Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconti stenografici delle audizioni

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate

Resoconto stenografico



Seduta n. 92 di Giovedì 20 luglio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gelli Federico , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente dell'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), Tito Boeri:
Gelli Federico , Presidente ... 3 
Boeri Tito , presidente dell'INPS ... 4 
Gelli Federico , Presidente ... 10 
Fontana Gregorio (FI-PdL)  ... 10 
Rondini Marco (LNA)  ... 10 
Beni Paolo (PD)  ... 11 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 11 
Moretto Sara (PD)  ... 12 
Dambruoso Stefano (Misto-CI)  ... 12 
Gelli Federico , Presidente ... 13 
Boeri Tito , presidente dell'INPS ... 13 
Gelli Federico , Presidente ... 15 
Rondini Marco (LNA)  ... 15 
Boeri Tito , presidente dell'INPS ... 15 
Gelli Federico , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FEDERICO GELLI

  La seduta comincia alle 9.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che della presente seduta sarà redatto un resoconto stenografico e che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la diretta streaming sperimentale.

Audizione del Presidente dell'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), Tito Boeri.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'INPS, professor Tito Boeri, che è accompagnato dalla dottoressa Isabella Rota Baldini, portavoce del presidente, e dalla dottoressa Mara Cozzolino, dirigente della Direzione centrale studi e ricerche.
  Nei giorni scorsi abbiamo appreso di alcune dichiarazioni del presidente Boeri che hanno richiamato l'attenzione della Commissione. Da un lato, i mezzi di informazione hanno titolato con alcune frasi importanti per quanto riguarda l'attività della nostra Commissione: «Chiudere le frontiere vuol dire distruggere il nostro sistema di protezione sociale». Dall'altro, hanno scritto con riferimenti ai migranti: «Soldi quando arrivano, pensioni quando se ne vanno». Quindi affermazioni importanti.
  L'audizione giunge in un momento propizio per fare chiarezza. Da un lato, si registrerebbe un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell'INPS se non calcolassimo le entrate dei contributi dei migranti. I contributi dei migranti andrebbero quindi a compensare il continuo calo delle nascite. Dall'altro lato, sembrerebbe che fra prestazioni erogate dall'INPS a favore dei migranti e quote di versamenti effettuati ci sia uno squilibrio. Dopo aver contribuito al sistema previdenziale italiano per poco tempo, l'Inps si trova a effettuare in favore di chi risiede all'estero prestazioni per più di 1 miliardo di euro l'anno. Ovviamente, questa forma di reddito non rientra nel circuito economico interno sotto forma di maggiori consumi.
  Voglio ricordarvi che la delibera istitutiva della nostra Commissione, alla lettera f) dell'articolo 1, prevede l'avvio di un gruppo di lavoro che indaghi sulla gestione e verifichi l'entità delle risorse pubbliche e dei fondi dell'Unione Europea destinati e stanziati in maniera distinta per il sistema di accoglienza, di trattenimento e di rimpatrio dei migranti, accertando eventuali irregolarità nell'uso delle risorse e nell'esercizio delle funzioni di controllo.
  Sul tema della presenza dei migranti nel nostro Paese si fa una grande confusione nel dibattito politico di queste ultime settimane tra i migranti regolari, coloro che pagano le tasse, e coloro che sono presenti nei nostri centri e vengono gestiti dal nostro sistema di accoglienza, e l'impatto organizzativo economico che questo ovviamente determina.
  Credo che il presidente dell'INPS potrà fare chiarezza rispetto a questi dati e soprattutto rispetto a una distinzione netta sulle opportunità che i migranti possono offrire al nostro Paese una volta inseriti e Pag. 4integrati regolarmente nel sistema, cosa che è l'auspicio ovviamente di molti di noi per le esigenze del nostro sistema economico, della nostra attività, rispetto al commento generale secondo cui i migranti sono un costo inappropriato, insostenibile dal sistema.
  Avere tutti gli elementi e gli strumenti per poter analizzare queste due facce della medaglia ci può essere d'aiuto nelle nostre valutazioni e nelle nostre decisioni.
  A questo punto cederei la parola al nostro illustre ospite per la sua relazione, cui faranno seguito eventuali domande dei colleghi. Se vorrà lasciare anche dei dati e del materiale cartaceo da inviare ai nostri colleghi, potrà essere di grande aiuto al nostro lavoro. Prego, professore.

  TITO BOERI, presidente dell'INPS. Grazie, presidente, per l'opportunità di approfondire aspetti che avevamo sollevato in occasione della presentazione del nostro XVI Rapporto annuale e più in generale di contribuire a una discussione e a un confronto anche pubblico più informato sui temi dell'immigrazione nel nostro Paese. Io qui ho alcune tabelle e grafici che potranno essere condivisi durante la mia presentazione.
  Nonostante oggi l'attenzione generale sia concentrata sugli sbarchi e sulle difficoltà di una gestione immediata dell'emergenza rifugiati, crediamo sia importante dare conto del contributo che può derivare dall'inserimento regolare di stranieri nel nostro mercato del lavoro, una dimensione di cui purtroppo nel confronto pubblico si è persa traccia e che invece è particolarmente rilevante.
  I dati dell'INPS ci dicono che gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi di contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e di altre prestazioni sociali, quindi con un saldo netto di circa 5 miliardi per le casse dell'INPS.
  Certo, a fronte di questi contributi netti vi saranno un domani prestazioni, perché gli immigrati di oggi faranno parte della platea dei pensionati del domani, ma è anche vero che in molti casi i contributi previdenziali degli immigrati non si traducono poi in pensioni. Abbiamo calcolato che sin qui gli immigrati ci hanno «regalato» circa 1 punto di PIL di contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle pensioni, e ogni anno questi contributi a fondo perduto (vogliamo chiamarli in questo modo) degli immigrati valgono circa 300 milioni di euro, che sono entrate aggiuntive per le casse dell'INPS.
  Tutti gli studi scientifici di cui siamo a conoscenza sull'impatto fiscale dell'immigrazione in Italia concludono che l'impatto degli stranieri è positivo, anche quando si va al di là del raffronto fra spesa sociale destinata agli immigrati e contributi sociali versati dagli stessi e si considera l'insieme della spesa pubblica e delle entrate contributive e fiscali. Lo è anche quando si guarda al lungo periodo, ad esempio stime sul bilancio fra stranieri e Stato effettuate per l'Italia indicano che gli stranieri sono contributori netti. Il totale delle entrate che deriva dagli immigrati supera – sia pure di poco (1,2 miliardi di euro) – il totale delle uscite dovute all'immigrazione.
  L'impatto fiscale netto è tanto più positivo quanto più giovani sono gli immigrati e lo è anche quando si consideri il contributo netto degli immigrati nel corso della loro intera vita lavorativa e non lavorativa, cioè quando percepiranno la pensione, come simulato nell'ambito dei cosiddetti «modelli di contabilità intergenerazionale».
  Ovviamente si fa qui riferimento a immigrati che possono versare i contributi, pagare le tasse e ricevere prestazioni sociali, non agli immigrati irregolari, né a coloro che, essendo in attesa del riconoscimento del diritto d'asilo, non possono lavorare o non vengono messi in condizione di farlo.
  Recentemente l'Istat ha prodotto un aggiornamento delle previsioni demografiche per l'Italia con base 2016. Le nuove previsioni mostrano un forte contenimento dei flussi migratori. Nell'intero periodo si prevede un valore medio annuo di 154.000 persone, invece delle 209.000 della precedente previsione. Le riduzioni più forti si hanno per i prossimi vent'anni, quando si passa da 233.000 a 155.000 persone mediamente Pag. 5 all'anno, con una riduzione di circa un terzo.
  Le conseguenze dei nuovi scenari demografici sulla spesa pensionistica sono state simulate e pubblicate nei giorni scorsi dalla Ragioneria Generale dello Stato. Il rapporto tra spesa pensionistica e PIL, che inizialmente decresce attestandosi nel 2019 al 15,5 per cento, riprende ad aumentare fino ad arrivare nel 2044 al 16,3 per cento. Rispetto a quanto previsto con il precedente scenario, l'aumento è di 2,7 punti percentuali attorno al 2045, quindi quasi 3 punti in più rispetto allo scenario base, e alla fine del periodo, nello stato stazionario, di 1 punto percentuale.
  Il tasso di crescita della produttività si abbassa poi anche circa di un terzo, quindi ci sono degli effetti molto rilevanti di questi nuovi scenari demografici, dovuti al calo dell'immigrazione.
  Nel XVI Rapporto annuale dell'INPS ci siamo proposti di valutare l'impatto di una possibile interruzione dei flussi in entrata di immigrati extracomunitari regolari sul bilancio dell'INPS. L'ipotesi simulata è quella estrema di un azzeramento dei permessi di lavoro concessi ai lavoratori extracomunitari, un'ipotesi non poi così lontana da quella praticata nel nostro Paese con il sostanziale azzeramento delle quote previste dal decreto flussi.
  In particolare, lo scenario base che abbiamo ipotizzato prevede che i flussi in entrata rimangano per l'intero periodo di proiezione quelli pre-crisi, pari, sulla base dell'Annuario del Ministero degli esteri sui visti di ingresso in Italia per lavoro subordinato e autonomo, a circa 140 mila persone all'anno nel periodo 2006-2009, al netto di una riduzione media annua delle presenze pari al 5 per cento (questi sono i flussi in uscita, circa il 5 per cento dello stock di immigrati lascia il nostro Paese ogni anno o comunque esce dal mercato del lavoro, quindi non è più in condizione di contribuire).
  In questo scenario ci sarebbe una diminuzione del gettito contributivo e una minore spesa per prestazioni. Nella stima, dal punto di vista della spesa, noi consideriamo le seguenti voci: prestazioni di carattere temporaneo (ammortizzatori sociali, prestazioni legate alla famiglia – maternità, paternità, congedi parentali e assegni al nucleo famigliare); prestazioni pensionistiche IVS (escluse le pensioni indennitarie – invalidità civile, indennità di accompagnamento – ed assistenziali – assegno sociale); versamenti di contributi all'INPS.
  Non sono invece incluse nel calcolo eventuali prestazioni non erogate dall'INPS, come ad esempio l'assistenza sanitaria, i costi per l'istruzione, la contribuzione e le connesse prestazioni antinfortunistiche gestite dall'INAIL.
  Sulla base delle informazioni desumibili dagli archivi INPS, si ipotizza che la platea dei nuovi lavoratori abbia una retribuzione per il primo anno di attività pari a 2.700 euro annui, che cresce poi per effetto dell'aumento del numero medio di settimane lavorate e di un maggiore inserimento professionale, fino ad arrivare ad un massimo di 9.500 euro annui. La dinamica retributiva reale annua è posta pari all'1,5 per cento, come aliquota contributiva si utilizza per semplicità una media unica per l'intero periodo di previsione pari al 33,9 per cento in ragione della distribuzione per categoria di lavoro.
  I risultati dell'esercizio, che vengono mostrati nel primo grafico che è nella documentazione a vostra disposizione (figura 1), evidenziano come l'impatto in termini di saldo netto finanziario sia negativo e crescente, fino a raggiungere nel 2040 un valore cumulato pari ad oltre l'1,8 per cento del PIL, cioè più di 37 miliardi. L'altra faccia della medaglia di questo risultato è che il nostro sistema si avvantaggia in misura significativa e per un lasso di tempo non breve del fatto che, essendo i flussi d'ingresso concentrati sui più giovani, i contributi versati precedono temporalmente l'erogazione delle pensioni, mentre il pagamento delle prestazioni temporanee a favore dei nuovi occupati stranieri è relativamente contenuto.
  La perdita complessiva di gettito contributivo nei primi vent'anni supererebbe i 70 miliardi. Dall'altro lato, la spesa pensionistica nel 2040 rappresenterebbe circa il 5 per cento della spesa totale per prestazioni, Pag. 6ma crescerebbe significativamente a partire dal 2050, quando le prime coorti di lavoratori immigrati inizierebbero ad uscire dal mercato del lavoro. Solo attorno al 2075 l'intero contingente di persone che sono considerate in questa analisi percepirebbe una pensione.
  Consideriamo quindi i costi futuri anche delle pensioni di questi immigrati. Nell'ultimo rapporto abbiamo comunque voluto fare delle simulazioni e delle stime della posizione pensionistica netta degli immigrati, prendendo come riferimento la loro intera vita lavorativa e non lavorativa. I risultati mostrano che, con riferimento alla posizione maturata ad oggi dai lavoratori stranieri, questo contributo è positivo e pari a 36,5 miliardi di euro, data la differenza stimata tra il montante dei contributi già versati dagli assicurati stranieri e il beneficio pensionistico maturato, e che sarà percepito nell'intero periodo del pensionamento.
  Facendo dei calcoli e proiettando la posizione di queste persone si raggiungerebbero i 46 miliardi di euro se si tenesse conto delle caratteristiche biometriche specifiche della popolazione straniera assicurata all'INPS, dato che le stime indicano un differenziale di mortalità a sfavore dei lavoratori stranieri immigrati, che hanno delle speranze di vita inferiori a quella dei nativi.
  A fronte di tutto questo, noi stiamo ammettendo sempre meno immigrati regolari all'interno del nostro Paese. Nei quindici anni precedenti la crisi il flusso migratorio netto è risultato in media di circa 280.000 persone all'anno, i dati Istat sugli ingressi mostrano tuttavia che i permessi concessi per motivo di lavoro a non comunitari si sono fortemente ridotti dall'inizio della crisi e soprattutto dal 2012, mentre sono in aumento le entrate per asilo e motivi umanitari e risultano pressoché stabili quelli per ricongiunzione familiare.
  D'altra parte, i decreti flussi che si sono succeduti negli anni più recenti per la programmazione delle quote di stranieri da inserire nel mercato del lavoro prevedono un numero sempre più contenuto di nuovi permessi di lavoro e gran parte di questi è destinata a conversioni di permessi concessi in periodi precedenti per altri motivi. Il risultato è un progressivo impoverimento, quasi un azzeramento del canale di entrata destinato all'inserimento lavorativo.
  L'evidenza desumibile dagli archivi INPS sui lavoratori appare coerente con questi andamenti, come mostrano i grafici della figura 3. L'universo di riferimento sono i dipendenti del settore privato, autonomi, parasubordinati o lavoratori domestici, identificati come stranieri grazie ad una ricostruzione della cittadinanza basata su diverse fonti amministrative.
  In venti anni la popolazione dei lavoratori dipendenti, inclusi i lavoratori domestici, e autonomi con cittadinanze diverse da quella italiana è passata da circa 500.000 a oltre 3 milioni. All'interno del periodo si possono distinguere tuttavia più fasi: la crescita è stata molto rapida e costante per i primi quindici anni, progressivamente più contenuta dal 2010, mentre negli ultimi tre anni si è registrata una flessione. Il trend osservato per i soli lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi i domestici e gli agricoli, non è dissimile: dal 2009 al 2011 si è avuto un aumento contenuto, seguito da quattro anni di riduzione.
  I dati INPS evidenziano inoltre che gli immigrati che arrivano da noi sono sempre più giovani. La quota degli under 25 che cominciano a contribuire all'INPS come dipendenti è passata dal 27,5 per cento del 1996 al 35 per cento del 2015. Come dicevo prima, se gli immigrati arrivano da noi più giovani, sono in grado di contribuire di più al nostro sistema di protezione sociale.
  Se nel 2007 il 68 per cento dei nuovi permessi di soggiorno veniva concesso a stranieri con meno di 35 anni, oggi questa percentuale è salita all'80 per cento.
  Quello che sta accadendo è che, in assenza di canali di accesso regolari, aumenta la percentuale di immigrati che lavora in nero, con effetti sul tasso di regolarità complessivo. Il grafico della figura 4 documenta come sia aumentato il tasso di irregolarità nel nostro mercato del lavoro soprattutto negli ultimi anni. Anche i dati di fonte INPS sembrano documentare un Pag. 7aumento del lavoro nero fra gli immigrati in particolare.
  Da quanto si evince dalle relazioni sulle ispezioni, dei lavoratori trovati in nero durante le ispezioni di vigilanza INPS in questi casi 1 su 3 risultava clandestino nel periodo 2013-2015. La regolarizzazione dei lavoratori immigrati nei diversi episodi che ci sono stati nel nostro Paese ha portato in passato ad una emersione persistente, direi quasi permanente nel tempo, di lavoro altrimenti svolto in nero.
  Le nostre analisi sulle sanatorie del 2002 e del 2012 documentano che l'80 per cento degli immigrati era un contribuente alle casse dell'INPS anche 5 anni dopo la regolarizzazione, quindi da quando ci si regolarizza si pagano i contributi nella stragrande maggioranza dei casi.
  Analizzando i flussi di lavoratori stranieri che si osservano per la prima volta tra gli archivi dei contribuenti Inps in un dato anno i grafici (fig.3) evidenziano i picchi nel numero di entrate in corrispondenza delle diverse sanatorie varate, soprattutto quelle del 2002, 2007 e 2009. Da segnalare che dal 2007 in poi c'è stato anche l'effetto dell'adesione dei Paesi a est dell'Unione Europea e poi successivamente dal 2013 l'allargamento alla Croazia, quindi sono soprattutto rumeni e bulgari ad aver sfruttato l'opportunità di poter liberamente lavorare in un Paese dell'Unione come l'Italia.
  Negli ultimi anni, tuttavia, come si ricordava, i nuovi ingressi di lavoratori regolari si sono fortemente ridotti, a seguito del sostanziale azzeramento delle quote del decreto flussi. La forte crescita del flusso di rifugiati non compensa il mancato arrivo di immigrati regolari. Vero che dal settembre 2015 il permesso di soggiorno per richiesta di asilo consente di svolgere attività lavorativa una volta trascorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda, se il procedimento di esame della domanda non si è ancora concluso, mentre prima era possibile lavorare solo trascorsi 6 mesi dalla presentazione della domanda, tuttavia i centri di accoglienza dei rifugiati sono concentrati in aree rurali, dove vi sono meno opportunità di impiego.
  Se prendiamo l'esempio del Piemonte, i CAS del Piemonte ospitano mediamente 3 rifugiati per 1.000 abitanti, ma questo rapporto è pari alla metà (1,5 rifugiati per 1.000 abitanti) nel territorio di Torino, città che offre un mercato del lavoro che sarebbe maggiormente in grado di riassorbirli.
  Gli incentivi al lavoro regolare da parte dei rifugiati sono inoltre limitati dal fatto che il permesso per richiesta di asilo politico non può comunque essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, quindi le politiche attuali e la dislocazione dei rifugiati non sono tali da favorire un loro inserimento nel mercato del lavoro.
  Un'altra obiezione che è stata fatta alle nostre osservazioni riguardava la natalità: perché non investire invece nella natalità? I sistemi pensionistici pubblici utilizzano i contributi versati dagli attuali lavoratori per pagare le pensioni degli attuali pensionati. È un sistema a ripartizione, anche se è un sistema a capitalizzazione virtuale, che replica, cerca di imitare un sistema a capitalizzazione, quindi questi sistemi soffrono quando c'è un calo della natalità e c'è un calo dei flussi di ingresso nella forza lavoro più in generale.
  La sostenibilità di questi sistemi pensionistici quindi è legata in modo fondamentale ai saldi demografici. Se cala la natalità e aumenta la longevità, come accade nel nostro Paese, questo porta a un aumento del numero di pensionati per lavoratori, dunque dell'onere del prelievo contributivo e fiscale che grava su ogni lavoratore per permettere il pagamento delle pensioni. Mentre il nostro sistema pensionistico ha dei correttivi sulla longevità, sempre che non si vogliano modificare le norme sull'adeguamento automatico alla longevità dell'età di pensionamento, non ha dei correttivi rispetto al calo dei flussi in ingresso, quindi della natalità e dell'immigrazione.
  L'entrata di immigrati regolari che, come si è detto, avviene generalmente in giovane età e comunque nelle fasce attive, permette di aumentare immediatamente la popolazione dei contribuenti. Gli investimenti in natalità hanno dei rendimenti molto più Pag. 8lunghi nel tempo, perché chiaramente ci vogliono almeno vent'anni per generare dei contribuenti. Anche se il nostro Paese tornasse ai tassi di natalità del periodo del baby boom, ci vorrebbero comunque circa vent'anni perché questa più forte natalità si traducesse in incrementi della platea dei contribuenti.
  Il contributo dei lavoratori immigrati è oggi particolarmente rilevante per il nostro sistema di protezione sociale, poiché il saldo naturale della popolazione italiana è negativo. Nel 2015, ad esempio, il saldo naturale è stato negativo di quasi 300.000 persone, come se la popolazione di Pordenone fosse stata azzerata. Questo saldo negativo è stato solo in parte compensato dall'acquisizione di cittadinanza italiana da parte della popolazione straniera residente (+66.000 persone).
  Si dice: se voi permettete che arrivino più immigrati regolari, togliete opportunità di impiego agli italiani; ma non c'è affatto evidenza empirica di questo. I lavoratori che sono stati regolarizzati con le sanatorie non hanno sottratto opportunità ai loro colleghi, le analisi condotte evidenziano che la probabilità di separarsi da un'impresa per i colleghi degli emersi (abbiamo guardato ai lavoratori nelle aziende in cui c'erano degli immigrati che sono stati regolarizzati) è pari al 41 per cento e, se il numero di emersi all'interno dell'impresa cresce, tale probabilità aumenta solo dell'1 per cento. L'effetto di spiazzamento è quindi molto piccolo e riguarda unicamente i lavoratori con qualifiche basse.
  È bene notare che tale analisi descrive la probabilità di separarsi da un'azienda, tra i lavoratori che si separano ve ne saranno tra l'altro alcuni che troveranno impiego immediatamente ed altri che potrebbero affrontare un periodo di disoccupazione, quindi non necessariamente questo 1 per cento vuol dire disoccupazione. Si tratta di una stima per eccesso della reale disoccupazione indotta dagli aumenti degli emersi nelle aziende interessate.
  Non ci sono invece effetti per i lavoratori più qualificati. Quindi, dire che l'arrivo degli immigrati ha portato alla fuga dei giovani e dei cervelli all'estero è quantomeno... Non c'è assolutamente alcun dato che provi questo. L'incidenza dei laureati nei giovani che lasciano il nostro Paese è molto elevata e certamente loro non vengono minimamente spiazzati dall'arrivo degli immigrati.
  Più in generale, confrontando gli stranieri con i nativi, con riferimento agli occupati dipendenti, emerge dai dati INPS che i migranti sono fortemente sovrarappresentati nelle categorie degli operai e tale concentrazione si è rafforzata nel tempo. L'aumento della concentrazione degli immigrati non è dovuta peraltro ad un incremento della quota di migranti, ma ad una riduzione dei nativi in queste categorie. In altre parole, sono gli italiani che non fanno più quei lavori, piuttosto che essere gli immigrati che spiazzano gli italiani. Gli unici due settori in cui i migranti sono sovrarappresentati sono quelli della costruzione e il settore alberghi e ristorazione, mentre nella manifattura l'indice di concentrazione è circa uguale a 1 e costante nel tempo.
  Inoltre esiste un gap salariale tra migranti e nativi dell'ordine di circa il 15 per cento a svantaggio degli immigrati.
  Importante è infine notare che, mentre i migranti che entrano nel mercato del lavoro sono in maggioranza a bassa qualifica, la quota degli italiani non laureati che scelgono di emigrare per motivi economici si è dimezzata tra il 2007 e il 2015. Sembra difficile perciò ipotizzare che la fuga di giovani dal nostro Paese possa essere dovuta alla competizione sul mercato del lavoro con gli immigrati.
  Non sembra esserci alcun effetto dell'aumento dell'incidenza degli immigrati sulla popolazione e la propensione degli italiani a emigrare anche quando si conducono queste analisi a livello del singolo comune.
  Infine, l'immigrazione in Italia è aumentata (di questo non si tiene conto quando si fanno questi ragionamenti sullo spiazzamento) proprio negli anni in cui la disoccupazione diminuiva (il grafico della figura 6 lo documenta). Questo non depone a favore della tesi secondo cui la disoccupazione in Italia è aumentata per colpa dell'immigrazione. Pag. 9 C'è anche evidenza che un aumento dell'offerta di lavoro dei migranti in occupazioni routinarie fa aumentare i salari dei nativi, spingendoli verso occupazioni più qualificate. Lo stesso meccanismo con riferimento all'Italia produce un aumento del valore aggiunto provinciale.
  Per concludere, il nostro Paese ha chiuso molti canali per l'ingresso regolare nel nostro mercato del lavoro, mentre sta attraendo un crescente numero di rifugiati e immigrati irregolari, e qui c'è sicuramente una sostituzione in atto, persone che a questo punto entrano solo irregolarmente, mentre, di fronte a delle politiche migratorie che permettessero un ingresso di lavoratori regolari, sceglierebbero la strada regolare. Quindi di fatto abbiamo scelto di avere più irregolari nel nostro Paese.
  Così, proprio mentre aumenta tra la popolazione autoctona la percezione di un numero eccessivo di immigrati, perché sono immigrati irregolari che lavorano in nero o non lavorano, abbiamo sempre più bisogno di immigrati che contribuiscano al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale. Questa è la contraddizione in cui ci dibattiamo.
  Come abbiamo visto, l'immigrazione regolare contribuisce a finanziare il nostro sistema pensionistico, in quanto nell'immediato si ha un aumento delle entrate contributive, mentre le prestazioni a queste associate verranno erogate solo in un secondo tempo. Gli immigrati cominciano subito a pagare i contributi, sono molto giovani e quindi prima che percepiscano le pensioni passerà molto tempo. Questo lo chiamiamo «l'effetto contribuzione aggiuntiva».
  Nel lungo periodo certamente avranno anche loro i pagamenti delle pensioni, ma qui dobbiamo guardare alla posizione netta previdenziale e, come si è detto, la posizione netta previdenziale per una serie di ragioni degli immigrati è tale da essere positiva per le casse dell'INPS, quindi abbiamo un saldo netto anche in questo caso nettamente positivo per le casse dell'INPS.
  L'effetto contribuzione è destinato a diventare tanto più rilevante quanto più alto è il livello di integrazione sociale ed economica dei migranti, dunque quanto minore è il gap salariale nei confronti dei lavoratori autoctoni. Se hanno salari più alti, verseranno anche dei contributi più elevati.
  L'importante è essere consapevoli del fatto che il contributo degli immigrati regolari al sistema previdenziale italiano rimarrebbe fondamentale anche nel caso – comunque auspicabile – in cui venissero introdotte delle politiche efficaci per l'aumento del tasso di fecondità delle donne italiane.
  Non è questa la sede per discutere di queste politiche, di cui abbiamo trattato nel nostro rapporto annuale, ma è bene sapere che devono essere durature nel tempo, percepite come strutturali, perché fare un figlio è una scelta irreversibile, quindi le famiglie hanno bisogno di sapere che per lungo tempo potranno beneficiarne (non sono i bonus estemporanei che potranno cambiare le attitudini degli italiani). Inoltre dovrebbero essere politiche che promuovano maggiore condivisione degli oneri per la cura dei figli all'interno delle famiglie, come si è suggerito.
  In ogni caso, le politiche pro-natalità non possono risolvere il problema nell'immediato per le ragioni che dicevo prima, ossia è un investimento con dei rendimenti di lungo periodo, ci vogliono almeno vent'anni prima che questi nuovi nati si trasformino in nuovi contribuenti.
  Il confronto pubblico dovrebbe perciò incentrarsi su come inserire gli immigrati stabilmente nel nostro mercato del lavoro regolare, come farli entrare nella platea dei contribuenti. Questo dovrebbe essere il nodo cruciale su cui incentrare gran parte delle nostre riflessioni, a partire dagli immigrati che sono già all'interno del nostro Paese.
  L'integrazione degli immigrati nel nostro mercato del lavoro in modo regolare, il fatto che i nativi vedano che gli immigrati lavorano, che creano valore aggiunto e che contribuiscono al sostentamento e al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale contribuirebbe anche a migliorare le percezioni degli italiani nei confronti degli immigrati, quindi potrebbe anche in parte risolvere quel paradosso a cui facevo Pag. 10riferimento prima, cioè il fatto che noi abbiamo bisogno di immigrati proprio mentre c'è una percezione generalmente negativa nei confronti degli stessi. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Boeri, per l'interessantissima relazione. Lascio la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GREGORIO FONTANA. Grazie, professore. Sicuramente è una relazione interessante che andrà approfondita nei suoi vari aspetti, ma l'aspetto più attinente all'attività di questa nostra Commissione è quello del lavoro: se lei ha cifre precise rispetto all'impiego dei richiedenti asilo.
  Questo è un dato importante, anche alla luce di quello che ha detto, ovvero della difficoltà di coinvolgere con lavori regolari, nonostante ci siano norme che disciplinano queste situazioni, anche a causa di questo sistema di accoglienza diffusa che tende a distribuire piccole quantità di richiedenti asilo in giro per l'Italia e crea la difficoltà anche di un opportuno meccanismo di insegnamento sia della lingua, sia di attività di apprendistato.
  Un altro dato che probabilmente mi è sfuggito è il numero complessivo di immigrati regolari in Italia e quanti di questi lavorino, perché la valutazione delle dinamiche che lei ci ha illustrato si basa su questo dato fondamentale, cioè quanti sono gli immigrati regolari, quanti di questi lavorano, quanti sono inattivi e quanti in attesa di lavoro.
  Un'osservazione a margine e concludo. Lei dice sicuramente una cosa importante, perché il riconoscimento dell'efficacia delle politiche di regolarizzazione fatte all'inizio degli anni 2000 è sicuramente un elemento positivo, perché non solo ha dato un meccanismo di regolarità a coloro che venivano in Italia, ma ha dato anche effetti negli anni successivi. Certo, quel tipo di regolarizzazione aveva due punti cardine: avere già un lavoro e avere una casa. Sicuramente, in questi termini, la regolarizzazione potrebbe essere considerata anche in questo momento.
  Oggi abbiamo a che fare con un fenomeno completamente diverso, con centinaia di migliaia di persone che sono sul nostro territorio in maniera irregolare, centinaia di migliaia di persone che permangono in Italia all'interno dei centri di accoglienza in attesa della definizione del loro status.

  MARCO RONDINI. Ringrazio anch'io il professor Boeri per la sua presenza oggi e mi unisco alla richiesta del collega Fontana rispetto alla possibilità di conoscere in termini numerici quanti sono gli immigrati che, in attesa di un responso rispetto alla propria richiesta di asilo, sono impiegati o comunque lavorano.
  Lei ci ha detto che le sue dichiarazioni hanno destato l'attenzione dell'opinione pubblica ed era chiaro che sarebbe successo, in considerazione del fatto che vengono fatte in questo momento particolare in cui l'opinione pubblica avverte la presenza degli immigrati, anche attraverso i numeri che danno conto della quantità di persone che arrivano sul nostro territorio e che poi spesso fanno perdere le proprie tracce o comunque le cui richieste di asilo non vengono riconosciute. Quindi per l'opinione pubblica è difficile fare una distinzione fra l'immigrato regolare che paga le tasse e contribuisce al mantenimento del nostro sistema sociale e l'immigrato irregolare, soprattutto in una contingenza come quella attuale.
  Ritengo comunque – mi corregga se sbaglio – che le sue dichiarazioni siano frutto di una visione parziale della questione, perché si riferiscono esclusivamente ai contributi sociali degli immigrati regolari e alle prestazioni erogate, e in questo caso il saldo è positivo.
  Ci dice che il saldo sarebbe positivo anche guardando oltre questa visuale, ma per l'opinione pubblica è difficile pensare che il saldo positivo possa derivare semplicemente dal sottrarre le prestazioni dai contributi erogati e quindi arrivare a un saldo positivo di 5 miliardi, perché da quelli presumibilmente secondo l'opinione pubblica andrebbero tolti i soldi che vengono utilizzati per l'accoglienza o anche per il mantenimento degli immigrati all'interno Pag. 11delle carceri italiane. Vorrei quindi conoscere il numero e le questioni oltre le quali verrebbe garantito comunque un saldo positivo.
  Dalle sue dichiarazioni sembra quasi che lei, per garantire l'emersione del nero, suggerisca un'ennesima sanatoria. Conferma questa mia impressione? Grazie.

  PAOLO BENI. Io la ringrazio della relazione molto interessante, dei dati e del materiale, che credo siano preziosi perché, anche se il mandato della nostra Commissione è circoscritto a quello che riguarda il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, è evidente che c'è un nesso fra il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e il tema dell'immigrazione regolare, e il nesso sta nel fatto che in questo momento si sta facendo una grandissima confusione tra immigrazione e ingressi per richiesta di protezione, mentre si tratta di due cose diverse.
  C'è un errore di fondo che sta proprio nel fatto che impropriamente il sistema di accoglienza oggi, anziché gestire richiedenti protezione internazionale, gestisce migrazioni economiche perché sono stati resi impossibili i flussi regolari d'ingresso dalle politiche attuate.
  Alcuni dati contenuti nella sua relazione sono noti e sono oggetto di studi della Fondazione Moressa. Molto interessanti le proiezioni specifiche che avete fatto sul sistema pensionistico nei prossimi decenni, che danno un quadro partendo da un caso di scuola, da cui poi il presunto azzeramento.
  Credo da questo emerga la conferma di due cose: in primo luogo, c'è una necessità nel nostro Paese di programmare flussi migratori per i prossimi decenni, nel nostro Paese e in Europa; in secondo luogo, attualmente stiamo andando in controtendenza rispetto a questa necessità, perché abbiamo un calo degli ingressi regolari e contemporaneamente un aumento esponenziale degli ingressi irregolari, che vanno ad alimentare il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo.
  Questo conferma una contraddizione – che sta emergendo anche dal lavoro che stiamo facendo in base ai compiti affidati – del sistema di accoglienza, un sistema concepito per gestire le richieste di protezione internazionale che di fatto si trova a gestire flussi di migranti economici che, non avendo altro modo per entrare nel nostro Paese, arrivano con i barconi.
  Al di là del problema emergenziale di queste persone, laddove il rigonfiamento del sistema di accoglienza è legato anche al fatto che noi eravamo fino a poco tempo fa Paese di transito con l'Europa e che le porte dell'Europa si sono chiuse, lei pensa che una soluzione possa consistere nel tornare a fare programmazione di politiche migratorie, a prevedere cioè flussi d'ingresso e quindi rivedere le norme del Testo Unico sull'immigrazione che, per come è stato modificato in questi ultimi anni, rende impossibile questa strada?
  Il collega parlava di sanatoria, alcuni sindaci hanno proposto delle forme particolari di concessione di permessi umanitari legati alla possibilità di lavoro e comunque un modo per uscire da questa situazione. Cosa pensate di questa esigenza di trovare una modalità per invertire la tendenza, per poi ridar vita a una programmazione di flussi regolari, che vadano di pari passo con la pianificazione della cooperazione internazionale?

  MARIA CHIARA GADDA. Desidero anch'io ringraziare il presidente dell'INPS per i dati oggettivi che ci ha fornito. I dati sono dati, quello che fa confusione nell'immaginario pubblico e nella discussione tra i cittadini è proprio il dibattito politico, che tende a mischiare i dati sull'immigrazione regolare con quelli sull'immigrazione irregolare.
  Vorrei aggiungere una domanda rispetto a quanto ha anticipato il collega Beni: una programmazione dei flussi migratori in quali settori potrebbe essere maggiormente focalizzata? Questo per capire se una politica di ingressi regolari possa essere finalizzata ad alcuni settori di attività, dove sussistano delle mancanze all'interno dei lavoratori italiani, e soprattutto se esistano delle necessità legate a specifiche aree geografiche.
  Un'altra domanda riguarda il titolo di studio dei lavoratori stranieri. Mi pare di Pag. 12aver compreso che il titolo di studio sia tendenzialmente elevato, ma i lavori che poi vengono svolti sono sottopagati e comunque non corrispondono al titolo di studio di queste persone, entrate regolarmente o regolarizzate con una delle più grandi sanatorie, quella del 2012, che c'è stata in questo Paese.
  Relativamente al lavoro nero, vorrei invece capire quale sia l'incidenza anche per area geografica del Paese e per settori di attività.
  In conclusione, ritengo che questa audizione abbia assolutamente un nesso con la finalità e con i lavori di questa Commissione, che analizza il sistema di accoglienza, ma partendo da un presupposto molto semplice: il quantitativo dei flussi è determinato da persone che hanno diritto a richiedere l'asilo per questioni di tipo politico o umanitario, ma ovviamente i grandi numeri a cui abbiamo assistito in questi anni sono determinati da persone che non hanno altre modalità di accesso nel nostro Paese e in Europa. Grazie.

  SARA MORETTO. Ovviamente anch'io ringrazio il Presidente Boeri per i dati forniti e per il quadro complessivo che va oltre le competenze strette di questa Commissione, ma che ci consente di avere un quadro a 360 gradi sul fenomeno della migrazione e sull'incidenza positiva che i lavoratori stranieri hanno sul nostro sistema pensionistico.
  Non ripeto le considerazioni dei colleghi, che condivido, guardando i dati per esempio della tabella 2 relativa ai permessi concessi ai migranti stranieri, da cui è evidente che il dato in calo dei permessi di lavoro e in aumento delle richieste di asilo corrisponde non ad un effettivo cambiamento dei flussi migratori, ma semplicemente ad una impossibilità di fare diversamente per chi vuole arrivare nel nostro Paese regolarmente e svolgere il proprio lavoro. Quindi non direi che oggi c'è una contingenza che porta all'irregolarità: c'è una impossibilità assoluta di gestire i flussi in maniera regolare. Su questo non dobbiamo neanche prenderci in giro sui dati.
  Ritornando invece strettamente ai temi della nostra Commissione, quindi al sistema dei richiedenti asilo, lei diceva che vi è una richiesta di impiego lavorativo dei richiedenti asilo che adesso è possibile, diversamente da prima, ma che però non consente un mantenimento, perché nel momento in cui si conclude la procedura di richiesta di asilo questo tipo di rapporto non può essere in nessun modo convertito in lavoro regolare, in un permesso regolare. Le chiedevo se le risulti o ci siano dati per cui vi è una richiesta di impiego lavorativo durante la procedura di richiesta di asilo, quindi se le procedure effettivamente siano complicate o semplici.
  Lo dico perché ho partecipato ad un'assemblea pubblica a Cona qualche mese fa, nel corso della quale un artigiano si è alzato e ha detto: «Io ho bisogno di forza lavoro, ci sono dei ragazzi giovani e prestanti che potrei far lavorare, ma non riesco a pianificare un rapporto di lavoro con queste persone, anche se so che staranno qui un anno o più, proprio per la procedura che devo seguire», dicendo quindi che ci sono problemi nell'impiego di queste persone.
  Nel caso in cui la persona richiedente asilo abbia trovato un impiego, sarebbe quindi utile pensare ad un meccanismo che consenta la sua prosecuzione e quindi un impiego definitivo ed un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Grazie.

  STEFANO DAMBRUOSO. Anche io volevo ringraziare il professor Boeri per le informazioni che mi hanno consentito di allargare lo spettro delle mie valutazioni su un fenomeno che con impegno questa Commissione sta approfondendo. Mi associo quindi agli apprezzamenti fatti da chi mi ha preceduto e anche alle domande che in buona parte assorbono i quesiti che avevo pensato di porre.
  A fine seduta mi piacerebbe conoscere una sua valutazione soprattutto su quest'ultimo aspetto, il possibile impiego dei richiedenti asilo come forza lavoro da parte di aziende e imprenditori italiani in una prima fase della loro integrazione. Qual è l'ostacolo? Avete avvertito il ruolo dei sindacati e delle organizzazioni di categoria che hanno partecipato alla valutazione sull'ammissibilità o meno dell'utilizzo immediato dei Pag. 13richiedenti asilo? Abbiamo infatti avvertito, in una fase che era senz'altro iniziale della gestione di questo fenomeno, un ruolo che non era esattamente di supporto da parte di alcune organizzazioni sindacali, quindi mi piacerebbe sapere qual è il ruolo attuale, se questo tipo di scenario rientra nel contributo che i sindacati stanno dando alla risoluzione di un fenomeno che li vede attivi.

  PRESIDENTE. Professor Boeri, a lei le risposte. Poi ovviamente ci consegnerà anche il materiale, perché mi sembra interessante avere la sua relazione nel dettaglio.

  TITO BOERI, presidente dell'INPS. Cercheremo anche di integrarla con alcune delle domande che avete posto, perché non a tutte siamo in grado di rispondere immediatamente.
  Innanzitutto vi ringrazio per le domande molto puntuali e stimolanti. L'onorevole Fontana ci chiedeva delle informazioni sull'impiego, sull'integrazione nel mercato del lavoro dei richiedenti asilo, ma purtroppo queste informazioni non sono in nostro possesso. Le nostre valutazioni si basano unicamente sugli archivi INPS, che sono gli archivi dei contribuenti o dei percettori di prestazioni al sostegno del reddito, sono archivi di natura amministrativa.
  Purtroppo ci sono poche informazioni, se posso dirlo, in generale sull'attività per l'integrazione nel mercato del lavoro dei CAS e degli SPRAR, sarebbe opportuno avere maggiori informazioni anche alla luce delle ingenti risorse che vengono destinate a questi centri, che dovrebbero contemplare anche attività di formazione e di inserimento lavorativo degli immigrati.
  Certamente c'è un problema di localizzazione, perché il fatto che siano spesso in zone rurali, extraurbane, crea problemi e difficoltà anche di fronte al fatto che la normativa si è alleggerita e oggi dopo due mesi si può cercare lavoro, però è molto più difficile trovarlo. Su questo bisognerebbe riflettere, anche perché nelle zone urbane c'è in genere una maggiore accettazione degli immigrati che nelle zone rurali, come rivelano tutte le indagini campionarie, quindi sarebbe opportuno puntare su una distribuzione territoriale più bilanciata, che non riduca la presenza nei centri urbani (semmai dovrebbe fare il contrario). Dai dati in nostro possesso abbiamo comunque 3 milioni di immigrati regolari che contribuiscono ogni anno alle casse dell'INPS.
  L'onorevole Rondini faceva una valutazione, che ho sentito molto in questi giorni, sull'intempestività delle nostre affermazioni, cioè il fatto che noi lanciamo questo campanello d'allarme sugli immigrati regolari proprio nel momento in cui l'attenzione dell'opinione pubblica è tutta sugli sbarchi.
  Capisco che obiettivamente c'è questo problema, ma credo che chi ha a cuore le prospettive del nostro sistema di protezione sociale non può che lanciare questi campanelli d'allarme, anche perché purtroppo l'emergenza rifugiati non è qualcosa di oggi, destinata a risolversi in poco tempo, ma presumibilmente è uno scenario che avremo di fronte ancora per un tempo non limitato, e il problema dei nostri equilibri va affrontato adesso. I dati che vi dicevo, della Ragioneria Generale dello Stato e delle nostre simulazioni, lo documentano: noi abbiamo bisogno adesso di cominciare a pensare seriamente a questo problema.
  Purtroppo ci stiamo condannando a subire, come diversi interventi hanno sottolineato, i costi dell'immigrazione senza ottenerne i benefici, perché trasformare anche quella che potrebbe essere l'immigrazione economica regolare di persone che arrivano e che sono contribuenti, di cui non dobbiamo sostenere spese di accoglienza in immigrazione irregolare o in flussi di rifugiati, è qualcosa che fa aumentare i costi dell'immigrazione senza poterne derivare dei benefici.
  Noi abbiamo chiaramente fatto le valutazioni in ambito INPS, quindi contributi versati INPS e spese gestite dall'INPS, perché questi sono i dati di cui noi disponiamo. Però prima parlavo di valutazioni che hanno considerato anche altre categorie di spesa, quali la spesa sanitaria, la spesa per l'istruzione e le entrate fiscali, quindi non solo contributive. Il bilancio Pag. 14netto comunque, secondo queste valutazioni, era positivo.
  Lei mi diceva che ci sono anche le spese per l'accoglienza. Attenzione, le spese per l'accoglienza sono spese una tantum. Quando noi guardiamo alla vita degli immigrati, queste spese si ammortizzano nettamente nel corso del tempo. In ogni caso, certamente se fossero flussi di immigrati regolari che arrivano per ragioni economiche, non avremmo da sostenere queste spese per l'accoglienza.
  Lei mi chiedeva se voglio fare una sanatoria. Ci siamo limitati a dire che c'è un problema oggi in Italia di uno stock crescente di immigrati che non possono lavorare regolarmente, questo problema va affrontato in qualche modo, ci sono varie ipotesi che si possono studiare, una è quella di una sanatoria, ma non necessariamente, può essere semplicemente quella di facilitare una maggiore integrazione dei rifugiati, adottare i correttivi che dicevo prima.
  Il punto centrale è che alla lunga, la situazione che abbiamo in Italia della presenza di molte persone che vorrebbero lavorare regolarmente e che non sono messe in condizione di lavorare regolarmente, è qualcosa che è destinato a creare una situazione di forte disagio sociale, a rendere più difficile gestire il fenomeno dell'immigrazione, a creare problemi anche per i conti pubblici e per i conti previdenziali in particolare.
  In altri Paesi il problema in parte è stato affrontato ed è più gestibile. Per esempio negli Stati Uniti i lavoratori in nero comunque versano i contributi, perché esistono dei numeri di sicurezza sociale che vengano dati anche agli immigrati irregolari. Loro pagano i contributi, sono dei Fake Social Security Number, a fronte dei quali non riceveranno mai delle prestazioni, ma intanto contribuiscono alle casse previdenziali. In Italia questo non avviene.
  L'onorevole Beni diceva una cosa molto importante: stiamo gestendo l'immigrazione economica con gli strumenti dei rifugiati, e questo è effettivamente il problema serio, perché massimizziamo i costi e minimizziamo i benefici dell'immigrazione. Mi chiedeva quindi se è necessario riprogrammare i flussi e io dico di sì. Abbiamo completamente abbandonato quello strumento e abbiamo deciso di non programmarli più e questo ci sta condannando a questa situazione.
  L'onorevole Gadda chiedeva in quali settori potrebbero trovare impiego. I dati ci dicono che c'è una forte concentrazione nel manifatturiero, in lavori poco qualificati nell'ambito manifatturiero, negli alberghi, nel turismo. È vero che, come l'onorevole sottolineava, hanno titoli di studio che li rendono più qualificati per i lavori che fanno e infatti noi capitalizziamo anche su questo aspetto perché, essendo più qualificati, sono anche più produttivi delle persone che normalmente fanno questi lavori. Nel corso del tempo, integrandosi nel nostro mercato del lavoro, riescono a trovare, soprattutto nella seconda generazione, dei lavori più coerenti con il loro titolo di studio.
  La distribuzione del lavoro nero per aree geografiche sono dati dell'Istat, comunque c'è una forte concentrazione nelle zone del sud e, se noi consideriamo i soli immigrati, al nord la mappatura del lavoro nero è molto legata alla mappatura dell'immigrazione, mentre al sud prescinde dall'immigrazione, cioè c'è lavoro nero anche tra gli autoctoni.
  L'onorevole Moretto sottolineava l'impossibilità di gestire i flussi in maniera regolare per scelte che abbiamo fatto, e condivido appieno questo giudizio. Chiedeva se ci sono dei dati sulle richieste dei rifugiati di avere poi un ingresso regolare, ma purtroppo vale anche qui quanto dicevo all'inizio: abbiamo poche informazioni sui rifugiati, sulle attività dei centri di accoglienza e questo ci rende impossibile quantificare, ma sarebbe molto importante farlo e certamente da parte nostra c'è la massima disponibilità, nel momento in cui queste informazioni ci venissero fornite, di lavorare su questi temi.
  Infine l'onorevole Dambruoso chiedeva del ruolo giocato dai sindacati. Credo che si possa dire che i sindacati in Italia tradizionalmente hanno avuto un atteggiamento nei confronti dell'immigrazione diverso dai sindacati in altri Paesi, ad esempio nei Pag. 15Paesi anglosassoni: c'è molta più apertura nei confronti degli immigrati, un'attenzione maggiore al problema dell'immigrazione, e questa credo sia una delle ragioni per cui in passato l'immigrazione in Italia è proceduta con un'integrazione sociale relativamente elevata, senza creare forti tensioni nel mercato del lavoro.
  Più recentemente, però, di fronte al fenomeno dei rifugiati, a livello locale ci sono stati episodi segnalati – a quelli credo facesse riferimento l'onorevole Dambruoso – di opposizione a proposte che volevano trovare dei lavori di pubblica utilità per rifugiati temporanei a livello locale. Queste sono cose che noi non monitoriamo come INPS, ma certamente le leggiamo anche noi.
  Questo è un problema che andrebbe a mio giudizio affrontato, perché credo che anche il grado di accettazione di questo, che è un fenomeno globale, sarebbe diverso se queste persone fossero messe nelle condizioni di fare lavori di pubblica utilità. Grazie.

  PRESIDENTE. Se fosse disponibile, professore, vi è la richiesta di un ultimo, piccolo chiarimento da parte dell'onorevole Rondini.

  MARCO RONDINI. Lei ci diceva che nel corso dei controlli e delle verifiche che avete fatto avete trovato in posizione irregolare o comunque avete registrato la presenza di un clandestino in un caso su tre. Abbiamo il numero di immigrati clandestini che sono stati registrati nel corso dei controlli?

  TITO BOERI, presidente dell'INPS. Sì, sono chiaramente dei numeri piccoli, perché il numero di ispezioni è limitato. Tra l'altro, come lei sa, adesso esiste l'Ispettorato nazionale del lavoro che raccoglie queste informazioni. Ma possiamo renderli disponibili, possiamo dirle quali sono i numeri; però, ripeto, sono dei numeri piccoli.
  Il dato importante è che, quando si fanno delle ispezioni mirate, noi otteniamo questo risultato.

  PRESIDENTE. Professore, noi la ringraziamo moltissimo, è stata un'audizione veramente interessante. Ci sarà modo di confrontarci anche in futuro. La nostra Commissione ha avviato proprio oggi altri filoni di attività, abbiamo presentato, sin dall'inizio della nostra istituzione, relazioni al Parlamento e al Governo su situazioni specifiche che riguardano il sistema di accoglienza dei migranti, dalla relazione sul CARA di Mineo e Mafia Capitale, essendo la nostra una Commissione d'inchiesta parlamentare con i poteri della magistratura, una relazione molto interessante che approveremo la prossima settimana sui minori stranieri non accompagnati, una che approveremo a settembre sull'assistenza sanitaria per i migranti.
  Altri tre gruppi di lavoro prenderanno avvio nei prossimi giorni ed entreranno nel vivo degli approfondimenti, uno riguarda i modelli organizzativi di gestione dei centri di accoglienza, un altro gli aspetti economico-finanziari e un altro la gestione dei flussi dei dati sul fenomeno, quindi avremo sicuramente bisogno di lei.
  Nel ringraziare il nostro ospite, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.05.