Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE ESAME C. 1751 BUSINAROLO, RECANTE DISPOSIZIONI PER LA PROTEZIONE DEGLI AUTORI DI SEGNALAZIONI DI REATI O IRREGOLARITÀ NELL'INTERESSE PUBBLICO
Audizione dell'Avvocato generale presso la Corte di cassazione, Nello Rossi, e del professor Gabrio Forti, ordinario di diritto penale presso l'Università Cattolica del Sacro cuore di Milano.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3
Rossi Nello , Avvocato generale presso la Corte di cassazione ... 3
Ferranti Donatella , Presidente ... 7
Forti Gabrio , Professore ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro cuore di Milano ... 7
Ferranti Donatella , Presidente ... 12
Businarolo Francesca (M5S) ... 12
Ferranti Donatella , Presidente ... 12
Businarolo Francesca (M5S) ... 12
Mattiello Davide (PD) ... 12
Ferranti Donatella , Presidente ... 13
Rossi Nello , Avvocato generale presso la Corte di cassazione ... 13
Ferranti Donatella , Presidente ... 15
Rossi Nello , Avvocato generale presso la Corte di cassazione ... 15
Dambruoso Stefano (SCpI) ... 16
Rossi Nello , Avvocato generale presso la Corte di cassazione ... 16
Ferranti Donatella , Presidente ... 16
Forti Gabrio , Professore ... 16
Ferranti Donatella , Presidente ... 19
Forti Gabrio , Professore ordinario di diritto penale presso l'Università Cattolica del Sacro cuore di Milano (fuori microfono) ... 19
Ferranti Donatella , Presidente ... 19
Forti Gabrio , Professore ordinario di diritto penale presso l'Università Cattolica del Sacro cuore di Milano (fuori microfono) ... 19
Ferranti Donatella , Presidente ... 19
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE
DONATELLA FERRANTI
La seduta comincia alle 16.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione dell'Avvocato generale presso la Corte di cassazione, Nello Rossi, e del professor Gabrio Forti, ordinario di diritto penale presso l'Università Cattolica del Sacro cuore di Milano.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'avvocato generale presso la Corte di cassazione, Nello Rossi, e del professor Gabrio Forti, ordinario di diritto penale presso l'Università Cattolica del Sacro cuore di Milano.
Do la parola a Nello Rossi, avvocato generale presso la Corte di cassazione, per lo svolgimento della sua relazione.
NELLO ROSSI, Avvocato generale presso la Corte di cassazione. Ringrazio la presidenza di questo invito, che mi permette di portare un contributo, che spero sia utile, alle Commissioni riunite.
Noi stiamo ragionando su una sorta d'innesto di un istituto nato in altri ordinamenti e da altre esperienze (come una pianta nata in un altro clima) sul tronco del nostro ordinamento. Mi riferisco alle diverse esperienze dei Paesi anglosassoni, dal Public Interest Disclosure Act del Regno Unito alla più recente normativa sul whistleblowing, in vigore negli Stati Uniti dal 2002.
Nel nostro ordinamento un innesto timido e parziale è stato già posto in essere con la legge n. 190 del 2012, la cosiddetta «legge Severino», che ha introdotto nel decreto legislativo n. 165 del 2001 l'articolo 54-bis, recante una disciplina del whistleblowing limitata al settore pubblico.
La proposta di legge su cui viene chiesto un nostro contributo alla riflessione, l'Atto Camera n. 1751 presentata dall'onorevole Businarolo e altri, è invece una normativa che ha più ambizioni, perché propone di estendere l'istituto anche al settore privato e detta disposizioni più dettagliate.
Poc'anzi ho parlato di un innesto. Gli innesti sono operazioni molto delicate: possono attecchire e dare splendidi risultati, oppure possono incontrare delle difficoltà. Non farei un buon servigio se tacessi le difficoltà di questo innesto. Cercherò di indicare, nei limiti della mia esperienza, quali potrebbero essere alcuni accorgimenti per superare queste difficoltà. Non le neghiamo, perché altrimenti corriamo il rischio di non favorire l'operazione.
Guardando all'ordinamento penale preesistente su cui questo istituto si innesta, io trovo tre elementi che un agronomo chiamerebbe di «disaffinità», cioè di diversità, che possono pregiudicare la situazione complessiva.
Il primo è il regime delle denunce che esiste nel nostro ordinamento. Infatti, il regime delle denunce che ci è stato consegnato dal diritto penale classico sembra Pag. 4– ed è in effetti – più ispirato al timore di diffuse e generalizzate violazioni che non a stimolare la segnalazione degli illeciti. Non dico che questa sia un'impostazione corretta, ma è quella che ci viene dal passato. Tenterò di motivare questa affermazione con un paio di riferimenti normativi.
Il secondo elemento che rende complicato, anche se non impossibile e, a mio avviso, anche desiderabile, l'innesto dell'istituto del whistleblowing nel nostro ordinamento è il netto sfavore verso le denunce anonime, che si esprime in norme giuridiche precise, dal contenuto molto chiaro e inequivocabile. Ciascuno di noi può avere le opinioni più differenti sulle denunce anonime, ma è certo che il Codice di procedura penale reca norme molto precise sulle denunce anonime, che esprimono un netto sfavore.
Il terzo elemento da considerare è che, per ragioni che motiverò di qui a poco, la riservatezza del denunciante è praticamente impossibile nel processo penale ed è molto problematica nel procedimento disciplinare, anche se la legge Severino ha fatto un tentativo di tutelarla fin dove è possibile.
Ritorno su questi tre aspetti che ho sinteticamente tratteggiato. Per ciò che concerne il regime delle denunce, noi abbiamo un sistema di denunce basato pressoché esclusivamente su obblighi di denuncia limitatissimi per il cittadino comune. Infatti, quest'ultimo ha l'obbligo di denunciare solo delitti molto gravi, che attentano alla sicurezza dello Stato oppure alla sicurezza individuale. In particolare, solo in tre casi il cittadino ha un obbligo di denunciare: delitti contro la personalità dello Stato, sequestro di persona a scopo di estorsione e, in alcuni casi, detenzione di armi. Al di fuori di questi casi, il cittadino non ha obblighi.
Solo gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno l'obbligo di denunciare tutti i reati di cui vengono a conoscenza. I pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno un obbligo circoscritto solo ai reati di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni. Questo vale anche per i magistrati.
Parlando di norme che possono in qualche modo essere utili a delineare la disciplina del whistleblowing, voglio ricordare una peculiarità. Nel codice disciplinare dei magistrati, non solo è previsto che sia sanzionata disciplinarmente l'ingiustificata interferenza di un magistrato nei confronti di un altro magistrato, ma è prevista anche una sanzione disciplinare – questo mi sembra significativo ai fini del tema di cui parliamo – nel caso in cui il destinatario dell'interferenza non la comunichi al capo dell'ufficio.
Perché ho ricordato questa norma ? Io sono convinto che non è opportuno che il quadro degli obblighi di denuncia subisca radicali mutamenti e che sia ampliata la sua area. Questa è la mia opinione, ma mi pare che la proposta di legge non imbocchi questa via.
La direzione di marcia più opportuna, se si vuole valorizzare questo istituto, è quella, già imboccata dalla «legge Severino» e prospettata ulteriormente nella proposta di legge Businarolo, di stimolare casi di segnalazione di vario tipo o anche di denuncia, e di assicurare una rigorosa tutela al denunciante, che, allo stato, è molto limitata e assolutamente inesistente nel settore privato. Questa è la direzione di marcia.
Per esempio, se dovessi indicare un obbligo ulteriore a carico dei lavoratori di un'impresa o di un dipendente pubblico, questo potrebbe essere l'obbligo di denunciare una proposta corruttiva o una proposta di illecito che gli viene fatta da un collega di lavoro o da un terzo. In questo caso, si creerebbe una sorta di sfiducia da parte di chi avanza le proposte corruttive, che può contare meno sull'omertà, perché sa che il destinatario della sua proposta corruttiva è, a sua volta, tenuto, pena una sanzione disciplinare o una sanzione di altra natura nell'ambito del rapporto di lavoro, a riferire il fatto.
La direzione di marcia, come ho detto, è quella dell'incentivo, della tutela e della protezione. Su questo non si discute. Se si può immaginare un campo in cui il regime Pag. 5degli obblighi di segnalazione e di denuncia oggi esistente può essere ampliato, forse è questo.
Passo a illustrare sinteticamente l'altra difficoltà che enunciavo. Noi abbiamo un ordinamento che contiene delle disposizioni molto radicali sulle denunce anonime. L'articolo 333, comma 3, del Codice di procedura penale afferma nettamente: «delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso». La dizione è molto drastica.
La giurisprudenza penale ha in parte mitigato il rigore di questo precetto. In una serie di pronunce conformi, come quella della Cassazione a Sezioni unite del 2008 e altre, precedenti e successive, la giurisprudenza ha stabilito che le denunce anonime, soprattutto quando sono dettagliate, possono essere prese in considerazione come stimolo a un'attività d'investigazione da parte della polizia giudiziaria o anche del pubblico ministero, che deve portare all'acquisizione di una notitia criminis specifica, «vestita» e non più anonima.
Peraltro, deve essere chiaro che le denunce anonime, in quanto tali, non possono essere poste a base di nessun atto ulteriore d'indagine. Il pubblico ministero non può fare una perquisizione, chiedere e ottenere un sequestro o disporre intercettazioni telefoniche sulla base di una denuncia anonima. Il limite giuridico è molto forte.
Ho letto l'articolo 6 della proposta di legge Atto Camera n. 1751. Io mi riferisco al testo ufficiale. Ho preso visione, sia pure molto velocemente, anche della possibile rielaborazione di quella proposta, ma adesso mi riferisco al testo dell'Atto Camera n. 1751. L'articolo 6 prende atto di questo limite relativo alle denunce anonime, ma afferma che esse possono essere prese in esame solo qualora siano adeguatamente documentate.
Rispetto all'autorità giudiziaria valgono i limiti che ho detto. Nelle imprese e nelle società dove ci siano organi di controllo interni, la denuncia anonima può essere oggetto di una prima verifica, di un'istruttoria, di una sorta di elaborazione, magari fatta con tanta più efficacia, perché si tratta di soggetti che conoscono bene la realtà nella quale si inserisce la denuncia anonima. In questo caso, sarebbe possibile che l’audit, l'organo di controllo interno o gli organi previsti da questa proposta effettuino una prima istruttoria e presentino una denuncia, dopo aver individuato una specifica notitia criminis.
A questo punto, però, dobbiamo ricordare che, in base al regime generale, si creerebbe un regime differenziato tra pubblico e privato. Infatti, nell'ambito di enti pubblici, i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio avrebbero l'obbligo di denunciare questa notitia criminis, mentre un audit interno di una società privata che arrivasse all'individuazione di un reato non avrebbe l'obbligo di legge di comunicarla all'autorità giudiziaria, proprio per il carattere limitato degli obblighi di denuncia a cui ho fatto riferimento.
Naturalmente stiamo parlando di reati nell'interesse esclusivo dei loro autori, perché, se si tratta di reati commessi nell'interesse delle imprese, scattano i meccanismi e le sanzioni previsti dal decreto legislativo n. 231 del 2001.
Questo potrebbe essere un modo per superare le difficoltà esistenti in campo penale – molto spesso le segnalazioni arrivano alla soglia penale – proprio per evitare che si crei una sorta di contraddizione tra denunce anonime, irricevibili da parte dell'autorità giudiziaria, e denunce anonime più o meno valorizzate in sede di analisi del whistleblowing.
Ho promesso brevità e, quindi, procedo molto rapidamente sul terzo punto, per poi esporre alcune considerazioni finali.
A proposito della tutela della riservatezza del denunciante, bisogna essere chiari. Le norme del Codice di procedura penale, secondo me, escludono la possibilità di assicurare la riservatezza del denunciante in tutte le fasi, non solo nella fase del dibattimento, in cui è evidentemente impossibile. Ciò è escluso, non solo in base alle norme del Codice di procedura penale, ma anche in base all'articolo 111 della Costituzione, che prevede il diritto di interrogare il proprio accusatore.Pag. 6
Da questo punto di vista, la riservatezza del denunciante nell'ambito del processo penale sicuramente non può esistere nel dibattimento, ma, a mio avviso, neanche prima, perché c’è una fase di crescente importanza, la fase cautelare, in cui non è possibile chiedere una misura cautelare in base alla denuncia di qualcuno, senza indicarne l'identità e analizzarne la posizione. Pertanto, bisogna tener presente che, nell'ambito del processo penale, è molto difficile prevedere norme di tutela del denunciante anonimo.
Per quanto riguarda, invece, i procedimenti che rimangono a livello disciplinare, la «legge Severino», introducendo l'articolo 54-bis nel decreto legislativo n. 165 del 2011, ha indicato una possibile via di uscita, che forse si potrebbe ripercorrere anche nel settore privato.
La norma stabilisce che il lavoro degli organi che promuovono l'azione disciplinare è volto ad arrivare a un'azione disciplinare che non sia fondata sulla denuncia del soggetto, che quindi è resa irrilevante. Tuttavia, anche in questo caso si ammette che, nell'ipotesi in cui sia necessario valorizzare la denuncia, bisogna sentire il denunciante.
Ho una breve richiesta d'informazione, come lettore del provvedimento. La «legge Severino» si applica solamente agli enti pubblici, e su questo non ci sono dubbi. Invece, in questa proposta di legge io trovo menzionata una dizione che mi crea qualche perplessità, come lettore e anche come magistrato: si parla di «enti privati».
In altri Paesi, le norme sul whistleblowing in alcuni casi sono circoscritte addirittura alle società quotate in borsa.
Io, da lettore, non riesco a capire che cosa significhi «enti privati». Ci si riferisce a società o a imprese ? Di quali dimensioni ?
Una dizione così ampia potrebbe creare problemi quasi irresolubili, nel senso che si potrebbe anche arrivare a introdurre questa disciplina, con le sue caratteristiche, in una piccolissima impresa o in un'impresa para-familiare.
Arrivo alle conclusioni. Mi sembra che i profili lavoristici di tutela siano ben trattati. Credo che il rischio di calunnia, che non viene escluso, sia molto remoto per un denunciante. Nella proposta di legge Atto Camera n. 1751 si parla di «buona fede», ma il rischio di dolo di calunnia non è molto elevato, perché occorre che un soggetto denunci con la consapevolezza dell'innocenza. La calunnia è un rischio molto marginale per il denunciante.
Invece, è maggiore il rischio di diffamazione, soprattutto quando la denuncia assume forme pubbliche, eclatanti e magari incontrollate. Laddove un soggetto abbia denunciato «magheggi», operazioni discutibili, malaffare, e poi non ci siano elementi di fondamento per questa denuncia, la diffamazione non è una prospettiva che si può escludere.
Da ultimo, c’è la questione del premio economico che viene previsto. Io credo che nel nostro ordinamento ci siano molte difficoltà nel prevedere questo premio.
Innanzitutto, trovo che nella proposta di legge di cui discutiamo si usino ancora dizioni che vanno bene quando si fa riferimento a un ente pubblico (il recupero del danno erariale o il danno d'immagine della pubblica amministrazione), ma, nel momento in cui si estende la disciplina anche al settore privato, bisognerebbe chiarire qual è il danno recuperabile. È il prezzo della corruzione ? Non si può mantenere il testo della norma, a mio avviso, neanche se si volesse continuare a prevedere il premio.
Personalmente, ho delle obiezioni più radicali che riguardano le difficoltà nell'individuare la somma e i destinatari. Credo che le difficoltà sarebbero molte, connesse anche alla lunghezza dei giudizi di accertamento che farebbero scattare il diritto a questo premio.
Ho visto che in un'audizione precedente il rappresentante di un'associazione ha ipotizzato che, laddove si recuperino fondi (prezzo della corruzione oppure danno erariale) questi vengano destinati alla tutela, magari al pagamento delle spese legali, dei whistleblower che abbiano avuto dei problemi.Pag. 7
Sono stato molto sintetico. Spero di non aver sforato rispetto ai tempi previsti che richiedevano una necessaria sintesi. Naturalmente, ci sono una serie di altri aspetti che, per mancanza di tempo, non ho toccato.
PRESIDENTE. La ringrazio. Do la parola a Gabrio Forti, professore ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, per lo svolgimento della sua relazione.
GABRIO FORTI, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro cuore di Milano. Ringrazio in anticipo la presidente Ferranti e i componenti delle commissioni per l'attenzione.
La proposta di legge che qui esaminiamo è sicuramente apprezzabile, perché si indirizza verso un obiettivo che non è soltanto indicato e prescritto da atti internazionali, ma risponde anche a una logica ben precisa quando si tratta di contrastare gli illeciti all'interno delle organizzazioni.
Noi sappiamo bene che all'interno delle organizzazioni, siano esse pubbliche o private, non si arriva a individuare gli illeciti con facilità, se non attraverso una mediazione da parte di chi si trova all'interno delle organizzazioni stesse.
Da questo punto di vista, la figura del whistleblower, ovvero del segnalante, è quasi necessaria per il contrasto agli illeciti delle e nelle organizzazioni, qualunque siano.
Sempre di più il diritto penale, a cominciare da quando è entrato in vigore il decreto legislativo n. 231 del 2001, si deve confrontare con la scienza dell'organizzazione. Le risultanze di questa scienza non possono essere più trascurate dal penalista di tipo tradizionale.
Cosa si può dire a questo proposito ? Il dottor Nello Rossi ha già chiaramente affrontato una serie di questioni. Ciò mi consente di scavalcare i preamboli in riferimento alla «legge Severino», alla limitatezza della disciplina di tale legge a questo riguardo e, quindi, alla necessità di una disciplina più dettagliata che regolamenti questo campo.
Avevo elaborato un commento sinottico, articolo per articolo, molto dettagliato sul testo ufficiale della proposta di legge. Quando mi è pervenuto il nuovo testo, ho dovuto improvvisare un nuovo giudizio, non fosse altro perché, in effetti, questa nuova versione ha migliorato notevolmente, dal punto di vista della tecnica redazionale e anche del coordinamento, la versione precedente.
Pertanto, io mi confronterò con questo nuovo testo, mettendo da parte quello precedente, facendo magari solo qualche riferimento ad alcune migliorie che sono state apportate in corso d'opera, specialmente per quanto riguarda i difetti originari di tecnica redazionale e d'individuazione del raggio operativo della normativa e delle tutele per i segnalanti.
Prima di esaminare a campione alcuni aspetti analitici e specifici della disciplina, che mi sembrano piuttosto emblematici, faccio due considerazioni di fondo.
La prima affianca e si conforma con quanto è stato affermato dal dottor Rossi. È chiaro che la proposta di legge introduce un corpus di norme, che non trova una tabula rasa preesistente, ma che deve innestarsi – riprendo l'espressione usata dal dottor Rossi – in un contesto abbastanza complesso e abbastanza ricco, costituito sia dalle disposizioni generali in materia di pubblica amministrazione sia dallo stesso decreto legislativo n. 231 del 2001.
Infatti, l'ambito applicativo di questa proposta di legge, come ricordava il dottor Rossi mettendo in dubbio la chiarezza dell'espressione «enti privati», non è limitato al settore pubblico.
Questo disegno di legge deve innestarsi anche in una serie di atti «sub-legislativi», rispetto ai quali, da quanto mi risulta, è già in atto un grosso lavoro di adeguamento sia da parte degli enti pubblici sia da parte delle imprese.
Per fare un esempio piuttosto conclamato, che mi pare sia già emerso in alcune audizioni precedenti, mi riferisco alle linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti dell'Autorità nazionale anticorruzione. A me risulta Pag. 8che, nell'elaborazione di tali linee guida, vi sia stato un grosso lavoro per tener conto di questi elementi.
È molto condivisibile la dichiarazione del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Legnini, a proposito della necessità di tener conto, quando si fanno le riforme, anche dell'impatto economico che certe riforme producono.
Nel momento in cui su una disciplina preesistente si innesta un corpus organico e piuttosto impegnativo, come quello che è all'esame di queste Commissioni, è chiaro che questo determina una serie di sconvolgimenti, anche di tipo pratico, oltre che di natura tecnica, come cercherò di dire.
La seconda osservazione di carattere generale, prima di entrare nella dimensione analitica, riguarda una domanda di fondo. Non ho trovato nella proposta di legge una chiara definizione di eventuali sanzioni che colpiscano l'ente pubblico o quello privato che non si adegui a questa normativa.
Il decreto legislativo n. 231 del 2001 prevede che una sanzione può essere inflitta dal giudice, nel momento in cui un illecito viene commesso e si riscontra un mancato adeguamento della persona giuridica ai modelli di gestione e organizzazione idonei a prevenire illeciti.
Come credo tutti i presenti sappiano, non c’è modello di gestione e di organizzazione che non abbia una previsione specifica dedicata ai whistleblower. Ricordo tanti incontri con grandi imprese italiane, che si facevano molto vanto di avere una previsione grazie alla quale, almeno sulla carta, si garantiva una certa riservatezza ai whistleblower e si affidava all'organo di vigilanza il compito di ricezione, ma anche di coordinamento, di queste informazioni.
È chiaro che, in questo caso, il magistrato che giudichi un illecito attribuibile alla persona giuridica potrà infliggere una sanzione penale amministrativa, commisurata all'inadeguatezza dei meccanismi di trasparenza e di rilevazione degli illeciti, derivanti da una mancata tutela del whistleblower.
Questo è un corpus piuttosto consolidato. Ricordo che le linee-guida della Confindustria, quando fu approvato il decreto legislativo n. 231 del 2001, già prevedevano questo tipo di accorgimento. Come è ben noto a questo pubblico, il decreto legislativo n. 231 del 2001 nasce da modelli americani, dove l'esperienza dei whistleblower è molto consolidata.
Questa è la visione d'insieme. Da questa specie di quadro sinottico, delineato un po’ velocemente, perché il nuovo testo mi è arrivato un giorno e mezzo fa e, quindi, non ho potuto dedicarci tutto lo studio che invece avevo dedicato a quello precedente, estrarrò alcuni elementi, che, come dicevo, mi sembrano abbastanza emblematici.
In primo luogo, ci sono diverse espressioni che per noi penalisti possono essere un po’ problematiche, visto che siamo abituati a rapportarci a un principio di determinatezza, di tassatività e di precisione. Queste, pur non essendo norme strettamente penali, hanno tuttavia risvolti penali.
Ad esempio, nell'articolo 1 è introdotto il concetto di «fatti pregiudizievoli». Cosa vuol dire «fatti pregiudizievoli» ? Certamente c’è stato un miglioramento rispetto alla versione originaria della proposta di legge, dove compariva più volte, se non ricordo male, il termine «irregolarità», che, a sua volta, avrebbe comportato una serie di problematiche.
Un'altra frase che solleva delle perplessità è nell'articolo 2, dove si legge che «per segnalazioni si intendono quelle comunicazioni di possibili reati o illeciti che possono provocare un danno all'interesse pubblico, alla concorrenza, alla tutela dei diritti dei consumatori».
Questo elenco è piuttosto ampio e anche un po’ vago. Dobbiamo porci nella prospettiva del segnalante. Quest'ultimo sa che potrà godere della protezione di questa normativa, laddove la sua segnalazione abbia a oggetto il campo applicativo di questa disciplina. Mettiamoci nei panni del segnalante che sia tentato di denunciare agli organi interni un illecito di cui sia venuto a conoscenza. Il segnalante dovrebbe Pag. 9porsi il problema se questo illecito può provocare un danno all'interesse pubblico o alla concorrenza.
È una valutazione abbastanza complessa. Se sbaglia in questa valutazione, che cosa succede ? Viene lasciato privo di ogni tipo di tutela ?
Ciò vale anche per la formula contenuta nella lettera e) del comma 2 dello stesso articolo 2: «suscettibile di arrecare un danno alla salute o alla sicurezza dei dipendenti o all'ambiente». Pensiamo a quanto sia difficile nel dibattito giuridico stabilire che cos’è un danno all'ambiente. È una categoria piuttosto problematica.
Un'altra osservazione che ricavo da un'analisi più dettagliata – se le Commissioni lo riterranno, potrò farvi avere un testo con osservazioni più puntuali – concerne l'articolo 3. Premesso che l'uso di una parola straniera, whistleblower, non è molto appropriato in un testo di legge, nell'articolo si dice che «per segnalante o whistleblower si intende il lavoratore che, essendo venuto a conoscenza di possibili reati o illeciti nel corso dello svolgimento di un rapporto di lavoro, effettua la segnalazione ai sensi dell'articolo 2».
In primo luogo, mi sembra problematica l'espressione «lavoratore». È vero che, in senso lato, lavoratore è anche il dirigente, però è un'espressione che tendenzialmente si tende ad attribuire a chi svolge certe mansioni. Perché non comprendere fra chi può essere segnalante perfino un amministratore delegato di società ? Solo perché ha una posizione di vertice ? Potrebbe anche succedere che in un consiglio di amministrazione si trovi in questa posizione.
Soprattutto, trovo dubbia l'espressione «nel corso dello svolgimento di un rapporto di lavoro». Trovo, invece, più appropriata una formula del tipo «a causa della sua posizione lavorativa». Oppure si potrebbe più semplicemente assumere testualmente l'espressione usata nelle linee guida ANAC, cioè «in ragione del rapporto di lavoro», comprendendo quindi anche episodi che non avvengano cronologicamente durante lo svolgimento del lavoro, ma di cui il dipendente è a conoscenza in rapporto a una mansione che svolge. Se sta uscendo a cena con i suoi colleghi che gli fanno certe confidenze, non sta svolgendo il suo lavoro, ma è certo che queste confidenze le ha in ragione del suo rapporto di lavoro con i suoi colleghi.
All'articolo 4 si individuano fra i destinatari della segnalazione vari soggetti, fra cui l'organismo di vigilanza. Questo è piuttosto corretto dal punto di vista della prassi applicativa del decreto legislativo n. 231 del 2001. Peraltro, il decreto legislativo n. 231 ormai è in vigore da quattordici anni e ha subìto un'evoluzione applicativa piuttosto consistente.
Noi notiamo nella prassi che ormai la competenza nella raccolta delle segnalazioni non può più far capo a un organismo di vigilanza, che, peraltro, si riunisce con una periodicità abbastanza lunga.
Ci vuole una presenza costante, tant’è vero che mi dicono che alcune imprese hanno addirittura affidato a studi notarili il ruolo di recettori delle segnalazioni e delle denunce. C’è bisogno di una continuità, che non può essere assicurata da un organismo di vigilanza, specialmente perché, nelle varie articolazioni che sono state introdotte in questi anni, questi organismi di vigilanza sono composti prevalentemente da figure esterne, che non passano la loro vita in azienda e, oltretutto, spesso non sono in grado di cogliere veramente il significato della segnalazione.
Come dicevo all'inizio, all'interno di un'organizzazione complessa, i segnali sia degli illeciti sia di altre forme di irregolarità possono essere compresi prevalentemente da chi fa parte della struttura.
Quante volte abbiamo sentito colleghi avvocati che hanno lavorato in organismi di vigilanza, che non si sono accorti di irregolarità che passavano sotto i loro occhi, perché, semplicemente, non vivevano la realtà aziendale ? Bisogna essere degli insider per capire.
A maggior ragione, è opportuno che questo tipo di segnalazione avvenga in una struttura che riesca a recepirla grazie alla sua stabilità.
L'articolo 4, comma 2, stabilisce che uno dei destinatari delle segnalazioni di Pag. 10cui al comma 1 può essere «bypassato» dal segnalante se non offre adeguate garanzie di neutralità e indipendenza nel giudizio.
Questa è una previsione piuttosto ambigua, in quanto il segnalante si troverebbe nella condizione di dovere valutare questo tipo di parametro, che è molto complesso. Se sbaglia in questa valutazione, che cosa succede ? Non lo si ritiene più un whistleblower meritevole di protezione ? Queste sono questioni che meriterebbero un'attenzione maggiore.
Sulle segnalazioni anonime non mi soffermo, perché ne ha già parlato adeguatamente il dottor Rossi, tracciando un quadro particolareggiato dell'articolo 333 del Codice di procedura penale.
Segnalo comunque che il tema è affrontato molto bene dalle linee guida dell'ANAC, che prevedono la possibilità di rivelare l'identità del segnalante quando ciò è indispensabile, con il consenso del segnalante stesso. Ovviamente non stiamo parlando del processo penale, ma delle fasi anteriori, quali quelle disciplinari.
L'articolo 6 riguarda l'ufficio per la ricezione delle segnalazioni. Intendiamo un organo che si aggiunge alle strutture esistenti ?
Spesso negli anni passati, in relazione agli illeciti all'interno delle pubbliche amministrazioni o delle persone giuridiche private, abbiamo sentito lamentare, con buona ragione, la moltiplicazione dei controlli e degli organi (l’audit, l'organo di vigilanza, i collegi sindacali). Se ne aggiungiamo un altro, indubbiamente l'apparato diventa molto complesso e difficile da gestire.
Forse sarebbe utile che, nella definizione dell'ufficio per la ricezione delle segnalazioni, si indicasse se esso, nel caso di un'impresa privata, è incorporato in un organismo di vigilanza o in strutture esistenti oppure se si tratta di un'ulteriore entità che si aggiunge a quelle precedenti. Il testo non è molto chiaro sul punto.
Potrebbe essere meglio definita nel testo esistente, in quanto collegata all'organo di cui all'articolo 6, anche la procedura attraverso la quale pervenire all'istruttoria della segnalazione e poi alla sua trasmissione agli organi che ne devono trarre le necessarie conseguenze.
Da questo punto di vista, richiamo sempre le linee guida dell'ANAC, nelle quali un allegato delinea esattamente una procedura estremamente articolata, attraverso la quale la segnalazione viene poi trasmessa ai suoi destinatari.
Sulla tutela della riservatezza direi che è stato detto quasi tutto. Quando cessa la tutela della riservatezza ? È una domanda che ci si è posti in varie circostanze in caso di whistleblowing. Nell'articolo 8 si dice che le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4, che sono volte alla tutela del segnalante, non si applicano in casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione ovvero, per lo stesso titolo, ai sensi dell'articolo 2043 del Codice civile.
Da quando non si applicano ? Basta la condanna di primo grado o ci vuole la condanna definitiva ?
Anche su questo richiamo le linee guida dell'ANAC, le quali prevedono che la tutela viene meno già dopo la condanna di primo grado. Pertanto, il soggetto non può più godere della riservatezza della segnalazione prima ancora che si arrivi alla condanna definitiva.
Anche per quanto concerne l'inversione dell'onere della prova di cui all'articolo 11, c’è una formulazione che va corretta dal punto di vista redazionale. Nel nuovo testo della proposta di legge l'articolo 11 afferma: «Spetta al datore di lavoro dimostrare che ogni atto di natura ritorsiva effettuato nei confronti del segnalante, a seguito della segnalazione di un reato o di un illecito, è motivato da ragioni estranee alla segnalazione stessa».
Si chiede cioè al datore di lavoro di dare una dimostrazione di qualcosa che deve essere ancora dimostrato. Non si deve partire dall'atto di natura ritorsiva. Il fatto che l'atto abbia questa natura è proprio quello che va provato e che si presume, a tenore della norma, quando chi ha effettuato una segnalazione viene sanzionato, «demansionato» o licenziato. In questo senso, la formula deve essere modificata.Pag. 11
Vengo a un punto, sempre analitico, ma che mi pare centrale. Il tema è stato già toccato con diversi argomenti, che non riprenderò, dal dottor Rossi. Mi riferisco all'articolo 12 riguardante il premio per la denuncia.
A parte il fatto che al comma 1 compare ancora l'espressione «irregolarità», che giustamente è stata tolta in altri punti del testo, ci sono alcune osservazioni di carattere generale che si possono formulare su questo articolo.
Posto che l'incentivo economico al whistleblowing appare limitato alla sola segnalazione di reati o di irregolarità che comportano un danno erariale o all'immagine della pubblica amministrazione, come sottolineava il dottor Rossi, non è chiaro a carico di chi vada posto il premio destinato al segnalante. Chi sostiene il costo di questo premio ? Viene decurtato dal risarcimento spettante alla pubblica amministrazione e versato al segnalante ?
Sappiamo che il modello è quello degli Stati Uniti, delineato sia nel False claims Act sia nel Dodd-Frank Act. Tuttavia, negli Stati Uniti c’è un sistema completamente diverso, dove il segnalante può addirittura sostituirsi all'autorità pubblica nella procedura di accertamento del fatto, ed è l'autorità pubblica che decide se farsi sostituire, in tutto o in parte. Pertanto, in sostanza, il privato diventa una sorta di organo inquisitorio, che riceve il compenso perché conduce fino a un certo livello l'indagine. Quella è la logica.
A parte questi aspetti tecnici, c’è una considerazione di fondo sul piano concettuale: personalmente, io ho dei dubbi sull'utilità, specialmente nel contesto culturale e ordinamentale italiano, della previsione di un premio in denaro per i segnalanti.
È noto da tempo – c’è una vasta letteratura sul whistleblowing negli Stati Uniti – che le motivazioni che spingono il whistleblower a «soffiare il fischietto» sono raramente di natura meramente materiale, o, quantomeno, la finalità economica si aggiunge ad altri elementi.
Io ricordo una copertina del Time del 2002, su cui c'erano tre donne, dirigenti dell'FBI, di WorldCom e di Enron, con il titolo «The Whistle-Blowers». In quell'epoca erano delle eroine per gli Stati Uniti, perché ebbero il coraggio di «soffiare il fischietto» nelle loro rispettive strutture, due imprese private e l'FBI, che è una struttura federale.
È molto interessante, dal punto di vista della fenomenologia del whistleblowing, leggere le interviste a queste tre donne, che rivelavano le motivazioni per le quali avevano «soffiato il fischietto».
Una di queste, Cynthia Cooper di WorldCom, affermò: «Io ho soffiato il fischietto” perché il mio senso morale non poteva accettare assolutamente quello che stavo vedendo. Io ho ereditato questo senso morale da mia madre, che mi ha sempre detto di non chiudere mai gli occhi quando trovo qualcosa di ingiusto».
Io non dico che Cynthia Cooper sia il parametro, però questo riferimento si lega agli studi di alcuni economisti. C’è un bellissimo libro di Vittorio Pelligra, intitolato «I paradossi della fiducia», che ha dimostrato in modo abbastanza convincente che quando l'osservanza di una norma viene premiata – in fondo il whistleblower vuole far osservare le regole, non vuole cambiare il mondo – il significato morale e normativo di quel precetto si indebolisce, perché, a quel punto, anche l'inosservanza della regola viene vista quasi come un costo. Diventa una cosa quantificabile.
Questo avviene perfino negli Stati Uniti. Pensiamo a ciò che accadrebbe nella cultura italiana ed europea, dove già si guarda con un certo sfavore al cosiddetto «delatore», con un atteggiamento che richiederebbe un cambiamento culturale molto importante. A maggior ragione, stabilire di dare al «delatore» un premio sarebbe come dire che, in fondo, la legalità è qualcosa che si deve pagare, perché non è scontata, non è un qualcosa che dobbiamo aspettarci normalmente dalle persone. C’è il rischio di un effetto controproducente.
Personalmente, a parte gli aspetti tecnici che dettaglierò nel documento che Pag. 12potrò far pervenire alle Commissioni, ho serie perplessità sulla previsione di un premio per il whistleblower.
Con questo concludo il mio intervento, salvo domande che vogliate pormi. Grazie per l'attenzione.
PRESIDENTE. Grazie, professore.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
FRANCESCA BUSINAROLO. Innanzitutto ringrazio i due auditi e mi scuso per il ritardo con cui è stata mandata la bozza di lavoro.
Nella sua relazione, l'avvocato Rossi giustamente ha sollevato delle perplessità. Io le ho annotate. Spero che anche lei, come ha promesso il professor Forti, riuscirà a mandarci una memoria scritta.
PRESIDENTE. L'ha già depositato.
FRANCESCA BUSINAROLO. Ottimo. Non so se lei abbia letto i resoconti delle precedenti audizioni. È stata molto interessante l'audizione del dottor Egidi, responsabile anticorruzione per l'Agenzia delle entrate. L'esperienza che hanno avuto all'Agenzia ha portato dei risultati concreti. Il dottor Egidi ha raccontato come hanno applicato concretamente questo istituto in maniera autonoma. Loro effettivamente fanno già delle istruttorie.
Come giustamente hanno sottolineato entrambi gli auditi, c’è il problema della privacy, dell'anonimato e della garanzia dei segnalanti. Il dottor Egidi ha risolto il problema sostanzialmente depositando presso la procura, come Agenzia delle entrate, le segnalazioni ricevute. Infatti, dal suo punto di vista, su cui sono d'accordo, era importante, almeno nella fase embrionale di questo lavoro, cercare quantomeno di innestare – questo termine mi è piaciuto moltissimo – nelle persone il senso di questa azione, che ha un valore altissimo.
È vero, come afferma il professor Forti, che non è giusto pagare la legalità, però, effettivamente, finora coloro che hanno denunciato hanno pagato personalmente. Io conosco molti whistleblower, che hanno dovuto pagare di persona le conseguenze processuali e personali dell'atto di coraggio che hanno voluto portare fino in fondo.
Per quanto riguarda la relazione del professor Forti, non ho capito bene una sua affermazione. Lei all'inizio ha parlato di impatto economico e di particolari sconvolgimenti, però poi è entrato nel dettaglio dell'articolato. Vorrei capire cosa intendesse quando ha accennato a queste conseguenze, che mi hanno un po’ preoccupato.
Scardinare il problema della corruzione che abbiamo in Italia, in realtà, potrebbe rimetterci su un piano più competitivo anche dal punto di vista economico, soprattutto a livello internazionale, perché, come sa, abbiamo un problema di visibilità all'estero. Se tante aziende estere non vengono più a investire in Italia, è proprio perché hanno paura di doversi scontrare con i meccanismi della corruzione. Vorrei capire se la sua valutazione era in positivo o in negativo.
Ho una domanda per entrambi. Ho intuito una risposta, ma vorrei sentirla. Secondo voi, l'innesto proposto può essere positivo per il nostro Paese ?
Infine, mi rivolgo al professor Forti, che ha avuto l'accortezza e la tecnica di guardare nel dettaglio ogni articolo: per le sue domande ha delle ipotesi di risposta ? Se ce le ha, ce le può far pervenire, in modo che possiamo valutarle ?
DAVIDE MATTIELLO. Ringrazio i nostri auditi. Condividendo gli obiettivi di massima su cui stiamo ragionando, io in questa fase avverto ancora il bisogno di esplorare altre possibilità di attuazione. Per questo, vi propongo due domande che attengono a campi limitrofi, per capire se da questi possano arrivare indicazioni utili a sviluppare questo tema.
In primo luogo, vi chiedo se potete illuminare meglio il rapporto attualmente esistente tra le informazioni confidenziali ricevute dagli organi investigativi e l'inizio delle indagini da parte degli organi investigativi Pag. 13stessi. Attualmente come stanno le cose ?
In secondo luogo, vorrei sapere qual è la normativa esistente sui testimoni vulnerabili. Penso al minore che ha subìto degli abusi sessuali e che diventa testimone in processo. È un testimone vulnerabile per il quale il nostro ordinamento prevede un trattamento particolare.
Vorrei sapere se da queste due situazioni, che sono laterali rispetto alla questione principale, possono arrivare alcuni spunti per l'argomento che stiamo trattando.
PRESIDENTE. Pongo qualche domanda anch'io. L'impostazione del nuovo testo della proposta di legge ovviamente sarà soggetta ad emendamenti, quindi ogni soluzione migliorativa è ben accolta da tutti i componenti delle Commissioni, che poi faranno le loro valutazioni.
Io mi pongo due problemi. Abbiamo visto l'esperienza dell'Agenzia delle entrate. Da un lato, per quanto riguarda l'ente pubblico, c’è sicuramente la possibilità di migliorare il testo della «legge Severino» e di mettere a regime sistemi che sono stati valorizzati da alcune amministrazioni, tenendo conto delle linee guida dell'ANAC e dell'esperienza degli organismi di vigilanza nei vari settori.
Faccio riferimento alla tutela dell'anonimato, che è uno dei grandi problemi che esistono. Ovviamente, in certi ambienti, ci si espone solo se si ha la tutela della propria riservatezza o dell'anonimato.
In base a quanto diceva poc'anzi il consigliere Rossi, per l'amministrazione pubblica la questione è risolvibile, trattando la segnalazione come una denuncia anonima che arriva a un organo d'investigazione e, quindi, facendo in modo che ci sia la verifica da parte dell'organo di riferimento. Mi pare che sia questo ciò che ha fatto l'Agenzia delle entrate.
C’è il problema di definire quale sia l'organo di riferimento. Non mi pare che il problema sia stato risolto, nemmeno nella proposta di legge riformulata.
Solo quando la segnalazione diventa notizia di reato, il pubblico ufficiale farà il rapporto all'autorità giudiziaria.
Il problema che non riesco a risolvere e che non vedo risolto nemmeno nei testi della proposta di legge è quello che attiene al settore privato. Il dottor Rossi poc'anzi si chiedeva a quale tipologia di ente privato ci si intende riferire e di quale dimensione. Qualsiasi vostro suggerimento di delimitazione su questo punto sarebbe particolarmente utile.
Facciamo riferimento alle imprese, che sono soggette anche al decreto legislativo n. 231 del 2001. Nell'organizzazione dell'ente privato c’è un organo responsabile dell'anticorruzione. È quello l'organo di riferimento a cui vogliamo far arrivare le denunce ? Che cosa può fare ? Può fare una verifica interna meramente istruttoria, che non ha la qualificazione del rapporto di un pubblico ufficiale. A mio giudizio, manca l'individuazione di questo meccanismo nel settore privato.
Se il segnalante nel settore privato non si rivolge al proprio organo interno, ma si rivolge a un ente pubblico, cioè all'ANAC, a quel punto c’è una possibilità di vaglio e di verifica, tale da qualificare quella fonte come mero anonimo, più o meno «vestito». Tuttavia, la prova del reato deriverà dall'istruttoria del pubblico ufficiale, qualunque esso sia. Secondo me, il vero snodo è nell'individuazione dell'organo dell'ente privato a cui il segnalante può presentare la denuncia.
Ci sono anche perplessità, dal mio punto di vista, ma anche secondo il presidente dell'ANAC, riguardanti la cosiddetta «taglia», ovvero il premio in denaro. Quali incentivi si possono prevedere, se non si pensa al premio in denaro ?
Do la parola a Nello Rossi, Avvocato generale presso la Corte di cassazione, per la replica.
NELLO ROSSI, Avvocato generale presso la Corte di cassazione. Adesso sono Avvocato generale, però fino a venti giorni fa ero procuratore aggiunto a Roma, quindi sono molto addentro a questi problemi.Pag. 14
Sono anche rammaricato dal fatto che le indagini dell'ANAS sono nate da una richiesta di misure cautelari che ho firmato io. Ho cambiato qualifica, però è questa la mia esperienza maturata sul campo, che ha un valore.
Proprio in base a questa esperienza, nessuno più di me è convinto della necessità di favorire lo spirito civico e il coraggio dei denuncianti di fatti di corruzione. Su questo non c’è alcun dubbio, così come non ci deve essere alcun dubbio che non è sostenibile, nel lungo periodo, una disciplina limitata al settore pubblico e non estesa al settore privato.
Infatti, noi, ad oggi, abbiamo in corso un piccolo e timido tentativo nell'ambito del settore pubblico e niente nell'ambito del settore privato. Tuttavia, nel settore privato gli episodi di corruzione sono molti, quasi di più che nel settore pubblico. Esiste anche la corruzione tra privati. La nuova normativa ci dimostra che quello è un campo che merita osservazione, da un lato, e segnalazioni, dall'altro.
Su questi punti di fondo e sull'ispirazione positiva della proposta di legge non ci sono alcuna obiezione e alcun dubbio.
Ho letto con interesse ciò che ha riportato il dottor Egidi sull'esperienza dell'Agenzia delle entrate, però dobbiamo tener presente che si tratta di una grande agenzia, che ha problemi delicatissimi proprio su questo versante. Anche lì abbiamo dovuto fare delle indagini. Per esempio, sono state accertate pratiche straordinariamente disinvolte all'interno dell'Agenzia delle entrate, nella quale si possono favorire gli esterni, non solamente cancellando le imposte dovute, ma magari a volte dilazionandole all'uno e non all'altro, o ritardando richieste di pagamento.
È chiaro che i dipendenti dell'Agenzia delle entrate operano in un settore assolutamente decisivo e la loro esperienza mi pare interessante. Tuttavia, è l'esperienza di un grande ente che ha problemi specifici in questo campo e, quindi, può impiegare energie e risorse ingenti, perché controlla se stesso.
Posto che nel settore privato non è possibile mantenere una situazione di anomia e che bisogna intervenire, si pongono problemi maledettamente complicati.
Il primo, che mi pare ineludibile, è l'area di applicazione della disciplina. Quando parliamo di settore privato, andiamo dall'impresa familiare fino alla mega-società per azioni quotata in borsa. Bisogna capire a quanti e a quali livelli noi pensiamo che questa disciplina sia applicabile. Io non credo che possa esserci una normativa che non specifichi a quali imprese, a quali società e anche a quali associazioni si applica. Infatti, un ente privato può essere anche un'associazione che non ha fini di lucro.
È importante che l'area di applicazione di questa normativa venga definita. Si può fare riferimento ai dati quantitativi delle imprese, come si era fatto all'epoca dello «Statuto dei lavoratori», differenziando le imprese stesse in base al numero dei dipendenti, oppure alla natura giuridica (società per azioni, società di altra natura), ma bisogna che sia chiaro a chi si applica la normativa.
Questo apre la strada all'individuazione dei soggetti che, all'interno di queste entità private che noi consideriamo destinatarie della norma, assumono responsabilità e possono raccogliere le denunce ed eventualmente svilupparle.
Questo mi pare un problema importante, tenendo presente che è estremamente difficile procedere nell'ambito del settore privato.
Bisognerà fare un ragionamento anche sui modelli di compliance e di controllo già esistenti in una serie di imprese, che già applicano i meccanismi previsti dal decreto legislativo n. 231 del 2001. Non possiamo moltiplicare all'infinito gli organi interni, perché tutto questo comporta costi, che possono essere dannosi.
La battaglia alla corruzione e all'illecito è molto importante, perché restituisce spazio alla concorrenza, però dobbiamo capire che, se graviamo le imprese di una serie di oneri, o questi oneri non vengono adempiuti, con un effetto di vanificazione delle norme, oppure comportano costi. Pag. 15Dobbiamo capire a chi si possono imporre tali oneri e in che misura, senza duplicare istituti che già esistono.
Questo mi pare un fronte molto problematico, ma che può e deve essere affrontato con la serietà che merita. Come ho detto, introdurre questo istituto ha uno scopo sicuramente positivo.
Aggiungo alcune brevi considerazioni sugli interrogativi posti dall'onorevole Mattiello, partendo dalla questione dei testimoni vulnerabili. Nell'ambito della giustizia minorile, noi abbiamo testimoni vulnerabili psicologicamente, tant’è vero che l'ordinamento prevede, tra l'altro, modalità protette per ascoltarli.
Nel caso dei whistleblower, abbiamo dei potenziali testimoni, i segnalanti, che sono molto vulnerabili, economicamente e giuridicamente, perché possono essere oggetto di ritorsioni, in quanto le loro denunce colpiscono soggetti potenti e comunque reattivi.
Questa vulnerabilità in parte è già presa in considerazione nella proposta di legge in esame, laddove si prevede, per esempio, una tutela contro il licenziamento, assolutamente giustificata.
Ritornando ai miei antichissimi trascorsi di giudice del lavoro, potrei dire che un giudice potrebbe dichiarare la nullità di un licenziamento discriminatorio senza la necessità di un'indicazione della normativa.
Comunque, la previsione del reintegro, in un contesto in cui il reintegro è in via di abbandono come meccanismo di tutela, è molto forte.
Da questo punto di vista, abbiamo soggetti che, per effetto di un'iniziativa che si spera coraggiosa e disinteressata – spiegherò in che termini – devono essere protetti. La protezione deve essere la massima possibile, prima di tutto sul versante lavoristico.
L'onorevole Mattiello mi ha posto una domanda sulle informazioni confidenziali all'inizio delle indagini. Questa è una domanda a cui è difficile rispondere, perché siamo in un ambito in cui molto è rimesso alla sensibilità degli operatori. Non ci sono delle norme precise che stabiliscano che cosa fare. Anche per le denunce anonime, nelle diverse procure ci sono utilizzi molto differenti, perché tutto è rimesso alla sensibilità e all'iniziativa dei procuratori.
Del resto, bisogna intendersi sul contenuto della denuncia anonima. Se io ricevo la segnalazione che in una certa località c’è il cadavere di un uomo, è chiaro che io vado a verificare. Da questo punto di vista, c’è uno stimolo all'azione.
Siccome la problematica è più complessa, direi che non è possibile compiere atti sulla base dell'informazione confidenziale. Ancora una volta, non si tratta di una base giuridica a cui, in quanto tale, il magistrato possa dare seguito. L'informazione confidenziale può essere una pista che la polizia segue, ma poi la polizia deve fornire al magistrato una notitia criminis, magari nei confronti di ignoti, ma con una sua consistenza.
L'utilizzo delle informazioni confidenziali all'inizio delle indagini è un tema fluido, così come l'utilizzo delle segnalazioni anonime, perché la genericità delle norme fa sì che ciascuno le interpreti anche secondo la propria cultura e la propria impostazione.
D'altro canto, mi pare che, in altra sede, voi abbiate in discussione una tematica molto delicata sull'onere d'iscrizione tempestiva da parte del pubblico ministero.
PRESIDENTE. L'abbiamo già approvata.
NELLO ROSSI, Avvocato generale presso la Corte di cassazione. Allora non ho più niente da dire.
Notizie clamorose come «il presidente x è stato iscritto nel registro degli indagati» appariranno con grande frequenza, perché si elimina il margine di discrezionalità del magistrato nel valutare se si tratta di un'iniziativa cervellotica o meno e perché corre il rischio di una sanzione disciplinare se non iscrive immediatamente. Se un soggetto fa cento denunce al giorno e denuncia tutti, io iscrivo tutti.
Comunque, visto che si tratta di una proposta già approvata, non voglio ritornare...
STEFANO DAMBRUOSO. In una proposta di legge delega, in corso di esame, questa questione è affrontata in uno dei criteri di delega di cui Governo deve tenere conto. È un problema grosso.
NELLO ROSSI, Avvocato generale presso la Corte di cassazione. È un problema grossissimo.
Peraltro, io mi sono battuto, da difensore in sede disciplinare, contro accuse di iscrizione non tempestiva e la Corte di cassazione, per due volte, ha annullato condanne disciplinari di magistrati a cui veniva addebitato un ritardo nell'iscrizione. Questa piccola digressione, però, è giustificata dalla domanda che mi è stata posta. Con una norma del genere, si produrrebbe un irrigidimento.
La presidente Ferranti è ritornata sul punto centrale che io avevo già tentato di affrontare: il passaggio dalla sfera del pubblico a quella del privato.
Nel settore pubblico, tutto sommato, una serie di compiti possono essere adempiuti in sede centrale per intere aree amministrative, e il posto al whistleblower che denuncia può essere trovato magari in un'altra amministrazione, tutelandolo da ritorsioni. L'amministrazione pubblica per le sue dimensioni può risolvere più facilmente problemi di questo genere.
All'interno delle imprese private, invece, si dovrebbero immaginare risarcimenti molto cospicui, quando, per esempio, le dimensioni della società siano tali da rendere molto complesso un reinserimento e un reintegro.
È una tematica tutta da esplorare, ma che non è irrisolvibile. Per esempio, si potrebbero prendere a riferimento le norme che, a suo tempo, differenziavano le tutele nell'ambito dello Statuto dei lavoratori, in base alle quali, al di sotto dei quindici dipendenti, il reintegro risultava una misura residuale.
Tuttavia, in questo caso, come ho detto, siamo di fronte a un'ipotesi ben più grave, un licenziamento ingiustificato, un licenziamento ritorsivo.
Da ultimo, rispondo sulla questione del premio. Innanzitutto, come ho detto, se si vuole prevedere un premio, non ci si può limitare al danno erariale o di immagine della pubblica amministrazione. Se si dovesse introdurre il premio per chi lavora e fa il whistleblower all'interno di un'impresa privata, si potrebbe pensare a una quota del prezzo della corruzione ? Si potrebbe pensare a una quota della «mazzetta» corruttiva, ma non solo a quello. È difficile in questo campo elaborare un'ipotesi di premio.
Io ho già manifestato qualche obiezione di principio. Si potrebbe immaginare che, nel caso di danni erariali, laddove sia possibile recuperare risorse, attraverso meccanismi e previsioni normative più specifiche, queste possano essere versate a un fondo di tutela. Lo ha già proposto qualcuno dei vostri auditi.
Infatti, il vero problema è che dobbiamo proteggere soggetti che compiono un atto di coraggio civile e hanno il diritto di essere tutelati, perché la loro azione può essere un efficace deterrente contro la corruzione che si sta dimostrando sempre più diffusa.
Occorre tener presente la complessità di muoversi nell'ambito del settore privato, oltre a un'altra constatazione: se rimane circoscritta al solo settore pubblico, questa previsione diventa un ramo secco. Si realizzerebbe un'ulteriore disparità di trattamento fra pubblico e privato, che non mi pare particolarmente commendevole.
PRESIDENTE. Do la parola al professor Gabrio Forti per la replica.
GABRIO FORTI, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università cattolica del Sacro cuore di Milano. Rispondo innanzitutto all'onorevole Businarolo. Anch'io sono dell'idea che ci sia bisogno di un intervento in questa materia, che necessita di una legge organica autonoma. Sul fatto che questo intervento, come riscontriamo negli Stati Uniti, potenzi la tutela dei whistleblower all'interno delle discipline di settore si può discutere.
Ricordo che qualche disposizione che prevede la tutela dei whistleblower si può trovare nel decreto legislativo n. 81 del Pag. 172008 (Testo unico sulla sicurezza sul lavoro), nell'autodisciplina della Borsa italiana, nella normativa sul market abuse e nell'antiriciclaggio.
Questo ci dimostra ancor di più quello che diceva l'Avvocato generale Rossi in merito alla necessità che questo innesto non determini reazioni di rigetto, come nei trapianti fatti un po’ disinvoltamente. Deve essere un lavoro sistemico e sistematico, che può anche richiedere un po’ di tempo, ma che è indispensabile.
Vengo ora alla seconda osservazione dell'onorevole Businarolo. Tutti noi siamo assolutamente convinti della gravità del problema della corruzione. Io me ne occupo dal 1992, dagli esordi di «Mani pulite», e mi sono sempre affannato – l'ho anche scritto in un libro, che si chiama «Il prezzo della tangente» – a sottolineare che la corruzione non produce soltanto danni economici, che si possono ripianare con restituzioni o con risarcimenti. Il danno è così profondo, addirittura sulle politiche e sul futuro del Paese, che richiede un'attenzione assolutamente accentuata.
Mi ricordo che, nei primi convegni che si fecero agli esordi di «Mani pulite», io mi opposi alla proposta che qualcuno avanzava – e che forse era realistica, perché le procure erano sommerse da valanghe di denunce e di segnalazioni – della cosiddetta «amnistia condizionata a pagamento», perché, a mio giudizio, rappresentava un messaggio estremamente negativo sul fatto che la corruzione producesse un danno soltanto sul piano economico e, quindi, bastasse restituire i soldi per far tornare tutto come prima.
Nell'epoca di Tangentopoli noi abbiamo assistito a intere politiche che sono state influenzate dalla finalità di corruzione, privilegiando determinate destinazioni dell'investimento pubblico, perché rendevano di più dal punto di vista delle tangenti rispetto ad altre.
Se quella certa politica ha costruito l'ennesima inutile autostrada, invece di costruire un ospedale, come facciamo a quantificare quali sono i danni che la corruzione ha prodotto ?
Il sistema del whistleblowing all'interno di organizzazioni complesse, che sono ermetiche e spesso impenetrabili dall'esterno, è uno dei meccanismi di scardinamento assolutamente indispensabili.
Il problema, quindi, non risiede tanto nella bontà della proposta o delle intenzioni che la sostengono, quanto nel suo inserimento in un contesto estremamente complesso, come ha ben esemplificato l'Avvocato generale.
C’è anche il problema di riflettere su quanto possa ancora essere valorizzata una normativa che è oggetto di grande critica, come il decreto legislativo n. 231 del 2001.
Io ho scritto un articolo in cui parlo del decreto legislativo n. 231 del 2001, difendendolo dalle critiche, perché contiene un'ispirazione straordinaria: in fondo, la prevenzione degli illeciti, prima ancora che attraverso la denuncia, che, peraltro, interviene quando la patologia è già conclamata, dovrebbe essere coltivata attraverso un sistema organizzativo che si costruisce in termini di trasparenza, di comunicazione e, per certi versi, anche di autonomia delle diverse componenti.
Infatti, nelle fenomenologie criminali delle grandi organizzazioni, a cominciare da quelle che hanno dato luogo ai grandi scandali, da Parmalat, in Italia, a Enron e WorldCom, noi notiamo che esisteva una compartimentazione ermetica che non solo impediva la circolazione di informazioni all'interno dell'organizzazione, ma addirittura la inibiva all'origine. Ognuno non sapeva cosa faceva l'altro. Questo meccanismo è indubbiamente il più devastante, anche in termini di prevenzione dell'illiceità.
Semmai, la complessità del tema suggerirebbe di seguire il grande monito di Cesare Beccaria, che nell'introduzione della sua opera «Dei delitti e delle pene» affermava che nella legislazione dovremmo essere come dei buoni seminatori: non aspettarci che il frutto cresca subito, ma lasciare che passi un po’ di tempo prima che cresca. Ovviamente questo è un discorso tutto da approfondire in termini culturali.Pag. 18
Per quanto riguarda gli enti privati, anche sotto questo profilo l'esempio del decreto legislativo n. 231 del 2001 è estremamente significativo, perché, quando fu introdotto, furono soprattutto le piccole e medie imprese a far notare come fosse poco sostenibile da parte loro l'adozione di questi modelli, che richiedono un organismo di vigilanza.
Pensate a quanti anni abbiamo discusso su come doveva essere composto l'organismo di vigilanza, con quanti componenti esterni e quanti interni. È un onere che non è sostenibile da chiunque.
Pensiamo – ne parlavamo prima di iniziare l'audizione con l'Avvocato generale Rossi – a un'impresa che ha un titolare e cinque dipendenti. Come si può pensare che ci sia una tutela nei confronti del whistleblower ? Si conoscono tutti e, a quel punto, il meccanismo diventa risibile.
È chiaro che noi tutti vediamo in questo mezzo un canale per affermare la legalità e per contrastare gli illeciti, però non dimentichiamo che l'esperienza del whistleblowing negli Stati Uniti non manca di mettere in evidenza le cosiddette «soffiate di fischietto» strumentali, per arrecare un danno a un proprio collega.
Pertanto, è importante anche la tutela del segnalato contro false segnalazioni. L'onorevole Businarolo mi sollecitava a fare delle proposte. Nello schema che vi manderò, a proposito delle sanzioni disciplinari ex articolo 13 penso a una formulazione che sia un po’ più a tutela del segnalato rispetto a quella attuale, che è piuttosto debole sotto questo profilo.
L'altro effetto collaterale che non bisogna dimenticare, e che emergeva un po’ dall'intervento dell'Avvocato generale Rossi, è che, con il meccanismo del premio, c’è una particolare tentazione da parte del segnalante a segnalare all'esterno la conoscenza dell'illecito. Dobbiamo calcolarlo come un possibile effetto collaterale di indebolimento dei controlli interni.
Se la finalità della compliance societaria è quella di incentivare l'autodisciplina all'interno dell'organizzazione, esternalizzando il controllo, si va un po’ in controtendenza.
Per certi versi, anche l'ispirazione del decreto n. 231 del 2001 è stata quella di fare in modo che le imprese collaborassero esse stesse a creare una situazione di legalità, senza aspettarsi che il controllo fosse esterno, non tanto perché adesso il trend è quello della privatizzazione e delegazione al territorio della soluzione dei conflitti, ma perché, come dicevo all'inizio del mio intervento, è evidente che le migliori conoscenze sulla situazione aziendale, anche in termini di illiceità, siano all'interno dell'azienda stessa.
Ciò vale, non solo per gli illeciti finanziari ed economici, ma anche per gli illeciti riguardanti la prevenzione degli infortuni sul lavoro o i disastri ambientali. Chi sa meglio di chi produce quali sono i rischi che la sua produzione può comportare all'ambiente o all'incolumità delle persone ? Per quanto si possa fare questo tipo di valutazione dall'esterno, è dall'interno, debitamente incentivato, che può venire questo tipo di informazioni. Pertanto, si tratta di favorire questo elemento.
Per quanto riguarda gli incentivi, l'onorevole Businarolo affermava che dobbiamo incentivare le persone che spesso subiscono conseguenze negative. Forse l'onorevole ha già dato la risposta, nel senso che, innanzitutto, è già un incentivo il fatto che le persone vengano protette da questo tipo di inconvenienti che subiscono.
Forse, già il fatto che la loro decisione di «soffiare il fischietto», riguardando un'organizzazione aziendale apprezzata in termini di qualità del proprio dipendente, comporti un vantaggio in termini di mobilità interna, è già un incentivo, anche se indiretto, che, a mio giudizio, per molti whistleblower vale più di quel premio in denaro che si può loro riconoscere rispetto alla segnalazione dell'illecito.
Torniamo al discorso di prima: quello che è veramente importante è cercare di promuovere organizzazioni ad alta affidabilità – uso un'espressione degli scienziati dell'organizzazione – e che magari non additino subito con intento accusatorio la negatività, ma creino un clima favorevole Pag. 19per premiare nei fatti (in termini di carriera e di gratificazione personale) chi si comporta in modo legale.
Mi riferisco a quella che, con il Centro studi Federico Stella, che dirigo da un po’ di anni, chiamiamo «la legalità profittevole», che consiste nel cercare di convincere tutti gli operatori, pubblici e privati, che comportarsi secondo le regole non è controproducente, ma fa bene in termini di vivibilità dell'organizzazione e fa bene anche in termini di profitto. Ovviamente è tutto il mondo istituzionale che deve cercare di promuovere questo.
Spero di aver risposto alle vostre domande.
PRESIDENTE. Noi vi ringraziamo molto di questo contributo di altissimo livello.
L'Avvocato generale Rossi ha già depositato una relazione, che verrà messa in distribuzione, mentre il professore...
GABRIO FORTI, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università Cattolica del Sacro cuore di Milano (fuori microfono). Avendo ricevuto il nuovo testo un giorno e mezzo fa...
PRESIDENTE. Ha ragione. Noi avremmo ricevuto volentieri anche il suo testo a fronte riferito alla prima versione del testo della proposta di legge.
GABRIO FORTI, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università Cattolica del Sacro cuore di Milano (fuori microfono). Ve li manderò entrambi.
PRESIDENTE. Sì, ci invii quello che riguardava la proposta originaria e quello riguardante il testo successivo che l'onorevole Businarolo ha voluto mettere a disposizione. Ovviamente le Commissioni voteranno l'adozione di un testo base. Credo che tutti e due i suoi contributi possano essere di aiuto ai nostri lavori.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 17.20.