maggiore pressione abitativa, e una maggiore conoscenza del problema e forse anche gli strumenti intellettuali per intervenire più rapidamente possibile. In questo caso o si modifica la norma, altrimenti Pag. 14 per comune accordo chi vi parla non è riuscito a penetrare in quella trincea.
  L'ultima questione: molto spesso il degrado abitativo di cui parliamo corrisponde non solo al degrado di quel condominio o di quell'abitato, ma insiste in una parte della città «degradata» o in forte disagio, quindi c'è l'abitato più quel pezzo soprattutto di periferia. Il piano città 2012 interviene sul degrado e altro, ma quando interveniamo sul degrado della periferia «x» (senza fare nomi) s'interviene anche sull'abitato, quindi non solo sulla piazza o sulla strada. In questo caso stiamo valutando se provvedere a un recupero delle risorse per destinarle altrove, perché molte città italiane hanno avuto dal 2012-2013 al 2017 una capacità di spesa non superiore al 10 per cento, quindi abbiamo una parte rilevante di fondi allocata e non utilizzata, con città che hanno problemi non dissimili, che premono dicendo: «avevo il progetto già pronto, potevo averne più d'uno, dammi i soldi» e altre città che invece hanno la disponibilità economica ma non hanno ancora messo in campo gli strumenti per poterne godere a pieno titolo. La valutazione in questo caso, più che il commissariamento, è che, trascorsi quattro o cinque anni, ci si riprende le somme e le si assegnano a chi è nella condizione di spenderle effettivamente.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Viceministro e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.45.

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