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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 12 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 3558  DAMBRUOSO, RECANTE MISURE PER LA PREVENZIONE DELLA RADICALIZZAZIONE E DELL'ESTREMISMO JIHADISTA

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Marco Minniti, quale Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 ,
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 3 ,
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 9 ,
Fiano Emanuele (PD)  ... 9 ,
Piccione Teresa (PD)  ... 10 ,
Pollastrini Barbara (PD)  ... 10 ,
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 11 ,
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 11 ,
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 11 ,
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Marco Minniti, quale Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla proposta di legge Dambruoso recante misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista, l'audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Marco Minniti, quale Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.
  Ringrazio il sottosegretario e gli do la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Grazie, presidente. La proposta di legge attualmente in discussione alla Commissione per quanto mi riguarda ha un elemento di tempestività e di opportunità.
  Naturalmente non spetta a me entrare nel dettaglio del provvedimento, ma saranno la Commissione e l'Aula a definirne il testo. Tuttavia, l'idea di un intervento legislativo che agisca sui temi della radicalizzazione e della de-radicalizzazione mi sembra, dal punto di vista del contesto, altamente opportuna.
  Il testo stesso del progetto di legge chiama in causa vari ministeri, come è giusto, prevalentemente il Ministero dell'interno, ma non prevede, come è altrettanto giusto, un ruolo per l’intelligence. L’intelligence darà, al momento opportuno, un ruolo di supporto; tuttavia, non è chiamata direttamente in causa.
  D'altro canto, noi abbiano una legge che regola l’intelligence italiana: la legge 3 agosto 2007, n. 124 , ulteriormente migliorata dalla legge 7 agosto 2012, n. 133, che definisce compiti e ruoli molto precisi. Da questo punto di vista mi pare di poter dire che non c'è nessun elemento di contraddizione tra le citate leggi n. 124 e n. 133 e questo provvedimento legislativo.
  Mi sembra anche che nella discussione in Commissione il tema sia stato ben contestualizzato all'inizio del dibattito con la relazione della relatrice, che per quanto mi riguarda costituisce un riferimento importante. Come voi vedrete, io mi muoverò molto di conserva rispetto a quell'impostazione. Tuttavia, all'inizio del mio ragionamento mi sembra giusto anche informare il Parlamento del fatto che il primo settembre la Presidenza del Consiglio, proprio perché considera opportuna la questione e soprattutto importante l'azione immediata su questi temi, ha inteso predisporre una commissione di studio sui temi della radicalizzazione nel nostro Paese. Si tratta di una commissione indipendente, composta da studiosi sicuramente molto competenti nella materia, che ha l'obiettivo di presentare entro centoventi giorni, quindi entro la fine dell'anno, un rapporto pubblico. Naturalmente, trattandosi di una commissione Pag. 4 indipendente, il Governo non partecipa ai suoi lavori, ma si è limitato soltanto a insediarla. Siamo stati presenti al momento dell'insediamento per salutarli e ringraziarli, ma dopo averli salutati e ringraziati ci siamo immediatamente allontanati, perché è giusto che sia una commissione indipendente.
  La commissione, come detto, entro centoventi giorni presenterà un rapporto. Esprimo un auspicio, naturalmente senza voler in alcun modo intervenire sui tempi di discussione parlamentare: l'esito di quella commissione può agevolare o in ogni caso arricchire il percorso parlamentare, perché non c'è dubbio che il Parlamento può trovarsi di fronte una relazione che su questi temi presenta un punto di vista analitico.
  Per intenderci, quella non è una commissione tesa a favorire il dialogo interreligioso; ci sono altre sedi che hanno questi compiti. Non è nemmeno una commissione tesa a rappresentare l'Islam italiano; come voi sapete, ci sono altre sedi dove ciò avviene. In questo ambito, per esempio, c'è la consulta per l'Islam presso il Ministero dell'interno.
  La commissione ha altre finalità. Se voi mi consentite, forse il modo più semplice per spiegarne le finalità, è analizzare nel dettaglio il testo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che peraltro è brevissimo e, quindi, ci fa perdere meno tempo rispetto a quello che perderei io spiegandolo nel dettaglio.
  Le finalità sono le seguenti. La prima è effettuare una ricostruzione aggiornata del fenomeno jihadista in Italia, con l'indicazione di dati, casi recenti e linee direttrici, dedicando particolare attenzione sia alle dinamiche di mobilitazione e reclutamento che ai profili individuati dei soggetti radicalizzati. La seconda è analizzare le dinamiche organizzative dell'Islam italiano e i loro risvolti sulla radicalizzazione. La terza è esaminare le connessioni tra l'utilizzo di internet e il processo di radicalizzazione con l'analisi dello scenario jihadista virtuale in Italia. La quarta è approfondire le dinamiche dei fenomeni di radicalizzazione all'interno degli istituti di pena. La quinta è fornire orientamenti per le possibili iniziative da adottare sia in ambito repressivo sia con riguardo alla prevenzione della radicalizzazione, anche attraverso la realizzazione di misure sul piano sociale, educativo e dell'integrazione e il reinserimento nella società dei soggetti già radicalizzati.
  Su questa base, mi si consenta di fare qualche breve riferimento, almeno dal mio punto di vista, allo scenario che noi abbiamo di fronte.
  Se vogliamo parlare dei fenomeni di radicalizzazione e di de-radicalizzazione forse conviene riflettere, per un secondo soltanto, su cos'è l'Islamic State. Il presidente mi ha annunciato che ci sarà un'altra mia audizione sui temi più propriamente relativi al terrorismo, che saranno quindi approfonditi. Pertanto, non è questo il momento di fare un'analisi molto dettagliata. Tuttavia, comprendere il fenomeno dell’Islamic State è fondamentale per capire i processi della radicalizzazione.
  Non è la prima volta che il mondo affronta la minaccia di un terrorismo di matrice jihadista radicalizzato e non è una novità degli ultimi anni. Basti ricordare che poco più di un mese fa noi abbiamo ricordato il quindicesimo anniversario dell'attacco alle Torri Gemelle.
  L'attacco alle Torri Gemelle compiuto da Al Qaeda, quindi da Bin Laden, è stato eclatante e senza precedenti sullo scenario mondiale, non perché non ci fossero stati altri attentati di Al Qaeda, ma perché l'evento in sé ha prodotto quella che noi abbiamo definito «una rottura straordinaria nella storia del pianeta».
  Al Qaeda era ed è un'organizzazione jihadista radicale. Tuttavia, al Qaeda non è l’Islamic State. Naturalmente non vorrei aprire qui una singolare discussione su chi è più pericoloso tra Al Qaeda e l'Islamic State. Sinceramente, lo lascio fare ad altri e in ogni caso non penso sia utile impegnare il Parlamento in questa discussione.
  Tuttavia, il punto che vorrei qui sottolineare e che mi serve per spiegare tutto il resto è che l’Islamic State rispetto ad Al Qaeda rappresenta una novità, non solo significativa, ma in qualche modo assoluta. Pag. 5
  Dove sta l'elemento di radicale novità? Sta nel fatto che l’Islamic State, contrariamente ad Al Qaeda, non è un'organizzazione esclusivamente vocata all'attività terroristica. Naturalmente c'è un punto di congiunzione: entrambi proclamano come obiettivo finale il califfato mondiale. Tuttavia, Al Qaeda perseguiva quell'obiettivo esclusivamente con attività di carattere terroristico, mentre l’Islamic State persegue quella finalità tenendo insieme due caratteristiche che nessuna organizzazione terroristica nella storia ha mai tenuto insieme.
  La prima è quella di sviluppare una normale capacità di attività militare. L’Islamic State, come si è visto, è stato capace di sviluppare una campagna militare che in tempi abbastanza rapidi ha portato a prendere il controllo di un pezzo significativo della Siria e di un pezzo significativo dell'Iraq. Oggi l’Islamic State sul terreno militare è sulla difensiva, ha perso circa un quarto dei territori conquistati nel 2014 e circa il 50 per cento della capacità finanziaria.
  Tuttavia, quella capacità di attività che tecnicamente noi definiamo «simmetrica» è un elemento connaturante di un'organizzazione che è capace di realizzare appunto attività simmetrica, la campagna militare, e attività asimmetrica, cioè promuovere azioni di carattere terroristico. Questo fa dell’Islamic State un unicum assoluto.
  Detto questo, è stato sottolineato dalla relatrice che la cosa peggiore che si può fare è interpretare la minaccia dell’Islamic State come l'espressione di una guerra di religione. Io sono assolutamente d'accordo e non ritorno sulla questione, perché mi sembra abbastanza chiara e soprattutto ben fondata.
  Tuttavia, noi dobbiamo ragionare su un dato: non assecondare l'idea di una guerra di religione – sarebbe un gigantesco favore fatto all’Islamic State – e nello stesso tempo comprendere che c'è una forte componente ideologica nell'attività dell’Islamic State, intrisa di simbologia religiosa. Non è la religione, ma è una forte componente ideologica intrisa di simboli religiosi.
  D'altro canto, è la storia dell'uomo che ci mostra come a volte l'uso strumentale della religione sia stato considerato in parte il punto di passaggio per l'irrazionalità. In altre parole, i gesti massimamente irrazionali nella storia dell'umanità sono stati compiuti attraverso un uso strumentale della religione.
  C'è un libro molto bello, scritto da una studiosa che si chiama Karen Armstrong, il cui titolo è «Fields of blood» (Campi di sangue), che racconta la storia dell'uomo attraverso le guerre o le azioni terroristiche compiute in nome di una religione, dimostrando che nella stragrande maggioranza dei casi la religione non c'entrava nulla.
  Dico questo, perché è fondamentale. Noi stiamo discutendo di radicalizzazione. Se non ci fosse una fortissima componente ideologica, intrisa di simboli religiosi, non ci sarebbe la radicalizzazione, cioè verrebbe meno l'oggetto di cui stiamo parlando e noi compiremmo un gigantesco errore.
  Se fosse possibile riepilogare come è avvenuto l'attacco terroristico in giro per il mondo da quando si è manifestato l’Islamic State, per facilità io partirei dall'inizio del 2015, da Charlie Hebdo.
  Il quadro ha una sufficiente coerenza. Noi possiamo ricavare tre tipi di attacchi terroristici. Il primo tipo è l'attacco terroristico organizzato: ci si muove sul terreno mettendo in campo componenti militari o che in ogni caso assomigliano moltissimo a componenti militari. Se devo fare un riferimento preciso, cito l'attacco a Parigi del 13 novembre al Bataclan. Agiscono più gruppi, con metodiche tipiche dei gruppi militari, probabilmente coordinati e in rapporto con una struttura esterna a Parigi, molto presumibilmente collocata in Siria. Si agisce attraverso un rapporto quasi di connessione e di comando.
  La seconda metodica è quella dei piccoli gruppi, in molti casi gruppi familiari, gente legata da vincoli molto più forti della semplice conoscenza, oppure singoli individui di solida radicalizzazione, ovvero che hanno avuto un percorso di radicalizzazione che è maturato nel tempo e che dura nel tempo. Pag. 6
  La terza metodica è quella dei lone wolf «nudi e crudi», che più lone wolf non si può. Il lone wolf è il lupo solitario di radicalizzazione veloce, in alcuni casi immediata, avvenuta in giorni o in settimane immediatamente prima dell'atto terroristico.
  La cosa che appare evidente è che la stragrande maggioranza dei percorsi di radicalizzazione avviene attraverso il web. Non c'è nulla di più drammatico di una radicalizzazione che avviene attraverso il web: è il rapporto dell'individuo con lo strumento. È una radicalizzazione ideologica, intrisa di simboli religiosi, che avviene nel rapporto one to one tra l'uomo e la macchina. Non c'è un'altra intermediazione; nella stragrande maggioranza dei casi non c'è un rito collettivo, per quanto inaccettabile possa essere.
  Qui emerge un punto cruciale: l'importanza decisiva della comunicazione. Se guardate bene, una delle caratteristiche fondamentali che hanno segnato la storia dell’Islamic State sin dalle sue origini è l'uso estremo del simbolo. Ricordate le prime apparizioni mediatiche, le tute arancioni, le decapitazioni.
  È chiaro che qualunque tipo di morte è inaccettabile. Tuttavia, il fatto che la si amplifichi con la metodica più drammatica e truculenta possibile serve a trasmettere un messaggio.
  Dalle tute arancioni alle decapitazioni, progressivamente questa tecnica si è affinata. A un certo punto noi abbiamo avuto un meccanismo. Cito qualche esempio per rendere più evidente quello di cui sto parlando.
  Abbiamo avuto l'attacco compiuto al ristorante di Dacca, nel quale purtroppo sono morti nove nostri connazionali. Non entro nella dinamica dell'evento. I temi saranno valutati in altre circostanze e sono stati già valutati in altre sedi parlamentari. La cosa che più colpisce è che, mentre era in corso l'atto terroristico, ovvero mentre il gruppo criminale aveva preso il controllo del ristorante e stava procedendo all'eliminazione fisica degli avventori considerati generalmente degli infedeli – ricordo in proposito che in quella circostanza morirono nove italiani, ma morirono anche, per esempio, turisti giapponesi a dimostrazione che il concetto è quello dell'infedele in quanto tale, nemmeno dell'occidentale, perché muoiono anche dei giapponesi – mentre era in corso quindi quell'atto terroristico, mentre le forze di sicurezza del Bangladesh avevano circondato il ristorante, il nucleo terroristico non era impegnato a trovare una via di fuga, ma era impegnato a scattare le fotografie di quello che aveva fatto e a postarle, cosa che effettivamente è avvenuta: le fotografie vengono postate prima che ci sia l'attacco delle forze speciali del Bangladesh. Noi ci troviamo di fronte al racconto in diretta di un atto terroristico.
  Voi ricorderete l'episodio del lone wolf che a Parigi ammazza una giovane coppia di poliziotti. Entra in casa e, mentre aspetta l'attacco delle forze speciali, anche in quel caso, non ha intenzione di fuggire, ma si auto-riprende con in braccio il bambino della coppia che lui aveva appena ammazzato e posta il video, se non ricordo male, su Youtube. Se non sbaglio, la frase era: «Cosa faccio adesso di questo povero orfano?».
  Vi sto raccontando queste cose per trasmettervi un messaggio: per l’Islamic State, per coloro che vi si richiamano – in seguito vedremo che non sono tutti agenti dell’Islamic State, ma si richiamano a esso – per questo tipo di terrorismo, l'atto terroristico e il racconto dell'atto terroristico si equivalgono.
  È importante l'atto terroristico più sfidante possibile e più drammatico possibile, ma è altrettanto importante raccontare quell'atto terroristico, perché il racconto dell'atto terroristico è una carta importante sia per il reclutamento che per l'emulazione.
  Se qualcuno può guardare quello che è stato fatto, mi serve per il reclutamento, perché c'è gente che vede qual è la mia capacità. Naturalmente è una capacità aberrante e inaccettabile; tuttavia, quello serve per il reclutamento e serve per l'emulazione. Infatti, io poi non ho bisogno di trasmettere un ordine; basta che qualcuno Pag. 7guardi quei filmati e faccia quello che ha visto che è stato già fatto. È già avvenuto.
  Se guardiamo le componenti individuali dei terroristi che sono morti o di quelli che sono stati catturati, vediamo che in alcuni casi c'è, per esempio, un aspetto di estrema fragilità individuale.
  Nella commissione di studio istituita dalla Presidenza del Consiglio, abbiamo incluso alcuni psichiatri e alcuni psicologici. Voi vi chiederete cosa c'entrano gli psichiatri e gli psicologi con l'azione di contrasto al terrorismo. C'entrano eccome.
  Il punto qual è? Noi abbiamo avuto in alcuni casi, chiaramente non in tutti, persone molto fragili, che, in un processo di rapidissima radicalizzazione, sono entrate dentro una dinamica che poi è stata la dinamica dell'atto terroristico.
  Voi potreste dirmi che gli spostati ci sono sempre stati nella vita dell'umanità. È vero: le persone fragili ci sono sempre state. Il punto delicato è che può succedere che a un certo punto una persona fragile, che vuole fare qualcosa che dimostri la sua ostilità verso la società, affitti un TIR di quattordici tonnellate, vada in un posto affollato e ammazzi decine di persone. Questo è l'elemento di novità.
  Il punto di connessione tra l'elemento di disagio individuale e l'atto terroristico sta nel racconto dell'atto terroristico. Basta soltanto vedere quello che l’Islamic State pubblica.
  Abu Muhammad al-Adnani, che era il ministro della propaganda dell’Islamic State, deceduto, come voi sapete, in Siria qualche mese fa, aveva spiegato come fare: «Volete colpire? Non c'è bisogno che qualcuno vi dica come fare. Avete dell'esplosivo? Fatevi una cintura esplosiva. Avete un'arma? Utilizzate l'arma. Avete un coltello? Utilizzate il coltello. Non avete nessuna delle tre cose? Prendete una macchina o un camion».
  Il punto è che l'elemento della comunicazione dell'atto terroristico serve per stabilire una sorta di «egemonia del terrore». So che uso un termine un po’ impegnativo, ma vorrei che ci intendessimo fino in fondo. Io metto in campo una metodica talmente forte che chiunque voglia produrre un atto di terrore si rivolge a quello che l’Islamic State ha già messo in campo. Questo è un aspetto cruciale per ragionare sulla radicalizzazione.
  Io ho raccontato tutto ciò perché, pur avendo chiaro che l’Islamic State non è invincibile – infatti, l’Islamic State sarà sconfitto e, per quanto già detto, sta sulla difensiva sul terreno militare e sta perdendo finanziamenti – se questa è la radice del fenomeno, io temo che questo fenomeno ci accompagnerà per un certo periodo. Non è una questione che si risolverà con un «pezzo di storia» che verrà rapidamente messo tra parentesi.
  Per questo è importante che ci siano iniziative di medio periodo come quella di cui stiamo discutendo, perché l'obiettivo è prepararsi a costruire un sistema che funzioni nel tempo.
  Studiare i percorsi di radicalizzazione, quindi, è assolutamente decisivo, per una ragione semplicissima: l'altro elemento che risulta evidente dagli attentati compiuti in Europa è che gli attentatori sono europei, a vario titolo, ma sono europei.
  A tal riguardo c'è un punto delicatissimo: l'Europa ha fornito negli anni all’Islamic State migliaia di foreign fighters. I numeri in quest'ambito sono sempre molto scivolosi, ma orientativamente ci dicono che circa 5.000 europei sono andati a combattere per la jihad. Cinquemila non è un numero piccolissimo.
  I foreign fighters sono il punto di connessione tra la capacità simmetrica, cioè l'iniziativa militare, e la capacità asimmetrica di cui parlavo all'inizio. I foreign fighters, letteralmente «combattenti stranieri», vanno a combattere e, quindi, sono militari schierati sul terreno, ma domani possono essere agenti del terrorismo internazionale. Il punto di connessione sono i foreign fighters.
  Voi ricorderete che la prima volta in cui emerse questa questione fu quando a un certo punto si scoprì che il boia Jihadi John parlava un corretto inglese. Ricordo che allora tutti quanti dicemmo: «Guardate, hanno fatto un errore. Hanno fatto comprendere che parlavano inglese». Sembrava quasi che fosse una cosa sfuggita loro Pag. 8di mano. Invece, non era sfuggita di mano; volevano che si sapesse che parlavano inglese perché, per ovvi motivi, questo aumentava l'elemento di ansia nella comunità altra. Se Jihadi John parla inglese con accento tipicamente londinese, l'ansia incomincia a essere un pochino più forte, e l'ansia è una componente essenziale di qualunque attività terroristica.
  Se è così, è chiaro che, tra le altre cose di cui dovremmo discutere e di cui penso discuterà questa Commissione e di cui sicuramente si occupa il progetto di legge, vi sono le politiche di integrazione. C'è un rapporto tra radicalizzazione, deradicalizzazione e politiche di integrazione. Non è un caso che vi sia un capitolo dedicato al ruolo della scuola, che è molto importante.
  Non è un caso nemmeno che il numero più alto di foreign fighters riguarda i Paesi di antica immigrazione: Francia, Regno unito e Germania. Noi sul terreno dell'immigrazione siamo un Paese relativamente più giovane, ma questo non ci esime dall'affrontare, proprio per questo, il tema delle politiche di integrazione, che diventa assolutamente cruciale.
  Infine, faccio due ultime considerazioni. Sicuramente è molto importante anche il dialogo interreligioso. Per esempio, considero – lo dico qui, in una sede parlamentare – molto importante l'iniziativa del Santo Padre. È fondamentale, infatti, che il rappresentante della Chiesa cattolica si presenti come il punto più importante del dialogo interreligioso, soprattutto per rendere evidente che non siamo di fronte a una guerra di religione.
  Il dialogo interreligioso va visto anche come un elemento teso ad evitare la radicalizzazione. Non c'è dubbio alcuno da questo punto di vista. Personalmente, penso che, accanto all'attività più propriamente governativa, sono molto importanti gli accordi che alcuni comuni hanno fatto con le comunità islamiche, accordi che hanno stabilito, per esempio, il fatto che in quei comuni dove ci sono gli accordi le prediche degli imam vengano fatte in italiano.
  È importante il fatto in sé, ma lo è altrettanto che non sia stato deciso da un'iniziativa legislativa del Parlamento italiano o del Governo italiano perché qualunque iniziativa di parlamenti o governi sulle religioni è molto delicata. Allora, è molto importante che questo sia nato attraverso un'assunzione di responsabilità direttamente delle comunità islamiche. Lo considero, dunque, decisivo per il tipo di modello che dobbiamo seguire. Infine, si tratta di studiare i fenomeni di radicalizzazione e prevenirla, ma anche di affrontare il tema della deradicalizzazione, ovvero di quei soggetti che si sono radicalizzati; magari sono entrati anche in contatto con Islamic State, ma non hanno fatto il passo di diventare terroristi. Per quelli, infatti, non c'è altra alternativa dell'attività di repressione. Questa è una questione molto delicata perché più va avanti la sconfitta di Islamic State sul piano militare, quindi più perde terreno, più c'è il fenomeno dei cosiddetti «returner», cioè di coloro che ritornano.
  È chiaro che ci sarà chi ritornerà con intenti criminali, ma anche ci sarà chi ritornerà e basta. In questo momento in Europa abbiamo più di un migliaio di persone che sono già ritornate. Tra quelle identificate dai vari Governi, ci sono – ripeto – più di un migliaio di persone che sono già ritornate. Alcune di queste ritornano, peraltro, anche con le famiglie, il che comporta il problema di conciliare la tematica fondamentale dei controlli di sicurezza – su cui vorrei tranquillizzarvi: sono in cima ai nostri pensieri; il primo punto sono i controlli sicurezza, poi viene tutto il resto – con la possibilità di uscirne per coloro che sono entrati dentro un percorso radicale.
  Questo è un elemento fondamentale dal punto vista dell'azione di prevenzione e di repressione. Una parte di questi può dissociarsi. Del resto, la dissociazione è un elemento importante nelle indagini.
  C'è, però, un altro dato. L'interesse della comunità è evitare che ci sia un circuito per cui c'è la radicalizzazione e immediatamente dopo l'unica possibilità è l'atto terroristico. Ecco, dobbiamo trasmettere il messaggio che dopo la radicalizzazione c'è un'altra possibilità, ovvero quella di tornare Pag. 9 indietro rispetto alla radicalizzazione stessa. Questo non è un fenomeno che può essere gestito soltanto da colui che è radicalizzato, ma comporta un meccanismo molto complesso di leve che bisogna agire.
  Noi abbiamo un rapporto anche con altri Paesi che stanno affrontando questo tema. Per noi i numeri sono molto piccoli; altri Paesi hanno numeri molto grandi. Tutto questo comporta – se mi è consentito – non soltanto una legge, che naturalmente è importante, ma anche il fatto che si tenga una finestra aperta sulle metodiche di studio perché stiamo parlando di fenomeni che non abbiamo mai affrontato.
  Cosa vuol dire – per essere più chiari – avviare un processo di deradicalizzazione? Come si fa concretamente? Io avverto il problema. Tutto questo comporta un punto straordinario di connessione interdisciplinare perché mette insieme gli elementi della sicurezza, della religiosità, della psicologia e dell'affettività.
  Insomma, è una cosa molto complessa, che ci porta a dire che ci stiamo confrontando con un fenomeno mai avvenuto prima. Non ci siamo mai potuti porre il problema di deradicalizzare: «radicalizzazione» e «deradicalizzazione» sono termini che sono strutturati nella lingua italiana, ma li abbiamo sempre utilizzati per un altro tipo di contesto. Li stiamo affrontando per la prima volta in contesti del tutto nuovi e originali.
  Per questo, se il Parlamento, nella sua autonomia, dovesse decidere di legiferare su questi temi, a mio avviso, va nella direzione di colmare un vuoto. Dopodiché, naturalmente, dire come colmare un vuoto non spetta al Governo, che deve guardare con rispetto e attenzione all'iniziativa del Parlamento.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  EMANUELE FIANO. Vorrei fare due domande. La prima è per il sottosegretario. In questo scenario di grandi cambiamenti che ha descritto così bene, con la visione di fenomeni – lo ha appena detto nel finale – che prima non avevamo visto in questa qualità e dimensione, le chiedo se ci siano stati dei cambiamenti di attitudine, di organizzazione e di profilo dei servizi di informazione e sicurezza. Ecco, visto che ci ha magistralmente descritto un quadro profondamente cambiato, mi ponevo questa domanda.
  La seconda è più legata alla radicalizzazione del terrorismo, che è stato il fulcro del suo intervento e che è l'argomento del testo di legge che stiamo esaminando sulle politiche di prevenzione o di contrasto alla radicalizzazione, peraltro non da intendersi solo nel campo dell'islamismo, anche se quello è il principale ambito di interesse.
  Su questo profilo, prendendo a prestito la distinzione tra asimmetria e simmetria che lei ha usato per descrivere la nuova dimensione del terrorismo di matrice jihadista, personalmente – esprimo qui il mio parere e vorrei sentire il suo – penso che potremmo fare determinate azioni che riguardano i rapporti con le comunità musulmane del nostro Paese solo se queste siglano con lo Stato italiano un'intesa globale. Ecco, considero questa la parte del rapporto simmetrico tra due entità che pattuiscono a livello istituzionale degli accordi che permettono poi l'esplicazione di alcune politiche di deradicalizzazione o di prevenzione della radicalizzazione.
  Faccio questa domanda perché uno dei punti che ha citato nell'elenco delle pratiche relative alla necessità di prevenzione della radicalizzazione riguarda le politiche di integrazione. Lei ha giustamente citato buone pratiche di numerosi nostri sindaci. Ecco, penso alla necessità, alla richiesta o alla volontà o meno di costruire nuovi luoghi di culto o comunque di organizzazione della vita comunitaria.
  Anche in questo campo – questo è il mio punto di partenza, ma forse mi sbaglio – in assenza di un quadro di accordo istituzionale tra parti, ho difficoltà a pensare che alcune delle pratiche di prevenzione alla radicalizzazione si possano fare, appunto, senza accordo con una controparte.
  Lei ha descritto come molto frequenti, purtroppo, forme di radicalizzazione rapidissima Pag. 10 di persone singole, che esulano dal fatto che le comunità si accordino. Tuttavia, per la gran parte delle cose che ha descritto mi pare che un gradino da superare sia proprio quello dell'accordo istituzionale, dunque dell'intesa che nel nostro Paese, per quello che riguarda le comunità islamiche, non è stata ancora siglata.
  Nello specifico, l'ultima cosa che le chiedo è se pensa – tra l'altro lei è stato protagonista in un'altra stagione di governo; era viceministro del Ministro dell'interno Amato quando fu fatto il tentativo di siglare una carta d'intesa dei valori – che su questo punto, propedeuticamente al successo di una battaglia di prevenzione della radicalizzazione, serva un'intesa globale con il mondo musulmano italiano o si possa procedere per singole intese con singole comunità.
  Noi abbiamo di fronte un problema molto asimmetrico, come direbbe lei. Tuttavia, vista la sua esperienza e il quadro che ci ha descritto, mi piacerebbe sentire la sua opinione sia sul primo sia sul secondo punto.

  TERESA PICCIONE. La ringrazio per la relazione perché è stata veramente illuminante. Ho un dubbio che in parte esula da quello che ci siamo detti. In questa nostra vicenda di accoglienza e respingimenti di chi non ha il diritto di fermarsi per l'asilo in Italia o non ha un permesso regolare, abbiamo dati sul fatto che le persone, soprattutto i giovani, che noi rimandiamo nei loro Paesi non siano poi attratti da fazioni terroristiche locali?
  La rabbia di essere ritornati dopo percorsi accidentati e difficili li spinge più di prima verso queste strade oppure tornano e si reinseriscono nelle loro comunità? Ecco, abbiamo dei dati in tal senso?

  BARBARA POLLASTRINI. Anch'io voglio ringraziare il sottosegretario Minniti, che ha mescolato – se posso dare una mia opinione – una grande professionalità a una passione che non sentiamo spesso in queste audizioni, che talvolta vedono comunicazioni più burocratiche.
  Detto questo, vorrei dire al sottosegretario che lo ritengo un interlocutore importante per noi che ci siamo presi l'onere di questa proposta di legge. Dico subito che noi intendiamo la proposta di legge – qui c'è il primo firmatario, onorevole Dambruoso, mentre il collega Manciulli è andato via – come il tassello di un programma più vasto, come evocava il sottosegretario, a cui concorrono istituzioni sovranazionali, europee e i governi. Peraltro, sicuramente audiremo chi sta in frontiera, quindi sindaci e associazioni.
  La prima non è, pertanto, una domanda, ma una richiesta. In questa Commissione terremmo molto ad avere, non appena sarà pronto, il rapporto dell'indagine a cui si riferiva, per poterne discutere. Penso che pur accelerando la nostra discussione qui in Aula con tutti i gruppi – l'intento è far sì che questa proposta di legge sia il più possibile condivisa – sia molto importante avere per tempo gli esiti di quella indagine proprio perché la legge sia arricchita da studi, conoscenze e riferimenti che a oggi non abbiamo. La mia è, pertanto, una richiesta affinché la nostra Commissione sia un po’ privilegiata da questo punto di vista.
  La seconda domanda le è stata rivolta dall'onorevole Fiano. Io voglio solo dire che ritengo la sua opinione non secondaria perché anche nelle audizioni precedenti molti interlocutori sono intervenuti sul punto della necessità e dell'urgenza di provvedere, se non è possibile a un'intesa, a intese con le comunità.
  La terza domanda che le faccio è, invece, più mirata. Tenendo conto della proposta di legge Dambruoso, vorrei conoscere il suo punto di vista su un'iniziativa legislativa rivolta in particolare alle carceri. Questa era già una nostra opinione, ma nelle audizioni che abbiamo avuto lunedì scorso c'è stata una grande sottolineatura della necessità di prevedere un'iniziativa specifica mirata alle carceri.
  Infine – mi scuso, sarò brevissima – mi interessa sapere se lei ha un'opinione già maturata rispetto a quell'esperienza francese in costruzione su cui, sempre nelle audizioni, abbiamo avuto opinioni contrastanti. Mi riferisco al recupero dei «ritornanti Pag. 11». Ecco, lei è a conoscenza di altre esperienze simili?
  Da ultimo, ho una domanda che faccio a me stessa e soprattutto alle colleghe di questa Commissione, visto che nelle altre audizioni altri sono intervenuti su come immaginare, anche attraverso un disegno legislativo, iniziative mirate a un dialogo in particolare fra le donne che possono essere un veicolo decisivo per la ricostruzione dell'integrazione. Non è una cosa banale quella che sto dicendo perché sapete che stiamo assistendo, non solo in Europa, ma anche nei Paesi di provenienza, a forme di radicalizzazione di una parte del mondo femminile che qualche anno fa non avremmo neppure immaginato.

  STEFANO DAMBRUOSO. Ringrazio per la presentazione che ha fatto il sottosegretario, anche perché ha confermato, nei suoi vari aspetti, la necessità dell'obiettivo che ci siamo posti con l'avvio di questa proposta di legge. Anche in altre circostanze in cui c'è stato il tentativo di legiferare al meglio sulla materia del terrorismo, ho apprezzato, sottosegretario, la sua schiettezza e il suo pragmatismo su alcuni aspetti, che ora vado a proporre in termini nuovi quando si parla di contro-narrazione.
  Lei ha fatto cenno al web e all'importanza della comunicazione sul web. Ecco, lei ha metabolizzato una cultura importante presso il Ministero dell'interno e sa quanto sia concretamente praticabile, non solo tecnicamente, ma anche in termini di adesione convinta da parte degli operatori, un percorso di contro-narrazione. Ecco, ritiene praticabile un percorso del genere presso il Ministero dell'interno o la Presidenza del Consiglio che, anche in termini subliminali, si riferisca a un target preciso di interlocutori che immagino essere i figli delle seconde e terze generazioni che di qui a 10, 15 o 20 anni popoleranno sempre di più il nostro territorio?

  PRESIDENTE. Do la parola al Sottosegretario Minniti per la replica.

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Rispondo brevemente perché non voglio sovrappormi a un'altra riunione. Se mi consentite, in alcuni casi darò delle risposte per iscritto. Infatti, la nostra conversazione può continuare anche, appunto, per iscritto.
  A questo punto, mi limiterei a due questioni. La prima è la contro-narrazione, che è molto importante. Tuttavia, la contro-narrazione non è un'iniziativa del Governo, bensì del sistema Paese. Su questo, ci siamo intesi.
  La risposta alle questioni poste dall'onorevole Fiano, per quanto riguarda le contromisure dell’intelligence, la mando per iscritto perché è molto complessa. Mi fa molto piacere mandarvela, ma lo farò – ripeto – per iscritto.
  Penso che dobbiamo lavorare perché ci sia un'intesa tra lo Stato e le comunità islamiche. Sapete che il punto di difficoltà massimo sta nel fatto che non ce n'è una, ma sono diverse. Tuttavia, a mio avviso, anche se diverse, bisogna fare un tentativo.
  Aggiungo anche che considero cruciale affrontare il tema della formazione dei predicatori. Sono stato in Marocco, dove ho visitato la scuola degli imam di Rabat. Se i colleghi della Commissione affari costituzionali decidessero di andarla a visitare, sarebbe importante. Penso che occorra costruire una collaborazione da questo punto di vista, perché un elemento della battaglia contro la radicalizzazione sta nell'affrontare le metodiche della formazione dei circuiti di trasferimento delle conoscenze religiose.
  Il problema è se affrontiamo sempre le questioni a valle, dopo che sono avvenute, o cominciamo ad affrontarle a monte, prima che avvengano. Ecco, questo significherebbe affrontare le questioni un pochino più a monte e non a valle.
  Sui migranti, non abbiamo dati che ci possono dire questo, quindi qualunque mia affermazione sarebbe in questo momento sbagliata. Tuttavia, tengo conto dell'osservazione e della domanda che ha fatto, quindi apriremo un riflettore anche su questo per cercare di capire di più. Pag. 12
  Infine, rispetto alle questioni poste dall'onorevole Pollastrini, sull'iniziativa delle carceri le darò una risposta per iscritto. Infatti, come sapete, con la legge antiterrorismo sono stati consentiti colloqui investigativi dell’intelligence dentro le carceri italiane, quindi se vuole le darò una risposta che impatta proprio su questo.
  Per quanto riguarda, invece, i lavori della Commissione le rispondo immediatamente. La Commissione finisce tassativamente entro 120 giorni. A lume di naso, siamo subito dopo Capodanno. Tuttavia, se questa Commissione – non adesso, ma passato qualche giorno – decidesse di voler ascoltare i vertici della Commissione o un gruppo della Commissione non penso ci saranno difficoltà.
  È chiaro, però, che la Commissione non può anticipare il rapporto in questa sede. Se la Commissione e il Parlamento potessero aspettare il rapporto, sarebbe meglio. Altrimenti si può prendere un contatto con la commissione, che può anticipare un canovaccio perché, nel momento in cui il Parlamento legifera, l'intento del Governo era costruire una realtà indipendente che, tuttavia, potesse, appunto, interfacciarsi positivamente con l'attività del Parlamento.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare nuovamente il Sottosegretario Minniti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.