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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III Camera e 3a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 24 di Lunedì 4 settembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, sui rapporti tra l'Italia e l'Egitto:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Alfano Angelino (AP-CpE-NCD) , Ministro degli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 3 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 7 
Di Battista Alessandro (M5S)  ... 8 
Casini Pierferdinando , Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica ... 8 
Palazzotto Erasmo (SI-SEL-POS)  ... 9 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 
Gasparri Maurizio  ... 9 
Zanda Luigi  ... 11 
Speranza Roberto (MDP)  ... 13 
Palazzotto Erasmo (SI-SEL-POS)  ... 14 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 16 
Amoruso Francesco Maria  ... 18 
Compagna Luigi  ... 20 
Pini Gianluca (LNA)  ... 21 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 21 
Pini Gianluca (LNA)  ... 21 
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 22 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 25 
Valentini Valentino (FI-PdL)  ... 26 
De Cristofaro Peppe  ... 27 
Casini Pierferdinando , Presidente della 3a Commissione del Senato ... 28 
De Cristofaro Peppe  ... 28 
Casini Pierferdinando , Presidente della 3a Commissione del Senato ... 28 
De Cristofaro Peppe  ... 28 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 28 
Alfano Angelino (AP-CpE-NCD) , Ministro degli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 28 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 30

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori: Misto-CI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI: Misto-FARE!-PRI;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA III COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, sui rapporti tra l'Italia e l'Egitto.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, sui rapporti tra l'Italia e l'Egitto.
  Saluto il presidente della Commissione esteri del Senato, senatore Casini, e tutti i colleghi senatori e deputati presenti.
  Do il benvenuto al Ministro Alfano, unitamente alla delegazione della Farnesina che lo accompagna.
  Darei subito la parola al Ministro per il suo intervento.
  Per quello che mi riguarda, mi riservo di svolgere alcune considerazioni di merito nella successiva fase del dibattito. Chiedo al presidente Casini di fare la stessa cosa.
  Invito i colleghi a far pervenire fin d'ora alla presidenza le richieste di interventi al fine di facilitare l'organizzazione del dibattito, che, come di consueto, terrà conto della consistenza dei gruppi e del rispetto dell'alternanza tra senatori e deputati.
  Do la parola al Ministro Alfano.

  ANGELINO ALFANO, Ministro degli affari esteri e alla cooperazione internazionale. Signori presidenti, colleghi, le relazioni tra Italia ed Egitto sono alimentate da vicinanza geografica e da una storia millenaria fatta di intensi rapporti tra i nostri popoli. Questioni come la lotta al terrorismo, la gestione ragionata e coordinata dei flussi migratori, la risposta alle crisi regionali, passando attraverso il contenzioso israelo-palestinese, la guerra in Siria, la crisi tra Paesi del Golfo, il tema della gestione delle acque del Nilo toccano direttamente il nostro Paese.
  Su questi temi l'Egitto è un partner ineludibile dell'Italia, esattamente quanto l'Italia è un partner imprescindibile per l'Egitto, la cui sicurezza e stabilità economico-sociale sono per noi fondamentali. Dobbiamo prendere atto che è oggettivamente impossibile, per Paesi dirimpettai nel Mediterraneo, con così numerose e impegnative sfide in comune, non avere un'interlocuzione politico-diplomatica di alto livello.
  Nonostante queste premesse, il giorno del ritrovamento del corpo senza vita di Giulio Regeni, quel tragico 3 febbraio 2016, i rapporti bilaterali hanno subìto inevitabilmente un duro colpo. L'omicidio di Giulio Regeni è una grave ferita per le nostre coscienze, per tutti noi e per l'intero Paese.
  Nel corso dell'anno e mezzo che è seguito all'assassinio di Giulio Regeni, il Governo ha mantenuto un costante raccordo con il Parlamento. Non ci siamo sottratti e, in alcuni casi, abbiamo promosso un confronto sugli sviluppi del caso, sulle azioni politico-diplomatiche per sostenere l'operato dei nostri investigatori e, più in generale, Pag. 4 sugli ambiti e sulle prospettive del rapporto bilaterale italo-egiziano.
  Ringrazio in quest'occasione tutti i gruppi parlamentari per l'attenzione costante che hanno riservato a queste tematiche, soprattutto per avere assunto, pur con le asprezze e i distinguo tipici della dialettica parlamentare, un atteggiamento responsabile, un atteggiamento reso coeso dalla profonda condivisione dell'obiettivo di fondo che unisce tutti noi, ossia giungere alla verità sulle circostanze che hanno condotto alla morte di Giulio Regeni, una verità vera e non di comodo, che identifichi i responsabili.
  Ripercorro brevemente le vicende salienti del rapporto tra Italia ed Egitto nel corso degli ultimi diciotto mesi. Fin dalla notizia della sparizione di Giulio, il Governo italiano ha incalzato le autorità egiziane per ottenere notizie sulla sorte del nostro connazionale. Dopo il tragico rinvenimento del suo cadavere, il Governo chiese al massimo livello politico la collaborazione de Il Cairo nelle indagini per fare piena luce su tale crimine efferato. Sul piano giudiziario fu subito avviata un'indagine della Procura della Repubblica di Roma, che si è rivolta alla Procura generale egiziana con richieste di rogatoria via via sempre più dettagliate.
  In una prima fase le indagini egiziane si sono rivelate dense di contraddizioni, incongruenze e persino tentativi di depistaggio, che il nostro Governo ha respinto con fermezza.
  A seguito dell'infruttuoso e deludente vertice tra le procure italiana ed egiziana, svoltosi a Roma all'inizio di aprile 2016, l'allora Ministro degli affari esteri, Paolo Gentiloni dispose il richiamo a Roma per consultazioni dell'Ambasciatore italiano a Il Cairo, Maurizio Massari. Come chiarito a suo tempo dallo stesso Presidente Gentiloni, si trattò di una misura resa necessaria per ottenere dagli egiziani un cambio di passo, un loro impegno più fattivo per accertare la verità sul caso Regeni. Dopo quest'avvio insoddisfacente, la cooperazione giudiziaria ha registrato un miglioramento, agevolato da un raccordo più fluido tra le due procure e scandito da incontri svoltisi, rispettivamente, nel settembre e nel dicembre 2016, nel maggio di quest'anno e, da ultimo, lo scorso agosto.
  Nel corso di questi incontri, i magistrati egiziani hanno soddisfatto, certo in modo ancora parziale, ma comunque crescente, le richieste contenute nelle rogatorie. Secondo quanto risulta dal comunicato congiunto delle due procure emesso il 14 agosto, «gli ultimi sviluppi segnano un ulteriore passo in avanti nella collaborazione. Un nuovo incontro tra i due uffici si dovrebbe svolgere a settembre. Entrambe le parti hanno assicurato che le attività investigative e la collaborazione continueranno fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato al sequestro, alle torture e alla morte di Giulio Regeni».
  In tutti questi mesi il Governo italiano ha sostenuto, con passi politico-diplomatici, il lavoro investigativo coordinato dalla Procura della Repubblica di Roma. Lo abbiamo fatto in via bilaterale con le autorità egiziane nel corso di alcuni incontri, svoltisi per lo più a margine di conferenze internazionali. Al mio omologo egiziano Shoukry, incontrato a Washington lo scorso marzo, ho chiesto in maniera molto netta e chiara di fare in modo che gli atti su Giulio Regeni richiesti dalla Procura di Roma vengano al più presto trasmessi.
  Nel pieno rispetto dell'autonomia della sua azione, continueremo a sostenere a tutto campo la Procura di Roma nella ricerca della verità, anche nella richiesta di collaborazione dell'istituzione accademica britannica presso cui Giulio stava conseguendo il suo dottorato di ricerca. Al riguardo – mi preme sottolinearlo – tra gli obiettivi della missione diplomatica dell'Ambasciatore Cantini, su cui mi soffermerò compiutamente più tardi, vi sarà anche quello di stabilire un rapporto di collaborazione nella capitale egiziana con il collega britannico proprio per fare luce sulla vicenda del nostro connazionale, che, come ho già detto, era studente presso una università del Regno Unito.
  Anche nel contesto ONU, nel contesto europeo e nell'interlocuzione con Paesi amici e alleati abbiamo incessantemente continuato a sollevare l'obiettivo della verità sul Pag. 5caso. Abbiamo, da ultimo, fatto inserire un esplicito invito all'Egitto a prestare la massima collaborazione per fare luce sul caso Regeni nella dichiarazione dell'Unione europea in occasione del Consiglio di associazione Unione europea-Egitto che si è tenuto a Bruxelles il 25 luglio, con una dichiarazione specificamente inserita in quel contesto.
  Tengo, inoltre, a ricordare che durante tutti questi mesi si è mantenuto costante il livello di interlocuzione con i genitori di Giulio anche al più elevato livello politico-istituzionale, oltre che con gli uffici della Farnesina. In queste occasioni, il papà e la mamma di Giulio sono stati tenuti al corrente degli sviluppi nella collaborazione giudiziaria e nelle iniziative politico-diplomatiche. Ricordo anche l'incontro dei genitori con il Procuratore generale egiziano, avvenuto a Roma pochi mesi fa.
  Va sottolineato che il richiamo dei rispettivi ambasciatori si è accompagnato a un parallelo e non casuale affievolirsi del dialogo diretto tra i due governi, essendosi pressoché azzerate le occasioni di visite e di incontri bilaterali tra le rispettive dirigenze politiche. Ricordo, infatti, che al richiamo dell'Ambasciatore Massari fece seguito, nel gennaio scorso, il rientro in patria per fine missione dell'ambasciatore egiziano a Roma senza che venisse inviato il suo successore, ancorché già nominato.
  Il dialogo con Il Cairo su questioni di mutuo interesse, da quelle politiche e di sicurezza a quelle economico-commerciali, dai temi dello sviluppo a quelli migratori, è continuato solo a livello di funzionari. Del resto, erano e restano tali e tanti gli ambiti di partenariato tra i due Paesi, anche a livello di società civile, che sarebbe impossibile e controproducente comprimerli e men che meno eliminarli.
  Proprio in riferimento a questo, voglio qui dare atto anche del lavoro svolto in questo lungo periodo dai nostri funzionari in servizio a Il Cairo, guidati dall'Incaricato d'affari, in condizioni oggettivamente difficili, dettate non solo dall'omicidio di Giulio Regeni e dalla conseguente assenza del capo missione, ma, già prima, dall'attentato terroristico che, nel luglio del 2015, aveva colpito il nostro Consolato nella capitale egiziana.
  Il Governo, nel corso di questi diciotto mesi, ha, inoltre, valutato costantemente e attentamente i vari aspetti del rapporto bilaterale. In alcuni casi, ha adottato misure dirette a segnalare elementi di discontinuità rispetto al business as usual, ad esempio ridimensionando le iniziative di sostegno allo sviluppo della collaborazione tra le rispettive comunità imprenditoriali. In questo contesto rientra anche la decisione del Parlamento, nel luglio 2016, di sospendere la fornitura all'Egitto di materiali di ricambio per velivoli F-16.
  Questa è, a grandi linee, la situazione del rapporto bilaterale con l'Egitto che eredita l'Ambasciatore Giampaolo Cantini, nominato dal Governo nel maggio 2016. La decisione del Governo di inviare a Il Cairo l'Ambasciatore Giampaolo Cantini prende atto, innanzitutto, degli sviluppi registrati nella cooperazione tra gli organi inquirenti d'Italia ed Egitto, di cui ha fatto stato il comunicato congiunto delle procure cui ho accennato in precedenza.
  Del resto, il richiamo dell'ambasciatore l'anno scorso fu ritenuto uno strumento di pressione soprattutto per ottenere più cooperazione giudiziaria. La stessa Procura di Roma aveva registrato, sin dal dicembre 2016, segnali positivi in tal senso, e prima di Ferragosto, come ho ricordato prima, ci sono stati gli ulteriori incoraggianti sviluppi annunciati dal comunicato delle due procure. L'invio di Cantini costituisce, quindi, un atto politicamente conseguente.
  Voglio qui ribadire che, inviando a Il Cairo un diplomatico di comprovata capacità ed esperienza nell'area mediterranea e mediorientale come Cantini, il Governo intende rafforzare il proprio impegno politico e morale al perseguimento della verità sulla tragica scomparsa di Giulio. L'Ambasciatore Cantini, grazie ai suoi rapporti al più alto livello con le competenti autorità egiziane, contribuirà a promuovere il rafforzamento della collaborazione giudiziaria e a intensificare ogni attività utile a progressi nelle indagini affinché nessuno spazio sia lasciato in ombra. Pag. 6
  Come è prassi all'inizio del mandato di un ambasciatore e come ho già dichiarato, il giorno 14 agosto, l'Ambasciatore Cantini ha ricevuto istruzioni precise circa gli obiettivi della sua missione, che, oltre alle tradizionali indicazioni sui compiti che lo attendono, dovrà seguire in via prioritaria l'evolversi delle indagini sul caso.
  Le iniziative di cui il nostro ambasciatore e i suoi collaboratori si faranno carico toccano vari aspetti. Innanzitutto, si tratta di facilitare e sostenere, tramite i contatti con le autorità egiziane, l'ulteriore sviluppo e il rafforzamento della cooperazione giudiziaria nell'obiettivo di fare pienamente luce sull'omicidio di Giulio Regeni, che resta l'impegno prioritario del nostro Governo.
  Ciò permetterà, auspicabilmente, di affinare il raccordo tra le procure in una fase potenzialmente significativa per lo sviluppo delle indagini, ovviamente secondo le linee e gli strumenti di azione che la Procura della Repubblica di Roma riterrà utili e funzionali alle indagini stesse, le quali – va precisato – sono e restano di stretta competenza delle rispettive autorità giudiziarie, ma esiste un prezioso lavoro ad alto livello che l'Ambasciatore Cantini potrà svolgere con profitto nell'integrazione di queste due dimensioni.
  C'è la grande e per noi prioritaria questione della memoria di Giulio. Giulio non verrà dimenticato e contro l'oblio vorremmo che gli fosse intitolata l'università italo-egiziana la cui istituzione è un progetto che, auspico, troverà nuova linfa con il rientro dell'ambasciatore. A Giulio sarà intitolato anche l'auditorium dell'Istituto italiano di cultura a Il Cairo e verranno organizzate cerimonie commemorative nella ricorrenza della sua scomparsa in tutte le sedi istituzionali italiane in Egitto.
  Ci stiamo, inoltre, attivando con il CONI affinché ai Giochi del Mediterraneo di Spagna 2018 la memoria di Giulio sia ricordata dagli atleti partecipanti. Verranno mantenuti anche sul sito Viaggiaresicuri della Farnesina l’«Avviso Regeni» e ogni utile informazione sulla situazione in Egitto sotto il profilo del rispetto dei diritti della persona. Su questo punto il contributo informativo che fornirà l'Ambasciatore Cantini sarà fondamentale.
  Inoltre, non abbassiamo la guardia sul rispetto e sulla promozione dei diritti umani in Egitto. Quando poniamo la questione del rispetto dei diritti umani, non lo facciamo certo per minare la stabilità del governo egiziano ma, al contrario, per consolidarla e, se possibile, per creare le condizioni più stabili di governo in un Paese così decisivo per tutta la regione. Non ci può essere stabilità se si marginalizzano componenti significative della società.
  Per queste ragioni saranno incrementati i progetti di cooperazione allo sviluppo nel campo della promozione dei diritti umani, della dignità della persona e della parità di genere. L'Italia intende continuare a favorire la concessione di borse di studio a favore di giovani egiziani e gli scambi tra le nostre società civili anche nel settore studentesco.
  Queste sono solo alcune delle iniziative per ribadire la ferrea volontà di ricercare la verità sull'omicidio di Giulio Regeni, in uno spirito di cooperazione tra gli organi inquirenti dei due Paesi e di rinnovato partenariato con l'Egitto. Sono certo che l'Ambasciatore Cantini saprà arricchire queste linee d'azione, una volta assunto, il 14 settembre, il suo incarico in Egitto.
  Nello stesso giorno, assumerà il suo incarico a Roma il nuovo Ambasciatore egiziano Hisham Badr. A fianco della ripresa di dialogo tra i due Governi, contiamo, naturalmente, anche sul contributo irrinunciabile che potrà continuare a venire dalla diplomazia parlamentare, utilissimo strumento di dialogo, anche critico, tra i due Paesi. La ripresa del dialogo bilaterale lungo queste linee e a queste condizioni è un interesse nazionale dell'Italia.
  L'Ambasciatore Cantini curerà l'intero spettro dei rapporti bilaterali con l'Egitto e della storica presenza italiana nel Paese, a partire dalla nostra importante comunità, che conta circa 6.000 connazionali residenti, oltre a quelli di passaggio. Voglio ricordare in proposito, in particolare, gli importanti compiti in materia consolare che spettano alla nostra Ambasciata, i cui Pag. 7servizi potranno essere ulteriormente promossi a cura del nuovo capo missione.
  Onorevoli senatori e onorevoli deputati, il Governo italiano è ben consapevole della complessità delle vicende politiche egiziane di questi anni. Ci preoccupa la dimensione della sfida terroristica cui deve fare fronte l'Egitto e il tentativo del terrorismo di scatenare nel Paese un conflitto su basi religiose.
  Il nostro comune impegno per la stabilizzazione dell'Egitto non può prescindere dalla tutela di valori in cui credeva Giulio Regeni. Mi riferisco a quelli del pluralismo, della libera associazione, della libertà di espressione, della libera ricerca e dello Stato di diritto. Per questo chiediamo il rispetto dei diritti economici, civili, politici, sociali e culturali, nonché spazi liberi per la società civile, le ong e i difensori dei diritti umani.
  Voglio qui sottolineare che la decisione politica di riallacciare un rapporto di livello con l'Egitto non elude, quindi, la necessità di marcare i punti sui quali abbiamo posizioni diverse. Questa nostra valutazione e quest'approccio sono condivisi dall'Unione europea e dalla maggioranza della comunità internazionale, inclusi partner internazionali di primaria importanza che hanno con Il Cairo partenariati approfonditi e di lunga data e, al tempo stesso, mantengono alta l'attenzione sul tema dei diritti e della compressione delle libertà. Mi riferisco, per esempio, agli Stati Uniti, che hanno di recente annunciato la propria decisione di decurtare il loro programma di sostegno militare alle forze armate egiziane in vista di auspicabili correttivi sui diritti umani e su questioni di interesse di Washington. Nel farlo, Washington non ha scalfito i propri rapporti con Il Cairo, mantiene un dialogo politico attivo e un ambasciatore americano nella pienezza delle sue funzioni, senza parlare di un robusto programma di assistenza all'Egitto del valore di oltre un miliardo di dollari.
  È di domenica 27 agosto, inoltre, la notizia che i ministri degli esteri di Egitto e Germania hanno firmato nella capitale tedesca un accordo bilaterale che prevede un impegno finanziario significativo da parte di Berlino per aiuti bilaterali in vari settori di attività: contrasto all'immigrazione irregolare; formazione professionale; sostegno ai profughi che si trovano in Egitto; borse di studio; assistenza ai rimpatri volontari di cittadini di Stati terzi dall'Egitto verso i rispettivi Paesi di origine.
  È noto, inoltre, l'attivismo di altri nostri fondamentali partner europei in Egitto sul piano bilaterale, ma anche sul versante della gestione delle dinamiche regionali. Essere assenti da queste dinamiche, da questi processi, significa che saranno altri Paesi a guidarli, a gestirli, con interessi e con finalità non sempre coincidenti con quelli dell'Italia, anzi, per di più senza alcuna certezza che questa nostra assenza ci rechi vantaggio nella ricerca della verità per Giulio.
  L'ampiezza delle attuali sfide alla sicurezza e alla prosperità collettive nel Mediterraneo richiede risposte coese e coordinate tra tutti i Paesi del nostro vicinato comune e l'Egitto non fa eccezione. Per quanto complesso rimanga il rapporto bilaterale, entrambi i Paesi condividono rischi e minacce e, soprattutto, una comune responsabilità nell'offrire risposte credibili su questioni di primaria importanza, da cui dipendono la prosperità e la sicurezza dei nostri cittadini.
  Mi impegno a proseguire con piena condivisione e trasparenza il proficuo raccordo con il Parlamento sulle prospettive del partenariato italo-egiziano, che vogliamo corretto, reciprocamente rispettoso e veritiero. Al riguardo, per il Governo la posizione dell'Egitto di Paese chiave nella regione e partner privilegiato non potrà mai essere considerata un impedimento alla ricerca della verità sul caso Regeni ma, semmai, un incentivo. Le indagini, concludo, dovranno proseguire con vigore e continueremo ad aspettarci piena collaborazione da parte delle autorità egiziane. Lo dobbiamo a Giulio, alla sua famiglia e a tutti gli italiani.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  Seguendo il criterio degli interventi in base alla consistenza dei gruppi, avrei come Pag. 8primo intervento il senatore Zanda, che mi dicono però essere in ritardo; do quindi la parola all'onorevole Di Battista.

  ALESSANDRO DI BATTISTA. È molto complicato commentare il discorso più ipocrita che abbia sentito da quando sono parlamentare della Repubblica, Ministro Alfano.
  È una vergogna che Lei sia venuto qui innanzitutto il 4 settembre, esattamente ventidue giorni dopo la decisione sull'invio dell'ambasciatore a Il Cairo e ventitré giorni dopo la pubblicazione di un'inchiesta molto seria, importante, quantomeno interessante, effettuata dal New York Times, quel giornale che Lei, Ministro, ha citato negli ultimi tre anni costantemente per attaccare il Movimento 5 Stelle. Il New York Times pubblica un editoriale contro il Movimento 5 Stelle o sulla mia persona, e Lei in campagna elettorale, dovunque, in Sicilia, in Calabria, cita i rapporti del New York Times e quell'articolo, ma non ha citato il New York Times e quell'inchiesta durante il Suo intervento. È una vergogna! Si deve vergognare!
  Avevate il dovere – e su questo siete anche corresponsabili voi, presidente Cicchitto e presidente Casini ed è responsabile la Presidentessa Boldrini – di convocare immediatamente le Commissioni esteri o l'Aula di Montecitorio o del Senato il giorno dopo, anzi prima dell'invio dell'ambasciatore. Questo non lo sapevamo; non se n'è mai discusso qui in Commissione, non se n'è discusso a Montecitorio o al Senato della Repubblica.
  L'abbiamo richiesto, tanti gruppi parlamentari hanno richiesto quest'intervento, quest'audizione, e non avete detto una parola. Lei, Ministro Alfano, non ha detto una parola per smentire un articolo, anzi un reportage importante che parlava di prove esplosive consegnate dall'Amministrazione Obama al Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Prove esplosive! Lei non cita questo rapporto, non dice una parola sul New York Times, quindi non lo smentisce, perché evidentemente non sa come smentirlo e non smentisce queste prove esplosive. Questa è una cosa vergognosa!
  Ripeto, siete corresponsabili, voi due, presidenti Casini e Cicchitto, perché queste Commissioni dovevano essere convocate il 23 agosto sera, o doveva essere convocata l'Aula il giorno dopo, per dare quantomeno il tempo ai parlamentari di arrivare – non so dove stavate in vacanza – e il Governo doveva venire qui a riferire. Il Governo aveva questo dovere.
  Il Governo riesce a compiere il suo dovere quando il Parlamento fa la giusta pressione e io non ho sentito la Presidente Boldrini, a parte le solite chiacchiere di commiserazione, le stesse che ci ha tirato fuori Lei oggi quando ha parlato, in maniera assolutamente ipocrita e vergognosa, di assegnazione di targhe e di università intitolate. Pensate che questo serva ai familiari, ai genitori? Ma se fosse stato figlio vostro? Pensate che sia necessario questo?
  Allora facciamo un bel minuto di raccoglimento, tanto qua in Italia si risolve tutto con i minuti di raccoglimento, con i minuti di silenzio, con i braccialetti o con le altre scritte di Amnesty International che ipocritamente sono affisse nei comuni amministrati dal Partito Democratico: «Verità per Giulio Regeni». E poi il Partito Democratico non è stato capace di convocare le Camere e di chiedere chiarimenti al Presidente del Consiglio – qua ci doveva essere pure il Presidente del Consiglio – il giorno dopo l'invio dell'ambasciatore e il giorno dopo questo reportage, che afferma di fatto che il Governo italiano era stato avvisato del coinvolgimento dei servizi segreti egiziani nella tortura e nell'assassinio di un giovane ragazzo italiano. Questa è la verità e certi volti che abbassano gli occhi dimostrano che questa è una vergogna incredibile.
  Concludo, Ministro Alfano, dicendo che quando un Paese sacrifica un ragazzo morto ammazzato e torturato sull'altare degli interessi economici – perché di questo si tratta – è un Paese morto. L'avete ammazzato voi questo Paese, l'ha ammazzato la vostra ipocrisia.

  PIERFERDINANDO CASINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Per quanto riguarda la vergogna, la respingo immediatamente al mittente. Si Pag. 9deve vergognare Lei di un intervento cialtronesco, che strumentalizza la memoria di Regeni solamente per una speculazione di carattere politico.
  Noi non convochiamo le Commissioni per fare degli show estivi. Abbiamo convocato le Commissioni per discutere dello stato dei rapporti tra Italia ed Egitto. Pertanto, caro onorevole Di Battista, Lei potrà anche vincere le elezioni, ma se pensa di intimorire le autorità istituzionali con questo linguaggio, per quanto mi riguarda e per quanto riguarda il presidente Cicchitto, si sbaglia di grosso.
  Per quanto riguarda la Presidente Boldrini, sappia che non siamo noi che dobbiamo convocare le Camere, fino a prova contraria, ma è la Presidente Boldrini, a cui va, in questo caso, la mia piena solidarietà. Non aggiungo altro, perché mi sento sminuito ad aggiungere altro.

  ERASMO PALAZZOTTO. Intervengo sull'ordine dei lavori. Vorrei capire semplicemente questa prassi, evidentemente innovativa, per cui la presidenza risponde nel merito all'intervento di un collega deputato che ha espresso un'opinione. Poteva tranquillamente riservarsi di rispondere nel suo intervento, visto che l'ordine degli interventi, come Lei, presidente, ci ha ricordato, segue l'ordine decrescente della consistenza dei gruppi.

  PRESIDENTE. Mi riprometto anch'io di intervenire nel merito. Il senatore Casini ha risposto sul punto che definiva vergognoso – del resto, ho letto anche un'altra dichiarazione dell'onorevole Marcon in tal senso – il comportamento del sottoscritto e suo. Su questo aspetto c'era addirittura l'elemento del fatto personale. Questo non incide sull'andamento dei lavori. Per quello che mi riguarda, interverrò successivamente. Prego, senatore Gasparri, poi l'onorevole Zanda.

  MAURIZIO GASPARRI. Il gruppo di Forza Italia giudica positivamente il ripristino dei rapporti diplomatici con l'Egitto, che ovviamente non vuol dire rinunciare a un'esigenza collettiva generale che investe tutto il nostro Paese, non solo le istituzioni, di verità sulla drammatica vicenda dell'assassinio di Giulio Regeni.
  Nel mese di luglio la Commissione difesa del Senato ha promosso una visita istituzionale in Egitto, che si è svolta il 10 e l'11 dello stesso mese, organizzata dal presidente della Commissione, Nicola Latorre, alla quale ho partecipato personalmente e alla quale ha partecipato il senatore Santangelo del gruppo del Movimento 5 Stelle. È stata una missione che ha avuto incontri ai massimi livelli, dal Presidente al-Sisi al Presidente della Camera, al Ministro degli esteri, alla Lega araba, anche alle autorità religiose dei copti e dell'Università sunnita di al-Azhar.
  Abbiamo promosso questa missione parlamentare istituzionale, che è stata accolta ai massimi livelli, anche con grande risalto, per porre il problema delle insoddisfacenti indagini riguardanti l'omicidio di Giulio Regeni, e anche per cercare di riavviare un dialogo finalizzato alla ricerca della verità.
  Non voglio collegare l'invio di carte e documenti – che non conosco, che, quindi, non posso giudicare e che saranno esaminati dalla magistratura inquirente che sta svolgendo le indagini, che ha fatto visita a Il Cairo e visto che sono stati annunciati dal Ministro Alfano ulteriori impegni – con la missione; è un parziale risultato, peraltro tutto da verificare, ma certamente lì abbiamo parlato di questa vicenda con molta chiarezza, anche di fronte alle massime istituzioni egiziane.
  Lo dico anche per rivendicare al Parlamento l'iniziativa di una Commissione del Senato, che ovviamente rappresentava il Parlamento e le istituzioni nella loro globalità. Io mi auguro che anche le nostre sollecitazioni, che hanno avuto ampia eco negli organi di informazione egiziani e non solo, possano aver contribuito a dimostrare la consapevolezza del nostro Paese nel volere accertamenti esaustivi che sinora non ci sono stati.
  In quell'occasione, Ministro Alfano, abbiamo riscontrato varie esigenze della comunità italiana che lì opera, che agisce nel campo dell'impresa e che ha bisogno di una salvaguardia, di una tutela, di una rappresentanza, Pag. 10 che ci ha sollecitato. Il 10 luglio è una data antecedente, ovviamente, a quella che ha portato, a metà agosto, al ripristino delle piene relazioni diplomatiche.
  C'è anche il problema del terrorismo e ci sono i problemi che l'Egitto vive attualmente e storicamente. Nel Sinai la situazione è assolutamente incandescente. Le morti, le uccisioni, le vittime anche appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia egiziane sono numerose. Nelle località turistiche, anche durante le settimane passate, ci sono stati eventi terroristici drammatici.
  Il gruppo di Forza Italia, per la verità, Ministro Alfano, non fu d'accordo quando si decise di sospendere la fornitura di mezzi di ricambio per gli F-16. Ricordo che al Senato – immagino l'abbiano fatto anche i colleghi alla Camera – noi sollecitammo affinché si sapesse distinguere un'azione rivolta a fronteggiare il terrorismo in un Paese che qualche anno fa ha rischiato di essere governato dai Fratelli Musulmani.
  Ora, in Egitto ci sono molte conquiste da fare in termini di democrazia, di pluralismo, di tutela dei diritti e la drammatica vicenda di Giulio Regeni ce lo fa capire ancora una volta, ma ricordiamoci che cosa è successo in quel Paese, che ha circa 100 milioni di abitanti, un tasso di crescita notevole, 1.200 chilometri di confini con la Libia e quindi anche un potenziale di immigrazione notevolissimo, tenuto in qualche modo sotto controllo. L'Egitto non è quello che è stata la Libia negli ultimi tre o quattro anni.
  Devo anche dire che, in occasione della nostra visita, soprattutto dalla Lega araba fu riconosciuta la validità della politica, della Realpolitik, che governi di altre fasi politiche italiane hanno mantenuto nei confronti dei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, ma non sono qui per fare propaganda. Che poi le cose dal 2011 in poi siano andate un po’ male in quella parte del mondo, lo sappiamo.
  Noi, Ministro Alfano, ci auguriamo che il mandato al nostro ambasciatore di tenere come prioritaria questa questione venga assolto senza sconti a nessuno, anche nei confronti dell'attività giudiziaria, seppure nelle condizioni difficili di cui ci rendiamo conto, in un Paese che vive tutte le sue problematiche, che dovrà fare molti passi in avanti verso democrazia, pluralismo e garanzia di diritti, ma che, ripeto, ha rischiato di essere governato dai Fratelli Musulmani o da realtà rispetto alle quali vi sono questioni ben più gravi che fare interrogazioni su aspetti di carattere giudiziario.
  Devo anche dire, concludendo e ritenendo che il ripristino delle relazioni diplomatiche possa essere un fatto positivo, signor Ministro, che forse sarebbe stato meglio gestirlo diversamente. Mi riferisco al fatto di averlo realizzato a metà agosto e con queste modalità. Francamente, si poteva gestire la situazione in maniera un po’ più decisa e trasparente sia sul piano delle richieste di trasparenza di indagini e di verità sia sul piano delle relazioni.
  Sulle tempistiche parlamentari non intervengo, anche perché chi poteva convocare l'Aula della Camera poteva farlo, nessuno gli lede questo diritto. Le Commissioni riflettono sui rapporti tra l'Italia e l'Egitto e le magistrature fanno le inchieste. Il fatto che sollecitiamo un impegno maggiore di Governo, Parlamento e Commissioni è uno stimolo in più.
  Voglio concludere dicendo che, però, mi aspetto anche un po’ di verità su un altro versante. La Procura di Roma, che ha agito con coraggio e determinazione in Egitto, ha poi registrato le bocche chiuse a Cambridge, dove l'agibilità democratica è certamente superiore a quella che si registra in Medio Oriente e in Nord Africa. I professori che hanno mandato Giulio Regeni a fare uno studio, una ricerca sui sindacati nel commercio ambulante in Egitto, si sono rifiutati di rispondere alla nostra Procura.
  Non voglio rompere le relazioni diplomatiche con il Regno Unito – non vorrei far finire nel ridicolo un intervento su temi drammatici – ma la casa della Magna Charta, una scuola di democrazia per noi tutti, dovrebbe anche essere richiamata al fine di sollecitare questi docenti universitari. Che fossero musulmani nulla toglie, perché svolgono nel pieno diritto la loro missione. Siccome non siamo per le discriminazioni, Pag. 11 non riteniamo nemmeno che uno non risponda per non so quali ragioni abbia frapposto.
  Mi auguro, Ministro, che, oltre a sollecitare il nostro ambasciatore, oltre a sostenere l'azione della magistratura italiana, anche questa vicenda verso il Regno Unito venga rinnovata. Ho giudicato una grave lesione dell'attività giudiziaria che un Paese ben diverso, la patria della democrazia, abbia dei professori universitari che hanno letteralmente rifiutato di parlare con i magistrati italiani. Potevano non avere elementi, non sapere nulla. La vicenda si è conclusa drammaticamente con un omicidio molto lontano da Cambridge, ma rispondano alla magistratura. Unirei anche questo sollecito: forse al mandato all'ambasciatore a Il Cairo si dovrebbe aggiungere anche una telefonata all'ambasciatore a Londra.

  LUIGI ZANDA. Mi scuso, il ritardo di un treno mi ha impedito di ascoltare la relazione del Ministro Alfano, con cui mi scuso. Naturalmente, leggerò la relazione sugli atti. Rimarrò sul tema per cui le Commissioni sono state convocate.
  Vorrei dire subito due parole sull'assassinio di Giulio Regeni, che io considero uno dei più terribili delitti a sfondo politico che sia stato commesso all'estero negli ultimi decenni nei confronti di un cittadino italiano. La crudeltà dell'assassinio e le torture, la messa in scena del ritrovamento del cadavere, l'assoluta assenza di qualsiasi ragione plausibile per questo scempio sono tutti motivi che, a mio avviso, fanno escludere che si tratti di un delitto comune. Giulio Regeni era uno studioso ed è stato torturato per estorcergli informazioni che lui non poteva dare perché non ne aveva conoscenza. Ed è stato ucciso per impedirgli di denunciare i torturatori. Le radici di un assassino di questo tipo hanno, quindi, certamente natura politica.
  L'Italia non dovrà cessare mai di cercare la verità finché non l'avrà ottenuta, continuando, con tutti i mezzi legali a nostra disposizione, ad indagare e facendolo per tutto il tempo necessario. Io credo che questo dibattito delle Commissioni esteri riunite di Camera e Senato abbia un senso se ribadisce con fermezza che questa è la volontà del Parlamento e del Governo italiani, senza calcoli di interesse politici diversi da quelli della giustizia.
  Però, il fatto che ci riuniamo in questa sede parlamentare e politica ci obbliga anche a entrare nel merito politico di fattori internazionali che possono pesare, probabilmente pesano, sull'andamento di questa vicenda. Io vorrei toccare molto succintamente tre questioni che mi sembrano preminenti. La prima riguarda i rapporti tra l'Italia e l'Egitto e il ritorno del nostro ambasciatore a Il Cairo; la seconda, il rapporto di Giulio Regeni con l'Università di Cambridge; la terza, la necessità che il lavoro di intelligence dei servizi segreti europei sia realmente congiunto.
  I rapporti tra l'Italia e l'Egitto sono, ovviamente, molto rilevanti in generale, ma lo sono particolarmente, direi essenzialmente, ai fini di una collaborazione per trovare la verità sull'assassinio di Giulio Regeni. L'Italia è la patria di Giulio Regeni ma l'Egitto è il luogo dove l'assassinio è stato commesso. Il Presidente Gentiloni ha dichiarato che sulla questione Regeni nessuna ragione di Stato dovrà mai prevalere sui nostri princìpi etici e civili e io condivido totalmente questa sua posizione.
  Le domande di partenza che farei in questa sede sono due: se l'Italia abbia fatto bene, più di un anno fa, a ritirare il nostro ambasciatore da Il Cairo e se corrisponda al nostro interesse avere, invece, riaccreditato il nostro ambasciatore dopo più di un anno di sede vacante. Dico subito che a suo tempo il ritiro dell'ambasciatore fu un atto proporzionato alla gravità delle circostanze. Era un atto necessario per sollecitare le autorità egiziane a una collaborazione più piena e per rendere evidente all'Egitto e alla comunità internazionale quali fossero i sentimenti del nostro Paese rispetto a un delitto così orrendo. Sin dai primi momenti era chiara a tutti – l'hanno scritto i media ma comunque era chiaro a tutti – la probabilità che dietro l'assassinio di Giulio Regeni si nascondessero responsabilità di spezzoni deviati di sistemi di sicurezza egiziani o di elementi di malaffare con collegamenti equivoci. Pag. 12
  Al di là di queste legittime preoccupazioni, non avevamo, non c'erano e non ci sono elementi giudiziariamente certi sull'identità di chi aveva commesso il delitto, né sugli eventuali mandanti delle torture e dell'omicidio. Tutti gli elementi di fatto e ogni reale possibilità di indagine, tutte le informazioni erano e sono tuttora nella competenza delle autorità egiziane. In quella fase, il ritiro dell'ambasciatore aveva per l'Italia il senso di una misura politica che poteva dimostrare quanto per noi fosse essenziale giungere presto alla verità.
  Da quella decisione è passato più di un anno e oggi, ancora più di allora, sappiamo che la giustizia per Giulio Regeni potrà venire solo da una verità giudiziaria. Per averla, le nostre pressioni dovranno continuare a essere esercitate con tutta la forza di cui disponiamo. È da qui che c'è la necessità per l'Italia di disporre, nel rapporto con le autorità egiziane, di strumenti idonei a promuovere, non solo sul piano giudiziario ma anche su quello diplomatico e politico, quelle reazioni internazionali e dell'opinione pubblica che possano farci ottenere una svolta reale per le indagini.
  Possiamo dire onestamente che un'ulteriore assenza da Il Cairo dell'ambasciatore d'Italia potrebbe maggiormente aiutare il raggiungimento della verità? O pensiamo che possa essere più utile la pressione quotidiana di una nostra rappresentanza diplomatica completa, qualificata, forte e determinata? Noi siamo il Parlamento e il Parlamento ha il diritto e il dovere di pretendere dal Governo il massimo impegno nella ricerca della verità ma, come Parlamento, abbiamo anche il dovere di garantire al Governo la possibilità di utilizzare tutti gli strumenti politici e diplomatici che gli sono indispensabili per esercitare la pressione necessaria.
  La Costituzione, anche in questo, ci indica la strada. L'articolo 11 della Costituzione ci indica qual è la strada, la soluzione per risolvere le controversie internazionali. Dalla Costituzione abbiamo l'indicazione che non dobbiamo avere la tentazione delle prove di forza ma dobbiamo sempre trovare una soluzione nell'ambito di un dialogo fermo e di un confronto chiaro con i nostri interlocutori internazionali.
  In secondo luogo, Giulio Regeni era un cittadino italiano, ma quando è stato assassinato era in Egitto per incarico dell'Università di Cambridge, per conto della quale svolgeva un lavoro di ricerca che gli era stato commissionato per obiettivi che, fino a prova contraria, noi dobbiamo considerare di carattere scientifico. Questo è un punto delicatissimo, che va chiarito in profondità. Vi ha fatto un accenno adesso il senatore Gasparri.
  Finora non abbiamo la necessaria chiarezza né sulla strategia né sul costume didattico dell'Università di Cambridge nel commissionare ai suoi studenti ricerche su profili così politicamente delicati. Non sappiamo quale fosse fino in fondo il mandato di ricerca di Giulio Regeni, né se sia stato valutato che esso avrebbe potuto mettere a rischio la sua stessa incolumità. Non sappiamo se fosse l'unico studente a cui erano stati affidati incarichi di questo tipo o se l'incarico rientrasse in un progetto più vasto, né chi altro sia stato con lui incaricato delle medesime ricerche. Non conosciamo – direi che questo è un aspetto molto delicato – quale fosse il livello di protezione che l'Università di Cambridge aveva garantito ai suoi studenti che mandava a fare ricerca in un ambiente così difficile.
  Abbiamo avuto l'impressione che ci siano state serie difficoltà nei rapporti tra le autorità accademiche inglesi con la magistratura italiana. Non ci sembra che sinora Cambridge abbia mostrato un livello di collaborazione corrispondente al ruolo rilevante che ha avuto in tutta la vicenda. Ha ragione Gasparri quando ricorda che la Gran Bretagna è un tradizionale alleato dell'Italia e che una sua collaborazione piena ci può aiutare concretamente a trovare la verità.
  Vengo all'ultima questione – credo anche questa rilevante – che riguarda la necessità che nelle indagini sull'assassinio di Giulio Regeni la collaborazione tra i servizi segreti dell'Unione europea sia completa e in grado di sviluppare tutta la forza investigativa e informativa, che è notevole, di cui l'Unione può essere capace se la Pag. 13pratica nel suo insieme. Tra i servizi segreti dell'Unione europea la collaborazione e lo scambio di informazioni, soprattutto in materia di antiterrorismo, come sapete, sono molto intensi e producono risultati molto positivi ma i nostri servizi, i servizi dei Paesi dell'Europa, non costituiscono un corpo unitario, come accadrebbe se avessimo un'Unione europea con un livello di unità politica maggiore. Non possono avere, quindi, quello stesso livello di integrazione totale che può venire soltanto se la struttura è unitaria, se c'è un'unica linea di comando, se c'è una dipendenza chiara da un'autorità politica democraticamente indicata. Oggi i servizi europei hanno una struttura nazionale e sono responsabili della tutela degli interessi dei singoli Stati, non soltanto in tema di sicurezza ma anche di protezione degli obiettivi economici e industriali. E noi sappiamo che in Nord Africa, tanto per fare un esempio collegato alla questione di cui stiamo parlando, le politiche energetiche di varie nazioni europee sono in concorrenza esplicita tra loro. È questa complessità di collaborazione, che oscilla sempre tra il livello europeo e il livello nazionale, a condizionare un'integrazione integrale dei servizi di intelligence nazionali.
  Io debbo dirvi che ho trovato molto importante – credo che ce lo dovremmo ripetere – il clima politico che abbiamo registrato la settimana scorsa a Parigi, nel corso del vertice tra Italia, Francia, Germania e Spagna. Certamente, non era quella la sede in cui discutere di questioni che riguardano un'investigazione, sia pur così importante, come quella del caso Regeni, ma credo che proprio da queste intese politiche possano nascere condizioni favorevoli per migliorare l'integrazione tra i servizi segreti dell'Europa e, quindi, arrivare più facilmente alla verità.
  Concludo dicendo che è bene avere la presenza a Il Cairo di un bravo ambasciatore italiano, che ha e dovrà esercitare un mandato esplicito di ricerca, pressione e collaborazione per trovare la verità sul caso Regeni, ma credo – punto egualmente molto importante – che molto potrebbe fare un lavoro di investigazione e di pressione dell'Unione europea integrata politicamente a tutela della libertà e della vita dei suoi cittadini. Abbiamo detto prima che Regeni era un cittadino italiano ma era anche un cittadino europeo, naturalmente.

  ROBERTO SPERANZA. Anch'io voglio partire con una considerazione più generale, che credo debba essere patrimonio di tutto il nostro Parlamento.
  La morte e l'omicidio di Giulio Regeni rappresentano una delle pagine più nere e più oscure della storia recente del nostro Paese. Credo che questo debba essere il punto di partenza di una valutazione da parte di tutte le forze politiche di questo Parlamento. Anch'io ritengo che forse queste Commissioni avrebbero potuto essere convocate prima ma è bene che oggi finalmente si inizi a discutere e credo che si tratti di una discussione che non si potrà neanche esaurire nella giornata di oggi.
  Siamo di fronte a un omicidio tremendo. Siamo di fronte a un'evidente corresponsabilità quantomeno di un pezzo del sistema istituzionale egiziano. Ho ascoltato con molta attenzione le parole del Ministro Alfano, che oggi per raccontare quello che è avvenuto nei primi mesi dopo quel tragico omicidio ha utilizzato tre termini che credo siano particolarmente significativi: tentennamento, contraddizione e depistaggio.
  Noi siamo assolutamente consapevoli della delicatezza e della complessità di questa vicenda, così come siamo assolutamente consapevoli dell'importanza e della delicatezza degli interessi italiani nel Mediterraneo. Proprio le cose che ho detto sinora, però, mi fanno affermare in maniera convinta che la Sua comunicazione di oggi, Ministro, non è sufficiente. Sono passati diciotto mesi da quel tragico evento e ancora siamo troppo lontani dalla verità. Permettetemi di dirlo con franchezza: tutti comprendiamo le ragioni dell'invio dell'ambasciatore, avendo da poco autorizzato una missione navale in Libia ed essendo protagonista straordinariamente centrale su quel territorio il generale Haftar, legato da rapporti molto fermi con l'Egitto. Non ci sfuggono le ragioni delle scelte che si compiono ma quest'atto, avvenuto il 15 di agosto, in Pag. 14una data che ci appare anch'essa in qualche modo contraddittoria e non esattamente all'altezza di una grande democrazia come la nostra, ci pare privo di spiegazioni. Non appaiono alla nostra evidenza fatti nuovi e significativi che possano spiegare, fuori dai freddi interessi geopolitici dell'Italia, il cambio di rotta che si decide.
  La sensazione che si è data – utilizzo le parole della famiglia Regeni – è, purtroppo, quella di una resa, è di aver anteposto il freddo calcolo e l'interesse di Realpolitik del nostro Paese rispetto all'indispensabile necessità di ricercare la verità. Vanno bene le intitolazioni varie a Giulio Regeni che arriveranno nelle prossime settimane ma, caro Ministro, c'è un solo modo per onorare davvero Giulio Regeni ed è restituire alla famiglia e alla nostra comunità nazionale una verità che ancora manca. Mi permetta di dire che la condivisibile ineludibilità dei rapporti con l'Egitto non può prescindere dalla ricerca della verità. Senza verità la stessa credibilità del nostro Paese nel Mediterraneo sarà più debole e non più forte.
  In conclusione, Ministro, mi venga consentito di rivolgermi alle altre forze politiche. Noi riteniamo che il Parlamento debba fare di più su questa pagina nera, triste e tragica della storia recente del nostro Paese. Nel maggio 2016 è stata presentata una proposta di legge, a prima firma Arturo Scotto, che abbiamo rilanciato come gruppo di Articolo 1, per l'istituzione di una commissione di inchiesta. In questo Paese sono state istituite commissioni di inchiesta per le più varie questioni: è inaccettabile che questo Parlamento non abbia la dignità, anche nei pochi mesi che restano alla fine della legislatura, di istituire finalmente, in modo unitario – io auspico all'unanimità –, una commissione di inchiesta che in pochi mesi aiuti a far luce su questa vicenda.

  ERASMO PALAZZOTTO. Signor Ministro, mi permetta, nel rispetto delle prerogative che le sono attribuite dalla Costituzione, di segnalarLe, in primo luogo, una questione di metodo su questa vicenda. Una decisione di rilevanza politica, geopolitica e strategica come quella di riallacciare le relazioni diplomatiche tra il nostro Paese e l'Egitto, anche in relazione alla vicenda dell'omicidio di Giulio Regeni, non si prende il 14 agosto a Camere chiuse, come ladri di notte. È una decisione che merita quantomeno una discussione parlamentare preventiva. Pertanto, è abbastanza significativo che qui si pensi che addirittura sia esagerato chiedere una discussione urgente a posteriori. Il problema di metodo è che, nonostante questa sia una prerogativa del Governo, una decisione di tale importanza non si assume scavalcando il Parlamento e che una discussione di questo tipo non può arrivare quasi venti giorni dopo che questo è avvenuto.
  Sempre relativamente al metodo, vorremmo sapere in questa sede quali sono questi elementi che la collaborazione tra la Procura di Roma e quella egiziana hanno prodotto e che giustificano un simile cambio di rotta. Non ce l'ha detto nella Sua relazione. Vorremmo che spiegasse agli italiani perché il nostro Governo mette in discussione una decisione assunta senza che siano intervenuti fatti o novità di rilevanza tale da far cambiare rotta completamente al Governo italiano.
  Io non ho dubbi che la presenza del nostro ambasciatore aiuterà la ripresa delle relazioni con l'Egitto ma a questo punto la vera domanda da porsi è perché lo abbiamo ritirato. Se nulla è intervenuto da quando lo abbiamo ritirato a oggi, quantomeno ci dovrebbe essere l'assunzione di responsabilità rispetto a una sconfitta politica. Quel gesto, che era addirittura un gesto fortissimo, non ha prodotto nessun risultato rispetto alla ricerca della verità. Questo è il punto politico che oggi dovremmo discutere.
  In tutta questa discussione ci sono due evidenze che rappresentano una verità ormai acquisita, a prescindere da quella giudiziaria. La prima evidenza è la responsabilità delle forze di sicurezza egiziane: non sappiamo a quale ramo dei servizi segreti appartenessero, se rispondessero direttamente al generale al-Sisi, se ci fosse un conflitto interno ma sicuramente c'è la responsabilità delle forze di sicurezza egiziane nel rapimento e nell'uccisione di Giulio Pag. 15 Regeni. Su questo punto un indizio evidente sono i maldestri tentativi di depistaggio che il governo egiziano ha messo in atto, offendendo la dignità di questo Paese. Non mi risulta che ci siano state prese di posizione fortissime nel momento in cui qualcuno ci presentava quattro borseggiatori come responsabili dell'omicidio di Giulio Regeni. Mi pare che fosse lo stesso Ministro degli esteri egiziano ad avvalorare questa tesi, oltre che la Procura.
  C'è anche un'altra questione che abbiamo deciso di rimuovere da questo dibattito. L'onorevole Di Battista faceva riferimento all'inchiesta del New York Times. Penso che gli italiani abbiano il diritto di avere delle risposte e di sapere se quest'informativa è arrivata o non è arrivata nelle mani del Governo italiano, se sono state fornite da parte del governo americano al Governo italiano informazioni sulle responsabilità presunte o provate rispetto alla vicenda dell'omicidio Regeni.
  In quell'articolo del New York Times si citano anche altre cose ed è significativo che ne discuta la stampa internazionale e che questo Parlamento non abbia il coraggio di discuterne apertamente. La vicenda che riguarda le relazioni bilaterali tra l'Italia e l'Egitto riguarda prevalentemente interessi di natura economica e geopolitica strategici rispetto alle questioni che venivano richiamate sulla Libia. Bisognerebbe avere il coraggio, dentro queste aule parlamentari, di affermare che si è scelto di far prevalere come interesse nazionale gli interessi energetici di ENI, della nostra compagnia nazionale e i rapporti con l'Egitto in funzione della strategia con il generale Haftar, rispetto all'interesse nazionale di acquisire la verità sull'omicidio di Giulio Regeni e di riaffermare un principio sul terreno dei diritti umani, che per noi e per la nostra Carta costituzionale sono inviolabili.
  Vengo all'ultimo passaggio. Molto spesso nelle aule del Parlamento si è discusso delle teorie complottiste di alcune forze politiche. Vorrei che avessimo almeno il coraggio di sottrarre dalle teorie del complottismo la vicenda di Giulio Regeni, che invece appare alla maggioranza degli italiani come un elemento abbastanza chiaro. Ho sentito interventi che, di fatto, hanno in buona parte discusso delle responsabilità dell'Università di Cambridge in relazione all'omicidio di Giulio Regeni piuttosto che delle responsabilità del governo egiziano. Io penso, essendo appunto il Regno Unito un Paese libero, che l'Università di Cambridge avrà tutto il diritto di scegliere le proprie strategie comunicative e anche di difesa, considerando che può essere destinataria anche di cause in sede civile a causa delle responsabilità che può avere.
  Però, da qui a sostenere, o quantomeno a insinuare, che questo abbia a che fare con presunti giochi di strategia tra servizi segreti funzionali a creare problemi nelle relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto, ce ne passa un bel po’. Penso che, se i rapporti tra i nostri servizi segreti e quelli inglesi sono al punto tale per cui non basta una telefonata per verificare se ci fossero evidenze di questo tipo, allora il problema per la sicurezza del nostro Paese è forse più grande di quello che ci lasciate credere. Mi permetta di dire che, invece, a mio avviso, una verità evidente è che la triste sorte che è toccata a Giulio Regeni è la sorte che tocca quasi quotidianamente a tantissimi giovani egiziani, che oggi vivono in un clima di terrore, in una delle peggiori dittature che si sia affacciata sulla storia di questo pianeta, da fare invidia alle dittature latinoamericane, che tanti morti e desaparecidos hanno provocato. Basta leggere non solo i rapporti di Amnesty International, che ormai è diventata faziosa per buona parte del nostro Governo, ma anche quelli di tutte le organizzazioni a tutela dei diritti umani e delle libertà civili, che registrano come in Egitto non sia più praticabile alcuna forma di dissenso e che addirittura la preoccupazione dei cittadini egiziani è relativa alle persone che si frequentano o si salutano, perché questi comportamenti possono determinare il loro arresto arbitrario e la loro sparizione. Penso che il tema sia il seguente: il nostro Paese oggi, in questo momento storico, si assume la responsabilità politica di chiudere gli occhi davanti a tutto questo o sceglie da che parte della storia si vuole schierare? Pag. 16
  Da questo punto di vista, concludendo, sottolineo l'inefficacia del lavoro svolto anche da questo Parlamento. Veniva ricordato prima: ci sono diverse proposte di legge – io ne ho presentate ben due – per l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta per arrivare a una verità politica sulla morte di Giulio Regeni. C'è stata una scelta consapevole della politica di questo Paese di non approvare quella proposta di legge sull'istituzione della commissione d'inchiesta. Le proposte di legge sono ben due. Man mano che si avvicinava la scadenza della legislatura ho aggiornato la proposta di legge ponendo un limite di tempo più breve per la conclusione dell'inchiesta: l'ultima ha un limite di tre mesi. Ci sono i tempi e le modalità per cui domani questo Parlamento può scegliere, a prescindere dalle scelte discutibili del Governo, la possibilità di fare luce almeno dal punto di vista politico – non si tratta di sostituirsi alla magistratura – su quello che è successo a Giulio Regeni.
  Aggiungo che abbiamo il dovere di farlo a prescindere. Quindi, se l'Aula deciderà, ancora una volta, di non esaminare la proposta di legge sull'istituzione della commissione d'inchiesta, chiedo alla Commissione esteri della Camera dei deputati – i senatori faranno le loro valutazioni – di avviare un'indagine conoscitiva e di chiamare in audizione la famiglia e l'avvocato di Giulio Regeni e i consulenti della famiglia ma anche di chiamare tutti i soggetti che hanno titolo in questa discussione, tra cui l'Amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, che in questa vicenda, come viene ricostruito dal New York Times, ha giocato un ruolo, essendo l'ENI un pezzo della nostra politica estera, più volte riconosciuto anche dall'ex Presidente del Consiglio Renzi.
  Mi dispiace, io penso che la cortina fumogena che state provando ad alzare, nonostante il tentativo di rinviare l'Ambasciatore in un momento in cui pensavate che gli italiani fossero distratti – il giorno dopo non sarebbero usciti i giornali – non funzionerà. Oggi, il tentativo maldestro – mi permetta, Ministro – di venire qui a raccontarci che l'impegno del nostro Governo è quello di affiggere targhe in alcune aule delle nostre istituzioni o di chiedere delle commemorazioni per Giulio Regeni non è quello che chiede questo Paese. Questo Paese chiede verità e noi lo dobbiamo a questo Paese, lo dobbiamo alla memoria di Giulio Regeni, lo dobbiamo al fine di omaggiare la vita di Giulio Regeni e lo dobbiamo anche alla sua famiglia, a cui va tutta la nostra solidarietà.

  PRESIDENTE. Io capisco l'intervento dell'onorevole Di Battista, in quanto l'onorevole Di Battista sta su una posizione globalmente eversivo-rivoluzionaria, quindi qualunque cosa passi lui la prende al volo. Trovo qualche contraddizione tra questo intervento così rivoluzionario e quello di ieri a Cernobbio dell'onorevole Di Maio, che sembrava una sorta di giovane Giulio Andreotti rivisitato ma, comunque, questo è un altro paio di maniche.
  Devo dire che capisco molto meno, invece, l'intervento dell'onorevole Palazzotto a partire dal punto riguardante Cambridge. Oltre al problema egiziano, che è gigantesco, ci sono due buchi neri singolari in questa vicenda, che, secondo me, hanno un valore esattamente rovesciato rispetto a quello di cui ha parlato l'onorevole Palazzotto. Uno è Cambridge, che lui ha difeso, e prendo atto della sua difesa. L'altro è questo «ineffabile» articolo del New York Times, per il quale voi chiedevate di riunirci, di far venir meno la dignità del Parlamento italiano, che si sarebbe riunito di corsa per un articolo provocatorio, fatto e commissionato chiaramente da un pezzo dei servizi americani. Avremmo dovuto riunirci il 24 agosto per questa ragione.
  Partiamo da Cambridge. Su Cambridge non solo valgono tutte le cose che ha detto poco fa il senatore Zanda. Io ho un'ulteriore testimonianza. Quando, come Commissione esteri della Camera, ci siamo recati in Inghilterra per parlare di Brexit, il mio omologo presidente della Commissione esteri del Parlamento inglese, Crispin Blunt, conservatore, ci disse: «Perché non interrogate il nostro governo su Cambridge e su quello che è successo? Io l'ho interrogato più volte e non ho avuto risposte». Pag. 17
  Qualcuno per faziosità o per fesseria può cercare di nasconderlo ma quella di Cambridge è una questione non da poco, sia relativamente al fatto che Giulio Regeni è stato mandato allo sbaraglio, sia anche per possibili reazioni – in ogni caso assolutamente indegne – degli egiziani. La questione riguarda il mandato, il compito, la copertura: non è che fare un'indagine sugli abusivi a Il Cairo in Egitto sia come fare un'indagine sugli abusivi al Pigneto o a Tor Bella Monaca! Sono cose un po’ diverse. La tutor inglese di Cambridge, che conosce bene la situazione perché è un'egiziana, ha affidato questo mandato a Regeni e rimangono aperte tutte le domande e le interrogazioni che in questa sede sono state poste dal senatore Gasparri e dal senatore Zanda su questo aspetto, che rappresenta un autentico buco nero per quello che riguarda questa vicenda.
  Poi, certamente, il secondo e drammatico elemento è quello costituito dal rapimento, dalla tortura e dall'assassinio di Giulio Regeni. Rispetto a questo aspetto, non abbiamo avuto bisogno delle rivelazioni, che non ci sono, del New York Times – darò poi lettura del brano fondamentale del New York Times – per ritirare l'ambasciatore, ritenendo che la spiegazione più probabile fosse un'operazione compiuta da una parte dei servizi. Solo un pezzo dei servizi o un gruppo terroristico assai addestrato e assai inserito avrebbe potuto far scomparire una persona per nove giorni e torturarla. Su questo terreno abbiamo reagito come si doveva reagire.
  L'altro punto di domanda, che si correla a Cambridge e anche a quest'articolo del New York Times, è il seguente: come mai il cadavere di Giulio Regeni, non solo ucciso ma terribilmente torturato, è stato fatto ritrovare il giorno nel quale una delegazione italiana di 60 imprenditori, guidata da un ministro, era presente nella capitale egiziana? È sembrato quasi che qualcuno volesse mettere il cadavere di questo giovane sul tavolo in modo da rompere i rapporti fra l'Italia e l'Egitto. Si tratta di una seconda questione che non ha risposte, anche perché, da varie parti (anche da parte egiziana) ci è stato detto che piuttosto il cadavere si sarebbe potuto fare scomparire nel deserto. Tuttavia, il cadavere non è scomparso nel deserto, per cui le ipotesi sono due: una contraddizione interna ai servizi oppure un corpo che è stato acquistato da altri per una operazione di questo tipo. Tutte queste questioni stanno su questo tavolo.
  Il terzo buco nero è un articolo del New York Times, che qui tanto viene sbandierato. Il New York Times aveva questi materiali da tempo e – combinazione! – escono fuori proprio in concomitanza con l'invio del nostro ambasciatore. Sembra quasi che ci siano delle forze molto significative, forse anche nel settore petrolifero, che non gradiscono affatto che l'Italia, malgrado questa provocazione durissima, abbia ristabilito un rapporto anche a tutela dei propri interessi complessivi. Chi non si fa carico di questo aspetto e cavalca l'articolo del New York Times – chiedo scusa – è un utile idiota delle forze che manovrano contro l'Italia, anche perché questo «straordinario» pezzo del New York Times, come leggo, non crea nessun imbarazzo, in primo luogo ai nostri servizi segreti: «La rabbia di Renzi si basava su più di un sospetto. Nelle settimane successive alla morte di Regeni, gli Stati Uniti entrarono in possesso di informazioni esplosive provenienti dall'Egitto, prove che i servizi segreti egiziani avevano rapito, torturato e ucciso Regeni. “Avevamo prove incontrovertibili della responsabilità delle autorità egiziane” mi ha detto un funzionario dell'Amministrazione Obama, uno dei tre ex funzionari che hanno confermato le informazioni. Non c'erano dubbi: su raccomandazione del Dipartimento di Stato della Casa Bianca, gli Stati Uniti trasmisero le loro conclusioni al Governo Renzi ma, per evitare che fosse identificata la fonte, non fornirono agli italiani le prove originali né dissero quale agenzia della sicurezza pensavano fosse responsabile della morte di Regeni». Mi chiedo quali siano queste spaventose rivelazioni. Lo sapevamo a tal punto che abbiamo ritirato l'ambasciatore, quindi quest'articolo è soltanto fatto per far saltare i nervi agli italiani e per farli cadere in una trappola. Pag. 18
  Purtroppo ho una memoria storica molto maggiore della vostra perché sono molto più vecchio di voi: altro che le responsabilità dell'ENI sul caso Regeni! Il presidente dell'ENI è stato ammazzato sul terreno degli scontri che riguardavano i petroli! Voi cavalcate questa tigre contro il Governo italiano, che sta difendendo gli interessi italiani, in riferimento sia a Regeni sia a un altro fatto. Su L'Espresso, un sottile sociologo, Jean-Pierre Filiu, ex diplomatico, dice: «L'Italia si illude se pensa che arrendersi sul caso Regeni le porterà qualche beneficio». Non mi risulta, però, che questo sottile diplomatico o che Hollande, quando è andato in Egitto a chiudere un'intesa di 19 miliardi di euro, in cui sembra abbia parlato di Regeni, abbiano mai sollevato il problema del professore francese Lang, il quale, non c'è dubbio, è morto in un commissariato egiziano e rispetto al quale il governo francese non ha mosso un ciglio e non ha certamente ritirato il proprio ambasciatore. Questi sono i punti di coloro che vengono qui a farci prediche e a darci delle lezioni.
  Inoltre, prendiamo di petto la questione: quando noi abbiamo sollevato il problema, al punto tale che abbiamo ritirato l'ambasciatore, per un periodo certamente l'Egitto si è trovato in una condizione di difficoltà, tant'è che ha aperto il canale della magistratura. Successivamente, la Realpolitik, con cui bisogna fare i conti, ha fatto sì che al-Sisi sia stato ricevuto da Trump e abbia incontrato il Papa, Merkel e Hollande. Rispetto a tutto ciò, noi dovevamo rimanere fermi e immobili, senza far politica rispetto a due questioni, ossia riproponendo il caso Regeni, come è stato fatto dal Governo, e riaprendo un rapporto con gli egiziani? Non possiamo essere gli scemi del villaggio o gli scemi del Mediterraneo, con tutti i problemi che abbiamo nel Mediterraneo, Libia e investimenti italiani compresi.
  Non si capisce perché non ci dovremmo far carico della complessità delle questioni, ossia, da una parte, il caso Regeni e, dall'altra, l'operazione geopolitica e la strategia geopolitica dell'Italia anche rispetto alla Libia, e restare isolati perché veniamo bombardati dal New York Times e – con tutto il rispetto – da L'Espresso. Per rifiutare questo bombardamento, io e il presidente Casini abbiamo detto che, certamente, nel momento in cui alcune forze politiche ponevano il problema politico della nomina dell'ambasciatore, le Commissioni affari esteri di Camera e Senato si sarebbero riunite, ma non si sarebbero riunite perché il New York Times aveva parlato, come si farebbe in una «repubblica delle banane». Il New York Times parla e chi è amico degli Stati Uniti lo prende in considerazione, in qualche caso concordando e in altri casi reputando che si tratta di una «polpetta avvelenata» che il Parlamento italiano non deve per necessità ingoiare.

  FRANCESCO MARIA AMORUSO. Capisco il clima estremamente caldo di questa giornata, però è anche giusto che oggi qualche cosa venga detta in maniera molto chiara. Abbiamo ascoltato gli interventi e ci sono state prese di posizione. Personalmente, a nome del mio gruppo al Senato, io ritengo che il Governo abbia fatto molto bene a mandare l'ambasciatore a Il Cairo – forse era da discutere la necessità di ritirarlo –, perché certamente una presenza come quella del nostro ambasciatore servirà a seguire molto meglio il caso, dandogli più peso, più forza, più importanza. Dico questo perché, com'è stato ricordato specialmente nell'ultimo intervento, molti sono gli aspetti ancora da chiarire di quest'annosa vicenda. Sta nella sua drammaticità il peso per il nostro Paese e si tratta di una vicenda con angoli oscuri, che riguardano, appunto, le coincidenze in cui certe cose sono avvenute.
  C'è stato il ritrovamento dopo nove giorni di un cadavere martoriato, quello di Regeni, nel momento in cui la Ministra Guidi, insieme a 60 imprenditori italiani, stava per entrare nell'ufficio del Presidente al-Sisi per discutere e sottoscrivere importantissimi accordi, anche di carattere economico, con l'Egitto. Guarda caso, com'è stato ricordato, nel giorno in cui l'Italia comunica che l'ambasciatore rientra nelle sue funzioni a Il Cairo, il New York Times pubblica un articolo che non dice assolutamente nulla, se non circostanziate dichiarazioni Pag. 19 di chissà quale funzionario, con le quali si vuole mettere in discussione addirittura che il Governo sapeva. Da quello che mi risulta, il giorno stesso, il Governo ha smentito in pieno queste dichiarazioni.
  Si tratta di una storia strana che vede coinvolti soggetti, come l'Università inglese di Cambridge, che rifiutano ogni forma di collaborazione con la nostra magistratura e non vogliono spiegare il perché – non l'intenzione ma il perché – di questa ricerca che, nel momento in cui si interveniva in un Paese difficile come l'Egitto, si presentava ad alto rischio e destava grave preoccupazione anche per chi la svolgeva.
  C'è una serie di problematiche e di situazioni che ci devono far pensare che l'Italia, attraverso l'omicidio di Regeni, sia diventata anche la vittima di un'operazione ben più complessa, che vuole far sì che il nostro ruolo strategico di partner dell'Egitto venga meno. Non si devono dimenticare, com'è stato detto anche dal signor Ministro, i nostri 6.000 connazionali che vivono in Egitto, le centinaia di imprese e le aziende italiane che lavorano in territorio egiziano ma non dobbiamo dimenticare neanche che la comunità egiziana è tra le più numerose presenti sul nostro territorio. Pare ci siano oltre 100.000 egiziani in Italia.
  Siamo il primo partner economico e commerciale con l'Egitto e, mentre noi stavamo discutendo del drammatico assassinio del giovane Regeni, c'era chi, come Hollande e come la Gran Bretagna, andava a sottoscrivere accordi economici con l'Egitto. Oggi abbiamo sentito che la Germania fa le stesse cose.
  A questo punto, mi chiedo quale sia la difficoltà a vedere che in questa situazione ci può essere la regia di qualcuno che vuole penalizzare il rapporto tra un Paese come l'Italia con un partner dal valore strategico come l'Egitto non solo nel campo economico, che ha la sua importanza, ma anche per quanto riguarda il fronte antiterroristico, la lotta al terrorismo e all'Isis e il ristabilimento di una pace duratura in Libia.
  Sono giochi che certamente vedono l'Egitto come primo artefice. Qualcuno si lamenta che oggi in Egitto ci sia un regime dittatoriale peggiore dei regimi sudamericani di famigerata memoria, però non ricordiamo che, prima di questo sistema, ce n'era un altro che certamente non brillava né per libertà né per rispetto della democrazia né per rispetto dei diritti umani. Mi riferisco a quello dei Fratelli Musulmani. L'Egitto ha ristabilito una centralità di sicurezza per tutta la fascia medio-orientale e anche per l'Italia, in quanto primo Paese dell'Europa che guarda quella realtà.
  Questi sono i giochi che oggi entrano in campo e di fronte a questi noi avremmo dovuto avere oggi un atteggiamento univoco. Non abbiamo condiviso la decisione del Governo quando ha ritirato l'ambasciatore e quando non ha fornito gli F-16 all'Egitto. Oggi dico che dovevamo e potevamo essere, nell'interesse del Paese e nel rispetto della memoria di Regeni, un Parlamento unito a difesa del proprio Paese, a difesa dell'Italia.
  Vorrei dire ancora una cosa, signor presidente, in modo particolare al Ministro, che ha ricordato l'importante ruolo della diplomazia parlamentare. Si tratta di un ruolo importantissimo e fondamentale. Ci sono organizzazioni che in questi mesi, mentre le relazioni tra Egitto e Italia a livello istituzionale e di governo erano fredde, hanno parlato con le istituzioni egiziane e in modo particolare con le istituzioni parlamentari. Il Presidente del Parlamento egiziano è stato in Italia e più volte lo abbiamo incontrato negli Stati Uniti o in Egitto. Ebbene, grazie a questi nostri interventi parlamentari, nel parlamento egiziano si sono alzate voci di parlamentari egiziani che hanno chiesto al proprio governo la verità sul caso Regeni. Questo è importante per noi e vuol dire che in questa battaglia non siamo soli: non c'è solo l'Italia, anche il parlamento egiziano vuole la verità su questa vicenda.
  Concludo con questo breve riferimento: bisognerà fare luce a 360 gradi, non dimenticando che i nostri concittadini uccisi in situazioni simili sono tutti uguali. Da anni presento al Governo interrogazioni sull'assassinio di un giovane di origine pugliese in Venezuela. Due anni fa, quel giovane Pag. 20 è stato assassinato dalla polizia e non abbiamo ancora saputo il motivo. C'è stata una serie di giustificazioni e ci sono state cose dette e non dette che fanno intendere che esistano forme di depistaggio di fronte ad atti gravissimi. Oggi, sappiamo qual è la situazione del Venezuela e capiamo bene quello che sta avvenendo, ma, due anni fa, questo ragazzo è stato ucciso e la sua famiglia ancora non sa perché, come e da chi.
  Caro Ministro, noi saremmo grati se il Governo italiano, di fronte a queste vittime della violenza da parte di chiunque, fosse sempre in prima linea a difendere l'onore del nostro Paese e la vita dei nostri concittadini.

  LUIGI COMPAGNA. Signor Ministro, mi pare che il nostro dibattito giustamente non abbia la ripetitività che mai devono avere, sul fronte internazionale, le questioni di maggioranza e opposizione. Noi siamo un gruppo o un gruppetto certamente collocato all'opposizione ma non pregiudizialmente e, meno che mai, pregiudizialmente nei rapporti internazionali. Tuttavia, ho la sensazione che sulla questione dei rapporti con l'Egitto vi sia, da parte di alcuni gruppi dell'opposizione, una pregiudiziale sospettosità nei confronti di un Esecutivo che avrebbe venduto alla regola della ragion di Stato i rapporti tra l'Italia e l'Egitto e l'abbia ulteriormente venduta quando, nella prima o seconda settimana di agosto, il Parlamento deliberò la missione internazionale in Libia.
  Non c'è dubbio che quella missione internazionale e che tutti i nostri soldati all'estero abbiano diritto al conforto, al consenso e alla copertura diplomatica dei nostri rapporti internazionali ma non illimitatamente. Da parlamentare all'opposizione del Governo Gentiloni e del Governo Renzi, non credo che il Governo Gentiloni o il Governo Renzi abbiano venduto la verità sul caso Regeni per buoni rapporti petroliferi o libici o di altro tipo con il Governo di al-Sisi.
  Da questo punto di vista, pur essendo all'opposizione, non mi convince la richiesta di una commissione di inchiesta, non perché sia troppo tardi, onorevole Speranza: amo troppo il Parlamento per avere la volgarità di ricorrere a questi argomenti. Però, la commissione di inchiesta è la richiesta di una opposizione che chiede un intervento del Parlamento con gli stessi poteri della magistratura procedente. Il caso che abbiamo avuto di fronte fin dal 2016 riguarda il ruolo della magistratura italiana che è stato negato, limitato, ostacolato e appannato, pertanto, se adesso la sensazione non è la stessa di prima, non c'è dubbio che sia il momento opportuno per ripristinare normali rapporti diplomatici con l'Egitto.
  Per quanto concerne la verità sul caso Regeni, per me la libertà viene sempre prima della verità, onorevole Speranza, e non mi accontento di una verità sulla morte di Regeni che riconosca all'Egitto la sovranità di esercitare il diritto di tortura. Ciò sarebbe una beffa per il nostro Paese e anche per la memoria del giovane Regeni. Da questo punto di vista, credo che abbia fatto bene il Governo italiano, tramite l'invio dell'ambasciatore, a ripristinare i rapporti con l'Egitto che si erano sfilacciati fino a diventare inesistenti. Mi ha fatto piacere che molti interventi, da quello di Gasparri a quelli di Zanda e di Cicchitto, abbiano richiamato in campo questo punto.
  Signor Ministro, c'è una lacuna nella presenza internazionale fin dal primo giorno del drammatico caso Regeni. Si tratta di una lacuna di carattere accademico e britannico. Il giovane Regeni è stato mandato a studiare il ruolo degli ambulanti nel nascente sindacalismo egiziano – grande ricerca sociologica – ed è stato mandato lì da alcuni docenti, nell'ambito della loro autonomia e libertà scientifica, come ha detto bene il senatore Zanda. Mi chiedo perché dagli organi scientifici dell'Università non sia venuta una sillaba per chiarire quale significato avesse questa ricerca nella sociologia dei rapporti di lavoro, nei rapporti internazionali e via dicendo. Non è la prima volta che il prestigioso mondo delle università britanniche si fa mantello di rapporti internazionali diplomaticamente scabrosi, per non dire spionistici.
  Da questo punto di vista, signor Ministro, mi ha fatto piacere sentire nelle Sue Pag. 21parole che non ci saranno più titubanze da parte dell'Italia. Tuttavia, qualche titubanza c'è stata in passato. Non si è trattato soltanto di una questione di collaborazione con le autorità giudiziarie egiziane: Cambridge ha negato drasticamente la propria collaborazione. La collaborazione con la nostra autorità giudiziaria è stata ritenuta pleonastica, da ostacolare, da limitare e da controllare. Ben altro caso – lo dico a onore dell'Italia – è avvenuto dieci giorni fa a Rimini, con la magistratura polacca che è stata accolta e facilitata nelle sue ricostruzioni dei fatti. Quella inglese non è una questione secondaria, soprattutto se vogliamo aprire più luci di verità, anche a beneficio della memoria di Giulio.
  Penso che, a beneficio della memoria di Giulio Regeni, ben vengano le iniziative del CONI in vista dei Giochi del Mediterraneo e ben vengano le intitolazioni ma stiamo attenti: nel momento in cui intitoliamo a Giulio Regeni un'università italo-egiziana ci ritroviamo di fronte l'enorme caso britannico. Da questo punto di vista, come parlamentare di opposizione, mi ritengo rinfrancato dallo svolgimento del nostro dibattito di oggi.

  GIANLUCA PINI. Mi permetta, innanzitutto, di dire che io non sono in linea con il pensiero dei miei colleghi del Movimento 5 Stelle sulla questione dei tempi. Riteniamo sempre che, laddove vi siano questioni molto delicate, come appunto è quella del caso Regeni – non solo del caso Regeni ma anche di tutto quello che ci gira attorno –, l'enfasi mediatica che qualcuno ne vorrebbe ricavare potrebbe in qualche modo ledere effettivamente il contesto generale e le nozioni generali che dovrebbero, invece, risultare da una informativa al Parlamento.
  Ben venga, a nostro avviso, il fatto che i due presidenti abbiano preso il tempo necessario per far sì che il Parlamento avesse una informativa più puntuale possibile. Purtroppo, devo dire che questo non è avvenuto e che è stato molto più interessante il dibattito che si è svolto dopo la relazione del Ministro – non me ne voglia il Ministro – rispetto alla sua relazione, che mi è sembrata molto piatta e senza nessun tipo di novità rispetto a quello che già conoscevamo e che già era stato messo sul piatto.
  Detto ciò, considerando la nota distanza siderale che passa fra la nostra posizione e la posizione del Governo su tantissimi temi, soprattutto sui disastri che in politica internazionale il Governo sta compiendo, devo dire che la scelta tardiva di inviare nuovamente l'ambasciatore a Il Cairo – nello specifico, si tratta di un ambasciatore molto capace – è una scelta che noi condividiamo. Addirittura, penso che la Lega Nord e Autonomie sia stato uno dei pochi o l'unico gruppo parlamentare che all'epoca era molto scettico sul ritiro. Come sappiamo bene, all'interno di quei Paesi dove le relazioni sono molto difficili da mantenere in maniera stabile, il fatto di interromperle così drasticamente forse ha fatto più danno alla ricerca della verità rispetto a quello che poteva essere, invece, il beneficio che se ne sarebbe avuto lasciando l'ambasciatore o magari sostituendolo con uno molto più capace e molto più forte. L'interrompersi dei rapporti diplomatici, a nostro avviso, ha semplicemente rallentato, se non addirittura danneggiato, la ricerca della verità.
  Dicevo che noi condividiamo pochissime cose che ha fatto questo Governo, però condividiamo questa scelta. Ciò non significa che questa scelta debba in qualche modo sacrificare la ricerca della verità sull'altare degli interessi geopolitici che aleggiano all'interno di quest'aula in cui sono riunite oggi le Commissioni affari esteri di Camera e Senato, ma nemmeno il contrario, ossia la ricerca di una verità comoda o parziale.
  Dico questo perché, ascoltando la Sua relazione, Ministro, mi viene il fortissimo dubbio che voi abbiate paura di arrivare alla verità, e Le spiego il perché: c'è stato un passaggio nel Suo intervento, Ministro, che è stato abbastanza illuminante per me, ma spero di averlo capito male e Le chiedo eventualmente di chiarirlo. Lei ha detto...

  PRESIDENTE. Sta facendo un processo alle intenzioni?

  GIANLUCA PINI. Non sto facendo un processo alle intenzioni, presidente Cicchitto, Pag. 22 sto facendo un'analisi della relazione del Ministro, che non ho apprezzato, mentre ho molto apprezzato il Suo intervento, presidente, sulla parte relativa a Hollande, perché Lei ha avuto il coraggio di dire qualcosa che fino adesso non era stato messo sul tavolo.
  Tuttavia, dal momento che il Ministro degli affari esteri in audizione ci dice che alcuni Paesi europei stanno investendo in maniera forte all'interno dello scenario egiziano e che probabilmente i loro interessi non coincidono con i nostri, mi lasci dire che io interpreto questa affermazione così: qualcuno sta comprando un silenzio? Magari questo è un dubbio che ci deve togliere perché, se noi abbiamo l'interesse di mantenere i rapporti, come ha detto all'inizio, ma anche di arrivare alla verità e qualche interesse non coincide con i nostri, vuol dire che o qualcuno vuole rompere i rapporti con l'Egitto o qualcuno vuole nascondere la verità perché non c'è una terza posizione possibile.
  Siamo contenti della scelta di rinviare un nostro ambasciatore a Il Cairo perché, al di là del caso Regeni, si potrebbero agevolare rapporti che sono diventati molto tesi per scelte troppo frettolose rappresentate dagli accordi conclusi con chi governa una parte della Libia e si potrebbero agevolare alcune relazioni con la parte della Libia gestita da Haftar. Soprattutto, siamo contenti perché crediamo con forza che questa scelta servirà a rompere il silenzio non solo di Cambridge ma anche di chi finanzia queste borse di studio. Onestamente, credere che questo povero ragazzo sia stato inviato in Egitto per studiare il ruolo degli ambulanti nel crescente o nel nascente sistema di sindacalismo egiziano è una cosa che magari qualche addetto ai lavori può anche raccontarsi, ma, fuori di qui, non ci credono né la gente comune né gli addetti ai lavori.
  A nostro avviso – vado controcorrente rispetto a tanti interventi di altri colleghi – è assolutamente sgradevole sentire che, con la solita retorica dei gessetti colorati, adesso qualcuno voglia mettere un pannicello caldo, intitolando a Regeni qualche istituto. Addirittura, si vogliono intitolare i Giochi del Mediterraneo a Regeni. Siamo impazziti? Ma a chi è venuta questa folle idea? Prima di qualsiasi intitolazione, serve la verità, perché poi non vorremmo trovarci a dover togliere qualche lapide. Sia chiara una cosa: noi, contrariamente a qualche maître à penser della sinistra o a qualche attore o regista caduto in disgrazia, che in queste ore sta facendo le passerelle a Venezia, non consideriamo Regeni un eroe ma la vittima di un gioco probabilmente molto più grande di quello che poteva reggere la sua esperienza. Lo consideriamo una vittima e non un eroe, che è un'altra cosa. Questo sia chiaro assolutamente a tutti.
  Non si può prescindere dal fatto che serve assolutamente la verità, che deve essere ricercata a 360 gradi e non deve essere una verità di comodo. Capiamo benissimo gli equilibri fra verità e interessi geopolitici ma si possono perseguire entrambi, se si ha la schiena dritta e se si ha una credibilità sul piano internazionale.
  Lei, presidente Cicchitto, ha fatto bene a dire che non possiamo andare in giro per il Mediterraneo facendoci prendere a schiaffoni a destra e sinistra. Questo è verissimo ma, per farlo, dobbiamo avere il coraggio di dire la verità. Per dire la verità, a mio avviso, non servono le commissioni di inchiesta a meno di tre o quattro mesi dalla chiusura della legislatura, perché sappiamo benissimo qual è il tempo necessario: basta che un gruppo parlamentare che deve nominare un membro della commissione non proceda alla nomina entro quaranta giorni perché quella commissione non parta. Presidente, se vogliamo arrivare alla verità, facciamo una bella cosa: chiamiamo in audizione segretata presso queste Commissioni l'Autorità delegata ai servizi. Visto che non si tratta più del Ministro Minniti ma del Presidente del Consiglio dei ministri Gentiloni, facciamo venire qui Gentiloni perché forse qualche verità verrà fuori.

  PIA ELDA LOCATELLI. Prima di entrare nel merito della nostra discussione sul nuovo invio dell'ambasciatore, volevo esprimere due concetti. Il primo è che l'Egitto è un Paese che presenta moltissime criticità per la nostra cultura politica: poca democrazia (se non una dittatura sistematica); Pag. 23 violazione dei diritti umani; soffocamento delle ong. Per soffocare le ong hanno anche impedito i finanziamenti internazionali, visto che i finanziamenti nazionali per le ong non c'erano. Anche recentemente abbiamo presentato un'interrogazione al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale per sapere se alcuni esponenti delle ong e difensori dei diritti umani in Italia fossero stati seguiti dai servizi e stiamo aspettando la sua risposta, signor Ministro, quindi conosciamo il quadro dell'Egitto.
  In secondo luogo, un Paese ha il dovere morale e politico di tutelare i suoi cittadini, quindi quello di Regeni è un caso tragico e il comportamento dell'Egitto è inaccettabile da tutti i punti di vista e, soprattutto, è molto offensivo nei confronti del nostro Paese. Giustamente, ad aprile, abbiamo ritirato l'ambasciatore, a fronte di questi comportamenti e a fronte della mancata collaborazione giudiziaria. Infatti, questo è stato il motivo che ci ha fatto ritirare l'ambasciatore. Poi sono passati alcuni mesi di nulla. Allora, io stessa mi sono interrogata a fine anno per chiedermi se stavamo seguendo la strada giusta per arrivare alla verità, anche perché il nulla è nulla, in tutti i sensi.
  Come ricorderà il Ministro Alfano, all'inizio di gennaio di quest'anno, durante un question time, ho invitato il Governo e il Ministro stesso a riflettere se non fosse opportuno rivedere la nostra strategia, anche eventualmente rinviando l'ambasciatore. Lo chiedevo perché il nulla è nulla e ponevo il quesito come un invito a riflettere da parte del Governo. Naturalmente non mi aspettavo una risposta, perché non c'è una risposta che si possa improvvisare, ma volevo seminare il dubbio sull'opportunità e soprattutto sull'utilità della nostra azione.
  Sono passati alcuni mesi di immobilismo ma sembra che, piano piano, con grande lentezza ed eccessiva prudenza, si stia ricreando questa collaborazione. La prova di questa collaborazione, ancora tutta da verificare, è la dichiarazione congiunta delle due procure, che hanno il compito di ricostruire i fatti, individuare le responsabilità e punire i colpevoli, ossia quello che vogliamo. Data questa tenue e delicata, o forse timida, novità, credo che abbiamo fatto bene a decidere di inviare di nuovo l'ambasciatore in Egitto. Ho anche il dubbio che abbiamo aspettato troppo a lungo e lo dico per una semplice ragione: il nulla è nulla e noi non abbiamo fatto nulla per troppo tempo.
  Ritengo che il nuovo invio dell'ambasciatore sia, ora, un passo inevitabile. Oltre all'assenza dell'ambasciatore, che si è rivelata efficace, ci sono altri modi per segnalare a Il Cairo il giudizio severo dell'Italia e degli italiani su quanto avvenuto e sul fatto che non sia ancora arrivati alle informazioni che ci permetteranno di conoscere la verità. Si tratta di un passo ora inevitabile, che mi pare anche un passo sensato. L'assenza del nostro ambasciatore non si è rivelata l'arma più efficace. Che cosa sarebbe, forse, servito? Ho detto «forse» perché, anche in questo caso, sarebbe tutto ancora da provare.
  Sarebbe servito che tutti i governi dell'Unione europea avessero assunto questa iniziativa, ma, come sappiamo, anche in casi precedenti non ce l'abbiamo fatta. Non abbiamo avuto il sostegno dell'Unione europea, per esempio, nel caso dei marò. Forse quella sarebbe stata una via, anche se, come sapevamo, era una via impraticabile.
  Ritengo l'invio dell'ambasciatore in Egitto non solo inevitabile e sensato ma anche utile, perché la presenza costante, continua e sistematica dell'ambasciatore può servire a stimolare gli organismi competenti e a impedire che la vicenda finisca, piano piano, nel dimenticatoio, per abitudine, per tradizione, per mancanza di qualsiasi passo. Mi pare che questa sia una decisione giusta, anche se difficile, complicata e delicata, e mi pare non avessimo un'alternativa.
  Passerei all'articolo del New York Times. Davvero non capisco l'importanza data a quest'articolo, che ho letto. L'articolo è stato pubblicato e, poi, è stato pubblicato di nuovo. L'ho letto in inglese per avere la certezza di una lettura senza filtri. Trovo che quest'articolo sia stato straordinariamente tempestivo e perfetto per disturbarci. Se entriamo nel merito, lo stesso Pag. 24giornalista Walsh, che è il corrispondente del New York Times a Il Cairo, in alcune parti svilisce il contenuto del suo articolo perché dice: «Gli americani non condivisero l'informazione originale e non dissero quale agenzia credevano ci fosse dietro la morte di Regeni».
  È stata, invece, davvero straordinaria la tempestività rispetto a un obiettivo che qualcuno ha poi illustrato. Ne hanno parlato diversi ex ambasciatori, come Romano o Vattani, che hanno trovato ragioni per l'articolo diverse dall'obiettivo della verità.
  Quest'articolo mi ha suscitato una domanda che vorrei porre al Ministro Alfano. Una delle ragioni per cui forse non stiamo arrivando alla verità è la divisione del fronte egiziano. Mi chiedo e Le chiedo, signor Ministro, se ritiene che il regime di al-Sisi sia solido abbastanza per sostenere la ricerca della verità, in modo particolare nelle relazioni del Presidente al-Sisi con il Ministro degli interni. Questo punto viene toccato in quell'articolo e viene messo in evidenza. Mi chiedo se non ci sia una paralisi nell'arrivare alla verità per questa relazione non facile, quindi Le pongo questa domanda.
  Per quanto riguarda i diritti umani, avrei voglia di rispondere al collega Di Battista. Ricordo una tensione risalente all'inizio del nostro lavoro nella Commissione affari esteri, quando, parlando del Myanmar, la posizione del Movimento 5 Stelle era di non interferenza perché, per difendere i diritti umani in Myanmar, non bisognava interferire nelle vicende interne del Paese. Intanto, è talmente lapalissiano che i diritti umani non hanno confine che è inutile ripeterlo, però sono rimasta scandalizzata allora e rimango ancora scandalizzata perché si cambiano le posizioni. Se i diritti umani ci stanno a cuore, ciò vale per l'Egitto, per il Venezuela, per la Cina, per la Russia e vale sempre.
  Non pensiamo si tratti di una cosa facile né che sia automatico difendere i diritti umani portando via gli ambasciatori, anche perché ci troveremmo quasi tutte le ambasciate chiuse nel mondo. Non si tratta di una cosa semplice ma occorre una ricerca continua e costante. Continuiamo a svolgere audizioni presso il Comitato permanente sui diritti umani della Camera ma si tratta davvero di una costruzione lentissima, faticosa e, a volte, contraddittoria: dobbiamo decidere se i diritti umani ci interessano sempre o soltanto in alcuni casi e per logiche diverse.
  Non vorrei che facessimo del caso Regeni un terreno di scontro pre-elettorale. Si tratta di una preoccupazione che ho. Come tutti abbiamo detto e ripetuto: ci sta a cuore la ricerca della verità su Regeni. Certo, possiamo discutere nel merito, però non facciamone oggetto di scontro elettorale.
  Vorrei fare una seconda raccomandazione. Noi vogliamo mandare il nostro Ambasciatore Cantini, su cui ricade un lavoro difficilissimo: lui, che è il più alto livello della rappresentanza italiana in Egitto dovrà esercitare una pressione costante, diretta e sistematica sulla più alta rappresentanza istituzionale egiziana, sapendo di essere sotto controllo e sotto misura. Gli misureranno ogni singolo passo, quindi il suo è un compito difficilissimo. Ora, se questa è la situazione, non mandiamolo in Egitto indebolito: perché la sua azione sia efficace, l'Ambasciatore Cantini deve andare in Egitto con fiducia e sentendosi il Paese al proprio fianco. Infatti, se incominciamo a litigare su questo punto e ne facciamo oggetto di scontro elettorale, rendiamo l'Ambasciatore molto più debole nella sua azione di ricerca della verità, che è la cosa che ci sta più a cuore.
  Vorrei aggiungere un'ultima cosa, che è già stata detta a proposito di politica. Nel caso dell'Egitto dobbiamo anche imparare a operare per compartimenti stagni. La ricerca sistematica e «rabbiosa» della verità e la strategia geopolitica del Mediterraneo devono andare di pari passo e l'una non deve indebolire l'altra. Da un lato, le logiche geopolitiche non devono indebolire la nostra ricerca della verità per Regeni. Mi pare che la diplomazia parlamentare possa essere un altro modo per esercitare una pressione. Magari potremmo incontrarci con la Commissione affari esteri del Parlamento egiziano. Dall'altro lato, si deve andare avanti con la politica estera perché Pag. 25l'Egitto è un tassello imprescindibile per la strategia della sicurezza nel Mediterraneo.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Aggiungo qualche considerazione a quanto già detto dai colleghi di maggioranza e facendo mie, in particolare, molte delle parole del senatore Zanda.
  Credo che oggi stiamo discutendo di una contrapposizione, che non è giusta, tra interesse nazionale e ricerca della verità, tra difesa dell'interesse nazionale e difesa dei diritti umani. Credo, invece, che la vicenda Regeni debba, tra le tante cose che lascia nella nostra politica estera, aiutarci a tenere queste cose insieme.
  Noi non siamo la Francia, come diceva bene prima il presidente. Per noi arrivare a scoprire la verità su Giulio Regeni è parte dell'interesse nazionale. Ne abbiamo fatto un pezzo di politica estera e di relazioni con l'Egitto e non dobbiamo in nessun modo interpretare il ritorno del nostro ambasciatore come una rinuncia a chiedere la verità: il ritorno del nostro ambasciatore è uno strumento per arrivare alla verità. Lo vediamo chiaramente nella decisione presa dal nostro Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale: il nostro ambasciatore non torna da solo ma torna insieme a un magistrato incaricato della cooperazione giudiziaria, che seguirà quotidianamente la vicenda Regeni.
  Vogliamo che il ritorno del nostro ambasciatore serva a ristabilire la verità, anche perché oggi la collaborazione tra le procure, che ha avuto dei momenti di difficoltà, sottolineati dal ritiro temporaneo del nostro ambasciatore, sta delineando delle responsabilità e ci sono dei nomi di persone responsabili. I depistaggi, a cui tanti di noi facevano riferimento, hanno semplicemente sottolineato quello che gran parte dell'opinione pubblica italiana sa e conosce: c'è stata una collaborazione attiva di parte delle forze di sicurezza egiziane nella morte di Giulio Regeni. Oggi, si delineano delle responsabilità e c'è bisogno di arrivare non solo alla verità sui nomi e su quello che è successo ma anche a una verità processuale, a dei colpevoli e a un processo. Tutto ciò è possibile solo con la collaborazione egiziana, che riusciamo a ottenere grazie anche al lavoro della nostra diplomazia.
  A differenza di quello che diceva il collega Di Battista, prontissimo a fare il suo intervento, uscire dalla Commissione e rilasciare agenzie in cui accusa questo e quell'altro, noi vogliamo arrivare alla verità. Forse, il collega Di Battista, dato anche il suo incontro nel 2014 con il Presidente al-Sisi, ha dei contatti egiziani che noi non abbiamo. Noi non abbiamo tali contatti e vogliamo, invece, una verità processuale. Vogliamo che ci siano dei colpevoli e non siamo pronti a rilasciare dichiarazioni così rapidamente. Vogliamo che la magistratura italiana arrivi a condannare i colpevoli, insieme alla magistratura egiziana.
  Sul piano politico e delle relazioni Italia-Egitto, la vicenda di Giulio ci deve aiutare a considerare l'Egitto in modo diverso. Giulio – lo dice anche sua madre – è morto come decine, centinaia, migliaia di giovani egiziani. Non possiamo dimenticare questo aspetto nel ristabilire le relazioni con quel Paese. L'Egitto che ci ha fatto vedere Giulio è un Paese brutale governato da un regime in cui i diritti umani non sono rispettati, il che lo rende più fragile.
  L'Egitto di al-Sisi non è l'Egitto di Mubarak, ma l'Egitto di Mubarak, a causa della sua repressione, è finito sotto la rivolta di piazza Tahrir. Non lo possiamo dimenticare e non possiamo più fare l'equazione secondo cui lasciamo da parte i diritti umani per mantenere una stabilità interna. L'Egitto di oggi è un Paese fragile, in cui il mantenimento della stabilità interna avviene a un prezzo troppo alto. Non lo dobbiamo dimenticare nelle nostre future relazioni con quel Paese.
  Infine, la vicenda della ricerca della verità per Giulio ci dice un'altra cosa: l'Egitto è ostaggio della propria ossessione per la sicurezza, che lo ha reso incapace di tutelare i rapporti di alleanza con un Paese importante come l'Italia. Noi discuteremo di dossier importanti con l'Egitto, sulla Libia, sul controllo delle migrazioni e sulle politiche africane, ma dobbiamo tenere conto che il punto centrale Pag. 26 della politica egiziana è mantenere questa ossessione per la sicurezza, che offusca anche la propria capacità di portare avanti relazioni internazionali serie e affidabili. Dovremmo tenere conto di questo aspetto in tutti i dossier politici e diplomatici che riapriremo; infatti, i dossier di diplomazia economica restano, invece, fermi, visto che c'è stato lo stop sine die del Business Council italo-egiziano, com'è giusto che sia.

  VALENTINO VALENTINI. Intervenendo alla fine del dibattito, debbo fare un intervento che è sostanzialmente diverso da quello che si potrebbe fare all'inizio. Questo dibattito è stato interessante e aperto e da esso, bene o male, sono venute fuori, con accenti diversi, tutte le caratteristiche di questa vicenda così grave.
  L'onorevole Quartapelle, che mi ha preceduto, ha messo in evidenza ciò che a me premeva mettere in evidenza e che è apparso chiaramente: la contrapposizione ideologica che a volte emerge nell'affrontare problemi come quello che ci troviamo di fronte mette la ricerca della verità contro la ricerca degli interessi nazionali. In questo caso, più che in ogni altro caso, la ricerca e la tutela degli interessi nazionali, economici e geostrategici – Libia, energia, presenza italiana in Egitto e tutto il resto – va di pari passo con la ricerca della verità. Le due cose non sono in contrapposizione, anzi si rafforzano l'un l'altra, per i motivi che ci ha detto l'onorevole Quartapelle. Questo ci porta a dire che siamo d'accordo con il ritorno dell'ambasciatore. Le relazioni diplomatiche non sono mai state interrotte, erano giunte ai minimi termini ma ci sono sempre state.
  Nel corso del dibattito abbiamo sentito analisi molto giuste ma tutte velate dalla classica ipocrisia. Nella diplomazia la collaborazione non esiste perché siamo tutti in competizione gli uni con gli altri e cerchiamo di sottrarre un po’ all'altro, sebbene nello stesso contesto; quindi le collaborazioni e i rapporti non sono fatti da altro che da giochi vettoriali di forza mutevoli tra loro.
  Tornando indietro, avremmo probabilmente ridotto il tempo nel quale il nostro ambasciatore non era presente a Il Cairo. Questi sono tutti elementi emersi nel corso del dibattito e messi in evidenza dagli altri colleghi. Allo stesso modo, tornando al pensiero principale, riteniamo che la ricerca della verità e la tutela dell'interesse nazionale siano due facce della stessa medaglia perché non abbiamo credibilità laddove si cessi di cercare la verità. Pertanto, quando si dice che il ritorno dell'ambasciatore è una sconfitta politica, commettiamo il più grande errore, facendo il gioco di quei signori che ci hanno mandato una polpetta fredda. Infatti, signori miei, il fatto che nel New York Times del 14 agosto si faccia uscire quel pezzo mi spinge a sposare in pieno l'analisi che, con coraggio e con molta veemenza, ha presentato il nostro presidente Cicchitto. Ora, se le due cose vanno insieme, dobbiamo continuare su un binario parallelo: l'aspetto diplomatico e politico e l'aspetto fattuale.
  Abbiamo di fronte un fatto giuridico gravissimo per un crimine orribile, su cui voglio aggiungere una nota personale. Probabilmente molti in quest'aula avranno avvertito la stessa cosa: sul piano della sensibilità umana e personale, affrontare ogni volta questo caso così doloroso riapre una ferita che non si è mai chiusa, anche per la vicinanza che abbiamo nei confronti della famiglia. Mi riferisco a tutti coloro che, come me, hanno vissuto e vivono ancora con orrore quello che è successo. Quanto accaduto non deve essere cancellato dal fatto che ora stiamo cercandone le cause o dal fatto che cerchiamo di avere un approccio di tipo geostrategico e politico.
  Concludo su altro tema: la commissione di inchiesta. Certo, noi dobbiamo continuare a dimostrare che stiamo cercando la verità e, allo stesso tempo, dobbiamo continuare a tutelare i nostri interessi economici, politici e geostrategici nella zona. Ora, la commissione di inchiesta è lo strumento migliore o diviene esso stesso uno strumento nelle mani di coloro che cercano di limitare la nostra capacità? Purtroppo, siamo sempre sotto elezioni, di qua e di là, e cadiamo nell'utilizzazione politica di argomenti che non debbono essere utilizzati Pag. 27in questo modo. Questo è un punto interrogativo che pongo.
  Per concludere, vorrei aggiungere che ricerca della verità e tutela degli interessi non sono in contrapposizione ma debbono essere tutelate e perseguite insieme. Avrei molte altre note da aggiungere ma mi limito a dire che condivido il fatto che forse non è il momento di fare targhe o intitolazioni perché si può dare l'impressione del «caro estinto». Riteniamo che la vicenda sia viva, sia presente e sia grave e che non si estinguerà mai. Ritengo che nessuna targa deve essere apposta fintanto che non sarà stata fatta abbastanza chiarezza, affinché sia assolto il nostro dovere nei confronti della famiglia e degli italiani, che si devono sentire protetti dal Paese non per l'apposizione di targhe commemorative, che lasceremo più avanti.

  PEPPE DE CRISTOFARO. Il fatto di parlare per ultimo mi ha consentito di sbirciare le prime agenzie e i primi commenti della stampa italiana e di quella internazionale rispetto a quest'audizione che stiamo svolgendo in maniera congiunta. Mi dispiace per voi ma la chiave di lettura è la stessa da parte di tutti. Quest'atto che avete scelto di compiere è stato interpretato dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica come quello che evidentemente era, cioè come la necessità di ricostruire un rapporto diplomatico e di non interrompere gli affari e le questioni di Stato.
  Su una vicenda drammatica come questa mi sarebbe piaciuto vedere un'unità delle forze democratiche di questo Paese. Invece, purtroppo, questa storia dimostra come ci sia una distanza siderale tra quello che è successo nel Paese in questi mesi, con una richiesta di verità che ha attraversato centinaia di migliaia, milioni di persone con striscioni apparsi nelle università, nei comuni, negli enti locali di tutto il Paese, e le decisioni concrete che avete scelto di prendere. La scelta di far ritornare il nostro ambasciatore a Il Cairo è in totale contraddizione con quegli striscioni ed è l'opposto di quella richiesta di verità. Per l'appunto, tale scelta viene interpretata in queste ore esattamente come quello che ha scritto la famiglia di Giulio Regeni: la resa del nostro Paese.
  Allora, avreste fatto meglio a evitare una certa retorica e a ribadire quello che, in parte, il presidente Cicchitto nel suo intervento ha detto. Non so se verrà redatto un resoconto stenografico che ci consentirà di leggere attentamente le sue parole, ma posso affermare che il presidente ha detto chiaramente quello che abbiamo capito tutti, differentemente da quello che, pure solennemente, era stato detto nell'Aula del Senato dal Presidente Gentiloni alcuni mesi fa. Mi ricordo che Gentiloni disse solennemente davanti al Senato della Repubblica: «La richiesta per la verità di Giulio Regeni non si piegherà mai dinanzi a un'ipotesi di interesse e di ragion di Stato». Purtroppo, le scelte che voi avete fatto nel corso di queste ore sono in totale contraddizione con quelle solenni dichiarazioni.
  Per tale motivo, vi annuncio che, già nella prossima riunione dei capigruppo al Senato, noi chiederemo ancora una volta che Gentiloni torni in Aula perché le Commissioni riunite oggi, evidentemente, non hanno dimostrato la giusta serietà e la giusta capacità di approfondimento rispetto a quanto si doveva discutere in questa sede. A questo punto pensiamo che sia un dovere per il Presidente del Consiglio dei ministri tornare nelle aule parlamentari. Noi gli chiederemo il motivo di questa decisione. All'epoca, a quella dichiarazione, dai banchi dell'opposizione, ho applaudito perché mi sembrava che, su un tema come questo, non ci fosse logica di maggioranza o opposizione che tenesse ma ci fosse la necessità di fare un altro tipo di ragionamento, come nelle pagine migliori della storia della politica estera di questo Paese.
  A me pare che i comportamenti determinati da questa scelta, interpretata come scellerata dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica in queste settimane e in questi giorni ma anche in questi minuti, parlino esattamente di una cosa diversa da quella che avremmo dovuto fare. Dovete dirci la verità almeno su quest'aspetto. Quali sono le ragioni? Pag. 28
  Nella discussione che abbiamo fatto oggi, poco ci mancava perché qualcuno dei miei colleghi dicesse che, tutto sommato, Giulio Regeni era una spia, magari pagata da chissà chi o da qualche servizio segreto, al soldo di chissà quale interesse di parte. Anche da questo punto di vista, bisognerebbe misurare le parole all'interno...

  PIERFERDINANDO CASINI, Presidente della 3a Commissione del Senato. Quelle parole sono solo Sue, senatore...

  PEPPE DE CRISTOFARO. Naturalmente, io penso l'opposto e penso che sia stato gravissimo che in questa discussione si sia alluso...

  PIERFERDINANDO CASINI, Presidente della 3a Commissione del Senato. Le ha dette solo Lei, senatore, queste parole...

  PEPPE DE CRISTOFARO. No, presidente Casini. Mi scusi, ma la sua sembra una excusatio non petita, accusatio manifesta. Non parlavo di Lei.
  Mi fate intervenire per ultimo, nonostante sia il vicepresidente della Commissione affari esteri del Senato, quindi, per favore, vi chiederei per lo meno l'ascolto, che penso sia dovuto anche a chi non la pensa come voi rispetto a questa vicenda. Credo che questo tentativo sia un po’ penoso: sembra che le responsabilità siano più di Cambridge e di qualche servizio segreto europeo e meno, invece, nelle scelte e nei comportamenti del governo egiziano di questi mesi, con il quale voi non avete voluto rompere.
  Questo meccanismo di discussione un po’ penoso parla – insisto – di una distanza siderale tra quello che si sta dicendo in queste Commissioni e quello che, invece, avrebbe bisogno di ascoltare il Paese. Credo che il Paese abbia bisogno di risposte precise su questo punto. C'è bisogno di pagare un prezzo al generale Haftar perché ci serve il suo sostegno rispetto alla questione libica? Lo si dica con chiarezza. C'è qualcosa che ha a che fare con l'ENI? Queste sono domande rispetto alle quali non è possibile il silenzio tombale di queste Commissioni.
  Penso che questa sia una pagina molto triste nella storia del Parlamento nazionale. Come gruppo, non intendiamo farla finire qui e non vogliamo che venga messa una pietra sopra a questa questione. Chiediamo adesso e subito la convocazione delle Aule parlamentari e del Presidente del Consiglio dei ministri e speriamo che, almeno in quella sede, il velo di ipocrisia che ho ascoltato oggi possa essere squarciato.

  PRESIDENTE. C'è stato di tutto in quest'audizione tranne che ipocrisia o silenzio tombale. Ci siamo confrontati a viso aperto e ognuno ha detto come la pensava.
  Cedo la parola al Ministro Alfano per la replica.

  ANGELINO ALFANO, Ministro degli affari esteri e alla cooperazione internazionale. La mia replica sarà molto breve. Ho ascoltato con grande attenzione tutti gli interventi e devo dire che alcuni mi hanno molto colpito per capacità di conciliare esattamente ciò che bisogna coniugare in questa circostanza, ossia la ricerca, senza un attimo di sosta, della verità con un ruolo dell'Italia nel rapporto con l'Egitto.
  Sono stati introdotti degli argomenti tipici di chi non ha voluto ascoltare ma questo rientra nel gioco parlamentare, quindi ritengo che la circostanza di discutere di una cosa così delicata in presenza di un caso così drammatico, come quello di Giulio Regeni, non giustifichi una contro polemica da parte del Governo. Credo che l'approccio del Governo debba essere l'approccio di chi ha ascoltato con grande attenzione questo dibattito e, dovendo interloquire ancora con l'Ambasciatore Cantini, prima che egli si rechi a Il Cairo, il Governo debba fare tesoro di questo dibattito per trasferire all'Ambasciatore anche tutto ciò che è venuto fuori qui in termini molto chiari. Già con la lettera di incarico, l'Ambasciatore Cantini ha avuto un mandato chiaro, ulteriormente rafforzato da una circostanza istituzionale, prima ancora che politica. Pag. 29
  Nell'ascoltare i gruppi parlamentari rispetto a una decisione tipica di governo, abbiamo avuto la contezza di una condivisione ben più ampia della maggioranza che sostiene il Governo. Per me, questo è il punto di sostanza politica di questo dibattito. La decisione del Governo è andata oltre la maggioranza che lo sostiene e questo elemento mi conforta perché, se è stato politicamente impossibile, in questa circostanza, raggiungere l'unanimità, il fatto di avere raccolto un consenso così ampio rispetto a questa decisione rappresenta qualcosa di molto importante, anche laddove la decisione è condivisa ma non la relazione, perché bado alla sostanza delle cose.
  Relativamente alle tre questioni che più mi sembrano emergere dal dibattito, ossia la data della decisione, l'articolo del New York Times, tante volte citato, e il ruolo dell'Università di Cambridge, dico tre cose molto chiare.
  Sul New York Times, Palazzo Chigi ha prontamente chiarito come, nei contatti tra l'Amministrazione degli Stati Uniti e il Governo italiano avvenuti nei mesi successivi all'omicidio di Regeni, non furono mai trasmessi elementi di fatto, come ricorda, tra l'altro, lo stesso giornalista del New York Times, né tanto meno prove esplosive. Lo ha dichiarato Palazzo Chigi e questa è la posizione del Governo perché si tratta di una posizione di verità.
  Per quanto riguarda la decisione di stabilire che il 14 agosto fosse il giorno giusto, la tempistica è semplicemente dovuta al fatto che il comunicato delle procure, in cui, peraltro, viene precisato che gli ultimi sviluppi – lo ripeto nuovamente – segnano «un ulteriore passo in avanti nella collaborazione», è del 14 agosto. Il nostro è stato un atto politicamente conseguente – lo voglio ribadire – a quel comunicato.
  Poi, vorrei anche dire una cosa con la franchezza che si deve a questo luogo: al tempo dei social media, al tempo del grande dibattito sul declino della carta stampata, al tempo delle news che scorrono 24 ore su 24 sui nostri televisori, al tempo della comunicazione globale e al tempo della informazione e della politica estera, sviluppate anche su Twitter, pensare che il Governo della Repubblica abbia deciso la data del 14 agosto perché il 15 non escono i giornali è un elemento di provincialismo enorme ed è come affermare quotidianamente uno stile di vita e negarlo in funzione di una singola decisione. Lo stile di vita politico-istituzionale è legato a nuove modalità di comunicazione, quindi il fatto che quel giorno non escano i giornali o il fatto che gli italiani abbiano quotidianamente, anche il 15 o il 14 agosto, il pieno uso della loro rete internet nega esattamente quell'argomento.
  Il terzo punto riguarda l'Università di Cambridge. Altro che ipocrisia! Mi pare che in questa sede si sia sviluppato un dibattito, sia sull'argomento del New York Times sia sull'argomento di Cambridge, degno di un grande Parlamento e di una grande Repubblica e degno della solidità di un Paese che non ha timori reverenziali nei confronti di nessuno e che, con sguardo dritto e puntato al desiderio di verità, non ha alcuna preoccupazione a evocare problemi, dubbi e riflessioni che possano orientare verso la verità.
  Questo è quanto è avvenuto ed è quello che io ribadirò nelle prossime ore all'Ambasciatore Cantini, avendo già detto nella mia relazione che, tra i suoi compiti, c'è quello di collaborare con l'Ambasciatore del Regno Unito, nella certezza che, oltre ad essere un nostro connazionale, Giulio è stato un ricercatore del Regno Unito e, dunque, in quella veste ha affrontato le sue ultime ore e le sue ultime giornate di vita in Egitto.
  Concludo con quello che mi sembra un doveroso appello. Su questa vicenda dell'Egitto impegneremo tutta la forza politica e istituzionale del nostro Paese. Lo faremo attraverso l'azione del Governo, anche nella dimensione bilaterale con l'Egitto e nella dimensione multilaterale, in ogni circostanza in cui la dimensione multilaterale ci permetterà di esprimere la nostra rabbia, la nostra indignazione, il senso profondo della nostra coscienza ferita e il nostro bisogno e desiderio di verità. Pag. 30
  Auspico che, superata la fase dell'assunzione dell'incarico dell'Ambasciatore Cantini, tutto il Parlamento, che rappresenta il Paese, possa recuperare quella dimensione unitaria perché questa ricerca della verità, attraverso le procure della Repubblica e attraverso la nostra azione diplomatica, possa avere la grande spinta di un grande Paese, di una grande democrazia e di un grande popolo come quello italiano.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.20.