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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (I e II)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 10 settembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 1540 GOVERNO DI CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 14 AGOSTO 2013, N. 93, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI SICUREZZA E PER IL CONTRASTO DELLA VIOLENZA DI GENERE, NONCHÉ IN TEMA DI PROTEZIONE CIVILE E DI COMMISSARIAMENTO DELLE PROVINCE

Audizione di: Giuseppe Pavich, giudice presso il tribunale di La Spezia; Alessandra Kustermann, responsabile del soccorso violenza sessuale e domestica della fondazione IRCCS Ca’ Granda ospedale maggiore policlinico di Milano; Roberta Mori, coordinatrice nazionale degli Organismi regionali di pari opportunità; rappresentanti dell'Associazione nazionale volontarie del telefono rosa – onlus; rappresentanti dell'Associazione DI.RE-Donne in rete contro la violenza alle donne; Antonella Anselmo, rappresentante del Comitato Se Non Ora Quando – Libere; rappresentanti del Comitato Se Non Ora Quando – Factory; rappresentanti delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More; rappresentanti dell'Associazione centro di ascolto uomini maltrattanti – onlus; rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane; rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati; Oliviero Mazza, ordinario di procedura penale presso l'Università Bicocca di Milano; Gabrio Forti, ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Pavich Giuseppe , Giudice presso il tribunale di La Spezia ... 4 
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 
Kustermann Alessandra , Responsabile del soccorso violenza sessuale e domestica della fondazione IRCCS Ca’ Granda ospedale maggiore policlinico di Milano ... 5 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Mori Roberta , Coordinatrice nazionale degli Organismi regionali di pari opportunità ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Carnieri Moscatelli Maria Gabriella , Presidente dell'Associazione nazionale volontarie del telefono rosa – onlus ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Scognamiglio Eugenia , Rappresentante dell'Associazione nazionale volontarie telefono rosa – onlus ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Carrano Titti , Presidente dell'Associazione DI.RE. (Donne in rete contro la violenza alle donne) ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Anselmo Antonella , Rappresentante del Comitato Se Non Ora Quando – Libere ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Savino Giulia Lunetta , Rappresentante del Comitato Se Non Ora Quando – Factory ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Spinelli Barbara , Rappresentante delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More ! ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Spinelli Barbara , Rappresentante delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More ! ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Spinelli Barbara , Rappresentante delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More ! ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Tola Vittoria , Rappresentante dell'Unione donne d'Italia, nell'ambito delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More ! ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Pauncz Alessandra , Presidente dell'Associazione centro di ascolto uomini maltrattanti – onlus ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 23 
Mucci Mara (M5S)  ... 23 
Pauncz Alessandra , Presidente dell'Associazione centro di ascolto uomini maltrattanti – onlus ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Mori Roberta , Coordinatrice nazionale degli organismi regionali di pari opportunità ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Mazza Oliviero , Ordinario di procedura penale presso l'Università Bicocca di Milano ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 28 
Spigarelli Valerio , Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane ... 28 
Pinna Matteo , Rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane ... 31 
Ferranti Donatella , Presidente ... 35 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 35 
Ferranti Donatella , Presidente ... 38 
Forti Gabrio , Ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano ... 38 
Ferranti Donatella , Presidente ... 42 
Sisto Francesco Paolo (PdL) , Presidente della I Commissione ... 42 
Ferranti Donatella , Presidente ... 42 
Balduzzi Renato (SCPI)  ... 42 
Forti Gabrio , Ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del sacro Cuore di Milano ... 42 
Sisto Francesco Paolo (PdL) , Presidente della I Commissione ... 43 
Forti Gabrio , Ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del sacro Cuore di Milano ... 43 
Sisto Francesco Paolo (PdL) , Presidente della I Commissione ... 43 
Forti Gabrio , Ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del sacro Cuore di Milano ... 43 
Ferranti Donatella , Presidente ... 44

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 9.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di: Giuseppe Pavich, giudice presso il tribunale di La Spezia; Alessandra Kustermann, responsabile del soccorso violenza sessuale e domestica della fondazione IRCCS Ca’ Granda ospedale maggiore policlinico di Milano; Roberta Mori, coordinatrice nazionale degli Organismi regionali di pari opportunità; rappresentanti dell'Associazione nazionale volontarie del telefono rosa – onlus; rappresentanti dell'Associazione DI.RE-Donne in rete contro la violenza alle donne; Antonella Anselmo, rappresentante del Comitato Se Non Ora Quando – Libere; rappresentanti del Comitato Se Non Ora Quando – Factory; rappresentanti delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More; rappresentanti dell'Associazione centro di ascolto uomini maltrattanti – onlus; rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane; rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati; Oliviero Mazza, ordinario di procedura penale presso l'Università Bicocca di Milano; Gabrio Forti, ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame del disegno di legge C. 1540 Governo di conversione in legge del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, l'audizione di Giuseppe Pavich, giudice presso il tribunale di La Spezia, Alessandra Kustermann, responsabile del soccorso violenza sessuale e domestica della fondazione IRCCS Ca’ Granda ospedale maggiore policlinico di Milano, Roberta Mori, coordinatrice nazionale degli Organismi regionali di pari opportunità, rappresentanti dell'Associazione nazionale volontarie del telefono rosa – onlus, rappresentanti dell'Associazione DI.RE-Donne in rete contro la violenza alle donne, Antonella Anselmo, rappresentante del Comitato Se Non Ora Quando – Libere, rappresentanti del Comitato Se Non Ora Quando – Factory, rappresentanti delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More e rappresentanti dell'Associazione centro di ascolto uomini maltrattanti – onlus, rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane, rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, Oliviero Mazza, ordinario di procedura penale presso l'Università Bicocca di Milano e Gabrio Forti, ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.
  Abbiamo concordato, con il presidente Sisto, di concedere sette minuti per intervento, Pag. 4avendo già richiesto, tramite le lettere di convocazione, documentazione o interventi scritti che sono già pervenuti, e di questo ringrazio tutti. Tutti gli elaborati – anche il dottor Pavich ha trasmesso il suo – sono in distribuzione per i componenti delle Commissioni.
  Do la parola al dottor Giuseppe Pavich, giudice presso il tribunale di La Spezia.

  GIUSEPPE PAVICH, Giudice presso il tribunale di La Spezia. Innanzitutto ringrazio dell'onore che ho avuto nell'essere convocato in questa sede. Dico subito che l'elaborato che ho trasmesso alla Presidenza è nato, in realtà, come commento tecnico, poi destinato a una rivista specializzata di settore, per vedere le «luci» e le «ombre» di questo decreto-legge.
  Va colto sicuramente il segnale di attenzione politica al problema. Si tratta di un problema che, peraltro, ha avuto un recente sviluppo anche in chiave di normativa sovranazionale con la ratifica della Convenzione di Istanbul. In effetti, scorrendo l'articolato, come prima operazione tecnica ho fatto una verifica delle norme della Convenzione di Istanbul alle quali era stato dato seguito nel testo del decreto.
  La mia impressione di insieme – nei dettagli ho cercato di inserire nella relazione una serie di osservazioni tecniche, delle quali ovviamente se vorrete potrete fare tesoro – è che sicuramente c’è la possibilità di arrecare alcune migliorie al testo, di apportarvi alcuni affinamenti in taluni aspetti. Va detto, per quello che può essere il mio parere, che l'ordinamento nazionale, salvo alcune sfumature, non era poi così lontano dall'insieme delle prescrizioni che la normativa sovranazionale ci indica. Per normativa sovranazionale non mi riferisco soltanto alla Convenzione di Istanbul, ma per esempio – e direi in particolare – alla recente direttiva 2012/29 in materia di vittime vulnerabili, che a mio avviso rafforza ulteriormente quello che già la decisione quadro n. 220 del 2001 aveva tracciato.
  Certamente ci sono alcuni profili sui quali c’è un segno di attenzione; viene aggiunto un disvalore a determinate ipotesi, sulle quali magari potrebbe essere opportuna una serie di precisazioni. Come ho cercato di scrivere nel testo della mia relazione, ad esempio il problema della persona minore di anni 18, che sicuramente recepisce l'articolo 46 della Convenzione di Istanbul, fa riferimento a una fattispecie come quella di maltrattamenti che è una fattispecie di delitto abituale. Secondo me, si tratterà di un problema essenzialmente interpretativo, ossia verificare a quali condizioni si possa ritenere che l'intero paradigma del delitto di maltrattamenti faccia oggetto di percezione da parte del minore di anni 18.
  Ho visto che, tra l'altro, la procura generale della Corte di cassazione ha fatto una sua prima relazione a commento. In effetti, su alcuni aspetti penso che ci possano essere diverse percezioni da parte mia – nel mio piccolo, ovviamente – proprio sotto questo profilo: in questo caso, probabilmente, è proprio sul delitto di maltrattamenti, più che sugli altri delitti, che si avverte la necessità di un intervento, perché è un delitto che avviene alla presenza di chi convive, e quindi eminentemente può avvenire alla presenza di minori.
  Per quanto riguarda l'aggravante dell'articolo 609-ter nei confronti di donna in stato di gravidanza, anche in quel caso effettivamente il problema può essere di tipo tecnico per quanto riguarda l'elemento soggettivo che sorregge la condotta del soggetto attivo. Indubbiamente possono darsi delle situazioni in cui il soggetto attivo non sia nelle condizioni, se non in termini di astratta previsione, di sapere se la vittima è in stato di gravidanza. Tuttavia – l'ho suggerito nel mio scritto – si potrebbe anche ipotizzare, ove fosse ritenuta un'indicazione utile, di estendere quanto già previsto in merito all'irrilevanza dell'ignoranza, per esempio della minore età, della persona offesa, anche alla donna in stato di gravidanza.
  D'altra parte, sotto questo profilo, è chiaro che si tratta di norme di stretta interpretazione, perché derogano a princìpi generali. Di questo articolato – permettetemi una piccola digressione – ho già Pag. 5fatto un breve commento molto interattivo; attualmente seguo a Firenze, come formatore, i gruppi di lavoro per i magistrati in tirocinio mirato e in quella sede sono emerse diverse posizioni. Lo dico perché, secondo me, una parola in più spesa per precisare un determinato concetto può essere utile a dirimere questioni interpretative. Questo, a mio avviso, potrebbe essere il caso.
  Per quanto riguarda i doveri di comunicazione, cito il problema che ci potrebbe essere dal punto di vista della sanzione di inammissibilità in sede di richiesta da parte dell'indagato, al quale viene fatto carico di comunicare alla persona offesa una richiesta di revoca o sostituzione di una misura, e questa effettivamente può essere una cosa molto complicata, soprattutto se punita con l'inammissibilità dell'istanza. A parte ciò, benché ovviamente questi obblighi di comunicazione rispondano appieno a quanto dice la Convenzione di Istanbul, tuttavia personalmente mi chiedo se non sia il caso di estendere questi stessi obblighi di comunicazione anche alle altre misure cautelari anche più gravi dell'allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento. In effetti, può veramente capitare – ne ho esperienza quotidiana nel mio lavoro – che uno stalker venga rimesso in libertà dagli arresti domiciliari, dove magari era andato perché aveva violato il divieto di avvicinamento, e torni a essere una mina vagante. Forse, anche da questo punto di vista, si potrebbe aggiungere qualche cosa.
  Un altro aspetto su cui mi soffermerei è la modifica all'articolo 282-bis del codice di procedura penale, riferita al comma 6. Per carità, anche qui ci si arriva probabilmente dal punto di vista interpretativo. Tuttavia, affido alle vostre riflessioni il fatto che viene indicato l'articolo 582, che è una fattispecie che, nel comma 2, ovvero quando la malattia non superi i venti giorni, è di competenza del giudice di pace. Questo, in effetti, può porre dei problemi in punto di applicabilità di una misura cautelare, perché sappiamo che il testo unico riferito alla competenza penale del giudice di pace esclude dal richiamo normativo al codice di procedura penale la normativa inerente alle misure cautelari. Quindi, forse potrebbe essere opportuno precisare – ma, lo ripeto, ritengo ci si possa arrivare in via interpretativa – che ci si riferisce a ipotesi di lesioni personali volontarie, perseguibili d'ufficio.
  Per quanto riguarda l'arresto obbligatorio in flagranza di reato, questo sicuramente si tiene con la Convenzione di Istanbul, con il quadro normativo sovranazionale e via dicendo. Osservo soltanto che passano ad essere fattispecie per le quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza di reato due ipotesi di delitto abituale, con tutto ciò che ne conseguirà prevedibilmente in punto di flagranza o quasi flagranza in riferimento a un delitto abituale.
  Per carità, non sono solo ipotesi di scuola – a me è capitato di trattare ipotesi di reato in cui c’è stata la flagranza del delitto di maltrattamenti, per esempio – però evidenzio che, per quanto riguarda queste ipotesi di reato, l'arresto obbligatorio in flagranza rischia di rimanere confinato a ipotesi veramente marginali, anche perché, per esempio, per quanto riguarda il delitto di atti persecutori, nell'ipotesi di cui al primo comma, è perseguibile a querela e la querela dovrebbe essere presentata contestualmente in base al terzo comma del 380.
  Comunque, mi rendo conto che è un segnale, ma vi indico semplicemente queste prevedibili difficoltà tecniche.

  PRESIDENTE. Avverto che la relazione scritta del dottor Pavich è in distribuzione.
  Do la parola ad Alessandra Kustermann, responsabile del soccorso violenza sessuale e domestica della fondazione IRCCS Ca’ Granda ospedale maggiore policlinico di Milano.

  ALESSANDRA KUSTERMANN, Responsabile del soccorso violenza sessuale e domestica della fondazione IRCCS Ca’ Granda ospedale maggiore policlinico di Milano. Sono onorata e vi ringrazio di essere stata chiamata dalle vostre Commissioni.Pag. 6
  Premetto che le considerazioni che riferirò non sono frutto solo del mio lavoro da medico, ma ho ovviamente consultato tutti i soggetti che a Milano lavorano su questi temi, quindi anche magistrati, forze dell'ordine e avvocati, specialmente quelli dell'associazione che affianca il nostro servizio.
  Anticipo che il contenuto di questo decreto-legge non avrebbe dovuto dettare solo norme all'interno della materia sicurezza, vista l'importanza del tema che avrebbe richiesto, a nostro avviso, un intervento un po’ più globale. Tuttavia, entriamo nel merito dei singoli articoli.
  All'articolo 1, quello sulle norme per i maltrattamenti, dove si prevede di formulare l'aggravante della presenza dei minori, ossia la cosiddetta «violenza assistita», vorrei farvi notare che, così come è stato formulato, è sì un'aggravante ma già oggi la giurisprudenza di legittimità ha introdotto l'ipotesi di maltrattamenti assistiti. Dunque, questa norma è meno di quello che già oggi viene messo in atto. Si propone, quindi, di inserire che alla stessa pena soggiace colui che compia atti come al primo comma, e di allargare l'ipotesi al 612-bis, perché ritengo che per un minore sia altrettanto grave assistere ai maltrattamenti quanto allo stalking, specie se questo è attuato magari dal padre nei confronti della madre.
  Sulla questione che poneva il dottor Pavich dell'accertamento di gravidanza, credo che non sia un problema. In genere, quando c’è una norma che richiede che la donna sia in stato di gravidanza (come fumare in ascensore), si prevede che la norma sia applicata laddove lo stato di gravidanza è evidente; non basta un test di gravidanza positivo, se la donna non l'ha dichiarato all'aggressore.
  L'articolo 2 richiede, secondo noi, alcune modifiche, soprattutto perché il razionale di queste norme, per esempio dell'obbligo di comunicazione, dal punto di vista di noi operatori del servizio, è che la donna sia avvertita che l'uomo non ha più la misura dell'allontanamento o dell'arresto. Se non viene introdotto anche per l'arresto si corre il rischio di mettere in seria difficoltà noi operatori.
  Mi domandavo, tuttavia, se non sarebbe più giusto consentire alla donna – parlo di donna, ma potrebbe essere anche un uomo la persona offesa – il diritto di interloquire con il giudice, tramite l'avvocato difensore, in ogni fase prima che questi assuma qualunque decisione, attraverso la presentazione di memorie ai sensi dell'articolo 121 del codice di procedura penale. Mi sembra che questo significherebbe un passo avanti, perché il maltrattamento, così come lo stalking, sono reati in cui è necessario acquisire prove che non è detto che il giudice abbia.
  Sulla questione dell'obbligatorietà dell'arresto in flagranza, invece, mi piacerebbe che questa norma fosse un pochino più restrittiva. Pur occupandomi di vittime, ritengo che comunque siamo in uno stato di diritto e che quindi sia da applicare una norma grave come l'arresto in flagranza obbligatorio per le forze dell'ordine solo in presenza di gravi indizi in ordine alla sussistenza del reato – questo mi pare ovvio – ma anche di un rischio elevato di reiterazione della condotta criminosa in grado di determinare un danno per la vita fisica della donna.
  Tutti i centri antiviolenza hanno un metodo di valutazione e anche noi lo utilizziamo nel nostro centro: inviamo alle forze dell'ordine e al magistrato, allegata alla denuncia di reato, visto che i maltrattamenti sono procedibili d'ufficio, anche la valutazione del rischio di recidiva. È un metodo – denominato SARA, ma se ne possono usare anche altri – che consente di dire se il rischio per la vita è elevato, medio o basso. Secondo me, le forze dell'ordine dovrebbero valutare l'arresto solo laddove c’è un rischio elevato, altrimenti mi sembra che la norma si presti a troppi equivoci. Tra l'altro, essa non va nemmeno nel senso che credo il legislatore le volesse dare.
  Negli USA l'arresto obbligatorio ha determinato dei vantaggi, quindi c’è letteratura internazionale che dimostra che, laddove esso è stato introdotto, c’è stata una Pag. 7diminuzione del reato. Ad esempio, il Family Justice Center di San Diego in California – adesso esiste un progetto europeo che si sta portando avanti e anche a Milano dall'anno scorso esiste un programma Daphne – si incentra sul migliorare i rapporti tra magistratura, forze dell'ordine e centri antiviolenza. Preciso che il nostro centro antiviolenza è un centro pubblico, situato in un ospedale, quindi siamo al di sopra delle parti.
  Inoltre, mi sembra importante introdurre una norma per cui esistano dei magistrati specializzati. Il Consiglio superiore della magistratura farebbe bene ad assicurare che nell'organizzazione dei singoli uffici giudiziari per i reati di violenza di genere ci siano criteri di priorità (e la norma lo introduce) ma anche magistrati opportunamente specializzati.
  L'articolo 3 riguarda misure di prevenzione per la condotta di violenza domestica. Mi è stato detto che, sul piano giuridico, mentre a me è molto chiaro cos’è la violenza economica, ma non sono un avvocato, non è per niente chiaro a chi è un magistrato. In altre parole, la violenza economica è un termine estraneo al nostro sistema penale. Viene sì introdotto, all'articolo 3, comma 1, il concetto di violenza economica, ma non è specificato cosa si intenda. La reiterazione del reato – questo è il punto di vista di chi applica nei centri antiviolenza questa norma – può essere data a volte dalle percosse, quindi dalle lesioni personali, non solo gravi, cioè non solo quelle che hanno una prognosi superiore a venti giorni, poiché se reiterate nel tempo si configura il reato di cui all'articolo 572, quindi il personale sanitario è tenuto alla procedibilità d'ufficio.
  Su circa 18 mila casi che abbiamo visto nei nostri diciotto anni di servizio, la procedibilità d'ufficio l'abbiamo usata spesso, quindi mi è chiaro che deve esserci una reiterazione. L'interpretazione che abbiamo sempre dato nel servizio è che la violenza economica psicologica, insieme alle lesioni anche lievi se ripetute nel tempo, determinano maltrattamento; ma se non viene specificato bene che cosa si intende, ovviamente la norma non funziona.
  Sempre all'articolo 3, comma 4, è introdotta per il questore l'omissione delle generalità dell'eventuale segnalante. Sarebbe bene prevederlo anche per il reato di cui all'articolo 612-bis, che è a querela, ma solo nella prima istanza; se c’è già stato il primo ammonimento è procedibile d'ufficio. Sarebbe importante specie per le psicologhe e le assistenti sociali del nostro servizio.
  Per tutta Italia il problema dell'omissione delle generalità dell'eventuale segnalante sarà analogo, perché non è detto che la donna sia d'accordo nel presentare una denuncia di reato. Voi dovete tener presente che laddove viene introdotta una norma come questa si sta parlando del fatto che c’è qualcuno che denuncia al posto della donna, un cittadino, il suo vicino di casa. Tuttavia, estendere a tutti il fatto che sia omessa la generalità del segnalante, se è possibile con il nostro ordinamento, sarebbe importante. Lo dico non per noi medici, ma certamente per chi fa professioni d'aiuto, ad esempio assistenti sociali e psicologhe.
  All'articolo 4 c’è una contraddizione in termini: non si capisce per quale motivo è concesso il permesso di soggiorno anche ai familiari della parte lesa se lei è una cittadina comunitaria, ma se è una cittadina non comunitaria ci si limita a concederlo a lei. Credo che uno dei deterrenti che hanno le donne straniere, specie clandestine, che sono quelle che beneficerebbero dell'introduzione dell'articolo 18-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è che se hanno figli minori e contemporaneamente un figlio maggiorenne difficilmente pensano di rendere nota la loro presenza sul territorio e la presenza del figlio maggiorenne per un reato di maltrattamenti. Allora, se vogliamo aiutare con l'articolo 18-bis le vittime, le parti offese (chiamiamole come vogliamo) va esteso quello che è stato detto per i cittadini comunitari, quindi il permesso di soggiorno anche per i figli maggiorenni, per i prossimi congiunti.Pag. 8
  Concludo con due considerazioni. Il Piano è carente, non è innovativo; è necessario aggiungervi alcuni punti, ad esempio la questione abitativa, gli strumenti che facilitino il reingresso nel mondo del lavoro e gli aiuti economici nella fase di recupero dell'autonomia. Inoltre, è ridicolo fare un Piano che prevede uno stanziamento inferiore a quello che è stato fatto nel 2011. Scusate, ma così non funziona. Vi chiedo, quindi, di cercare di modificare questa parte in Parlamento.
  Infine, chiedo l'introduzione di un articolo 6 e un articolo 7 che riguardino il trattamento dei maltrattanti. Credo che nessuna pena risolve il problema se ad essa non affianchiamo – e questo potrebbe essere veramente innovativo per il nostro codice, per il nostro modo di affrontare il problema – il trattamento dei maltrattanti.
  In più, vi avverto che stanno rimettendo in libertà gli stalker, perché la norma purtroppo è sbagliata. So che esula dall'audizione, ma spero che leggiate l'ultima parte della relazione: se non risolvete il problema, tutti gli stalker che hanno compiuto il reato prima del 14 agosto vanno rimessi in libertà.

  PRESIDENTE. Passiamo ora alla dottoressa Roberta Mori, coordinatrice nazionale degli Organismi regionali di pari opportunità, accompagnata da Gemma Andreini, Donatina Persichetti, Giovanna Cusumano, Rosa Cicolella, rispettivamente della Consulta femminile di Abruzzo, Lazio, Calabria e Puglia.
  Essendo i nostri tempi abbastanza ristretti, darò la parola per sette minuti alla dottoressa Roberta Mori.

  ROBERTA MORI, Coordinatrice nazionale degli Organismi regionali di pari opportunità. Grazie, presidente. Onorevoli deputati e deputate, ringrazio dell'opportunità attribuita alla Conferenza nazionale delle presidenti degli organismi regionali di parità di portare un contributo di merito al legislatore che si appresta a convertire in legge il decreto cosiddetto «contro il femminicidio».
  Il nostro è l'unico coordinamento nazionale di organismi istituzionali di pari opportunità incardinati nelle assemblee e nelle giunte regionali, diretto a valorizzare il ruolo istituzionale degli organismi di pari opportunità, favorendo il coordinamento e lo scambio di esperienze e buone prassi tra le singole realtà regionali, al fine di promuovere politiche di genere conformi agli obiettivi di parità e pari opportunità tra uomini e donne sancite negli articoli 3, 51 e 177, settimo comma, della Costituzione.
  Di per sé, dunque, è una realtà preziosa per il portato esperienziale di cui è interprete sui territori abitati da una società civile e istituzionale eterogenea, impegnata ad affiancare la rete diffusa delle associazioni femminili per imprimere un'accelerazione all'assunzione delle politiche di genere e di parità come vero snodo di cambiamento culturale della comunità nazionale, a supporto di una prevenzione efficace contro la violenza sulle donne.
  Ho riflettuto insieme alle colleghe presidenti sul taglio esegetico da conferire all'odierna riflessione e abbiamo optato per un approccio politico e istituzionale al tema che privilegi gli aspetti di sostanza nella trattazione della violenza di genere.
  Ormai è chiaro che la violenza contro le donne costituisce l'estrema rappresentazione della patologia di un sistema discriminante che fonda da secoli la propria organizzazione sociale sulla marginalizzazione della soggettività femminile; soggettività che quando si afferma o esce da ruoli e schemi sociali precostituiti provoca una reazione alimentata dallo stesso squilibrio di potere nella relazione tra uomini e donne.
  Da un contesto siffatto, da un brodo di cultura così pregiudicato e pregiudizievole per le donne, si evidenzia finalmente, oltre al dato emergenziale della violenza contro le donne in tutte le sfumature e accezioni individuate dalla Convenzione di Istanbul, l'incidenza di un fenomeno sociale e culturale ignorato, sottovalutato, non adeguatamente studiato e monitorato, che di fatto ha impedito e impedisce la piena realizzazione della persona umana – della Pag. 9donna, dunque – come leva di un cambiamento e di un progresso possibile, mai veramente né convintamente perseguito.
  Noi pensiamo che finché la società non si attrezzerà per colmare il gap di genere in ogni ambito, non dimostrerà di rispettare le donne, di valorizzarne competenze e talenti nei ruoli di governo e di rappresentanza, il rispetto non potrà diventare un valore esigibile neppure dallo Stato.
  Ciò premesso, e riservandomi di far pervenire un contributo scritto da parte della Conferenza nazionale delle presidenti, maggiormente articolato e completo rispetto al respiro che oggi è concesso dai tempi dell'audizione, forniamo una sintesi estrema di alcune osservazioni.
  Il Capo I del decreto-legge in esame, che dagli articoli 1 a 5 è dedicato al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere, è da ritenere uno strumento utile, un segnale di presa in carico e di assunzione di responsabilità dell'ordinamento giuridico in merito alla violenza contro le donne, ma del tutto insufficiente a rappresentare l’optimum per contrastare un fenomeno dalle complesse caratteristiche storiche e socio-culturali, che per essere davvero contrastato impone di predisporre un terreno comune di norme, un portato culturale condiviso di valori e princìpi che ispirino non solo l'evoluzione dell'approccio sanzionatorio, pure importante, ma soprattutto l'azione integrata di soggetti e istituzioni che per ruolo, per competenza, per storia e per cultura siano dedicati a tradurre nella quotidianità l'obiettivo primario, cioè il no alla violenza di genere.
  Tale obiettivo non può essere perseguito neppure soltanto con la predisposizione di un Piano nazionale contro la violenza di genere, pur nella sua importanza, perché politiche di genere, di parità e antidiscriminatorie per divenire fondamenta strutturali del nostro stato di diritto necessitano di una normativa quadro condivisa che attui certamente l'ambizioso e non più rinviabile obiettivo della Convenzione di Istanbul, ma ancor prima inserisca nel sistema correttivi democratici e misuratori di uguaglianza che spezzino l'inerzia di un sistema miope, debole nel realizzare il più alto degli orizzonti costituzionali, ovvero la realizzazione dell'uguaglianza sostanziale.
  Se aggiungiamo che nella relazione tecnica di accompagnamento si afferma che l'articolo 5 prevede l'adozione di un Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, quando le risorse finanziarie e strumentali destinate a tal fine ai centri antiviolenza e agli enti locali sono ridotte al lumicino e di gran lunga inferiori ai criteri di minima accettabili, ci sembra si debba fare uno sforzo che renda visibile se questa è una priorità su cui investire per migliorare il nostro Paese e il nostro futuro oppure solo un'occasione fugace di rilievo istituzionale e giuridico.
  Entrando più nel merito, si ritiene l'introduzione di nuove aggravanti funzionale al messaggio sul bene giuridico tutelato più che alla prevenzione.
  Si ritiene l'irrevocabilità della querela presentata per stalking coerente con il ruolo di uno Stato pienamente ingaggiato su un'azione di contrasto che va oltre la volontà dell'individuo, ma al contempo, ammettendo di avere a che fare non con l'iperuranio ma con la cruda realtà, se a fronte di questa irrevocabilità non consegue un'adeguata tutela della vittima si rischia solo di far desistere le donne dalla denuncia e migliorare le statistiche. Ma non è questo che vogliamo, spero.
  L'ampliamento della gamma di misure coercitive a disposizione delle vittime è senza dubbio di grande utilità, così come pure le misure processuali di favore inserite nella proposta, nonché l'ammissione a gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito.
  Lo strumento dell'ammonimento presuppone un'adeguata formazione delle forze dell'ordine e del sistema complesso degli operatori che incrociano le esigenze della vittima e gli effetti della violenza. Andrebbero anche istituite sezioni specializzate, che proponiamo di favorire sia nei tribunali che nei corpi di polizia.
  In conclusione, speriamo e confidiamo che le regioni italiane, la rete degli enti Pag. 10locali possano essere valorizzati attraverso un sostegno per contrastare concretamente il fenomeno. Per raggiungere l'obiettivo, ovviamente la nostra Conferenza è a disposizione del Parlamento, per quanto utile a questo fine.
  Farò pervenire l'intervento completo.

  PRESIDENTE. Poiché con il presidente Sisto abbiamo voluto rendere questa indagine conoscitiva il più possibile ampia, vi chiedo di mantenervi nei tempi, altrimenti non potremo dare spazio a tutti.
  Vi rinnoviamo la richiesta di consegnarci eventuali elaborati scritti, in modo tale che vi sia una lettura completa da parte dei commissari, oltre quanto viene riferito in audizione, che è registrato e sarà resocontato.
  Passiamo all'audizione dei rappresentanti dell'Associazione nazionale volontarie del telefono rosa – onlus.
  È presente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente, accompagnata dalla vicepresidente Paola Lattes, dalla responsabile delle relazioni esterne Laura Palma Vassalli e dall'avvocato penalista Eugenia Scognamiglio.
  Do la parola alla presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli.

  MARIA GABRIELLA CARNIERI MOSCATELLI, Presidente dell'Associazione nazionale volontarie del telefono rosa – onlus. Esprimo solo un saluto e passo immediatamente la parola all'avvocato Eugenia Scognamiglio che vi parlerà in maniera più «tecnica». Venticinque anni di esperienza sul territorio ci danno la possibilità di dire tante cose. Abbiamo otto anni di esperienza nella gestione delle case di accoglienza e da un anno abbiamo la gestione del 1522, il numero di pubblica utilità dell'ex Ministero per le pari opportunità, oggi Dipartimento.
  La nostra esperienza, dunque, ci ha permesso di mettere a fuoco quattro punti importanti, che la mia collega svilupperà meglio. Per combattere la violenza sono importanti la prevenzione, l'educazione e la formazione, l'applicazione corretta e la velocizzazione nell'applicazione delle leggi e, infine, ma non meno importante, il trattamento del violento di cui continuiamo a non parlare.
  Mi fermo qui per non rubare il tempo alla collega, che vi dirà più specificatamente che cosa intendiamo per il trattamento del violento. Credo che se noi non arriviamo a far capire al violento perché è violento non estirperemo mai la violenza che esiste nella nostra società.

  PRESIDENTE. Do la parola all'avvocato Eugenia Scognamiglio.

  EUGENIA SCOGNAMIGLIO, Rappresentante dell'Associazione nazionale volontarie telefono rosa – onlus. Buongiorno a tutti. Per riprendere quanto affermato dalla presidente, mi riallaccio all'ultimo punto, ossia al trattamento del violento.
  Un esempio molto importante l'abbiamo con il carcere di Bollate, che ha cominciato questo trattamento attraverso l'applicazione di una serie di misure rieducative nei confronti delle vittime di violenza. Un primo punto che è stato affrontato dal carcere è stato quello di non «isolare» all'interno della struttura carceraria gli imputati e i condannati per violenza.
  Ovviamente la premessa è che il recupero dipende dalla persona e dalla volontà, ma il tentativo di provare questo recupero è un obbligo della società in cui viviamo, e per fare questo servono le risorse.
  Passo brevemente ad analizzare i tre punti che noi abbiamo verificato e constatato all'interno del decreto-legge essere di assoluta importanza. Faccio riferimento al diritto della persona offesa: una serie di misure sono state previste affinché la persona offesa potesse in qualche modo avere sempre e comunque conoscenza di quello che è il procedimento penale in corso, sia attraverso la notifica della richiesta di archiviazione sia attraverso la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini.
  Non dimentichiamo che, come per l'imputato è previsto un difensore d'ufficio, forse dovrebbe esserlo anche per la persona Pag. 11offesa. Numerose sono le situazioni processuali nelle quali le donne arrivano alla prima udienza completamente all'oscuro, sia della fase delle indagini sia della possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale. Soltanto prevedendo un avvocato per le persone offese, sin dal momento della denuncia alle forze dell'ordine, potremmo veramente attuare quelle garanzie legislative che portino a una parità tra la difesa dell'imputato e la difesa della persona offesa.
  Per quanto riguarda il patrocinio a spese dello Stato, abbiamo apprezzato il fatto che siano stati inseriti, oltre al reato di violenza sessuale, anche i reati di cui agli articoli 572 e 612-bis del codice penale. Intendo però segnalare un punto importante: è facoltà del giudice ammettere al patrocinio in deroga ai limiti di reddito. La legge ci dice, infatti, che «può» essere ammesso al patrocinio. Noi dobbiamo fare in modo che il «può» si trasformi in un obbligo, perché non possiamo lasciare alla discrezionalità del giudice il diritto di essere ammessi al patrocinio gratuito.
  Infine, i riti alternativi sono stati inseriti nel nostro codice dal legislatore sicuramente per ragioni di economia processuale. Riteniamo, però, che molto spesso l'applicazione di questi riti alternativi (faccio riferimento in particolare al rito abbreviato, a cui spesso gli imputati vittime di violenza ricorrono) comportano delle pene non congrue rispetto alla gravità dei fatti contestati.
  Noi abbiamo seguìto il caso di una donna vittima di una violenza sessuale, incinta al settimo mese di gravidanza, per la quale, per un rito abbreviato, l'imputato è stato condannato a una pena di 5 anni. Questo significa che, potenzialmente, un imputato condannato a una pena di 5 anni può scontare al massimo un anno. Dai 4 anni in giù, infatti, può ovviamente accedere alle misure alternative. Una nostra proposta, dunque, è di valutare l'ammissione del rito alternativo in reati così gravi.
  Infine, quanto alla violenza assistita, siamo assolutamente d'accordo con le misure che hanno recepito le disposizioni della Convenzione di Istanbul, ma vogliamo segnalare che, così come è inserita l'aggravante della violenza assistita nel reato di cui all'articolo 572, è giusto sia inserita anche nel reato di stalking.
  Faccio presente che faremo pervenire il prima possibile la documentazione che abbiamo predisposto per questa audizione.

  PRESIDENTE. La ringrazio per aver cercato di contenere i tempi indicando i punti essenziali del vostro intervento.
  Do ora la parola al presidente dell'associazione DI.RE., Titti Carrano.

  TITTI CARRANO, Presidente dell'Associazione DI.RE. (Donne in rete contro la violenza alle donne). Vorrei, innanzitutto, ringraziare i presidenti e i componenti delle Commissioni affari costituzionali e giustizia per l'invito a quest'audizione.
  L'Associazione nazionale DI.RE. svolge da anni una costante attività di contrasto alla violenza maschile contro le donne e di coordinamento delle risorse disponibili su tutto il territorio anche attraverso una formazione specifica rivolta a operatrici e operatori che, a vario titolo, si occupano di violenza maschile.
  DI.RE. rappresenta, al momento, 63 centri antiviolenza operanti a livello locale in tutta Italia; lavora in rete in ambito nazionale ed europeo internazionale con la rete europea WAVE, Women against Violence Europe, e con la rete internazionale dei centri antiviolenza del Global Network of Women's Shelters.
  Vorrei specificare che i centri antiviolenza, le case rifugio dell'associazione DI.RE., sono pochi, autonomi, non istituzionali, gestiti solo da donne e hanno lo specifico obiettivo di accompagnare le donne a uscire dalla violenza attraverso percorsi individuali, sostenute da operatrici specializzate, che hanno competenza non solo con riguardo alle misure di sostegno della donna, ma anche per attivare e mettere in rete i diversi soggetti che devono occuparsi del fenomeno.
  Possiamo affermare con forza che i cambiamenti culturali finora raggiunti Pag. 12sono in gran parte il risultato dell'impegno dei centri antiviolenza. La Convenzione di Istanbul è legge e ci auguriamo che non resti solo un'enunciazione di buoni princìpi. Proprio l'approccio della Convenzione si fonda, infatti, sul presupposto che la lotta alla violenza contro le donne richieda una strategia articolata e un lavoro tra attori impegnati su fronti diversi. Sono vari gli articoli della Convenzione che lo sostengono.
  Il decreto-legge oggi in esame non risponde a quanto richiesto dalla Convenzione di Istanbul e, soprattutto, non riconosce il ruolo strategico e fondamentale dei centri antiviolenza, che continuano ad avere un ruolo di sussidiarietà. I centri sono completamente assenti, eppure sono l'unica esperienza in Italia che garantisca un accompagnamento della donna in tutto il suo percorso, con una specifica e appropriata metodologia dell'accoglienza e un efficace coordinamento delle risorse territoriali disponibili.
  Aspettavamo una legge organica e, soprattutto, finanziata, che affrontasse tutti gli aspetti civili, amministrativi e penali con un adeguato sostegno ai centri antiviolenza. Il decreto-legge, invece, contiene solo norme penali dal contenuto eterogeneo.
  Vorrei anche sottolineare che, nella relazione di accompagnamento, si parla di allarme sociale: non siamo in presenza di alcun allarme sociale. La violenza contro le donne è un fenomeno strutturale della nostra società.
  Passo ora a svolgere alcune veloci osservazioni sul capo I del decreto-legge riguardo alla violenza assistita, ossia agli atti commessi in presenza di minori degli anni 18, finora riconosciuta solo con grandi forzature dalla giurisprudenza minoritaria. Noi giudichiamo non sufficiente la disposizione recata dal decreto-legge, proprio in vista della tutela dei minori, sempre coinvolti in questo tipo di situazione.
  L'articolo 31 della Convenzione di Istanbul chiede agli Stati di adottare misure legislative per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia o di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza e, ancora, che l'esercizio del diritto di custodia di visita non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima e dei bambini.
  Sarebbe, quindi, fondamentale introdurre esplicitamente la violenza intrafamiliare come causa di esclusione e di affidamento condiviso e di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale. Non dimentichiamo che sono tanti i bambini uccisi dal padre maltrattante solo per vendetta nei confronti della donna.
  Un altro punto sul quale vorrei soffermarmi è l'irrevocabilità della querela per il reato di stalking. Si ignora che tante donne sono state uccise dopo che avevano ripetutamente e inutilmente denunciato. L'irrevocabilità della querela, introdotta verosimilmente con l'intento di proteggere la donna da eventuali minacce o ritorsioni, è una responsabilità che al momento lo Stato non è in grado di assumersi.
  Quest'impostazione, infatti, presupporrebbe l'esistenza di un sistema di protezione efficace, in grado di tutelare la vittima sia per quanto riguarda la propria sicurezza, sia per la disponibilità di risorse per un percorso di uscita dalla violenza. Richiederebbe anche l'esistenza di una rete funzionante ed estesa su tutto il territorio nazionale, un numero di centri antiviolenza e case rifugio proporzionato alla popolazione e adeguatamente finanziato.
  Devo ricordare che la realtà italiana è, purtroppo, ben diversa. Non esiste un serio programma di protezione della vittima che ne tuteli l'incolumità a partire dalla denuncia, né un programma di interventi di prevenzione e contrasto della violenza.
  Oggi, le donne che subiscono violenza in Italia non trovano un'adeguata protezione. Esistono pochi centri antiviolenza, solo un centinaio su tutto il territorio nazionale, di cui 63 aderenti a DI.RE., non tutti in grado di offrire ospitalità alle donne vittime di violenza e ai loro figli. Ancora in intere regioni e vasti territori non è presente alcuna offerta specifica per le donne. Non è neanche da sottovalutare Pag. 13il rischio di chiusura di molti centri per la costante mancata destinazione di risorse finanziarie.
  I posti letto sono gravemente insufficienti e tutti conosciamo ormai la famosa raccomandazione del Consiglio d'Europa: dovremmo disporre almeno di 5.711 posti letto, mentre ne abbiamo 500. Devono essere garantiti a tutte le donne vittime di violenza anche i diritti sociali ed economici, proprio per sostenerle in questo percorso di uscita dalla violenza.
  Un punto molto critico del decreto-legge riguarda proprio l'articolo 5, l'elaborazione del piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere. Tale piano non può essere straordinario perché, come sottolineavo, la violenza maschile contro le donne non è un fatto straordinario, non c’è allarme sociale, non siamo in una situazione di emergenza: purtroppo, è un dato strutturale della nostra società. La violenza sessuale è, tra l'altro, una sola delle forme in cui si esprime la violenza contro le donne. In questo senso, non capiamo per quale motivo debba essere affrontata con misure straordinarie.
  Il piano nazionale è attualmente in scadenza, novembre 2013, per cui giudichiamo il rinnovo una grande opportunità. È importante riconoscere il ruolo dei centri antiviolenza, tutto il portato culturale e politico, l'attività di oltre vent'anni sul territorio e, soprattutto, approvare una legge adeguatamente finanziata.
  Il riferimento al fondo di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri è totalmente insufficiente a realizzare quanto previsto nell'articolo 5. È anche necessario prevedere l'istituzione di un comitato nazionale sulla violenza di genere con la finalità di garantire un coordinamento delle attività di prevenzione e di contrasto della violenza su tutto il territorio e monitorare il fenomeno.

  PRESIDENTE. Grazie presidente. Do ora la parola ad Antonella Anselmo, rappresentante del Comitato Se Non Ora Quando – Libere.

  ANTONELLA ANSELMO, Rappresentante del Comitato Se Non Ora Quando – Libere. Buongiorno, presidente. Ringrazio sentitamente per quest'opportunità i Presidenti e tutti i componenti delle Commissioni giustizia e affari costituzionali.
  Sarò rapida e procederò per punti per ragioni di tempo. Lascerò, quindi, la relazione scritta con la documentazione allegata.
  All'interno del movimento Se Non Ora Quando, abbiamo contribuito all'elaborazione di una campagna di sensibilizzazione dalla quale sono scaturite anche iniziative molto importanti nelle scuole. Dalle parole dei ragazzi abbiamo capito quanto sia importante andare avanti in questo processo di approfondimento sui temi dell'uguaglianza e del rispetto delle differenze.
  Emerge un grave scollamento tra la vita reale e l'attuazione del diritto, incapace di garantire la sicurezza delle donne di vivere sicure, specie nell'ambito dei rapporti relazionali affettivi con gli uomini. Ci troviamo di fronte a una domanda sociale insoddisfatta, alla quale la politica deve offrire risposte non più procrastinabili.
  La violazione dei diritti fondamentali della persona è tra le più gravi discriminazioni ancora tollerate dallo Stato, aggravata oggi dalla crisi economica. In questo contesto congiunturale, è un fatto politico che affonda le radici in contesti sociali, culturali ed economici che mettono a rischio la tenuta democratica del Paese. L'approccio, quindi, deve essere privo di ideologismi, divisioni di parte e dogmi. Interessa tutti.
  Il diritto internazionale impone la visione di genere e che la risposta degli Stati sia fornita con politiche integrate e strutturali, ma dobbiamo anche considerare l'evoluzione del diritto europeo dopo Lisbona, che si evolve verso la creazione di uno spazio di sicurezza e giustizia per tutti i cittadini e le cittadine europee, che si fonderà sempre di più sulla cooperazione giudiziaria tra Stati e la maggiore attenzione ai diritti, alle garanzie e alla protezione delle vittime.Pag. 14
  Stiamo assistendo, in un certo senso, a un'evoluzione del processo penale in chiave europea, che affianca agli istituti di garanzia degli imputati anche e soprattutto un'attenzione per le vittime in una funzione di equiparazione dei rapporti delle parti nel processo. Questa è una visione molto importante da tener presente. Le direttive europee, infatti, sono poi recepite nell'ordinamento nazionale in questo processo continuo di contaminazione tra ordinamenti.
  Il decreto-legge n. 93 del 2013 si pone anche in linea di continuità rispetto alla legge sulla violenza sessuale e a quella dello stalking; attua in parte – ancorché in modo molto frammentario – alcune disposizioni della Convenzione di Istanbul, soprattutto in materia di violenza domestica, e cerca di avvicinare alcune fattispecie legate da una natura discriminatoria nei confronti delle donne.
  È in corso, quindi, il tentativo di uscire da una visione frammentata per cercare di creare un filo conduttore tra questo tipo di fattispecie di reati, ovviamente non previsto nell'impianto generale, non concepito ab origine.
  Questo è anche un effetto dello spirito di molte direttive europee recepite dall'ordinamento interno proprio in tema di protezione delle vittime e porta anche a un'estensione di alcune misure di protezione a loro sostegno.
  Sicuramente, sono vere molte delle critiche che ho sentito, per cui non mi soffermerò su questo. Grandi sono le perplessità, molti gli aspetti tecnici che vanno valutati, ma è un'occasione importante, che non bisogna farsi sfuggire perché si tratta di un processo molto lungo e che non va interrotto.
  Per quanto riguarda il piano straordinario, questo probabilmente, nella visione della decretazione d'urgenza, vuole anticipare gli effetti di una completa attuazione della Convenzione di Istanbul, che sappiamo sarà molto lunga e faticosa anche nel processo normativo e di vera attuazione.
  Ovviamente, come è stato già evidenziato, difetta però di risorse adeguate, per cui la sua attuazione concreta è a rischio. Sappiamo che la Convenzione di Istanbul pone, tra le prime finalità, che qualunque piano di intervento sia supportato da risorse adeguate. Senza risorse adeguate, è lettera morta.
  I correttivi da introdurre, a mio parere, oltre al sostegno ai centri antiviolenza, che svolgono una funzione essenziale su tutto il territorio nazionale, consistono assolutamente nella raccolta e rilevazione dei dati disaggregati, inserita in maniera strutturale, definitiva all'interno del sistema di statistica nazionale. Disponiamo soltanto dello studio ISTAT del 2006, fondamentale per la conoscenza del fenomeno e che è stato effettuato in virtù di una convenzione tra il Ministero per le pari opportunità e l'ISTAT, ma non è possibile che i monitoraggi siano affidati a interventi episodici. Devono essere strutturali.
  È fondamentale, altresì, la formazione degli operatori e delle professionalità. Rilevo qui come si sia sempre dimenticata la formazione degli avvocati. Questo è un dato fondamentale. Nel piano nazionale del 2010, non si parla degli avvocati eppure sono quelli che assistono la vittima, scelgono le strategie difensive e devono conoscere il diritto europeo. È fondamentale, quindi, il coinvolgimento del Consiglio nazionale forense e degli ordini professionali.
  Di questo si sono accorti anche nella Commissione europea, che ha incluso, nell'ambito delle politiche di integrazione della formazione degli operatori, anche e soprattutto gli avvocati, oltre, ovviamente, ai magistrati e ai cancellieri degli uffici giudiziari.
  Per quanto riguarda il sistema del finanziamento del fondo, credo che vada corretto un meccanismo. La modalità della concertazione alla base dell'elaborazione del piano straordinario prevede che il Dipartimento per le pari opportunità sia la struttura proponente affidando a questo la redazione del piano, sentite le altre amministrazioni interessate. Le altre amministrazioni interessate sono coinvolte a Pag. 15livello procedurale, ma non lo sono a quello dello stanziamento delle proprie risorse ordinarie.
  Siamo coscienti dei vincoli di pareggio di bilancio, che purtroppo non possiamo sforare da quelli e che le risorse son quelle assegnate: è bene, dunque, che si crei il meccanismo di un taglio a monte nelle risorse dei rispettivi dicasteri. La compartecipazione in un approccio integrato e globale deve avvenire, infatti, anche a carico dei vari ministeri, che devono orientare in maniera sistematica le proprie attività ordinarie.
  Per raggiungere questi obiettivi, credo sia arrivato il tempo di pensare a un codice che raccolga il diritto già stratificato, conferendogli un assetto ordinato e che accompagni il processo normativo verso la piena attuazione della Convenzione di Istanbul.

  PRESIDENTE. La ringrazio per essere rimasta pienamente nei tempi e anche per il documento scritto, che già risulta agli atti.
  Do ora la parola alle rappresentanti del Comitato Se Non Ora Quando – Factory. È presente Giulia Lunetta Savino, accompagnata da Giorgia Serughetti e Loredana Taddei.

  GIULIA LUNETTA SAVINO, Rappresentante del Comitato Se Non Ora Quando – Factory. Buongiorno a tutti. Portiamo questo contributo come donne del movimento Se Non Ora Quando in rappresentanza di 36 comitati della nostra rete nazionale. Ringraziamo per l'opportunità offerta di condividere con voi, seppure per pochi minuti, alcuni rilievi in materia del decreto-legge n. 93 del 2013 nell'ambito di quest'indagine conoscitiva.
  In premessa, vogliamo richiamare il sentimento di dolore e rabbia che provocano in noi e in tante e tanti cittadini di questo Paese le notizie quasi quotidiane di uccisioni di donne per mano di un partner, un ex compagno, un amante respinto, un familiare maschio determinati a impedire loro di vivere un'esistenza libera.
  Vogliamo anche esprimere con forza la convinzione che queste cronache chiamino lo Stato all'assunzione di una responsabilità politica. Rachida Manjoo, relatrice speciale dell'ONU per il contrasto della violenza contro le donne, definì i femminicidi in Italia come crimini di Stato, tollerati dalle pubbliche istituzioni per la loro incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne.
  Noi vogliano che lo Stato italiano non si renda mai più complice di queste morti. Tuttavia, ci chiediamo e vi chiediamo cosa significa per lo Stato assumersi questa responsabilità nella prevenzione e nel contrasto della violenza sulle donne.
  Ci troviamo a discutere questo decreto-legge, rinominato dalla stampa «decreto sul femminicidio», che ha il merito di raccogliere un sentimento di crescente insofferenza, diffuso tra le donne e gli uomini di questo Paese, verso un fenomeno che sempre meno è percepito come ineluttabile.
  Ha anche, nell'intenzione degli estensori, il meritorio scopo di dare attuazione ad alcune disposizioni contenute nella Convenzione di Istanbul, ma noi non possiamo tacere la nostra forte perplessità rispetto a un atto normativo che, contraddicendo queste stesse premesse, riduce la violenza contro le donne a un problema di ordine pubblico e, utilizzando una lente securitaria, la mette sullo stesso piano della violenza negli stadi e del furto di rame.
  La violenza contro le donne riguarda la società intera, non solo gli uomini violenti. Non è nemmeno un'emergenza sociale, ma un fenomeno profondamente culturale perché riguarda il sentimento di possesso delle donne che nel profondo degli uomini è ancora molto vivo e insospettato.
  La Convenzione di Istanbul, che pure è richiamata dal provvedimento, la definisce come una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti nonché come uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.Pag. 16
  È con questa consapevolezza che la Convenzione sviluppa un ampio capitolo relativo alla prevenzione, che non si limita affatto a misure di polizia, come l'istituto dell'ammonimento, ma include la sensibilizzazione, l'intervento educativo, la riforma dei programmi scolastici, la formazione degli operatori della scuola, dei servizi, delle forze dell'ordine, la presa in carico degli autori di violenza nonché la regolamentazione e l'autoregolamentazione dei mass media e della pubblicità per promuovere il rispetto e la dignità delle donne.
  È così che anche noi intendiamo il lavoro che deve essere svolto in profondità, sulle radici della violenza di genere. La nostra campagna «Mai più complici», lanciata più di un anno fa e che raccolse più di 40.000 firme, andava in questa direzione, di spostamento culturale e simbolico del discorso sulla violenza contro le donne. Per la prima volta, si rivolgeva agli uomini, chiedendo loro di prendere la parola.
  Rispetto a questo, tuttavia, nel presente decreto-legge non rileviamo alcun impegno concreto, perciò vi chiediamo: credete davvero che il cambiamento della mentalità di un intero Paese possa prodursi solo grazie a delle aggravanti introdotte per legge ? Gli uomini condannati per reati di stupro, maltrattamento, stalking, sempreché scontino la pena prevista, saranno uomini diversi, una volta usciti, se mancherà completamente l'attenzione alla loro presa in carico ? La cronaca è piena di casi di stalker che, appena usciti dal carcere, tornano a tormentare le loro vittime.
  Allo stesso modo, riteniamo assai rischioso prevedere nuove misure come l'irrevocabilità della querela e la procedibilità d'ufficio per i casi di violenza domestica in assenza di previsioni di intervento né strutturali né straordinari per il sostegno e la promozione dei centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale, per poter accompagnare le donne nella denuncia, nella separazione dal coniuge, nella costruzione di nuovi percorsi di vita.
  Anche nei casi di allontanamento d'urgenza del violento dall'abitazione familiare, una misura che ci trova del tutto favorevoli, chi proteggerà la donna da partner o da ex disposti a tutto pur di conservare il possesso di lei ? Dove andranno gli uomini allontanati ? Saranno in qualche modo affidati ai servizi ?
  In realtà, crediamo di poter affermare che ciò che ha impedito a molte vittime di sfuggire i loro assassini non siano stati né vuoti normativi né pene inadeguate, ma la mancata applicazione della normativa esistente.
  Come commentare altrimenti il caso di Rosi Bonanno, per menzionarne uno solo, una donna di 25 anni che a Palermo aveva denunciato sei volte l'ex compagno per stalking e per violenza sessuale prima di essere uccisa a coltellate davanti al figlioletto di due anni ?
  Non possiamo, inoltre, tacere la convinzione che un serio ed efficace intervento pubblico sulla violenza di genere debba essere svolto in stretto coordinamento con altri fronti, come la riduzione dei tempi dei processi e il potenziamento delle possibilità occupazionali, che renda le donne più indipendenti e meno ricattabili.
  Per quanto riguarda, infine, le donne straniere, siamo convinte che sia positiva l'introduzione del permesso di soggiorno per protezione sociale ex articolo 18 del testo unico sull'immigrazione anche per i casi di violenza domestica.
  Tuttavia, rileviamo come manchino specifiche garanzie rispetto agli interventi di protezione prolungata e a sostegno all'autodeterminazione e integrazione sociale in mancanza di un convinto finanziamento ai centri antiviolenza, che delle donne straniere dovrebbero naturalmente occuparsi, con il rischio che le vittime ricadano sotto l'ordinaria disciplina per l'accoglienza, già piena di lacune e del tutto inadeguata, rivolta a migranti destinatari di permessi per motivi umanitari.
  In sintesi, chiediamo alle Commissioni riunite di esaminare il testo alla luce di un approccio ampio di intervento integrato sul fenomeno. Nello specifico, riteniamo imprescindibile almeno prevedere, all'articolo 5, uno stanziamento economico adeguato Pag. 17per le misure enumerate nel piano d'azione straordinario, oltre al rifinanziamento del piano nazionale antiviolenza con specifiche voci di spesa per la rete dei centri antiviolenza. Le risorse, per quanto limitate, possono essere reperite a partire dai fondi europei, spesso inadeguatamente spesi e ritornati negli anni scandalosamente alla fonte.
  Infine, riteniamo indispensabile tracciare insieme all'associazionismo di settore e ai rappresentanti della scuola, della sanità, dei servizi sociali, delle forze dell'ordine, della magistratura, un percorso che conduca al più presto all'approvazione di un testo unico contro la violenza sulle donne.
  Questo – partendo dalla Convenzione di Istanbul, dalle leggi esistenti e dalle numerose proposte di legge già presentate, come quelle sull'educazione sentimentale – dovrebbe affrontare il problema complessivamente, con una serie di interventi combinati sul piano culturale, educativo, formativo ed economico finanziario.

  PRESIDENTE. Prima di cedere la parola alle associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More !, preciso che, dal momento che l'associazione raccoglie una serie di organismi interni, abbiamo concordato di dare la parola a due di loro.
  Sono presenti Vittoria Tola, Unione Donne in Italia; Francesca Koch, Casa Internazionale delle Donne; Luisa Betti Giulia, Piattaforma CEDAW, Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne; Simona Lanzoni, Pangea; Barbara Spinelli, Giuristi democratici; Maria Grazia Ruggerini, LE NOVE, e Oria Gargano, Be Free.
  Secondo gli accordi intercorsi, riferiranno Barbara Spinelli e Vittoria Tola, alle quali do la parola.

  BARBARA SPINELLI, Rappresentante delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More !. Buongiorno Presidenti. Ringrazio da parte di tutte le associazioni che compongono la Convenzione No More!, le Commissioni per l'opportunità che ci hanno dato oggi con quest'audizione.
  Quando parliamo di violenza maschile sulle donne, parliamo di una violazione dei diritti umani delle donne, a partire da quello alla vita e all'integrità psico-fisica. Quando parliamo di femminicidio, parliamo del fatto che, davanti a un calo generale degli omicidi in Italia negli ultimi trent'anni, e tra questi anche degli omicidi di donne, assistiamo a un lento ma graduale aumento degli omicidi di donne basati sul genere. Tale aumento risulta dai dati ufficiali per quanto concerne l'aumento degli omicidi commessi in famiglia al termine della relazione, da parte di uomini su donne, ed è verificabile sulla base dei dati raccolti dalla stampa – il rapporto EURES-ANSA e i dati raccolti dalla Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna – anche per gli omicidi di donne prostituite, ad opera di sfruttatori e clienti, e per gli omicidi di donne che si rifiutano di aderire a matrimoni forzati.
  È stata, inoltre, compiuta un'analisi sui fascicoli giudiziari dalla professoressa Baldry, che ha analizzato più di 500 fascicoli, riscontrando dati già emersi dalle ricerche sui dati della stampa, secondo cui, in ben 7,5 casi su 10, il femminicidio non è un atto isolato, ma l'atto ultimo di una serie di violenze pregresse, costituenti reato, che erano già state denunciate dalla donna, o per le quali erano già state inoltrate una o più chiamate in emergenza alle forze dell'ordine, o relative a situazioni già prese in carico dai servizi sociali.
  Questo significa che, se dal 2005 ad oggi l'aumento dei femminicidi è cosa nota e documentata e si riduce a pochi casi, circa 5 all'anno, non siamo davanti ad una emergenza. Ciò che preoccupa è il dato dei 7,5 femminicidi su 10 preceduti da violenze di lungo termine, note alle forze dell'ordine ed alle istituzioni, che ci testimonia, purtroppo, che la risposta istituzionale alla richiesta di aiuto proveniente da queste donne è stata inadeguata, e che esiste una discriminazione strutturale nell'accesso delle donne vittime di violenza nelle relazioni di intimità alla giustizia.Pag. 18
  Questo significa che, in 7 casi su 10, le istituzioni sono responsabili per la violazione del diritto alla vita di quelle donne vittime di femminicidio, a causa dell'inadeguatezza della risposta istituzionale alla loro richiesta d'aiuto. A livello internazionale, il dato è già stato individuato come fonte di responsabilità sia dalla giurisprudenza della CEDU – si citano i casi Opuz contro Turchia del 2009 e, soprattutto, Maiorano contro Italia – sia dalla giurisprudenza del Comitato CEDAW, sia da altre fonti internazionali.
  In particolare, il dato è noto per quanto riguarda l'Italia perché è stato contestato dal Comitato CEDAW nel 2011: nelle Osservazioni Conclusive rivolte al Governo italiano, il Comitato si dichiarava preoccupato del dato relativo ai femminicidi commessi da partner o ex partner, nella misura in cui era rappresentativo del fallimento delle autorità nel proteggere adeguatamente le donne che hanno subito violenza nelle relazioni di intimità: infatti, in un elevato numero di casi, – più di 7 su 10 – l'omicidio della donna, è preceduto da uno o più atti di violenza commessi dal partner o dall'ex partner nei confronti di quella donna e noti alle istituzioni.
  Non abbiamo bisogno di inventare la ragione di questo fallimento. E già stato ampiamente spiegato al Governo nel Rapporto Ombra presentato da un gran numero di associazioni riunite nella Piattaforma «30 anni di CEDAW: Lavori in corsa» al Comitato CEDAW nel 2011, ma soprattutto è stato approfondito dalle Nazioni Unite sia nelle raccomandazioni rivolte al Governo italiano dalla CEDAW nel 2011 sia, soprattutto, nel Rapporto sulla missione in Italia della Relatrice Speciale dell'ONU contro la violenza sulle donne, Rachida Manjoo, del 2012.
  È ben chiaro, quindi, che non esiste un allarme sociale per un aumento esponenziale del numero di femminicidi. Anzi dal 2011 è nota alle istituzioni l'urgenza di raccogliere dati sulla vittimizzazione e sulla risposta del sistema giudiziario alla richiesta di aiuto proveniente dalle donne. Occorre che le istituzioni verifichino l'efficacia del quadro normativo attuale, indaghino sulle ragioni per cui le leggi esistenti nel nostro Paese non sono attuate, o sono implementate diversamente da tribunale a tribunale.
  Mi riferisco, in particolare, all'assenza di dati relativi all'applicazione della legge n. 154 del 2001 e a tutti i dati relativi all'applicazione delle misure cautelari, relativamente a quei reati che costituiscono violenza di genere, dati che ad oggi non sono noti. Occorre, inoltre, incrociando i dati relativi all'applicazione delle misure di protezione esistenti, capire se e in quale misura la formazione professionale incide positivamente sulla corretta applicazione delle leggi, ovvero quanto i pregiudizi di genere influiscono nel rafforzare la percezione di impunità.
  Queste informazioni, la cui raccolta è richiesta dalle Nazioni Unite, sono indispensabili per una seria riforma in materia di giustizia penale, eppure non se ne dispone. Occorre, allora, capire dove e come interviene questo decreto, come prende atto delle raccomandazioni esistenti: le misure che vuole introdurre con urgenza sono idonee a determinare un impatto immediato sulla protezione delle donne? Soddisfano i requisiti di costituzionalità richiesti dall'articolo 77? A nostro avviso no. Questo decreto interviene in assenza sia del requisito dell'urgenza, che del requisito della necessità. Il Parlamento, infatti, stava giustamente già lavorando su questi temi. Infatti, alla Camera sono in discussione vari disegni di legge sul femminicidio, che tentano di introdurre nell'ordinamento una riforma organica della materia. Al Senato invece è in discussione un disegno di legge per l'istituzione di una Commissione bicamerale sul femminicidio. L'istituzione di questa Commissione è stata sollecitata con forza dai capigruppo di tutti i partiti, congiuntamente, proprio perché si è preso atto della necessità di raccogliere i dati relativi alla vittimizzazione ed all'accesso delle donne al sistema di giustizia.
  Anche per il modo in cui sono state formulate, le disposizioni contenute nel decreto legge non risultano idonee a determinare Pag. 19un impatto effettivo sulla vita delle donne. L'inidoneità delle disposizioni contenute nel decreto si deve a due motivi principali. Il primo di questi è la ratio indicata come base della norma, quella di un intervento di pubblica sicurezza che vuole le donne come soggetto debole, quindi non orientata l'azione legislativa a quell'obiettivo di protezione dei diritti delle donne richiesto dalla Convenzione di Istanbul. In secondo luogo, il decreto non recepisce la logica della Convenzione e viola i princìpi in essa contenuti: l'effetto ottenuto dal legislatore è quello di ridurre diritti che, invece, si vorrebbero implementare. Manca, infatti, una visione di sistema dei princìpi che, in astratto, dovrebbero regolare l'accesso e la partecipazione della donna vittima di violenza alla giustizia penale.
  Abbiamo individuato, in particolare, violazioni dell'articolo 117, comma primo, e dell'articolo 3 della Costituzione: numerose delle disposizioni introducono un differente trattamento di situazioni uguali, in violazione di obblighi europei e internazionali. La macrolesione dell'articolo 117, comma primo, quella che determina l'inefficacia di molte delle norme contenute nel decreto, è data dalla definizione restrittiva di violenza domestica che il decreto vuole introdurre rispetto a quella contenuta nella Convenzione di Istanbul: all'originaria definizione infatti è aggiunta la dicitura che specifica il riferimento agli atti non episodici. In altri termini, quindi, ai fini dell'applicazione delle norme introdotte dal decreto, non rileva il singolo atto di violenza, o l'atto di violenza occasionale, cui le disposizioni contenute non sono applicabili, ma taluni diritti, talune forme di protezione contenute nel decreto, sono applicabili solo a quegli atti di violenza abituale che idealmente configurano i maltrattamenti o gli atti persecutori. Questo genera l'effetto a cascata di restringere la sfera applicativa nell'ordinamento interno di tutti gli obblighi internazionali discendenti dalla Convenzione.

  PRESIDENTE. La invito a concludere. Grazie.

  BARBARA SPINELLI, Rappresentante delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More !. Molto brevemente, il punto principale riguarda tutti gli obblighi di informazione di cui all'articolo 2 del decreto in applicazione della direttiva europea 29/2012/VE. A nostro avviso andrebbero soppressi in quanto il Governo ha ricevuto autonoma delega per il recepimento delle misure contenute in questa direttiva ai sensi della legge n. 96 del 2013 di delegazione europea, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 20 agosto. Così come disciplinati nel decreto, questi obblighi restringono indebitamente l'ambito di applicazione della direttiva europea, per cui riteniamo che sarebbe fondamentale, in assenza di delega, sopprimerli e lasciare al Governo di modificare compiutamente la disciplina col decreto legislativo attuativo della legge comunitaria.

  PRESIDENTE. La prego di avviarsi rapidamente alla conclusione ed, eventualmente, di depositare agli atti il suo documento, in modo da poter dare spazio anche agli altri interventi.

  BARBARA SPINELLI, Rappresentante delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More !. È stato inviato un corposo documento di commento al decreto legge, che già è a disposizione delle Commissioni. Si vuole evidenziare in conclusione che la definizione restrittiva di violenza domestica adottata nel decreto, determina altresì l'impossibilità applicativa delle misure di cui all'articolo 2, lettere a), c) e d).
  Se infatti le misure ivi previste si riducono ad essere applicabili ai soli reati di maltrattamento e atti persecutori, già procedibili d'ufficio, la loro utilità viene meno, ed anzi determina per le donne che si trovano in tale situazione una minore protezione rispetto a quella già prevista attualmente con la procedibilità d'ufficio e l'applicabilità dell'arresto in flagranza per questi reati. Per il resto, nel dettaglio delle singole disposizioni, rimando alla relazione messa a disposizione. Grazie.

Pag. 20

  PRESIDENTE. Do ora la parola a Vittoria Tola.

  VITTORIA TOLA, Rappresentante dell'Unione donne d'Italia, nell'ambito delle Associazioni promotrici della Convenzione antiviolenza No More !. Ringrazio i presidenti e i membri delle Commissioni.
  Ribadisco, a mia volta, che il modo con cui il Governo Letta ha affrontato la violenza contro le donne non ci soddisfa per i tempi scelti, né per la forma, né per il contenuto. Da tutto il lavoro svolto aspettavamo da tempo la revisione del piano nazionale, il varo di un nuovo piano adeguatamente rivisto e finanziato, l'attuazione di direttive europee di grande importanza per aiutare le vittime di reato e le norme attuative della Convenzione di Istanbul; inoltre, con un confronto adeguato in Parlamento, la verifica degli aspetti delle leggi esistenti e l'elaborazione di una legge organica che affronti tutti gli aspetti del fenomeno.
  Lo abbiamo chiesto singolarmente come associazione e dal 2012 come Convenzione No More !, che non a caso è un patto tra associazioni diverse, che hanno svolto molte e diverse attività nel corso degli anni per richiamare lo Stato alle sue responsabilità e proporre una piattaforma di precise indicazioni alle istituzioni e al potere politico per contenere, rallentare e tentare di arrestare la violenza contro le donne e il femminicidio.
  Le nostre proposte sono nate da una lunga esperienza e dalla consapevolezza delle debolezze, quando non delle vere e proprie complicità del sistema statuale, con gli uomini violenti, per ignoranza, per minimizzazione, a volte per vera e propria complicità politica e culturale, che rendono molto difficile per le donne fare emergere il problema, a meno di non pagare prezzi disumani.
  Basta guardare all'alto numero di denunce a cui le forze dell'ordine non danno seguito, al numero delle donne uccise dopo aver denunciato senza risultato, per non parlare di tutte le donne dissuase dal denunciare uomini violenti. Non a caso, da molto tempo stiamo chiedendo l'abolizione o, comunque, la modifica dell'articolo 1 della legge del testo unico di pubblica sicurezza del 1931, considerato appunto quello che incita al dovere di conciliazione. Non sono, dunque, le leggi, come è stato detto, a mancare, ma è la loro applicazione che lascia molto a desiderare per tutte le ragioni già descritte.
  Allo stesso modo, lasciano a desiderare l’iter processuale e i tempi dei processi. Aggiungo un esempio a quelli già citati: lo stupro della ragazzina di Montalto è durato 7 anni, cominciato quando era minorenne, come gli stessi stupratori, ed è finito con pene applicate a maggiorenni senza che lei abbia ricevuto alcuna giustizia. Come a lei, è accaduto a tante altre in tanti altri tribunali italiani.
  Se questo è il quadro dei problemi, quello che ha fatto parlare Rachida Manjoo di un fallimento delle autorità dello Stato, avremmo avuto bisogno, appunto, di un pacchetto di proposte che non fosse semplicemente aggravante di norme esistenti e di un pacchetto sicurezza. Non l'abbiamo ricevuto che il 17 di agosto e a cose fatte, ma con un contenuto eterogeneo e sempre nella logica dei decreti sicurezza, che mettono insieme sicurezza di ordine pubblico con altri argomenti.
  Al di là del fatto che il decreto-legge dovrebbe essere adottato, appunto, in casi di straordinaria necessità ed urgenza, vale la pena richiamare che nel preambolo questo decreto è giustificato in base all'enunciazione del susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno alle donne e da cui si trae un conseguente allarme sociale che rende necessario inasprire le finalità dissuasive e il trattamento punitivo per gli autori.
  Emerge, come spesso da noi denunciato, il fatto, che anche oggi ritorna, che il Governo non ha dati e che l'unico presupposto di legittimità costituzionale è basato sul fatto, come recita il decreto, che il Ministero dell'interno deve elaborare annualmente un'analisi criminologica e che lo stesso Piano straordinario, che tra l'altro ha una definizione peggiore del precedente, lo deve fare da qui al futuro.Pag. 21
  Quanto agli altri elementi, sappiamo che anche nel contenuto ci sono più ombre che luci. Anche nelle norme che potrebbero sostanzialmente andare bene, il fatto che siano tutte di esclusivo carattere penale ci pone dei problemi.
  Comincio dall'articolo 5: il Piano d'azione straordinario. Perché straordinario ? Cosa vuol dire «straordinario» ? Ce n’è già uno in vigore da tre anni, dovrà essere verificato a novembre; ha utilizzato quasi tutti i soldi che aveva a disposizione, e non ne ha avuto molti dal 2008 ad oggi. Perché, quindi, straordinario ? Perché definisce finanziamenti migliori ? Perché ha efficacia diversa e responsabilità più chiare ?
  Non solo vorremmo che questo articolo venisse soppresso, ma che il Parlamento tutto chiedesse al Governo, nelle forme più efficaci, la verifica dei risultati e dell'efficacia del Piano esistente, delle ragioni che ne hanno determinato l'esito, di che cosa bisogna cambiare. Si deve chiedere che questo cambiamento avvenga non solo con gli enti locali ma soprattutto con le associazioni delle donne, le quali possano definire, insieme al Dipartimento per le pari opportunità che ne ha la titolarità, le azioni, tutte adeguatamente finanziate, partendo dalla raccolta dei dati, che deve essere strutturata e organica, nonché prevedere che le diverse amministrazioni dello Stato parlino tra loro.
  Non ci sono solo le forze di polizia o la magistratura; ci sono i pronto soccorsi, i servizi sociali, tante altre realtà, e non si possono raccogliere tanto per dire, ma bisogna raccoglierli in un modo integrato, come dice la Convenzione No More !, che non a caso è in sintonia con tutti gli organismi internazionali.
  Vogliamo, tra l'altro, chiedere alle Commissioni di merito che finalmente, nella parte di decreto che diventerà legge, si faccia pulizia nel vocabolario usato; un vocabolario oscillante, incerto, confuso, che dimostra la vaghezza con cui si guarda al fenomeno. Si parla di violenza di genere, poi di violenza sessuale, poi di stalking: come se violenza sessuale e stalking, così come i maltrattamenti, non fossero tutti violenza di genere, mentre la violenza domestica, che riprende la definizione di Istanbul, non a caso lo fa con un requisito fortemente restrittivo, gli «atti non episodici».
  Sebbene questo decreto sia stato annunciato come un decreto contro il femminicidio, non può diventare una legge contro il femminicidio, perché in esso nessuna norma si riferisce agli assassinii di donne da parte di uomini con cui sono in relazione di intimità e di prossimità, a meno di pensare che ogni legge penale svolga di per sé funzione di prevenzione dei femminicidi. Non lo sono una serie di norme, neanche quelle, che pure apprezziamo, che riguardano la questione dell'aggravante per la violenza assistita di minori fino a diciotto anni, perché questo è un argomento complesso che richiede ben altre azioni, e non solo di diritto penale.
  Un aspetto molto importante di questo testo è quello della costante informazione in ordine allo svolgimento dei relativi procedimenti penali. Perché bisogna ridurla solo ai maltrattamenti contro i familiari e i conviventi ? Perché solo per alcune delle misure cautelari e non per la custodia in carcere ?
  Anche la nuova misura dell'allontanamento attribuita alla polizia giudiziaria, che era facoltativa e che adesso viene esercitata d'ufficio, in realtà non fa i conti con il punto essenziale, cioè la formazione professionale delle forze di polizia.
  Se tutto questo è vero, la questione è di partire non dalla fine, ma dall'inizio, ed è questo l'appello che facciamo alle Commissioni. La Convenzione di Istanbul non può essere applicata per decreto in maniera «spezzettata». La necessità di attrezzare l'intero sistema statuale italiano, in ogni parte degli organi centrali e periferici dello Stato, non può che precedere qualunque altra forma di aggravamento penale.

  PRESIDENTE. Passiamo all'audizione di rappresentanti dell'Associazione centro di ascolto uomini maltrattanti – onlus.Pag. 22
  Sono presenti Alessandra Pauncz, presidente, e Andrea Cicogni, vicepresidente.
  Do la parola alla presidente Pauncz.

  ALESSANDRA PAUNCZ, Presidente dell'Associazione centro di ascolto uomini maltrattanti – onlus. Ringrazio i presidenti delle Commissioni per l'invito di oggi e per la possibilità di contribuire alla costruzione del decreto sulla violenza di genere di cui oggi si discute.
  Chi sono gli uomini che agiscono violenza ? Sono dei mostri, degli esseri abbietti ? Sono privi di umana pietà ? Sono crudeli tiranni che vogliono solo distruggere ? Se guardiamo solo la punta dell’iceberg, cioè i 130 casi di femminicidio all'anno, forse saremmo tentati di dire di sì, ma noi sappiamo che in Italia il problema è molto più esteso. I dati ISTAT ci dicono che fra il 20 e il 30 per cento delle donne in Italia ha subito una violenza da parte di un uomo. Questo significa che anche fra il 20 e il 30 per cento degli uomini agisce violenza.
  Se parliamo di un fenomeno così esteso e che riguarda la vita di così tante persone, dobbiamo cominciare a porci delle domande rispetto a cosa dobbiamo fare, che siano articolate, complesse e approfondite.
  Vorrei oggi, in questi brevi minuti a mia disposizione, cercare di evidenziare perché è importante introdurre nel decreto anche l'idea che si debba intervenire sugli uomini autori, e sono contenta che già altre associazioni prima di me abbiano posto in luce questo elemento.
  Mi ha colpito molto, leggendo l'introduzione della documentazione al decreto, quanto la Convenzione di Istanbul abbia ispirato i lavori: nel linguaggio, nelle misure di prevenzione e anche nell'articolazione, che cercano di tener conto degli impegni che il Governo si è assunto firmando la Convenzione.
  Mi ha colpito anche, però, che non si facesse riferimento alcuno all'articolo 16 dove si raccomanda espressamente di prevedere un programma di recupero per gli autori della violenza. Perché non si è fatto menzione di questo ? Forse perché non si è ancora riflettuto abbastanza sulla necessità di prevedere questi interventi.
  Perché è importante intervenire sugli uomini ? Intanto perché le donne vittime spesso lo chiedono; perché sono seriali – gli uomini terminano una relazione violenta e spesso entrano in una nuova relazione violenta –; perché anche per le donne che si allontanano spesso la violenza non si interrompe; perché con la separazione spesso la violenza peggiora o si trasforma in altre forme di reato come lo stalking; perché sono padri, e se noi vogliamo interrompere una trasmissione intergenerazionale della violenza dobbiamo incidere laddove la violenza viene trasmessa come messaggio d'amore. Questo dobbiamo farlo anche a partire da chi la violenza la subisce dai padri, perché anche un padre che ha sbagliato se fa un percorso di recupero può trasmettere ai propri figli un messaggio diverso rispetto a quello a cui loro hanno assistito.
  Dobbiamo farlo perché ci deve essere una presa in carico che permette il contenimento dell'uomo: laddove c’è un monitoraggio, c’è una maggiore attenzione e una maggior sicurezza delle vittime; perché gli uomini stanno male, spesso, e perché alla fine – e forse questa è la ragione principale – la violenza si deve interrompere.
  Naturalmente ci sono altre ragioni che ce lo impongono: una dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 contro la violenza; il Consiglio dell'Europa con la raccomandazione REC 5 del 2005; la risoluzione del Parlamento europeo del 2011; la Convenzione di Istanbul, come dicevo prima, all'articolo 16.
  L'Italia sconta un ritardo di circa trent'anni nell'attivazione dei programmi per autori. Abbiamo adesso la possibilità di cominciare a fare i primi passi per colmare questo ritardo: per la prima volta, in un decreto sulla violenza, avete la possibilità di introdurre il principio che sia importante prevedere programmi di trattamento per uomini.
  In particolare, proponiamo due emendamenti che mettano in luce questo aspetto. In primo luogo, proponiamo l'introduzione Pag. 23di un comma all'articolo 3, nelle misure di prevenzione per condotta di violenza domestica, in cui si dica «nei confronti di coloro che hanno avuto un ammonimento secondo quanto stabilito al comma 1 dell'articolo 3 del presente decreto, il questore indirizza il soggetto a servizi sociali o centri specializzati nel recupero di uomini maltrattanti».
  In secondo luogo, proponiamo di introdurre all'articolo 5, comma 2, recante disposizioni in materia di Piano di azione straordinario, dopo la lettera e) un'ulteriore lettera nella quale: «prevedere lo sviluppo e l'attivazione, su tutto il territorio nazionale, di programmi di trattamento per uomini che hanno agito violenza nelle relazioni affettive basati su metodologie consolidate che garantiscano impegno nella protezione delle vittime».
  Oggi sono qui come rappresentante del Centro di ascolto uomini maltrattanti, un'associazione che ha sede a Firenze e che, insieme alla Asl, al comune e alla provincia, dal 2009 ha cominciato un percorso di accoglienza, accogliendo circa 200 uomini che hanno fatto una richiesta d'aiuto rispetto alla loro violenza. Attualmente abbiamo due gruppi settimanali, un gruppo di follow up e una valutazione individuale. Abbiamo in carico circa 40 uomini.
  La nostra esperienza ci dice che molti uomini, se si offre loro la possibilità, chiedono aiuto spontaneamente rispetto alla loro violenza, e se debitamente motivati, con un lavoro, la violenza si può interrompere.
  Attualmente lavoriamo anche con invio dell'Ufficio per l'esecuzione penale esterna, in collaborazione con la magistratura di sorveglianza, con persone agli arresti domiciliari e con obbligo di dimora. Abbiamo visto molti uomini rivedere le proprie idee e capire come interrompere le proprie azioni violente. Li abbiamo visti mettere in discussione la relazione con i propri figli.
  Riteniamo che sia fondamentale che esistano questi tipi di programmi per dare una risposta sempre più complessa e sofisticata a problemi che riguardano da vicino milioni di persone in Italia.
  Ci sono altri punti che abbiamo evidenziato all'interno del decreto e che troverete nelle note che abbiamo già inviato alle presenti Commissioni. Ce ne sono un paio che riteniamo veramente fondamentali. All'articolo 2, il fatto che si preveda la flagranza di reato per l'applicazione dell'allontanamento lo rende di fatto inagibile: è chiaro che un uomo che sta picchiando la propria compagna quando arrivano le forze dell'ordine smette, quindi la flagranza di reato rende abbastanza inapplicabile la norma.
  Sempre all'articolo 2, al comma 1, lettera d), suggeriamo di introdurre, oltre all'integrità fisica, anche quella morale, perché i maltrattamenti psicologici spesso possono essere gravissimi e dovrebbero essere possibile causa per l'allontanamento.
  All'articolo 3, al comma 1, si aggiunga oltre al riferimento all'articolo 582 del Codice penale anche quello all'articolo 581. Proponiamo, inoltre, al medesimo comma 1 di sopprimere le parole «non episodici»: un singolo atto di violenza, grave o gravissimo, dovrebbe comunque essere base sufficiente perché una donna possa allontanare il coniuge violento.
  Complessivamente riteniamo fondamentale che ci sia un'ottica anche preventiva nel lavoro che viene fatto e che si cerchi di mettere in atto questo primo passo per dare comunque un segnale importante.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola al gruppo successivo di auditi, do la parola ai colleghi che intendono porre alcuni quesiti.

  MARA MUCCI. Vorrei porre una domanda ai rappresentanti dell'Associazione centro di ascolto uomini maltrattanti. Vorrei capire, in base alle vostre esperienze, se dopo un percorso che affianchi l'uomo che abitualmente o anche sporadicamente è protagonista di maltrattamenti avete notato dei miglioramenti. Vorremmo qualche Pag. 24esempio anche per capire quanto questo possa effettivamente aiutare a cambiare la situazione.

  ALESSANDRA PAUNCZ, Presidente dell'Associazione centro di ascolto uomini maltrattanti – onlus. Come dicevo in apertura, fra il 20 e il 30 per cento delle donne in Italia ha subìto violenza. Chiaramente stiamo parlando di milioni di individui, quindi il problema è estremamente complesso e articolato. Tra i maltrattanti ci sono tanti tipi di uomini diversi.
  La nostra esperienza riguarda circa 200 uomini che si sono rivolti al Centro. Noi prevediamo – è molto importante la metodologia che viene usata e il tipo di programma che si attua – un percorso molto lungo per gli autori; chiediamo la partecipazione almeno a un anno di gruppi settimanali e che la presenza sia continuativa.
  Nella nostra esperienza, gli uomini interrompono la violenza fisica nei primi due mesi di frequenza ai gruppi. Dal punto di vista del nostro osservatorio, pure ovviamente limitato rispetto alla complessità del fenomeno, per i numeri che ho appena riferito e la proporzione che potete dedurne, la conclusione è che l'intervento è molto efficace in termini di prevenzione e di recidiva.
  Si potrebbe chiedere perché non sospendiamo gli incontri dopo due mesi, visto che dopo questo periodo la violenza fisica si interrompe: interrompere la violenza fisica è in qualche modo la parte facile; la parte complessa è mettere in atto un cambiamento che li renda consapevoli anche delle forme di maltrattamento psicologico che sempre accompagnano la violenza fisica e dei comportamenti che sono parte della contrattazione quotidiana di potere e controllo che avvengono all'interno delle relazioni affettive. La maggior parte degli uomini – non tutti – che ha intrapreso presso di noi un percorso sono ancora nella loro relazione affettiva.

  PRESIDENTE. Su questo punto ha chiesto di intervenire la coordinatrice nazionale degli organismi regionali di pari opportunità.

  ROBERTA MORI, Coordinatrice nazionale degli organismi regionali di pari opportunità. Intervengo solo per dare ulteriori elementi di valutazione all'onorevole che ha posto la domanda.
  La regione Emilia-Romagna ha promosso, presso l'ASL di Modena, un servizio istituzionale rispetto all'accoglienza e alla rieducazione degli uomini maltrattanti che volontariamente vogliono sottoporsi a un recupero rispetto a pulsioni ingestibili. È un servizio molto delicato perché, come potete immaginare, è multidisciplinare, quindi con tante professionalità impiegate, anche per evitare che questi percorsi educativi o di recupero possano diventare strumentali a una sostanziale attenuante rispetto alle responsabilità individuali. A questo anche i pubblici ministeri ci chiedono di stare molto attenti.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli organismi che sono intervenuti per i contributi scritti e orali, per lo sforzo di indicare, nei pochi minuti a disposizione, di indicarci una linea che cercheremo di recepire, per quello che potremo, nella conversione in legge del decreto-legge in esame.
  Come sapete, sono relatrice, insieme all'onorevole Sisto, del provvedimento in esame. Da parte nostra, e da parte di tutti i componenti della Commissione, assicuriamo lo sforzo massimo per rendere questo decreto, in sede di conversione, ancor più significativo, sebbene ovviamente non potrà essere esaustivo. Come avete detto, infatti, il percorso è lungo e questo deve essere sicuramente un primo passo. Cercheremo di sintetizzare – la politica serve a questo – le indicazioni che ci sono pervenute in maniera così ampia e profonda. Vi ringrazio del vostro impegno costante.
  Passiamo adesso all'audizione del professor Oliviero Mazza, ordinario di procedura penale presso l'Università Bicocca di Milano, a cui do la parola, invitandolo a limitarsi ai punti più salienti, avendo già consegnato alla Presidenza un testo scritto che è a disposizione delle Commissioni.

  OLIVIERO MAZZA, Ordinario di procedura penale presso l'Università Bicocca di Pag. 25Milano. Ringrazio le Commissioni per questa audizione. Ovviamente mi soffermerò sui profili processuali del decreto-legge n. 93 del 2013 e vado per sommi capi, rinviando al testo scritto per più approfondite considerazioni.
  Uno dei primi aspetti da considerare riguarda l'arresto obbligatorio in flagranza per i delitti di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori. Come credo abbiano già detto anche le Camere penali nei loro commenti, si tratta di reati abituali, sia i maltrattamenti in famiglia sia gli atti persecutori, per i quali, a mio avviso, è difficile ipotizzare la rilevazione della situazione di flagranza da parte della polizia giudiziaria.
  È inutile che vi dica che la nozione di reato abituale esige, proprio come elemento costitutivo, la reiterazione abitudinaria o professionale addirittura di questi fatti, che singolarmente non sarebbero reati o al più integrerebbero diverse fattispecie di reato.
  Vedo qualche difficoltà nel demandare alla polizia giudiziaria una complessa valutazione giuridica sulla configurabilità del reato, che – ripeto – va ben oltre l'accertamento della flagranza della singola condotta.
  Per quanto riguarda l'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare, che sarebbe la seconda misura precautelare prevista dal decreto-legge, questa nuova misura è limitata testualmente ai delitti di cui all'articolo 282-bis, comma 6. Il comma contiene un elenco di fattispecie incriminatrici, che poi è stato anche accresciuto dall'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto-legge. Il risultato interpretativo, sicuramente non voluto, è che l'articolo 384-bis del codice di procedura penale potrebbe essere interpretato come applicabile solo ai delitti elencati dall'articolo 282-bis, comma 6, che sono i singoli reati per i quali la misura cautelare può essere disposta al di fuori dei limiti di pena dell'articolo 280.
  Se così fosse – questa è un'interpretazione possibile – risulterebbero esclusi i maltrattamenti in famiglia e lo stalking, cioè le due fattispecie attorno alle quali ruota l'intero intervento legislativo. L'articolo 384-bis, con il suddetto rinvio, renderebbe applicabile la misura precautelare anche ai delitti di lesioni lievi e lievissime. Mi rendo conto, come giustamente ha sottolineato la presidente, che si tratta di reati sentinella, tuttavia sono anche reati connotati da un'estrema tenuità. Secondo me, bisogna valutare bene se la misura precautelare può essere adeguata e soprattutto proporzionata a questa tipologia di reato.
  Per scongiurare possibili distonie, soprattutto in sede applicativa, io credo che sia opportuno ricollegare l'allontanamento d'urgenza a tutti i casi in cui risulti applicabile a regime la misura cautelare dell'articolo 282-bis, perché essendo precautelare dovrebbe preludere poi all'applicazione di questa misura.
  Sempre dal punto di vista sistematico, il nuovo fermo – l'allontanamento dall'abitazione in realtà è più vicino al fermo che all'arresto – è un ibrido perché si fonda sulla flagranza di reato, che è tipica dell'arresto, e persegue una finalità preventiva che invece è propria del fermo. Con riferimento a tale aspetto, però bisogna fare attenzione, perché non viene scongiurato il pericolo di fuga, bensì il pericolo di reiterazione del reato.
  Considerato il presupposto della flagranza, a mio avviso è prevedibile che l'allontanamento risulterà assorbito in tutti i casi di arresto obbligatorio e si porrà come possibile alternativa ai casi di arresto facoltativo, finendo però in tal modo per avere uno spazio applicativo forse abbastanza angusto.
  Al di là di questo, è la finalità marcatamente preventiva che solleva o può sollevare qualche dubbio anche di legittimità costituzionale per violazione della presunzione di non colpevolezza. Teniamo conto che non è un caso se il legislatore codicistico ha ricollegato il fermo esclusivamente all'esigenza meramente processuale di scongiurare il pericolo di fuga.
  L'esigenza special-preventiva, che per le misure cautelari è soddisfatta dalla lettera c) dell'articolo 274, è un'esigenza molto delicata e discussa per i profili di compatibilità Pag. 26con l'articolo 27, comma secondo, della Costituzione. Suggerirei quanto meno di ricalcare, anche dal punto di vista linguistico, la disposizione contenuta appunto nella lettera c) del comma 1 dell'articolo 274. Invece attualmente l'articolo 384-bis parla espressamente di reiterazione del reato. Noi sappiamo che parlare di reiterazione del reato significa dare per scontato che sia stato commesso il reato per cui si procede.
  Mi rendo conto che parlare di queste cose in un consesso così importante, dove si è discusso di tematiche sociali e anche di altissimo valore etico, può sembrare un qualcosa fuor d'opera, però non dobbiamo mai perdere di vista anche gli interessi che vanno in bilanciamento con quelli di tutela della vittima, che sono anche quelli di tutela dell'indagato-imputato. Qui il problema è che, ad esempio, la Corte costituzionale, fin dalla sentenza 23 gennaio del 1980, n. 1, ha detto che non si può parlare di reiterazione del reato in tema di misure cautelari. Difatti, il nostro legislatore è particolarmente accorto nell'articolo 274, comma 1, lettera c), nel cercare di edulcorare un po’ questo concetto di difesa sociale, che in sé crea problemi di compatibilità con l'articolo 27, comma secondo, della Costituzione. Ci sono dei casi, come quello di specie, in cui forse è inevitabile un intervento in prevenzione, però a questo punto bisogna stare molto attenti anche a un linguaggio particolarmente sorvegliato, per evitare quei profili di potenziale illegittimità.
  Tra l'altro, io mi permetterei anche di suggerire un'eventuale innovazione per cui la reiterazione del reato non sia pronosticata, bensì dimostrata, sia pure sommariamente, da elementi concreti, ad esempio le plurime denunce pregresse oppure precedenti interventi d'urgenza da parte delle forze di polizia. Allora il dato fattuale, concreto, di qualcosa che è già avvenuto permetterebbe di surrogare un complesso giudizio prognostico in ordine all'esigenza di prevenzione speciale. Del resto, questi sono casi in cui qualche prodromo c’è sempre stato, prima di arrivare all'intervento della forza pubblica con l'allontanamento d'urgenza.
  Ad ogni modo, tornando al tecnicismo dell'articolo 384-bis, comma 2, si rinvia alla disciplina degli articoli 385 e seguenti, che è quella del fermo, per il procedimento di convalida. C’è la clausola di riserva laddove si dice «in quanto compatibili». In realtà, a me sembrano tutte compatibili le disposizioni che vanno dall'articolo 385 al 391 del codice di procedura penale. La clausola di riserva, che è indubbiamente prudente da parte del legislatore, però potrebbe indurre a qualche dubbio interpretativo che non avrebbe però ragion d'essere.
  Faccio un accenno agli obblighi informativi che sono imposti in favore della persona offesa in tema di revoca e sostituzione delle misure cautelari. È inutile che lo dica perché il testo del decreto lo conoscete tutti, però si prevede che debba essere notificata contestualmente alla persona offesa dal richiedente l'istanza rivolta al giudice per le indagini preliminari, a pena di inammissibilità della richiesta stessa. Quindi, è un requisito essenziale di validità della richiesta.
  Penso che sia molto difficile garantire la contestuale notifica alla persona offesa, peraltro ponendo questo obbligo in capo allo stesso indagato-imputato e al suo difensore, che non hanno gli strumenti tipici invece dell'apparato statuale per eseguire le notifiche, e che, soprattutto, non si possa condizionare l'ammissibilità della richiesta all'adempimento di questo incombente. Non può – mi sia consentito dirlo – entrare in bilanciamento il diritto inviolabile costituzionalmente tutelato, la libertà personale di un soggetto comunque presunto innocente, con l'interesse informativo della persona offesa.
  C’è anche un altro problema. Dal punto di vista sistematico, questa informazione che viene rivolta alla persona offesa circa l'istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare non risulta espressamente strumentale all'instaurazione di un contraddittorio cautelare – però si potrebbe anche leggere in tal senso questa Pag. 27previsione – ma il contraddittorio cautelare tra la persona offesa e l'indagato in vinculis credo che non sia auspicabile e non sia nemmeno coerente con l'attuale sistematica codicistica. Le ragioni dell'accusa nel nostro ordinamento sono sostenute dal pubblico ministero, non certo dalla persona offesa. So che si tratta di affermazioni che possono apparire un po’ fuori luogo, però nel nostro sistema la persona offesa viene considerata alla stregua di un soggetto privato danneggiato che si può costituire parte civile, non è portatrice di un interesse punitivo. Questo dobbiamo ribadirlo.
  Oggi come oggi l'azione penale è un monopolio del pubblico ministero, quindi dello Stato, non del privato cittadino. Non è escluso che si possano prevedere delle azioni penali private, sussidiarie o concorrenti, perché l'articolo 112 della Costituzione non prevede il monopolio, ma solo l'obbligo, per il pubblico ministero, di esercitare l'azione. Tuttavia, io sarei molto cauto nell'attribuire alla persona offesa, soprattutto per questi reati, il ruolo di accusatore sussidiario o concorrente rispetto al pubblico ministero. In sintesi, se non c’è una pretesa giuridicamente tutelata, la persona offesa non può partecipare a questo contraddittorio cautelare.
  Allora per evitare in radice ogni dubbio interpretativo, questi obblighi di informazione preventiva si potrebbero sostituire con obblighi di informazione successiva: si potrebbe imporre alla cancelleria del giudice l'obbligo di comunicare tempestivamente alla persona offesa la decisione che eventualmente accolga le istanze dell'imputato. Questa comunicazione ex post eviterebbe i problemi sistematici che ho sommariamente descritto e finirebbe per tutelare il vero interesse della persona offesa, che ovviamente è quello di sapere in tempo utile se e quando l'accusato riacquisterà la libertà personale.
  Escluderei, quindi, l'informazione preventiva a carico della difesa e la sostituirei con un'informazione successiva tempestiva a carico del giudice.
  Mi avvio velocemente alle conclusioni. Gli obblighi informativi riguardano anche la richiesta di archiviazione e l'avviso di conclusione dell'indagine. Sulla richiesta di archiviazione nulla quaestio, perché è evidente l'interesse della persona offesa ad opporsi alla richiesta del pubblico ministero di archiviare il procedimento.
  Sull'avviso di conclusione dell'indagine, anche qui non vedo un interesse giuridicamente tutelato, perché l'interlocuzione della persona offesa non è prevista e poi sarebbe assolutamente ultronea. Del resto, l'informazione circa il rinvio a giudizio verrebbe comunque data alla persona offesa, sia in caso di citazione diretta sia in caso di richiesta di rinvio a giudizio con udienza preliminare. Si crea un problema, perché l'eventuale omessa notifica dell'avviso ex articolo 415-bis del codice potrebbe determinare la nullità dell'azione penale successivamente esercitata dal pubblico ministero.
  Sulle modalità protette d'esame, nulla quaestio. Credo che ormai siano abbastanza diffuse nel tessuto codicistico. Forse pro futuro bisognerebbe pensare a una disciplina organica di queste modalità d'esame protette.
  Per quanto riguarda i criteri di priorità nella trattazione dei processi, l'ampliamento del termine per opporsi alla richiesta di archiviazione, l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in deroga ai limiti reddituali, si tratta di previsioni che devono essere considerate anche da un altro punto di vista, ossia dalla possibilità che determinino disparità di trattamento. Senza nulla togliere alla gravità e all'allarme sociale delle violenze di genere, non è difficile tuttavia ipotizzare che persone offese da reati di gravità pari o superiore a quelli che stiamo considerando si troverebbero irrazionalmente discriminate rispetto a questa disciplina di favore per la persona offesa. Allora, magari oggi, in prima battuta, si possono lasciare queste disposizioni, però pensando a uno statuto generale della persona offesa nel processo penale, altrimenti le questioni si potrebbero porre, anche di legittimità costituzionale.
  Sono molto dubbioso sull'accesso al patrocinio a spese dello Stato anche per i Pag. 28soggetti abbienti, perché non c’è una ratio che giustifichi questa previsione e, soprattutto, in un periodo come questo credo si debba stare attenti anche a imprevedibili oneri finanziari per l'erario.
  Inoltre, ci sono alcuni problemi tecnici sulla richiesta di archiviazione e avviso di conclusione delle indagini che vengono notificati solo quando riguardano il delitto di cui all'articolo 572, mentre in realtà qui il pacchetto di fattispecie incriminatrici prese in considerazione è più ampio, quindi andrebbe forse meglio calibrata la suddetta previsione.
  Sulla irrevocabilità della querela, ho letto con attenzione le considerazioni della presidente, che giustamente sottolinea l'esigenza di porre al riparo la persona offesa da eventuali indebite pressioni che l'imputato potrebbe porre in essere per ottenere la remissione della querela per il reato di atti persecutori. Adesso diventa irrevocabile la querela per l'articolo 612-bis. È vero, l'esigenza è sentita, però vorrei anche sottolineare un rischio collaterale, quello di generare nuova conflittualità nei casi in cui i dissidi interpersonali si siano nel frattempo ricomposti; arrivare comunque a definire il processo con una decisione potrebbe portare a questo risultato certamente non voluto.
  Allora, si potrebbe forse pensare a un modello nuovo di revocabilità condizionata della querela alla positiva conclusione di un percorso di mediazione. Potrebbe essere il giudice ad attestare l'esito favorevole della mediazione e quindi concedere la revocabilità della querela.
  Faccio un accenno finale alle misure di prevenzione. Qui c’è un problema tecnico, nel senso che l'articolo 3, comma 1, per un verso fa riferimento alle lesioni semplici, dicendo che devono realizzarsi nell'ambito della violenza domestica. Quello della violenza domestica è un concetto non ben definito, che poi viene definito nel periodo successivo, dove si dice che la violenza domestica abbraccia fattispecie di reato molto più ampie, che vanno dalla violenza privata a quella sessuale, fino al limite dell'estorsione. Anche qui potrebbero esserci problemi interpretativi.
  Chiudo con la segnalazione anonima che dà il via al procedimento di prevenzione. Credo che le delazioni anonime non debbano avere diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento né processuale né con riferimento alle misure di prevenzione. Peraltro, questa previsione, oltre ad essere contestabile sotto molti profili, mi sembra anche assolutamente inutile, perché il denunciato addosserà automaticamente la responsabilità della segnalazione alla vittima, ancorché la segnalazione rimanga anonima.
  Per le altre considerazioni rinvio al testo scritto e ringrazio.

  PRESIDENTE. Proseguiamo con l'audizione di rappresentanti dell'Unione delle camere penali italiane. Sono presenti il presidente Valerio Spigarelli e l'avvocato Matteo Pinna, componente del Centro studi giuridici e sociali «Aldo Marongiu».
  Do la parola al presidente Valerio Spigarelli.

  VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane. Grazie, presidente. Specifico che abbiamo prodotto agli atti delle Commissioni un elaborato che da un lato chiosa alcuni passaggi del provvedimento legislativo, spiegando le ragioni dei successivi emendamenti, in massima parte soppressivi, che noi proponiamo. Io affronterò una tematica di carattere generale e alcuni dei passaggi del provvedimento, mentre lascerò all'avvocato Pinna la spiegazione di ulteriori passaggi e l'illustrazione della nostra opinione in merito agli stessi.
  Sicuramente i membri delle Commissioni hanno avuto, nel corso dell'estate, contezza dell'immediata presa di posizione dell'Unione delle Camere penali su questo decreto-legge. Vorrei spiegare, affinché non ci sia equivoco da questo punto di vista, che la nostra presa di posizione in nessuna maniera può essere ritenuta una presa di posizione che disconosce il problema della violenza domestica e della violenza di genere, o che minimizza questo fenomeno. Si tratta di una presa di posizione che ha richiami antichi e rinnovati Pag. 29costantemente dalla migliore dottrina rispetto alla tecnica legislativa, al vero e proprio modo di produzione legislativa nel nostro Paese a proposito delle innovazioni in campo penale.
  C'era un tempo, ormai risalente, in cui si era quasi tutti concordi sul fatto che, tranne alcune vicende, la decretazione di urgenza era lo strumento meno utile, anche perché molto spesso meno ponderato, per intervenire nel complesso della legislazione penale; ciò in campo penale sostanziale e in campo penale processuale.
  È la migliore dottrina, ma ad ascoltare quello che si è discusso, non più tardi di un anno fa, al congresso della neocostituita associazione tra gli studiosi del diritto penale – monito che è stato anche da ultimo rinnovato –, se c’è un difetto nella produzione in campo penale è quello di una legislazione simbolica, di una legislazione reattiva e soprattutto di una legislazione asistematica. Noi rinveniamo in questo intervento legislativo esattamente tutti questi difetti della maniera di legiferare.
  Con la sua solita ironia e anche con quel tocco che è proprio delle menti grandi, Tullio Padovani l'altro giorno su Guida al diritto diceva che questo provvedimento legislativo sembrava prodotto direttamente dallo scrittore del Ministero di Oceania: ironia sferzante, ma in alcuni casi, come vedremo, rispetto ad alcuni princìpi e alcuni passaggi di questo decreto-legge, sicuramente non mal riposta.
  Partirei da un dato. Noi affrontiamo una delle prime norme laddove si parla di un'estensione dell'ambito normativo in relazione a relazioni affettive ampliate a dismisura. Questa è una previsione scarsamente tassativa, interpretabile in molte maniere, che si pone in contrasto con quella che dovrebbe essere la caratteristica principale della legislazione penale sostanziale, cioè proprio la sua estrema tassatività.
  Per quanto riguarda l'irrevocabilità delle sentenze, ho ascoltato quanto diceva Oliviero Mazza e, francamente, non vorrei ripetermi – sembrerebbe una ripetizione, quasi un'imitazione – ma aggiungo, a proposito dell'irrevocabilità della querela, che sembrerebbe essere uno dei punti più qualificanti, qualcosa che non dall'alto dell'empireo accademico, ma da quello del facitore, ovvero colui che mette le mani nelle cose della giustizia, sarà una soluzione che addirittura produrrà effetti antitetici rispetto alle ragioni che l'avrebbero introdotta.
  Di fronte a una querela irrevocabile, infatti, nell'ampia gamma di comportamenti che possono essere oggetto della previsione normativa, chi andrà dal difensore – della persona offesa, ci tengo a sottolinearlo – si vedrà immediatamente opporre questa via senza ritorno, e quindi si finirà probabilmente per avere meno notizie, meno denunce rispetto a quello che la norma si propone.
  L'irrevocabilità della querela condurrà per mano a evitare iniziative giudiziarie in un'ampia gamma di fatti che magari, affrontati con uno strumento più duttile, come un'iniziativa procedibile a querela, potrebbero portarsi a emersione. È, quindi, paradossale che, attraverso quello che sembra un irrigidimento del sistema, si arriverà a una soluzione probabilmente antitetica rispetto alle intenzioni del legislatore.
  Interverrà Matteo Pinna su quel che significa prevedere un arresto obbligatorio in flagranza per un reato abituale. Immagino abbiate già preso contezza delle difficoltà di questa soluzione, ma rinvio a quanto illustrerà Pinna sul punto.
  Ci preoccupa, invece, e molto, al di là del fatto che quest'iniziativa veda comunque in contatto la polizia giudiziaria con il pubblico ministero e, come illustrato prima da Oliviero Mazza, comunque in quanto compatibile, una successiva procedura di convalida da parte del giudice per le indagini preliminari e la possibilità dell'allontanamento da parte della polizia giudiziaria.
  Questa norma non soltanto amplia i poteri di iniziativa della polizia giudiziaria, il che in uno Stato di diritto, comunque regolato dall'articolo 13 della Costituzione, deve essere sempre evento assolutamente residuale, ma contiene anche qualcosa di più e di diverso: intanto, la formulazione Pag. 30della norma che si richiama, in quanto applicabili, alle norme relative alla convalida. Il problema è che quelle norme poggiano su un presupposto direi fattuale, cioè sulla privazione della libertà della persona nei confronti della quale si convalida l'arresto o il fermo.
  Qui, invece – sembra un problema prosaico, ma non è per nulla tale – c’è la possibilità di arrivare ad applicare quella procedura con una persona libera, meramente allontanata; come si e mi chiedevano alcuni pubblici ministeri e non senza ragioni: allontanata dove ? Qual è la previsione della norma che la rende compatibile con quella procedura che, invece, affonda in una privazione della libertà ?
  Si ripresenta un difetto di coordinamento con le altre norme. La previsione, infatti, riguarda previsioni che si sovrappongono, in cui è previsto l'arresto facoltativo o obbligatorio in flagranza, senza stare a sottolineare quanto già stato detto e che sarà detto nuovamente sulla difficoltà di individuare l'abitualità per un certo tipo di reati.
  Si dice che questa norma, che, come rileverete anche dalle indicazioni di Pinna, non affonda per nulla i suoi lombi nella normativa convenzionale e nel Trattato di Istanbul perché tradisce, al contrario, specifiche indicazioni di quel Trattato, serva a irrobustire i poteri della persona offesa nel corso delle indagini preliminari e del processo. Questo irrobustimento, però, lascia sul terreno, in alcuni casi, princìpi fondamentali ormai accolti nel nostro sistema processuale.
  La verità del processo è dialettica, si forma sotto gli occhi del giudice attraverso un sistema di contraddittorio esemplificato dalla formula della Cross Examination. Tutto quello che sottrae alla Cross Examination la sua possibilità epistemologica di arrivare a una ricostruzione dei fatti deve essere tendenzialmente allontanato.
  Allora, mi chiedo come sarà applicata quella norma che prevede l'esame della persona offesa, pur maggiorenne, ma particolarmente vulnerabile, da svolgersi nel corso del contraddittorio con particolari modalità, che deprimono e deprivano di efficacia il contraddittorio medesimo. La locuzione «particolare vulnerabilità», è assolutamente ampia, assolutamente indeterminata e indistinta, ma l'effetto della sua applicazione sarà esiziale sul metodo di conoscenza e di accertamento dei fatti nel corso del processo. Il codice di procedura penale già prevede, nell'ipotesi in cui un testimone assunto nel dibattimento sia intimidito in qualche maniera, effetti di recupero delle dichiarazioni preventive.
  Verificate questo dato, tanto per tagliare la testa al toro all'argomento che vorrebbe questo impianto legislativo di derivazione convenzionale o dalle direttive comunitarie: semmai, in quelle norme troviamo sempre la necessità, in taluni casi e per talune categorie di soggetti, di irrobustire anche il primo accertamento, le prime dichiarazioni, obbligando alla videoregistrazione le dichiarazioni della persona offesa immediatamente.
  Nel testo del decreto-legge è presente una deprivazione del contraddittorio, ma non c’è, sull'altra mano, neppure un irrobustimento della veridicità e della traccia delle dichiarazioni precedenti. Questa non è una maniera di sottolineare dei problemi tesi a spuntare le armi all'accertamento. La verità del processo è una verità legale, ma è anche una verità legale che le norme derivano anche dall'esperienza dell'assunzione delle testimonianze.
  Esistono poi altre previsioni stravaganti, ma non in questa tecnica legislativa da grida manzoniane che vende il prodotto sicurezza in questa maniera – lo abbiamo visto anche in altre occasioni per altri interventi legislativi – ma dovete riflettere sul fatto che la sospensione della patente, procedura amministrativa che dovrebbe conseguire all'accertamento anche iniziale solamente di fatti di questo genere, è assolutamente incompatibile e distante persino dal tipo di beni che si vuole tutelare attraverso quest'innovazione legislativa. È anche fatalmente criminogena, tra le altre cose.
  Mi soffermo nuovamente su quanto ha illustrato Oliviero Mazza: un sistema penale processuale e sostanziale avanzato rigetta l'idea stessa della denuncia anonima. Pag. 31Quel passaggio sulle denunce anonime segna, a nostro modo di vedere, un arretramento fondamentale nella civiltà giuridica del nostro Paese, che tra l'altro contrasta, ovviamente, con le più elementari esigenze difensive.
  Di fronte, infatti, all'indicazione dell'anonimo, è difficile riuscire anche, non identificata la fonte, a difendersi. Si tratta ancora di grida manzoniane inserite nella legge rispetto a una fenomenologia criminale, se vogliamo definirla in questo modo, o comunque a una tipologia di fatti in cui è difficile pensare che ci sia una necessità di tutela dell'anonimo. Oltretutto, sono perfettamente identificate le persone che possono generalmente proporre denunce di questo genere.
  Non tratto troppo della flagranza differita. Urlammo nel 2003 che presentava dei punti di contrasto con la nostra Costituzione, ma soprattutto dicemmo, e purtroppo dicemmo il vero, che quella norma che doveva essere temporanea sarebbe diventata stabile: oggi siamo all'ennesima, reiterata riaffermazione di quello strappo alla legalità costituzionale per la quale siamo convintamente opposti.
  Due considerazioni riguardano la parte sostanziale della normativa. Presidente, con una certa ironia, il direttore del Centro Marongiu, che è arrivato alla soglia dei 65 anni e si tiene in perfetta forma intellettuale e fisica, diceva che francamente l'aggravante per gli ultrasessantacinquenni inserita nell'articolo 625 lo offendeva un po’.
  Diceva, con quella pesante ma anche lieve ironia, Tullio Padovani: come ci immaginiamo questi ultrasessantacinquenni, adusi a spostar macigni o, invece, decrepiti, per cui qui una minorata difesa è ipotizzabile ? Se è ipotizzabile una minorata difesa, non c’è bisogno di innovazione perché la legge già prende in considerazione le ipotesi di minorata difesa.
  Vedete come il difetto di sistematicità, la forza simbolica di una presunta innovazione normativa, riesce a realizzare addirittura dei cortocircuiti all'interno di una successione di norme che sta proprio schiacciata nel codice penale.
  Allo stesso modo, per l'aggravante, abbiamo etichettato il diritto penale in molte maniere: diritto penale emergenziale, emergenza del terrorismo, emergenza degli incidenti sul lavoro, emergenza della circolazione stradale. Oggi siamo, anche se con una certa carenza di dati criminologici, all'emergenza di un fenomeno sicuramente preoccupante, ma che è affrontato e non sto parlando del femminicidio, ma dei furti di rame che si verificano nel nostro Paese.
  Ecco che la tecnica legislativa conia un'aggravante assolutamente inutile. Se, infatti, ne leggete la previsione, vi renderete conto che quell'aggravante 7-bis nomenclata così, rientra interamente nelle previsioni del medesimo articolo 7 che la precede di un rigo e mezzo nel codice penale.
  Non possiamo continuare a legiferare anche attraverso le endiadi. È di questo, infatti, che vi ho parlato adesso, in conclusione del mio intervento. Non possiamo continuare con una legislazione fortemente simbolica e che, nel momento applicativo, crea più problemi di quelli che si propone di risolvere.
  Riteniamo che questo intervento dovrebbe essere profondamente ripensato, semmai essere, come vedrete su altri punti, oggetto di un ragionamento che, per quanto riguarda la tutela della vittima, dovrebbe aggiungere qualcosa e non toglierla, ma da un punto di vista sistematico, non episodico, non rapsodico, non propagandistico e simbolico, come è questo provvedimento.
  Lascio la parola a Matteo Pinna per enucleare i punti che non ho toccato nel mio intervento e che vedono una nostra critica piuttosto serrata.

  MATTEO PINNA, Rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane. L'intervento del presidente Spigarelli, che ha illustrato le ragioni di fondo della nostra posizione, estremamente critica rispetto al contenuto di questo decreto, mi consente, anche per brevità e per sintesi, di andare direttamente ai profili di dettaglio che abbiamo cercato di sintetizzare nella tavola Pag. 32sinottica del documento che abbiamo già messo a disposizione delle Commissioni.
  Parto dall'articolo 1 del decreto-legge e dall'introduzione di un'ulteriore aggravante per il delitto di maltrattamenti in famiglia legata alla commissione del fatto in presenza, secondo quanto recita il testo del decreto, di minore di anni 18, che è fattispecie aggravante e che si aggiunge, come sappiamo, a quella del danno.
  Questo ci sembra un esempio piuttosto significativo degli inconvenienti, mi verrebbe quasi da dire della vera e propria eterogenesi dei fini, a cui può condurre un modo di legiferare come quello che ha ben descritto il presidente Spigarelli, cioè legato a interventi emergenziali non particolarmente meditati e che rischiano, in situazioni come queste, addirittura di produrre, contro le intenzioni, un arretramento di tutela nei confronti dei soggetti che si vorrebbero tutelare.
  In estrema sintesi, il punto è questo. È pacifico, anche per i numerosi e costanti interventi dello stesso segno della giurisprudenza di legittimità, che già oggi, ad articolo 572 invariato, costituisce condotta di maltrattamenti anche la costante esposizione del minore ad atti vessatori compiuti esclusivamente nei confronti di altro familiare. L'esposizione del minore, dunque, pur non direttamente coinvolto rispetto agli atti vessatori, pacificamente danneggia il minore, che quindi è persona offesa ed è danneggiato rispetto alla condotta di maltrattamenti.
  Devo dire, con riferimento ai contenuti degli obblighi convenzionali, che la stessa Convenzione di Istanbul, come abbiamo segnalato, non casualmente si premura di sollecitare questo tipo di intervento. Esiste un'ulteriore protezione rispetto alla presenza del minore, quando la presenza non costituisce già un elemento strutturale della fattispecie delittuosa, come avviene in questo caso.
  Se ragioniamo un attimo, quindi, introdurre una diversificazione di questo tipo, che implicitamente lascia intendere possibile una condotta di maltrattamento rispetto alla quale il minore presente non sia danneggiato, potrebbe teoricamente legittimare anche forme di interpretazione che, appunto, fanno arretrare la posizione del minore perché lo mettono fuori dalla proiezione diretta, dannosa della fattispecie, e lo confinano all'interno dei soggetti la cui presenza rileva ai soli fini dall'aggravante.
  Tornando all'eterogenesi dei fini di cui parlavo all'inizio, questo mi sembra un esempio paradigmatico ed è questa la ragione per cui suggeriamo l'eliminazione di questa modifica o, comunque, una sua riscrittura nel senso di concentrare la previsione sul danno e, al limite, ma anche qui con cautela – la Convenzione di Istanbul non fa riferimento al minore genericamente, ma al bambino – se si ritiene di allargare, da questo punto di vista, cosa su cui ovviamente non si può essere astrattamente contrari, alla fattispecie di danno nei confronti del minore, e quindi dell'infradiciottenne.
  Il decreto-legge, inoltre, apporta una modifica della fattispecie di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis del codice penale introducendo, anche qui, quale ipotesi aggravata quella del cosiddetto stalking informatico, cioè l'ipotesi in cui la condotta sia commessa attraverso, come recita il testo della nuova lettera a) dell'articolo 612-bis, strumenti informatici o telematici.
  Anche in questo caso, forte è la contrarietà da parte nostra. Ci sembra irragionevole affermare che abbia una carica lesiva maggiore una condotta come quella che presuppone l'utilizzo di strumenti informatici o telematici rispetto a forme di intrusione che possono, queste sì, essere decisamente più invasive, come quelle fisiche, pedinamenti ossessivi e altre forme di intrusione nella privacy dalla vittima, le quali ci sembrano, a una valutazione astratta, decisamente più gravi dello stalking informatico.
  Quanto all'irrevocabilità della querela, andrò rapidamente perché le osservazioni del professor Mazza e del presidente Spigarelli mi consentono di essere estremamente sintetico.Pag. 33
  Faccio riferimento ai vincoli che ci vengono dalla Convenzione di Istanbul. Direi che, non casualmente, se non ho letto male, tra quelli per i quali impone – che non significa, naturalmente, che a livello di legislazione nazionale questi eventuali vincoli non vadano, all'occasione, ripensati, – l'irrilevanza dell'eventuale ritiro della denuncia di cui si parla all'articolo 55, ovviamente ci sono vari reati, soprattutto quelli di estrema gravità, tra cui quelli per cui già è prevista l'irrevocabilità della querela, come la violenza sessuale. La Convenzione fa, però, riferimento anche al matrimonio forzato, alle mutilazioni genitali femminili e così via: tra queste, è escluso dall'elenco – lo ribadisco, non casualmente – proprio l'articolo 34, che nella Convenzione è dedicato agli atti persecutori. È, dunque, la stessa Convenzione a non inserire queste indicazioni nel novero delle fattispecie per cui si suggerisce l'irrevocabilità della querela, devo dire ragionevolmente per tutte le osservazioni illustrate finora.
  Passando all'articolo 2, che riguarda i profili processuali, prendo così anche in esame il tema della partecipazione della persona offesa alla procedura di revoca o di sostituzione delle misure cautelari dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Anche in questo caso, i rilievi di chi mi ha preceduto mi consentono di essere estremamente rapido.
  Qui dice bene il professor Mazza: pur riconoscendo, naturalmente, l'importanza di meccanismi che amplino il più possibile, all'interno del sistema processuale, il ruolo, le possibilità e le facoltà dalla persona offesa, bisogna fare attenzione a non alterare il contraddittorio cautelare con interventi che non tengono conto di un sistema costruito precisamente in maniera triadica, che è quello dell'imputato, che subisce la restrizione del pubblico ministero che la richiede e del giudice che la decide.
  Come pure il professor Mazza giustamente sosteneva che sarebbe ragionevole fare – è già prevista la modifica del secondo comma dell'articolo 299 – prevedere, tuttavia, obblighi di informazione preventiva rischia di tradursi in interventi che, da un lato, non giovano direttamente alla ragione dalla persona offesa, dall'altro, rischiano di rallentare inutilmente la procedura.
  Allo stesso modo, come ancora giustamente ricordava il professor Mazza, rischiano di imporre un ingiustificato sacrificio del diritto, primario in questo settore, dell'imputato sottoposto alla limitazione della libertà di ottenere, quando ne ricorrono le condizioni, un provvedimento favorevole nei tempi più rapidi possibili.
  Non si considera, tra l'altro, come abbiamo osservato nello schema consegnato agli atti delle Commissioni, sul piano sistematico la posizione dalla persona offesa rispetto ai temi che riguardano le misure cautelari e, in particolare, queste specifiche misure, rispetto alle quali si potrebbe sottolineare l'informazione della persona offesa già garantita dalla stessa tipologia della misura.
  Si tratta, infatti, di misure che intervengono generalmente sui rapporti familiari e, anzi, nella quasi totalità dei casi, su sollecitazione della persona offesa. È ovvio, quindi, che non solo l'inizio di questo tipo di restrizioni, ma anche un'eventuale modifica è ontologicamente conosciuta dalla persona offesa.
  Se ne esistono, la persona offesa ha, anche attraverso il veicolo del pubblico ministero, la possibilità, con memorie richieste, di segnalare elementi rilevanti sotto questo profilo. Non esiste, dunque, dal nostro punto di vista, alcuna necessità di oneri informativi ulteriori, a pena di inammissibilità, tra l'altro, con una previsione, come anche qui diceva bene il professor Mazza, assolutamente eccentrica. Riguarda, infatti, la non valutabilità di una richiesta che attiene alla libertà personale per motivi che non attengono assolutamente alla libertà, per cui in modo assolutamente inedito – se ci pensiamo bene, non esiste nessuna condizione di ammissibilità nel sistema attuale delle richieste di revoca o di sostituzione delle misure cautelari – per la prima volta a Pag. 34condizionare l'ammissibilità di questa richiesta è un elemento del tutto estraneo.
  Quanto all'arresto in flagranza e all'estensione anche ai casi di maltrattamenti e di atti persecutori, è già intervenuto in modo esauriente il presidente Spigarelli, e quindi non mi dilungherò. Se non impossibile, ci sembra concettualmente estremamente complicato immaginare di associare un concetto processualmente istantaneo o quasi istantaneo, come la verifica dello stato di flagranza, che va effettuata dagli ufficiali di polizia giudiziaria nel momento in cui percepiscono la commissione attuale del reato o una situazione che ne segnala una commissione immediatamente precedente, a fattispecie delittuose la cui struttura, invece, deve necessariamente svilupparsi nel tempo e che non può, ovviamente, ridursi – diversamente, né i maltrattamenti né gli atti persecutori possono configurarsi – a una condotta semplice e verificabile istantaneamente. Anche questa ci sembra, quindi, una previsione assolutamente eccentrica, da evitare.
  Lo stesso ragionamento vale, per le ragioni anche qui abbondantemente illustrate dal presidente Spigarelli, per la misura dell'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare da parte degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria. A quello che è stato già detto aggiungo una considerazione, che mi pare davvero dirimente.
  Per le ipotesi più significative per cui sarebbe applicabile questa forma, anomala per le ragioni che abbiamo visto, dell'intervento d'urgenza dalla polizia, e cioè per i delitti più gravi degli articoli 600-bis e 600-ter, prostituzione minorile, pornografia minorile, violenza sessuale in tutte le sue forme, il sistema già prevede, nelle ipotesi più gravi, l'arresto obbligatorio in flagranza; nelle ipotesi meno gravi, comunque per i limiti di pena, l'arresto facoltativo in flagranza.
  A parte, quindi, i rilievi generali di sistema, va posta una considerazione di contraddittorietà anche rispetto a questa previsione. Avremmo, infatti, nella migliore delle ipotesi, una nuova misura di polizia superflua in quanto già in qualche modo coperta da strumenti restrittivi che, in casi eccezionali, l'ordinamento comunque riconosce; nella peggiore, avremmo addirittura una previsione che confligge e si pone in nettissima contraddizione con il dovere alternativo di procedere a una restrizione diversa e più grave.
  In particolare per gli interventi sulla procedura di archiviazione e su quella di conclusione delle indagini e per le ragioni che anche qui sono state esposte, siamo nettamente contrari alla costruzione di una sorta di statuto speciale dell'offeso. Ribadisco ancora una volta, infatti, la necessità – da questo punto di vista, penso che si possa dire che da parte nostra c’è sempre stata sensibilità – di rimeditare, negli spazi e rispetto ai momenti procedimentali in cui questo intervento può avere davvero un significato, il ruolo e le possibilità dell'offeso, anche dal punto di vista della compatibilità costituzionale, ma non si può differenziare alcune persone offese, verrebbe da dire più vittime delle altre, eventualmente anche di reati puniti più gravemente, consentendo loro un accesso a facoltà e a diritti che, invece, ad altre vittime, ad altre persone offese non sono riconosciuti.
  Mi avvio rapidamente alla conclusione tornando ai profili sostanziali. A proposito dell'articolo 8 del decreto e dell'introduzione nella norma sulla ricettazione, articolo 648, primo comma, di un'ulteriore aggravante, per cui si prevede un aumento di pena quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti dai delitti di rapina aggravata, previsti dall'articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata, ai sensi dell'articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato, ai sensi dell'articolo 625, primo comma, numero 7-bis, suggeriamo l'eliminazione di questa previsione per una considerazione di sistema.
  Si tratta di un'aggravante di secondo grado in cui l'aumento di pena, e quindi l'inasprimento del trattamento punitivo, è collegato alla provenienza dei beni da un delitto presupposto a sua volta aggravato. L'imputazione di quest'aggravante, che ovviamente deve seguire gli ordinari criteri Pag. 35soggettivi di imputazione, presuppone quindi la consapevolezza o, almeno, la conoscibilità di elementi di fatto che costituiscono, nel caso in cui appunto i beni provengono da rapina o estorsione, le circostanze aggravanti della rapina o dell'estorsione, quindi come un allungamento della catena di accertamento dei profili soggettivi, che ci pare nei fatti assolutamente irrealistico.
  Segnaliamo questo rischio principale che ci fa tornare con la memoria alle derive oggettivistiche dell'applicazione degli aumenti di pena che ben conosciamo e che tante critiche avevano suscitato, da questo punto di vista, fino alla recente riforma del 1990: il rischio è che, appunto, pur mantenendo – è il sistema a imporlo, oltre che la Costituzione – un criterio di imputazione soggettiva, nell'accertamento concreto dei presupposti di questo tipo di aumenti di pena si finisca per tornare a quelle forme assolutamente oggettive e naturalmente da evitare e da scongiurare già nella formulazione astratta della fattispecie.
  Rinvio, per quello che la sintesi non mi ha consentito di illustrare, al contenuto della tavola che abbiamo già prodotto. Concludo, in questo ovviamente totalmente d'accordo col presidente Spigarelli, ribadendo che si tratta di un intervento rispetto al quale siamo fortemente contrari, contrari alle soluzioni più qualificanti. Si tratta, infatti, a nostro avviso, di misure che non introducono alcun significativo vantaggio per la posizione della vittima e, anzi, come abbiamo visto, in molti casi si traducono in un arretramento di tutela, che peggiorano la posizione della persona offesa in questi procedimenti, nel contempo finendo per appesantire inutilmente una procedura che andrebbe in realtà alleggerita in molti suoi passaggi.
  Se si dovessero convertire alcune delle misure procedurali previste dal decreto, la procedura diventerebbe ancora più irragionevolmente pesante e moltissimi passaggi si traducono in un ulteriore arretramento sul tema delle garanzie e dei diritti dell'imputato, in particolar modo sul tema delle garanzie difensive.

  PRESIDENTE. Avverto che il documento consegnato dall'Unione delle camere penali è in distribuzione.
  Passiamo all'Associazione nazionale magistrati. Sono presenti Rodolfo Maria Sabelli, presidente, e il segretario generale Maurizio Carbone e il componente della GEC, Giunta esecutiva centrale, Angelo Busacca.
  Do la parola al presidente Sabelli.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Abbiamo depositato una relazione scritta, alla quale abbiamo allegato, solo per comodità di lettura – non so se il documento sia già disponibile, ma è anche su fonti aperte – la relazione redatta dall'Ufficio del massimario della Corte di cassazione. Il contenuto di quest'ultima è da noi condiviso, quindi alcune osservazioni non si ritrovano nella nostra relazione perché già contenute in questa.
  Leggendo il decreto-legge, colpisce – su questo punto, concordiamo con quanto già esposto dal presidente dell'Unione delle camere penali – una certa asistematicità, ossia l'approccio molto settoriale. Del resto, la ragione che ha ispirato questo intervento normativo ha fatto sì che le modifiche normative siano molto mirate su alcuni reati in particolare, ma perdendo di fatto la visione di coerenza con l'intero sistema di diritto penale sostanziale e processuale.
  Mi soffermerò molto brevemente su alcuni punti critici, cercando però anche di mantenere un atteggiamento costruttivo, indicando quelle che, a nostro giudizio, possono essere le possibili soluzioni.
  Anzitutto, porrei l'attenzione sulla nuova circostanza aggravante di avere commesso il fatto in presenza di minori. La circostanza è stata inserita per il reato di maltrattamenti in famiglia, aderendo fin da ora al dettato della Convenzione di Istanbul, anche se la Convenzione non è ancora entrata in vigore. Quest'aggravante non è stata, però, inserita, ad esempio, nell'articolo di atti persecutori, il 612-bis, Pag. 36che pure presenta caratteristiche simili a quelle del reato di maltrattamenti, ossia l'abitualità alla violenza domestica.
  Colpisce, tuttavia – siamo sempre nell'ambito di questa certa asistematicità dell'intervento – che quest'aggravante sia stata inserita nell'articolo 628, comma 3, n. 3-sexies del codice penale, cioè un'aggravante per la rapina, e tuttavia non si comprende perché, se la ragione di questa circostanza aggravante è di tenere indenni i minori dall'assistere a violenze, sia stato fatto solo per il delitto di rapina e non per tutti gli altri reati connotati da violenza fisica. Nella relazione dell'Ufficio del massimario, si sottolinea, ad esempio, come questa aggravante non sia stata prevista per il caso dell'omicidio.
  La soluzione potrebbe essere quella di circoscrivere, in qualche modo, in termini più congruenti questa aggravante, come nel caso della rapina con riferimento a quei soli luoghi, ad esempio l'abitazione, in cui più frequentemente è possibile la presenza di minori, in modo da sottrarre questa circostanza a censure di irragionevolezza, oppure di introdurre un'aggravante comune riguardante tutti i reati caratterizzati da violenza fisica.
  È stata, inoltre, introdotta un'aggravante nel reato di violenza sessuale, articolo 609-ter, commesso in danno del coniuge anche separato o divorziato e della persona con cui vi è o vi era una relazione affettiva a prescindere da uno stato di convivenza. In linea generale, è condivisibile la scelta di politica legislativa di prevedere queste aggravanti in danno del coniuge anche separato o divorziato e in costanza di rapporto, ma colpisce il riferimento alla relazione affettiva, concetto con cui la giurisprudenza si è già confrontata con riferimento al reato di atti vessatori, il cosiddetto stalking, e che pone non poche difficoltà di ordine interpretativo. Peraltro, nella relazione dell'Ufficio del massimario, è stato osservato come quest'estensione dell'aggravante ai rapporti in corso non sia avvenuta con riferimento al reato di atti vessatori.
  Quanto agli atti persecutori attraverso strumenti informatici o telematici come fattispecie aggravata, non si comprende la ragione per cui questa circostanza aggravante sia riferita all'impiego di strumenti informatici o telematici. È vero che lo strumento informatico o telematico ha una invasività, una pervasività, una diffusività e anche una persistenza e una diffusione nel tempo potenzialmente quasi infinita; tuttavia, altri strumenti, anche l'uso del telefono, l'sms, hanno caratteristiche analoghe. Sembra poco ragionevole, quindi, la volontà di introdurre questa limitazione della circostanza aggravante.
  Suggeriamo, piuttosto, una lettura di altro tipo. Ciò che veramente può rendere più grave questo tipo di illecito è il carattere di pubblicità. Anche la cronaca insegna come questi comportamenti, questi atti vessatori condotti attraverso la diffusione di immagini, che spesso attengono anche alla sfera privata, o di informazione o di notizie, assumano una forza e una violenza particolari quando condotti con mezzi di pubblicità.
  Una soluzione alternativa potrebbe essere quella di prevedere un'aggravante costruita sull'esempio di quella prevista dal comma 3 dell'articolo 595, diffamazione commessa con mezzi di pubblicità, peraltro reato con il quale pacificamente quest'illecito e gli atti vessatori possono concorrere.
  Quanto all'aggravante prevista all'articolo 625, n. 7-bis, il cosiddetto «furto di rame», è stato già detto, ed è vero, che tale furto, quando commesso, realizza già oggi almeno di solito due aggravanti: uso della violenza sulle cose, esposizione alla pubblica fede e magari altro. Si tratterebbe, quindi, nella maggior parte dei casi, di una terza aggravante, ma gli effetti non sono tanto sul furto, che è già adesso pluriaggravato, quanto piuttosto sulla ricettazione. Anzitutto, non si comprende perché sia stata introdotta quest'aggravante per la ricettazione e non anche per il riciclaggio. In genere, i passaggi successivi nella manipolazione di questi prodotti realizzano proprio degli atti che ostacolano l'identificazione di questi oggetti.
  Anche in questo caso, riscontriamo quel difetto di asistematicità al quale facevo Pag. 37riferimento al principio. Non si comprende perché aggravare la ricettazione di oggetti di rame provenienti da furti e non piuttosto la ricettazione di oggetti preziosi che vengono da scippo o da furto in abitazione, trattandosi di reati presupposti, in questo caso, che hanno una rilevanza e una pericolosità quanto meno, se non maggiore, pari a quella dei furti di rame.
  Quanto ai profili cautelari, il nuovo comma 2-bis dell'articolo 299, che prevede la notifica della domanda di revoca o modifica della misura da persona offesa, ci appare complesso e anche poco comprensibile. Ci siamo interrogati sulle ragioni che hanno ispirato questo intervento. Ci chiediamo se la ragione sia quella di consentire alla persona offesa di anticipare in qualche modo le proprie determinazioni in vista di un'eventuale revoca o modifica della misura o, piuttosto, quella di consentirle un'interlocuzione sulla permanenza dei gravi indizi e delle esigenze cautelari nel momento in cui il giudice si appresta a valutarle. Se così fosse – francamente potrebbe sembrare più questa la ragione che non un'anticipazione eventuale di mezzi di difesa – ci troveremmo di fronte a una nuova estensione del contraddittorio cautelare. Tale estensione del contraddittorio cautelare risulterebbe, tutto sommato, poco regolata anche con riferimenti a tempi e modalità dell'interlocuzione, perché all'origine anche poco esplicita in questi suoi scopi.
  Sul piano pratico questo obbligo di notifica crea dei problemi, ad esempio tenuto conto spesso della difficile reperibilità o addirittura dell'irreperibilità della persona offesa, per cui bisognerebbe pensare a forme di elezione obbligatoria di domicilio o nomina obbligatoria di difensore di fiducia o, in mancanza, di ufficio. Se invece la finalità fosse quella di assicurare, in presenza di una revoca o di una modifica della misura cautelare, comunque una tutela alla persona offesa, allora potrebbe essere perfino più efficace prevedere la notifica o della domanda o anche solo del provvedimento di revoca o di modifica piuttosto ai servizi sociali, che già sono stati informati ab origine dell'adozione del provvedimento cautelare.
  Osserviamo, inoltre, sul piano tecnico che analoghe previsioni di informazione non sono previste per il caso di procedimento incidentale, riesame o appello dinanzi al Tribunale per il riesame.
  Quanto alla misura precautelare prevista dall'articolo 384-bis, non condividiamo molto le critiche. È vero che si prevede un nuovo strumento per la polizia giudiziaria, ma in realtà è uno strumento che ha una durata ben circoscritta, una disciplina modellata su quella del fermo e dell'arresto. Vi è, effettivamente, una parziale sovrapposizione rispetto a questi provvedimenti, ma questo può consentire in qualche modo un ampliamento delle possibilità di intervento precautelare con l'adozione di provvedimenti tutto sommato anche meno invasivi.
  Quanto all'applicazione all'articolo 582, ci sembra ovvio che questo sia possibile soltanto per le ipotesi non di competenza per il giudice di pace, per il quale ovviamente già non è possibile l'arresto. Per quanto riguarda le minacce aggravate, posto che anche nel panorama della minaccia grave vi sono delle ipotesi, tutto sommato, connotate da una gravità inferiore, si potrebbe riflettere su una limitazione di questa misura precautelare alle minacce portate con armi o altri strumenti di carattere offensivo.
  Osserviamo che la misura precautelare è consentita in presenza di pericolo per la vita e l'integrità fisica, non anche per l'integrità psichica, che invece costituisce uno dei beni giuridici protetti dalla fattispecie dello stalking, degli atti persecutori, che possono cagionare danni gravi anche se solo limitati all'ambito psichico.
  Si tratta di una misura precautelare di carattere non custodiale, quindi è prevedibile un frequente ricorso allo strumento dell'articolo 391, comma 3, ossia la presenza facoltativa del soggetto all'udienza di convalida.
  Questo potrebbe creare qualche difficoltà ai fini della notifica, sia qualora il soggetto si renda irreperibile, sia qualora Pag. 38il soggetto non compaia; questi due aspetti potrebbero essere invece opportunamente regolati in modo esplicito.
  Quel difetto di sistematicità e di coerenza complessiva del sistema al quale facevo riferimento prima mi pare si possa riscontrare anche con riferimento agli interventi sugli articoli 408 e 415-bis, ossia avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione e avviso di conclusione delle indagini preliminari. Per l'avviso della richiesta di archiviazione ne viene introdotta l'obbligatorietà anche in assenza di espressa richiesta, mentre la notifica alla persona offesa dell'articolo 415-bis costituisce un'assoluta novità.
  Queste previsioni non esistono, invece, per altre ipotesi, che pure introdotte per il reato di maltrattamenti non sono state introdotte, invece, anche per altri reati che pure presentano caratteristiche simili, in quanto riguardano casi di violenza condotta nell'ambito familiare.
  Peraltro, queste notifiche producono indubbiamente un certo appesantimento nell'iter del procedimento, e di questo bisogna tener conto considerando anche quale possa essere l'effettiva efficacia di questo tipo di avvisi, in quanto se la persona offesa non ha presentato denuncia, se non si è resa parte attiva, se non ha fatto espressa richiesta, questo – come purtroppo l'esperienza talvolta insegna – può essere il risultato anche di particolari intimidazioni, di violenze, di una situazione di soggezione, tali per cui c’è da dubitare che in concreto questi avvisi possano suscitare un intervento della parte lesa, della vittima nelle successive fasi procedimentali.

  PRESIDENTE. Do ora la parola al professore Gabrio Forti, ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.

  GABRIO FORTI, Ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ho trasmesso alla presidenza una memoria scritta, che so essere stata distribuita, quindi mi limiterò a richiamarne alcuni passaggi.
  La parte più cospicua della memoria è costituita da una serie di considerazioni di fondo sulle norme che nel decreto assumono maggior rilievo, rivolte principalmente al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere.
  Osservo che le norme più significative di questo decreto sono per lo più mosse dall'intento, peraltro comprensibile, di separare i soggetti legati dalla cosiddetta «relazione affettiva» nell'ambito della quale si generano gli atti persecutori o violenti. Tali soggetti, peraltro, sono avvinti da legami biograficamente significativi e risalenti. Come mostra l'esperienza criminologica e clinica, molte volte l'intervento intempestivo ed eccessivamente drastico dal punto di vista giudiziario o di polizia ha un effetto di peggioramento della situazione; anzi, come segnalano gli esperti della materia nel campo psicologico e psicanalitico, possono addirittura aumentare il rischio di escalation della violenza.
  Questo significa che è estremamente importante saper scegliere il momento in cui si intervenisse in quella fase nella quale è ancora possibile non dico ricostituire il rapporto, perché è abbastanza improbabile che di fronte ad atti persecutori e violenti questo rapporto si possa ricostituire, ma quanto meno incanalarlo verso percorsi meno aggressivi e violenti. Ciò ovviamente in conformità con l'intento principale di una normativa come questa, così delicata e importante, che è quello di tutelare il soggetto debole, la potenziale vittima dalla condotta del soggetto, solitamente maschio, che in questi contesti relazionali ricorre all'aggressione.
  Un dato segnalato dall'esperienza clinica psicopatologica acquisita a seguito di numerosi interventi su queste situazioni conflittuali è che con grande frequenza i molestatori e aggressori soffrono di un deficit anche grave di capacità espressiva, rispetto al quale l'agire violento sembra porsi come una sorta di compensazione.
  Riscontriamo anche – non è un dato ontologico, ma in gran parte socio-culturale – che spesso l'elemento femminile della relazione affettiva manifesta, invece, una superiore capacità di argomentazione Pag. 39e di affabulazione. Si acuisce, cioè, in una certa fase di questa relazione distorta una sorta di asimmetria comunicativa di coppia tale da favorire un’escalation della violenza, che si presenta a volte proprio come una compensazione da parte del maschio dell'incapacità di verbalizzare le proprie emozioni e particolarmente la difficoltà di rapporto con il suo partner.
  Domenica scorsa Silvia Vegetti Finzi scriveva che «la violenza nasce dalla morte del pensiero, dalla negazione del dolore mentale, dall'incapacità di esprimere e condividere le nostre emozioni». Paradossalmente si può dire che il maschio violento e prevaricatore sia in realtà a volte il soggetto più debole, perché incapace di litigare, di discutere in senso produttivo, di argomentare, di mettere dei limiti, di esprimere pienamente il proprio sé emozionale.
  Anche se è indubbiamente positiva la previsione di nuovi strumenti di intervento a tutela della donna, del genere, nelle situazioni conflittuali, ciò non deve indurre a ritenere che le risposte repressive, coattive, interdittive possano rappresentare non solo l'unica soluzione, ma anche la soluzione principale del problema.
  Il problema è, appunto, quello di fermare la progressività, la escalation di violenza che il cosiddetto stalker mette in atto, che non è immediata in molte situazioni criminologicamente studiate, ma appunto graduale.
  Il provvedimento giudiziario spesso non tiene conto del contesto di cui ho parlato. Se l'intento primario è appunto quello di proteggere dalla violenza di genere, nello spirito espresso anche dalla Convenzione di Istanbul, non si può nemmeno trascurare come la stessa vittima, reale o potenziale, nella situazione attuale possa ritardare la denuncia, la comunicazione all'autorità, proprio perché in parte timorosa delle reazioni violente che questo può determinare, in parte magari ancora illusa di evitare al partner le conseguenze estreme di una normativa che in effetti, se giocata troppo sul piano repressivo, può rivelarsi a volte controproducente.
  Qual è la proposta ? Quello che dovrebbe essere attuato, in una fase abbastanza precoce, è l'invio del soggetto molestatore o persecutore a servizi di «mediazione» o di terapia psicologica, anche per identificare le situazioni di patologia conclamata. Non può che segnalarsi – apro una parentesi – anche in questo contesto l'assenza in Italia, rispetto a moltissimi Paesi del mondo, di una normativa organica sulla giustizia riparativa in materia penale. Questa è una lacuna molto seria del nostro sistema e, come molti dei presenti penso sappiano, la giustizia riparativa, la restorative justice, sta avendo una crescita e una rilevanza di successi a livello mondiale di cui cominciano a prendere atto anche molteplici documenti e normative internazionali.
  In sostanza, si tratta di mettere in moto una serie di mediazioni specialistiche in una fase abbastanza precoce di prima insorgenza del conflitto. In questo senso, l'autorità di polizia giudiziaria, coordinandosi con quei servizi che sono già attivi nell'ambito civile – pensiamo alle disposizioni che riguardano gli ordini di protezione contro gli abusi familiari della legge 4 aprile 2001, n. 154 – potrebbe anche mobilitarsi anticipatamente rispetto all'atto di denuncia o di comunicazione all'autorità giudiziaria, non necessariamente per ricostituire il rapporto affettivo, ma per evitarne le conseguenze più gravi. Sappiamo bene (la cronaca ce lo dice e abbiamo anche statistiche abbastanza attendibili) che dopo che la donna ha presentato la denuncia per gli atti persecutori spesso si determinano nei suoi confronti conseguenze ben più gravi, perché evidentemente non è possibile assicurare una sua protezione totale nel periodo, spesso assai lungo, successivo alla denuncia.
  Una seconda considerazione di fondo, prima di richiamare rapidamente alcuni dettagli, riguarda l'eterogeneità terminologica del testo del decreto-legge, che in campo penale espone le previsioni a possibili contrasti con i princìpi costituzionali di tassatività e determinatezza, utilizzata da questo corpo normativo. Si parla di atti persecutori, di violenza domestica, di violenza Pag. 40di genere, di violenza contro le donne. Ecco, sarebbe molto opportuno che il legislatore, anche eventualmente discostandosi – come invece non ha fatto – dai calchi terminologici ricavati dalla Convenzione di Istanbul, cercasse di acquisire una maggiore precisione e omogeneità nell'uso di questi concetti.
  Esaminando ora qualche aspetto di dettaglio, si è già parlato molto, da parte di chi è intervenuto prima di me, della previsione della aggravante del delitto ex articolo 572 commesso in danno o in presenza di minore degli anni diciotto. Sono d'accordo con le osservazioni già riferite: la normativa del decreto eleva da quattordici a diciotto anni l'applicabilità di un'aggravante che esisteva già nel testo del 612-bis, dopo una recente riforma. Peraltro, qui possiamo dire che indubbiamente la norma, forse con eccesso di zelo rispetto alla prescrizione della Convenzione di Istanbul, che parla di bambini, tiene conto dell'esigenza di non esporre i minori a certi «spettacoli».
  Peraltro, bisogna segnalare – anche qui nella prospettiva, che dovrebbe essere prevalente, di una tutela di «genere» della donna – che a volte, non dico il minore, ma quanto meno il minore più grandicello può rappresentare una risorsa, sia di testimonianza sia di sostegno, nei confronti della donna, tanto più quando il minore si avvicina ai diciotto anni. Siccome ogni legislazione dovrebbe ipotizzare come raggiunto il risultato preventivo perseguito dalle proprie norme, nel momento in cui il persecutore prendesse degli accorgimenti per allontanare il minore di diciotto anni dalla visione di ciò che sta commettendo per sottrarsi appunto all'aggravante, si perderebbe paradossalmente una risorsa probatoria e di sostegno nei confronti della vittima. Questo è un elemento di «prevenzione situazionale» che vorrei aggiungere agli altri che sono stati già espressi, che mi trovano concorde.
  L'articolo 1, comma 2, del decreto interviene sull'articolo 609-ter, prevedendo una pena più severa quando il delitto è commesso «nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è stato legato dal relazione affettiva, anche senza convivenza» nonché nei confronti di donna incinta. Per quanto riguarda questo ultimo aspetto della donna incinta, indubbiamente si vuole tutelare con maggiore intensità il fatto di reato commesso in una condizione di particolare vulnerabilità. È evidente, peraltro, che nel momento in cui si presta attenzione alla vulnerabilità della donna o di altri soggetti, altre vulnerabilità potrebbero essere richiamate, che sono tutto sommato non maggiori dal punto di vista dell'intensità, ma statisticamente ben più frequenti della gravidanza. Pensiamo alla condizione di dipendenza economica della partner nei confronti dell'abusante, a minorazioni, a malattie fisiche o psichiche.
  Un secondo aspetto sempre relativo a questa aggravante, riguarda il concetto di «relazione affettiva». Sono d'accordo con quanto è stato detto precedentemente, ossia che questo concetto è estremamente problematico, anche se, come tutti sappiamo, è stato già utilizzato nell'articolo 612-bis relativo agli atti persecutori. Il concetto dovrebbe però essere meglio precisato. È vero che quì stiamo esaminando la conversione in legge di un decreto – tra parentesi io appartengo a quella dottrina penalistica, abbastanza minoritaria, che ritiene che in materia penale non si dovrebbe quasi mai intervenire con i decreti-legge, – che non può certo apportare riforme di grandissimo respiro, ma forse questa potrebbe essere una buona occasione anche per rimettere mano al 612-bis, precisando meglio, tassativizzando e delimitando il concetto di «relazione affettiva» e forse apportando al 612-bis qualche modifica per attenuarne le componenti più accentuatamente psicologiche o psicologizzanti.
  Noi sappiamo che in altri ordinamenti – penso alla fattispecie di «Nachstellung» del codice penale tedesco – ci si è agganciati, per configurare gli atti persecutori, su dati più oggettivi; quanto meno si potrebbe rimuovere il requisito dello stato Pag. 41d'ansia e mantenere quello del timore o, ancor meglio, del cambiamento delle abitudini.
  Sono d'accordo su quanto è stato detto dal rappresentante dell'Associazione nazionale magistrati e da chi lo ha preceduto in merito allo scarso fondamento di un'aggravante riservata all'utilizzo, per quanto riguarda gli atti persecutori, di strumenti informatici. Trovo interessante invece l'idea che pure ho ascoltato quest'oggi di introdurre semmai un'aggravante in caso di pubblicità dei fatti.
  Sono d'accordo sul fatto che alcune novazioni di tipo processuale – penso anche soltanto all'articolo 299 del codice di procedura penale – hanno determinato una sorta di statuto speciale dei reati qui considerati, da cui derivano incoerenze di sistema.
  Se è condivisibile, ad esempio, l'idea di una comunicazione alla persona offesa del provvedimento che disponga la revoca o la sostituzione delle misure cautelari, non si capisce perché questo non debba essere assicurato in altri contesti e, soprattutto, perché questa logica comunicativa non debba essere portata a ulteriore sviluppo proprio in quella prospettiva allargata di cui parlavo prima, con un coinvolgimento molto precoce e molto ampio nei confronti non solo della donna, ma anche dell'autore di questi atti da parte di figure e centri specializzati o di centri di mediazione.
  Ricordo, tra l'altro, che l'articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto è formulato in modo da rendere non univoco l'ambito di applicazione della disposizione; può apparire che la comunicazione ai servizi sociali, di cui si parla nell'articolo 299, sia alternativa e sussidiaria rispetto a quella inviata al difensore. Si legge, infatti, che dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 relativi alle misure previste dagli articoli 282-bis e 282-ter devono essere immediatamente comunicati al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio». Come dire che i servizi socio-assistenziali non vengono coinvolti nel momento in cui la comunicazione pervenga al difensore.
  Sull'arresto obbligatorio in flagranza si è già parlato prima di me. Aggiungo semplicemente che, pur aumentando indubbiamente la tutela nei confronti della vittima, la rigidità della misura rischia di porsi in contraddizione con quella flessibilità e gradualità che, come ho detto all'inizio, sarebbero quanto mai auspicabili per affrontare in modo complessivo il problema della violenza di genere.
  Per quanto riguarda le norme che non concernono propriamente la violenza domestica, al punto 13 della mia memoria scritta vi è una riflessione sull'articolo 18-bis, che si aggiunge all'articolo 18 e che prevede un permesso di soggiorno assistenziale allargato nei confronti di chi subisca questo genere di violenze e si trovi nella condizione di straniero immigrato.
  Interessante il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, salvo appunto l'esigenza, anche qui avvertibile, di una maggiore chiarezza e omogeneità concettuale e terminologica.
  Per quanto riguarda il delitto di rapina, e in particolare l'aggravante per chi commette il fatto in presenza di minori, ovviamente non è chiaro perché questa aggravante debba riguardare soltanto la rapina, ed è stato detto giustamente che allora dovrebbe essere estese, ad esempio, anche all'omicidio.
  Infine, per quanto concerne i furti di materiale metallico o altro materiale da infrastrutture, mi soffermo su una considerazione che, peraltro, mi sembra si limiti a sviluppare quanto è stato già detto prima di me. In primo luogo, questa disposizione sembra scontare molto apertamente motivazioni dettate dall'allarme sociale della frequenza di certi fatti criminosi registrati dalla cronaca. La relazione di accompagnamento ha cura di sottolineare, peraltro, la marcata offensività di queste condotte.
  Vorrei, tuttavia, che si riflettesse sulle conseguenze sanzionatorie di un simile intervento di riforma. Suscita in particolare perplessità quanto enunciato nella stessa relazione di accompagnamento al Pag. 42decreto, dove si auspica la combinazione della nuova aggravante che si vuole introdurre con quella di cui all'articolo 625, comma 1, numero 2, «violenza sulle cose», auspicando in tal modo di arrivare a una pena da tre a dieci anni, definita appropriata rispetto alla gravità delle manifestazioni delittuose in discorso.
  Gli esiti sanzionatori di una tale combinazione normativa appaiono però assolutamente eccessivi rispetto alla pur sensibile gravità del fenomeno considerato, specie ove confrontati – e qui mi associo ai dubbi di sistematica o di sistematicità che sono stati avanzati – con i livelli edittali di pena contemplati per fattispecie di offensività decisamente maggiore, per i beni personali, come appunto la rapina, che come sappiamo coinvolge anche un'offesa alla persona. Quindi, ci troveremmo in una situazione (che, ahimè, in altri settori dell'ordinamento abbiamo già riscontrato) in cui si tutelino di più beni patrimoniali rispetto a beni personali.
  Grazie per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, professore.
  Do la parola al Presidente della I Commissione, on. Sisto.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della I Commissione. Vorrei innanzitutto scusarmi con persone che ho il piacere di conoscere, ma avevo una convocazione dal ministro a cui ovviamente non potevo sottrarmi. Tuttavia, trarrò golosa soddisfazione dalla lettura degli elaborati scritti. Ho visto quello redatto dall'Unione delle camere penali che richiama norma per norma; mi sembra una buona tecnica per rendere più facile la consultazione.
  Ringrazio il presidente dell'ANM Sabelli e il dottor Carbone, con cui abbiamo condiviso anche esperienze più «piacevoli», poiché il contraddittorio rende le cose più piacevoli.

  PRESIDENTE. La seduta congiunta ci consente di alternarci e di comunicarci reciprocamente gli esiti dello studio che faremo insieme.
  Conclusa questa parte delle audizioni, chiedo se ci sono domande da parte dei colleghi.

  RENATO BALDUZZI. Vorrei porre una domanda flash riferita all'ultimo intervento del professor Forti. Mi ha interessato molto il riferimento, peraltro non nuovo da parte del professor Forti e della scuola di cui lui oggi è capofila, alla giustizia riparativa. Chiederei al professore se sinteticamente potesse darci qualche elemento ulteriore di come un approccio in termini di giustizia riparativa potrebbe essere applicato al tema del contrasto della violenza di genere.

  GABRIO FORTI, Ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del sacro Cuore di Milano. Forse si potrebbe richiamare – nella mia memoria non si entra nei dettagli di una proposta normativa – il progetto di legge che abbiamo formulato, ed è stato anche pubblicato in un volume, nel campo della responsabilità penale medica, in particolare denominata «Proposta di riforma in materia di responsabilità penale nell'ambito dell'attività sanitaria e di gestione del contenzioso legato al rischio clinico». In quel testo, si prevede che, nel momento in cui le parti accedano o almeno una parte acceda a un percorso di giustizia riparativa, il procedimento penale – abbiamo anche consultato i colleghi processualisti, e ciò non è parso in contrasto con il principio di obbligatorietà dell'azione penale – si interrompe e si dà luogo al percorso riparativo, che fra l'altro ha l'attitudine di facilitare quella dialogicità ed espressività comunicativa la cui carenza, come ho detto, specialmente dal lato maschile, può essere almeno in parte all'origine della condotta vessatoria o violenta. Nel momento poi in cui sia attestata la positiva conclusione della riparazione (e nella proposta che abbiamo avanzato c’è un'articolata definizione della procedura che può condurre a questo risultato), il pubblico ministero può chiedere l'archiviazione al giudice per l'estinzione del reato.
  Se c’è un settore nel quale questo percorso risulta promettente, per le ragioni Pag. 43che ho esposto, ritengo sia proprio quello delle relazioni di coppia. Questo ovviamente non significa che ci sia un vincolo della vittima a subire il confronto con il partner violento, che in situazioni gravi, di avanzata degenerazione del rapporto, si presenta ormai solo come una sorta di carnefice che toglie il sonno, ma che in molte situazioni meno deteriorate può essere avviato ad atteggiamenti più ragionevoli.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della I Commissione. Vorrei intervenire brevemente su questo aspetto. Nella nostra esperienza, anche nella scorsa legislatura, abbiamo «confezionato» due norme che io trovo in linea con questo trend interpretativo: l'articolo 341-bis, cioè l'oltraggio che è stato reintrodotto, con la possibilità in caso di doppio risarcimento del danno, anche con offerta reale (è questo il tema su cui volevo intrattenere il professor Forti), di estinguere il reato; un altro pacchetto – dove per poco non siamo riusciti nel tentativo di dare a tutti i reati procedibili a querela la possibilità di essere estinti, ove il giudice procedente avesse ritenuto l'offerta reale congrua – quello della remissione tacita di querela. In quel caso, vi sono state alcune fibrillazioni all'ultimo momento, laddove l'ipertutela della vittima qualche volta fa perdere di vista il baricentro di un diritto penale teso all'essenzialità se non all'economia procedimentale e processuale.
  Vorrei chiedere al professor Forti, approfittando di questa sua «inclinazione» verso il diritto risarcitorio, che cosa ne pensi di una chance di un'estinzione del reato di tipo processuale e procedimentale laddove vi fosse un'offerta del danno per i reati procedibili a querela, nessuno escluso o con delle esclusioni. Se devo dire la mia, proprio su questo tipo di reati avrei sinceramente qualche perplessità, perché qui la complicazione dei rapporti tra le parti rende difficile subire un'offerta reale o un risarcimento del danno che coattivamente estingua la fattispecie. Comunque, non faccio discriminazioni qualitative, mi riferisco al meccanismo.
  Chiedo quindi al professor Forti se un meccanismo di offerta reale di un risarcimento del danno nei reati procedibili a querela, che consenta al giudice procedente, laddove ritenga congrua l'offerta, di dichiararlo estinto, salvo poi il diritto della parte civile o della persona offesa di rivolgersi in sede civile per ottenere quello che ritiene giusto, al di là dell'estinzione del procedimento penale, insomma se questo meccanismo deflattivo sia in linea con gli studi che, come apprendo dal sempre prezioso professor Balduzzi, la sua scuola ha inteso promuovere.

  GABRIO FORTI, Ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del sacro Cuore di Milano. Innanzitutto, l'offerta del risarcimento come unico fattore di estinzione del reato, a mio giudizio, è troppo riduttivo rischia di appiattire il disvalore penale, che è un disvalore sempre accresciuto rispetto a quello patrimoniale e civile, sulla esclusiva dimensione pecuniaria appunto di tipo patrimoniale.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della I Commissione. Anche per l'ingiuria, per esempio ? Anche per reati semplici, come la diffamazione semplice ? Insomma, sulla necessità della pena, le dico sinceramente che avverto la difficoltà di un disvalore pena di condotte che appesantiscono molto la giustizia e in qualche maniera forse non sono riconducibili a quel concetto di afflittività e di rieducazione che può passare anche attraverso il danno.

  GABRIO FORTI, Ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del sacro Cuore di Milano. Tutta la tradizione di pensiero della scuola penalistica dell'Università cattolica è sempre stata ispirata dall’extrema ratio, dal principio di sussidiarietà, e quindi dalla precisa convinzione che al diritto penale si debba fare ricorso proprio quando non siano disponibili altri percorsi e altri strumenti. Questo, però, non significa che, pur rinunciando eventualmente alla sanzione penale di tipo tradizionale – pensiamo soprattutto alla sanzione detentiva, che è quella più invasiva Pag. 44sulle prerogative individuali costituzionali – non debba comunque mantenersi il messaggio di disvalore che la previsione penale in sé esprime.
  Da questo punto di vista, e passo alla seconda parte della sua osservazione-domanda, l'esperienza e la cultura – che è ormai una cultura enorme, che non va confusa con quello che è stato fatto ad esempio nella mediazione civile – della giustizia riparativa non si indirizzano certo primariamente a deflazionare il carico giudiziario, a «chiudere» una vertenza, ma a mantenere, però traducendolo in responsabilità verso qualcuno e non più soltanto per aver fatto qualche cosa, il significato di offensività che il reato ha espresso. Pertanto, quando il reo e la vittima si incontrano sotto la guida di un mediatore, molte volte (l'esperienza ce lo insegna perché nel nostro gruppo ci sono pratici, non soltanto teorici, della giustizia riparativa l'autore si rende ancora più conto della gravità di ciò che ha fatto.
  Da questo punto di vista, il percorso riparativo ha addirittura una valenza rieducativa secondo i dettami dell'articolo 27, comma terzo, più promettente rispetto alla risposta sanzionatoria tradizionale e ciò proprio perché non annulla il disvalore del fatto, ma anzi lo approfondisce, visto che l'autore del reato è reso più consapevole del danno concreto, personale, umano, arrecato con la sua condotta.

  PRESIDENTE. Vorrei ricordare che il Parlamento ha messo a punto un provvedimento concreto nella via della giustizia riparativa con l'istituto della messa alla prova, che è stato approvato alla Camera. Speriamo che il Senato, prima della chiusura di questa legislatura, non ce lo faccia riportare due volte (il testo lo abbiamo approvato due volte alla Camera). Credo che questo sia un primo tentativo.
  Mi sembra giusto riprendere le osservazioni che faceva il presidente Sisto, con cui abbiamo condiviso diversi approcci sul punto, ma il problema esiste. Credo che un approfondimento su pene alternative e quindi percorsi alternativi vada fatto.
  Riguardo alle audizioni, ritengo che le Commissioni dovranno tener conto dei preziosissimi suggerimenti e osservazioni emersi, cercando di fare una sintesi tra efficacia delle misure e garanzie. Questa è la difficoltà con cui sempre il legislatore, a mio avviso, si deve confrontare, soprattutto su un tema delicato come quello affrontato in una parte del decreto-legge, che, ricordo, si occupa anche di altri aspetti.
  Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione. Ricordo che l'indagine conoscitiva proseguirà nella seduta di domani.

  La seduta termina alle 12.55.