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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III e XIV)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 27 gennaio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bordo Michele , Presidente ... 3 

Comunicazioni del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega agli affari europei, Sandro Gozi, sugli esiti del Consiglio europeo del 18 dicembre 2014:
Bordo Michele , Presidente ... 3 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega agli affari europei ... 3 
Bordo Michele , Presidente ... 7 
Berlinghieri Marina (PD)  ... 8 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 8 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega agli affari europei ... 9 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 9 
Tancredi Paolo (AP)  ... 9 
Iacono Maria (PD)  ... 10 
Pesco Daniele (M5S)  ... 10 
Pannarale Annalisa (SEL)  ... 11 
Amendola Vincenzo (PD)  ... 11 
Villarosa Alessio Mattia (M5S)  ... 13 
Bordo Michele , Presidente ... 13 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega agli affari europei ... 13 
Bordo Michele , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIV COMMISSIONE MICHELE BORDO

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso La trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega agli affari europei, Sandro Gozi, sugli esiti del Consiglio europeo del 18 dicembre 2014.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Sandro Gozi per l'audizione di oggi sugli esiti del Consiglio europeo del 18 dicembre 2014.
  L'audizione di oggi è importante soprattutto per due ragioni. In primo luogo, il Consiglio europeo di dicembre è l'ultimo che si è svolto nel corso del Semestre di Presidenza italiana e le conclusioni approvate in quella circostanza costituiscono, ovviamente, uno strumento utile per valutare in quale misura abbiano trovato effettiva attuazione le priorità che abbiamo perseguito durante il Semestre, a partire dalle azioni nelle quali abbiamo creduto moltissimo e per le quali abbiamo insistito molto per rilanciare la crescita e l'occupazione.
  In secondo luogo, l'audizione di oggi può anche offrire l'occasione per illustrare la relazione predisposta dalla Presidenza italiana, approvata dal Consiglio, in merito al miglioramento dell'assetto istituzionale del funzionamento dell'Unione europea, soprattutto con riferimento ai Parlamenti nazionali.
  Voglio anche ricordare che di questi due temi ai quali ho fatto riferimento abbiamo discusso in occasione dell'ultima riunione plenaria della COSAC (Conferenza degli organi specializzati in affari comunitari), svoltasi a Roma dal 30 novembre al 2 dicembre.
  Do ora la parola al Sottosegretario Gozi per lo svolgimento della sua relazione.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega agli affari europei. Vi ringrazio per l'invito. Seguendo le sue indicazioni, presidente, parlerò delle conclusioni del Consiglio europeo di dicembre e, in maniera più ampia, dei principali risultati del Semestre di Presidenza italiana del Consiglio europeo.
  Tale Consiglio si è focalizzato soprattutto, come è noto, sul piano Juncker, ma ha anche preparato il terreno per la comunicazione della Commissione europea sulla flessibilità. Direi, quindi, che i temi politici affrontati in occasione del Consiglio europeo – o subito dopo – e a conclusione del Semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea sono stati, da una parte, una discussione, a quel livello Pag. 4ancora politica, su quali dovessero essere le caratteristiche fondamentali del piano di investimenti Juncker e, dall'altra, la discussione relativa a un'applicazione più flessibile delle regole e delle politiche per favorire la crescita degli investimenti.
  Il Consiglio europeo ha rappresentato anche il momento di conclusione del Semestre; voglio segnalare subito, come tema collegato a quello dell'economia, la conferma di un impegno che avevamo già ottenuto dal Consiglio dell'Eurogruppo di ottobre e che figurava come terza grande priorità in materia economica: assieme a un piano degli investimenti e al tema della flessibilità, c’è quello di riavviare i lavori e i negoziati sulla nuova governance dell'euro. Nel 2012, esisteva già il primo cosiddetto Rapporto dei Quattro Presidenti, elaborato dall'allora Presidente della Commissione europea, della Banca centrale europea, del Consiglio europeo e del Parlamento europeo.
  Abbiamo insistito molto, ma con esito positivo, perché questo lavoro fosse ripreso e sviluppato da Juncker, il quale si è impegnato, confermandolo in quella sede, a presentare, assieme ai presidenti Draghi, Tusk e Schulz, un nuovo rapporto sulla governance al Consiglio europeo di giugno. Questo è un tema molto importante. È evidente che siamo riusciti a impegnare la Commissione europea operativamente, a livello legislativo, a una nuova proposta in materia di investimenti, ossia a elaborare un piano per gli investimenti, e a un'applicazione più flessibile delle regole, ma abbiamo anche avviato un dibattito più ampio sul governo dell'euro.
  Adesso i quattro presidenti lavoreranno in questa direzione, ma come Governo avvieremo una riflessione approfondita, di cui ho già parlato con lo stesso Ministro Padoan, per avanzare nostre proposte. È chiaro, infatti, che di qui a giugno potrebbero essere compiuti passi avanti importanti attorno al tema del piano degli investimenti e a quello dell'applicazione flessibile delle regole, anche da un punto di vista più ampio del modo in cui governare l'euro. Parlo, in particolare, dei temi legati all'unione dei bilanci, all'unione economica e all'unione politica, visto che del primo rapporto dei quattro Presidenti è stata realizzata in gran parte solamente l'unione bancaria. Questi sono i risultati principali, o adottati in occasione del Consiglio europeo o politicamente stimolati dal Consiglio europeo e anche durante il semestre di Presidenza italiana.
  Se, presidente, considera che a giugno abbiamo trascorso un'intera notte a negoziare circa l'inserimento del termine «flessibilità» nelle conclusioni di quel Consiglio europeo, potrete capire come in sei mesi abbiamo avviato un nuovo ciclo. È evidente che lo abbiamo avviato e che per noi non è tutto, ma è solo l'inizio di quella che vogliamo sia una nuova politica economica. Sinora, il Presidente Juncker ha rispettato gli impegni che aveva assunto, in particolare, con la Presidenza italiana, rispetto ai primi atti con cui far partire il lavoro della nuova Commissione europea.
  Chiaramente, si tratta di un percorso impegnativo, all'interno del quale gli Stati membri sono chiamati a fare la loro parte con le riforme strutturali interne. Del resto, è chiaro che proprio in quel piano di investimenti discusso al Consiglio europeo – cui ha fatto seguito, il giorno in cui si è concluso formalmente il Semestre di Presidenza italiana, la presentazione della proposta legislativa relativa al Fondo europeo per gli investimenti – si è convenuto sulla necessità di insistere e proseguire con le riforme interne.
  La stessa comunicazione della Commissione europea insiste, con riferimento alla flessibilità, sulla necessità di proseguire il lavoro non solo di adozione, ma anche di attuazione delle riforme strutturali, tenendo conto, però, degli effetti benefici che le riforme, che nel brevissimo periodo possono essere anche costose, portano in termini di finanze pubbliche nel medio e lungo periodo. Questo è un importantissimo passo avanti, assieme a quello, legato a un approccio che definirei più di buonsenso, convesso alla riduzione del deficit strutturale, cioè alla definizione di parametri più adeguati, aderenti alla realtà politica italiana, che risultano dalla diminuzione delle richieste di aggiustamento Pag. 5strutturale fatte in Italia, che, come sapete, sono passate, grazie alla comunicazione sulla flessibilità, dallo 0,5 allo 0,25 per cento.
  Questo, però, è un contesto più ampio, all'interno del quale, per collegarmi all'attualità, ma per poi tornare subito alla posizione del Consiglio europeo, si colloca la famosa decisione della Banca centrale europea relativa al quantitative easing. Dubito che sarebbe stato possibile avere un consenso così ampio a questa manovra, al di là di quello che abbiamo letto sulla stampa, se essa non fosse stata preceduta da alcuni tasselli molto importanti, legati, da una parte, alla comunicazione sulla flessibilità e, dall'altra, all'impegno di vari Stati membri, soprattutto di Stati chiave come l'Italia e la Francia, nel proseguire con le riforme strutturali. Avremo certamente modo, presidente, di approfondire il dibattito sugli aspetti più rilevanti affrontati in sede di Consiglio europeo.
  Un altro aspetto molto rilevante, sul quale il presidente mi invitava a informarvi, è stato il lavoro che abbiamo svolto sul funzionamento dell'Unione europea. Sapete che, dopo un vero e proprio giro delle capitali, la Presidenza italiana, all'inizio del Semestre, ha preso atto che la stragrande maggioranza di Governi, una maggioranza iper-qualificata, voleva unicamente discutere sul modo in cui migliorare il funzionamento delle istituzioni, rimanendo, come si suol dire, a Trattati costanti.
  Non potevamo altro, allora, come Presidenza in carica, che prendere atto delle indicazioni, provenienti da 26 Stati su 28, di lavorare a Trattati costanti in questo Semestre e, quindi, abbiamo focalizzato l'attenzione su come, alla luce dei nuovi obiettivi strategici fissati in giugno per i cinque anni di legislatura europea, si possa far funzionare meglio l'Unione europea e le istituzioni europee, mettendole a servizio di quegli obiettivi.
  Sono stati trattati aspetti molto rilevanti anche per i Parlamenti nazionali, ormai politica e impegno della Commissione Juncker. Abbiamo insistito molto e con successo su una nuova programmazione legislativa interistituzionale, perché l'altro aspetto rilevante in merito alla Commissione Juncker, di cui credo il Vicepresidente Timmermans vi abbia riferito anche in occasione dell'ultima COSAC che si è tenuta a Roma, presso il Senato, consiste nell'essere passati, di fatto, dalle programmazioni legislative di tre istituzioni a un'unica programmazione legislativa interistituzionale. Sembra anche questo un accordo di perfetto buonsenso. Già la programmazione legislativa 2015 è stata fatta previo un dibattito, un negoziato, un'informazione tra Commissione europea e Consiglio, Commissione europea e Parlamento europeo.
  Il primo esercizio di questa nuova programmazione interistituzionale si è tenuto sotto la nostra Presidenza in tempi necessariamente stretti, se pensate che la Commissione Juncker si è insediata il 1o novembre. In quel Semestre si è svolta un'attività legislativa relativamente ridotta per ovvie ragioni, poiché si dovevamo formare le nuove istituzioni europee. Ovviamente, la transizione istituzionale ha ridotto l'ordinaria attività legislativa. Se pensate, però, che la Commissione Juncker è entrata in funzione il 1o novembre, siamo riusciti, già durante il Semestre di Presidenza italiana, ad avviare questo nuovo esercizio di programmazione interistituzionale, che dovrà svilupparsi in maniera più diluita nel tempo e, a parere della Presidenza – adesso, della delegazione italiana –, dovrà coinvolgere nella misura più ampia possibile, soprattutto nella fase preliminare, anche i Parlamenti nazionali.
  Crediamo che sia molto utile che la Commissione europea avvii un dialogo anche con i Parlamenti nazionali nella programmazione legislativa interistituzionale, ma il prossimo anno avremo tempi più lunghi. La nuova programmazione potrà avviarsi a marzo-aprile e concludersi a settembre-ottobre. Dovremo riuscire a fare in cinque o sei mesi quello che questa volta abbiamo fatto, su spinta nostra e del vicepresidente Timmermans, in un mese e mezzo.
  Quest'aspetto della programmazione interistituzionale porta, come primo risultato, Pag. 6ad un miglioramento nella cooperazione tra istituzioni: riteniamo che debba portare anche a un vero e proprio nuovo accordo interistituzionale. L'accordo che regge il funzionamento tra le istituzioni, l'esercizio della funzione legislativa e il modo in cui si coopera tra le tre istituzioni risale al 2003: si tratta dell'accordo cosiddetto «Legiferare meglio», Better law-making. Non solo perché il Trattato di Lisbona è intervenuto successivamente, ma per meglio metterlo al servizio delle nuove priorità politiche dell'Unione europea, crediamo che sia necessario rivederlo e auspichiamo che già durante la Presidenza lettone, che rientra nel nostro trio (Italia, Lettonia e Lussemburgo), si possano avviare contatti per una sua revisione.
  Eravamo pronti a una dichiarazione politica che sancisse quest'impegno relativo al Better law-making tra le tre istituzioni, Commissione europea, Consiglio dei ministri e Parlamento europeo, ma quest'ultimo ha ritenuto di aspettare maggiori dettagli dalla Presidenza lettone prima di impegnarsi formalmente su quest'aspetto. Credo che sarebbe utile che, per quanto possano, i Parlamenti nazionali spingano nell'andare in una direzione di pieno impegno del Parlamento europeo su tutti gli aspetti di programmazione interistituzionale.
  Ha avuto un esito concreto e giudichiamo positiva anche la nostra azione di ripensamento dell'analisi del funzionamento interno del Consiglio dei ministri. Come ho detto ai miei colleghi, ritengo che anche le formazioni del Consiglio dei ministri siano in parte obsolete e dovrebbero essere riviste: sono state definite a Siviglia nel 2002, quasi un'era geologica fa, e meriterebbero, a mio modo di vedere, una revisione anche formale. In merito a tale aspetto, però, non si è registrata una maggioranza di consensi. Tuttavia, abbiamo lavorato per rafforzare il Consiglio competitività, che a nostro modo di vedere non necessitava solo di un rafforzamento e che in questi anni ha lavorato in maniera frammentata e direi gravemente poco incisiva: se pensate che vi si discute di mercato interno, politica industriale, aiuti di Stato, tutela dei marchi, contraffazione, brevetti, è evidente che tutti gli aspetti legati all'economia reale e alla produzione sono di sua competenza. Abbiamo lavorato per migliorarne il funzionamento e creato un gruppo di alto livello, che deve svolgere un lavoro di coordinamento e di preparazione dell'attività del Consiglio competitività. Crediamo che questo sia un altro risultato operativo, concreto e utile per migliorare il funzionamento delle istituzioni.
  In maniera più ampia, abbiamo ottenuto un consenso generale sulla necessità di utilizzare maggiormente le clausole di cooperazione rafforzata presenti nei Trattati, cioè la possibilità per gruppi di Paesi di avanzare e approfondire la loro integrazione anche nel caso in cui ci siano altri Stati membri che decidono di non proseguire su quella linea. Riteniamo che le cooperazioni rafforzate siano state utilizzate troppo poco e che, invece, siano un elemento molto utile.
  Come Presidenza, abbiamo anche ritenuto che, per approfondire la governance dell'unione economica e monetaria, una delle cooperazioni rafforzate formali e generalizzate potrebbe essere uno strumento molto utile, ma esiste un accordo dei Governi a effettuare un uso migliore degli strumenti di cooperazione rafforzata.
  Allo stesso modo, c’è anche un accordo a sfruttare meglio quelle clausole che permettono, anche in un settore come la politica estera e di sicurezza comune, di decidere, una volta espressi dal Consiglio europeo i propri orientamenti, la maggioranza qualificata e azioni concrete. Un uso ordinario di queste clausole può permettere di avanzare più rapidamente e di superare in alcuni casi le reticenze di qualche delegazione.
  Da questo punto di vista, quindi, abbiamo registrato la consapevolezza, che tra l'altro cresceva con il susseguirsi degli eventi internazionali, della necessità di sfruttare meglio e di più anche quella parte del Trattato dell'Unione europea legata alla politica estera e di sicurezza comune, a un processo decisionale più Pag. 7agile, snello, anche in un settore così difficile e delicato come la politica estera.
  È, invece, generalizzato lo scetticismo sulle possibilità di utilizzare le «clausole passerella», che permettono, su una materia, di passare dalla decisione all'unanimità alla decisione a maggioranza qualificata. È evidente che il fatto che anche solo una Camera di un Parlamento nazionale possa bloccare questo passaggio rende tali clausole del tutto inutilizzate. In un futuro in cui si riaprirà la discussione sulla revisione dei Trattati, la nostra ferma convinzione è che queste dovrebbero essere eliminate: si dovrebbe prevedere direttamente nei Trattati che le decisioni possono essere prese a maggioranza qualificata.
  Il ruolo dei Parlamenti nazionali è stato dibattuto in maniera molto approfondita, così come il tema relativo al controllo dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità. Per quanto riguarda il ruolo dei Parlamenti nazionali, si è registrata l'unanimità sulla mancanza di necessità di modificare i Trattati o modificare i protocolli per la partecipazione dei Parlamenti nazionali ai processi decisionali e di controllo europei. Tutte le delegazioni hanno giudicato il Trattato di Lisbona sufficiente, ma ritengono che occorra un'utilizzazione meno burocratica, più politica e anche più attenta ai calendari e ai metodi di lavoro dei vari Parlamenti nazionali da parte della Commissione europea, che deve motivare meglio le ragioni per cui segue o meno gli orientamenti dei Parlamenti nazionali, soprattutto nei casi in cui sono attivate le procedure cosiddette di «cartellino giallo» o «cartellino arancione». Vi è stato consenso sul fatto che la Commissione europea, in questi anni, abbia fornito risposte standard e non abbia veramente avviato un dialogo politico con i Parlamenti nazionali su punti chiave sollevati nella procedura di controllo ex ante e nella procedura di controllo durante il processo decisionale europeo. Allo stesso modo, tutti i Governi ritengono che i commissari europei dovrebbero essere più presenti nei Parlamenti nazionali, non solo quello per gli affari economici e monetari e l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Tutti i commissari devono cercare di essere più presenti e avviare un dialogo costante con i Parlamenti nazionali.
  Passo ora ad aspetti specifici, che però interessano questa Commissione. Non possiamo far accettare un'applicazione burocratica del termine di otto settimane, entro cui il Parlamento deve esprimere il proprio parere, se in quel momento il Parlamento è impegnato per l'esame della legge di stabilità o, come capita in altri Parlamenti, se in quei due mesi il Parlamento non si riunisce, poiché non tutti sono in sessione permanente come quello italiano. È evidente che la Commissione deve adattarsi e allungare i tempi, quando si verificano tali sovrapposizioni.
  Queste sono le discussioni principali in merito al funzionamento del Trattato di Lisbona, a cui si aggiunge quella sul controllo di sussidiarietà e di proporzionalità. Con un certo piacere ho registrato che tantissime delegazioni giudicano assolutamente artificiale e artificiosa la distinzione tra controlli di sussidiarietà e di proporzionalità e ritengono che sia evidente che un organo eminentemente politico come un Parlamento non può limitarsi a un controllo di tipo giuridico sulla serietà, ma debba includere la proporzionalità e compiere una valutazione più ampia e politica sul contenuto delle proposte, soprattutto legislative, presentate dalla Commissione.
  Questi, presidente, sono i risultati principali raggiunti in seno al Consiglio europeo. Se occorreranno approfondimenti rispetto ad altri aspetti istituzionali, sarò ben contento di rispondere, ma credo che sarebbe forse opportuno, adesso, dare la possibilità ai colleghi di porre alcune domande. Credo di aver risposto alle sue due prime domande, ma sono disponibile ad affrontare anche altri aspetti del Semestre di Presidenza e anche dei risultati ottenuti e di quelli che non lo sono stati.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Gozi,Pag. 8
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARINA BERLINGHIERI. Ringrazio il Sottosegretario per quest'audizione.
  Anche noi, come gruppo del PD, siamo contenti dei traguardi raggiunti grazie al lavoro della Presidenza italiana di questo Semestre. Dal Sottosegretario abbiamo sentito richiamare, anche se va precisato che la storia non finisce qui, un primo passo rispetto a ciò che consideriamo importante, non solo per il nostro Paese, ma per l'Europa tutta, ossia iniziare a mettere in campo politiche di crescita improntate non soltanto all'offerta, ma anche alla domanda aggregata, come fa il piano di investimenti di Juncker.
  Un altro aspetto che forse è passato un po’ sottotraccia nella stampa italiana, ma che mi preme ricordare come risultato importante di questo Semestre di Presidenza, è tutto il lavoro sulla tutela dello Stato di diritto e dei diritti umani nell'Unione europea. Ci siamo detti tante volte che diamo spesso per scontati i valori fondanti della costruzione di questa casa comune. Credo rappresenti un tassello importante lavorare a far sì che la tutela dello Stato di diritto e dei diritti umani sia sempre più salvaguardata e tenuta in considerazione, non solo quando ci rapportiamo agli Stati non europei, ma anche in Europa. Questo lavoro riceve il nostro apprezzamento, anche perché sappiamo che, soprattutto su quest'ultimo passaggio, l'impegno anche personale del Sottosegretario è stato significativo.
  La ringrazio anche per la seconda parte della relazione, sul funzionamento dell'Unione europea e sul ruolo dei Parlamenti nazionali. Credo che sia importante un punto di raccordo sempre più forte tra il lavoro del Governo su questi temi e il coinvolgimento del Parlamento e delle Commissioni parlamentari. Soltanto in questo modo si può arrivare a un importante coinvolgimento, a monte, anche del Parlamento e delle Commissioni parlamentari nelle decisioni, che non solo devono essere ratificate, ma anche costruite e assunte.
  Nel solco di questa riflessione sulla richiesta di promuovere un maggiore coinvolgimento, che già è in atto, e di continuare a lavorare in stretto rapporto tra Governo e Parlamento, leggevo ieri alcune agenzie di stampa, che davano conto dell'avvio di un gruppo di riflessione strategica sulle politiche e gli affari europei, che mi pare d'aver capito si sia riunito per la prima volta ieri. Credo che anche questo sia un tassello fondamentale di quel cambio di passo e di quella capacità di essere in Europa da protagonisti, di cui l'Italia in questo momento ha bisogno. Un gruppo di riflessione di questo tipo aiuta a creare strategie di lungo periodo e a capire anche cosa vogliamo che sia questo Paese, in un percorso di costruzione più ampio, oggi necessario.
  Mi piacerebbe capire, a questo proposito, se siano previsti raccordi tra il lavoro del gruppo, quello delle Commissioni e quello del Parlamento. Credo che anche questo sia un elemento da tenere in considerazione, proprio per far sì che tutte le istituzioni siano chiamate a lavorare nella stessa direzione. Anche in relazione ai dibattiti che potranno esserci e ai punti di vista diversi, mi auguro che le decisioni siano frutto di un lavoro condiviso.

  MARIA EDERA SPADONI. Anch'io ringrazio il Sottosegretario Gozi per la sua relazione. Mi concentrerò soprattutto su due punti.
  Anzitutto, Lei ha parlato di quantitative easing. Abbiamo già visto cosa l'Europa sta cercando di fare. Il piccolo problema è rappresentato dal fatto che, di quest'iniezione di denaro, soltanto per il 20 per cento degli acquisti ci sarà una condivisione di rischio tra i vari Paesi, mentre il restante 80 per cento sarà a carico delle banche centrali dei singoli Stati. Questo vuol dire che, anche se viene «iniettato» denaro, l'80 per cento di rischio sarà a carico delle solite banche Pag. 9nazionali centrali, cioè nostro. Qualcuno deve spiegarmi quando l'Europa è solidale e quando, invece, le banche nazionali, cioè molto probabilmente i cittadini, devono ritrovarsi a pagare.
  Quand’è che paga l'Europa, quando c’è una condivisione di rischi ? O, come al solito, abbiamo in Italia la politica per cui determinati Paesi valgono di più, quindi decidono ? Questi Paesi decidono. Questa è stata chiaramente una via di mezzo per fare contenta la Germania, né più né meno. Inoltre, Lei ha detto che non c’è un'ipotesi di revisione del Trattato di Dublino: mettetevi d'accordo... Lei ha detto genericamente che non è ipotizzabile una revisione dei Trattati.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega agli affari europei. Non ho detto che non lo ritengo ipotizzabile, ma che 26 delegazioni su 28 non volevano che si affrontasse il tema della revisione dei Trattati durante il nostro Semestre. Non c'era l'accordo. C'era una grandissima maggioranza contraria ad avviare sin da adesso la revisione dei Trattati, ma potrò risponderle su questo cosa pensiamo noi.

  MARIA EDERA SPADONI. Visto che, appunto, questi 26 Stati su 28 hanno deciso di non avviare la discussione su tale revisione proprio durante la Presidenza italiana, in che modo riusciranno in una revisione dei Trattati quando non ci sarà la Presidenza italiana ? Questo dimostra, dal mio punto di vista, un fallimento della Presidenza italiana in Europa, visto che non siete riusciti neanche in una revisione.
  A dicembre dell'anno scorso è stata approvata in Parlamento una mozione sui Trattati di Dublino, nella quale era ipotizzata una revisione degli stessi: vi chiedo di mettervi d'accordo. O il Parlamento, semplicemente, approvando una mozione, è una «bandierina» e decidiamo di sbattere i pugni sul tavolo, o decidiamo effettivamente di dire che questa revisione non c’è. Deve darmi atto, però, che Dublino III è stato un fallimento a livello di politica italiana. Non è possibile che ci sia uno Stato che deve sentirsi responsabilizzato per la questione dei migranti. Allora, quand’è che siamo Europa ? Soltanto quando c’è da pagare o anche quando dobbiamo assumerci le responsabilità del problema migratorio ? Cosa fa l'Europa ?
  Tralasciamo anche la questione della missione Mare Nostrum e di quelle in atto, che hanno portato veramente a pochi risultati. Chiaramente, resta il dramma dei migranti che si ritrovano a morire per un traffico che, aggiungo, è stato anche dovuto a politiche estere assolutamente suicide. Se nel 2011 l'Inghilterra, assieme alla Francia, è andata a bombardare la Libia, questo sicuramente ha causato un problema. Adesso per l'Inghilterra non siamo responsabili per niente, ma nel 2011 erano in atto bombardamenti: ci ritroviamo, quindi, Paesi confinanti con questo problema, con una guerra civile in atto ? Che ognuno si prenda le proprie responsabilità, altrimenti sarebbe preferibile uscire dall'UE senza problemi.

  PAOLO TANCREDI. Anch'io ringrazio il Sottosegretario Gozi: penso che il Governo italiano abbia svolto un buon lavoro in questo semestre di Presidenza.
  Naturalmente, ci si può aspettare sempre di più, ma credo che siano stati raggiunti risultati innovativi, che hanno dato un segno di discontinuità: lo giudico positivo. Sicuramente, sulla politica fiscale c’è molto ancora da fare, quantomeno per proporzionare l'atto della Banca centrale, che invece trovo forte: è importante anche come segnale politico. Peraltro, come è noto, si è votato e non ritengo un fatto negativo lo schieramento di maggioranza e minoranza che si è registrato. Allo stesso modo, anche se non mi dilungherò su questo, giudico positiva la responsabilizzazione delle banche centrali per l'80 per cento dei prestiti.
  In realtà, i veri problemi sono messi in risalto da molti analisti e commentatori, che si sono chiesti se, com’è successo per il piano della Federal ReservePag. 10negli Stati Uniti, questa immissione di liquidità implichi maggiore sicurezza sui debiti sovrani e sarà trasferita nell'economia reale. Naturalmente, su questo problema incide la questione della flessibilità sui bilanci e sul deficit. Su questo credo sia stato compiuto un passo importante con le comunicazioni di dicembre. Penso che si debba fare di più e che si debba ragionare meglio soprattutto sul Patto di stabilità, sugli investimenti, sulla nettizzazione e così via.
  Credo anche, però, che un altro tassello importante sia la questione relativa alle banche. Lei ha appena accennato che l'unione bancaria è quasi completata: penso che su quel dossier ci sia molto ancora da dire e da fare. Ci appassioniamo spesso, come anche i commentatori e coloro che animano il dibattito pubblico, nel dire che le banche sono «cattive» perché non immettono denaro nell'economia. Se, però, si fa l'amministratore di una banca, ci si accorge che il metodo del credito del 99 per cento dei soggetti con cui si ha a che fare non è accettato dalla Banca d'Italia. Se si fa credito a quell'economia, la Banca d'Italia arriva, impone sanzioni, sequestri cautelativi e azioni di responsabilità. Piuttosto che accanirci ancora sui banchieri «cattivi», che ci saranno sicuramente, credo che bisognerebbe svolgere un'analisi matura del sistema.
  A questo riguardo, ero molto fiducioso sul percorso intrapreso dalla Commissione sull'unione bancaria: vorrei sapere qualcosa di più nel dettaglio, se possibile, sui risultati raggiunti e su ciò che si farà. Ritengo che sia un punto decisivo, anche per dare successo alle misure messe in campo, a mio avviso importanti.

  MARIA IACONO. Anch'io sono molto soddisfatta per la presenza del Sottosegretario Gozi.
  Apprezzo, in particolare, che le conclusioni del Consiglio europeo colgano, con riferimento proprio al ruolo dei Parlamenti nazionali, molte delle osservazioni formulate da queste Commissioni nei documenti finali approvati sia nel 2013 sia nel 2014 sulle Relazioni annuali della Commissione europea in materia di sussidiarietà e proporzionalità. In particolare, giudico importante l'accento posto sull'esigenza di migliorare le motivazioni delle proposte legislative della Commissione europea.
  Credo sia, invece, molto difficile applicare in modo flessibile e differenziato il termine delle otto settimane a seconda del calendario di ciascuna Assemblea. Potrebbe indicarci oggi, in modo più preciso, come si potrebbe procedere senza creare disparità di trattamento tra i diversi Parlamenti ?

  DANIELE PESCO. Non ho capito se ci ha parlato del piano Juncker o se intenda dirci qualcosa in merito in seguito. Eventualmente, vorrei rivolgerle alcune domande in proposito,.
  Io appartengo alla Commissione finanze e il piano ci appare assai particolare, soprattutto perché vi è un utilizzo della leva finanziaria straordinariamente alto e probabilmente rischioso. Si tratta di 16 miliardi del bilancio UE, sottratti alla ricerca, più 5 miliardi di euro dalla BEI. Forse anche questa sarà moneta non raccolta, costruita dal nulla. Si passa a 21 miliardi di euro, per poi passare all'emissione di obbligazioni per arrivare, appunto, a 60 miliardi, per passare a un'altra forma di finanza, quali i project bond, e arrivare a 315 miliardi di euro. Tutto questo serve a costruire grandi infrastrutture a rete, che dovrebbero servire a unire i Paesi dell'Europa. Se ci pensiamo bene, però, forse il lavoro di unione è stato fatto più dalle compagnie di volo a basso costo che non dalle grandi infrastrutture che stiamo realizzando.
  A parte questo, il nostro territorio è già stato martoriato da diverse grandi opere forse inutili, da un dilagare della criminalità, spesso insito proprio nelle grandi opere, e da una cementificazione sproporzionata per il nostro Paese, che invece ha bisogno di un altro tipo di intervento, quale la salvaguardia dell'assetto idrogeologico e dei territori: è veramente Pag. 11così importante portare avanti un piano del genere ? Non vale la pena riflettere per capire come gli Stati membri possano aiutarsi per riuscire a salvaguardare i propri territori ?
  Vorrei anche spendere qualche parola sul quantitative easing. Tutti hanno accettato quest'iniziativa come misura non risolutrice ma, in qualche modo, capace di aiutare le sorti dei nostri Paesi. Non vi è venuto il dubbio che questa grande immissione di liquidità verso le nostre banche serva solo a fare in modo che noi italiani compriamo i nostri titoli di Stato in modo da alleggerire chi ha i nostri titoli in Francia ?

  ANNALISA PANNARALE. Interverrò molto brevemente, perché il mio gruppo, SEL, ha già avuto modo, più volte, di svolgere osservazioni sulla Presidenza italiana di questo Semestre.
  Anch'io sono molto contenta di averla qui, Sottosegretario. Francamente, non è una provocazione. Mi piace parlare di Europa, mi piace che anche questa Commissione possa avere ogni tanto un profilo più politico e provare a confrontarsi su un tema che va un po’ oltre le stesse tecnicalità che lei ha affrontato in gran parte della sua relazione odierna.
  Mi sarebbe piaciuto che quantomeno ci avesse detto che avreste potuto fare molto di più. Non soltanto, invece, non ha detto questo, ma ha usato un tono davvero trionfalistico, mentre sa molto bene che il bilancio di questa Presidenza è assolutamente fallimentare.
  Il motore delle nostre scelte politiche, così come di quelle dell'Europa, continuano a essere i vincoli di bilancio e l'austerità. Non abbiamo fatto nulla perché quella potesse essere per noi una grande opportunità politica. Continuiamo ad avere disparità di trattamento con gli altri Paesi e lei sa bene che sia la Francia sia la Spagna nel 2014 possono violare tranquillamente i vincoli. Noi continuiamo a raccontare di un piano Juncker esclusivamente affidato a investimenti privati che negli ultimi sette anni hanno avuto un crollo e non si affida, parallelamente, neanche a risorse aggiuntive.
  Parliamo di politica estera senza avere quantomeno l'umiltà di dire che in questi sei mesi non abbiamo lasciato un segno rispetto a un cambio di passo nella politica estera in Europa. Avremmo potuto quantomeno aprire una grande discussione internazionale sul riconoscimento dello Stato di Palestina, mentre non riusciamo a discutere una mozione che lo prevede.
  Avremmo potuto, rispetto alle politiche migratorie, provare ad arginare un passo indietro come quello compiuto rispetto a Triton, passaggio che è stato chiaramente un arretramento, visto che parliamo di un programma imperniato quasi esclusivamente su respingimenti e ben diverso nella sua natura da «Mare Nostrum». Non andrò avanti rispetto ai punti di questo bilancio. Li abbiamo pubblicizzati fin troppo.
  Nelle ultime ore, ho sentito esprimere, da parte del Governo, grande gioia per la recentissima vittoria in Grecia: chissà che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi questo non possa portare il Governo, finalmente, a proposte politiche che provino a profilare un cambio rispetto a quanto abbiamo fatto finora.
  Mi auguro che nella sua replica superi il profilo tecnico. È evidente che, se dentro un quadro che vede modificare il modo di stare insieme, di relazionarsi, non modifichiamo le scelte e la nostra visione, non saremo assolutamente in grado di fare passi avanti. Mi auguro davvero, quindi, che nella replica riesca a dirci qualcosa di più solido sul nostro futuro impegno reale nei prossimi sei mesi, nonostante la Presidenza sia passata ad altro Paese.

  VINCENZO AMENDOLA. Ringrazio il Sottosegretario Gozi per l'audizione.
  Mi permetta di farLe una domanda e di intervenire nel dibattito che si è aperto e sulla questione tecnica sollevata dal collega Pesco, che secondo me tocca un punto decisivo anche per i prossimi passaggi. Il Sottosegretario afferma che ci Pag. 12siamo trovati in un semestre strano: è evidente, il semestre è iniziato con le elezioni dell'Europarlamento. Ricordo alla collega Pannarale che le elezioni parlamentari sono state vinte dalla destra. Se la destra con Juncker ha nominato per la prima volta un commissario, è perché la destra in Europa, ad eccezione dell'Italia con il Partito Democratico, ha vinto in tutti i Paesi. Siamo tutti lettori delle vicende greche, ma non mi sembra che L'Altra Europa con Tsipras, alle elezioni europee, abbia ottenuto la maggioranza. Il Parlamento si è insediato tra fine giugno e inizio luglio, poi si è lavorato per la Commissione europea, che ha preso pieno avvio dei lavori a novembre, quindi è stato un semestre anomalo in questo senso, perché è durato di meno.
  Ora, nessuno leva toni trionfalistici. Non siamo pazzi e conosciamo la gravità della crisi europea, che significa disoccupazione e calo degli investimenti pubblici. Abbiamo tutti letto i dati di una battaglia contro chi, negli ultimi quattro anni, dopo la crisi del 2008, ha scelto di instradare l'Europa su una linea di austerità e di chiusura, nel senso della stabilità dei conti, contro una linea economica espansiva, che invece aveva prevalso in altre parti del mondo.
  Questa battaglia ha significato che nelle elezioni parlamentari europee i conservatori hanno vinto su una linea politica, come si evince dai volantini elettorali del Partito Popolare Europeo, di continuazione dell'esaltazione del biennio 2008-2011 e dell'idea di un'Europa che dovesse garantire più stabilità che crescita.
  Non dico che in sei mesi abbiamo rivoluzionato il mondo, ma abbiamo aperto linee di discussione che erano inesistenti. Si è chiuso il semestre con un discorso del Presidente Renzi e nello stesso giorno Juncker ha presentato la comunicazione sulla flessibilità, che significa che per la prima volta il Patto di stabilità e crescita apre al tema della flessibilità da tutti richiesta sul deficit e sul bilancio, che sarà un elemento anche per i Paesi che devono ristrutturare accordi preesistenti, come la Grecia, per discutere una leva economica che darà più agio per recuperare in termini di crescita. Se non c’è crescita e non ci sono investimenti, è inutile che continuiamo a guardare al debito, che cresce esponenzialmente. Negli ultimi anni, la media europea è cresciuta del 30 per cento.
  È evidente che quest'elemento, legato al piano degli investimenti strategici di Juncker, apre una via piccola, sicuramente non un'autostrada, non avvia una rivoluzione: certamente, però, non siamo nelle condizioni che le elezioni europee ci avevano consegnato un giorno prima del voto. È un elemento su cui dobbiamo insistere e spingere per le forze che, appunto, vogliono rimanere nell'Europa e cambiarla cambiando quelle condizioni.
  La premessa è che un'Europa a 28 Paesi fa sì che – anche per quelli come me, che pensano a una riforma della governance e anche delle regole – la situazione sia molto più complessa che in passato. Dieci anni fa potevamo chiedere di cambiare i Trattati facilmente: si rischiava un referendum in alcuni Paesi, come abbiamo visto in Francia o in Irlanda, o dei rallentamenti. Oggi, cambiare i Trattati e le regole è molto più complicato, quindi la strada che si è aperta e l'unica via per rimanere in corsa.
  Ora, giustamente, il collega del Movimento 5 Stelle della Commissione finanze pone lo stesso quesito che abbiamo posto anche noi nel dibattito generale: una leva finanziaria 1 a 15 è abbastanza ardita, ottimistica, ed è evidente che il fondo per gli investimenti strategici non è l'unico. Possiamo dire che è uno spazio di interesse che dice per la prima volta che gli investimenti pubblici non sono il demonio, ma una leva su cui entrare, però il connotato tecnico di questo piano è ardito.
  È evidente che servono riforme strutturali, una politica monetaria espansiva, come sta facendo la Banca Centrale Europea, ma anche una leva fiscale per intervenire: è possibile ipotizzare, Sottosegretario Pag. 13Gozi, anche in onore al suo straordinario lavoro – penso che in quella «selva» di 28 Paesi e di riunioni a volte si debba combattere –, che su due punti spinosi riusciamo ad aprire nei prossimi sei mesi per trovare risorse ?
  Mi riferisco innanzitutto ai fondi ESM: si tratta di una massa di risorse importanti che, visto il quadro di finanza un po’ più alleggerito rispetto al momento in cui quello stanziamento era nato, potrebbe essere utilizzata. Sono ottimista e penso che in Grecia il Governo di Syriza negozierà la ristrutturazione del debito e avvierà una discussione che, grazie alle aperture sulla flessibilità, sarà più facile, anche perché è un debito preminentemente pubblico e non in mano ai privati. Credo, quindi, che tutti noi sosterremo la ristrutturazione dei debiti, così come avverrà in occasione di altre discussioni.
  Quella nata, però, per salvare il meccanismo «Salva Stati» è una massa economica di ingenti risorse: se ne può ipotizzare un utilizzo, viste anche le carenze delle altre dotazioni ?
  Sulla BEI, che abbiamo coinvolto nel Fondo strategico italiano, dato che è tornato di moda parlare di investimenti in crescita, si può pensare anche di utilizzare quella leva in una maniera un po’ più aggressiva e meno conservativa rispetto all'istituzione, per come è stata intesa negli ultimi anni ?

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Ringrazio il Sottosegretario Gozi. Si è parlato di ESM e di MES (Meccanismo europeo di stabilità), ho visto l'allegato del quantitative easing e, a quanto pare, entreranno in tale operazione istituzioni finanziarie europee e probabilmente anche il MES: quale sarà il ruolo del MES in quest'operazione da 1.100 miliardi di euro ?
  Inoltre, visto che tra le motivazioni principali, tra le ratio del quantitative easing, oltre alla riduzione e al blocco della deflazione attuale, si parla anche di aiuto all'economia reale e visto che negli ultimi sei mesi abbiamo già fatto l'operazione covered bond e quelle ABS, TLTRO, LTRO, da oltre 2.000 miliardi – che avevano anche la ratio dell'aiuto all'economia reale, che però non è mai arrivato –, il Governo europeo, il Presidente Juncker, il Presidente Draghi o, comunque, i 28 Paesi riuniti non sono riusciti a trovare un metodo differente rispetto a quello di erogare finanziamenti da 1.100 miliardi a banche o istituzioni finanziarie, che dovrebbero poi erogarli all'economia reale ma non arrivano ? Questo è l'unico metodo che si riesce a trovare ? Essendo un metodo fallimentare, è l'unico che continuiamo a utilizzare ?

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti i colleghi intervenuti. Do ora la parola al Sottosegretario Gozi per la replica.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega agli affari europei. Parto dal primo intervento della collega Berlinghieri. Senza correre il rischio, che spero di non correre, di essere trionfalistico, è certamente importante il risultato sulla rule of law, sul principio di legalità. Lo è per quell'Europa dei valori e dei diritti che vogliamo portare avanti. Si tratta di un tema su cui si registrava un generale scetticismo, anche da parte delle delegazioni che in passato lo hanno portato avanti, come la Svezia, la Finlandia e la Danimarca. Devo dire che siamo riusciti a ottenere qualcosa di molto importante per l'Europa dei diritti fondamentali e dei valori che vogliamo costruire, perché il Consiglio europeo si è impegnato a tenere regolarmente, almeno una volta all'anno e ogni qualvolta sia necessario, dibattiti politici sul rispetto del principio di legalità e dei diritti fondamentali all'interno dell'Unione europea. Il Consiglio si era sempre rifiutato di farlo in passato, in maniera assolutamente contraddittoria con quello che l'Europa è, e non lo dico a caso nel Giorno della memoria. L'Europa, nata sulle macerie di Auschwitz, non può accettare che a livello di Consiglio dell'Unione europea e di Consiglio europeo, in caso vi siano rischi di gravi violazioni di Pag. 14diritti fondamentali al loro interno, non si disponga degli strumenti per dibatterne e arrivare, eventualmente, anche all'attivazione di quei meccanismi, previsti nei Trattati ma mai utilizzati, di sanzioni contro gli Stati membri e i Governi che violano i diritti fondamentali. Per essere utilizzati, però, tali meccanismi hanno bisogno di un processo politico che li prepari. Quel processo è stato introdotto con l'impegno che abbiamo tenuto in relazione al principio di legalità.
  Certamente, sarà molto importante vedere come i lettoni o, più verosimilmente, i lussemburghesi faranno uso del primo dibattito annuale su questo tema, per capire se siamo riusciti, come speriamo, ad avviare un nuovo processo politico coerente con quell'Europa che vogliamo costruire e che ancora manca.
  Certo, abbiamo tenuto conto dei lavori del Parlamento italiano nel gruppo sul funzionamento dell'Unione europea, e quindi mi fa piacere che lei abbia notato come varie istanze di questo Parlamento siano state riprese e adesso siano diventate linguaggio e impegno comune dei 28 Stati membri.
  Il gruppo di riflessione strategica che si è avviato ieri è formato interamente da liberi pensatori. Abbiamo anzi chiesto, come dicono gli inglesi, di lavorare out of the box. È evidente che, lavorando in piena libertà nell'avanzare proposte innovative in campo economico, dei diritti fondamentali, dell'istruzione, delle regioni, della sicurezza dei diritti e del diritto alla sicurezza, non impegneranno formalmente il Parlamento.
  Posso informarvi sullo stato dei lavori, ma è evidente che l'obiettivo è quello di dare la possibilità di pensare liberamente e poi avere, in autonomia come Governo, la possibilità di riprendere e di fare politica europea dell'Italia con le proposte che riteniamo vadano nella giusta direzione e che possono avere qualche chance di successo nei negoziati. In ogni caso, i temi sui quali abbiamo chiesto ai nostri esperti di riflettere sono quelli dell'unione politica ed economica attorno all'euro, del diritto alla sicurezza e della sicurezza ai diritti, aspetti legati a Schengen e alla dimensione esterna della politica europea delle regioni.
  Un altro risultato che abbiamo ottenuto è l'avvio della strategia macroregionale adriatico-ionica, anche questa di interesse per il nostro Paese, su cui abbiamo chiesto agli esperti di aiutarci, per poterla sfruttare al meglio, dal punto di vista sia dei risultati strategici sia del miglior utilizzo delle risorse. Essa impegna 13 regioni italiane, 4 Stati membri, 4 Stati non membri e avrà un ruolo importante, visto che – non condividiamo, però, questa scelta – è stato indicato dalla nuova Commissione europea che nei prossimi cinque anni non ci sarà un ulteriore formale allargamento. La Commissione, quindi, sembra escludere anche la possibilità di ulteriori adesioni nel periodo 2014-2019.
  Riteniamo che, per quanto riguarda i nostri interessi nazionali, accompagnare il percorso di integrazione europea della Serbia – sul Montenegro abbiamo aperto alcuni capitoli sotto la nostra Presidenza: il percorso di integrazione europea in generale dei Balcani; la strategia macroregionale adriatico-ionica – possa svolgere un utile strumento di accompagnamento e incoraggiamento per facilitare l'allargamento di tutti i Balcani occidentali e l'adesione all'Unione europea.
  La collega Spadoni mi chiedeva chiarimenti, in particolare, sulla condivisione del rischio e sulla revisione dei Trattati e, in particolare, quello di Dublino. Anch'io avrei preferito una condivisione del rischio al cento per cento. Vorrebbe dire che saremmo già in quell'unione pienamente economica in cui si potrebbe pensare anche a una mutualizzazione del debito. Purtroppo, non ci siamo ancora: si tratta di un obiettivo politico che l'Italia persegue con forza. Rispetto al passato recentissimo, avere già, all'inizio, il 20 per cento di condivisione del rischio, vuol dire che cominciamo ad andare verso la giusta direzione. Lo consideriamo un altro passo in avanti, assieme alla politica degli investimenti e alla flessibilità, che crediamo possano Pag. 15permetterci di spostare veramente e concretamente l'Europa molto più sul lato della crescita e degli investimenti, uscendo da quella gabbia di austerità assoluta in cui abbiamo rinchiuso l'Europa di Barroso e di Olli Rehn.
  C’è molto lavoro da fare. Mi è stato chiesto se sia soddisfatto: non lo sono, ma abbiamo già detto che in politica e, soprattutto, in politica europea non si può essere soddisfatti. Vorrebbe dire che avremmo già realizzato l'Europa che vogliamo, mentre non l'abbiamo ancora fatto. Stiamo facendo passi in avanti. Confrontando il dibattito che abbiamo svolto a giugno con quello che stiamo svolgendo oggi, i passi in avanti ci sono. Un anno fa era impossibile parlare di politica degli investimenti. Oggi, con un piano che consideriamo insufficiente per certi aspetti, ma che esiste e che è il primo atto politico della Commissione Juncker, cioè un piano di investimenti, si capisce che siamo entrati non solo in un nuovo linguaggio, ma in un nuovo contesto politico. Finalmente, abbiamo una Commissione che ha capito che è impossibile tenere l'unione monetaria e sviluppare l'unione economica senza una politica di investimenti anche a livello europeo diretta e senza permettere una nuova politica di investimenti a livello nazionale. È questo l'obiettivo principale della comunicazione sulla flessibilità.
  Riguardo al riferimento alla solidarietà, ricordo che con il Presidente del Consiglio, il sottoscritto e altri ministri abbiamo sempre ricordato che nei Trattati il termine «solidarietà» è riportato ventun volte: bisogna cominciare a dare a tale termine un senso concreto e crediamo lo siano le prime aperture in materia economica e di immigrazione, sulle quali tornerò tra poco, per quanto riguarda la politica di coesione.
  Su un altro tema abbiamo fatto passi avanti durante il semestre di Presidenza italiana: abbiamo davanti un lavoro di quattro anni e mezzo e credo che, se tutti remiamo nella stessa direzione, riusciremo a raggiungere ulteriori obiettivi verso l'Europa che vogliamo.
  Quanto alla revisione dei Trattati, come ho detto alla Commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo in luglio e ho ripetuto un paio di settimane fa, ritengo che durante questa legislatura sia non solo possibile, ma auspicabile. Onorevole Spadoni, lei chiede: se non siamo riusciti durante la nostra Presidenza, quando ci riusciremo ? Le varie delegazioni ritengono che al momento, all'inizio di questa legislatura, sia molto più utile vedere tutto quello che possiamo fare sfruttando i Trattati esistenti, prima di aprire eventualmente il dibattito sulla loro revisione. La nostra insistenza e il dialogo permanente che abbiamo avviato con il Parlamento europeo lo hanno portato a fare un passo in avanti nella direzione che auspichiamo. Sono stati avviati due rapporti, non uno dopo l'altro, ma in parallelo, uno degli onorevoli Bresso e Brok, l'altro dell'onorevole Verhofstadt: il primo vuole verificare, come abbiamo fatto, come sfruttare pienamente il Trattato di Lisbona, partendo proprio dal lavoro della Presidenza italiana che ho presentato davanti a quella Commissione una settimana fa; l'altro riguarda il futuro dell'Unione, cioè gli aspetti dei Trattati che devono essere modificati per raggiungere i nuovi obiettivi strategici.
  Ritengo che questo vada fatto. Non condivido la posizione di altri Governi, anche molto importanti, che oggi considerano il tema della revisione del tutto irrealistico. Non lo considero irrealistico, ma realistico e necessario. Vi ricordo che, per rivedere i Trattati, occorre l'unanimità, e che quindi occorre un lavoro di persuasione e di convenzione costante tra tutti i Governi, che la Presidenza italiana ha già avviato.
  Per altri due motivi ritengo che durante la legislatura europea dovremmo porre il tema della revisione dei Trattati. Anzitutto, un Trattato internazionale molto famoso in tutta Europa, il Fiscal Compact, prevede la sua valutazione da parte degli Stati firmatari e, alla luce della valutazione, il suo eventuale inserimento nei Trattati comunitari tra la Pag. 16fine del 2017 e l'inizio del 2018, quindi c’è un primo motivo per aprire un dibattito istituzionale.
  Un altro motivo per avviare una revisione dei Trattati è più politico: non so quale esito avranno le elezioni britanniche, ma so che, se vedranno la permanenza al numero 10 di Downing Street del Primo Ministro Cameron, questi si è già impegnato a riavviare un negoziato con l'Unione europea e anche a sottoporre a un referendum britannico l'eventuale rinegoziazione dello status del Regno Unito nell'Unione europea.
  Se si arriverà a questo risultato, avremo modo anche in questa Commissione di parlarne e sarò molto interessato e curioso di sapere quali sono le modifiche che i vari gruppi politici in questo Parlamento vorranno apportare ai Trattati: il dibattito potrebbe essere molto interessante.
  L'accordo siglato a Dublino non è una revisione di Trattati, ma di un regolamento. Non si tratta di valutazioni di responsabilità: noi non abbiamo rinegoziato né Dublino I, Convenzione di Dublino degli anni Novanta, né Dublino II né Dublino III. A una lettura comparata di Dublino II e Dublino III, direi che in Dublino III sono contenute clausole che meriterebbero di essere utilizzate e il problema è che non lo sono.
  Le ricordo che l'articolo 17, al comma 2, contiene la clausola umanitaria, la clausola di sovranità, che consente a uno Stato membro, a prescindere da quanto stabilito a Dublino, di farsi carico dei rifugiati politici, anche se quei rifugiati non sono arrivati prima sul suo territorio. Le ricordo la maggiore flessibilità in materia di ricongiungimenti familiari e la maggiore flessibilità per i minori non accompagnati.
  Ritengo che l'accordo di Dublino non sia adeguato, ma obsoleto, però bisogna capirsi bene, al di là delle affermazioni di principio. Dovendo scegliere tra Dublino II e Dublino III, opterei per Dublino III. Occorre vedere, innanzitutto utilizzando le norme vigenti, come sfruttarle al meglio. Queste due clausole, mai utilizzate, sarebbero di grande utilità e umanità per i rifugiati richiedenti asilo e di grande utilità per un Paese esposto come il nostro.
  Il collega Tancredi parlava di politica fiscale per due aspetti. Obiettivamente, riguardo alla lotta all'evasione fiscale, in questo Semestre, breve dal punto di vista legislativo, abbiamo ottenuto due risultati comunque importanti. Le ricordo l'accordo del Consiglio per impedire la doppia imposizione nei dividendi distribuiti tra gruppi societari. In sostanza, abbiamo colmato quelle lacune che permettevano di non pagare le tasse e i dividendi né nello Stato A né nello Stato B. Da adesso non è più possibile farlo, grazie all'accordo che abbiamo concluso.
  Ricordo anche la direttiva che amplia lo scambio automatico di informazioni tra le amministrazioni fiscali, strumento molto importante per la lotta all'evasione e all'elusione fiscale, oltre al superamento, di fatto completo, del segreto bancario, avendo convinto finalmente i nostri partner lussemburghesi e austriaci ad accettare l'accordo, con entrata in vigore completa nel 2017. Si sta valutando di prevedere l'unanimità per ottenere questi risultati e questo ci sembra un risultato significativo.
  Si è fatto riferimento anche a un altro aspetto, a mio avviso un altro tabù europeo che dovremo abbattere, quello in base al quale la politica monetaria e le scelte di politica di bilancio non comunicano tra loro e non sono coordinate, anche quando la politica monetaria inietta una massa importante di liquidità, che, nel caso attuale, è responsabilità piena e indipendente del presidente Mario Draghi.
  Vorrei dire anche ai colleghi del Movimento 5 Stelle che la Banca centrale ci dice di avere scelto questa volta alcune modalità operative che non riguardano solo gli acquisti e i titoli pubblici, ma che sono anche volte a diminuire le difficoltà di accesso al credito. Nel momento in cui, però, il Presidente Mario Draghi, per così dire, «tira» al massimo lo statuto della Banca centrale europea e i Trattati Pag. 17e adotta una manovra che tutti avremmo voluto già da tempo, non c’è una politica di coordinamento delle politiche di bilancio a livello nazionale, perché è un tabù europeo. In questi anni, un altro tabù europeo è stato quello secondo il quale politica monetaria e dei bilanci non dovessero essere coordinate.
  Riteniamo che questo – nel dibattito che abbiamo avviato e di cui il primo passo, non certamente l'ultimo, è la comunicazione sulla flessibilità –, debba essere un tabù da abbattere: è uno dei temi che vogliamo discutere nei prossimi mesi, quando su proposta di Juncker e Draghi discuteremo della seconda tappa del negoziato sulla governance europea.
  In merito all'unione bancaria vi ricordo che sotto la nostra Presidenza è entrato in vigore il meccanismo di sorveglianza bancaria. È stato, appunto, grazie a questo che sono stati eseguiti i primi stress test e si è fatta un'accurata verifica dello stato patrimoniale delle imprese.
  Collega Iacono, abbiamo chiesto alla Commissione europea di pensare concretamente ai possibili esiti: si potrebbe pensare a un allungamento da 8 a 12 settimane, ad altre modalità operative per rispondere all'esigenza che lei sollevava.
  Onorevole Pesco, le macroaree del piano Juncker sono quattro: l'agenda digitale; la ricerca, l'innovazione e l'istruzione, education; l'energia e la realizzazione dell'unione dell'energia; i trasporti. Non si tratta, quindi, solo di infrastrutture materiali, ma di aver posto uno strumento di investimento anche a livello europeo al servizio di quelle nuove priorità strategiche su cui abbiamo insistito, che abbiamo voluto e su cui la Commissione europea si è impegnata per cinque anni.
  Queste priorità strategiche sono l'unione digitale, cioè il completamento del mercato unico digitale e i vari aspetti legati all'istruzione dell'agenda digitale; l'unione dell'energia, che vuol dire completare il mercato unico dell'energia. Per completare, però, il mercato unico dell'energia, se non ci sono le infrastrutture, la si fa passare da uno Stato membro all'altro, nel momento di crisi: pensi alla Penisola iberica e al suo isolamento dell'energia, che non passa attraverso i Pirenei perché non ci sono le infrastrutture. È difficile parlare di solidarietà ed energia con una nuova crisi in Ucraina. Anche da questo punto di vista, quindi, non assumerei una posizione così negativa sul tema delle infrastrutture.
  Esistono, inoltre, tanti altri aspetti dell'unione dell'energia, come le energie rinnovabili, e non ho ricordato il Consiglio europeo di ottobre e la nuova posizione dell'Unione europea nella lotta contro il cambiamento climatico. È evidente che sono tutti impegni per rispettare i quali è necessario che siano messi a disposizione anche degli strumenti di investimento. È a questo che mira il piano Juncker.
  Sempre per continuare a rispondere all'onorevole Pesco e anche, in parte, al collega Amendola, all'interno di questo piano è stato introdotto un principio. Se l'avessimo detto un anno fa a Wolfgang Schäuble, ci avrebbe chiesto se eravamo pazzi. Vedo adesso che è arrivato il collega Buttiglione, che potrà confermare.
  Abbiamo finalmente inserito il principio della neutralità: se poniamo risorse nazionali al servizio della nuova strategia di investimenti europea, esse non saranno computate come debito pubblico. Questa idea, che è una battaglia storica dell'Italia, finalmente è passata in toto, per quanto riguarda i contributi nazionali al piano degli investimenti. È passata sotto altra forma, attraverso la comunicazione sulla flessibilità, con riferimento a buona parte dei cofinanziamenti nazionali e regionali.
  Un'altra rivendicazione, in questi anni, di tutte le aree politiche presenti in Italia, è legata al fatto che è assolutamente sbagliato computare come spesa, e quindi come debito pubblico, i cofinanziamenti nazionali e regionali che si accompagnano ai fondi strutturali europei che devono realizzare progetti europei comuni. Nella Comunicazione sulla flessibilità, di fatto abbiamo liberato risorse Pag. 18per circa 5 miliardi di euro, praticamente quasi il totale dei principali cofinanziamenti nazionali e regionali. Questo sono altri risultati molto importanti.
  Anche a tale proposito, si tratta di risultati che indicano che finalmente abbiamo fatto breccia e squarciato un po’ il velo, abbattendo il muro di un'Europa che si impegna concretamente non solo in un piano di investimenti a livello europeo, ma anche ad applicare una politica più favorevole, che permetta maggiormente di investire a livello nazionale. Si tratta di primi passi importanti. Vogliamo continuare a lavorare e, liberi dagli obblighi derivanti dalla Presidenza – che per certi aspetti è un vantaggio e per altri non lo è, in quanto implica mediare tra le varie posizioni per ottenere un accordo e non essere «padroni» di decidere come si vuole – e alla luce di questa breccia, vogliamo continuare per proseguire verso questa politica di investimenti più favorevole.
  La Francia e la Spagna non hanno affatto più margini, collega Pannarale. Mi scusi se è un aspetto tecnico, ma devo citarlo: quei due Paesi, essendo nel braccio cosiddetto correttivo, cioè avendo superato il limite del 3 per cento, non potranno beneficiare in alcun modo delle innovazioni sulla flessibilità. Questo non si discute, ma è evidente che quelle innovazioni sulla flessibilità si applicano all'Italia, non alla Francia o alla Spagna.
  Il mio non era trionfalismo. Nel mio intervento iniziale, ho risposto alle due domande che il presidente mi aveva posto. La domanda sulle istituzioni appassiona gli happy few, ma è ovviamente tecnica, però mi sembrava giusto dare conto di quello che abbiamo ottenuto.
  Sono un po’ sorpreso delle Sue valutazioni sull'immigrazione, collega Pannarale: nelle conclusioni operative adottate dai ministri dell'interno a novembre e all'interno dei dibattiti svolti alla Camera dei deputati – dove Lei, nel mese di giugno, aveva svolto un intervento in proposito – troverà molte delle Sue richieste, come l'impegno operativo a rafforzare il dialogo e la cooperazione tra Paesi di origine e di transito e Unione europea, il processo di Rabat e la riunione svolta tra ministri europei per rafforzare la cooperazione economica e la congestione dei flussi migratori tra Europa e Africa. Troverà, poi, come innovazione dell'Italia, il processo di Khartoum, cioè la stessa logica e gli stessi impegni del processo di Rabat applicati al Corno d'Africa, quindi a un'altra zona certamente molto problematica dal punto di vista dei flussi migratori. Mentre prima solo l'Italia, a volte la Grecia a fasi alterne, diceva che quelle esterne sono frontiere comuni dell'Unione europea, e quindi richiedono interventi operativi comuni dell'Unione europea, oggi questo principio è stato cristallizzato nelle conclusioni di novembre. È per questo che è entrata in funzione l'operazione Triton.
  Discutiamo dell'operazione Triton, se vada bene o meno. Quell'operazione non sarebbe possibile se non fosse passato, grazie al contributo di tutti e alla spinta dell'Italia, il principio per cui le frontiere esterne non sono dell'Italia nel Mediterraneo, ma frontiere comuni europee. L'abbiamo sempre chiesto, ma non era mai stato possibile fino a novembre di quest'anno. Mi sembra un risultato non da poco, ma sul quale, al contrario, bisogna costruire chiaramente quella politica di migrazione legale e illegale comune che l'Europa potrebbe avere e che ancora non ha. Oggi abbiamo l'accordo sulla condivisione degli oneri e quello che prevede che le frontiere esterne siano considerate frontiere di tutti e non sono solo italiane, greche, polacche e così via.
  A chi mi invitava a pronunciarmi sulle elezioni di Atene, chiedendomi se volessi lavorare con Tsipras, rispondo che Tsipras ha già detto che vuole lavorare con il Governo italiano e spera che noi vogliamo lavorare con lui. Ci sembra un dato molto positivo che il Primo Ministro greco abbia già detto che vuole lavorare innanzitutto con l'Italia del Presidente Renzi, che ha già aperto una battaglia per superare la politica dell'austerità.
  Con riferimento a quanto è stato richiamato in merito all'ESM, abbiamo più Pag. 19volte avanzato la proposta di cui si è parlato. Finora vari Paesi avevano assunto una posizione negativa. Ritengo comunque che, nel momento in cui si discute di unione dei bilanci e della necessità di trovare nuove risorse per avere un'unione dei bilanci economica, occorra riprendere questo tema: vedremo se sarà possibile farlo in occasione del lavoro che si svolgerà sulla nuova governance economica da parte dei presidenti Juncker e Draghi.
  Sono anche d'accordo sulla necessità di insistere di più sulla BEI, che deve assumersi più rischi, agire un po’ di più da banca pubblica, un po’ meno con la logica unicamente degli investitori privati, e quindi con i rischi bassi tipici dell'investitore privato.
  Collega Villarosa, con riserva di approfondire la questione, a me non sembra che nel quantitative easing sia coinvolto il Meccanismo europeo di stabilità, cioè il fondo «Salva Stati»: se così non fosse, mi informerò per verificarlo e rispondere alla Sua domanda.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Gozi per il suo intervento e tutti i colleghi che hanno partecipato alla seduta.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.