Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 1540 GOVERNO DI CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 14 AGOSTO 2013, N. 93, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI SICUREZZA E PER IL CONTRASTO DELLA VIOLENZA DI GENERE, NONCHÉ IN TEMA DI PROTEZIONE CIVILE E DI COMMISSARIAMENTO DELLE PROVINCE
Audizione di Marilena Colamussi, professore di diritto processuale penale presso l'Università di Bari; Sergio Lorusso, professore di diritto processuale penale presso l'Università di Foggia; rappresentanti delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL; rappresentanti dell'organizzazione sindacale UGL; rappresentanti dell'Unione delle province d'Italia; Monica Velletti, giudice presso il Tribunale di Roma; Francesca Quadri, Consigliere di Stato; Maria Teresa Manente, responsabile ufficio legale dell'Associazione Differenza donne-ong e referente nazionale della rete Avvocate centri antiviolenza associazione Di.r.e.; Roberto Massucci, vicepresidente dell'Osservatorio per le manifestazioni sportive; Bruno Megale, dirigente della Digos della questura di Milano; rappresentanti dell'Associazione delle giuriste d'Italia; rappresentanti dell'Associazione Donna Ceteris; rappresentanti dell'Associazione L'Italia vera e rappresentanti dell'Associazione Giraffa-onlus di Bari.
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3
Colamussi Marilena , Professore di diritto processuale penale presso l'Università di Bari ... 4
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 6
Ferranti Donatella , Presidente ... 6
Maniscalco Silvana , Presidente dell'Associazione Donna Ceteris ... 6
Ferranti Donatella , Presidente ... 8
Barbucci Giulia , Rappresentate della CGIL ... 9
Ocmin Liliana , Rappresentante della CISL ... 10
Mannino Fatima Maria Pia , Rappresentante della UIL ... 11
Ferranti Donatella , Presidente ... 12
Civili Loretta , Rappresentante della UGL ... 12
Ferranti Donatella , Presidente ... 13
Saitta Antonino , Presidente dell'Unione delle Province d'Italia ... 13
Ferranti Donatella , Presidente ... 14
Velletti Monica , Giudice presso il Tribunale di Roma ... 14
Ferranti Donatella , Presidente ... 16
Quadri Francesca , Consigliere di Stato ... 16
Manente Maria Teresa , Responsabile ufficio legale dell'Associazione Differenza donna-ONG e referente nazionale della rete Avvocate centri antiviolenza associazione DI.RE ... 19
Ferranti Donatella , Presidente ... 21
Manente Maria Teresa , Responsabile ufficio legale dell'Associazione Differenza donna-ong e referente nazionale della rete Avvocate centri antiviolenza associazione DI.RE ... 21
Massucci Roberto , Vicepresidente dell'Osservatorio per le manifestazioni sportive ... 21
Megale Bruno , Dirigente della DIGOS della questura di Milano ... 22
Ferranti Donatella , Presidente ... 22
Megale Bruno , Dirigente della DIGOS della questura di Milano ... 22
Ferranti Donatella , Presidente ... 22
Virgilio Maria , Presidente dell'Associazione giuriste d'Italia ... 23
Ferranti Donatella , Presidente ... 25
Virgilio Maria , Presidente dell'Associazione giuriste d'Italia ... 25
Ferranti Donatella , Presidente ... 25
Benedettelli Barbara , Presidente dell'Associazione L'Italia vera ... 26
Ferranti Donatella , Presidente ... 27
Benedettelli Barbara , Presidente dell'Associazione L'Italia vera ... 27
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 28
Benedettelli Barbara , Presidente dell'Associazione L'Italia vera ... 28
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 28
Vigilante Maria Pia , Presidente dell'Associazione Giraffa-onlus di Bari ... 28
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 29
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA I COMMISSIONE FRANCESCO PAOLO SISTO
La seduta comincia alle 9.10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione di Marilena Colamussi, professore di diritto processuale penale presso l'Università di Bari; Sergio Lorusso, professore di diritto processuale penale presso l'Università di Foggia; rappresentanti delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL; rappresentanti dell'organizzazione sindacale UGL; rappresentanti dell'Unione delle province d'Italia; Monica Velletti, giudice presso il Tribunale di Roma; Francesca Quadri, Consigliere di Stato; Maria Teresa Manente, responsabile ufficio legale dell'Associazione Differenza donne-ong e referente nazionale della rete Avvocate centri antiviolenza associazione Di.r.e.; Roberto Massucci, vicepresidente dell'Osservatorio per le manifestazioni sportive; Bruno Megale, dirigente della Digos della questura di Milano; rappresentanti dell'Associazione delle giuriste d'Italia; rappresentanti dell'Associazione Donna Ceteris; rappresentanti dell'Associazione L'Italia vera e rappresentanti dell'Associazione Giraffa-onlus di Bari.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva per l'esame del disegno di legge C. 1540 Governo di conversione in legge del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, l'audizione di Marilena Colamussi, professore di diritto processuale penale presso l'Università di Bari; Sergio Lorusso, professore di diritto processuale penale presso l'Università di Foggia; rappresentanti delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL; rappresentanti dell'organizzazione sindacale UGL; rappresentanti dell'Unione delle province d'Italia; Monica Velletti, giudice presso il Tribunale di Roma; Francesca Quadri, Consigliere di Stato; Maria Teresa Manente, responsabile ufficio legale dell'Associazione Differenza donne-ong e referente nazionale della rete Avvocate centri antiviolenza associazione Di.r.e.; Roberto Massucci, vicepresidente dell'Osservatorio per le manifestazioni sportive; Bruno Megale, dirigente della Digos della questura di Milano; rappresentanti dell'Associazione delle giuriste d'Italia; rappresentanti dell'Associazione Donna Ceteris; rappresentanti dell'Associazione L'Italia vera e rappresentanti dell'Associazione Giraffa-onlus di Bari.
Salutando Marilena Colamussi, professoressa di diritto processuale penale presso l'università di Bari, che ringrazio – anche conoscendo i suoi impegni di mamma – di essere presente, la inviterei di dare corso alla sua relazione.
MARILENA COLAMUSSI, Professore di diritto processuale penale presso l'Università di Bari. Buongiorno a tutti.
Le osservazioni che mi accingo a formulare riguardano, essenzialmente, alcuni profili processuali del disegno di legge in esame, quindi l'articolo 2. In particolare, mi soffermerò su due tematiche: una riguarda i correttivi introdotti in materia di misure cautelari e misure pre-cautelari; l'altra le informazioni rese alla persona offesa dal reato.
Quanto al primo punto, si registra un opportuno ampliamento nell'applicazione delle misure cautelari dell'allontanamento dalla casa familiare, prevista dall'articolo 282-bis del codice di procedura penale, estesa alle fattispecie dei maltrattamenti contro familiari e conviventi, di cui all'articolo 572, e agli atti persecutori, più comunemente noti come stalking, in deroga ai generali limiti di età e di pena per i quali è consentita.
Muovo da questa considerazione per sollevare qualche perplessità in ordine all'introduzione di una nuova misura pre-cautelare prevista dal disegno di legge all'articolo 384-bis, dal titolo, «Allontanamento d'urgenza dalla casa familiare», che, dal punto di vista sistematico, è collocata subito dopo la disciplina del fermo di indiziato di delitto. Dico subito che questa misura è, a mio avviso, ridondante rispetto a quella di natura cautelare appena citata dell'allontanamento dalla casa familiare. Di fatto, non aumenta la sicurezza sociale, ma rende più farraginoso l’iter procedurale.
Quella che si intende, infatti, inserire è una misura pre-cautelare, ovvero dettata da esigenze di necessità e urgenza, che per sua natura ha un'efficacia provvisoria, ossia circoscritta nel tempo, nel senso che può durare un massimo di 96 ore.
Questo significa che è assunta su iniziativa della polizia giudiziaria, che il pubblico ministero, entro 48 ore dalla sua esecuzione, deve chiederne la convalida al giudice, il quale, nelle 48 ore successive, deve procedere alla convalida del provvedimento, a pena di caducazione ovvero di perdita dell'efficacia del provvedimento.
La misura può durare, quindi, al massimo 96 ore e il giudice deve esercitare un filtro di legittimità, ovvero un controllo, in ordine alla corretta applicazione di questo provvedimento, che ha una natura provvisoria e che è destinato – badate – solo in termini eventuali, a essere confermato e trasformato in una misura cautelare, quella appunto che abbiamo citato dell'articolo 282-bis, dell'allontanamento dalla casa familiare.
Mi chiedo e vi chiedo che senso abbia introdurre una misura provvisoria ad hoc sul piano dei contenuti identica a una già prevista nel nostro codice, considerando peraltro che la necessità di intervenire d'urgenza è già ampiamente e opportunamente assodata nel nostro ordinamento processuale da due misure pre-cautelari di carattere generale: l'arresto in flagranza e il fermo. Va aggiunto che la stessa esigenza, cautelare di per sé, è soddisfatta ampiamente dalla misura dell'articolo 282-bis.
Passo a esaminare un'altra novità che si intende introdurre sempre in tema di misure cautelari. Si intende ampliare le ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza contemplate dall'articolo 380 alla fattispecie dei maltrattamenti contro familiari e conviventi prevista dall'articolo 572 del codice penale e agli atti persecutori, il cosiddetto stalking, dell'articolo 612-bis. Anche qui mi permetto di evidenziare un'evidente sproporzione tra la natura del provvedimento di arresto obbligatorio in flagranza e la gravità del reato.
Credo che sarebbe stato più opportuno, dal punto di vista sistematico, collocare queste fattispecie criminose tra quelle per le quali è consentito l'arresto facoltativo in flagranza. Questo significa che sarebbe stato escluso qualsiasi automatismo in ordine all'arresto in flagranza obbligatorio per queste fattispecie di reato. Non si arresta, cioè, automaticamente, anche perché queste fattispecie possono essere caratterizzate da una graduale offensività.
Si evita, in questo modo, qualsiasi automatismo e si applica la misura dell'arresto in flagranza solo se e quando è valutata la gravità del fatto, la pericolosità Pag. 5del soggetto, desunta dalla sua personalità e dalle circostanze del fatto, secondo quanto prescritto dall'articolo 381, comma 4.
Temo un equivoco di fondo, che sembra aver ispirato questo intervento normativo d'urgenza, probabilmente sulla scia dei fatti di cronaca: con l'inasprimento delle misure o l'incremento delle pene non si riduce l'incidenza dei reati. Credo che sia solo garantendo la certezza delle pene che si possa ovviare a questo problema.
Affronto il secondo gruppo di norme che il legislatore intende innovare, questa volta in materia di informazioni destinate alla persona offesa dal reato. La prima norma presa in considerazione dal disegno di legge è l'articolo 299 in materia di revoca e sostituzione delle misure cautelari. A questo proposito, si prevede l'introduzione di un comma 2-bis, in base al quale, ogni qual volta sia disposto un provvedimento di revoca o di sostituzione delle misure, rispettivamente dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ex articoli 282-bis e ter – leggo testualmente – «devono essere immediatamente comunicati al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio».
È evidente che la ratio di questa norma è di rendere informata la persona offesa dal reato circa il venir meno oppure l'affievolimento delle misure cautelari, quindi del provvedimento cautelare che era stato applicato in suo favore. Anche per questo motivo, la comunicazione è destinata ai servizi socio-assistenziali del territorio affinché si adoperino per attuare interventi di sostegno a favore della vittima.
Tuttavia, ritengo che la garanzia dell'informazione sarebbe stata meglio apprestata garantendo in ogni caso tale comunicazione anche alla persona offesa dal reato e non già prevedendola in via subordinata, cioè solo qualora manchi il difensore. Peraltro, l'omessa comunicazione non genera alcuna invalidità, nel senso che la norma precetto non prevede la sanzione corrispondente, per cui tutte le volte che è violata, di fatto genera una garanzia solo apparente. Non esiste, infatti, alcuna conseguenza sul terreno sanzionatorio.
Passo a esaminare un'altra norma sempre in tema di informazioni destinate alla persona offesa dal reato. Mi permetto di segnalare in termini di criticità l'integrazione che si intende apportare all'articolo 408, che riguarda la richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato.
Secondo la disciplina attuale, l'avviso circa la richiesta di archiviazione, il pubblico ministero è onerato dal notificarla alla persona offesa dal reato che – badate – nella notizia di reato, ovvero successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di voler essere informata circa l'eventuale archiviazione.
Lo scopo della norma è di garantire alla persona offesa dal reato l'esercizio del diritto di promuovere l'opposizione nei dieci giorni successivi alla notifica. È evidente che la norma è sibillina perché garantisce la ricezione di tale avviso soltanto alla persona offesa dal reato che si sia attivata e adoperata a richiederla.
La modifica suggerita dal disegno di legge in esame prevede che, limitatamente ed esclusivamente per il reato di cui all'articolo 572, cioè per i maltrattamenti contro familiari e conviventi, tale avviso debba essere in ogni caso notificato a cura del pubblico ministero alla persona offesa, la quale avrebbe venti giorni di tempo, quindi un termine di dieci giorni più ampio, per promuovere l'opposizione.
Devo dire che è difficile condividere questa scelta normativa dal momento che le vittime, a mio avviso, hanno tutte pari dignità. Non si comprende perché la vittima di violenza domestica debba essere privilegiata rispetto alla vittima di un altro reato di pari o addirittura di più grave offensività. Pensate alla violenza sessuale, all'omicidio, a qualsiasi altro reato.
Sarebbe stato più opportuno avere il coraggio di estendere tale diritto all'avviso circa la richiesta di archiviazione alla persona offesa dal reato in generale, cioè Pag. 6a qualunque persona offesa, ciò che sarebbe stato possibile semplicemente cancellando dall'articolo 408, comma 2, l'onere della persona offesa dal reato di manifestare la volontà di essere informata.
Sempre sul tema delle informazioni, l'ultima norma che il disegno di legge intende innovare è l'articolo 415-bis, dal titolo «Avviso all'indagato della conclusione delle indagini». Anche in questo caso, sempre limitatamente al reato di cui all'articolo 572 dei maltrattamenti contro familiari, il legislatore vorrebbe estendere la notifica di questo avviso anche alla persona del difensore, oltre che all'offeso dal reato in mancanza del difensore.
A parte la stonatura rispetto al titolo e al contenuto della norma – l'avviso di conclusione delle indagini è una norma che mira a tutelare, essenzialmente, i diritti e le garanzie della persona sottoposta alle indagini – vi è di più: trovo che aver previsto la possibilità che questo avviso sia notificato anche al difensore, ovvero alla persona offesa qualora sprovvista di difensore, non sia corretto. È, infatti, circoscritto soltanto a questo reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, cioè modulando una norma di carattere generale al servizio di una fattispecie particolare, prestando così il fianco a un'evidente disparità di trattamento rispetto ad altre fattispecie criminose, se non di superiore, almeno di pari dignità.
Mi permetto, inoltre, di spendere un'ultima considerazione in ordine alla delicata disciplina dell'esame testimoniale della persona offesa, di cui all'articolo 498. Il disegno di legge prevede che la fattispecie dei maltrattamenti contro familiari e conviventi, di cui all'articolo 572, sia inserita nell'elenco dei reati, tra i quali quelli di violenza sessuale, per i quali è previsto che l'esame della vittima debba essere effettuato adottando particolari cautele, cosiddetto ascolto protetto, attraverso l'uso di un vetro-specchio, unitamente a un impianto citofonico.
Attualmente, la disciplina prevede che queste cautele siano adottate soltanto quando la vittima è minorenne, ovvero quando è maggiorenne inferma di mente. Nel disegno di legge in esame, si prevede l'estensione di tali garanzie anche alla persona offesa dal reato maggiorenne. Tuttavia, essa è onerata dal dovere di farne richiesta e sarà applicata questa protezione solo se e quando si consideri la persona particolarmente vulnerabile.
Ritengo che anche questo caso presenti una stortura. Se davvero, infatti, si intende tutelare la persona offesa dal reato nella sua integrità, credo che in ogni caso l'ascolto debba essere protetto, cioè la sua testimonianza debba essere acquisita utilizzando modalità protette senza la necessità che la stessa ne faccia richiesta e senza neppure valutare la sua vulnerabilità dal momento che la stessa è insita nell'offensività di tali fattispecie criminose.
PRESIDENTE. Ringraziamo la professoressa Colamussi, e la invitiamo, se lo ritiene, a consegnare il suo contributo scritto alla Presidenza, al fine di metterlo in distribuzione. Si tratta di un contributo indubbiamente interessante, che per la verità ha toccato alcuni punti già oggetto anche di pre-dibattito nell'ambito della Commissione in tema dell'avviso per la richiesta di archiviazione, che, circoscritto soltanto all'articolo 572, indubbiamente lascia qualche problema.
Prima di affidare la presidenza alla collega Ferranti, do la parola alla dottoressa Maniscalco, dell'Associazione Donna Ceteris.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE DONATELLA FERRANTI
PRESIDENTE. Come è stato fatto nella seduta di ieri, dato il numero delle audizioni, la presidenza ha stabilito di concedere agli auditi un tempo di 7 minuti. La preghiamo, quindi, di procedere per punti salienti perché, in ogni caso, potrà essere consultato il contributo scritto trasmesso dalla vostra associazione.
SILVANA MANISCALCO, Presidente dell'Associazione Donna Ceteris. Porgo i Pag. 7miei saluti a tutti i componenti delle Commissioni affari costituzionali e giustizia oggi riuniti in questa seduta congiunta per avviare un'interlocuzione di confronto conoscitivo con alcuni dei principali soggetti associativi impegnati sul territorio italiano in materia di sicurezza e contrasto alla violenza di genere.
È per me doverosa una precisazione: come associazione Donna Ceteris gestiamo due centri antiviolenza nella provincia di Cagliari e rappresentiamo un punto di riferimento operativo impegnato da oltre quindici anni nel tema della violenza contro le donne.
Nello specifico, mi piace annotare un primato che ci appartiene a livello nazionale: dal 2006, infatti, siamo stati il primo sportello in Italia con sede a Cagliari per la gestione dei casi di stalking, del quale è responsabile la dottoressa Pirastru, oggi presente con me in questa sede.
Operavamo, quindi, ancor prima che entrasse in vigore la legge nazionale sullo stalking, come mi preme sottolineare non solo come attestazione di qualità per la nostra associazione, ma anche perché si conferma in quest'esempio quanto sia importante intervenire mediante un disegno normativo laddove la realtà quotidiana offre criticità che sfociano in drammi.
Oggi proveniamo dall'approvazione nella giornata di ieri, a opera del consiglio regionale della Sardegna, di una legge importante contro la violenza e lo stalking, un intervento che allinea la nostra regione alle disposizioni del decreto-legge varato, appunto, dal Governo Letta e che ci porta qui con un atteggiamento costruttivo, ma altresì con la necessità di riflettere su prospettive di miglioramento necessarie.
Va detto, di sicuro, che molti dei provvedimenti contenuti nel decreto contro il femminicidio appaiono sostanzialmente importanti, oltre che di meritevole interesse. Ne cito alcuni che credo confermino un buon indirizzo negli intenti del Governo: la previsione dell'aggravante nei casi di violenza commessa alla presenza dei minori, che vogliamo sperare si profili come una misura a tutela dei bambini nei casi di violenza assistita; l'obbligo di arresto e conseguente allontanamento dell'autore di maltrattamenti in casi di flagranza di reato, un intervento che – va detto – potrebbe essere un ottimo strumento laddove si inquadrerà cosa accadrà una volta che l'autore delle violenze sarà scarcerato.
Bisogna chiedersi, infatti, con chiarezza, se, oltre a bloccare l'autore di violenza, non si aiutano parallelamente le vittime con percorsi mirati a sganciarsi dalla relazione, ad allontanarsi dal pericolo tutelando i figli e rafforzando le loro scelte con percorsi di autonomia, magari anche economica, quale efficacia possono avere gli arresti e gli ammonimenti. Può essere il carcere la sola soluzione definitiva ? È una domanda sulla quale dobbiamo riflettere tutti.
Altro punto decisivo del decreto sono i centri antiviolenza. Certo, in merito la situazione oggi continua a essere difficile, tanto per ragioni finanziarie quanto per ragioni di sicurezza, al punto che molti centri a livello nazionale sono costretti anche alla chiusura, spesso presi di mira da atti intimidatori, come nel caso recentissimo del nostro centro antiviolenza di Olbia, Prospettiva Donna.
È dimostrato, invece, che, laddove esistano centri antiviolenza forti, si allontana la paura, si rafforza la volontà di rompere la complicità con la violenza e aumentano le denunce e non solo. È dimostrato che, se a sostenere le donne vi sono adeguate e solide reti interistituzionali, la violenza può essere arginata. Ecco la ragione della necessità di rafforzare i centri antiviolenza e, soprattutto, quelli che possono offrire ospitalità alle donne vittime e ai loro figli, rispettando un'equa distribuzione di tali centri su tutto il territorio nazionale, che oggi purtroppo manca.
Va, inoltre, sottolineato un altro aspetto del decreto. Appaiono critiche, infatti, le norme che riguardano l'irrevocabilità della querela. Si tratta di un insieme di interventi che passano sopra la testa delle donne. Mi sia consentito dire in merito che il legislatore non ha tenuto conto della differenza tra la situazione in cui la vittima ha già interrotto la relazione, e si Pag. 8trova quindi a subire stalking, e situazioni in cui continua a vivere con il maltrattante.
Inoltre, l'ammonimento del questore anche su segnalazione di parti terze desta persino preoccupazione. Il momento dello svelamento della violenza è un atto delicato e pericoloso. Se, dunque, l'autore del maltrattamento torna a casa con la vittima, esiste un alto rischio di ritorsioni o intimidazioni e minacce, rischio che potrebbe essere nutrito dal dubbio che la compagna abbia parlato, per esempio, con qualcuno.
Rispetto all'irrevocabilità della querela, credo sia fondamentale il rafforzamento della determinazione della donna per interrompere situazioni di violenza familiare. Come si può prescindere dalla volontà della donna ? Nel caso che decida di non aderire agli interventi del legislatore, mirati solo a ottenere la condanna penale dell'autore e non la cessazione dei comportamenti violenti, sarà giudicata collusiva, non collaborativa con la giustizia, reticente o cos'altro ?
Credo che esista in questo decreto una fragilità culturale nel modo in cui ci si approccia alla drammatica piaga della violenza di genere. I nostri governi continuano a considerare la violenza contro le donne solo una questione di ordine pubblico o la causa di un allarme sociale. Si tratta, invece, di un problema culturale, che ha le proprie radici nella scuola, nella sfera educativa, nell'approccio pedagogico alle prime forme di relazione interpersonali.
Occorre, in questo senso, la costruzione di una rete che coinvolga tutti i principali soggetti della società civile, politica, istituzioni, scuole, ospedali, associazioni, università. In Italia, non abbiamo ancora un sistema di interventi organici contro la violenza di genere tra soggetti istituzionali e centri antiviolenza, lavoro di rete, sostegno alle vittime, interventi di sensibilizzazione a largo raggio e partecipazione.
Purtroppo, va detto che il decreto-legge contro il femminicidio interviene, a oggi, solo sul piano repressivo, ma risulta insufficiente nella capacità di guardare e affrontare il problema nella sua più vasta complessità.
Mi avvio alle conclusioni. Donna Ceteris porge all'attenzione una proposta che nasce da questa nuova esigenza di raccontare la violenza attraverso una grammatica nuova, condivisa, asciugata dagli eccessi comunicativi o dalle forzature mediatiche, un nuovo linguaggio che parli con nuovi toni e nuove parole.
La proposta di Donna Ceteris come centro antiviolenza è finalizzata alla stesura di un vocabolario terminologico e concettuale che codifichi il lessico e l'etica del parlare di violenza per non essere più sotto scacco di fuorvianti campagne pubblicitarie, dalle quali spesso l'immagine della donna fuoriesce distrutta.
Bisogna restituire dignità alla donna, promuovere una cultura dei diritti, seminare nelle nuove generazioni un linguaggio diverso dai toni barbari della violenza. So che si tratta di un percorso lungo, faticoso, ma può essere ricco di condivisioni che partono dall'identità del nostro sapere, dai lavori in cui crediamo.
PRESIDENTE. La ringrazio molto del contributo. Il vostro documento sarà acquisito agli atti dell'indagine conoscitiva.
Sono presenti i rappresentanti dei sindacati, CGIL, CISL e UIL, che hanno sottoscritto la proposta di intesa in tema di violenza sulle donne nei luoghi di lavoro.
Do la parola a uno per ciascun sindacato. Ovviamente, il termine complessivo è di 8-10 minuti, per cui bisognerà che ve lo dividiate in maniera adeguata.
Per la CGIL, è presente Giulia Barbucci, funzionario del Segretariato Europa; per la CISL è presente Liliana Ocmin, segretario confederale. Ci era stata segnalata la presenza di supporto di Ilaria Fontanin, del Dipartimento politiche migratorie, donne e giovani, che però non è presente. Dello stesso dipartimento è, però, presente Stefania Pacillo; per la UIL, è presente Maria Pia Fatima Mannino.
Do la parola alle nostre ospiti, a iniziare da Giulia Barbucci.
GIULIA BARBUCCI, Rappresentate della CGIL. Ringrazio, a nome della CGIL, la presidente e le Commissioni congiunte per averci convocato in merito all'indagine conoscitiva sul contrasto alla violenza di genere.
Sappiamo che il fenomeno della violenza di genere in Italia ha assunto ormai negli ultimi anni una grandezza davvero preoccupante e, in realtà, è diventato una vera e propria emergenza nazionale. Riteniamo, quindi, che il provvedimento adottato dal Consiglio dei ministri dell'8 agosto sia sicuramente il riconoscimento della gravità della situazione e di come vi sia bisogno, in maniera molto concreta, di azioni di contrasto e di lotta alla violenza sulle donne.
Nel complesso, la CGIL dà un giudizio positivo sul decreto-legge e anche sul disegno di legge di conversione, sottolineando quanto sia importante la previsione di misure repressive e anche di azioni di tutela per le vittime di violenza. Riteniamo, però, anche necessario, allo stesso tempo, un impegno di egual misura da parte del Governo sulla prevenzione del fenomeno, tra l'altro stigmatizzata in maniera molto chiara ed evidente nella Convenzione di Istanbul, che a giugno scorso è stata ratificata dall'Italia come uno dei primi Paesi dell'Unione europea.
Nonostante il nostro apprezzamento, dobbiamo anche rilevare come nel decreto manchi, in realtà, la presa in carico delle vittime di violenza, laddove, invece, appare evidente una necessità di misure concrete di sostegno economico ai centri antiviolenza, chiaramente diventati nel corso degli anni autorevoli interlocutori per l'accoglienza delle vittime, la loro assistenza e recupero.
Pensiamo anche a strutture quali le case lavoro, che accompagnino le donne a ritrovare una propria autonomia attraverso la ricerca di soluzioni per il problema lavoro e, ovviamente, non meno importante è la formazione di tutti gli operatori, non solo della Polizia di Stato, ma di tutti quelli che entrano in contatto con le vittime.
Giudichiamo, quindi, preoccupante che non sia stato previsto alcun finanziamento a fronte del piano di azione straordinario varato a completamento delle norme già previste nel decreto e che dovrebbe, in realtà, affrontare, appunto, le necessarie finalità di prevenzione del fenomeno, ossia l'educazione, la formazione, la raccolta strutturata di dati, le forme di assistenza, di sostegno e di protezione delle vittime.
Inoltre, riteniamo che, nel piano, le parti sociali e la società civile debbano essere consultate e coinvolte al fine di apportare tutte le esperienze e le pratiche che si sono sviluppate nel corso di questi anni. A questo proposito, farei anche riferimento al recente protocollo del novembre 2012 di CGIL, CISL e UIL sul tema della violenza delle donne sui luoghi di lavoro.
Sappiamo tutti che la violenza nei luoghi di lavoro nei confronti delle donne può presentare molti aspetti, molte sfaccettature, sessuali, fisiche, mentali, psicologiche e anche economiche. Colpisce milioni di persone in tutto il mondo e ha un impatto considerevole soprattutto sui gruppi di donne più vulnerabili.
Ricordiamo che lo scorso novembre, in una iniziativa presso l'OIL, per la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, alla presenza dell'allora Ministro del lavoro, Elsa Fornero, e del Ministro dell'interno, Anna Maria Cancellieri, è stato presentato il protocollo sulla violenza nei luoghi di lavoro.
Ovviamente, si tratta di uno strumento di lavoro che bisognerà attivare attraverso tutte le iniziative contrattuali, di formazione e anche di intese con le istituzioni e le parti sociali. L'obiettivo, appunto, è quello di contrastare quei fenomeni di violenza, mobbing, pressione psicologica, che avvengono nei luoghi di lavoro e che spesso – ricordiamolo – non sono denunciati per paura di perdere l'occupazione.
A nostro avviso, questi aspetti vanno affrontati anche nel piano del Governo e da parte nostra proporremo al più presto a Confindustria anche di attuare l'accordo quadro europeo negoziato a Bruxelles nel Pag. 102007 sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro, ovviamente nell'interesse comune delle parti sociali italiane.
Anche a livello internazionale, ovviamente, sono necessarie strategie di contrasto e prevenzione per eliminare questi problemi anche a livello di luoghi di lavoro. Ricordo solamente che questi stessi temi sono stati trattati nella 57 sessione della Commissione delle Nazioni Unite CSW, Commission on the Status of Women, nel marzo scorso. La CGIL vi ha presentato una sua risoluzione sul tema e nel documento conclusivo si fa anche un riferimento molto chiaro all'importanza e all'esigenza di affrontare questi temi e queste conclusioni, che dobbiamo ricordare che naturalmente impegnano gli Stati firmatari.
Concludendo, vorrei sottolineare solo tre punti: che il Governo affronti il tema della violenza di genere in maniera più organica e strutturale; che preveda una copertura finanziaria affinché il piano possa realizzare le sue finalità; da ultimo, che coinvolga direttamente tutti gli attori interessati, comprese le parti sociali e il mondo dell'associazionismo civile.
LILIANA OCMIN, Rappresentante della CISL. Ringrazio le Commissioni e mi unisco alle riflessioni della collega che mi ha preceduto circa la volontà di andare oltre le valutazioni legate alla piaga sociale, della violenza che richiede un impegno trasversale a 360 gradi, per contrastarne e prevenirne tutti i fenomeni e, soprattutto, tutelare le vittime.
A questo proposito raccogliamo con favore un approccio che preveda un inasprimento delle pene, sottolineando che l'atteggiamento repressivo può aiutare, ma non deve rimanere limitato ad un approccio di ordine pubblico, bensì interessarsi anche agli aspetti culturali, che non devono essere trascurati e che il provvedimento in esame, sul quale siamo stati sollecitati a formulare alcune considerazioni, cerca di affrontare.
Il tema delle vittime passive, ovvero dei minori, ci mette davanti all'esigenza di rendere concretamente operativi anche altri accordi internazionali, a partire da quello di Lanzarote, che è stato ratificato, ma rispetto al quale sarebbero necessarie ulteriori misure di attuazione.
Devo sottolineare che la mia organizzazione, la CISL, fin da tempi non sospetti si occupa e si impegna attivamente ad approfondire il tema della violenza, con un approccio anche più ampio, che non risponde soltanto ad una visione della prevenzione della violenza limitata all'ambito del lavoro, ma anche altri ambiti.
Abbiamo infatti, nel 2009 presentato una piattaforma in cui sono riportate azioni specifiche per cercare di prevenire e contrastare il fenomeno della violenza, tenendo conto di diversi aspetti, come i casi delle vittime della tratta, connessa al fenomeno dell'immigrazione, che porta con sé anche alcune vicende legate allo sfruttamento della prostituzione, del lavoro nero e dell'utilizzo della manodopera delle lavoratrici immigrate e irregolari.
Nella piattaforma CISL abbiamo anche voluto inserire il tema della prevenzione della mutilazione genitale femminile, che continueremo ad evidenziare e in relazione al quale si deve fare sempre di più. Questo ci richiama alla considerazione che la questione non è solo di ordine pubblico. Condividiamo pienamente questo approccio, in particolare in un momento, come quello presente, di grande difficoltà della donna e – aggiungo – delle minori. Le mutilazioni genitali femminili, infatti, talvolta sono perpetrate nei confronti di bambine dai 3 mesi agli 8 anni; chi può difendere in quella fascia d'età una minore, se la pratica spesso è effettuata, per tradizioni culturali, spesso proprio all'interno della famiglia ?
Ritengo sia inoltre importante non trascurare gli attori, ovvero i violenti. Non basta un approccio repressivo, né è sufficiente un approccio culturale: bisogna cercare di individuare tutte le possibilità per salvaguardare, prevenire e accertare la violenza. Una impostazione che tenga conto dei minori, vittime passive, come potenziali violenti del futuro, ci trova d'accordo. Credo che, da questo punto di vista, sia importante esporsi e promuovere Pag. 11non solo modifiche al codice di procedura penale, ma anche individuare in un approccio multidisciplinare che tenga conto del recupero delle vittime ma anche del violento che ha espiato la pena.
L'accordo-intesa con CGIL e UIL del 2012 è ad una fase operativa. Siamo impegnati con le altre due organizzazioni a cercare di portare un cambiamento culturale anche nell'ambito del lavoro, consapevoli – sarebbe opportuno sottolinearlo – dell'esistenza di alcuni limiti dell'approccio culturale relativo al rapporto uomo-donna nell'ambito del lavoro. Tale rapporto, infatti, nasconde talvolta violenze sottili, come le molestie o le dimissioni in bianco. Questi temi hanno impegnato le organizzazioni, insieme al mondo dell'associazionismo, e non deve essere trascurata la mancata tipizzazione, ad oggi, del reato di mobbing.
Credo che, su questo, possiamo fare ancora di più e siamo pronti a dare il nostro contributo, sapendo che si tratta di una battaglia che deve essere condotta assieme agli uomini. Quando, infatti, si perpetrano violenze, non si danneggia soltanto la dignità delle donne, ma ci rimettiamo tutti.
Il tema dell'occupabilità delle donne è centrale. Sappiamo infatti che queste ultime sono potenziali vittime anche perché deboli all'interno del nucleo familiare. Ci chiediamo come si possa contrastare la violenza, se si è smesso di finanziare la legge n. 53 del 2000 e, con riguardo al Comitato delle pari opportunità, la legge n. 125 del 1991 di cui gradualmente sono state annullate le risorse per investire sulle azioni positive all'interno del mercato del lavoro.
Troviamo, appunto, incoerente che, da un lato, si esterni un impegno a contrastare la violenza e, dell'altro, si annullino completamente quegli strumenti che servirebbero a garantire un processo di inserimento, di occupabilità e di garanzia in favore delle donne. Ovviamente, su questo non demorderemo e continueremo a sollevare il problema. Sicuramente, un aiuto importante può arrivare anche dalla contrattazione di secondo livello, con riferimento alle potenzialità connesse alle misure da intraprendere a sostegno della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
FATIMA MARIA PIA MANNINO, Rappresentante della UIL. Ringrazio le Commissioni per l'audizione che ci è stata concessa. Cercherò di essere molto rapida, facendo riferimento ai punti che riteniamo critici, poiché troviamo che il decreto-legge in esame sia sicuramente una risposta importante al fenomeno della violenza in questo momento, ma non risponda pienamente ai bisogni reali delle donne.
Il femminicidio, come abbiamo già sentito, è una questione culturale e politica molto profonda, che necessita di riforme strutturali. Le misure contenute nel decreto-legge non corrispondono a pieno alle azioni richieste al Governo italiano dal Comitato CZDAW. In particolare, la UIL ritiene urgente, anche in riferimento alle indicazioni del CEDAW, che tutte le parlamentari e i parlamentari si adoperino per affrontare nel merito il decreto-legge.
Chiediamo la verifica immediata del piano nazionale antiviolenza, in modo da individuare con chiarezza le politiche prioritarie, le responsabilità istituzionali, i tempi certi di attuazione e le risorse disponibili per l'approvazione di questo piano. Intendiamo sollecitare il Governo ad elaborare una bozza da sottoporre alla società civile, che indichi con esattezza le risorse allocate in ogni singola azione.
Chiediamo, inoltre, la calendarizzazione in tempi rapidissimi al Senato del disegno di legge S. 860 per l'istituzione della Commissione bicamerale sul femminicidio; di convocare con urgenza un tavolo di confronto tra associazioni, parlamentari, Governo e sindacati per la definizione delle modifiche legislative necessarie ed efficaci per un contrasto strutturale alla violenza maschile e al femminicidio e che in tutte le strutture sanitarie siano individuati percorsi privilegiati per donne e bambini che hanno subìto violenza.
Pertanto, il protocollo di intesa, che è stato sottoscritto da CGIL, CISL e UIL, contro la violenza sulle donne nei luoghi Pag. 12di lavoro, è uno strumento che sicuramente migliorerà nel tempo, nei luoghi di lavoro, il clima lavorativo, con l'obiettivo di un concreto benessere organizzativo.
Cercheremo al più presto, come già illustrato dalle mie colleghe, di mettere in piedi operativamente questo protocollo. Riteniamo che sia opportuno sviluppare una cultura dell'integrazione tra i sessi, attraverso progetti formativi di cultura di genere negli istituti scolastici di ogni ordine e grado per diffondere la cultura di genere anche nello sport e nelle attività ludiche; istituire, all'interno del Dipartimento per le pari opportunità, un osservatorio permanente sull'evoluzione delle politiche contro la violenza sulle donne e sui minori e sulle persone con diverso orientamento sessuale, con il compito di monitorare il problema e indicarne le soluzioni.
PRESIDENTE. La ringraziamo per aver rispettato alla lettera i tempi. Do la parola, per l'UGL, a Loretta Civili, responsabile del Dipartimento per la famiglia – politiche dei diritti e delle pari opportunità.
LORETTA CIVILI, Rappresentante della UGL. Buongiorno. Ringrazio, a nome della UGL, i presidenti delle Commissioni congiunte per questa convocazione, che ci offre l'opportunità di esprimere il nostro parere sul decreto-legge n. 93 del 2013.
Il decreto contiene misure sicuramente condivisibili e che riteniamo possano essere efficaci in un'ottica di riduzione del drammatico fenomeno della violenza sulle donne. Come è noto, larga parte dei maltrattamenti maturano proprio in ambito domestico, per cui è necessario rafforzare gli strumenti di prevenzione e di protezione della violenza di genere e in famiglia.
Occorre, però, guardare anche al mondo del lavoro, specificando che è da considerarsi aggravante la violenza commessa dal datore di lavoro. Già oggi il codice penale individua, tra le aggravanti, la fattispecie di colui che abusa della propria posizione di superiorità. Si tratta, quindi, di esplicitare la figura del datore di lavoro.
Alla luce del crescente peso che i social network rivestono nella nostra società, è condivisibile la previsione contenuta all'articolo 1 del decreto-legge, come anche il rafforzamento delle comunicazioni alla persona offesa o al suo avvocato, in caso di revoca o sostituzione delle misure di prevenzione previsto all'articolo 2, che stabilisce, inoltre, l'arresto in caso di flagranza.
Con il gratuito patrocinio, lo Stato invia un necessario, forte segnale di vicinanza alle vittime di maltrattamenti in ambito domestico, alle vittime di pratiche di mutilazioni degli organi genitali femminili e alle vittime di atti persecutori. Occorre, comunque, verificare la congruità delle risorse stanziate in maniera da assicurare il patrocinio a tutti gli aventi diritto.
La possibilità, per il questore, di intervenire anche in assenza di querela di parte, in caso di lesioni personali gravi, rappresenta un importante deterrente, mentre l'introduzione dell'articolo 18-bis nel testo unico in materia di immigrazione rafforza la tutela delle donne straniere, spesso minorenni, vittime di soprusi in ambito familiare.
L'articolo 5, in particolare, risponde a un'esigenza, manifestata anche dalla nostra organizzazione sindacale, ossia l'adozione di un piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, a iniziare dalle scuole, condizione decisiva per rafforzare la cultura del rispetto e del rifiuto di ogni forma di violenza o discriminazione.
Questo piano dovrebbe essere indirizzato anche al contrasto delle discriminazioni sull'orientamento sessuale e prevedere il coinvolgimento attivo delle parti sociali anche per una sua estensione nei luoghi di lavoro. Ci preme soprattutto sottolineare che deve essere sostenuto con risorse adeguate, comprese quelle destinate alle forze di polizia, per le attività di prevenzione e protezione. Ovviamente, infatti, non è ipotizzabile un intervento efficace a costo zero.
Vorrei, inoltre, ricordare l'impegno della nostra organizzazione, che lo scorso 25 novembre ha avviato una raccolta firme Pag. 13con delle cartoline che sono state distribuite in tutti i luoghi di lavoro. In pochissimo tempo, abbiamo raccolto più di 100 mila firme, proprio a testimonianza della gravità del problema e di quanto sia sentito in ogni ambito. Questa raccolta firme si è, appunto, conclusa con la consegna delle cartoline ai Presidenti di Camera e Senato.
PRESIDENTE. La ringraziamo per il contributo prezioso.
Do ora la parola al presidente dell'Unione delle Province d'Italia, Antonino Saitta.
ANTONINO SAITTA, Presidente dell'Unione delle Province d'Italia. Il mio intervento riguarda, in modo particolare, l'articolo 12 di questo provvedimento che reca tanti interventi, e riguarda la proroga delle gestioni commissariali delle province.
Credo che i parlamentari sappiano perfettamente che il precedente Governo aveva adottato provvedimenti di riorganizzazione delle province approvati dal Parlamento e, in attesa della riorganizzazione e dei necessari interventi normativi, le province in scadenza sono state commissariate.
La Corte costituzionale ha dichiarato gran parte delle norme emanate dal Governo Monti incostituzionali per una semplice ragione: l'abolizione e la riorganizzazione di organi previsti dalla Costituzione, come le province, richiedono, per forza di cose, modifiche costituzionali. In più, c'era l'elemento della previsione tramite decretazione d'urgenza.
Il Governo si trova, quindi, in una situazione paradossale, con le province commissariate sulla base di norme oggi inesistenti. Non esiste, infatti, più alcun fondamento giuridico per il commissariamento. Con questa proposta, il Governo proroga i commissariamenti, come in parte è anche comprensibile, ma fino a giugno del 2014. Ciò significa che sono sospese le elezioni. Con decreto-legge, cioè, si commettono gli stessi errori del passato, ovvero si modifica il sistema delle province con decreto. Dal nostro punto di vista, il provvedimento in esame, per quanto riguarda la parte dell'articolo 12, è incostituzionale.
Dal punto di vista giuridico, i parlamentari sanno perfettamente che si possono commissariare gli enti soltanto per fatti gravi, come i casi di infiltrazione mafiosa. Siccome non siamo in questa situazione, di fatto il Governo, attraverso un decreto-legge, vuole anticipare mere proposte, quindi in maniera ancora più incostituzionale che in passato, quando almeno una norma esisteva.
Esiste un disegno di legge costituzionale sull'abolizione delle province, ossia il disegno di legge Delrio, ma si tratta di una proposta. Non si può, con decreto-legge, anticipare una riforma costituzionale ed impedire le elezioni. Semplificando, è come se, a un certo punto, si decidesse che non si procede più all'elezione dei senatori perché c’è una proposta di legge costituzionale che prevede l'abolizione del Senato. Sarebbe un assurdo. Lo è per il Senato, ma lo è anche in questo caso.
Per le province si può pensare a provvedimenti di accorpamento o di sistemazione, ma il rispetto della Costituzione è fondamentale. In ogni caso, infatti, le province sono previste nella Costituzione e non si può sospendere la democrazia, in attesa che si realizzi un'opinione del Presidente Letta o del Parlamento. Non si fa così. Si proceda velocemente, con tutti gli altri provvedimenti, se si vuole procedere con quest'operazione. La nostra, tra l'altro, non è una posizione di pura e semplice difesa – avremo altre occasioni per discutere di questo – ma di coerenza con la Costituzione.
Facciamo notare che questo è incoerente e non è soltanto una nostra opinione personale. Ho letto anche la documentazione a disposizione delle Commissioni, dove tale incoerenza è espressamente richiamata. Dal punto di vista della logica, occorrerebbe stralciare completamente questa norma e, al limite, prevedere una misura molto semplice: è chiaro che non si possono interrompere i commissariamenti dall'oggi al domani, che devono Pag. 14essere prorogati, ma solo in attesa del turno elettorale. Questa è democrazia.
Se il Governo, prima del turno elettorale, riesce a procedere con le modifiche, bene; non si può, però, prorogare oltre il turno elettorale il commissariamento. Questo è obiettivamente un attentato alla democrazia e consiste in una sospensione della democrazia di cui non credo abbiamo bisogno. Abbiamo consegnato un documento scritto.
PRESIDENTE. Do ora la parola a Monica Velletti, giudice presso il tribunale di Roma.
MONICA VELLETTI, Giudice presso il Tribunale di Roma. Ringrazio le Commissioni per l'audizione nella quale punterò l'attenzione sulle disposizioni del decreto-legge che si occupano di reprimere il fenomeno della violenza di genere, della violenza sulle donne.
Il decreto, rappresenta un ottimo passo avanti in questa direzione, ma occorre segnalare, come hanno fatto le esperte che mi hanno preceduto, che gli interventi nella materia dovrebbero essere più ad ampio raggio, non dovendo unicamente porre l'accento sulla repressione, ma dovendo prevedere interventi anche sulla prevenzione del fenomeno e sulla protezione della vittima.
Per quanto riguarda la prevenzione del fenomeno, il decreto-legge in esame, all'articolo 5, prevede che sia adottato un piano straordinario. È previsto che nel piano vengano realizzati interventi nel campo dell'educazione, quindi nel settore scolastico, e nel campo della formazione di tutti gli operatori che vengono in contatto con fenomeni di violenza. A mio avviso oggetto del piano potrebbe essere un altro aspetto molto importante: l'immagine dei generi veicolata dai media.
Su questo punto, già c’è stato un lungo percorso che parte dalla riforma del contratto di servizio RAI attuata nella scorsa legislatura. In merito vorrei segnalare che, in questo momento, é in fase di rinnovo la concessione del servizio pubblico ed è molto importante che si accentuino e si valorizzino tali aspetti anche nel nuovo contratto di servizio.
A seguito dell'appello «Donne e Media», formulato da un'associazione femminile sostenuta, trasversalmente, da tutte le forze di Governo, era stato avviato, nel corso della precedente legislatura, un tavolo di lavoro per elaborare un codice di autoregolamentazione diretto a tutti gli operatori dei media, ai quali il codice doveva essere sottoposto, in modo che, congiuntamente e, ovviamente, con strumenti di soft law, si potesse arrivare al risultato di mutare la rappresentazione dei generi offerta nei nostri mezzi di comunicazione di massa.
Sottolineo che questa raccomandazione al nostro paese è presente anche nelle segnalazioni del Comitato CEDAW (Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne). Non si tratta, quindi, di un'esigenza sentita all'interno, ma anche all'esterno; a livello internazionale, infatti, è segnalata questa criticità nel nostro ordinamento. Si potrebbe, allora, implementare l'articolo 5 del decreto-legge in esame, prevedendo che questo percorso continui, che il Ministro (o il Dipartimento) con delega per le pari opportunità, ovviamente d'intesa con il Ministro con delega alle comunicazioni, possa riprendere il lavoro per l'elaborazione di un codice di autoregolamentazione finalizzato a garantire una corretta rappresentazione dell'immagine femminile nei media.
Un analogo intervento dovrebbe riguardare non soltanto i media, ma anche la pubblicità. Su questo fronte, credo sia ancora in essere un protocollo d'intesa tra il Dipartimento per le pari opportunità e lo IAP, Istituito dell'autodisciplina pubblicitaria, che probabilmente andrebbe rafforzato per trovare strumenti ancora più incisivi, al fine, ad esempio, di interrompere campagne pubblicitarie particolarmente denigratorie dell'immagine femminile.
Infatti, se non si interviene a livello culturale, sulla formazione dell'immagine Pag. 15e sulla percezione che tutti abbiamo dei generi, il fenomeno della violenza di genere non potrà essere superato.
Un altro fronte di intervento può essere quello della diffusione di protocolli d'intesa elaborati a livello di Procure della Repubblica e Tribunali, insieme con le forze dell'ordine e con gli operatori socio-culturali. Questo adempimento potrebbe essere di facile realizzazione: infatti, anche prima della redazione del piano, che, come sappiamo, necessita di molto tempo per la sua realizzazione, si potrebbe prevedere che il Dipartimento per le pari opportunità dia diffusione a questi protocolli, in modo da diffondere le buone prassi.
Per quanto riguarda la protezione della vittima, richiamo quanto è già stato detto a proposito della necessità di incrementare i centri anti-violenza, finanziandoli.
Per venire, invece, agli aspetti relativi alla repressione contenuti nel decreto-legge in esame, vorrei sottolineare soltanto due punti. Il primo è quello della necessaria presa in carico anche dell'autore delle condotte violente e persecutorie. Questa presa in carico, però, è di difficile realizzazione. Conosciamo, infatti, gli stringenti limiti del nostro ordinamento sui trattamenti sanitari, vista la necessità di garantire il diritto di autodeterminazione degli individui. So di proporre una misura, forse, fuori sistema, ma in quanto legislatori potete fare molto. La norma che prevede l'irrevocabilità della querela per gli atti di stalking, per il delitto di cui all'articolo 612-bis, come sappiamo presenta luci e ombre, potendo rappresentare per le donne un forte disincentivo alla denuncia. Spesso, infatti, la presenza di un vincolo affettivo tra la donna e il suo persecutore potrebbe indurla ad usare la querela come strumento per interrompere la catena di atti persecutori, con l'intenzione tuttavia di ritirarla. La previsione dell'irrevocabilità della querela, impedendo alla donna di tornare sui suoi passi potrebbe essere un deterrente per la denuncia delle condotte persecutorie. Poiché la querela è una condizione di procedibilità, potrebbe essere previsto che la dichiarazione di non doversi procedere, susseguente alla querela e all'accettazione (secondo lo schema querela/accettazione della querela/dichiarazione di non doversi procedere), sia condizionata alla sottoposizione del querelato, a un percorso di recupero.
Si potrebbe pensare ad una sorta di «messa alla prova preventiva». Potrebbe accadere che un innocente, del tutto incolpevole rispetto alle condotte denunciate, debba sottoporsi a tali percorsi di recupero – e questo è il lato negativo della proposta – ma si potrebbe anche pensare che al percorso si sottopongano entrambi, querelante e querelato, ovviamente non insieme – non penso a percorsi di mediazione – ma con percorsi autonomi che possano, nella donna, rinforzare l'autostima, e quindi aiutarla a sganciarsi dalle condotte persecutorie, e, nell'uomo, reprimere gli atteggiamenti aggressivi. Nel documento da me redatto troverete descritti alcuni meccanismi per fare in modo che questi percorsi siano intrapresi anche nel caso vengano adottati ordini di allontanamento, sia penali, sia civili, e nel caso in cui venga adottata la nuova misura di ammonimento prevista dal decreto-legge in esame.
Vorrei fare cenno alla violenza assistita, ossia alla violenza cui assistano i minori. Il decreto-legge in esame interviene sull'articolo 572 del codice penale, prevedendo la violenza assistita come un'aggravante del delitto di maltrattamenti in famiglia. Da questa scelta emergono due criticità: una è di compatibilità internazionale. La Convenzione di Istanbul, prevedendo che sia prevista la repressione del fenomeno della violenza assistita, non fa riferimento soltanto a una tipologia di reato, come può essere il delitto di maltrattamenti in famiglia, ma a tutti i reati che riguardano la violenza di genere. Inoltre, la norma in esame presenta un'incoerenza, un'illogicità che potrebbe verificarsi: prevedendo solo l'aggravante per il delitto di cui all'articolo 572 del codice penale, nel caso in cui il minore fosse presente ai maltrattamenti, si potrebbe applicare all'autore della condotta criminosa l'aggravante, mentre qualora il minore Pag. 16assista ad un omicidio in famiglia, non si applicherebbe l'aggravante. Pertanto, proporrei di fare un salto in avanti e di inserire questa aggravante nell'articolo 61 del codice penale come aggravante generica, prevedendo che sussista in presenza di tutti i reati contro la persona. Forse la violenza assistita dovrebbe essere sanzionata anche in ambito civile, prevedendo una sorta di sanzione che fa scattare l'affidamento esclusivo. Non mi piacciono gli automatismi, ma probabilmente in questo momento ce n’è bisogno perché, a volte, anche i figli sono terreno di scontro in queste materie. Potrebbe essere modificato in tal senso l'articolo 709-ter del codice di procedura civile.
Troverete nel documento da me redatto alcune puntualizzazioni definitorie: per esempio, nell'ammonimento del questore, è previsto che per l'adozione del provvedimento gli atti di violenza non siano episodici. Ritengo che questa limitazione non sia presente nella Convenzione di Istanbul e possa essere pericolosa quando, per esempio, l'atto di violenza pur episodico sia particolarmente grave. Suggerisco quindi di espungere il riferimento ad «atti non episodici», oppure di integrarlo con la locuzione « o atto particolarmente grave».
Infine, anche per quel che riguarda l'articolo 4 del decreto legge in esame che disciplina la concessione del permesso di soggiorno alle vittime di violenza domestica, bisogna fare attenzione, perché, a mio avviso, se si fa una comparazione fra la norma contenuta nel decreto legge e la norma presente nella Convenzione di Istanbul, c’è un po’ di discrepanza. La norma, prevista del nuovo articolo 18-bis del Testo Unico dell'immigrazione, come modificato dal decreto-legge fissa dei limiti che non sono presenti nella Convenzione. Mi riferisco all'accertamento del pericolo attuale per l'incolumità della vittima, locuzione che non è presente nella Convenzione di Istanbul, e che forse stringe troppo il cerchio, e limita, anche rispetto all'attuale quadro normativo, la possibilità di queste vittime di avere sostegno. Grazie.
PRESIDENTE. So che lei ha prodotto un testo scritto, che acquisiamo. La ringrazio molto anche dei preziosi suggerimenti e dei contributi costruttivi.
Do ora la parola a Francesca Quadri, Consigliere di Stato. Interverranno successivamente Maria Teresa Manente, Responsabile ufficio legale dell'Associazione Differenza donna-ONG e referente nazionale della rete Avvocate centri antiviolenza associazione DI.RE, Roberto Massucci, Vicepresidente dell'Osservatorio per le manifestazioni sportive e Bruno Megale, dirigente della DIGOS della questura di Milano.
FRANCESCA QUADRI, Consigliere di Stato. Ringrazio innanzitutto dell'invito a partecipare a quest'audizione, forte della mia esperienza, prima come capo Ufficio legislativo e poi come capo di gabinetto dell'allora Ministro delle pari opportunità Mara Carfagna, naturalmente in qualità di tecnico (in quanto sono un magistrato amministrativo).
Faccio una brevissima premessa. Mi rendo conto che i tempi sono molto stretti, ma è importante sottolineare che la violenza di genere comprende atti caratterizzati da un particolare rapporto di forza nei confronti della vittima. Sono manifestazioni di un deprecabile meccanismo sociale e culturale discriminatorio, che sottende la convinzione della subordinazione della donna all'uomo. Si tratta di reati per cui nell'80, o talvolta nel 90 per cento dei casi, le vittime sono donne. Questo induce a usare il termine «femminicidio» nel caso di omicidio compiuto nei confronti di una donna, come espressione massima della violenza di genere, risultato spesso di un’escalation di cui reati come lo stalking o i maltrattamenti costituiscono indubbi campanelli d'allarme, che vanno quindi riconosciuti e utilizzati allo scopo di fare immediatamente scattare misure di protezione e prevenzione dei reati più gravi.
D'altra parte non è un caso che quando fu introdotto il reato di stalking si previde anche che l'omicidio da parte di chi si sia già macchiato di questo reato venga punito Pag. 17con l'ergastolo. Ritengo che si pongano in linea di continuità non soltanto il decreto-legge n. 93 del 2013, ma prima ancora la legge n. 77 del 2013 di ratifica della Convenzione di Istanbul, alla cui implementazione è fondamentalmente diretto anche il decreto-legge.
Passando rapidamente a delle annotazioni sulle norme, che riguardano soprattutto gli articoli 1 e 2, vorrei segnalare innanzitutto un elemento sulla violenza assistita. Naturalmente siamo tutti consapevoli di quanto sia grave per i minori l'assistere a una violenza nei confronti di una persona a cui sono legati da un motivo di affetto. Vorrei segnalare al riguardo che già la nostra Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 41142 del 2010, aveva addirittura esteso la condotta del delitto di maltrattamenti anche nei confronti dei figli minori, qualora essi vi assistano. Non voglio ripetere la massima, data la brevità del tempo, ma il suo senso è che, dato che «lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno della comunità», chi compie atti di violenza fisica contro la convivente integra il delitto di maltrattamenti anche nei confronti dei figli.
Il fatto che sia stata elevata l'età per la sussistenza dell'aggravante da 14 a 18 anni è assolutamente da condividere, anche se potrebbe trarre in inganno la locuzione che troviamo all'articolo 46, lettera d), della Convenzione di Istanbul, dove si parla della presenza di bambini. Si tratta di un contrasto solo apparente, perché in realtà dobbiamo riportarci alla definizione della Convenzione di Lanzarote, dove per «child», che è il termine presente anche nel testo inglese della Convenzione di Istanbul, si intende qualsiasi minore di 18 anni. Quindi, anche da questo punto di vista, mi sembra che la norma sia pienamente in linea.
Per quanto riguarda le aggravanti sulla violenza sessuale, cioè il reato commesso nei confronti di una donna in stato di gravidanza, o quando l'autore del reato sia coniuge o partner, anche senza convivenza, mi soffermo soprattutto sulla seconda aggravante. Innanzitutto, ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione, con «violenza domestica», nell'ambito della quale si inserisce il reato di maltrattamenti nei confronti di familiari e conviventi, si fa riferimento a tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare, tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la residenza della vittima.
Il testo del decreto-legge riporta il termine «residenza», ma naturalmente non ci deve essere nessuna attinenza con la residenza anagrafica, ma soltanto con la comune abitazione. Anche l'espressione «relazione affettiva» riportata nel decreto-legge riprende quella già adoperata nell'articolo 612-bis del codice penale, che vi segnalo essere stata oggetto di alcune critiche per eccessiva genericità. Tuttavia dalla prima applicazione giurisprudenziale, proprio sul reato di stalking, non sembra che ci siano stati grossi problemi sull'individuazione della relazione affettiva, tenuto conto soprattutto che non ci devono essere dubbi sul legame che deve sussistere tra i soggetti, che deve necessariamente prescindere sia dal vincolo matrimoniale che dalla convivenza.
Per quanto riguarda le aggravanti agli atti persecutori, vale quanto detto per l'estensione dell'aggravante all'attuale coniuge. Segnalo però quella che mi sembra una dimenticanza del legislatore. È stata estesa l'aggravante anche al coniuge attuale, il che supera grosse criticità che erano state sollevate per una minore tutela in caso di matrimonio in corso, rispetto ai matrimoni ormai terminati. Mi sembra frutto di una dimenticanza del legislatore non aver sostituito anche le parole «sia stata legata» con l'espressione «sia o sia stata legata», nel caso di conviventi. Non si capisce perché vi sia un trattamento diverso tra coniugi e conviventi. Sottopongo Pag. 18alle vostre valutazioni l'eventuale presentazione di un emendamento in tal senso.
Questa modifica sull'aggravante per il coniuge in costanza di matrimonio serve anche a superare una singolare interpretazione. A riguardo segnalo l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Termini Imerese n. 2090 del 2010, che era addirittura giunto al punto di tracciare una linea di confine tra gli atti persecutori e i maltrattamenti nei confronti dei conviventi, affermando che mai potrebbe essere autore di atti persecutori il coniuge, perché in questo caso si ricadrebbe nella più grave fattispecie di maltrattamenti. Questo chiarimento, anche se in sede di aggravante, mi sembra molto opportuno, perché elimina ogni problema interpretativo.
D'altra parte, già nel testo dell'articolo 612-bis del codice penale emergeva in tutta chiarezza che chiunque può essere autore di atti persecutori. Peraltro anche l'espressione «salvo che il fatto costituisca più grave reato» metteva al riparo dalla possibile applicazione, nel caso in cui se ne verificassero le condizioni, della fattispecie dei maltrattamenti, che come sappiamo è un reato più grave rispetto agli atti persecutori, ed è punito con una pena fino a sei anni.
Aggiungo un'ultima annotazione sull'ammonimento. Siamo tutti consapevoli che l'ammonimento è una misura di prevenzione, tra l'altro salutata con molto favore dai primi commentatori, al punto tale che è stata poi estesa dal decreto-legge anche al caso delle lesioni lievi, come campanello d'allarme che può far scattare il timore di quella escalation che giustifica l'adozione dell'ammonimento.
Si è verificato però da parte della giurisprudenza amministrativa un contrasto giurisprudenziale sulla necessità della comunicazione dell'avvio del procedimento nei confronti della persona della quale si chiede l'ammonimento. Dopo una prima sentenza della III Sezione del Consiglio di Stato (la n. 4365 del 2011) che escludeva la necessità della previa comunicazione, ai sensi della legge n. 241 del 1990, registriamo un cambiamento della giurisprudenza, con un'altra sentenza della Sezione III (la n. 5676 del 2011), in cui appare invece la necessità di previa informazione nei confronti dell'ammonito, traendola da quella locuzione della norma che recita «il questore, sentiti i soggetti interessati.» Tra i soggetti interessati ci sarebbe anche lo stalker, e questo condurrebbe all'obbligo da parte del questore. Vi rendete conto che l'omissione di tale obbligo comporta l'annullamento dell'ammonimento, con evidenti gravi conseguenze.
Personalmente ritengo che già la legge n. 241 del 1990, all'articolo 7, autorizzi ad omettere questa comunicazione, perché ci sono chiare esigenze di celerità. Naturalmente rimetto a voi di valutare l'opportunità di un chiarimento a riguardo.
Sulle norme procedurali non mi soffermo, se non per dire che sugli obblighi informativi, sui quali c’è addirittura una precisa indicazione da parte della Convenzione, ma, secondo me, c’è una dimenticanza, che riguarda la necessità di informazione anche in caso di evasione o comunque rilascio per cessazione della pena dell'autore dei reati, quando ci sia uno stato di grave pericolo della vittima, allo scopo di evitare sorprese, del tipo che la vittima si trovi ad abitare al piano di sopra dell'autore di gravi atti nei suoi confronti. Pertanto, bisognerebbe estendere questi obblighi informativi.
Infine, a proposito dell'articolo 5 del piano d'azione, ovviamente condivido pienamente quanto è stato detto sulla necessità di individuare ulteriori risorse. Tra l'altro, la Convenzione di Istanbul impone ai Governi proprio questo. Andare ad attingere all'articolo 19, comma 3, che come sappiamo è rifinanziato anno per anno dalla legge di stabilità, quindi senza una certezza, vuol dire semplicemente andare a togliere risorse ad altri interventi che riguardano le pari opportunità. Il calderone è sempre quello ed è sempre più misero. Occorrerebbe quindi, come avvenuto in passato – certamente erano tempi diversi e non c'era l'emergenza economica di oggi – individuare risorse apposite da Pag. 19dedicare alle azioni, se deve essere un piano d'azione, e non solo un piano di programmazione.
MARIA TERESA MANENTE, Responsabile ufficio legale dell'Associazione Differenza donna-ONG e referente nazionale della rete Avvocate centri antiviolenza associazione DI.RE. Ringrazio le Commissioni per l'invito. Sono qui in qualità di rappresentante dell'Associazione Differenza Donna e come referente nazionale della rete delle avvocate dei centri antiviolenza dell'associazione DI.RE., la cui Presidente avete sentito ieri.
L'associazione Differenza Donna dal 1992 gestisce i centri antiviolenza del comune e della provincia di Roma e da allora ad oggi ha accolto oltre 25.000 donne. Di certo le misure proposte dal decreto-legge si inseriscono nel solco delle richieste della Convenzione di Istanbul e soprattutto della direttiva 2012/29/UE del Parlamento e del Consiglio europeo, che introduce norme minime in materia di diritti delle vittime, e che, come sappiamo tutti, deve essere recepita nel 2015. Sul punto ritengo utile pertanto mantenere le disposizioni previste dal decreto apportando alcune modifiche che di seguito espongo.
Innanzitutto, come è stato detto, la modifica dell'articolo 572 del codice penale dovrebbe contemplare la fattispecie dei maltrattamenti assistiti come autonomo reato, e non come aggravante, perché la violenza psicologica commessa nei confronti dei bambini ha effetti lesivi gravi come le violenze diretta. La gravità di queste condotte deve condurre ad una modifica anche in sede civile. Oggi come oggi, nonostante la giurisprudenza che è stata ricordata, i rinvii a giudizio per maltrattamenti assistiti non vengono presi in considerazione in sede civile ai fini dell'esclusione dell'affido condiviso o della sospensione o decadenza della potestà genitoriale.
Quanto alle modifiche al codice di procedura penale, esse introducono norme che segnano, a nostro parere, l'avvio di un cambiamento della cultura giudiziaria in tema di partecipazione effettiva al procedimento penale e di giusto processo penale, anche per la persona offesa, così come è stabilito dalla direttiva del 2012 dell'Unione Europea. Nessuno squilibrio, quindi, viene apportato al Codice di procedura penale, ma l'Italia si adegua alla normativa europea.
In particolare segnalo l'utilità delle seguenti novelle. La comunicazione alla persona offesa dell'avviso della richiesta di archiviazione, a prescindere dall'espressa richiesta in querela, è necessaria e utile, in quanto nella realtà accade che le donne presentano più querele per singoli episodi e non ne conoscono l'esito, non perché disinteressate, ma perché non sono informate dagli operatori di dover richiedere espressamente tale comunicazione ex articolo 408 in sede di querela. È utile anche l'aumento da dieci a venti giorni del termine per proporre opposizione all'archiviazione perché assicura alla persona offesa un tempo utile per esercitare il proprio diritto di difesa. Altrettanto utile risulta la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, anche alla persona offesa, e non solo all'indagato, perché proprio in questa fase l'indagato, dopo aver conosciuto l'impianto accusatorio e le sommarie informazioni assunte, aumenta la condotta violenta e le minacce. Conseguentemente aumenta il rischio per l'incolumità della persona offesa. Auspico, in considerazione degli obblighi di diritto europeo in materia di diritti delle vittime di reato, che tali norme siano previste per tutte le persone offese e non solo in caso di maltrattamenti. La previsione di modalità di audizione protetta per la donna maggiorenne in caso di sua richiesta tiene conto delle conseguenze traumatiche della testimonianza per le vittime della violenza di genere, che la Corte di Strasburgo in varie sentenze ha definito essere un vero e proprio calvario.
Sulla base della mia esperienza ultraventennale, devo dire che l'esame testimoniale della vittima, che oggi avviene anche dopo due o tre anni dai fatti denunciati, è un momento sicuramente difficile e traumatico. Non dimentichiamoci che siamo Pag. 20dinanzi a donne sopravvissute, così come segnalato dall'ONU. Sono sopravvissute a profonde umiliazioni e a gravi violenze fisiche, che hanno schiacciato la loro libertà di autodeterminazione e leso gravemente la loro integrità psico-fisica, condotte per le quali provano ancora terrore a distanza di tempo nel doverle raccontare. La norma introdotta oltretutto non presume una vulnerabilità di genere, ma subordina la protezione alla richiesta della donna, le cui esigenze saranno oggetto di valutazione da parte del giudice nel contraddittorio delle parti. Ieri è stato detto che l'introduzione di tale norma violerebbe il contraddittorio. A nostro parere, nessun principio viene violato, perché con le modalità protette l'imputato e la sua difesa potranno esaminare liberamente la teste ed altresì sarà fatto salvo il principio della genuinità della prova. La notificazione, sia alla persona offesa che al suo difensore, dell'applicazione e anche della richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari ex articoli 282-bis e ter è necessaria a tutelare l'incolumità della donna, perché a seguito di revoca o sostituzione della misura cautelare gli uomini maltrattanti aumentano l’escalation di violenza, sentendosi più forti. Conseguentemente aumenta il pericolo per l'incolumità della vittima. Occorre estendere l'obbligo di notifica anche all'applicazione e alla sostituzione della custodia cautelare in carcere. L'accesso al gratuito patrocinio è misura sicuramente utile, ma solo se i fondi saranno assicurati in modo consistente e costante, perché non vorrei che il costo della violenza ricadesse sulle avvocate specializzate, come avviene oggi per i procedimenti per violenza sessuale. Un importante segnale e strumento utile risulta anche il permesso di soggiorno per le donne vittime di violenza domestica, che auspico si estenderà anche alle donne vittime di violenza al di fuori dell'ambito familiare, come in caso di violenza sessuale.
È necessario estendere l'obbligo di informare la donna sui centri antiviolenza degli operatori, obbligo già previsto nei confronti delle persone offese di atti persecutori. Non si capisce perché non estendere quest'obbligo anche per gli altri reati. L'adempimento di tale obbligo infatti renderebbe più efficaci l'arresto in flagranza obbligatorio, in caso di maltrattamenti e l'allontanamento su iniziativa delle forze dell'ordine, previo parere del pubblico ministero.
Quanto all'irrevocabilità della querela per gli atti persecutori, sposta sullo Stato l'obbligo di agire tempestivamente ed adeguatamente: non si può continuare a tollerare l'inerzia delle autorità alle quali hanno chiesto aiuto le donne uccise. A nostro parere l'irrevocabilità inoltre non è un deterrente per le donne, come invece è stato sostenuto ieri. Infatti le querele per violenza sessuale che sono irrevocabili dal 1996 in poi non sono diminuite, ma aumentate. Infine, a mio parere, non è da convertire la misura dell'ammonimento del questore in caso di atti non episodici di violenza domestica, cioè maltrattamenti, che costituiscono un reato già procedibile d'ufficio, così da non convertire la previsione della possibilità di denunce e segnalazioni anonime, non solo perché essa è vietata espressamente dal Codice di procedura penale, ma anche perché, da un punto di vista sociale e culturale, continuerebbe ad avvalorare il clima di omertà in cui si consuma la violenza maschile.
Sicuramente nel decreto manca tanto, proprio perché è un decreto-legge, e pertanto non è strumento adeguato per contrastare in maniera efficace il fenomeno della violenza maschile contro le donne, che è di natura culturale e strutturale, come più volte è stato detto, ma ritengo opportuno non perdere questa occasione che fornisce nell'immediatezza strumenti utili per le donne.
La violenza di genere è un fenomeno culturale, ma anche criminale, paragonabile per gravità alla mafia. Il parallelo non è azzardato, se si considera che le dinamiche che sottendono la violenza di genere sono le medesime: omertà, silenzio, complicità, isolamento, minaccia, paura, subordinazione e uccisione in caso di ribellione. L'intervento sarà efficace solo quando l'impegno di tutte e tutti, a partire dalle istituzioni, avrà la medesima portata Pag. 21di quello assunto nella condanna alla mafia come fenomeno inquinante di una società democratica.
Consegnerò una relazione scritta in cui specificherò punto per punto e articolo per articolo le modifiche che a mio parere devono essere apportate.
PRESIDENTE. Le chiedo di farcela pervenire in tempi brevi, perché noi domani abbiamo la discussione e poi c’è il termine per gli emendamenti.
MARIA TERESA MANENTE, Responsabile ufficio legale dell'Associazione Differenza donna-ong e referente nazionale della rete Avvocate centri antiviolenza associazione DI.RE. La trasmetto per posta elettronica entro stasera.
ROBERTO MASSUCCI, Vicepresidente dell'Osservatorio per le manifestazioni sportive. Grazie, signora presidente, per averci dato l'opportunità di essere oggi qui e spiegare alcune motivazioni per le quali riteniamo che questo provvedimento in discussione, che riguarda in particolare l'arresto in flagranza differita, sia considerato dal Dipartimento della pubblica sicurezza uno dei pilastri fondanti delle strategie di prevenzione e contrasto della violenza negli stadi.
Ho parlato di «uno dei pilastri fondanti», perché ovviamente riteniamo che questo non risolva tout court il problema della violenza negli stadi, ma si inserisca in un contesto integrato in cui l'arresto in flagranza differita ha un ruolo determinante. Le strategie per dare corpo alle affermazioni che stiamo portando all'attenzione di questa Commissione sono confermate da un uno straordinario trend di diminuzione degli incidenti negli stadi. In soli cinque anni c’è stato un abbattimento del 42 per cento degli incontri con feriti, del 77 per cento – attiro l'attenzione su questo dato – dei feriti tra le forze di polizia, e del 45 per cento dei feriti tra gli steward e tra i tifosi.
Mi preme sottolineare come la riduzione del numero dei feriti tra le forze di polizia sia da attribuire in larga parte all'istituto dell'arresto in flagranza differita, un'opportunità per la polizia giudiziaria in vigore sin dal 2001, che ha letteralmente modificato l'approccio delle forze di polizia all'azione di contrasto alle illegalità che si verificano negli stadi. Infatti la polizia giudiziaria può ora intervenire non nell'immediatezza del fatto, ma piuttosto nelle ore successive, evitando di effettuare un intervento di polizia tra masse di persone, che potrebbe rivelarsi non solo improduttivo, ma anche e soprattutto dannoso, non essendoci la possibilità, in un contesto di folla, di operare un intervento mirato a coloro che hanno effettivamente commesso i reati.
L'arresto in flagranza differita, attraverso un'azione di acquisizione di elementi di colpevolezza a carico degli autori dei fatti, nonché l'utilizzo delle tecnologie oggi disponibili negli stadi – qui entra in ballo il concetto di integrazione delle misure a presidio della sicurezza negli stadi – hanno portato ad azzerare sostanzialmente gli incidenti all'interno degli impianti sportivi, che permangono ancora nelle cosiddette «vie di accesso agli stadi», ovvero lungo le linee di trasporto autostradali e ferroviarie.
Prima di passare la parola al dottor Megale, dirigente della DIGOS di Milano, per un ulteriore contributo del livello territoriale, con il quale approcciamo a questo tema, vorrei sottolineare come l'istituto dell'arresto in flagranza differita non possa essere considerato uno strumento di repressione. Si tratta infatti di uno strumento di straordinaria garanzia, sia per le forze di polizia, che non si trovano più a dover intervenire a diretto contatto con i gruppi facinorosi dei tifosi, riportando numeri e qualità di ferite assolutamente inaccettabili, che per gli stessi cittadini, i quali non si trovano coinvolti in un intervento di polizia sul coinvolgimento indifferenziato dei gruppi, ma piuttosto in un'azione di polizia meticolosa, articolata e assolutamente calibrata sull'accertamento delle responsabilità dei singoli.
Concludo sottolineando che in questi anni di applicazione abbiamo una media di provvedimenti che va dai trenta ai Pag. 22quaranta arresti in flagranza differita all'anno. Parliamo quindi di numeri non altissimi, ma estremamente efficaci. Ogni provvedimento adottato dalla polizia giudiziaria è stato puntualmente convalidato in sede di analisi da parte dell'autorità giudiziaria.
BRUNO MEGALE, Dirigente della DIGOS della questura di Milano. Vorrei ringraziare i presidenti delle Commissioni per avermi dato l'opportunità di partecipare a quest'audizione, in qualità di tecnico. Io infatti lavoro sul territorio e mi occupo da tanti anni della gestione di fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive.
Vorrei aggiungere un piccolo contributo a quanto già detto dal collega sulla particolare efficacia di questo strumento normativo che, secondo la valutazione che facciamo noi tecnici operanti sul territorio, andrebbe stabilizzato da un punto di vista normativo.
Innanzitutto vorrei semplicemente dire che è un intervento operativo che, associato ad altri strumenti che sono stati adottati nel corso degli anni, dal Daspo al biglietto nominativo, e a tutta una serie di interventi sull'accesso allo stadio, ha ridotto sensibilmente l'incidenza di incidenti in occasione di manifestazioni sportive.
Oltretutto l'arresto differito è una delle manovre più efficaci, perché ci consente di intervenire entro le 48 ore, evitando così interventi massicci delle forze di polizia che, come potete immaginare, in un contesto di violenza in uno stadio con migliaia di persone, potrebbero essere estremamente pericolosi.
D'altronde la recente normativa sugli steward non consente più alle forze di polizia di stare all'interno degli impianti sportivi. Noi operiamo dall'esterno, quindi le difficoltà che troveremmo per intervenire in un contesto di violenza all'interno di uno stadio sarebbero elevate.
Inoltre, si tratta di un intervento selettivo, perché ci consente di individuare le specifiche condotte, anche alla luce degli strumenti che oggi la tecnologia ci consente. La conditio sine qua non di questo intervento è che ci sia una documentazione probante e videofotografica. Oggi abbiamo degli strumenti tecnologici che ci consentono di individuare specifiche condotte, e quindi di agire selettivamente sugli autori dei gravi reati commessi.
Il fatto che ci siano una trentina di arresti differiti in un anno dà la misura sulla prudenza delle forze di polizia nell'uso di questo strumento normativo, che è stato peraltro sempre convalidato, superando il vaglio dell'autorità giudiziaria.
C’è un altro aspetto importante dell'arresto differito: esso consente di intervenire anche al di fuori dei contesti di stadio, di fronte a fenomeni di violenza che abbiano un nesso di causalità con le manifestazioni sportive, per esempio negli autogrill o lungo le vie di trasporto. Questo strumento ci consente di intervenire nell'arco di 48 ore, e quindi di acquisire materiale fotografico estremamente efficace, di individuare le singole responsabilità e di agire selettivamente.
Oggi noi possiamo definire l'arresto differito una delle norme più importanti che hanno contribuito al decremento di questi fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive.
Da ultimo, come ha evidenziato molto bene il collega Massucci, l'arresto differito ha portato una riduzione sensibile dei feriti tra le forze di polizia, perché abbiamo ridotto di molto anche gli interventi in contesti di estrema folla.
PRESIDENTE. Riflettendo, forse l'unica criticità è che rimane sempre qualcosa di provvisorio. Quella prevista all'interno del decreto è infatti solo una proroga. A mio avviso, bisognerebbe pensare a una norma strutturale del nostro ordinamento.
BRUNO MEGALE, Dirigente della DIGOS della questura di Milano. Una stabilizzazione normativa dell'istituto per noi operatori rappresenterebbe uno strumento particolarmente efficace.
PRESIDENTE. Grazie. Proseguiamo con le altre audizioni. Vorrei scusarmi perché non sono presenti tutti i deputati Pag. 23che fanno parte delle Commissioni, perché in Aula è in corso la discussione di una mozione sulla questione della Siria. Tuttavia, trattandosi di un'indagine conoscitiva, è previsto un resoconto stenografico. Ricordo inoltre che tutti i contributi scritti che sono stati depositati sono all'esame di tutti i commissari, e dei relatori in particolare. Io sono una dei due relatori.
Passiamo ora all'audizione dei rappresentanti dell'Associazione giuriste d'Italia. Sono presenti la presidente Maria Virgilio e Marina Graziosi.
Do la parola a Maria Virgilio, presidente dell'Associazione giuriste d'Italia.
MARIA VIRGILIO, Presidente dell'Associazione giuriste d'Italia. Vi ringrazio di questa opportunità. L'associazione giuriste d'Italia, GIUdIT, è composta da avvocate, magistrati e docenti che da anni partecipano a un dibattito complesso sul significato e sull'efficacia del diritto, con riferimento alla libertà femminile e quindi alla libertà di tutti. Mi riferisco al diritto in generale (civile, penale e amministrativo).
Noi abbiamo esaminato attentamente il testo normativo in esame e abbiamo anche inviato degli schemi alle Commissioni, perché effettivamente la lettura è complessa. Abbiamo cercato di lavorare tecnicamente sul testo. In questa che è la sede di conversione in legge del decreto vogliamo focalizzare l'attenzione sul ruolo del diritto penale, perché da qui è partito l'approccio governativo al tema della violenza maschile contro le donne, e domandarci la portata che può avere il diritto penale rispetto a questo tema specifico, che è appunto quello del contrasto alla violenza maschile contro le donne.
Abbiamo sentito che questo testo fa parte di un contenuto non omogeneo e più ampio, che tratta appunto tematiche che, come abbiamo visto, sono estremamente eterogenee fra di loro.
Parliamo quindi di un decreto – legge in materia penale in questa specifica materia.
Parto dallo strumento del decreto-legge. Noi riteniamo che il decreto legge non dovesse essere usato in questa materia, che sia incostituzionale – la nostra è quindi una tesi forte – e che ci abbia illegittimamente privato di un confronto cui come cittadini, come associazioni, come parlamentari e come istituzioni impegnate su questo tema da anni, pensavamo di avere diritto.
Infatti non ci sono né l'urgenza del provvedere né l'urgenza del provvedimento che legittimano l'uso del decreto. Lo scrive il decreto stesso. Se noi leggiamo la giustificazione delle circostanze straordinarie di necessità ed urgenza enunciate, si parla di «susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne». Da qui deriva l'allarme sociale e si rende necessario inasprire le pene. Questa è l'unica motivazione che l'esecutivo ha adottato.
Noi riteniamo che ci sia una contraddizione intrinseca, perché la straordinarietà delle circostanze è esattamente il contrario di quello che la Convenzione di Istanbul, appena ratificata, ci dice, e cioè che questo è un problema strutturale. Non c’è nemmeno l'urgenza del provvedere, e dunque nessuna delle due motivazioni che legittimano il decreto. Innanzitutto non è un problema urgente. Sappiamo ciò che avviene da anni. I dati dell'Istat sono riferiti al 2006 e li conosciamo.
C’è anche un curioso ribaltamento: gli oggetti del decreto, ossia l'individuazione dei dati, la creazione di un miniosservatorio che viene attribuito al Ministero dell'interno, e la norma nel piano straordinario, finiscono per essere il presupposto stesso del decreto. Il presupposto del decreto è un qualcosa che in realtà con l'attività decretata deve essere ancora dimostrato. È proprio una contraddizione.
Inoltre, anche nella relazione al testo presentato al Parlamento si parla di aumento e recrudescenza. Neanche questo è vero, e non solo perché non ci sono dati ufficiali, come abbiamo già detto. È dal 1997, con la direttiva Prodi-Finocchiaro, che si parla di un osservatorio. È da allora che ci sono nei cassetti schemi di un osservatorio, che ancora non è stato fatto, Pag. 24e tuttora non ci sono dati ufficiali seri, raccolti secondo parametri che siano unitari. Quando si raccolgono i dati sul femminicidio, per esempio, se si inseriscono o meno i casi relativi alle prostitute i numeri cambiano. C’è chi li inserisce e chi no. Bisogna che decidiamo parametri standard che ci consentano di conoscere, e quindi di ragionare e di governare.
Abbiamo però dei dati non ufficiali. Possiamo basarci solo sulle denunce, fino a che non ci sarà la prossima indagine Istat. Secondo questi dati non ufficiali la violenza sessuale è stabile, con una lieve diminuzione. Gli assassinii di donne da parte di uomini nelle relazioni di intimità sono anch'essi stabili con una lievissima discesa. Per quanto riguarda lo stalking si dice che ci sono la bellezza di 38.000 denunce.
Questo è vero, ma le pochissime indagini che sono andate a vedere come finiscono tali denunce ci dicono che ci sono remissioni di querela fra il 15 e 30 per cento, e archiviazioni per infondatezza o mancanza degli elementi che qualche procuratore valuta per il proprio circondario nel 30 per cento, e qualcun altro valuta nel 60 per cento. Lo stalking è una figura fortunata, perché è più dicibile. È una parola magica, che però nasconde altri reati. Addirittura viene chiamato stalker l'omicida. Ciò non è possibile. Questa fortuna ha portato a far sì che attraverso lo stalking emerga tutta una serie di altri dati, che non riguardano lo stalking ma che riguardano la violenza maschile nei confronti delle donne. È molto interessante giocare su questa figura, però non bisogna fare confusione.
Anche questo è un dato stabile, e non c’è nessun aumento. Inoltre, è controproducente, per la solidità sociale e per la libertà di tutti, parlare di aumento o recrudescenza. Quest'aumento non è dimostrato, ma è così che spesso ci viene presentato, perché solo in questo modo possiamo parlare di allarme. È un allarme costruito, ed è controproducente perché finisce per acuire il conflitto sociale. Poi c’è bisogno delle misure eterogenee come quelle del decreto. Si finisce per individuare un altro nemico. Si finisce per pensare che il diritto penale sia uno strumento risolutivo. Se c’è un problema, occorre una norma penale che la sanziona; se c’è già la norma penale, si aumentano le pene.
Noi pensiamo che questo tema così complesso debba essere portato nella sede parlamentare e nella pienezza dei poteri del Parlamento, che non sono quelli che quest'ultimo ha in sede di conversione di un decreto-legge.
Questa sarebbe anche una soluzione di buonsenso. Se contestualizziamo quello di cui stiamo parlando, ci sono già proposte di legge depositate sia alla Camera che al Senato. La materia è già stata incardinata nella sede propria della discussione col contraddittorio fra maggioranza e minoranza. Tra l'altro, addirittura, in agosto sono già intervenuti prima il Governo e poi la legge a modificare lo stalking e sono state aumentate le pene. Dato che era stata modificata la norma di procedura penale, e siccome nell'aumento del termine per la custodia cautelare si correva il rischio che lo stalking non entrasse, si sono aumentate le pene. Non è così che dobbiamo valutare la griglia e la pesantezza dei vari trattamenti penali.
C’è il sostrato parlamentare per riportare nel giusto luogo questa discussione, anche perché – ricordiamolo – il mutamento normativo ha una sua forza culturale di cambiamento, anche se è legato alla discussione. Non vogliamo ripetere l'esperienza dei vent'anni che ci sono voluti per cambiare la legge contro la violenza sessuale, però anche sessanta giorni ci sembrano uno spazio temporale eccessivamente ristretto per affrontare un tema che nel preambolo della ratifica di Istanbul è definito «strutturale».
Faccio anche qualche annotazione sul merito del diritto penale. Non abbiamo avuto, come ci aspettavamo, un testo articolato, organico e finanziato. Inoltre è stato usato lo strumento penale, che è quello che ha la più forte carica simbolica; è il meno mite, ma anche quello più intrinsecamente debole e più lontano dalla effettività, non solo perché l'applicazione Pag. 25del diritto penale è per definizione esemplare, per definizione ha cifre oscure, e per definizione non raggiungerà tutti. Ha di per sé queste caratteristiche, ma ancor più le ha in questa materia.
L'aumento delle pene non realizza nessuna funzione deterrente, perché non incide sul senso di impunità degli autori e sulla loro aspettativa di comportarsi secondo criteri che vengono accettati.
Incrementare i poteri di polizia giudiziaria, anche contro la volontà della donna, come fa la misura dell'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare prevista dall'articolo 384-bis del Codice di procedura penale, è assurdo, se non si incrementano prima la formazione degli operatori e i servizi di sostegno disponibili.
Un operatore mi chiedeva dove avrebbero portato questi soggetti. Li ammoniamo, li allontaniamo, e magari ritornano nella casa in cui abitano. L'operatore è messo in difficoltà, perché di fronte a fattispecie che finiscono per essere analoghe è aumentato il suo ventaglio di possibilità: stimolare l'ammonimento, l'allontanamento, o l'arresto. Quali criteri, quali poteri e quali capacità diamo agli operatori per elaborare ? Questa è una difficoltà che è stata manifestata dagli stessi operatori, e che nasce dal testo. Infatti, nel momento in cui prevedo misure sotto i venti giorni per le lesioni, io posso pensare che ci sia un'intuizione dell'operatore che capisce che deve intervenire per prevenire il peggio, ma quando la norma esige che i fatti siano non episodici, li vado a caricare di una ripetitività che è quella dei maltrattamenti. In realtà, quindi, sono formule già previste, ma comunque metto l'operatore davanti a una discrezionalità ampia senza dargli delle possibilità.
Qual è complessivamente, secondo noi, la filosofia di questo testo ?
PRESIDENTE. La prego di concludere e di andare alla sintesi del suo intervento.
MARIA VIRGILIO, Presidente dell'Associazione giuriste d'Italia. La sintesi del nostro intervento è che si sia privilegiata una sorta di logica del potere di polizia a scapito dell'autodeterminazione della donna, e che quest'ultima debba essere recuperata, in un contesto che deve essere necessariamente più ampio e di riflessione.
Crediamo quindi che sia stata data una priorità a logiche istituzionali. Sostanzialmente non si vuole perdere tempo con donne che non siano decise. Quindi, se denunciano e querelano, il procedimento deve andare fino in fondo. Questo è il messaggio che noi leggiamo. La spia più chiara è proprio l'irrevocabilità della querela. Noi non crediamo che l'irrevocabilità della querela sia uno strumento che incentivi la denuncia dello stalking, nella logica che dicevo prima: quante donne presenteranno querela per stalking se sanno che poi non potranno avere più la disponibilità del procedimento ? Questa è una valutazione che sicuramente dovremo fare sulla base di dati, anche perché io credo che le donne che hanno già deciso di querelare portino comunque con sé delle riluttanze e dei ripensamenti e possano negoziare la ripresa di una vita comune o la serenità di una relazione in un'altra sede.
Secondo noi, alla luce della nostra esperienza, l'irrevocabilità della querela è proprio la cartina di tornasole di una scelta che vorremmo invece discutere più ampiamente. Infine, io credo che il legislatore debba usare un linguaggio appropriato. Il linguaggio ha un valore simbolico molto importante. Sicuramente non si dovrebbe incorrere in quella spirale di violenza di genere, violenza sessuale, stalking e via dicendo, che caratterizza questo decreto e che non dà definizioni univoche, lasciando nell'incertezza e nella non chiarezza del diritto.
PRESIDENTE. Leggeremo sicuramente il contributo scritto e rifletteremo sui vari punti che ci sono stati sottoposti. Ci avviamo verso la fine di quest'indagine conoscitiva complessa e ampia che abbiamo voluto fare con il presidente Sisto. È Pag. 26un'indagine ampia proprio per le tematiche affrontate dal decreto e per dare voce a tutti coloro che ne hanno titolo.
Do ora la parola a Barbara Benedettelli, presidente dell'Associazione L'Italia vera.
BARBARA BENEDETTELLI, Presidente dell'Associazione L'Italia vera. Innanzitutto vi ringrazio per aver invitato L'Italia vera a dare un contributo, seppur minimo, per quello che è il diritto fondamentale e essenziale: il diritto alla vita. Io ho consegnato alla Presidenza un'ampia memoria scritta, dove faccio anche un'analisi del fenomeno nel suo insieme.
Adesso cercherò di illustrare velocemente – leggerò per non dimenticare nulla – quelli che secondo noi sono i punti fondamentali.
Noi abbiamo rilevato nel decreto in esame alcune mancanze. Tra queste, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione, la violenza economica e la violenza psicologica non sono state prese nella giusta considerazione. Occorre quindi disegnare con precisione nel decreto queste due forme di violenza, che sono il terreno fertile su cui purtroppo il femminicidio, inteso come omicidio e non come fenomeno, si alimenta e si sviluppa.
Non serve una maggiore repressione del codice penale se non si dà alla donna la possibilità concreta di essere autonoma economicamente. Noi, per andare incontro a questo obiettivo, chiediamo anche la revisione di due articoli della Costituzione, che sono gli articoli 36 e 37, attraverso i quali possiamo rimuovere gli ostacoli che limitano l'occupazione femminile e che permettono la disparità retributiva tra uomini e donne, e agevolare la partecipazione degli uomini alla cura della casa e dei figli.
Per quanto riguarda la violenza psicologica suggeriamo l'introduzione di un test per la diagnosi di sindrome post-traumatica, soprattutto quando non ci sono testimoni. A questo test, quando è positivo, dovrebbe seguire un trattamento psicologico sulla vittima per aiutarla a ritrovare quell'equilibrio emozionale che serve per ricominciare a vivere.
A proposito di trattamento, come hanno già detto i rappresentanti delle associazioni che mi hanno preceduta ieri e oggi, è fondamentale che questo sia previsto da subito, e quindi già dall'ammonimento o dall'allontanamento, anche per il reo. È inutile che reprimiamo, se non curiamo. A questo proposito si ritorna al tema della giustizia riparativa. Come è già stato detto altre volte in questa sede, c’è un progetto che è stato avviato nel 2010 dal Ministero della Giustizia, che è il Progetto Sicomoro. È un progetto molto importante perché mette al centro la vittima, e dà al reo la possibilità di comprendere il disvalore sociale del reato che ha commesso. È molto importante il fatto che il Progetto Sicomoro sia slegato dalla premialità. Non c’è quindi il rischio di quella che è chiamata «la rieducazione apparente», per cui alla fine, in seguito a dei benefici, vengono rimesse in libertà delle persone che reiterano perché non hanno capito il disvalore di quello che hanno fatto.
Per quanto riguarda l'articolo 2 del decreto, comma 1, lettere a) e d), riguardante le misure coercitive a tutela della vittima, che prevedono l'allontanamento dell'imputato, suggeriamo l'introduzione di un articolo che preveda il divieto di frequentazione di uno o più comuni e di una o più province, per non arrivare al paradosso in cui la vittima si trova in un certo senso reclusa in una casa protetta, mentre lo stalker è libero di muoversi come vuole.
Per quanto riguarda l'ammonimento facciamo rilevare due cose importanti. La prima è che se non c’è un meccanismo di controllo l'ammonito può tranquillamente non osservare le regole dell'ammonimento. Per questa ragione ci vuole un sistema di controllo che può essere anche elettronico. Inoltre, in caso di inottemperanza, bisognerebbe prevedere delle misure coercitive della libertà personale, che non devono necessariamente essere il carcere, ma non devono neanche essere i domiciliari, che purtroppo non difendono la vittima. Si Pag. 27potrebbe anche pensare, piuttosto che al ritiro della patente, ad una sanzione pecuniaria di importo elevato e non inferiore ai 2.000 euro.
Sempre per quanto riguarda l'ammonimento, relativamente al discorso sul ritiro del porto d'armi, bisogna valutare una comunicazione efficace tra questure. In provincia di Treviso è successo che una persona ammonita in un paese, e a cui era stato ritirato il porto d'armi, è andata in un altro paese in cui ha ottenuto il porto d'armi, ha ucciso la moglie, e poi si è ucciso.
PRESIDENTE. Nel decreto-legge è previsto l'obbligo di togliere le armi.
BARBARA BENEDETTELLI, Presidente dell'Associazione L'Italia vera. Sì, ma la comunicazione tra le questure deve essere immediata. Altrimenti, se a un soggetto è ritirato il porto d'armi in una questura, può andarlo a ritirare in un'altra città, come è successo in questo caso, dove alla fine ha ammazzato la moglie.
Per quanto riguarda le aggravanti previste dal decreto-legge, queste vanno estese a tutti i reati della Convenzione. Noi chiediamo in particolar modo di fare un'aggiunta. Laddove è prevista l'aggravante per violenza sessuale su una donna incinta, dovrebbe essere prevista anche quella di procurata gravidanza, perché purtroppo quando una donna viene violentata può rimanere incinta, e questo comporta una sofferenza maggiore, perché deve ripensare a una vita completamente diversa rispetto a quella a cui aveva pensato, quando non sceglie soluzioni estreme come l'aborto.
Uno dei punti che mi sta molto a cuore, essendo la mia associazione molto vicina ai familiari delle vittime di omicidio, è quello di considerarli tra le vittime. Dato infatti che sia la direttiva europea 2012/291/UE che la dichiarazione ONU 4034 del 29 novembre 1985 ritengono vittime anche i familiari di chi viene ucciso, chiediamo che i familiari siano inseriti tra le vittime vulnerabili, perché non c’è niente di più devastante per una persona della morte di un figlio o di una figlia. Queste persone si ritrovano per esempio da sole a dover andare all'obitorio per riconoscere il corpo del loro figlio e chi ha dei figli può immaginare cosa significhi. In questi momenti queste persone mentre dovrebbero avere un accompagnamento. Lo stesso vale per il procedimento penale: anche ai familiari delle vittime devono essere riconosciuti sia il pubblico patrocinio che gli indennizzi previsti dalla Convenzione e dalla direttiva 2004/80/CE.
Tra l'altro succede spesso che durante il procedimento penale, con la condanna, viene stabilito anche un risarcimento da parte del reo per le vittime. Ovviamente questo risarcimento non arriverà mai, quindi spesso si chiede di provvedere al pignoramento di parte dello stipendio del reo una volta che è uscito, si è reinserito nella società e si è rimesso a lavorare.
Infine, in ottemperanza all'articolo 45 della Convenzione, che chiede di garantire che i reati stabiliti conformemente alla stessa siano punibili con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, che tengano conto della loro gravità, chiediamo che sia inserito nel decreto all'esame un articolo che escluda i reati previsti dalla Convenzione da provvedimenti di impunità quali indulto e amnistia.
Riteniamo inoltre che il recente decreto – legge n. 78 del 2013, nato dall'originaria proposta di legge Ferranti-Costa sia in netto contrasto con l'articolo 7, comma 2, della Convenzione, che chiede di mettere i diritti umani delle vittime al centro di tutte le misure, e con l'articolo 45 appena menzionato, in quanto, quando applicato a reati ritenuti particolarmente odiosi, anche se la condanna edittale è inferiore ai sei anni, impedisce la realizzazione di quel mutamento etico, culturale e morale necessario e richiesto dalla Convenzione, e lede i diritti umani delle vittime. Pertanto, per dare efficacia al decreto attualmente in esame, chiediamo che i reati previsti dalla Convenzione con pene edittali sotto i sei anni siano esclusi dalla recente conversione in legge del citato decreto n. 78 del 2013, il cosiddetto decreto Ferranti-Costa.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA I COMMISSIONE FRANCESCO PAOLO SISTO
PRESIDENTE. Vorrei ringraziare la presidente Benedettelli per la sua presenza. Ho il piacere di conoscerla personalmente, conosco il suo impegno e so come non si risparmi nella difesa delle figure deboli e delle istituzioni. La ringrazio per essere qui.
BARBARA BENEDETTELLI, Presidente dell'Associazione L'Italia vera. Io ringrazio voi. Consiglio ai membri delle Commissioni di leggere il mio libro «Vittime per sempre», che lei, presidente, ha letto. È un libro che cerca la giustizia a 360 gradi giusta, quindi per tutti gli attori del reato, e soprattutto mostra quella parte trascurata, che è appunto quella delle vittime della delinquenza.
PRESIDENTE. La presidente Ferranti mi consentirà di introdurre l'avvocato Vigilante, che con l'associazione La Giraffa dà sul nostro territorio, la Puglia, un contributo decisivo alla tutela delle persone deboli.
MARIA PIA VIGILANTE, Presidente dell'Associazione Giraffa-onlus di Bari. Grazie, presidente. Innanzitutto vi ringrazio per averci invitato e per averci dato la possibilità di esprimere il nostro pensiero in questa sede, in un momento così delicato.
Dico innanzitutto che Giraffa è un acronimo che sta per «Gruppo indagine e resistenza alla follia femminile, ah !», con una «ah !» liberatoria finale. Si parla di resistenza alla follia femminile perché questa, evidentemente, porta l'ambivalenza della donna anche, e soprattutto, in presenza di situazioni di violenza, che sono le ragioni per cui è necessaria l'attività che tutti i centri antiviolenza pongono a fianco delle donne nell'aiutarle ad autodeterminarsi e a elaborare tutti i traumi subìti a seguito delle violenze.
È importante quanto osservato dalla presidente dell'Associazione giuristi d'Italia, professoressa Virgilio, a proposito dell'autodeterminazione della donna, quindi dell'introduzione dell'irrevocabilità della querela opposta dalla donna ai danni del maltrattante o dello stalker, ma in questo caso del maltrattante, quando si verificano episodi di violenza in presenza dei minori.
La fattispecie di quest'aggravante sicuramente lede l'autodeterminazione della donna, comunque portatrice di quest'ambivalenza, sulla quale dobbiamo lavorare. Non possiamo far finta che non ci sia. L'ambivalenza nasce proprio dalle ragioni della vita intima della relazione sentimentale.
Tralascerò tutto quanto è relativo alle ragioni che hanno portato al decreto e alle possibili eccezioni di incostituzionalità che porta con sé. Dirò solamente che non abbiamo la necessità, in Italia, di ulteriori norme repressive. Abbiamo le norme, che vanno applicate, da tutti, laddove tutti, evidentemente, dobbiamo svolgere il nostro ruolo nelle sedi che ci competono.
Abbiamo la necessità di valorizzare il piano nazionale antiviolenza e che questo accada ascoltando le associazioni che lavorano sui territori. Abbiamo la necessità, quindi, di una formazione comune tra magistrati, poliziotti, operatori, in modo da non solo di riconoscersi nei ruoli, ma di aiutare verso quel mutamento radicale che su questo fenomeno è necessario ci sia. Nel momento in cui inizia la discussione in Parlamento, dobbiamo e dovete tenere presente che non possiamo parlare di violenza solo a seguito dell'emotività o in occasione di episodi di percezione di recrudescenza.
Dobbiamo occuparci delle violenze e, evidentemente, pensare ad un piano strategico che si occupi di tutte le violenze, economica, assistita, psicologica, delle mutilazioni genitali femminili. Esistono al proposito numerose leggi fatte dal Parlamento. Abbiamo bisogno, per capire come sono state applicate queste leggi e se esistono delle lacune, di un osservatorio con i dati, che ci illustri non solo quante Pag. 29violenze sono state poste in essere ai danni delle donne, ma che cosa è successo dopo.
Per il resto mi rimetto alla memoria che ho depositato.
PRESIDENTE. Ringrazio l'avvocato Vigilante.
Abbiamo concluso l'indagine conoscitiva.
Ringrazio, innanzitutto, la presidente Ferranti per la sua abituale e fattiva collaborazione. Ringrazio, ovviamente, tutti gli auditi dell'impegno che hanno posto a un provvedimento certamente importante.
Annuncio ai colleghi delle Commissioni che alle ore 14.15 inizierà la discussione generale, che si protrarrà fino alle 15.15 e continuerà domani.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 11.15.