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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Venerdì 3 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 2352  ED ABBINATI, RECANTI MODIFICHE ALLA LEGGE ELETTORALE

Audizione di esperti.
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 3 ,
Zaccaria Roberto , già Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze ... 3 ,
Sbailò Ciro , Associato di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Enna «Kore» ... 5 ,
Calderisi Giuseppe , Esperto della materia ... 7 ,
Chiaramonte Alessandro , Ordinario di scienza politica presso l'Università degli Studi di Firenze ... 10 ,
Curreri Salvatore , Associato di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna «Kore» ... 12 ,
D'Amico Maria Elisa , Ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 15 ,
Deodato Carlo , Consigliere di Stato, esperto della materia ... 17 ,
Leone Stefania , Ricercatrice in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 20 ,
Lippolis Vincenzo , Ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma ... 22 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 24 ,
Lippolis Vincenzo , Ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma ... 24 ,
Mangiameli Stelio , Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Teramo ... 24 ,
Meale Agostino , Ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari ... 26 ,
Rodio Guido Raffaele , Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari ... 28 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 30 ,
Sisto Francesco Paolo (FI-PdL)  ... 30 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 30 ,
Sisto Francesco Paolo (FI-PdL)  ... 30 31 ,
Parisi Massimo (SC-ALA CLP-MAIE)  ... 31 ,
Biancofiore Michaela (FI-PdL)  ... 32 ,
Centemero Elena (FI-PdL)  ... 32 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 33 ,
Parisi Massimo (SC-ALA CLP-MAIE)  ... 34 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 34 ,
Sisto Francesco Paolo (FI-PdL)  ... 34 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 34 ,
Deodato Carlo , Consigliere di Stato, esperto della materia ... 34 ,
Sisto Francesco Paolo (FI-PdL)  ... 35 ,
Mangiameli Stelio , Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Teramo ... 35 ,
Sisto Francesco Paolo (FI-PdL)  ... 35 ,
Mangiameli Stelio , Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Teramo ... 35 ,
Curreri Salvatore , Associato di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna «Kore» ... 36 ,
Chiaramonte Alessandro , Ordinario di scienza politica presso l'Università degli Studi di Firenze ... 37 ,
D'Amico Maria Elisa , Ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 38 ,
Calderisi Giuseppe , Esperto della materia ... 38 ,
Leone Stefania , Ricercatrice in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 39 ,
Meale Agostino , Ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari ... 40 ,
Sbailò Ciro , Associato di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Enna «Kore» ... 40 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 41

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa: AP-NCD-CpE;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 10.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame dei progetti di legge C.2352 ed abbinati, recanti modifiche alla legge elettorale, l'audizione di esperti.
  Ricordo che per ciascun esperto il tempo previsto è di dieci minuti e che seguiremo un ordine alfabetico con soltanto due eccezioni, che sono dovute a impegni che ci erano stati precedentemente segnalati, per cui do subito la parola al professor Zaccaria.

  ROBERTO ZACCARIA, già Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze. Grazie, presidente.
  Ieri ho seguito attraverso la web-tv della Camera le audizioni di molti colleghi, e mi sono reso conto che l'impianto che ci è stato dato attraverso i quesiti posti dalla Commissione è un metodo appropriato, sarebbe stato del resto abbastanza difficile, salvo qualche rara eccezione, poter analizzare tutte le varie proposte che sono all'attenzione della Commissione affari costituzionali. Questi quesiti ci hanno semplificato la vita.
  Per semplificarla ulteriormente vorrei dire che ho presentato già un testo scritto, nella prima parte del quale ho espresso le valutazioni molto rapide sulle questioni principali che ci vengono sottoposte. Non mi voglio soffermare su questo, ma perché sostanzialmente voglio dedicarmi a una seconda parte di questo mio intervento, che in qualche modo individua alcune questioni che mi paiono almeno dal mio punto di vista utili da sottolineare.
  Ho fatto anche una postilla ai 14 quesiti che sono stati posti, concordata con il professor Tarli Barbieri, un mio collega dell'Università di Firenze, perché dice sostanzialmente che, se non si riuscisse a fare il di più che è ipotizzato nelle proposte, quelle sarebbero le condizioni minime che dovrebbero essere fatte perché le due leggi, Camera e Senato, potessero essere accettabili.
  La parte finale del mio intervento ha una premessa e poche limitate osservazioni su alcune proposte di legge all'attenzione della Commissione.
  Vorrei ricordare una considerazione quasi ovvia: il legislatore non può certamente andare contro quello che ha scritto la Corte, e questo è in parte l'obiettivo delle prime domande, cioè ci si chiede se in termini di costituzionalità certi passaggi siano consentiti dopo la sentenza n. 35 del 2017 e naturalmente anche la n. 1 del 2014, ma può decisamente cambiare campo di gioco.
  Se fossi il solo a decidere, credo che sarebbe senz'altro utile gettare sia il Porcellum che l’Italicum. Inutile dire che la Corte costituzionale ne ha mantenuto quantitativamente (vorrei dire quasi statisticamente) l'impianto, come è stato detto anche nei giorni scorsi. A mio giudizio la Corte Pag. 4costituzionale ha demolito il cuore di entrambi i sistemi.
  Forse a questo punto la cosa migliore da fare sarebbe andare su qualcuno di quei modelli che conosciamo meglio, e non è detto che questa strada sarebbe necessariamente più lunga. Si aprono infatti alcune strade nitide: volendosi scegliere tra sistemi maggioritari si potrebbe riadattare il Mattarellum, come qualcuno dei progetti di legge propone, sia pure con alcune limitate correzioni. La possibilità di elevare i seggi da attribuire con la proporzionale al 50 per cento sarebbe una modificazione decisamente più rilevante, anche se finirebbe con il configurare un sistema misto (anche qui ci sono proposte in tal senso).
  Oppure si potrebbe pensare al sistema francese (pure in questo senso ci sono proposte) di doppio turno, con un solo possibile intervento sulla percentuale di voti, per consentire ai candidati di passare al secondo turno. L'attuale soglia francese del 12,5 per cento degli aventi diritto è molto alta, si può scendere al 10 oppure, come aveva proposto Sartori, possono passare i primi quattro candidati in ciascun collegio, In quest'ultima proposta c'è un implicito riconoscimento verso il diritto o la possibilità di tribuna.
  Di fronte a una scelta prevalente verso il proporzionale (perché questo secondo me è un bivio che si pone), si potrebbe virare verso il sistema tedesco, che presenta nitidi profili di una proporzionale personalizzata. Anche questa è una strada ampiamente collaudata e consente di stare in un campo diverso da quello affrontato dalla Corte.
  Tutte queste scelte sono all'interno di quella discrezionalità parlamentare, che il giudice costituzionale ha ribadito ancora una volta e che dovrebbe essere rivendicata con orgoglio. La stagione che viviamo è difficile e il periodo non è certo dei migliori per arrivare all'approvazione di una legge elettorale, ma tutti dovremmo essere convinti che il campo di gioco lo devono scegliere i parlamentari e non i giudici, e che la legge elettorale è una cosa che dovrebbe durare per molti anni.
  In queste considerazioni ci sono osservazioni del collega Gianfranco Pasquino, con il quale discuto frequentemente di questi temi.
  Venendo ora ad alcune osservazioni più semplici e anche più realistiche, avendo esaminato le numerose proposte che giacciono sul vostro tavolo mi sentirei di dire che la Commissione dovrebbe pronunciarsi intorno ad alcune questioni preliminari, e non necessariamente in quest'ordine.
  La prima questione è quella dell'impianto proporzionale o maggioritario. Naturalmente questa scelta deve essere nitida in favore dell'uno o dell'altro modello e non credo che le ultime due leggi elettorali abbiano percorso nitidamente questo modello: entrambe sono partite con uno schema proporzionale per arrivare in entrambi i casi ad un sistema non solo maggioritario, ma iper maggioritario. Oggi si dovrebbe dire con chiarezza di quale famiglia si intenda far parte. Non dirò quale sia la mia preferenza, dirò solo che le sensazioni diffuse sembrano propendere verso il primo impianto e quindi, se quello deve essere, conviene procedere con coerenza su quella strada.
  La seconda questione riguarda il modo in cui si scelgono i candidati. Su questo aspetto giocano le dimensioni dei collegi: mi sentirei di dire che ovviamente devono essere piccoli, per avere comunque una migliore conoscibilità dei candidati. In caso di preferenze, è indispensabile che siano due per avere la possibilità di scelta di genere.
  Nel caso di collegi uninominali – la strada che io preferisco, perché consentono una personalizzazione della scelta e forse anche una sensibile riduzione dei costi – i modelli possono essere quello tedesco, che necessita di adattamenti perché da noi non sarebbe possibile la composizione variabile delle Camere, ma un'alternativa a questo modello mi pare che possa essere rappresentato dalla proposta dell'onorevole Cuperlo, che propone – sì – i collegi, ma li interpreta secondo uno schema che in Italia abbiamo conosciuto con le elezioni del Senato e con quella delle province. Gli eletti sono scelti dopo un calcolo proporzionale Pag. 5 dei seggi e con la scelta di coloro che abbiano ottenuto i migliori rapporti.
  Questo sistema permette di selezionare i candidati con una maggiore personalizzazione, ma presenta un solo difetto: non garantisce l'elezione a chi vince in quel determinato collegio. Questa è la condizione per adottare il sistema della scelta dei candidati ad un sistema proporzionale (adottare questo meccanismo dei rapporti dei voti) ma, naturalmente bisognerà tener conto anche della possibilità di adattare questo sistema ad un Paese come il nostro, abituato a differenti modelli, cioè abituato a sapere che chi vince ha vinto.
  La terza questione riguarda la possibilità di attribuire un piccolo premio di governabilità, non necessariamente idoneo a raggiungere la maggioranza, alla lista o alla coalizione che raggiunga il risultato più alto (questo quesito era contenuto all'interno dei 14 posti dalla Commissione). Questo premio o «premietto», com'è stato battezzato un poco dispregiativamente da molti colleghi (mi pare che nella giornata di ieri quasi nessuno fosse d'accordo, però io su questo ho una diversa opinione), per non alterare in maniera irragionevole il principio di rappresentanza dovrebbe essere tenuto in una consistenza non troppo elevata, tra il 5 e il 10 per cento.
  Mi pare quindi che molti colleghi lo abbiano criticato e si siano espressi in maniera radicalmente contraria, ritenendo che il sacrificio che così si determina potrebbe risultare inutile, perché non idoneo a raggiungere la maggioranza. Qualcuno – mi pare Villone – ha parlato esplicitamente di incostituzionalità. Mi permetto di avere qualche dubbio sulla incostituzionalità, in realtà io ritengo che di fronte a un sistema proporzionale cosiddetto «puro» (l'espressione è impropria, ma comunque la prendiamo) non sia affatto ingiustificato un meccanismo di questo tipo, almeno come incentivo alla formazione di un primo nucleo utile ad una possibile coalizione di Governo. Mi auguro che non ci si debba pentire di questa mancanza.
  Queste sono in sintesi le considerazioni che volevo fare agli onorevoli deputati membri di questa Commissione. Ringrazio il presidente per l'attenzione che mi ha prestato.

  CIRO SBAILÒ, Associato di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Enna «Kore». Grazie, io seguirò l'ordine delle domande, forse con una variazione involontaria.
  Parto dal primo punto sulla definizione di un'eventuale, diversa soglia al premio di maggioranza. Secondo la Corte, per come io ho interpretato, il problema delle soglie non si pone per tutti i sistemi elettorali che comportino significative distorsioni maggioritarie, ma solo per quelle che (per usare un'espressione della Corte europea dei diritti dell'uomo) prevedono esplicitamente nei loro sistemi elettorali delle misure di premi di maggioranza, quindi dove la distorsione maggioritaria è imposta a urne ferme, quindi è da considerare artificiale.
  Si giustifica in questo senso l'attenzione data al problema delle soglie per l'accesso al premio di maggioranza, problema che riguarda non tanto la distorsione maggioritaria in se stessa, ma la modalità con cui la distorsione viene costruita, quindi un problema che io interpreto come legittimazione del sistema. Il sistema dove la distorsione è più forte è quello nominale secco inglese che può essere odiato molto, ma è difficile ritenerlo incompatibile con i princìpi del costituzionalismo; ora è molto messo in discussione ma certamente non è un sistema nel quale si pone il problema di una soglia.
  La soglia è relativa al fatto che, come dice la Corte europea dei diritti dell'uomo, la previsione esplicita e la distorsione è aggiunta dopo. In questo senso, in base alla domanda che mi viene posta, ritengo che la distorsione che provoca il premio possa essere ragionevolmente collocata intorno al 40 per cento per un premio che si aggiri intorno al 55 per cento. In questo modo, per una serie di calcoli si evita che si vulneri troppo il principio «un uomo, un voto», cioè che un voto valga per due.
  Per quanto riguarda invece l'ipotesi in base alla quale il premio di maggioranza venga attribuito indipendentemente dall'effetto governabilità (qui esprimo un'opinione diversa rispetto a quella appena manifestata Pag. 6 e mi riferisco anche a un intervento recente del professor Lippolis) è evidente la compressione di un bene costituzionale; la Corte fa differenza tra il bene costituzionale e l'interesse costituzionalmente legittimo, quindi il bilanciamento non è automatico, non è meccanico, non è aritmetico, ma va costruito, però la compressione della rappresentanza si può giustificare solo se c'è un risultato apprezzabile in termini di governabilità.
  Una compressione piccola che non è bilanciata dalla governabilità può quindi paradossalmente essere meno legittima per la teoria del bilanciamento, se vogliamo restare nella logica della somma zero, di una compressione più forte, che però consente un riequilibrio in termini di governabilità. Da questo punto di vista non ritengo quindi che sia possibile.
  Per quanto riguarda invece la possibilità di un premio di maggioranza in entrambi i rami del Parlamento – vale a dire che il premio di maggioranza scatta solo in quanto venga raggiunta una certa soglia in entrambi i rami del Parlamento – , in effetti apparentemente sembrerebbe una proposta un po’ dura, difficile da costruire, ma si costruisce a mio avviso proprio con il paradigma del bilanciamento, nel senso che il legislatore, la cui discrezionalità è stata ampiamente ribadita dalla Corte in materia di legge elettorale, individua una sorta –mi si passi l'espressione – di misura cautelare, cioè il premio di maggioranza scatta solo in quanto l'attribuzione di questo premio mi consente di raggiungere la governabilità.
  È evidente che in regime di bicameralismo perfetto o paritario invariato la condizione di governabilità si materializza e quindi consente il bilanciamento della compressione della rappresentanza solo in quanto raggiunta in entrambi i lati del Parlamento, quindi il legislatore vede i risultati e pone le condizioni per l'attribuzione del premio di maggioranza: la interpreto quindi come una misura volta alla conservazione dell'equilibrio tra beni costituzionali e obiettivi costituzionalmente legittimi.
  Per quanto riguarda invece un premio che attribuisca alla lista votata un numero determinato di seggi aggiuntivi, vale il discorso precedente; si propone in questo caso una logica sistemica, per cui è chiaro che la distorsione si giustifica solo in funzione della governabilità.
  Per quanto riguarda invece la questione della base regionale del Senato, l'attribuzione del premio di maggioranza su base nazionale, la questione si pose a suo tempo con il cosiddetto Porcellum e ricordo che io allora feci un'osservazione critica insieme ad altri, e adesso la questione è stata riproposta dal professor Ceccanti.
  In realtà non è pensabile, adottando il paradigma della ragionevolezza del legislatore, che il legislatore costituzionale abbia voluto porre le condizioni per creare l'ingovernabilità: l'individuazione della base regionale non è direttamente collegata al calcolo del premio di maggioranza, ma il requisito della base regionale può essere assicurato anche ad esempio con il ricalcolo su base regionale del premio, premiando la lista nelle regioni in cui ha dato migliori prove di sé.
  Credo che la combinazione tra i due principi enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale – il primo il fatto che i sistemi, pur differendo, non devono ostacolare (poi c'è stata una correzione, «non ostacolino», nella redazione della sentenza) la formazione di maggioranza, e l'altro, il legislatore gode di ampia discrezionalità – ci porta a dire che il ricalcolo su base nazionale per il premio di maggioranza al Senato sia più che legittimo, quindi nel caso del Porcellum è stato evidentemente un errore forse per eccesso di cautela.
  Per quanto riguarda i presupposti e i limiti sulla base dei quali potrebbe essere considerato legittimo un turno di ballottaggio con particolare riguardo al limite costituito dall'esigenza di non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell'Assemblea elettiva e l'uguaglianza, qui ci sono vari aspetti. Poi lascerò una memoria scritta. Ancorare l'attribuzione del premio di maggioranza al superamento di una determinata soglia di partecipanti al Pag. 7voto, però probabilmente individuerei una soglia superiore a quella prevista dall'articolo 75 della Costituzione, quindi non andrei in analogia con quella soglia, e terrei conto dei risultati elettorali, cioè dell'affluenza alle urne, che è stata particolarmente bassa alle ultime elezioni, combinata matematicamente con la media dell'affluenza al secondo turno delle elezioni comunali: quindi individuerei una soglia più alta rispetto al 50 per cento più uno dei partecipanti. Oppure non può essere esclusa l'ipotesi di un ballottaggio aperto, però con una percentuale che potrebbe essere (cito da altre esperienze) intorno al 12-12,5 per cento, però calcolata sugli aventi diritto più che sui votanti, se vogliamo restare nell'ambito del paradigma della rappresentatività.
  Desidero infine sottolineare il passaggio della Corte sulla opposizione, vale a dire sull'importanza delle soglie per dar vita anche a delle opposizioni che abbiano una loro compattezza e identificabilità. Credo che in questo ci sia forse anche un richiamo della Corte all'attività che si sta svolgendo in Parlamento su questo fronte, perché è evidente che una disciplina in tal senso prima o poi dovrebbe portare anche a una disciplina sui partiti politici (le due cose si collegano nel medio termine, è difficile fare l'una senza fare l'altra). Mi sembrava importante, anche se non immediatamente collegata al varo della nuova disciplina elettorale, porre attenzione a questo aspetto della importanza del sistema elettorale anche per la formazione di opposizioni che abbiano una loro omogeneità. Grazie.

  GIUSEPPE CALDERISI, Esperto della materia. Ho lasciato un testo scritto, che ovviamente è più esaustivo rispetto all'esposizione orale per i limiti di tempo a disposizione. Solo una brevissima premessa, perché poi mi atterrò semplicemente a rispondere ai quesiti e alle domande che sono state poste.
  La Corte rivolge un monito al legislatore affinché i sistemi adottati, pur se differenti, non ostacolino l'esito delle elezioni, la formazione di maggioranze e parlamentari omogenee. La Corte pone l'esigenza di razionalizzare il bicameralismo paritario confermato dal referendum, nonostante la diversa base di legittimazione delle due Camere, che porta a due Camere non fotocopia, comunque non si può non concordare con il monito della Corte, perché con due Camere elette da due corpi elettorali diversi e con un sistema politico frammentato in almeno tre poli (e forse quattro o cinque) il rischio di ingovernabilità e instabilità politica è già elevatissimo.
  Di conseguenza l'obiettivo di armonizzare i due sistemi elettorali, che allo stato non sono affatto omogenei, diventa imprescindibile al fine quantomeno di non accrescere ulteriormente questo rischio, che potrebbe condurci ad una situazione di tipo Weimar.
  Le risposte. Ho numerato i 14 quesiti, di cui non cito il contenuto per brevità di tempo. Primo quesito. La Corte ha affermato che la soglia del 40 per cento non appare in sé manifestamente irragionevole, ma il metro della ragionevolezza su cui si basa la Corte è inevitabilmente vago, perché non è possibile ancorarlo a disposizioni della Costituzione, non esiste un metro per stabilire fin dove una soluzione possa spingersi per non superare i limiti di ciò che è ragionevole, nel governare la ragionevolezza la Corte inevitabilmente finisce per svolgere una funzione di supplenza: sta al legislatore riappropriarsi del proprio ruolo e delle proprie responsabilità su questo aspetto come su altri. È comunque utile ricordare (lo ha fatto anche la Corte) che nel testo iniziale dell’Italicum la soglia era del 37 per cento, con un premio limitato ad un massimo di 15 punti percentuali, e attribuito anche a coalizioni di liste. La soglia fu innalzata al 40 per cento proprio perché era previsto il ballottaggio. Sul piano della legittimità costituzionale non ritengo che una soglia non molto inferiore al 40 per cento possa essere ritenuta costituzionalmente illegittima, anche perché nella storia del nostro Paese ma anche in Europa solo in casi molto rari un singolo partito ha conseguito più del 40 per cento. Posso suggerire, considerato che la stessa sentenza n. 1 del 2014 aveva posto l'esigenza della previsione di una soglia minima di Pag. 8voti e/o di seggi, che tale soglia sia riferita ad una percentuale di seggi anziché di voti; infatti una soglia del 40 per cento dei voti corrisponde già senza premio ad una percentuale del 42-43 per cento dei seggi, considerate le liste che non superano lo sbarramento, e pertanto il premio in seggi risulterebbe inferiore al 15 per cento.
  Seconda questione. Sarebbe del tutto irrazionale e non funzionale procedere all'attribuzione del premio di maggioranza qualora esso dovesse aspettare a liste o coalizioni diverse tra le due Camere. Appare invece eccessivo e anche non funzionale non procedere all'attribuzione del premio di maggioranza nella sola Camera per la quale una lista o coalizione abbia superato la soglia del 40 per cento dei voti validi, avendo magari la stessa lista o coalizione conseguito una percentuale solo di poco inferiore al 40 per cento nell'altra Camera, anche perché in tal caso, diversamente da quello successivo, risulterebbe impraticabile la formazione di una maggioranza di Governo escludendo una forza che ha conseguito oltre il 40 per cento dei consensi.
  Terza questione. Un premio di minore consistenza, non in grado di assicurare la maggioranza assoluta dei seggi attribuito quindi con meno del 40 per cento dei voti o dei seggi, non è stata affrontata dalla Corte ed è estremamente opinabile. In Grecia è previsto un premio di questa natura, vi sono però dei problemi: oltre a quello del bicameralismo paritario, per cui occorrerebbe quantomeno escludere che i seggi aggiuntivi possano essere attribuiti a due soggetti politici diversi nelle due Camere, ne esiste un altro ancora più rilevante: attribuire i seggi aggiuntivi ad una forza politica che non riesce o addirittura non vuole formare una maggioranza con altre forze e che pertanto rimane all'opposizione, renderebbe ancora più problematica la formazione di una maggioranza di Governo anziché favorirla.
  Quarta questione. Anche per il Senato può essere previsto un premio di maggioranza attribuito alla lista o coalizione che supera una determinata soglia sul piano nazionale. Diversamente che per la Camera, però, occorre che la distribuzione del premio sia effettuata con un computo su base regionale in modo ponderato (esistono molti algoritmi per farlo), così come l'attribuzione dei seggi alle liste effettuata nell'ambito di ciascuna regione. Nella sentenza della Corte n. 1 del 2014 c'è un passaggio dove la voce «premi attribuiti su base regionale», sia pure indirettamente, legittima questa attribuzione sul piano nazionale di un premio.
  Punto 5. La Corte ha affermato che il ballottaggio potrebbe essere legittimo se disciplinato in modo diverso, inserendo alcuni o tutti i correttivi la cui assenza i giudici lamentano. Personalmente farei molta attenzione a fissare un quorum di partecipazione, per non incentivare l'astensionismo. A me sembra che il problema principale del ballottaggio sia il bicameralismo paritario: occorrerebbe prevedere il ballottaggio per entrambe le Camere, ma la sua disciplina risulterebbe molto complessa, sarebbe quantomeno necessaria una condizione ulteriore oltre a quelle già esaminate, cioè che il ballottaggio potrebbe svolgersi solo se le due liste o coalizioni che vi accedono fossero le stesse per entrambe le Camere – perché altrimenti non ha senso farlo – oltre a prevedere l'attribuzione del premio solo che la lista coalizione vincente è la stessa per entrambe le Camere. Di conseguenza, il ballottaggio che dovrebbe avere natura decisiva potrebbe non risultare affatto tale, e questo rischio di far votare gli elettori due volte inutilmente mi fa dubitare profondamente sull'opportunità e razionalità di un sistema del genere.
  Punto 6. La Corte ha considerato non fondata la questione posta sul cosiddetto «slittamento dei seggi» né ha riscontrato problemi di funzionalità del vigente algoritmo. La Corte afferma infatti: «la non fondatezza della questione deriva dalla circostanza che il complesso sistema di assegnazione dei seggi dispiega ampie cautele, proprio allo scopo di evitare la traslazione che il giudice a quo lamenta. La traslazione di un seggio da una sezione ad altra costituisce un'ipotesi residuale» (cito alcuni passaggi, per brevità non tutti), «e la non Pag. 9fondatezza della censura si rivela ancor più nitidamente alla luce della necessità di interpretare il disposto di cui all'articolo 56, comma 4, della Costituzione in modo non isolato, ma in sistematica lettura con i principi desumibili dagli articoli 67 e 48». Del resto, nel sistema elettorale della Camera, vigente fino al 1993, per tutti i seggi assegnati con i resti in sede di CUN (Collegio unico nazionale) prevaleva il criterio della rappresentanza politica su quello della rappresentanza territoriale, con un conseguente slittamento dei seggi tra circoscrizioni non residuali e di gran lunga più consistenti. Quanto allo slittamento dei seggi tra i collegi plurinominali di una medesima circoscrizione, questione non posta a giudizio della Corte, essa non si esime comunque dal rilevare che il rimettente, che aveva erroneamente fatto oggetto di censura altri commi della legge, non si interroga sull'eventualità che l'articolo 56, quarto comma, della Costituzione esprima un principio vincolante anche per la distribuzione dei seggi nei collegi, cioè in relazione ad ambiti territoriali più ridotti rispetto alle circoscrizioni.
  Ricordo che il legislatore nel corso dell'esame parlamentare scelse il vigente algoritmo per quanto riguarda la distribuzione dei seggi nei collegi plurinominali, al fine di evitare l'attribuzione sostanzialmente casuale dei seggi spettanti soprattutto alle liste minori. Si tratta di pochi seggi in assoluto, ma quasi tutti quelli spettanti a tali liste.
  Ricordo altresì che nel vecchio sistema elettorale del Senato, basato sui collegi uninominali con riparto proporzionale dei seggi e proclamazione degli eletti in base alla graduatoria delle cifre individuali di ciascuna lista, accadeva un fenomeno di gran lunga più rilevante. La prevalenza generalizzata e non limitata a una parte relativamente esigua dei seggi del criterio di rappresentanza politica faceva sì che, mentre un numero consistente di collegi avesse più di un eletto (anche tre o quattro), un numero ancora più consistente di collegi non ne avesse neppure uno, ma non sono mai stati sollevati dubbi di legittimità su tale sistema, che non a caso è stato ed è riproposto anche nell'attuale dibattito.
  Punto 7. La Corte afferma che le previsioni della legge introducono una soglia di sbarramento non irragionevolmente elevata, che non determina di per sé una sproporzionata distorsione della rappresentatività dell'organo elettivo. Ovviamente un sistema con premio di maggioranza comporta a mio avviso soglie di sbarramento più basse rispetto ad un sistema senza premio.
  Punto 8. Sulla configurabilità di candidature bloccate mi sembra che essa stia nella conoscibilità dei candidati, dunque nella necessità che si tratti di liste molto corte, ancor meglio se non riguardanti la totalità dei seggi.
  Punto 9. Per quanto riguarda la programmazione dei candidati e capolista eletti in più di un collegio plurinominale, ritengo che il criterio più opportuno per sostituire il sorteggio sia quello di prevedere la proclamazione per ciascun candidato capolista che risulti eletto in più di un collegio plurinominale nel collegio nel quale il rapporto tra la cifra elettorale di collegio della relativa lista e il numero totale dei voti validi del collegio medesimo risulti minore. Prevedere infatti un criterio basato sui voti di preferenza avvantaggerebbe di fatto i candidati dei collegi di quelle parti del territorio nazionale che hanno notoriamente una propensione al voto di preferenza maggiore rispetto ad altre. Il capolista quindi può essere candidato in cinque collegi della Sicilia e in cinque della Lombardia, e quelli della Lombardia sarebbero evidentemente sempre penalizzati.
  D'altro canto, prevedere che il candidato capolista debba essere proclamato eletto nel collegio dove la rispettiva lista ha ottenuto in percentuale la maggiore cifra elettorale di collegio costituirebbe paradossalmente un disincentivo a conseguire i voti di preferenza; infatti proprio il successo nel conseguimento di voti di preferenza da parte di un candidato potrebbe determinare la proclamazione del capolista dello stesso collegio e quindi la mancata elezione di quel candidato. Pag. 10
  Punto 10. Al Senato mancano del tutto norme per l'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza e quindi bisogna introdurle. Quanto a quelle previste per la Camera, segnalo che la previsione di due candidati supplenti per ciascun sesso potrebbe rivelarsi insufficiente qualora ad esempio si verificasse, dopo la presentazione delle liste, il ritiro di tre o più candidati dello stesso sesso.
  Ricordo che il mancato rispetto delle norme per l'equilibrio della rappresentanza determina l'inammissibilità della lista e inoltre l'intreccio tra le diverse norme relative ai tre distinti requisiti previsti potrebbe comportare problemi anche interpretativi di non semplice soluzione nella composizione delle liste. Sarebbe quindi opportuno prevedere quantomeno che gli uffici elettorali, d'intesa con i delegati di lista, abbiano un maggior margine di operatività rispetto a quanto già previsto dall'articolo 22 del Testo Unico della Camera nella modifica della composizione delle liste, al fine del rispetto dei requisiti di genere, prima che essi debbano disporre l'esclusione di una lista dalla competizione elettorale.
  Punto 11. La Corte affronta la questione in modo esplicito, esprimendosi per la compatibilità di un sistema basato su collegi uninominali maggioritari con la propria giurisprudenza. Possono essere diverse ovviamente le valutazioni sul piano dell'opportunità politica.
  Punto 12. La questione non è affrontata dalla Corte, anche se essa considera l'eguaglianza del voto in uscita come parametro solo per sistemi proporzionali. Va valutata con molta cautela l'ipotesi di sovrapporre l'attribuzione di un premio di maggioranza o governabilità ad un sistema già basato su collegi uninominali maggioritari.
  Punto 13. Per quanto riguarda la circoscrizione Trentino-Alto Adige e Südtirol, occorre considerare che un sistema basato sui collegi nominali permane per l'elezione del Senato, e viene pertanto a cadere la ragione (il superamento del bicameralismo paritario) che aveva indotto il legislatore ad introdurre un sistema basato sui collegi nominali per la Camera, ai fini del rispetto della misura 111 del cosiddetto «pacchetto» a favore delle popolazioni altoatesine, concordato con l'Austria, misura il cui tenore letterale e le cui implicazioni andrebbero comunque valutati in modo più approfondito.
  Sarebbe opportuno un ripensamento di questa scelta, prevedendo anche per il Trentino-Alto Adige e Südtirol un sistema basato su uno o due collegi plurinominali, anche perché la soglia del 3 per cento e la soglia del 40 per cento del premio è calcolata anche sui voti di questa regione, quindi bisogna fare molta attenzione.
  Punto 14. L'aspetto da considerare è soprattutto quello dello spoglio della verbalizzazione, che, anziché essere effettuato scheda per scheda, viene troppo spesso effettuato con la procedura cosiddetta «per mucchietti». Al riguardo occorre prevedere controlli e sanzioni più specifici e adeguati, a maggior ragione in presenza del voto di preferenza. Grazie.

  ALESSANDRO CHIARAMONTE, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli Studi di Firenze. Buongiorno a tutti. A me pare di dover dire che la normativa elettorale vigente, così come risultante dalle sentenze n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017 della Corte Costituzionale, presenta non solo i caratteri ormai ben noti di una significativa disomogeneità tra i sistemi di Camera e Senato, ma anche quelli che definirei di una rilevante schizofrenia tra i princìpi di governabilità e di rappresentatività, ed è su questa schizofrenia e sui possibili modi di attenuarla o eliminarla che vorrei qui intrattenermi e attirare la vostra attenzione.
  Si tratta peraltro di una questione che intreccia molti dei quesiti che la Commissione ha presentato alla nostra attenzione. Attualmente il sistema della Camera si configura in entrata come un sistema elettorale misto, ma in uscita nella sua concreta applicazione può produrre due esiti profondamente diversi e per così dire opposti: un esito decisamente maggioritario qualora scatti il premio di maggioranza, ovvero un esito sostanzialmente proporzionale (decisamente proporzionale vorrei dire) qualora il premio non scatti. Pag. 11
  Se la ratio di questo sistema può apparire comprensibile alla luce della sentenza n. 1 del 2014, che ha espressamente condizionato l'attribuzione di un premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia ragionevole, non di meno colpisce lo scarto tra i possibili esiti che dalla sua applicazione possono derivare, ed è proprio questo scarto a mio avviso a rendere il sistema schizofrenico.
  Del resto, anche il sistema elettorale del Senato presenta un elemento di contraddizione, nella misura in cui si configura in entrata come un sistema esclusivamente proporzionale e dall'altro è in uscita in grado di generare livelli di sovra e di sotto-rappresentazione dei partiti, paragonabili a quelli dei sistemi maggioritari per via della ripartizione regionale dei seggi, ma soprattutto per via di soglie di sbarramento particolarmente severe nei confronti delle liste non coalizzate.
  A me pare che quando ci si muove nel solco dei sistemi elettorali misti, che quindi combinano elementi maggioritari ed elementi proporzionali, si debba raggiungere un compromesso accettabile tra i princìpi di governabilità e di rappresentatività, evitando di incorrere nella schizofrenia di cui ho sin qui detto e dunque di eccedere nell'uno o nell'altro senso.
  Ovviamente questo obiettivo può essere conseguito attraverso l'adozione di sistemi elettorali misti di vario genere, tra i quali possono senz'altro essere annoverati quelli che si ispirano alla legge Mattarella del 1993 (mi pare che ci siano molti progetti di legge che si muovono in questa direzione e che sono attualmente depositati alla Camera), così come sistemi che prevedono l'attribuzione di un premio fisso di seggi alla lista o alla coalizione di liste con il maggior numero di voti (anche in questo senso ho visto che ci sono progetti di legge depositati).
  Il medesimo obiettivo, quello di un equilibrio ragionevole fra i princìpi di governabilità e di rappresentatività, si può raggiungerlo anche rimanendo all'interno del modello di sistema elettorale che abbiamo ora alla Camera, però con opportuni aggiustamenti.
  Tali aggiustamenti devono far sì che, qualora non scatti il premio di maggioranza, il sistema non risulti troppo sbilanciato sul versante della rappresentatività a scapito di quello della governabilità, come sarebbe invece nel caso in cui non si provvedesse ad alcuna modifica.
  In altri termini, occorre rendere il sistema sottostante al premio di maggioranza più selettivo e disproporzionale di quanto sia ora, nella convinzione che, se la governabilità non può essere assicurata da uno strumento forte come il premio di maggioranza, possa almeno essere resa più probabile attraverso accorgimenti che riducano la frammentazione partitica e in prospettiva quindi la frammentazione della maggioranza parlamentare.
  A tal fine è necessario agire sia sulla soglia di accesso alla rappresentanza, sia sull'ambito della ripartizione dei seggi. La prima di queste due misure, che potrebbe portare all'innalzamento della soglia dal 3 per cento attuale al 4 o anche al 5 per cento (ovviamente fatta salva una previsione specifica per i partiti rappresentativi di minoranze linguistiche), è volta al contenimento della frammentazione partitica.
  La seconda delle due misure, che comporterebbe lo spostamento della ripartizione dei seggi dal livello nazionale a quello regionale o meglio ancora subregionale, sarebbe volta a generare una relativa sovrarappresentazione dei partiti medio-grandi. Come è noto, infatti, minore è il numero dei seggi in palio che sono assegnati alle liste (e così è, se si adottano circoscrizioni piccole entro cui distribuirli), maggiore è la disproporzionalità che ne deriva.
  A questo ultimo proposito va sottolineato che l'adozione di circoscrizioni coincidenti con le regioni non appare di per sé una modifica sufficiente a conseguire l'obiettivo di cui ho appena detto, perché la dimensione delle circoscrizioni sarebbe in media comunque molto alta, pari a oltre 32 seggi, e anche con una varianza interna estremamente elevata, così come l'adozione di circoscrizioni coincidenti con gli attuali 100 collegi previsti dall’Italicum appare non percorribile, perché in questo caso la dimensione Pag. 12 media sarebbe di poco superiore a 6 e certamente foriera di una eccessiva disproporzionalità; forse sarebbe quindi auspicabile una via di mezzo, quindi l'adozione di circoscrizioni di media grandezza, con una dimensione compresa tra 12 e 15 seggi ciascuna, rispettose ovviamente dei confini regionali e definite in base ad aggregazioni territoriali ad esempio degli stessi collegi attualmente previsti nel sistema della Camera.
  Per concludere, rispetto allo schema appena delineato solo due considerazioni aggiuntive. La prima è che non sarebbe difficile individuare soluzioni tecniche volte a coniugare l'attribuzione eventuale di un premio di maggioranza nazionale, assegnato cioè alla lista o alla coalizione di liste con il maggior numero di voti a livello nazionale con un procedimento di assegnazione dei seggi ai partiti, previsto appunto in via normale nelle singole circoscrizioni e non a livello nazionale.
  La seconda considerazione è che siffatto sistema elettorale dovrebbe e potrebbe essere esteso al Senato, così da soddisfare l'obiettivo dell'armonizzazione. A tal fine, come è noto, si dovrebbe superare l'interpretazione restrittiva che sin qui è stata data dell'articolo 57 della Costituzione, laddove si dice che il Senato è eletto a base regionale; non sono un costituzionalista però mi pare che ci sia un filone sempre più crescente nella dottrina costituzionalistica che concede che si possa provvedere a una significativa riformulazione di questo aspetto dell'elezione su base regionale.
  Si può quindi innestare un premio di maggioranza nazionale, ma distribuito regionalmente, e anche una soglia di sbarramento anch'essa nazionale, che in questo caso sarebbe di pari entità a quella della Camera, su un procedimento di ripartizione dei seggi che ha luogo appunto a livello regionale o subregionale, rendendo così i sistemi elettorali di Camera e Senato quanto più simili tra loro e oltre a ciò ben bilanciati in termini di governabilità e rappresentatività. Grazie.

  SALVATORE CURRERI, Associato di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna «Kore». Grazie, presidente, io mi scuso in anticipo se alcune mie affermazioni sembreranno tranchant e rinvio in questo senso al testo scritto che ho provveduto già a inviare alla Commissione.
  Anch'io mi atterrò ai quesiti che sono stati formulati, mi sono soltanto permesso di raggruppare alcune questioni che mi sono sembrate abbastanza simili. Per questo il mio intervento toccherà sostanzialmente tre punti: le modifiche eventuali alla legge elettorale alla Camera, quelle alla legge elettorale al Senato, e, seguendo una sorta di logica di cerchi concentrici, la possibilità di varare nuove leggi elettorali completamente diverse rispetto all'attuale.
  Inizio con le modifiche alla legge elettorale della Camera. La prima questione sottoposta riguarda la possibilità di un'eventuale soglia per l'accesso al premio diversa, quindi presumibilmente inferiore rispetto all'attuale. Ovviamente la Corte costituzionale nella sentenza n. 35 del 2017 non ha fissato la soglia al di sotto della quale il premio sarebbe sproporzionato, perché alla Corte spetta dire ciò che è incostituzionale, non dire ciò che è costituzionale, quindi la Corte sotto questo profilo non poteva dare indicazioni univoche, però ci sono due affermazioni nella sentenza che secondo me andrebbero valorizzate.
  Innanzitutto la Corte ci dice che il 40 per cento non è una soglia irragionevole e poi in secondo luogo implicitamente non dice che il 40 per cento è la soglia minima al di sotto della quale non si può andare, quindi io ritengo che si possa anche pensare, così come d'altra parte era previsto inizialmente nel progetto di legge, di poter marginalmente ridurre questa soglia, senza per questo temere di incappare in censure di incostituzionalità, tenendo presente che il range del 14 per cento potrebbe comunque essere mantenuto, riducendo contemporaneamente la soglia dei voti e la soglia dei seggi, quindi si potrebbe anche pensare un 39 per cento che dà il 53 e il 38 per cento che dà il 52.
  È chiaro che un'operazione di questo genere però potrebbe esporsi all'obiezione in base alla quale un premio di maggioranza Pag. 13 così minimo di appena 320 deputati alla Camera sarebbe ragionevole. Questa considerazione mi offre il destro per passare al secondo problema, se cioè sia possibile non un premio di maggioranza, ma un premio alla maggioranza, impropriamente detto premio di governabilità (dico impropriamente perché in realtà nella sentenza della Corte quest'espressione di governabilità viene utilizzata a favore delle liste che hanno già ottenuto il 50 per cento). Il problema ovviamente è capire se il premio è costituzionale soltanto se diretto ad assicurare, non soltanto a favorire la maggioranza. Io credo che tra paradiso e inferno ci possa essere anche un purgatorio, quindi ci possano anche essere soluzioni intermedie, quello a cui però bisogna prestare attenzione è non stabilire in maniera fissa il premio, perché evidentemente questa determinazione fissa potrebbe esporsi al rischio di un'eccessiva disproporzionalità. Pensiamo ad una lista che ha ottenuto appena 200 seggi a cui se ne attribuiscono 90-100; lì si potrebbe incappare in una censura di incostituzionalità perché la Corte ci dice che è assolutamente irragionevole una misura che prevederebbe un più che raddoppio dei seggi in base ai voti ottenuti, quindi secondo me si dovrebbe correlare il premio alla percentuale di seggi ottenuti e non in maniera fissa.
  Terza questione, la possibilità di introdurre correzioni al turno di ballottaggio. Si è detto che la Corte ha colpito al cuore la legge dell’Italicum. La Corte in realtà non ci dice nella sentenza che il ballottaggio è incostituzionale di per sé, né tantomeno ci dice che questo ballottaggio è incostituzionale perché il sistema è rimasto bicamerale (questo la Corte non lo dice e sotto questo profilo non si dovrebbe far dire alla Corte quello che non ha detto), piuttosto la Corte ci dice che il ballottaggio è incostituzionale per come concretamente disciplinato, e sotto questo profilo nemmeno tanto velatamente ci indica alcune soluzioni che potrebbero introdursi: ovviamente la percentuale minima di voti per poter accedere al secondo turno di ballottaggio, la possibilità di un premio non alla lista, ma alla coalizione, la possibilità di apparentamento tra il primo e il secondo turno, e, molto importante secondo me, la possibilità di spezzare il legame che unisce il primo e il secondo turno.
  La Corte afferma infatti molto chiaramente che il secondo turno non è altro che la prosecuzione del primo, e fonda questa affermazione sul fatto che alla lista seconda arrivata i seggi vengono comunque attribuiti sulla base del risultato del primo turno. Si potrebbe spezzare questo legame (qui raccolgo la sollecitazione del collega Sbailò) prevedendo un premio alla seconda lista perdente al ballottaggio, un premio che andrebbe a evitare la frammentazione dell'opposizione politica. Certamente la Corte non dice (questa è una valutazione esclusivamente politica) che il secondo turno del ballottaggio debba essere valido se partecipa ad esso la maggioranza degli aventi diritto al voto.
  Terza questione, la possibilità di un premio in entrambe le Camere se attribuito alle stesse liste o alle coalizioni. La Corte, come è stato già ricordato, invita il legislatore ad armonizzare i due sistemi elettorali, anche se la Corte sotto questo profilo, secondo me, non impone un obiettivo del genere, e non può imporlo in un sistema costituzionale in cui ci sono delle diversità strutturali insuperabili, che fanno sì che la Camera sia diversa dal Senato sia per quanto riguarda l'elettorato che per quanto riguarda la base elettorale. Questo fa sì che, qualunque sforzo si faccia per omogeneizzare, ci sono delle difficoltà secondo me insuperabili. L'offerta politica stessa tra le due Camere presumibilmente sarà diversa, perché, come tutti sanno, abbiamo coalizioni al Senato e invece liste o eventualmente liste di coalizione alla Camera, quindi andrebbe evidenziata l'esigenza di apposite dichiarazioni di collegamento che consentano eventualmente l'attribuzione del premio in entrambe le Camere.
  Qui c'è un problema costituzionale serio, perché far dipendere il risultato del Senato da quello della Camera, e quindi sostanzialmente affermare che il premio di maggioranza al Senato scatta se è aggiudicato alla stessa lista o alle stesse coalizioni di liste alla Camera, secondo me viola l'articolo Pag. 14 58, primo comma della Costituzione, che prevede che il Senato debba essere eletto soltanto dai venticinquenni, invece noi in questa maniera facciamo in modo che gli elettori della Camera influenzino il risultato dell'elezione al Senato, e questa secondo me è un'obiezione seria, che potrebbe essere soltanto superata (ma ho molti dubbi) nel caso in cui la norma fosse formulata in modo tale che fosse il risultato della Camera a dipendere da quello del Senato e non viceversa.
  Problema dell'aggiudicazione dei seggi e quindi delle soglie di sbarramento. Mi pare che le soglie di sbarramento attuali rientrino, anche in un'ottica di diritto comparato, in un range assolutamente accettabile, quindi dal 3 al 5 per cento, d'altra parte la Corte ci dice che queste soglie possono essere utili per disincentivare la frammentazione politica. È chiaro che le soglie possono anche essere a mio avviso differenti, la Corte non fa alcun rilievo sotto questo profilo, piuttosto sappiamo che (ma forse non è questa la sede per svolgere questa considerazione) le soglie di accesso possono anche essere superate in uscita attraverso la normativa sui gruppi parlamentari, che consenta alle forze politiche che si aggregano in liste o coalizioni di liste di potersi a loro volta disaggregare. Non mi pare invece che meriti attenzione il problema degli slittamenti, perché la Corte con affermazioni abbastanza decise e definitive ritiene l'attuale normativa assolutamente compatibile di fronte a un fenomeno che è in qualche misura inevitabile.
  L'ultimo problema in merito alla legge elettorale della Camera riguarda le candidature, per quanto riguarda sia le candidature bloccate che le candidature plurime. Certamente, contro una certa retorica che vuole che il voto di preferenza sia l'unico modo di espressione del voto in democrazia, la Corte invece afferma che le candidature bloccate non sono di per sé incostituzionali, anzi contro la retorica demagogica dei nominati ci dice che è importante sotto questo profilo il ruolo dei partiti.
  Pone invece al legislatore il problema di trovare una soluzione che rimedi al tema dei pluri-eletti, ovviamente tenendo conto che la Corte afferma che la soluzione del sorteggio è soltanto rispettosa dell'autonomia del Parlamento. Le candidature plurime e quindi la possibilità di pluri-eletti e quindi di individuare il collegio di elezione del candidato eventualmente eletto in più collegi, in realtà ne sottende un'altra, cioè cosa è importante quando un candidato viene eletto, è importante il candidato capolista o è importante il risultato complessivo della lista in base anche alle preferenze ottenute?
  È chiaro che, se noi valorizziamo la prima possibilità e quindi diamo importanza al candidato capolista, è evidente che il candidato capolista deve essere obbligato a essere proclamato ed eletto nel collegio in cui la lista ha ottenuto la maggiore percentuale di voti; se invece all'opposto consideriamo importante l'apporto che i candidati con il voto di preferenza danno ai fini del risultato complessivo, tenendo altresì conto che, e a fronte di più collegi, le variazioni di liste capeggiate dallo stesso nominativo possono proprio dipendere dal diverso voto di preferenza, dobbiamo fare in modo che il candidato sia obbligato a scegliere nel collegio dove si sia ottenuta la peggiore percentuale, in modo tale da consentire l'elezione del candidato con il voto di preferenza che ha ottenuto più voti.
  Modifica della legge elettorale del Senato: certamente base regionale non soltanto è da intendere come sede di aggiudicazione, ma sede di distribuzione dei seggi, quindi possibilità di premio di maggioranza nazionale anche al Senato. Vanno estese le norme di rappresentanza di genere anche con riguardo alla normativa sul Senato. Possibilità di nuove leggi elettorali: ho dei dubbi sugli effetti iper-maggioritari previsti in alcune leggi, che «mixano» la logica maggioritaria con il premio di maggioranza, cosa che mi sembra un'eccessiva distorsione del principio di eguaglianza.
  Modifica per quanto riguarda le leggi elettorali: personalmente ho esperienza come presidente di seggio, ritengo che ci siano alcune misure forse banali, ma che vadano assolutamente introdotte per garantire il voto libero e segreto. Due di queste: urne Pag. 15trasparenti e cabine senza tendina, così da poter consentire al presidente di seggio di controllare l'effettiva personalità del voto. Grazie.

  MARIA ELISA D'AMICO, Ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Ringrazio il presidente e tutti i componenti della Commissione. Ho preparato un testo scritto che trasmetterò alla Commissione nei prossimi giorni. Nella preparazione del mio intervento mi sono coordinata con Stefania Leone con cui lavoro insieme, e quindi risponderemo alle domande preparate in modo leggermente diversificato per poter approfondire tutti i punti.
  Prima di rispondere ai singoli punti volevo però farli precedere da qualche considerazione di metodo sulla lettura della sentenza della Corte costituzionale, all'interno della quale poi si muovono e vanno considerati i numerosissimi progetti di legge che abbiamo esaminato.
  La Corte decide di entrare nel merito sulla linea della sentenza n. 1 del 2014, e la Corte ce lo dice in maniera chiara: l'esito di questa decisione è una normativa autoapplicativa. Quello che però mi sembra significativo sottolineare in questa sede è che c'è una vera e propria ossessione, a mio avviso, intesa in senso positivo nella pronuncia nel richiamo alla discrezionalità e allo spazio riservato al legislatore. Il legislatore quindi non solo può, ma dovrebbe intervenire, leggendo appunto la decisione della Corte costituzionale, e d'altra parte la Corte ce lo dice alla fine: ci dice che il sistema bicamerale paritario, che è il risultato della bocciatura del referendum costituzionale, se non impone, almeno esige una certa omogeneità, volta ad evitare il formarsi di maggioranze diverse.
  Secondo profilo: sicuramente la decisione della Corte costituzionale tiene anche conto del contesto storico, cioè del fatto che (abbiamo già parlato dell’Italicum) ragioniamo di una legge elettorale prevista per una Camera sola, che invece a questo punto deve essere valutata alla luce di un bicameralismo paritario, e questo secondo me incide anche sulla valutazione del ballottaggio, ma dirò dopo.
  È vero che la Corte, richiamando la sentenza n. 1 del 2014, evidenzia che in ogni sistema elettorale devono convivere in equilibrio l'esigenza della rappresentanza con quelle della governabilità, ma mi pare che rispetto alla sentenza n. 1 del 2014 si sottolinei il fatto che la prima finalità di ogni sistema elettorale, soprattutto in una forma di Governo parlamentare, sia quella della rappresentanza. Questo non vuol dire che non ci si debba preoccupare di introdurre sistemi coerenti, che assicurino la governabilità o almeno non siamo schizofrenici fin dall'inizio, come il Porcellum, ma come indicazione di metodo dovrebbe essere chiaro che partire dalla governabilità come valore assoluto è un rischio, quindi forse dovrebbe proprio essere escluso dalla valutazione del Parlamento oggi dei problemi di questa materia.
  In conclusione, a mio avviso – l'ho sempre pensato e scritto fin dall'introduzione del Mattarellum – il problema sono comunque i sistemi misti, in particolare quei sistemi che, come Porcellum e Italicum, innestano sulla scelta proporzionale premi o meccanismi distorsivi.
  Non sarebbe, quindi, un problema se questo Parlamento scegliesse modelli puri, ossia tornasse a un sistema maggioritario uninominale all'inglese – per rispondere anche alle domande 12 e 13 – a un maggioritario a doppio turno, a un proporzionale alla tedesca con una clausola di sbarramento, o anche al Mattarellum, sistema ampiamente sdoganato alla luce non solo della giurisprudenza costituzionale, ma anche della prassi.
  Altre soluzioni miste – mi sembra che siano la maggioranza dei progetti che la Commissione ha sottoposto al nostro esame – dovranno essere maneggiate con cura, come, del resto, si evince dai vostri quesiti, in cui c'è piena consapevolezza della cura che bisogna avere.
  Passando ai quesiti, non riuscirò a rispondere a tutti, ma, coordinandomi con Stefania Leone, dovremmo, più o meno, esaurire tutte le domande.
  Il primo quesito riguarda la possibilità di prevedere una diversa soglia rispetto al 40 per cento. In merito la Corte è chiara Pag. 16nel dire che «al cospetto della discrezionalità spettante in materia al legislatore sfugge, dunque, in linea di principio, al sindacato di legittimità costituzionale una valutazione sull'entità della soglia minima in concreto prescelta dal legislatore». Se la soglia non può essere ragionevolmente bassa, la Corte ci fornisce questa indicazione in cui la ragionevolezza viene commisurata con il criterio della proporzionalità.
  Il legislatore è sicuramente libero di prevedere soglie diverse, ma c'è un'indicazione molto chiara anche nella sentenza. Mi sembra che sia in quel passo in cui la Corte richiama il fatto che la soglia dell’Italicum è costituzionalmente legittima perché pari al 40 per cento dei voti validi. Dice la Corte: «e del resto progressivamente innalzata nel corso dei lavori parlamentari che hanno condotto all'approvazione della legge n. 52 del 2015». Senza voler far dire troppo alla decisione della Corte costituzionale, potremmo dedurre da questo inciso che per la Corte una non palesemente irragionevole soglia sarebbe quella che è pari o si avvicina al 40 per cento. Permettendomi un azzardo, direi almeno dal 37 per cento in su.
  Il secondo punto, che riguarda anche alcuni progetti di legge, concerne la possibilità dell'attribuzione del premio di maggioranza sia alla Camera, sia al Senato e le previsioni per cui eventuali risultati diversi, o l'attribuzione del premio in una sola Camera, oppure l'attribuzione del premio diversamente a due liste o a due coalizioni diverse – bisognerà capire come verrà congegnato ciò alla Camera o al Senato – possano non far scattare il premio.
  In questi progetti di legge è sicuramente pregevole l'obiettivo che non ci sia uno squilibrio, ossia che, attribuendo questo premio a entrambe le Camere, non si possa poi avere un effetto squilibrato, un effetto simile a quello che si era verificato nell'attribuire il premio su base nazionale e regionale nel Porcellum. Ci si pone, dunque, questo problema. Mi chiedo, però, se questa regola, cioè il fatto che non scatti il premio non solo quando si attribuisce a due liste o coalizioni diverse, ma soprattutto quando venga attribuito in una Camera e non nell'altra, non sia un po’ eccessiva. Mi domando, cioè, se non sia un eccessivo condizionamento e, quindi, se non si possa pensare a una violazione del principio della libertà di voto degli elettori e del peso del voto degli elettori, da una parte, e dell'autonomia stessa delle Camere, dall'altra.
  Oltretutto, teniamo presente che le due Camere hanno un elettorato diverso e che il suffragio universale pieno, se vogliamo, l'avrebbe la Camera dei deputati, cioè quella Camera in cui votano tutti gli elettori maggiorenni.
  Fermo restando che, a mio avviso, bisognerebbe pensare comunque, fra le riforme effettivamente da fare, a parificare il voto in entrambe le Camere, cioè a togliere la differenza fra i 18 e i 25 anni almeno nell'elettorato attivo, credo che bisognerebbe riflettere con attenzione su eventuali profili di incostituzionalità di una soluzione di questo tipo.
  Come terzo profilo ci si chiede di ragionare sulla compatibilità con la Costituzione di configurazioni di premi che consentano di aggiungere dei seggi a partiti che raggiungano una determinata percentuale, più o meno alta, in maniera tale che si possa attribuire qualcosa in più a un partito per rafforzarlo senza fargli raggiungere la maggioranza.
  Intanto premetto che personalmente, partendo dalla pericolosità in generale dei sistemi misti in materia elettorale, bisognerebbe fare attenzione anche a sistemi troppo complicati. Questo mi sembra un po’ complicato. Soprattutto qui si parte dalla paura di una distorsione eccessiva, ma si rischia di creare, a mio avviso, un sistema irragionevole.
  Fra le soluzioni che si potrebbero immaginare, piuttosto che rincorrere premi interni in cui non si raggiunga la maggioranza, meglio sarebbe, a questo punto, in un sistema che abbia comunque una radice proporzionale, immaginare una soglia di sbarramento alla tedesca e cercare di semplificare in quel senso la questione.
  Con riguardo al quarto profilo – questo è già stato detto – la giurisprudenza della Corte rende ormai chiaro che si potrebbe Pag. 17tranquillamente attribuire un premio al Senato su base nazionale. Per la base regionale la sentenza n. 1 del 2014 dice che si è trattato sostanzialmente di un errore di valutazione da parte del legislatore su una necessaria corrispondenza tra articolo 57 della Costituzione e necessarietà del premio a livello regionale.
  Il quinto punto riguarda il ballottaggio. In merito è necessario fare un ragionamento che deve tenere conto sia della valutazione che la Corte fa sul ballottaggio in sé, sia di un eventuale ballottaggio non pensato su una Camera sola, ma su due Camere.
  Intanto, se si guarda la motivazione della sentenza n. 35 del 2017, risulta chiaro che la censura non sia ricaduta in sé sul sistema di ballottaggio in generale, ma sul sistema di ballottaggio per come è disciplinato dalla legge n. 52 del 2016. La Corte ce lo dice in modo chiarissimo: «Non è il turno di ballottaggio tra liste in sé, in astratto considerato, a risultare costituzionalmente illegittimo perché in radice incompatibile con i princìpi costituzionali evocati [...] Così sono, invece, le specifiche disposizioni della legge n. 52 del 2015, per il modo in cui hanno concretamente disciplinato tale turno in relazione all'elezione della Camera dei deputati».
  La Corte ci dice che questo ballottaggio, il secondo turno, è stato inteso come prosecuzione del primo. Non sono stati previsti apparentamenti fra le liste, ragion per cui, alla fine, questo ballottaggio si risolve in una radicale riduzione dell'offerta politica.
  Noi potremmo dire, a contrario, che astrattamente un ballottaggio che preveda una soglia di voti minimi necessari perché la lista partecipi al secondo turno, che consenta apparentamenti e non riduca, pertanto, a due la competizione al secondo turno e che concepisca il ballottaggio come nuova consultazione potrebbe essere astrattamente ammesso alla luce della giurisprudenza costituzionale.
  Ci si deve domandare, però, se oggi sia concepibile un turno di ballottaggio in un sistema bicamerale perfetto in cui eventualmente, all'esito diverso del ballottaggio per una Camera e per l'altra, il ballottaggio non dovrebbe aver alcun effetto, ragion per cui i cittadini sarebbero stati chiamati una seconda volta per un voto sostanzialmente inutile.
  In relazione alla domanda 7 sulle ragionevoli soglie di sbarramento, la Corte rinvia alla discrezionalità del legislatore e, anzi, valorizza eventualmente la possibilità che la soglia di sbarramento ci conduca a un'opposizione non eccessivamente frammentata.
  Ancora è da sottolineare – è stato già fatto – che l'ipotesi di candidature bloccate in sé e di un eventuale sistema in cui ci possano essere candidature bloccate, oltre a quella dei capilista, la Corte la valorizza alla luce dell'articolo 49 della Costituzione.

  CARLO DEODATO, Consigliere di Stato, esperto della materia. Volevo precisare che sono un presidente di sezione del Consiglio di Stato. Questa osservazione mi impone un chiarimento preliminare, che vorrei restasse agli atti. È proprio la mia qualità di magistrato che mi costringe a fare questa precisazione, superflua ma necessaria, a differenza degli altri esperti, che non hanno questo problema. Ovviamente, io intervengo solo a titolo personale. Le mie osservazioni non impegnano né il Consiglio di Stato, né altri.
  Anch'io mi riservo di consegnare una nota scritta, che trasmetterò nei prossimi giorni alla segreteria della Commissione. Articolerò il mio intervento, più o meno, sulla falsariga di ciò che ha detto la professoressa D'Amico, con la quale non ci siamo messi d'accordo. Più o meno, però, l'organizzazione dell'intervento è simile.
  Credo che sia opportuna una premessa di metodo sull'analisi dei quesiti che ci sono stati trasmessi preventivamente e la cui trasmissione è stata molto apprezzata, perché molto opportuna. Dalla lettura del questionario, infatti, rilevo una preoccupazione dei deputati e della Commissione di acquisire rassicurazioni sulla compatibilità costituzionale delle ipotesi di correzione e di modifica alle leggi elettorali che sono residuate da due sentenze della Corte costituzionale. Pag. 18
  È una preoccupazione assolutamente comprensibile e legittima, visto che due leggi elettorali sono state consecutivamente «bocciate» dalla Corte costituzionale. Mi sembra, dunque, necessaria una riflessione preliminare di metodo sui criteri evincibili dalla lettura delle due sentenze, la n. 1 del 2014 e la n. 35 del 2017, come altri esperti hanno già rilevato.
  Mi sembra opportuno premettere questa osservazione sulla ripetizione ossessiva, come ha detto la professoressa D'Amico, che mi trova d'accordo, della Corte costituzionale dell'uso della parola «discrezionalità» – qualcuno si è divertito a contare le volte in cui la Corte l'ha usata; nell'ultima sentenza l'ha usata 24 volte – a significare la responsabilizzazione del Parlamento nella definizione di un sistema elettorale e l'ampiezza del margine di scelta politica sul sistema più appropriato.
  Allo stesso tempo, la Corte ha ribadito i limiti del suo sindacato di costituzionalità e ha chiarito che il suo scrutinio sulla compatibilità costituzionale delle leggi elettorali deve intendersi limitato ai soli casi in cui siano manifestamente e irragionevolmente violati i parametri di costituzionalità della rappresentatività e dell'uguaglianza del voto, ma non può estendersi fino all'esercizio di un'inappropriata funzione di supplenza all'inerzia o all'incapacità del Parlamento di definire un sistema elettorale coerente con quei princìpi.
  La Corte si è, quindi, limitata in entrambe le sentenze a rilevare l'incostituzionalità di effetti maggioritari chiaramente e manifestamente distorsivi, ma non è intervenuta oltre nell'indicare le soluzioni, che restano riservate alla discrezionalità del Parlamento.
  Nell'ultima sentenza mi sembrano interessanti tre affermazioni, che ritengo utile riportare. La prima è che la legge elettorale è destinata in via primaria e prioritaria ad assicurare il valore costituzionale della rappresentatività. Questo paradigma costituisce il primo criterio di esame della compatibilità costituzionale del sistema elettorale.
  La Corte dice un'altra cosa piuttosto innovativa, che, secondo me, non va affatto trascurata. Attribuisce rilievo costituzionale – questa è una novità – agli obiettivi della stabilità del Governo e della rapidità del processo decisionale. Questi criteri, secondo la Corte, entrano come parametri nella valutazione sottesa al giudizio di costituzionalità della legge elettorale, al pari del criterio della rappresentatività e dell'uguaglianza del voto, rispetto al quale sono complementari.
  Da ultimo, la Corte conclude la sua motivazione con il monito formulato al punto 15.2 della motivazione medesima, alla fine della parte motiva della sentenza, che rivolge al Parlamento e che è imposto dall'esito del referendum del 4 dicembre, che ha confermato la struttura paritaria del bicameralismo italiano. Il monito è a definire sistemi elettorali per Camera e Senato che non ostacolino la formazione di maggioranze parlamentari omogenee.
  Da queste affermazioni si ricavano alcuni parametri sufficientemente affidabili e stabili per orientare il Parlamento nella scelta di una legge elettorale che superi il test di costituzionalità. Innanzitutto la Corte – mi sembra chiaro – ritiene inadeguate le due leggi elettorali vigenti. Ribadisce che sono utilizzabili e servibili all'occorrenza, ma si intuisce chiaramente che le ritiene inappropriate a garantire un corretto funzionamento del sistema istituzionale, con la conseguenza che il Parlamento, a mio avviso, deve intervenire. Non «può», ma «deve» intervenire. Non può, d'altra parte, rischiare la terza bocciatura consecutiva da parte della Corte costituzionale.
  Si tratta, quindi, di un sentiero stretto, ma che va percorso necessariamente e che può essere percorso senza rischi eccessivi se si esaminano attentamente e si leggono bene le motivazioni delle due sentenze e si evitano strappi chiaramente violativi dei princìpi affermati in quelle due sentenze.
  In particolare, a me sembra del tutto importante e non trascurabile il rilievo costituzionale che la Corte ha inteso attribuire alla governabilità e alla rapidità del processo decisionale. Si tratta di due obiettivi, a cui la Corte ha riconosciuto rilevanza costituzionale, che sono stati criticati da alcuni commentatori perché non hanno Pag. 19una chiara base positiva in una norma costituzionale. A differenza di quelli della rappresentatività e dell'uguaglianza del voto, che hanno un fondamento positivo nella Costituzione, questi due sono ricavati dalla Corte dall'esame complessivo del sistema istituzionale e sono assolutamente ragionevoli.
  In ogni caso, essendo stati enunciati dalla Corte come obiettivi di rilevanza costituzionale, credo non si possano trascurare. Secondo me, il Parlamento non può ignorare la rilevanza di questi due parametri, che legittimano, se non impongono, correttivi maggioritari che in maniera ragionevole e proporzionata consentano la formazione di maggioranze stabili e il funzionamento del Governo.
  Fatta questa premessa, in estrema sintesi, cerco di rispondere ai quesiti, rinviando poi al testo scritto.
  Sulla diversa soglia per l'accesso al premio è stato già rilevato da molti esperti che l'argomentazione contenuta nella motivazione secondo cui il 40 per cento sarebbe una soglia ragionevole che è stata raggiunta con un progressivo innalzamento della soglia originariamente prevista nel corso dell’iter dell'esame del disegno di legge elettorale che ha dato luogo all'approvazione del cosiddetto Italicum consente di ritenere un'implicita indicazione di quella soglia come inderogabile.
  Forse è eccessivo dire che in quella formulazione la Corte abbia inteso escludere la costituzionalità di soglie più basse, ma credo che possano ritenersi costituzionalmente compatibili soglie solo di poco inferiori al 40 per cento (azzardo a dire il 38 per cento), mentre soglie inferiori al 38 per cento credo siano difficilmente idonee a superare il test di proporzionalità. È difficile, ovviamente, su parametri così indeterminati stabilire soglie sicure, ma credo che, per esempio, il 35 per cento non supererebbe il vaglio di costituzionalità.
  Quanto alla proposta della modifica che imponga di raggiungere il 40 per cento in entrambi i rami del Parlamento – evidentemente parliamo de iure condendo, perché de iure condito non è così – credo che, ancorché non sia ricavabile un vincolo nella sentenza della Corte a estendere il meccanismo del premio anche al Senato, sarebbe coerente con il monito, a due condizioni, però: che il premio sia stato conseguito in entrambi i rami del Parlamento e che scatti solo se lo vince la stessa lista, altrimenti si contraddice il monito della Corte sulla formazione di maggioranze omogenee.
  Sul premio di governabilità non mi convince l'obiezione secondo cui il premio si giustifica solo se attribuisce la maggioranza dei seggi. Al contrario, il premio di governabilità, secondo me, se strutturato in maniera ragionevole, riesce a coniugare le due esigenze, quella della governabilità e quella della rappresentatività. Ovviamente, deve essere un premio contenuto e deve essere strutturato con il previo accantonamento del numero di seggi predefinito, che credo possa essere indicato ragionevolmente in 60 seggi alla Camera e 30 al Senato e comunque in misura non superiore al 10 per cento dei seggi oggetto della competizione elettorale.
  Quanto all'attribuzione del premio al Senato su base regionale, mi sembra corretto il rinvio alla sentenza n. 1 del 2014, che ha escluso la compatibilità costituzionale del premio assegnato su base regionale, perché produrrebbe effetti distorsivi e paralizzanti per la formazione del Governo, con la conseguenza che il premio al Senato dovrebbe essere attribuito su base nazionale, con la ripartizione regionale dei seggi che vengono attribuiti sulla base del premio in ossequio all'articolo 57, primo comma, della Costituzione, che impone l'elezione su base regionale.
  Vado rapidamente a commentare gli altri quesiti. Sullo slittamento mi sembrano del tutto appropriate le osservazioni della Corte costituzionale in merito alla compatibilità della traslazione del seggio da una persona un'altra.
  Il problema della soglia di sbarramento mi sembra assolutamente rimesso alla discrezionalità del Parlamento e la definizione di una soglia contenuta mi pare ragionevole, oltre che coerente con l'esigenza di evitare un'eccessiva frammentazione del sistema partitico. Direi che una misura accettabile è quella non superiore al 5 per Pag. 20cento, così come mi sembra ragionevole la differenziazione delle soglie fra liste coalizzate e non coalizzate, posto che l'attribuzione di una soglia più alta per una lista non coalizzata si giustifica con l'esigenza di favorire le aggregazioni e la semplificazione del sistema partitico.
  Sulle candidature bloccate la Corte non offre parametri sicuri, ma direi che si possa ritenere compatibile con la Costituzione un sistema che prevede circoscrizioni piccole e liste corte, con la piena conoscibilità dei candidati. Al contrario, è incostituzionale un sistema con liste lunghe e interamente bloccate.
  Sulle pluricandidature sono ragionevoli entrambe le soluzioni offerte dalla Corte costituzionale. Entrambe sono migliori del sorteggio, che ovviamente è un criterio casuale, che non risponde ad alcuna logica.
  Sulla rappresentanza di genere mi sembra corretto il rilievo per cui al Senato dovrebbe essere prevista la stessa misura prevista per la legge elettorale della Camera.
  Sui collegi uninominali non vedo alcuna controindicazione, anzi, mi sembra un sistema assolutamente coerente con il dictum della Corte costituzionale. Sulla correzione del sistema uninominale con premi di maggioranza o di governabilità osservo che i premi sono compatibili giuridicamente e logicamente con sistemi proporzionali e non con sistemi maggioritari.
  Pertanto, un sistema misto di collegi più attribuzione di premi di maggioranza mi sembra impropria sotto il profilo della coerenza intrinseca della legge elettorale, fermo restando che non c'è alcun ostacolo nelle due sentenze della Corte costituzionale a prevedere un sistema misto che riservi alcuni seggi, seppure in un sistema per collegi uninominali, da attribuire con un premio di maggioranza o di governabilità.
  Per le altre questioni rinvio al testo scritto.

  STEFANIA LEONE, Ricercatrice in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Grazie, presidente. Ringrazio tutti i membri della Commissione per l'onore che mi hanno fatto convocandomi. Mi soffermerò in questo intervento solo su uno dei profili toccati dalle tracce sottoposte dalla Commissione, a partire da una riflessione svolta in comune con la professoressa D'Amico. In particolare, mi soffermerò, con alcune considerazioni, sull'obiettivo del riequilibrio di genere nell'ambito delle Assemblee rappresentative.
  In realtà, la richiesta di approfondimento posta dalla Commissione si appunta su un aspetto circoscritto, perché si chiede un approfondimento relativo a questo tema con riferimento al complesso delle candidature e alle misure che insistono sul complesso delle candidature. Si tratta, quindi, di un quesito piuttosto circoscritto. Ci arrivo, ma vorrei prima partire da considerazioni di carattere più generale che ritengo indispensabile fare.
  Vorrei partire dalla constatazione che, allo stato – è stato già ben sottolineato – ci troviamo con una legge, quella che regola le elezioni della Camera dei deputati, che da questo punto di vista appronta un impianto di norme antidiscriminatorie che apprestano una tutela molto avanzata della parità di genere.
  Si tratta di un sistema articolato. Lo ricordo brevemente. C'è una norma che impone l'alternanza di genere all'interno della lista, c'è una norma che insiste sul complesso delle candidature circoscrizionali, imponendo il rapporto 50-50, e c'è una norma che insiste sul complesso delle candidature dei capilista nell'ambito di ciascuna circoscrizione, imponendo, in questo caso, il rapporto 40-60, o meglio che non si superi il 60 per cento. Poi c'è il doppio voto di preferenza.
  Dall'altra parte, invece, al Senato abbiamo sostanzialmente l'assenza di norme antidiscriminatorie. Esiste, per vero, nell'ordinamento una norma generica, contenuta nel decreto-legge n. 149 del 2013, che ha abolito il finanziamento diretto ai partiti politici, assistita da una sanzione economica, che insiste, in particolare, sui finanziamenti indiretti derivanti dal 2 per mille e impone ai partiti politici in ciascuna competizione, per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo, di rispettare una determinata Pag. 21 proporzione nell'ambito del complesso delle candidature.
  Si tratta, però, di una misura assai timida. Quando è stato sperimentato, soprattutto a livello regionale, questo tipo di misure assistite da sanzioni economiche, non ha mai dato buona prova di sé. Tantomeno possiamo aspettarci che accada con riferimento all'elezione del Senato, soprattutto in considerazione della forte decurtazione di contributi diretti alle attività dei partiti politici. La sanzione economica risulterebbe del tutto inefficace da questo punto di vista.
  Si potrebbe – questo mi sembra un profilo interessante – provare a immaginare che allo stato attuale alcuni che rinvii del Testo unico per l'elezione del Senato a norme del Testo unico per l'elezione della Camera fanno sì che queste norme valgano anche per l'elezione del Senato della Repubblica. Mi riferisco ad alcune norme antidiscriminatorie previste per l'elezione della Camera e, in particolare, agli articoli 9 e 27 del Testo unico per l'elezione del Senato. L'uno rinvia alle norme che riguardano le modalità di composizione delle liste, l'altro alle modalità di esercizio del diritto di voto. Non si può, però, nascondere che si tratta di un percorso interpretativo piuttosto audace. Non è impossibile, ma piuttosto audace.
  Quanto alla composizione delle liste, ci sono senza dubbio alcuni problemi a trasportare alcune norme antidiscriminatorie dalla Camera al Senato, innanzitutto quella che insiste sui capilista, evidentemente, perché assenti al Senato. Aggiungo anche quella che prevede l'alternanza di genere, perché il Testo unico della Camera parla espressamente di collegi plurinominali, il che rende ciò impossibile. Forse si potrebbe ipotizzare, invece, di recuperare la norma che richiede il 50-50 nel complesso delle candidature circoscrizionali.
  Ancora, l'articolo 27 rinvia, invece, alle modalità di esercizio di voto. Potrebbe essere questo lo strumento attraverso il quale asserire già oggi operante anche per l'elezione del Senato della Repubblica il doppio voto di preferenza? Come dicevo, l'operazione interpretativa è sicuramente difficoltosa. Ricordiamoci, peraltro, che, all'esito della sentenza n. 1 del 2014, quando la Corte aveva dichiarato illegittime le norme sulle liste bloccate, aveva espressamente detto che residuava nell'ordinamento la regola della preferenza unica e aveva allora recuperato ciò dal principio che si ricavava dall'esito del referendum del 1991.
  Certo, la Corte si pronunciava in un momento nel quale ancora non esisteva la legge n. 52 del 2015. C'è, però, un altro profilo problematico senza dubbio: la scheda. In questo momento la scheda elettorale del Senato è impreparata a ospitare preferenze. Per vero, è impreparata anche a ospitarne una.
  Questa via interpretativa risulta non impossibile, ma particolarmente difficoltosa. Ci sentiremmo di invitare il Parlamento a non poggiarsi su questo tipo di interpretazione, ma ad assumersi la responsabilità di dare esplicita attuazione al principio di parità nell'ambito delle Assemblee rappresentative anche al Senato, perché in questo momento ci troviamo di fronte a un'asimmetrica attuazione del principio costituzionale che è del tutto inaccettabile.
  Andando al punto specifico toccato dai quesiti della Commissione che richiede un approfondimento sulle norme previste – immagino che sia questo il quesito – dall’Italicum che incidono sul complesso delle candidature, mi pare che l'aspetto più interessante riguardi la norma che impone il rispetto di una determinata proporzione di genere nel complesso delle candidature dei capilista nell'ambito di ciascuna circoscrizione.
  Perché? Perché, in effetti, il combinarsi di questa norma assieme a quella che consente le pluricandidature potrebbe produrre dei problemi, un'elusione della norma. È evidente che, se un partito candida o pluricandida una donna in più collegi o all'interno della stessa circoscrizione o in altre circoscrizioni, da un punto di vista formale la norma antidiscriminatoria è rispettata, ma da un punto di vista sostanziale l'elusione è dietro l'angolo. Nel momento in cui si determina il collegio di elezione, è evidente che sia alto e forte il rischio che i candidati che potenzialmente Pag. 22possono subentrare al seggio lasciato scoperto dal cambiato capolista siano uomini, nell'esempio che abbiamo fatto.
  Come risolvere questo problema? È complicato. Potremmo provare a immaginare di intervenire proprio sulle norme che determinano le modalità di individuazione del collegio di elezione. Al momento noi abbiamo, perché così residua dalla sentenza della Corte costituzionale, il criterio del sorteggio. Dovremmo immaginare un sorteggio ripetuto sino a che non si ristabilisca chiaramente – questo è molto difficile – la situazione di partenza voluta dal legislatore, o ci si riavvicini. Si tratta di un metodo inefficace.
  Oltretutto, spererei che il criterio del sorteggio, a prescindere dalle considerazioni sul riequilibrio di genere, venisse superato. È vero che la Corte costituzionale è costretta a individuare quello come criterio residuale, perché è l'unico previsto nell'ordinamento, ma è molto chiara e molto esplicita nell'affermare che, con la sua pronuncia, restituisce alla responsabilità del Parlamento l'individuazione di un criterio che essa stessa definisce più adeguato e conforme al diritto di voto.
  Se noi immaginiamo, tornando al tema che sto affrontando, che il legislatore opti per un criterio più conforme al diritto di voto, per esempio quello che compara in percentuale i voti ricevuti dai candidati che avrebbero la potenzialità di subentrare al capolista, vedrei ancora più problematica, in questo caso, una norma che tentasse di alterare il meccanismo per riequilibrare il genere. In questo caso, si andrebbe a insistere su una norma che ha la pretesa di dare attuazione proprio al diritto di voto e, quindi, all'espressione delle preferenze da parte degli elettori.
  In definitiva, come fare? Forse, anche se si basano su altre ragioni, proverei a guardare alle proposte di legge, alcune delle quali sono all'attenzione della Commissione, che prevedono un ripensamento o un ridimensionamento in sé dell'istituto della pluricandidatura. Ci sono proposte di legge che mirano a portare da dieci a tre il numero massimo di collegi nei quali i candidati capilista possono essere presentati. Sono assistite da altre ragioni, ma, in effetti, porterebbero con sé come ulteriore pregio, come ulteriore virtù, anche il fatto di ridurre il problema appena evidenziato.
  Concludo dicendo semplicemente che queste riflessioni, naturalmente, partono da un dato di partenza, ossia il sistema legislativo attualmente vigente: nessuna norma antidiscriminatoria al Senato e l’Italicum con le sue norme antidiscriminatorie. Una riflessione seria dovrebbe guardare anche ai possibili punti di arrivo e, quindi, alle possibilità che il Parlamento ha di scegliere altri sistemi elettorali.
  Naturalmente, non ho il tempo di soffermarmici, ma nel testo scritto rappresenteremo anche delle proposte di soluzioni. Quello che mi sembra importante dire, però, è che, qualsiasi sia il meccanismo elettorale che questo Parlamento sceglierà di adottare per Camera e Senato, mentre lo congegnerà, sarà fondamentale contestualmente pensare a introdurre – naturalmente, sarebbero diverse a seconda del modello elettorale prescelto – anche delle norme antidiscriminatorie attuative dell'articolo 51 della Costituzione.

  VINCENZO LIPPOLIS, Ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma. La professoressa D'Amico ha detto che sarebbe ragionevole poter far discendere la percentuale per il premio al 37 per cento. Il Presidente Deodato ha subito dopo detto che per lui non si può scendere sotto il 38 per cento. Questa situazione è emblematica di una difficoltà in cui si trova il legislatore a seguito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
  La Corte costituzionale, pur sottolineando la discrezionalità del legislatore in materia, fa ricorso a due criteri, che sono quelli della proporzionalità e della ragionevolezza, che sono molto elastici, se non addirittura ambigui in questa materia. In questo modo pone il legislatore in una condizione di grave difficoltà: che cosa è ragionevole, che cosa è proporzionale? Non lo sappiamo, non c'è un algoritmo. Dobbiamo applicare ragionevolezza in una materia in cui si parla di numeri. Qual è l'algoritmo che hanno in mente i 15 giudici Pag. 23– anzi, adesso sono 14 – della Corte costituzionale, o quelli che verranno? È una situazione un po’ complessa.
  Il comune buonsenso, senza andare troppo lontano, induce a pensare che, se non ci si allontana troppo dalla percentuale del 40 per cento, si rientri nei canoni richiesti dalla costituzionalità. In particolare ciò avverrebbe, se, diminuendo la soglia per il premio, si diminuisse corrispondentemente il premio, per esempio 38 e 52 per cento dei seggi.
  Io, però, vorrei porre una questione che mi pare rimanga nascosta. Che senso ha il premio per una sola Camera? Questa è la situazione attuale. È costituzionale il premio in una sola Camera? È una compressione della rappresentatività giustificata da un miglioramento della governabilità? Io avrei qualche dubbio, anche alla luce di un passaggio della sentenza della Corte costituzionale, la quale, rigettando un'eccezione del tribunale di Messina, che sosteneva che la differenza di soglie tra Camera e Senato pregiudica la formazione di maggioranze omogenee, dice che «l'eccezione non tiene conto di assai più rilevanti differenze riscontrabili tra i due sistemi elettorali, ad esempio un premio di maggioranza previsto solo dalla disciplina elettorale per la Camera».
  Sembrerebbe esserci qui un varco per ritenere incostituzionale questa disparità. Uno dei compiti del legislatore sarebbe quello di decidere se mettere un premio per le elezioni di tutte e due le Camere o togliere qualsiasi premio.
  Venendo al secondo quesito, ritengo che Camera e Senato siano dalla Costituzione configurate come Istituzioni autonome. Prima, però, vorrei dire una cosa riguardo al secondo quesito, perché si parla di liste o di coalizioni. Un altro punto importante, un elemento a cui il legislatore non si dovrebbe sottrarre, è stabilire se ci debbano essere solo le liste o solo le coalizioni. Non possiamo avere una legge elettorale per un ramo con le liste e una legge elettorale per l'altro ramo con le coalizioni.
  Detto questo, Camera e Senato sono dalla Costituzione configurate come Istituzioni autonome e distinte, tra l'altro con basi elettorali diverse. Si potrebbe sostenere, quindi, che non si può far discendere la composizione di un'Assemblea dall'esito del voto nell'altra. Tuttavia, una scelta nel senso indicato nella domanda, per cui il premio scatta condizionatamente alla maggioranza che si forma nelle due Camere, potrebbe essere ritenuta conforme all'invito della Corte nella parte finale della sentenza, quando si parla di un'armonizzazione delle due leggi elettorali.
  Riterrei ragionevole escludere il premio se esso dovesse essere assegnato a liste o coalizioni diverse, perché, in questo caso, si avrebbe una compressione della rappresentatività senza favorire la governabilità, anzi quasi sicuramente a suo danno.
  Più dubbio è il caso di una lista o coalizione che raggiunga la soglia del premio in una Camera e non nell'altra. In tale ipotesi assegnare il premio potrebbe favorire la governabilità, perché si può presumere che tale lista abbia anche nell'altra Camera una rappresentanza tale da consentirle di formare una coalizione.
  Il terzo quesito riguarda il cosiddetto «premietto». Dalla sentenza della Corte non si possono trarre indicazioni sulla costituzionalità di un tale tipo di premio. Quello che si può dire è che esso potrebbe essere considerato lesivo della rappresentatività senza fornire un contributo decisivo alla governabilità.
  Anche in questa ipotesi comunque si porrebbe poi il problema nel caso in cui ottenessero la maggioranza dei voti liste diverse nelle due Camere. Non vorrei che si arrivasse alla situazione di attribuire due premietti, uno alla Camera e uno al Senato, a liste diverse. In quel caso veramente la ragionevolezza su cui insiste la Corte sarebbe offesa.
  Per quanto concerne la questione della base regionale dell'elezione del Senato e dell'attribuzione del premio al Senato, voglio fare una precisazione. Io ho sempre pensato che la previsione di un premio nell'elezione del Senato attribuita alla lista più votata a livello nazionale non confliggesse con la Costituzione, a differenza di accademici che ritenevano assolutamente inderogabile questa questione nel 2005 e Pag. 24che oggi attribuiscono la responsabilità di quella scelta legislativa al povero Presidente Ciampi, quando loro avevano sostenuto questa tesi e oggi non la sostengono più. Non mi pare del tutto corretto.
  Ritengo che si possa attribuire un premio nazionale al Senato. L'importante è che i seggi vengano ripartiti su base regionale in proporzione ai voti ottenuti in ciascuna regione dalla lista che ha ottenuto il premio.
  L'altra domanda riguarda il ballottaggio. Per quanto la sentenza della Corte non ritenga il ballottaggio incostituzionale in sé, ma solo nella forma prevista dalla legge n. 52 del 2015, io ho un'opinione chiara – almeno per me – e radicale. Esso è, per sua natura, incompatibile con un bicameralismo paritario. La Corte non ha affrontato questo problema, forse perché non era posto nelle richieste e nelle eccezioni sollevate, ma è evidente che un bicameralismo paritario cambia completamente la prospettiva. Il ballottaggio era previsto per una sola Camera che dà la fiducia e che ha la prevalenza nel procedimento legislativo. Ritengo, quindi, irragionevole e irrazionale un sistema che possa dar luogo a due ballottaggi che potrebbero svolgersi con soggetti diversi e dare diversi vincitori.
  Per quanto riguarda lo slittamento dei seggi tra circoscrizioni, mi pare che il sistema previsto dalla legge n. 52 del 2015 per la Camera abbia superato il vaglio della Corte e che sia inevitabile che possa esservi uno scarto tra voti e territorialità nell'assegnazione dei seggi. In ogni sistema elettorale c'è questo.
  Una particolare disciplina sarà necessaria se si decidesse di assegnare anche per il Senato un premio a livello nazionale, perché è necessario rispettare il criterio dell'elezione su base regionale, cioè la ricaduta del premio su base regionale.
  Presidente, non so se ho ancora tempo.

  PRESIDENTE. Il tempo è quasi finito.

  VINCENZO LIPPOLIS, Ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma. In tal caso, tocco la questione della compresenza di premio e soglie di sbarramento. La Corte l'ha ammessa, ma mi pare che la previsione del premio debba portare alla previsione di soglie di sbarramento non eccessivamente alte. È necessario fare attenzione al bilanciamento perché, se la soglia del premio non è oggettivamente raggiungibile da alcuna lista o coalizione, soglie di accesso troppo basse possono provocare un'eccessiva frammentazione della rappresentanza.
  Qui si pone una questione, che è quella dell'allineamento, nella sostanza, se non proprio esattamente nei numeri, di soglie tra Camera e Senato. Questo è un problema che va assolutamente risolto.
  L'altra questione che mi pare ineludibile è la questione della preferenza di genere e del rispetto della preferenza di genere anche al Senato.
  Se il mio tempo è scaduto, rinvio alla memoria scritta per le altre questioni.

  STELIO MANGIAMELI, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Teramo. Grazie, presidente. Anch'io manderò un testo scritto nel quale rispondo a tutte le domande, avendole raggruppate in quattro punti principali per la loro connessione logica. Mi permetto qui di fare alcune considerazioni che non sono presenti nel documento scritto, ma che, a mio avviso, costituiscono una premessa necessaria al nostro ragionamento.
  La dottrina sostanzialmente distingue i sistemi elettorali in proporzionali e maggioritari, collegandoli, in una forma di Governo come quella nostra parlamentare, a due logiche di interpretazione della forma di governo. Laddove l'opzione è proporzionale, l'interpretazione della forma di governo parlamentare è che l'elettore costruisce la rappresentanza, ma la forma di governo viene di fatto gestita all'interno delle Camere dalle forze politiche che sono state elette.
  Laddove, invece, la forma del sistema elettorale è maggioritaria, l'interpretazione della forma di governo che si dà è completamente diversa. La forma di governo, infatti, in questi casi, tende verso quella che è stata definita la forma di governo neoparlamentare, in cui l'elettore sceglie al Pag. 25contempo la premiership, il proprio rappresentante e il programma di governo.
  Questa distinzione, secondo me, è fondamentale nel momento in cui, dopo la sentenza n. 35 della Corte costituzionale, sembra che si sia alzato un polverone per un ritorno al proporzionale come risoluzione di tutti i problemi della nostra forma di governo e del sistema parlamentare. Così non è, né la sentenza n. 35 può essere interpretata nel senso che siano da escludere sistemi maggioritari veri e propri.
  Quelli della legge Calderoli e dell'Italicum – attenzione – non sono sistemi maggioritari veri e propri, ma sistemi proporzionali corretti con elementi di maggiore dettaglio. Costituiscono, quindi, un genus, come ha già detto la collega D'Amico, completamente diverso, che tende verso la proporzionalità, tra le altre cose, e crea una serie di problemi particolari, su cui la sentenza della Corte è entrata più nel vivo. Questa, però, non può essere interpretata come una preclusione per un sistema maggioritario puro.
  Aggiungo che la legge elettorale interpreta, da una parte, la Costituzione nella forma di governo, ma, dall'altra, il sistema politico. È un'interpretazione del sistema politico attuale. Bisogna, quindi, considerare che il nostro sistema politico in questo momento è caratterizzato da una forte frammentazione e dalla scarsa propensione all'accordo, al compromesso tra le forze politiche. Le forze politiche dialogano in Parlamento, ma non si intendono, il più delle volte.
  Questo è un elemento che differenzia moltissimo quest'attuale fase del sistema politico rispetto, per esempio, a quella della cosiddetta della Prima Repubblica, in cui vi era un pluralismo magari più accentuato di forze politiche rappresentate in Parlamento, ma vi era anche una propensione all'accordo e al compromesso molto più elevata, che rendeva, nell'instabilità e nella frammentazione dell'epoca, la forma di governo molto più stabile di quello che non sembrerebbe in apparenza.
  Farei un'ultima considerazione preliminare. Il concetto di rappresentanza su cui insiste la Corte costituzionale, soprattutto nella sentenza n. 35, va considerato a seconda del sistema che uno adotta. Le considerazioni che fa la Corte sulla rappresentanza sono strettamente connesse alla proporzionalità e alla disproporzionalità degli elementi maggioritari dell'oggetto del giudizio, che era la legge n. 52, ma il concetto di rappresentanza è profondamente diverso se il sistema elettorale è maggioritario o se il sistema elettorale è proporzionale o proporzionale corretto.
  Nel sistema proporzionale la rappresentanza viene fatta a fette, sostanzialmente, e va rapportata alle singole quote di consenso che ogni lista ottiene. Si tende verso una rappresentanza che è lo specchio della nazione.
  Nel sistema maggioritario questo concetto salta completamente, perché il sistema maggioritario rappresenta solo chi vince e chi vince governa. Quindi, si dice che rappresenta solo chi governa, non chi fa opposizione e non chi perde le elezioni. Il concetto di rappresentanza ha una piega completamente diversa.
  L'ultima considerazione preliminare che vorrei fare riguarda l'uso dei concetti di ragionevolezza e proporzionalità, su cui la Corte insiste, tenendo conto che la Corte rinvia ampiamente alla discrezionalità del legislatore e che, secondo me, l'elemento della discrezionalità deve essere tenuto in giusta considerazione dal Parlamento nel momento in cui si accinge a varare un nuovo sistema elettorale, senza il timore della bocciatura. Il problema è di buon senso, ancor prima che di ragionevolezza.
  La ragionevolezza delle soglie, la ragionevolezza del premio, tutto questo non è una valutazione astratta che la Corte compie, ma va rapportato – come per qualunque giudice, a partire dalla Corte suprema americana quando fa i bilanciamenti e via dicendo – al caso concreto e alla condizione concreta. Quando – non siete solo voi – molti colleghi dicono che non ci si può scostare più del 38-37 per cento (io ipotizzerei anche il 36, se volete, perché 36 più 15 fa 51, lasciando il premio a una quota del 15 per cento e non considerando l'eventualità che il premio possa essere aumentato), il problema di fondo è che stiamo Pag. 26parlando irragionevolmente del sistema che abbiamo davanti. Oggi come oggi, nessuna forza politica raggiunge il 36 per cento del consenso da sola. Praticamente, se si resta al vincolo delle liste, tutte le disposizioni sul premio, sia del primo turno col 40 per cento, sia del secondo turno con una soglia che sia comunque intorno al 36 per cento, sarebbero scritte inutilmente. Non servirebbero ad assicurare quel minimo di governabilità del sistema.
  Nei sondaggi del 4 dicembre, quelli compiuti non appena conosciuto l'esito del referendum costituzionale, vi sono due forze politiche che si aggirano intorno al 30 per cento. Tutte le altre stanno sotto. Con un sistema proporzionale puro la soglia di sbarramento del 3-4-5 per cento non determina alcuna maggioranza, cioè è perfettamente inutile. Anzi, se si eleva la soglia di sbarramento dal 3 al 5, si passa da una dispersione di 1.700.000 voti a una dispersione di oltre 5,5 milioni di voti.
  Tutte queste valutazioni su quale sia la soglia di sbarramento iniziale per accedere all'attribuzione dei seggi e su quale debba essere la soglia per entrare in un eventuale ballottaggio per conseguire il premio non possono essere condotte ragionevolmente e proporzionalmente in astratto. Devono tenere conto di com'è il sistema politico.
  Vi sono delle direttive che devono essere seguite, se si vuole costruire soprattutto, come sembra, un sistema che parta dal principio proporzionale e arrivi a dei correttivi che creino delle disproporzionalità. Si tratta di inserire tutti quegli elementi che possano, da una parte, consentire di mantenere il più possibile ampia l'offerta politica da parte del sistema dei partiti e, dall'altra, inserire delle regole che consentano al meglio la possibilità di superare gli elementi di frammentazione, cioè di favorire l'aggregazione delle forze politiche e le forme di accordo.
  Entrano, in questo senso, in discussione sia il tema delle coalizioni, che, secondo me, nella situazione data, è un elemento ineludibile, sia la necessità di non elevare la soglia di sbarramento, proprio per la sua inutilità. Portare la soglia iniziale del 3 per cento al 5 per cento non serve a niente nel nostro caso, se non a disperdere consenso.
  Entrano in questa considerazione anche una determinata trasparenza del sistema elettorale che si deve scegliere, perché uno degli elementi fondamentali per indurre gli elettori a votare è il fatto che il lettore possa, attraverso un sistema elettorale trasparente, riconoscere l'effetto del proprio voto. Molte volte, quando i sistemi elettorali sono complicati, l'elettore rinuncia in partenza a votare, perché non si rende conto dell'effetto che con il suo voto può determinare.
  Per il resto, avendo utilizzato il mio tempo, rimando al testo scritto con le risposte più puntuali.

  AGOSTINO MEALE, Ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari. Anch'io farò una brevissima riflessione preliminare, affidandomi poi per la risposta dei quesiti puntuali al testo scritto.
  Anch'io partirei dalla sentenza della Corte costituzionale per fare qualche riflessione. È chiaro che la Corte si è trovata a pronunciarsi su un sistema elettorale, quello della Camera, che ipotizzava questa come unica Camera residuale. Pertanto, alcune riflessioni e alcuni aspetti sono necessariamente conseguenti a questo punto di partenza.
  Tuttavia, la Corte costituzionale detta dei princìpi generali, che in parte sono stati richiamati. L'obiettivo delle leggi elettorali è quello della formazione di maggioranze parlamentari omogenee. Questo, ovviamente, comporta quasi l'obbligo di estensione anche al Senato di un sistema simile a quello della Camera.
  Anch'io per questo concordo sul fatto che il ballottaggio solo in una Camera e non nell'altra non avrebbe senso, così come anche sulla possibilità che un ballottaggio slegato e non condizionato al risultato in entrambe le Camere possa portare oggettivamente a risultati differenti, che non garantiscono le maggioranze parlamentari omogenee. Il sistema deve consentire che in entrambe le Camere si debba raggiungere questo profilo della governabilità e comunque delle maggioranze omogenee. Pag. 27
  Il problema nasce anche dal fatto che – rispondo anche a uno degli ultimi quesiti – la Corte costituzionale dice che c'è una preferenza per il sistema proporzionale, ma ha ritenuto legittimo anche il sistema maggioritario. Quindi, anche il problema del diritto di tribuna, se il sistema è maggioritario puro, è stato ritenuto costituzionale. Non c'è un problema di sottorappresentanza.
  Il profilo sul quale vorrei soffermarmi e che vorrei evidenziare è che la Corte costituzionale, nell'aver, nella sentenza n. 35 in particolare, ma anche nella sentenza n. 1 del 2014, censurato il sistema elettorale, attribuendosi a questi premi il compito di sovrarappresentare delle liste che non hanno incontrato il consenso popolare.
  La Corte lega il problema della maggioranza e del premio collegato al raggiungimento di una quota al fatto che, in questo modo, ossia con i premi, si realizza una sovrarappresentazione delle liste o, in ipotesi, delle coalizioni che non hanno incontrato il consenso. Pertanto, se una lista ha il 20 per cento dei voti, ciò non è proporzionale e non è ragionevole. Il problema del premio va legato evidentemente al raggiungimento delle soglie.
  Ne approfitto per fare un'ulteriore riflessione, che probabilmente in questo momento storico è di difficile svolgimento. Il problema riguarda la discrezionalità. È stato ricordato anche dal Presidente Deodato che la Corte costituzionale rinvia sempre alla discrezionalità del Parlamento. Il problema è che la discrezionalità, per essere esercitata, deve avere dei paletti, dei limiti e che questi limiti la Costituzione, in realtà, non li fissa.
  La Costituzione è molto vaga. Gli articoli 56 e 57, le norme che normalmente vengono richiamate come parametro di costituzionalità, sono norme che non dicono granché. Questa presunta discrezionalità del Parlamento risente delle valutazioni legittime della Corte costituzionale, che però possono essere variamente orientate, a seconda del momento storico.
  Ne abbiamo avuto una prova nel dibattito odierno. È il 40? Può essere il 36? Chi ci garantisce che il 36, il 37 o il 38 non vengano dichiarati poi successivamente incostituzionali? Probabilmente l'esercizio della discrezionalità del legislatore dovrebbe portare a una modifica o a un rafforzamento degli articoli della Costituzione. Bisognerebbe modificare gli articoli 56 e 57, fissando dei paletti. Certamente è un altro procedimento, ma probabilmente, fino a quando non si stabiliscono e si inseriscono dei paletti certi, il giudizio della Corte costituzionale resta, ovviamente, un giudizio anch'esso discrezionale e senza limiti, che valuterà.
  Certo, in merito alla proporzionalità, il 40 per cento mi sembra – è stato già detto – un parametro che la Corte costituzionale ha ritenuto legittimo. Bisognerebbe capire se estendere la soglia del 40 per cento alle coalizioni piuttosto che alla lista. In merito mi associo: è chiaro che lasciare il 40 per cento alla singola lista non è al momento realizzabile, per quanto la legge elettorale dovrebbe essere anche astratta al momento contingente, perché la legge elettorale dovrebbe essere usata anche in tempi differenti.
  Al momento, ritengo che il 40 per cento sia ragionevole. È ragionevole e proporzionale, perché queste percentuali devono essere lette sempre, come è stato già riferito, in relazione alla rappresentanza e alla proporzionalità. Effettivamente può essere anche interessante condizionare a seconda del raggiungimento di una soglia più bassa un premio più basso, sempre però senza scendere al di sotto del 38, 39, 37, perché alla fine – la Corte l'ha detto in maniera chiara e l'ha ripetuto già più volte – non si può attribuire un numero di seggi sovrabbondante rispetto al consenso popolare.
  Mi pare, dunque, che la risposta al quesito n. 1 non possa che essere che il bilanciamento dei princìpi e il premio di maggioranza non sono di per sé incompatibili.
  Concordo anche con quanto si è detto per la legge al Senato. Secondo me, la soglia dovrebbe essere calcolata su base nazionale e la ripartizione – quella sì – a venire sul livello regionale. Il problema è il ballottaggio. Leggendo le diverse proposte di legge pervenute, mi pare che ci sia un superamento, in realtà, del problema del Pag. 28ballottaggio. La Corte l'ha ritenuto illegittimo proprio perché lo riteneva una prosecuzione, come è stato detto, della prima elezione e soprattutto perché si accedeva al ballottaggio, astrattamente, anche con il 20 per cento, con il 15 o con il 18. Bisognava inserire una quota minima per accedere al ballottaggio.
  Ripeto, pur se astrattamente questo sarebbe possibile, mi è parso, leggendo le diverse proposte, che esse spazino dal maggioritario al proporzionale e che siano tutte compatibili con la Costituzione, anzi, quasi tutte, anche perché quelle presentate prima della sentenza o della bocciatura del referendum costituzionale sono state poi corrette.
  Qui c'è veramente la discrezionalità del legislatore. Su questo non credo che possiamo se non dare un'ipotesi di preferenza, o maggioritario o proporzionale. Il problema è la correzione, cioè i sistemi misti. Sono quelli che portano delle difficoltà.
  Rinviando al testo per approfondire tutti i temi, anch'io sono del parere che sia obbligatorio e necessario anche al Senato inserire una clausola per la rappresentanza di genere, così come per la Camera.
  Un altro profilo sul quale non si sono soffermati molti riguarda la domanda n. 14, quella legata alle possibili soluzioni per migliorare i controlli sulla regolarità delle operazioni di voto e di scrutinio, un altro quesito che ci viene posto.
  Probabilmente, pur nel rispetto dell'autonomia delle Camere, si potrebbe estendere un controllo di tipo giurisdizionale anche attraverso il controllo del giudice amministrativo, come avviene per le elezioni degli enti locali o del Parlamento europeo, oppure anche del giudice costituzionale, oltre al rafforzamento, com'è stato ricordato, di un controllo all'interno dei singoli seggi. Ho letto in alcune proposte che sono all'esame di questa Commissione anche il rafforzamento del potere delle autorità di pubblica sicurezza all'interno della presenza dei seggi, ma questo è un profilo sul quale c'è la più ampia autonomia.
  Il problema, quindi, rimane quello di armonizzare i due sistemi per consentire che ci siano maggioranze omogenee. Questo è il vero profilo. Ogni sentenza, anche quelle della Corte costituzionale, analizza un caso concreto. Quindi, sarebbe anche improprio prendere alcune pronunce o alcuni dictum della sentenza ed estenderli in astratto ad altri sistemi. È chiaro che i princìpi cardine che devono essere la guida della Camera, in questo caso, anche per l'estensione al Senato, debbano essere quelli di non tradire il legame tra la rappresentanza e poi concretamente la maggioranza.
  I premi sono consentiti. La Corte ha detto che si può legare un premio di maggioranza. Questo non è un problema, basta che sia proporzionale e che, quindi, non sia sproporzionato. Il problema è che cosa accade, così come è al momento, laddove nessuna lista o nessuna coalizione raggiunga la soglia. In questo caso, è evidente che il premio non si applica e che, quindi, ci potrebbe essere, leggendola a contrario, una problematica di formazione dei parlamentari omogenea, soprattutto in relazione alla governabilità.
  Probabilmente il sistema maggioritario puro sarebbe, in questo caso, l'unico sistema effettivamente utile, a prescindere dalle quote. È chiaro che il sistema maggioritario prevede maggioranza e minoranza in maniera netta e non dovrebbe portare poi effettivamente a problemi di governabilità, per quanto potrebbe, vista anche la base elettorale diversa, portare a risultati parzialmente diversi, anche considerata l'età. Questo probabilmente potrebbe portare a un superamento, ma non credo che sposti più di tanto.
  C'è un ritorno anche alle norme del 1993. Ho visto che c'è anche un'idea di questo tipo. È anche legittimo eliminare lo scorporo. Questa è una scelta su cui, come è stato detto, la Corte costituzionale lascia il Parlamento libero.
  Per il resto rinvio al testo.

  GUIDO RAFFAELE RODIO, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari. Anch'io ho predisposto un testo scritto. Il mio intervento adesso sarà brevissimo, sia per non ripetere cose che ho già scritto e che potranno essere lette, sia perché, essendo l'ultimo, non vorrei Pag. 29 ripetere concetti già espressi in precedenza e che, peraltro, in larga parte condivido. Abbiamo opinioni sufficientemente convergenti questa mattina. Mi limiterò, pertanto, soltanto a due o tre brevissimi rilievi.
  Un primo è stato già posto in evidenza in modo abbastanza oggettivo. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha ormai chiarito in modo definitivo che il Parlamento ha un margine di discrezionalità enorme nella materia elettorale. Come si calcola, giustamente, questa discrezionalità, e come la si può limitare o delimitare?
  È stato già detto in precedenza. La Corte ha detto che in questa materia abbiamo dei princìpi costituzionali, come il principio della sovranità popolare, la rappresentatività delle Camere e l'eguaglianza del voto, e abbiamo degli obiettivi di rilievo costituzionale, che non sono, ovviamente, princìpi, ma sono obiettivi verso i quali si dovrebbe tendere, come la stabilità del Governo del Paese, la formazione di maggioranze parlamentari stabili e la rapidità dei processi decisionali. Ovviamente, tendere al raggiungimento di questi obiettivi non può portare a compromettere quelli che sono, invece, dei princìpi.
  Quali sarebbero oggi gli ostacoli al raggiungimento di questi obiettivi? Esisterebbero dei fattori strutturali, per esempio, connaturali all'attuale struttura del nostro Parlamento. Abbiamo una diversa composizione dell'elettorato tra Camera e Senato, abbiamo un'elezione a base regionale per il Senato e abbiamo, naturalmente, un minor numero di senatori rispetto ai deputati. Questi tre fattori incidono sulla formazione di maggioranze più o meno stabili.
  La Corte l'ha chiarito e l'abbiamo anche ribadito in precedenza: non c'è alcun limite, alcun vincolo per il legislatore nel predisporre la legislazione elettorale. Si può scegliere un proporzionale, un maggioritario, un misto o quello che si vuole. Non è un problema. Naturalmente, dopo la sentenza della Corte, per quel che riguarda il premio di maggioranza, oggi sicuramente non è ammissibile che possa permanere il premio di maggioranza solo per la Camera e non al Senato. Questo è poco, ma sicuro.
  A mio avviso, ci sono alcuni correttivi che potrebbero essere apportati, naturalmente. Il primo è l'attribuzione anche al Senato di un premio di maggioranza. Che poi ciò avvenga su base nazionale o con ripartizione regionale è un problema di scelta di tecnica.
  Eventualmente, poiché la Corte ribadisce spesso l'invito a omogeneizzare i due rami del Parlamento, occorrerebbe anche mettere mano all'articolo 58 della Costituzione per quanto riguarda l'omologazione dell'elettorato attivo e passivo tra Camera e Senato.
  Inoltre, se il premio di maggioranza deve rimanere, resto convinto della necessità che questo avvenga in entrambe le Camere, altrimenti andremmo a frustrare proprio l'obiettivo che si vorrebbe raggiungere, cioè quello di formare una maggioranza possibilmente stabile.
  Per quanto riguarda gli altri quesiti, mi soffermo soltanto su uno, perché su altri si è già abbondantemente discusso stamattina: la ragionevolezza della soglia percentuale di sbarramento per l'attribuzione dei seggi. In effetti, si tratta di dati numerici. Giustamente, il professor Mangiameli ci ricordava cosa accade se si passa da soglie del 3 al 4 al 5 per cento. Si creano dei problemi di perdita del voto e, quindi, di influenza.
  Per quanto riguarda il ballottaggio, personalmente sarei contrario a qualunque ipotesi di ballottaggio, perché vedo l'istituto del ballottaggio più per le elezioni di organi monocratici che per quelle di organi collegiali. Comunque, è una mia opinione personale.
  Possiamo ridiscutere sul 40 per cento e andare al 36, al 37 o al 39. È un problema numerico. L'importante, a mio avviso, è che si agganci comunque, come suggerisce peraltro la Corte, la previsione del raggiungimento di un determinato risultato elettorale con riferimento a soglie di accesso e così via.
  Vi espongo un'idea che non ho messo nel testo scritto, che mi è sorta stamattina. Noi stiamo discutendo su quali leggi approvare per assicurare una stabilità della maggioranza di Governo, come se il risultato Pag. 30 di un'elezione fosse un flash che poi rimane fermo per i cinque anni della legislatura. Stiamo assistendo, invece, specialmente negli ultimi tempi, a un fenomeno che non fa coincidere assolutamente il risultato elettorale con le formazioni delle maggioranze. C'era un articolo sull'ANSA di ieri, per esempio, che delineava molto bene quanti passaggi tra gruppi parlamentari o tra partiti politici siano avvenuti.
  Di conseguenza, mi sorge una domanda: non è che forse, oltre a parlare di legge elettorale, sarebbe opportuno anche cominciare a discutere sull'articolo 67 della Costituzione e sul vincolo di mandato? Infatti, tutta questa attività normativa finalizzata a cristallizzare una maggioranza potrebbe rivelarsi del tutto inutile, come alcuni colleghi prima suggerivano, nel momento in cui si consente che quel risultato venga vanificato successivamente.
  Per il resto rinvio al testo scritto.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO PAOLO SISTO. Ringrazio i nostri esperti. La presidenza ha sapientemente racchiuso il tema in quesiti specifici, che ci consentono di limitare il campo degli interventi su una materia che, come affermava a ragione il professor Rodio, afferisce, non soltanto a una soluzione flash, ma anche a una proiezione della democrazia e degli assetti delle maggioranze nel corso della legislatura.
  Io dico subito, perché non ci siano infingimenti, che condivido in pieno la necessità di porre un argine a questo trasformismo parlamentare che indubbiamente vizia anche il sistema elettorale. Questa incapacità di una rappresentanza rigida fra il voto e la collocazione di chi viene eletto da un certo numero di elettori è un problema che, a mio avviso, ha l'effetto domino invertito, cioè dall'avanti all'indietro, e vizia in modo irreparabile la capacità del voto di essere utile.
  A questo proposito mi ricollego a quello che diceva il professor Mangiameli sulla necessità che l'elettore conosca l'efficacia del proprio voto, che non è soltanto un'efficacia numerica, non è soltanto un'efficacia ai fini della governabilità, ma è anche un'efficacia ai fini della stabilità della rappresentanza.
  Quello che è stato detto dal professor Rodio mi trova particolarmente d'accordo, perché, se l'elettore è sicuro che il parlamentare che ha eletto mantiene la rispondenza al voto che ha ricevuto, questo indubbiamente da efficacia al voto...

  PRESIDENTE. Onorevole Sisto, per non discriminare, le ricordo che ieri abbiamo stabilito che si fanno soltanto domande. Cerchiamo di passare alle domande. Ieri ho interrotto anche gli altri colleghi.

  FRANCESCO PAOLO SISTO. Prendo atto e passo dall’incipit alle domande. Ritengono i nostri esperti che nel pragmatismo che deve contraddistinguere la legge elettorale si possa fare a meno del rapporto che c'è fra preferenze e l'articolo 346-bis del codice penale, la norma sul traffico di influenza?
  Essenzialmente, un sistema elettorale fondato sulle preferenze consente, a loro avviso, di esorcizzare in modo accettabile i rischi che il 346-bis del codice penale presenta, cioè il fatto che si possa chiedere un consenso a determinati soggetti, anche a mezzo di mediazione elettorale? Fino ad avantieri ciò era perfettamente legittimo, ma oggi si corre il rischio, trattandosi di un vantaggio patrimoniale (infatti, quello elettorale può essere un vantaggio patrimoniale), di incorrere tout court negli strali del giudice penale.
  Che influenza ha questa norma sulla scelta del regime elettorale? A me non sembra che si tratti soltanto di una deviazione patologica da una fisiologia nell'ambito delle preferenze. Io credo che si tratti di una sorta di rischio connesso allo stesso sistema delle preferenze.
  In secondo luogo, noi abbiamo formulato una proposta, a firma Brunetta e altri. Vorrei sapere se la ritengono conforme alle due sentenze della Corte, la n. 1 e la n. 35, con particolare riferimento al tema dei collegi piccoli uninominali, che hanno lo Pag. 31scopo di garantire una maggiore rappresentanza fra gli elettori e l'eletto.

  FRANCESCO PAOLO SISTO. Ho una domanda sulla coalizione. Sempre in tema di voto utile e di 40 per cento, è stato detto, a mio avviso correttamente, che la legge elettorale deve essere astratta. Io aggiungo «ragionevole».
  È corretto ritenere che il 40 per cento, secondo un principio di ragionevolezza e di astrazione effettiva – fatemi passare questo apparente calembour – possa essere riservato alla coalizione e non alla lista, cioè che il voto utile propugnato dal professor Mangiameli e altri passi anche attraverso la ragionevole certezza che il 40 per cento alla lista è un voto inutile e che, invece, diventa un voto utile il 40 per cento alla coalizione?
  C'è un altro quesito che rivolgo agli esperti sulla coalizione. È stato detto che il 3 per cento o il 5 per cento di soglia comporterebbero una dispersione, se non ho inteso male, rispettivamente di 1.700.000 voti e di circa 5 milioni di voti.
  Se il premio fosse alla coalizione, questa non sarebbe una dispersione, ma sarebbe un convogliamento di questi voti verso il 40 per cento della maggioranza di coalizione. Vorrei chiedere se questo porta verso la coalizione e non verso il voto di lista.
  L'ultima domanda è con riferimento all'ultimo quesito che è stato formulato proprio da Forza Italia, cioè alle soluzioni per migliorare i controlli sulla regolarità delle operazioni di voto e di scrutinio.
  Io chiedo se disporre che vi sia la presenza di un pubblico ufficiale (un esponente della polizia o chiunque sia) che sorvegli le operazioni di scrutinio possa essere un rimedio per avere la certezza che queste operazioni di scrutinio avvengano nella più assoluta regolarità e se questo non possa essere un presidio per garantire a qualsiasi sistema di legge elettorale una certezza di rispondenza del voto rispetto alla volontà degli elettori.

  MASSIMO PARISI. Vorrei porre due questioni, una di ordine generale e una su una specifica proposta. Mi perdoneranno tutti gli auditi se la nostra curiosità talvolta si concentra su chi organizza o formula una struttura di proposta. Ieri è accaduto al professor Morrone, oggi accade al professor Chiaramonte. Questo stimola alcune curiosità.
  Una delle questioni che sono state sottolineate in merito alla disomogeneità dei sistemi attualmente esistenti di Camera e Senato, cioè l'esistenza delle liste alla Camera e delle coalizioni al Senato, secondo me si scontra con un particolare che non ho visto da molti approfondito e che, invece, vorrei porre come tema.
  Noi parliamo di coalizioni al Senato, ma nel momento in cui le coalizioni sono scomparse. Mi spiego meglio: le norme che erano di riferimento nella vecchia legge e a cui la legge del Senato rimanda non esistono più, perché l'Italicum le ha cancellate.
  Questo comporta due tipi di problemi. Non esistono più neanche le norme su come si presenta un'eventuale coalizione. La mia interpretazione è che le coalizioni non esistono più e che, quindi, la soglia è unica al Senato ed è dell'8 per cento, per il semplice motivo che le norme a cui la legge del Senato rimanda sono state abrogate dall'Italicum.
  Se così è, questo mi tornerebbe anche nella definizione che ha dato il professor Chiaramonte, il quale sosteneva che la legge del Senato ha un'impronta proporzionale, ma potrebbe avere esiti maggioritari, perché la si interpreta così, cioè con una soglia unica dell'8 per cento.
  Vorrei comprendere bene questo punto, perché in teoria la Corte costituzionale ha già detto che abbiamo leggi applicabili.
  Io faccio campagna elettorale da svariati anni e so come si presentano le liste. In questo momento non saprei come fare a presentare una coalizione per la legge del Senato, perché non ci sono più le norme sulla coalizione del Senato.
  La seconda questione, invece, è una curiosità sul modello proposto. Mi pare di aver capito – mi correggerà se sbaglio – che sostanzialmente l'idea espressa dal professor Chiaramonte è un sistema spagnolo-italianeggiante. La domanda, quindi, non è Pag. 32tecnica, perché conosco il sistema, ma è più che altro di natura politologica.
  In Spagna questo sistema ultimamente non ha dato grandissima prova di sé nel senso di poter assicurare una maggioranza. C'è il rischio di avere tre elezioni in un anno con il cosiddetto «sistema spagnolo». Conosciamo la situazione italiana, dove il bipolarismo è diventato un tripolarismo e dove probabilmente si contrapporranno forze che realisticamente potrebbero essere tutte sotto il 30 per cento.
  Come si può immaginare che il sistema spagnolo applicato al quadro italiano possa dare esiti in grado di rispondere alla domanda sulla governabilità in questo momento nel nostro Paese?

  MICHAELA BIANCOFIORE. Stamattina, a differenza di ieri, è stata toccata solo marginalmente la questione della legge elettorale per il Trentino-Alto Adige, che sicuramente sarà affrontata nei vostri testi scritti.
  Ieri il professor Luciani metteva in evidenza che quello che certamente il Parlamento e le istituzioni in generale non si possono permettere è incappare nel terzo «incidente costituzionale».
  La questione della legge per il Trentino-Alto Adige non è stata affrontata dall'ultima sentenza della Corte costituzionale, come ci ha spiegato bene il professor Besostri, in quanto gli avvocati non si sono prestati ad andare contro il condizionamento politico che purtroppo che c'è nella mia regione. Ci ha spiegato che la Corte costituzionale non ha potuto affrontare questo argomento.
  Tuttavia, si è evidenziato ieri nel corso di tutta l'audizione come ci sia un profondo problema costituzionale legato all'articolo 83, comma 6, del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e successive modifiche, che disciplina i voti espressi nei collegi uninominali, introdotti non si sa secondo quale ratio costituzionale nel cosiddetto «Italicum» anche per la Camera, oltre che per il Senato...
  Ciò non si giustifica neanche per il Senato. Nessuno di voi avrà mai avuto modo di leggere la misura n. 111 del pacchetto di leggi sull'Alto Adige, che magari lascerò agli atti, che afferma tutt'altra cosa rispetto all'obbligo dei collegi uninominali per il Senato nella regione Trentino-Alto Adige.
  Per la Camera oggi, stante l'Italicum, la minoranza italiana che andrà al voto in quei collegi uninominali a maggioranza tedesca (parliamo di collegi dove la popolazione è al 90 per cento di lingua tedesca, se non al 100 per cento, che esprimono il voto per il partito di maggioranza assoluto della minoranza tedesca per il 70 per cento), secondo l'articolo 83, comma 6, non partecipa al computo dei voti nazionali, cioè sostanzialmente è come se non andasse a votare.
  Questa è una disposizione palesemente incostituzionale, che viola, secondo il protocollo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU), articolo 1, l'uguaglianza del voto. Questa questione è presente nei quesiti, ma mi auguro che vi siate posti il problema, perché io credo che sia un problema estremamente stridente e mi piacerebbe sentire qual è la vostra opinione in merito.

  ELENA CENTEMERO. Intervengo anch'io su un tema particolare, che è quello affrontato molto approfonditamente dalla professoressa Leone: il tema della parità di genere e dell'equilibrio di genere nelle leggi elettorali.
  Faccio una breve premessa. Nell'ambito del lavoro che il Consiglio d'Europa sta svolgendo sui sistemi elettorali si mette in luce una cosa molto semplice. La Commissione di Venezia ha affermato che è abbastanza sconveniente che si faccia una legge elettorale nell'anno precedente alle elezioni. È abbastanza singolare che questo avvenga. Nel nostro caso, ciò avviene ovviamente per motivi di necessità.
  Sempre la Commissione di Venezia sottolinea che quando si fanno leggi elettorali nei casi come i nostri tra i princìpi che vanno tenuti in considerazione vi è in primo luogo quello di tener conto delle indicazioni che vengono da organi internazionali come il Consiglio d'Europa, che più di una volta si è espresso sui sistemi elettorali, come ieri è stato ricordato – io sono relatore di un nuovo rapporto sui sistemi elettorali all'interno della commissione politica Pag. 33– e delle indicazioni della Corte costituzionale.
  Tuttavia, questo non è il primo elemento. Si deve tener conto anche degli stakeholders. In questo caso ovviamente si deve tener conto degli elettori e del loro diritto primario – questo è stato sottolineato molto bene – di essere rappresentati.
  Nel 2003 la Commissione di Venezia e successivamente anche il Consiglio d'Europa hanno detto una cosa che sappiamo tutti: un sistema elettorale è ciò che traduce in seggi i voti degli elettori. Io credo, quindi, che i sistemi molto complessi non vadano bene. Dobbiamo trovare un sistema semplice, trasparente e comprensibile per gli elettori. Questo è il punto secondo me fondamentale nel fare la futura legge elettorale. Sistemi troppo complessi e troppo farraginosi rischierebbero di non essere compresi dalle nostre cittadine e dai nostri cittadini. Credo che queste siano le due esigenze fondamentali.
  Ringrazio molto la professoressa Leone per essersi così addentrata nel tema della parità di genere. Sempre la Commissione di Venezia afferma che, se non c'è un'equa e bilanciata presenza di donne e uomini nelle istituzioni, non si può parlare di democrazia.
  Giustamente il tema che è stato affrontato è quello delle pluricandidature, perché di fatto, anche se la Corte costituzionale non si è mai espressa sul tema dell'effettività rispetto alla parità di genere, queste dieci pluricandidature, sicuramente volute per motivazioni di carattere politico e non legate al sistema costituzionale, sono eccessive per dar vita alla parità di accesso, come chiede l'articolo 51 della nostra Costituzione.
  Io pongo una domanda. Nell'Italicum, in quello che è uscito, noi abbiamo i capolista bloccati e i collegi circoscrizionali con le preferenze e con la doppia preferenza di genere. Se si decidesse di modificare questo tipo di sistema, quali sistemi (collegi plurinominali, uninominali eccetera) potrebbero consentire un reale equilibrio di genere nella partecipazione di donne e uomini?
  Ovviamente il tema dei partiti in questo è fondamentale. Ricordavamo prima con l'onorevole Roberta Agostini quanto noi abbiamo cercato. Noi abbiamo una legislazione, come si ricordava, che pone delle multe per la non corretta rappresentanza delle donne nelle liste. In realtà, l'esempio francese ha dimostrato che il sistema delle multe è assolutamente inefficace. Io ho analizzato i sistemi di 47 Paesi del Consiglio d'Europa. L'unico sistema che funziona è proprio il rigetto delle liste. Non ci sono altri sistemi che funzionano.

  PRESIDENTE. Aggiungo io due punti. Ho sentito parlare molto da tutti gli auditi, sia ieri che oggi, del tema dell'omogeneizzazione dei sistemi di Camera e Senato.
  Mi domando, anche nell'ottica della sentenza della Corte sulla formazione di maggioranze omogenee, quale sia il giudizio nel caso di inserimento di un premio sia alla Camera che al Senato sulla soglia dell'8 per cento al Senato. Infatti, è chiaro che è una cosa diversa un sistema proporzionale puro rispetto a un sistema dove viene introdotto un premio di maggioranza di quel tipo.
  La seconda domanda è stata superata, perché l'ha posta l'onorevole Sisto, e riguardava i collegi uninominali da province, tipo il Provincellum, previsti nella proposta Brunetta C. 4327, anche con riguardo al tema, affrontato dalla Corte, dello slittamento sulle circoscrizioni e non sui collegi.
  L'ultima domanda mi è stata sollecitata dal professor Rodio. Mi chiedo se, per evitare il trasformismo parlamentare, serva davvero incidere sul tema del vincolo di mandato. Infatti, c'è sempre il problema di chi manda e di chi prende la decisione sul mandato.
  Mi spiego: io posso avere un partito politico che cambia radicalmente opinioni politiche in un determinato periodo. Faccio un esempio semplice: io sono entrato in Parlamento con quel partito, ma poi il capo del partito decide che dal centrodestra passa al centrosinistra. Se io sono uno di centrodestra e mi sono correttamente candidato con un partito di centrodestra, ma poi il capo partito decide che va nel centrosinistra, la mia fedeltà diventa una fedeltà personale o comunque a un concetto privatistico Pag. 34 come il partito e non ha un legame politico.
  Mi chiedo se allora non sia meglio intervenire dal punto di vista regolamentare con cose molto più banali che hanno a che fare col funzionamento dei Gruppi, con la vita parlamentare e cose di questo tipo.
  Io ho sempre avuto in mente un sistema, guardando alla storia di questa legislatura. Se i gruppi parlamentari mantenessero la dotazione patrimoniale che hanno all'inizio della legislatura per tutta la legislatura senza modifiche, ciò probabilmente sarebbe sufficiente quantomeno a evitare qualche spostamento.
  Quali possono essere le soluzioni? A me preoccupa non tanto il principio del vincolo di mandato quanto la concreta attuazione, avendo visto partiti che hanno fatto salti politici. Non c'è stato soltanto il caso di parlamentari che hanno lasciato un partito per cambiare lato, ma c'è stato anche il caso di partiti che hanno cambiato lato, e questo è significativamente diverso.

  MASSIMO PARISI. Vorrei fare una puntualizzazione, perché la mia coscienza me lo impone, visto che abbiamo sfiorato un ragionamento quasi nel merito, a partire dall'intervento dell'onorevole Sisto, solo perché resti agli atti la mia radicale idea sull'intangibilità del principio contenuto nell'articolo 67 della Costituzione. Il fatto che una Commissione parlamentare non dica questo mi sembra particolarmente singolare. A prescindere da tutte le valutazioni sui trasformismi, questo è un presidio della democrazia e delle democrazie liberali.

  PRESIDENTE. Io, infatti, sono stato un po’ più soft dell'onorevole Parisi, ma credo che fosse evidente dal mio intervento che la penso allo stesso modo.

  FRANCESCO PAOLO SISTO. Presidente, per la stessa crisi di coscienza dell'onorevole Parisi, anzi leggermente inferiore, io segnalo che ciò che conta, a mio avviso, è che si mantenga la presenza all'interno del partito, perché il resto è compreso nel dolo eventuale del voto di appartenenza a un partito.
  Si può essere anche minoranza all'interno del partito, ma la rappresentanza è garantita, a mio avviso, dal dato che io mantengo esattamente la mia presenza nello schieramento in cui sono stato eletto. L'elettore sa che il partito può cambiare idea e che può accadere di tutto. Questo rientra nella prevedibilità assoluta, ma ciò che conta è che io, pur essendo una minoranza all'interno del partito, rimanga all'interno di quella compagine. Questo dà efficacia e stabilità al voto.

  PRESIDENTE. Mi unisco all'onorevole Parisi nella non condivisione di questo principio, perché il problema è cos'è il partito. Non essendo regolamentato il posizionamento del partito, si parte dal presupposto che il partito come associazione privata abbia una collocazione politica definita, cosa che non è certa.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  CARLO DEODATO, Consigliere di Stato, esperto della materia. Presidente, mi limito a una questione minore. Sulle altre interverranno i colleghi che sono più esperti di me di materia costituzionale.
  Rispondo sulla questione sollevata dall'onorevole Sisto, che da buon penalista che conosce il diritto penale più di me si pone il problema della possibile applicazione della nuova fattispecie criminosa di cui all'articolo 346-bis del codice penale (traffico illecito di influenze) addirittura all'ipotesi della candidatura o dell'attività legislativa conseguente all'elezione.
  Faccio una sintetica premessa. Questa norma è stata concepita per colmare un vuoto nell'attività di repressione di condotte illecite, in quanto si era rilevato che la struttura della fattispecie illecita della corruzione impediva di colpire penalmente quei soggetti che, utilizzando capacità di influenza sul pubblico ufficiale, intervenivano nel compimento dell'atto illecito oggetto dell'accordo corruttivo, ma restavano estranei all'ambito applicativo della norma penale.
  Per colpire questa zona grigia che altrimenti sfuggiva alla sanzione penale, si è Pag. 35concepita questa norma, che si presta – capisco la preoccupazione – anche a interpretazioni arbitrarie o distorte, ma dalla sua lettura puntuale, secondo me, ci tranquillizza.
  Infatti, la norma mira a colpire il comportamento di chi esercita la sua capacità di influenza nel compimento di attività amministrative contra legem. Si tratta del caso in cui un soggetto utilizza la sua conoscenza del pubblico ufficiale per influenzare l'attività illecita dello stesso e, in cambio di questa influenza, si fa dare denaro o altra utilità.
  Applicare questa fattispecie al caso dell'elezione politica o addirittura al comportamento del parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni parlamentari mi sembra davvero fantasioso e direi quasi improbabile.
  Ferma restando la fantasia dei pubblici ministeri, concepire questa ipotesi accusatoria nei confronti di un candidato al momento dell'elezione o addirittura nell'esercizio delle funzioni parlamentari mi sembra da escludere, innanzitutto perché non si tratta di attività amministrativa e oltretutto perché non si tratta di attività amministrativa illegittima, come richiede espressamente la norma, che fa riferimento al compimento di atti illeciti o all'omissione di atti dovuti.
  Si tratta di attività politica assolutamente libera nei fini e nei contenuti, rispetto alla quale mi sembra assolutamente inconfigurabile questa ipotesi di reato. Magari sarò smentito da qualche procura periferica che se ne uscirà...

  FRANCESCO PAOLO SISTO. Temo proprio di sì.

  STELIO MANGIAMELI, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Teramo. Rispondo molto rapidamente sul tema sollevato dal presidente Sisto in relazione alla prima domanda.
  Anch'io concordo che l'articolo 346-bis del codice penale non si possa riferire alla sfera della legislazione per ovvie ragioni, ma non perché è improbabile, come ha detto il presidente Deodato. Io credo, anzi, che sia certo che ci siano tentativi di influenza nell'esercizio della legislazione. C'è il lobbismo, a cui viene riconosciuta piena legittimità in tutti i sistemi parlamentari, sia quelli che lo regolano sia quelli che non lo regolano, persino a livello europeo, con il Comitato economico che fornisce pareri e con le lobby che svolgono un'attività di influenza sulla Commissione.
  Tuttavia, siamo in un ambito in cui questo tipo di influenze dovrebbero essere controbilanciate benissimo dalle personalità dei parlamentari, che, come uomini politici, dovrebbero essere in grado di mediare l'interesse di una parte e quello generale.

  FRANCESCO PAOLO SISTO. Posso fare un intervento sull'ordine dei lavori? Io mi ero riferito al sistema delle preferenze.

  STELIO MANGIAMELI, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Teramo. Esattamente, arrivo a questo. Scusi, presidente.
  Quanto a utilizzare proprio questa specifica norma per escludere il sistema delle preferenze, a mio avviso, non ci siamo. Infatti, se c'è una cosa che la Corte ha detto, ma soprattutto – lei è un politico, oltre che un grande giurista, va in giro per territori per sentire il polso dell'opinione pubblica – se c'è una cosa che le persone ormai non accettano è che le Camere siano composte da personaggi che vengono eletti senza il voto di preferenza, per scelta di alcuni e non di altri.
  Se non si vuole la preferenza e non si vuole l'aggravio dei costi – si dice sempre che eliminare le preferenze è servito a eliminare la corruzione, gli scambi di favori e tutte queste cose, creando, però, il fenomeno dei nominati – ammesso che ci sia un accordo su questo, occorre puntare al collegio uninominale, dove il voto di lista e il voto di preferenza coincidono.
  Sulla questione delle preferenze aggiungo che, a mio avviso, se resta questo sistema misto particolare, i capilista dovrebbero essere tutti sottoposti a voto. Io sono per la pluricandidabilità, al di là dei problemi che possono sorgere col tema di genere (non voglio invadere il campo di Pag. 36altri). Tuttavia, il capolista che si presenta in due o tre posti dovrebbe essere sottoposto al voto di preferenza anche lui, com'era un tempo. Quando Berlinguer o Fanfani si candidavano in più circoscrizioni, perché la legge lo consentiva, erano sottoposti al voto di preferenza in quella circoscrizione. Questo darebbe concretezza al sistema.
  Dunque, la scelta è tra i collegi uninominali, dove si riducono i costi, scompaiono le preferenze, perché coincidono con il voto di lista, e il partito sceglie la candidatura più adatta nel collegio, e il voto di preferenza.
  Per ciò che concerne il collegio uninominale con la tecnica del Provincellum, che è quello che voi proponete, in linea di principio, in un ambito regionale, non avrei nessun problema ad accettarlo. L'unico inconveniente di questo sistema è che alcuni collegi scattano due volte e altri non scattano mai. Pertanto, se l'idea del collegio uninominale è anche collegata a una certa rappresentanza territoriale, ci sarebbe un certo squilibrio da questo punto di vista, maggiore a quello che si genera con il collegio unico nazionale quando i seggi slittano da una circoscrizione all'altra.
  Peraltro, la Corte ha detto che questo è possibile. Io ricordo che c'è una giurisprudenza del Consiglio di Stato che va nella direzione completamente opposta, presidente Deodato. Proprio in occasione dell'applicazione del collegio unico nazionale con la legge elettorale europea, il Consiglio di Stato, nonostante la Corte avesse detto che non c'era nessun problema di costituzionalità, ha ribaltato un'interpretazione quarantennale della legge elettorale europea, modificando il risultato del collegio unico nazionale. Anche su questo, quindi, bisogna fare attenzione.
  C'è un metodo che risolve il problema dello slittamento, presidente Mazziotti, che è il metodo D'Hondt. Se si applica quello nelle circoscrizioni, non c'è più nessuno slittamento. Certamente il metodo D'Hondt crea il problema che, con molta probabilità, pur lasciando la soglia di sbarramento al 3 per cento, se la circoscrizione non è particolarmente ampia, questa soglia si alza. Più si stringe la circoscrizione, più si innalza la soglia di sbarramento.
  In merito a ciò che è stato detto in ordine alla clausola di sbarramento dell'8 per cento per il Senato, non sappiamo come questa vicenda elettorale italiana finirà, se andremo a votare con queste leggi o se il Parlamento sarà saggio e farà delle leggi omogeneizzate, come sarebbe auspicabile, ma ci tengo a sottolineare una cosa.
  Il problema dell'esistenza di una soglia unica dell'8 per cento al Senato non mi convince. Secondo me, al Senato resistono letteralmente le coalizioni, non per il premio, ma per abbassare la soglia di sbarramento delle singole liste. Le norme che sono state abrogate dalla legge n. 52 del 2015 potrebbero vivere nel caso del Senato per presupposizione, cioè si presuppone l'applicazione di quella normativa che ai fini delle elezioni della Camera potrebbe non essere più in vigore.
  Il vincolo del mandato va collegato al voto di preferenza: se c'è il voto di preferenza, il divieto del mandato imperativo si giustifica; se non c'è il voto di preferenza e si è nella lista per opera del partito, non si dovrebbe più giustificare il divieto del mandato imperativo. Di conseguenza, molto dipende dal sistema nel suo complesso.
  Le preferenze nel sistema proporzionale sono ineludibili anche per un vincolo creato dall'Assemblea costituente. Infatti, in Assemblea costituente Lelio Basso presentò un emendamento col quale intendeva conferire funzioni costituzionali ai partiti politici, fra cui quella della scelta delle candidature nel procedimento elettorale, che si poteva ritenere vincolante.
  Quell'emendamento, però, fu disatteso dall'Assemblea costituente, per cui i nostri partiti politici hanno l'obbligo di presentare le candidature, ma non hanno in via di principio il diritto di stabilire chi deve essere eletto e chi non deve esserlo. Questo ovviamente vale molto di più nel proporzionale che nel maggioritario.

  SALVATORE CURRERI, Associato di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna «Kore». Ritorno brevemente sul tema del divieto di vincolo di mandato. Io avevo accennato nella mia Pag. 37relazione al problema dell'inutilità delle soglie di sbarramento in entrata, se poi queste possono essere tranquillamente superate grazie alla lasca normativa in tema di gruppi parlamentari.
  Il tema ovviamente sarebbe troppo vasto, perché, come ha detto bene il presidente, è quasi impossibile rispondere alla domanda «chi tradisce chi?» Certo è che la normativa elettorale e, secondo me, in maggior misura la normativa parlamentare in tema di gruppi non fanno nulla per scoraggiare questo transfughismo.
  Io sono convinto che non è il divieto di mandato il principio sulla base del quale si deve interpretare e ricostruire il sistema, bensì il principio della sovranità popolare di cui all'articolo 1 della Costituzione. Non è l'articolo 67 alla luce di cui bisogna interpretare l'articolo 1, ma è l'articolo 1 alla luce di cui si deve interpretare l'articolo 67.
  Se così è, gli spazi che si aprono per quanto riguarda le regole sulla costituzione dei gruppi sono amplissimi. Noi abbiamo una normativa lasca, in virtù della quale i gruppi parlamentari si formano soltanto sulla base di un requisito numerico, senza alcun riferimento politico, che poi paradossalmente riemerge in sede di gruppi autorizzati.
  Io sono profondamente convinto che i gruppi parlamentari debbono avere un'entità politica-elettorale. Mi rendo conto del rischio di ingessare il sistema e le vicende di questi ultimi giorni ce lo confermano. Non si può fotografare un sistema alla data delle elezioni, impedendo che questo possa evolvere, ma certo è che si possono, invece, introdurre misure sulla base dei requisiti per rendere più difficile e più onerosa la formazione di gruppi, con tutto quello che ne consegue anche in termini di contabilità e di finanziamenti.

  ALESSANDRO CHIARAMONTE, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli Studi di Firenze. Fermo restando che sottoscrivo interamente quello che è stato appena detto dal professor Curreri in tema di collegamento fra sistemi elettorali e regolamenti parlamentari, devo brevemente una risposta all'onorevole Parisi.
  L'onorevole mi chiedeva come quelle correzioni che immaginavo al sistema sottostante al premio di maggioranza potessero influenzare e assicurare la governabilità del sistema e se questo configurasse una sorta di sistema spagnolo.
  Si può immaginare di utilizzare il termine «spagnolo», anche se l'ampiezza media delle circoscrizioni è molto diversa e molto maggiore in questo caso, almeno per come la pensavo io, rispetto alla Spagna, dove effettivamente la dimensione media è molto ridotta ed è intorno a sei. Sarebbe come andare a ripartire i seggi dentro gli attuali cento collegi dell'Italicum, che forse è effettivamente eccessivo rispetto al contesto.
  Se mi si chiede se può assicurare la governabilità, rispondo che oggi non c'è nessun sistema elettorale che può assicurare la governabilità e la formazione di una maggioranza, neanche un sistema maggioritario, che ovviamente avrebbe effetti ben diversi da un sistema spagnolo o simil-spagnolo.
  Con l'abolizione della possibilità, viste le sentenze della Corte che ben conosciamo, di avere sistemi majority assuring, cioè che assicurino appunto una maggioranza, siano essi nella forma che era prevista dall'Italicum oppure dalla legge Calderoli alla Camera, è evidente che non possiamo conseguire la maggioranza in nessun modo, a meno che non cambino i rapporti di forza tra le formazioni politiche che vediamo oggi.
  Certo è che, però, pur non arrivando al bersaglio grosso, ci si può avvicinare in qualche modo, quindi non tutti i sistemi elettorali da questo punto di vista sono uguali.
  Per rispondere molto brevemente sul punto, abbiamo fatto delle simulazioni a partire dai rapporti di forza di oggi fra le varie formazioni politiche, che ovviamente possono cambiare nel prosieguo. Al Senato certe maggioranze oggi sarebbero possibili, ma non sarebbero possibili quelle stesse maggioranze alla Camera. Ciò vuol dire che l'azione di collegi e circoscrizioni a livello regionale invece di una ripartizione nazionale Pag. 38 qualcosa fa. Io dico che andiamo persino oltre.

  MARIA ELISA D'AMICO, Ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Anch'io mi riprometto innanzitutto di inserire nel testo scritto la risposta a tutte le domande. In particolare chiedo scusa all'onorevole Biancofiore, perché è un tema che non siamo riusciti ad approfondire e, quindi, lo facciamo nel testo scritto.
  Mi volevo soffermare sugli aspetti della parità di genere ma su questo si soffermerà Stefania Leone. Invece, vorrei anch'io fare qualche considerazione su questo tema centrale che avete posto sia lei, presidente, che, in particolare, l'onorevole Sisto: la centralità dell'articolo 67 della Costituzione e nello stesso tempo l'idea di introdurre strumenti che pongano argini al trasformismo.
  Anche come professori di diritto costituzionale siamo veramente in imbarazzo, perché quando spieghiamo il sistema attuale ai nostri studenti dobbiamo spiegargli anche che nell'ultima legislatura c'è stata più della metà di cambi di casacca da parte di tutti i gruppi parlamentari, in un modo che è diventato veramente patologico. Prima poteva essere fisiologico, e anche altre democrazie hanno affrontato questo problema. Anche in Germania ci sono stati per un certo periodo negli anni 1980 e l'abbiamo anche studiato. Adesso, invece, siamo veramente alla patologia.
  Sicuramente, com'è già stato detto, questo è dovuto al fatto che non c'è una disciplina seria dei gruppi parlamentari. Mi sembra che su questo tema occorra qualche norma che permetta a chi vuol cambiare e vuole uscire dal proprio partito di farlo, ma non consenta la formazione di nuovi gruppi semplicemente sulla base di un requisito numerico, consentendo invece al parlamentare di far parte del gruppo misto.
  Ovviamente anche il tema della dotazione patrimoniale potrebbe servire da deterrente. Se non c'è una sanzione, ci troviamo di fronte a un fenomeno che è molto simile a quello dell'obiezione di coscienza. Da quando l'obiezione di coscienza è senza alcuna sanzione, si obietta molto di più. È stato così per il servizio militare e in altri casi. Ricordiamo che, invece, quando c'erano sanzioni serie per chi obiettava, il fenomeno era molto più contenuto.
  Io lo legherei, però, a due importanti aspetti. Da una parte il Parlamento ha tentato di occuparsene. Non so se i progetti possano essere soddisfacenti o meno, ma c'è comunque il problema di disciplinare l'articolo 49 della Costituzione e di dare uno statuto pubblico ai partiti politici. Su questo forse la sentenza della Corte costituzionale con la valorizzazione del richiamo all'articolo 49 potrebbe essere in qualche modo un monito sotterraneo.
  L'altro aspetto fondamentale, proprio per evitare che ci possano essere incomprensioni da parte dei giudici sul tema, è una normativa sul lobbismo. Il fatto che questa attività non sia normata, come è invece nelle migliori democrazie mondiali, ovviamente è un limite della nostra democrazia.

  GIUSEPPE CALDERISI, Esperto della materia. Sono state poste molte domande. Risponderò solo ad alcune, perché altrimenti facciamo tardi. Parto da quelle poste dal presidente.
  Non c'era una domanda specifica sul problema di come armonizzare i sistemi, ma indubbiamente, come ho già detto, i sistemi di Camera e Senato oggi sono profondamente disomogenei tra loro. In uno c'è il premio ma non le coalizioni e in un altro ci sono le coalizioni ma non il premio. Le soglie sono diversissime, le norme sull'equilibrio rappresentanza uomo-donna ci sono in una parte e non nell'altra. Da una parte ci sono collegi piccolissimi con voto di preferenza e capolista bloccati, dall'altra circoscrizioni amplissime.
  Io mi auguro che il legislatore voglia colmare almeno queste differenze e scegliere l'una o l'altra soluzione. In questo quadro, se si inserisce il premio anche al Senato, mi sembra che la soglia dell'8 per cento sia assolutamente fuori quota e che vada rivista.
  Per quanto riguarda i collegi nominali con riparto proporzionale, non spetta a chi interviene in questa sede pronunciarsi su una scelta politica. Noi possiamo mettere Pag. 39in evidenza i pro e i contro di ciascun sistema.
  Quello dei collegi uninominali proporzionali presenta degli inconvenienti: ci sono collegi dove ne vengono eletti più di uno e collegi in cui non ne viene eletto nessuno, quindi rimangono senza rappresentanza. Inoltre, questo induce a una competizione e a far mancare i voti al proprio partito nei collegi dove non si è direttamente candidati per far scendere le cifre individuali dei propri competitori interni.
  Nella prima Repubblica, il Senato arrivò in un'elezione ad avere anche un milione di schede bianche in più. Ciò pesava addirittura anche al denominatore, perché il computo era fatto sui votanti e non sui voti validi. Pertanto, se viene introdotto, almeno mettete come base, non i votanti, ma i voti validi, in modo che questo fenomeno incida solo al numeratore e non anche al denominatore.
  Questi possono essere dei consigli che si possono dare. Dopodiché, come dicevo, la scelta non credo competa a noi.
  Anch'io mi voglio pronunciare sul vincolo di mandato, perché lo ritengo uno dei princìpi fondamentali del costituzionalismo liberale. Peraltro, sarebbe impossibile stabilire chi ha tradito chi.
  Basta vedere cosa è successo in questa legislatura. All'inizio della legislatura c'erano delle coalizioni, ma queste sono sparite e si è fatto un governo di larghe intese trasversale. Come si fa a stabilire chi ha tradito chi? Non si sa. Se un partito si presenta con un determinato simbolo, dopodiché quel simbolo sparisce e da quel partito nascono inizialmente due e poi cinque gruppi, è difficile stabilire chi ha tradito chi. Mi sembra che i rimedi – sono stati già detti – vadano trovati semmai nella normativa sui gruppi. Ci possono essere varie soluzioni.
  Per quanto riguarda le altre domande, io mi sono già espresso sul problema della circoscrizione Trentino-Alto Adige. Io non sono particolarmente esperto sulla misura 111. Da una sua lettura sul tenore letterale non si deduce l'obbligo di prevedere i collegi uninominali maggioritari. Tuttavia, non sono particolarmente esperto.
  Faccio rilevare che per la Camera c'è un'incidenza sulla determinazione sia delle soglie di sbarramento sia delle soglie per accedere al premio. Questo meccanismo va in qualche modo a influire. Siccome non è il numero di abitanti della Val d'Aosta, ma è un numero abbastanza significativo, di poco sotto il milione, credo che occorra valutare questa faccenda.
  Sui requisiti per quanto riguarda la parità fra uomo e donna io ho sollevato dei problemi interpretativi. Per esempio, la legge parla in alcuni casi di candidature e in altri di candidati. Cosa vuol dire «candidati»? Se la stessa persona è candidata in tre collegi, ai fini del computo dei requisiti va considerata per uno o per tre?
  C'è innanzitutto un problema di certezza del diritto, al di là del fatto che sia a favore delle donne o degli uomini. Infatti, l'applicazione può essere in un senso o nell'altro, ma il problema che mi sembra essenziale è la certezza del diritto, sapere come si fa questo computo. Siccome c'è la sanzione di inammissibilità della lista, credo che vada fatta una verifica molto precisa di questi requisiti.
  Il problema del traffico di influenza, ma io direi anche del voto di scambio, che è molto più attinente, semmai, al voto di preferenza, certamente c'è, ma questo attiene al rapporto fra magistratura e politica ed è una scelta del legislatore adottare una soluzione piuttosto che l'altra.
  Certamente sia il traffico di influenze sia il voto di scambio possono riguardare anche candidati con altri sistemi diversi dalle preferenze. Tuttavia, credo che a volte sia difficilissimo stabilire dov'è il confine fra voto di preferenza e voto di scambio e, quindi, il rischio che il rapporto fra magistratura e politica su questo ambito crei dei problemi va valutato certamente dal legislatore. Su questo non c'è ombra di dubbio.

  STEFANIA LEONE, Ricercatrice in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. In realtà, l'onorevole Centemero sollecita una riflessione più ampia, che richiederebbe più tempo. Se ho ben capito, sollecita a riflettere su quali possano essere misure antidiscriminatorie alternative Pag. 40 su questo sistema elettorale, l'Italicum, e su altri tipi di sistemi elettorali.
  Rispondo molto rapidamente per pillole, ma ci riserviamo ovviamente di metterlo per iscritto. Anzitutto bisogna partire avendo bene in mente quali sono i limiti tracciati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che richiama la necessità che qualsiasi misura antidiscriminatoria non abbia l'effetto di conseguire direttamente il risultato. Questo è un vincolo da tenere bene in mente. Sono, quindi, ammesse le misure che promuovono la parità di genere, ma non quelle che conducano direttamente al risultato. Pertanto, anche nel valutare misure alternative bisogna avere bene in mente questo paletto.
  Nell'ambito dei sistemi proporzionali le misure sperimentabili sono quelle che ormai ci siamo abituati a vedere e a maneggiare, ovvero le riserve di posti in lista o nell'ambito del complesso delle candidature e il doppio voto di preferenza.
  Nell'ambito dei maggioritari a collegio uninominale – se non sbaglio, alcune proposte depositate lo prevedono – si stabilisce una riserva di posti nel complesso delle candidature presentate all'interno di una circoscrizione. Non mi pare che ciò presenti alcun problema rispetto al paletto che ho individuato prima.
  Con più cautela, invece, si dovrebbe guardare a misure un po’ più audaci, che occorre approfondire. Mi riferisco alla possibilità che il partito sia chiamato, nell'ambito dei collegi uninominali, a presentare due candidature, uomo-donna. Ciò potrebbe avvenire immaginando la cosiddetta «coppia aperta», con una competizione interna al partito che, però, francamente convince poco, anche per l'effetto politico che potrebbe produrre questo tipo di misura, al di là del rapporto con la Costituzione.
  In alternativa, si potrebbero immaginare collegi binominali in cui si assegnino due seggi, in questo caso con l'alternativa donna-uomo. Questa ipotesi è da guardare con cautela, però, stante il vincolo posto dalla Corte costituzionale, perché qui in effetti si andrebbe molto vicino ad assegnare direttamente il risultato, quindi forse è una misura forte e da approfondire.

  AGOSTINO MEALE, Ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari. Visto l'orario, rispondo per flash a una delle domande fatte sui collegi uninominali e sulle preferenze. Nella sentenza n. 1 del 2014 la Corte non è che impone le preferenze. Io preferisco le preferenze, però non è che in astratto sono obbligatorie. La Corte ha detto che è incostituzionale quando c'è una pluralità di nomi e non c'è il collegamento o l'identificazione del candidato, quindi piccolo, con pochi nomi, astrattamente, anche il collegio uninominale sarebbe compatibile.
  Sul trasformismo e sulla domanda «chi tradisce chi?», secondo me, si confondono le conseguenze con il punto di partenza. È chiaro che, se noi ragioniamo in base all'esistente, diciamo che non si può fare, ma l'esistente deriva dal fatto che il trasformismo è consentito. Probabilmente, se noi invece torniamo alla sovranità del popolo – sono d'accordo con il riferimento all'articolo 1 – bisogna guardare a chi mi ha eletto e per fare che cosa. Qui il problema, però – e, quindi, la soluzione – è se c'è una coalizione e, quindi, se io sto in una coalizione oppure se sto in una lista e non c'è una maggioranza predeterminata. Infatti, se io sto in una coalizione e vengo eletto nell'ambito di quella coalizione, si può prevedere che io non debba poter uscire, a prescindere da quello che faccio nel mio partito, come diceva il presidente. Infatti, se il presidente del partito cambia, ci dovrebbe essere la sanzione per il partito. È ovvio.
  È chiaro che se, invece, io mi candido in una lista e poi le coalizioni si formano in un secondo momento, diventa impossibile capire chi ha tradito chi e che cosa, premesso che comunque andrebbe messo un argine – penso che questo sia condivisibile – nella volontà popolare.

  CIRO SBAILÒ, Associato di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Enna «Kore». Sarò assolutamente telegrafico, anche perché mi sono forzatamente Pag. 41 allontanato per un po’, ma ho continuato a sentire e, quindi, dirò giusto tre cose.
  È stata sollevata la questione delle procedure di voto. È in corso di approvazione un mutamento della disciplina che porta al sorteggio. Io onestamente non sono un fanatico del sorteggio a nessun livello. Non credo che sia quello il problema. Il problema è la formazione del personale che deve presiedere e fare le operazioni. Credo che ci sia anche qualche intervento in questo senso.
  Inoltre, c'è il problema del voto all'estero, che è particolarmente importante e che andrebbe forse disciplinato in una maniera rigorosa, almeno pari a quella con cui viene disciplinato il voto degli italiani in Italia.
  Concludo, lasciando tutte le altre questioni agli atti, perché non voglio abusare del tempo. Non credo che esista un aut aut tra collegio uninominale e sistema delle preferenze. Penso che questo dalla Corte esca in maniera molto esplicita, perché c'è una chiara legittimazione (non un'approvazione, ma una legittimazione di sistema) delle circoscrizioni piccole con voto bloccato, com'è in quasi tutti i sistemi proporzionali, che non hanno le preferenze, ma circoscrizioni piccole, dove la distorsione maggioritaria non viene formata esplicitamente dopo, ma si costruisce. Ciò non avviene sempre. Abbiamo visto che le ultime elezioni in Spagna non hanno dato l'esito auspicato. Comunque, la distorsione maggioritaria nasce nel vivo delle dinamiche elettorali e non è imposta dopo. Pertanto, io non credo che si possa porre in termini di aut aut.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.20.

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