Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1203 DANIELE FARINA E C. 971 GOZI, RECANTI MODIFICHE AL TESTO UNICO DELLE LEGGI IN MATERIA DI DISCIPLINA DEGLI STUPEFACENTI E SOSTANZE PSICOTROPE, PREVENZIONE, CURA E RIABILITAZIONE DEI RELATIVI STATI DI TOSSICODIPENDENZA, DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 9 OTTOBRE 1990, N. 309, IN MATERIA DI COLTIVAZIONE E CESSIONE DELLA CANNABIS INDICA E DEI SUOI DERIVATI
Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, del direttore sanitario della Comunità San Patrignano, Antonio Boschini, di rappresentanti della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FEDERSERD) e del direttore della UOC farmaco tossicodipendenze – ASL 11 Empoli della regione Toscana, Maura Tedici.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 3
Ferranti Donatella , Presidente ... 6
Boschini Antonio , Direttore sanitario della Comunità San Patrignano ... 6
Ferranti Donatella , Presidente ... 8
D'Egidio Pietro , Presidente della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FEDERSERD) ... 9
Nava Felice , Vice Presidente della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FEDERSERD ... 10
Ferranti Donatella , Presidente ... 11
Tedici Maura , Direttore della UOC farmaco tossicodipendenze-Asl 11 Empoli della regione Toscana ... 11
Ferranti Donatella , Presidente ... 13
Farina Daniele (SEL) ... 13
Ferraresi Vittorio (M5S) ... 14
Chiarelli Gianfranco Giovanni (PdL) ... 14
Ferranti Donatella , Presidente ... 15
Boschini Antonio , Direttore sanitario della Comunità San Patrignano ... 15
Ferranti Donatella , Presidente ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI
La seduta comincia alle 14.40.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, del direttore sanitario della Comunità San Patrignano, Antonio Boschini, di rappresentanti della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FEDERSERD) e del direttore della UOC farmaco tossicodipendenze – ASL 11 Empoli della regione Toscana, Maura Tedici.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 1203 Daniele Farina e C. 971 Gozi, recanti modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di coltivazione e cessione della cannabis indica e dei suoi derivati, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, del direttore sanitario della Comunità San Patrignano, Antonio Boschini, di rappresentanti della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FEDERSERD) e del direttore della UOC farmaco tossicodipendenze – ASL 11 Empoli della regione Toscana, Maura Tedici.
Oggi saranno sentiti il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Maria Sabelli, il direttore sanitario della Comunità San Patrignano, Antonio Boschini, accompagnato da Marcello Chianese e Francesco Vismara, responsabili rispettivamente dell'Ufficio legale e delle relazioni istituzionali della Comunità San Patrignano, e i rappresentanti della FEDERSERD, la Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze, il presidente Pietro D'Egidio e il vicepresidente Felice Nava. Sentiremo anche Maura Tedici, direttore dell'UOC farmaco tossicodipendenze – ASL 11 Empoli della regione Toscana.
Per evitare quello che ci è accaduto ieri, quando ho dovuto scusarmi con un audito perché non l'abbiamo potuto sentire, vi pregherei, dal momento che dopo di voi abbiamo l'altra indagine che riguarda i reati ambientali, di contenere gli interventi in una decina di minuti. Penso che parlerete uno per gruppo. Eventualmente, se ci sarà dibattito, l'altro potrà rispondere.
Do la parola al presidente Sabelli.
RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Grazie, presidente. Io presento una relazione scritta, che mi consentirà di essere piuttosto sintetico.
Inizio dalla proposta di legge più complessa, la C. 1203. In questo disegno di legge si reintroduce la distinzione a fini sanzionatori tra droghe pesanti e droghe leggere. Su questa distinzione noi esprimiamo un parere senz'altro favorevole, in quanto riteniamo Pag. 4che l'attuale equiparazione per l'applicazione di sanzioni analoghe in situazioni, però, di oggettiva diversa pericolosità rischi di provocare una tensione permanente tra la pratica giudiziaria e i parametri anche costituzionali relativi al contenuto della sanzione penale, proprio in riferimento ai diversi effetti e alla diversa natura delle sostanze stupefacenti.
L'intervento sul quale esprimiamo, invece, alcune perplessità riguarda la riduzione delle pene edittali. Innanzitutto faccio riferimento all'ipotesi base, prevista dall'articolo 73, che, mentre lascia inalterate le sanzioni per quanto riguarda le droghe cosiddette pesanti, produce una notevole riduzione della pena prevista per le droghe cosiddette leggere, più esattamente per le sostanze stupefacenti previste all'articolo 14 lettera a), n. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Basti pensare che la pena edittale massima passa da 20 a 3 anni di reclusione.
Ciò determina un mutamento profondo proprio delle linee di contrasto criminale a questo genere di traffico illecito. Occorre essere ben consapevoli delle conseguenze anche di natura processuale che una riduzione della sanzione di questa portata determina.
Bisogna, inoltre, tenere conto del fatto che queste considerazioni non mutano neanche per il caso di condotte reiterate, cioè neanche nel caso dei recidivi. Degli effetti sanzionatori che conseguono alla recidiva, in questo caso, per espressa previsione in materia di misure cautelari, non si tiene conto. Ciò significa che non sarebbe possibile applicare misure cautelari di alcun genere con riferimento all'ipotesi base, limitatamente alle droghe leggere.
Al di là di questa, che è una scelta, a nostro avviso, molto discutibile, ma che rientra nella libera determinazione del legislatore, a cui competono le scelte di indirizzo politico, muovo un'altra osservazione, questa volta proprio di tipo tecnico. Rilevo, cioè, il mancato coordinamento fra la riduzione della sanzione edittale e la disciplina processuale relativa all'arresto in flagranza. Questo significa che, mentre per tutte le ipotesi di cui all'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti (decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990), l'articolo 380, lettera h) del codice di procedura penale prevede un'ipotesi di arresto obbligatorio, qui ci troveremmo, per le droghe leggere, di fronte a una contraddizione, ossia a un arresto obbligatorio, al quale, tuttavia, consegue il divieto di applicazione di qualsiasi misura cautelare.
Ciò avviene perché la deroga prevista dall'articolo 391, comma 5, del codice di procedura penale, che consente l'applicazione di misure cautelari in caso di arresto anche oltre i limiti generali previsti dagli articoli 274 e 280 del codice di procedura penale, riguarda soltanto le ipotesi di arresto facoltativo previste dall'articolo 381, non anche quelle di arresto obbligatorio previste dall'articolo 380 del codice di procedura penale. Riteniamo, quindi, che si tratti proprio di una conseguenza non voluta di mancato coordinamento fra queste disposizioni.
Per rimediare almeno a questa incongruenza, qualora si volesse veramente una riduzione della sanzione di questa portata, sarebbero possibili tre soluzioni astrattamente immaginabili: elevare nel massimo ad almeno cinque anni la pena prevista per le ipotesi di cui all'articolo 73 riferite alle droghe leggere, che sarebbe la soluzione, tutto sommato, più ragionevole, in relazione anche a una previsione di arresto obbligatorio; estendere la deroga prevista dall'articolo 391, comma 5, anche alle ipotesi di arresto obbligatorio; o, in alternativa, prevedere l'arresto facoltativo per tutte le condotte di cui all'articolo 73 che riguardano le droghe leggere.
Veniamo poi all'intervento su quello che è attualmente il comma 5 dell'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti ossia le ipotesi cosiddette lievi. La proposta di legge opera la trasformazione di quella che è attualmente una circostanza attenuante in una fattispecie autonoma di reato. Noi riteniamo che questa sia una scelta condivisibile, perché sottrae il trattamento sanzionatorio agli effetti più evidenti, più violenti e talvolta anche più imprevedibili all'origine che possono conseguire dal giudizio di comparazione con Pag. 5altre circostanze. È una scelta che si mantiene più aderente alla valutazione di concreto disvalore della condotta, così come valutata all'origine dal legislatore.
Un'osservazione, anche in questo caso, riguarda l'entità della sanzione, perché vi è uno scostamento tra i limiti edittali massimo dell'ipotesi lieve e minimo dell'ipotesi base. Tale scostamento è molto ampio per quanto riguarda le droghe pesanti, perché la pena massima prevista per il caso lieve è di due anni, mentre il minimo previsto per l'ipotesi base è sei anni, mentre quei limiti, il massimo edittale per l'ipotesi lieve e il minimo edittale per l'ipotesi base, coincidono nel caso delle droghe leggere, prevedendo in entrambi i casi un anno di reclusione.
Anche in questo contesto posso rinnovare le valutazioni e le osservazioni critiche sulle conseguenze anche di natura processuale che derivano dalla forte riduzione di pena per il caso dell'ipotesi lieve. In questo frangente le osservazioni valgono non soltanto per le droghe cosiddette leggere, ma anche per le droghe pesanti, perché la previsione di un limite edittale di questo tipo, di due anni, non consente neanche per le droghe pesanti alcun tipo di intervento, né di arresto, né di misura cautelare di alcun genere.
Bisogna tener conto che, se anche nella prassi, nella vulgata, si parla di ipotesi lievi, in realtà queste ipotesi non sono sempre tanto lievi. Basti pensare che, per esempio, la Cassazione parla di ipotesi lieve di detenzione e di cessione di cocaina per quantitativi di circa 7 grammi lordi, mentre addirittura, ricollegandomi a quello che dicevo prima, cioè all'impossibilità di applicare misure cautelari per la detenzione di quantitativi base, anche non lievi, di droghe leggere, purché non ingenti, la Cassazione dispone che non sono ingenti i quantitativi di hashish che giungono fino addirittura a 50 chilogrammi. Anche per la detenzione e il trasporto di 50 chilogrammi di hashish, qualora si trattasse perfino di condotte reiterate da parte di recidivi, non sarebbe, quindi, possibile applicare alcuna misura cautelare.
La nostra associazione è da sempre tradizionalmente favorevole a una riduzione dell'ambito di applicazione delle misure cautelari e a un loro contenimento, per quanto riguarda sia l'estensione dell'ambito di applicabilità di queste misure, peraltro conformemente a un principio generale già accolto dal nostro codice di procedura penale, sia la durata nel tempo di queste misure cautelari. Riteniamo, tuttavia, che si dovrebbe operare con altri meccanismi, cioè con strumenti di semplificazione processuale che alla radice riducano la necessità di protrarre nel tempo le misure cautelari, soprattutto se di natura detentiva e carceraria, cercando di favorire il più possibile il pervenimento alla sentenza e, quindi, di contenere il tempo che trascorre fra l'applicazione della misura e la conclusione della fase processuale, ossia del giudizio.
Proseguendo, esprimiamo parere favorevole in ordine all'introduzione del comma 3-bis dell'articolo 73. Parliamo dell'esplicita previsione di non punibilità delle condotte di coltivazione di cannabis per uso personale, condotte che, in base alla legge vigente, invece, sia pure con alcune oscillazioni della giurisprudenza di merito, la Cassazione, anche a Sezioni unite, ritiene ricomprese nell'ambito della sanzione penale. Tuttavia, l'unica perplessità che abbiamo su questo punto è che sarebbe forse utile introdurre qualche parametro di natura oggettiva, riferito, per esempio, a tecniche specifiche di coltivazione, al numero delle piantine da stupefacente, al quantitativo di principio attivo, per evitare possibili incertezze interpretative.
Va detto che questo comma 3-bis dell'articolo 73 prevede anche la non punibilità delle condotte di cessione a terzi, qualora queste siano seguite dall'uso immediato. Il fatto che questa causa di non punibilità sia legata al tema della coltivazione domestica lascia intendere che debba trattarsi di cessione di sostanze che provengono da tale coltivazione domestica. Tuttavia, non sarebbe forse sbagliato esplicitare questo concetto in termini più chiari.Pag. 6
Per la verità, noi esprimiamo alcune perplessità sull'esclusione di non punibilità con riferimento a queste condotte di cessione, perché la non punibilità non è, invece, esclusa per altre condotte, che, tutto sommato, presentano un disvalore analogo. Penso, per esempio, alla cessione gratuita di piccoli quantitativi di hashish, magari di uno spinello, a un amico per un consumo comune e immediato.
Con questo ho esaurito le osservazioni sul progetto C. 1203 e passo a qualche battuta molto breve sul disegno di legge C. 971, che si sofferma in particolare sulle condotte di coltivazione domestica e riproduce, se mal non ricordo, un analogo disegno, sul quale forse ci eravamo già soffermati nella precedente legislatura.
L'intento, così come esplicitato anche nella relazione illustrativa, è condivisibile. Tuttavia, osserviamo innanzitutto che la non punibilità viene collegata non alla destinazione, in particolare all'uso personale del prodotto della coltivazione, ma alle caratteristiche della coltivazione, che deve essere testualmente «priva di caratteristiche tecnico-agrarie o imprenditoriali». Sembrerebbe, dunque, sottratta all'ambito della sanzione penale anche la coltivazione che fosse, per ipotesi, destinata ad attività, sia pure contenuta, di cessione a terzi.
Il secondo rilievo critico che noi muoviamo è che l'espressione «coltivazione priva di caratteristiche tecnico-agrarie o imprenditoriali» risulta di contenuto alquanto indeterminato o incerto, con conseguente rischio di interpretazioni difformi fra loro.
Mi fermerei qui. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie la sintesi e per la pregnanza dell'intervento.
Do la parola ad Antonio Boschini, direttore sanitario della Comunità San Patrignano, che è accompagnato, come dicevo prima, da Marcello Chianese e Francesco Vismara.
Anche da parte vostra c’è un materiale in distribuzione. Vi ringraziamo per i contributi scritti, sempre molto utili.
ANTONIO BOSCHINI, Direttore sanitario della Comunità San Patrignano. Prima di tutto volevo ringraziare il presidente e gli onorevoli per questo invito, perché ci permette di esprimere un parere che non è solo della Comunità San Patrignano, ma anche di tante altre comunità del panorama italiano. Ne cito alcune: il CeIS, Dianova, Comunità Mondo Nuovo, Comunità Incontro, Comunità Promozione umana, Comunità Gruppo Valdinievole, Comunità di accoglienza Agave e Comunità Casa del Giovane.
Oltre a queste comunità si associano al documento scritto che abbiamo consegnato oltre 50 associazioni di volontariato che operano sul territorio sempre in merito alla lotta alla droga.
Le nostre strutture sono sorte a partire dagli anni Settanta e si occupano sostanzialmente di riabilitazione e recupero dalla tossicodipendenza da droghe, ma anche, e in misura crescente negli ultimi anni, di prevenzione, diretta principalmente alla fascia di età che va dai 14 ai 16 anni. È questa l'età in cui quasi sempre avviene il primo contatto con l'hashish e la marijuana, comunemente definite droghe leggere. In questi trent'anni l'età di contatto con queste sostanze è sempre rimasta intorno ai 14-16 anni.
Ovviamente, le comunità di recupero non si occupano di questi problemi, ma principalmente di persone che, dopo avere sperimentato queste sostanze, progrediscono in un’escalation ormai ben definita, che vede nell'arco di pochi anni l'uso di droghe sintetiche, poi di cocaina, di eroina o di entrambe.
È noto a tutti che per molte persone il contatto con la cannabis è un evento occasionale, un'abitudine transitoria, ma dati consolidati di letteratura – vi fornirò poi il riferimento bibliografico – indicano che il 10 per cento delle persone che usano la cannabis ne diventano nel tempo dipendenti.
È un dato che ha piuttosto sorpreso anche me. Se consideriamo che fra le sostanze illegali la cannabis è la più diffusa nel mondo, anche un 10 per cento, che è di gran lunga inferiore alle percentuali Pag. 7di dipendenza indotte dall'eroina, considerata l'ampia diffusione che hanno queste sostanze, ne fa, secondo l'OMS, la sostanza illecita con una dipendenza più diffusa nel mondo.
Inoltre, c’è un altro aspetto che mi preme sottolineare. Nonostante per molte persone quella della cannabis sia un'esperienza occasionale e transitoria, che dura negli anni dell'adolescenza o un po’ oltre, è anche vero che per molte persone la cannabis rappresenta un cancello, una porta cui segue il contatto con sostanze via via più dannose, pericolose e associate a criminalità.
Le cause di questa teoria del cancello non sono ben note. Possono essere biologiche. Ci sono alcune prove che ci siano cause anche biologiche che favoriscono il passaggio dalla cannabis ad altre sostanze. Oppure possono essere sociali e culturali.
Noi abbiamo alcune perplessità nel considerare questa sostanza leggera, per la dipendenza del 10 per cento, per il rischio che la cannabis conduca poi a esperienze di tipo diverso e anche per la sua neurotossicità intrinseca, a prescindere dalla dipendenza e dalla progressione ad altre sostanze. Di queste ultime non ho intenzione di parlare, perché sicuramente nei giorni scorsi avete ascoltato una relazione sulle tossicità della cannabis, che, secondo me, è una relazione molto ben documentante.
Noi lavoriamo nelle comunità. Non siamo tecnici, non siamo competenti di legge, probabilmente il nostro responsabile dell'ufficio legale è molto più competente di me, ma il motivo del nostro essere qui è il timore che, con queste modifiche legislative, l'uso della cannabis venga legittimato, anche se non liberalizzato.
Depenalizzandone il possesso, la coltivazione o anche la cessione a terzi, infatti, il messaggio che arriverebbe alle fasce giovanili, non competenti di leggi e di problemi carcerari, sarebbe che, tutto sommato, se essere fermati mentre si ha in tasca la cannabis, il pezzo di fumo, mentre la si fornisce addirittura a un altro o mentre la si coltiva non è un reato, evidentemente tale sostanza non è poi tanto pericolosa come si sta da qualche anno affermando.
Questa è la nostra principale preoccupazione, che ci porta qui oggi. Secondo noi, la diffusione, che è già troppo elevata adesso, in conseguenza di ciò potrebbe aumentare ulteriormente. A questo proposito, riteniamo fondamentale che vengano riavviati al più presto i progetti di prevenzione e le campagne nazionali di informazione, così come previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 390 del 1990. Essi sono rimasti ormai da anni senza alcuna copertura finanziaria, dopo che il Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga è confluito nel fondo sociale indistinto di cui alla legge n. 328 del 2000.
Una seconda conseguenza, a nostro parere negativa, delle modifiche legislative proposte finalizzate a evitare sanzioni penali ai consumatori è che si renderebbe certamente molto più agevole il piccolo spaccio. La cannabis non arriva ai ragazzi dal grande trafficante, ma da persone che ne tengono in tasca piccole confezioni. Lo sanno tutti.
Noi ci teniamo a precisare un'altra questione. Noi siamo convinti che il carcere non sia di aiuto, né per i consumatori di cannabis, né per quelli di altre droghe, indipendentemente dalla situazione di emergenza e di sovrappopolamento carcerario in cui ci troviamo adesso. Riteniamo giusto che le persone con dipendenza siano avviate a un percorso di cura e che queste linee di intervento siano già ben delineate dall'attuale legislazione.
Esistono comunque diversi tipi di uso e di dipendenza da diversi tipi di sostanze e ci sono differenti tipi di trattamenti che possono essere individualizzati verso i servizi, sia pubblici, sia privati, attraverso modalità sia residenziali, sia ambulatoriali. Questi percorsi potrebbero essere ulteriormente ampliati e migliorati e soprattutto trovare adeguati finanziamenti, mentre oggi il loro utilizzo è limitato – questo è un punto molto importante, purtroppo – dall'indisponibilità di risorse economiche dovuta all'esaurimento dei budget delle diverse Aziende sanitarie locali. Da quando è il Pag. 8SerT a gestire la sanità carceraria tutte queste possibilità alternative al carcere diventano difficili per motivi di budget.
Noi non possiamo, né vogliamo entrare in ambiti tecnici che non ci appartengono, ma crediamo che sia opportuno individuare ulteriori strumenti legislativi, oltre che applicare con maggior coerenza quelli già esistenti, che evitino il carcere al semplice consumatore, in particolare se è in attesa di giudizio, non solo al primo reato, ma anche in caso di recidiva di quel reato, favorendo il più possibile l'inserimento in percorsi terapeutici in caso di condanne già inflitte.
Allo stesso tempo, però, bisogna che gli strumenti individuati per queste giuste finalità non depenalizzino lo spaccio di droga. È noto a tutti che gli spacciatori sono esperti in materia legale e che modificano le forme di spaccio in funzione delle leggi vigenti, garantendosi spesso l'incolumità nelle loro pratiche criminose.
Infine, dissentiamo totalmente dalla soppressione delle sanzioni amministrative, che, a nostro giudizio, rappresentano un deterrente concreto, volto a difendere il cittadino dai comportamenti irresponsabili che minano l'integrità fisica e morale della collettività. Di questa eliminazione delle sanzioni amministrative di fatto non si capiscono la ragione e la finalità. Anche questo, ancora di più, invierebbe un messaggio assolutamente ambiguo e contraddittorio alla popolazione, in particolare a quella giovanile.
In conclusione, noi pensiamo che sia necessario agevolare l'ingresso nelle comunità o in altri percorsi di quei detenuti che si trovano in carcere in custodia cautelare e che intendano sottoporsi a un programma di recupero. Riteniamo che sia giusto aumentare il numero delle possibilità di beneficiare dell'affidamento in prova al servizio sociale ex articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per i detenuti tossicodipendenti con sentenza passata in giudicato che intendano sottoporsi a un percorso di recupero. Riteniamo giusto che lo Stato e le regioni si impegnino a trovare i fondi per pagare la retta, spesso inevasa, alle comunità terapeutiche.
Tutto ciò affinché i servizi pubblici e privati trovino finalmente una maggior convergenza e possano svolgere compiutamente la loro importante funzione sociale con la passione e il senso di solidarietà che da sempre li anima e che consiste nel riconsegnare alla società vite finalmente libere dalla schiavitù della tossicodipendenza, evitando così di trasmettere all'attuale e alle future generazioni una società in cui spacciare e assumere hashish, marijuana o altre droghe o i loro derivati è lecito, normale e accettato.
Non vanifichiamo tutti gli sforzi che vengono fatti dalle istituzioni educative – mi riferisco a quelle più svariate, alla famiglia, alla scuola, alle parrocchie, ai centri sportivi – che nulla potrebbero sensatamente dire o fare al cospetto di un giovane assuntore di marijuana o hashish, senza sentirsi rispondere che il suo modo di alterarsi la percezione della realtà, di ovattarsi le emozioni e di falsare il proprio mondo relazionale è normale, perché lo Stato l'ha di fatto legittimato con una nuova legge.
Non arrendiamoci, non alziamo bandiera bianca di fronte al disagio dei nostri giovani, consegnando loro droghe al posto di risposte educative e sostegno fattivo al loro bisogno di apprendere e crescere.
Tutte le nostre realtà, tutte quelle che ho precedentemente citato, offrono la più ampia disponibilità ad aderire a iniziative che il Governo vorrà assumere su proposta del Parlamento per garantire ai tossicodipendenti in carcere la possibilità di un percorso riabilitativo. Esse si dichiarano, quindi, disponibili ad affrontare proposte e progetti innovativi, purché al centro vedano sempre l'uomo e la sua esigenza di un recupero integrale.
Con questo ho finito.
PRESIDENTE. Grazie.
Do la parola a Pietro D'Egidio, presidente della FEDERSERD. Grazie anche del documento, che verrà messo in distribuzione. Ricordo che la FEDERSERD è la Pag. 9Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze.
PIETRO D'EGIDIO, Presidente della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FEDERSERD). Buonasera a tutti. Mi chiamo Pietro D'Egidio, sono un medico e lavoro nel Servizio per le tossicodipendenze dell'ASL di Pescara. Sono uno di quei 7.000 operatori che in 550 servizi per le tossicodipendenze in Italia hanno in cura circa 300.000 persone ogni anno, insieme a oltre 1.000 strutture terapeutiche del privato sociale in cui operano circa altri 7.000 operatori.
FEDERSERD è un'organizzazione nata nel 2001 dalla confluenza di diverse associazioni professionali e società scientifiche che raggruppa i professionisti dei dipartimenti e dei servizi per le dipendenze. È presente in tutte le regioni italiane. Abbiamo circa 1.200 associati e un diffuso radicamento in tutti i servizi delle dipendenze di alcologia.
Io amo dire che noi siamo gli operatori che lavorano sul territorio e che, come tali, siamo coloro che garantiscono l'efficienza e l'efficacia della rete di intervento per la cura delle dipendenze in Italia. Abbiamo in cura presso i nostri servizi, sui citati 300.000, poco più di 100.000 pazienti ogni anno, con terapie che usano farmaci agonisti per la dipendenza da eroina. A questi pazienti noi garantiamo ogni anno più di 34 milioni di giorni liberi da droghe. Essi valgono per la società circa 1,7 miliardi di euro di introiti sottratti alla criminalità organizzata.
FEDERSERD, la società scientifica più rappresentativa nel settore delle dipendenze in Italia, è impegnata a sviluppare e consolidare su tutto il nostro territorio interventi clinici e preventivi su base scientifica, nell'interesse della persona e della società civile. La nostra mission è quella di migliorare la qualità degli interventi nel settore delle dipendenze patologiche e dei consumi problematici facendo da modello di riferimento scientifico e organizzativo ai professionisti italiani.
Da molto tempo noi chiediamo di riprogettare il sistema di cura per le dipendenze. Questa richiesta viene mossa a partire da una serie di considerazioni che, a mio giudizio, fanno da cornice alle proposte specifiche sui due temi in discussione puntualmente oggi. La prima è che la cultura della dipendenza si è radicata in questa società dell'eccesso. Serve un approccio diverso alle dipendenze, che distingua compiti e responsabilità, affidando le cure al sistema sanitario e le politiche di intervento sui consumi e gli stili di vita a soggetti e strutture multidisciplinari da costruire.
Ricordiamo che, come dice Gratteri, la criminalità organizzata produce con il commercio di droga l'11 per cento del PIL nazionale ed è in grado di corrompere i più importanti equilibri economici e sociali del nostro Paese.
Riportiamo anche l'attenzione sul fatto che le dipendenze legali uccidono. Il tabacco è responsabile di circa 100.000 morti l'anno e l'alcol di un numero tra 30 e 50.000, a seconda se si considerano o no gli incidenti. Queste sostanze sono, quindi, ai primi posti come fattori di rischio per delitti e mortalità.
Constatiamo che le numerose trasformazioni in atto oggi nella sanità, legate principalmente alla crisi economica, fanno sì che noi guardiamo sempre alla sanità come a uno strumento che consuma. Noi vogliamo dire che produciamo salute e che la salute prodotta ha un valore economico. Ci sono molti studi che indicano, soprattutto negli Stati Uniti e in Australia, ma diversi ne stiamo già facendo e pubblicando anche noi, che per ogni euro investito nella cura delle tossicodipendenze lo Stato ne guadagna, o risparmia, da 4 a 7. Chiaramente essi non possono andare nel bilancio delle ASL e dei nostri direttori generali, ma entrano sicuramente nel bilancio complessivo di questo Stato e del capitale sociale di ogni territorio.
L'evidenza è che esiste, da una parte, una preoccupante assuefazione alle droghe e, dall'altra, una sottovalutazione o, da parte di altri, una sopravvalutazione dei danni, non sempre colti nella giusta misura dai decisori politici. I malati da Pag. 10droghe e dipendenze comportamentali aumentano sempre di più nel nostro Paese, ma soprattutto aumenta la gravità dell'espressione clinica di queste malattie.
Lo Stato deve rivedere la politica che interessa il mercato legale del gioco. A questo proposito, appare auspicabile che si istituisca una tassa di scopo sui proventi del gioco d'azzardo legale da reinvestire nella prevenzione e nella cura dei giocatori patologici e che si riportino le spese per il gioco al livello dalla fiscalità generale.
Osserviamo che l'abuso e le dipendenze comportamentali sono un fenomeno in continua crescita e che i SerT debbano essere aiutati dalla politica dal punto di vista sia delle risorse, sia delle riforme. Si avverte la necessità che ogni ASL istituisca nel territorio nazionale, dove non siano già istituiti, i dipartimenti delle dipendenze, le uniche organizzazioni che possono garantire la regia della complessa rete di intervento sul territorio. Inoltre, i SerT devono essere messi dai decisori politici nella condizione di rapportarsi con i bisogni del territorio, in un'ottica di integrazione nazionale.
L'esperienza di questi dodici anni di FEDERSERD ci indica che le realtà e soprattutto i bisogni dei territori, nonché l'espressione clinica della quantità di patologie e della loro gravità sono diversi da territorio a territorio. Tra la Basilicata e il Veneto, tra l'alcool e l'eroina ci sono differenze abissali. Dobbiamo pensare alla possibilità di costruire servizi diversi in realtà diverse per bisogni diversi del territorio.
Infine, lasciatemi dire che c’è spesso un uso confuso o strumentale dei famosi dati scientifici, dei dati della letteratura. Nel 2004 noi riportammo con forza all'attenzione un principio ispiratore della nostra Federazione delle società medico-scientifiche tratto dall'epistemologia della scienza di Popper. Secondo questa, ogni scienziato prima di tutto deve avere dei dubbi, non deve essere certo di quello che gli viene mostrato nelle evidenze scientifiche. Inoltre, sostiene che le evidenze scientifiche hanno forze diverse.
Quando mi sono laureato io, si curava lo scompenso cardiaco congestizio con la digitale. Oggi non lo farebbe nessuno. Le cose cambiano, ma ci sono evidenze scientifiche che hanno una forza straordinaria. Nessuno si metterebbe in mente di fare una ricerca per scoprire se un bicchiere di arsenico uccide. Quell'evidenza ha una forza molto grande.
La legge 21 febbraio 2006, n. 49 si fonda su presupposti restrittivi – la cannabis potrebbe essere ugualmente pericolosa rispetto all'eroina. Il dottor Nava ci farà vedere che questo non è vero – e repressivi, col carcere per chi si droga. Si fonda sull'idea che sia possibile modificare comportamenti patologici e disfunzionali attraverso l'applicazione di norme e decreti legge.
L'uso in modo disinvolto e talora improprio dei dati e delle ricerche scientifiche anche su documenti istituzionali è stato troppo spesso portato a supporto e a giustificazione di approcci ideologici, quando non di politiche repressive, forzando una visione etica dello Stato e influenzando l'adozione di politiche sulle droghe lontane dalle evidenze scientifiche stesse. FEDERSERD si auspica che in futuro i documenti, soprattutto istituzionali, utili all'opinione pubblica e ai decisori politici per descrivere il fenomeno del consumo problematico di sostanze vengano prodotti da agenzie terze.
Il dottor Nava, se voi permettete, entrerà ora rapidamente e in maniera molto sintetica sul punto oggetto di questa Commissione.
FELICE NAVA, Vice Presidente della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FEDERSERD Le nostre proposte si basano fondamentalmente sulle evidenze scientifiche. Ci sono tre presupposti di base alle nostre proposte.
Il primo è che le sostanze d'abuso presentano differenze non solo farmacologiche, ma anche in termini di conseguenze, sia per chi le usa, sia per la collettività.
Il secondo presupposto importante è che le politiche sulle droghe sono in grado, e questo è evidente dalla letteratura scientifica Pag. 11che abbiamo consegnato, di influenzare i comportamenti e, quindi, anche i reati. È stato dimostrato ampiamente dalla letteratura scientifica come le policy, anche quelle restrittive, siano inefficaci nel ridurre il numero di reati e il mercato illecito di sostanze.
Il terzo presupposto è che le misure alternative sono gli unici strumenti in grado di diminuire sia la recidiva nel crimine, sia la ricaduta nelle sostanze.
Su questi tre presupposti evidence-based, basati sulle evidenze, le proposte di FEDERSERD sottolineano concettualmente la distinzione normativa tra sostanze, il valore indiscusso delle misure alternative nella riduzione dell'uso delle sostanze e delle recidive e la maggiore utilità, soprattutto per i consumatori di sostanze autori di reato, dell'uso della cosiddetta giustizia riparativa.
In questo senso, quindi, i punti di riflessione di FEDERSERD sulle proposte e sulle modifiche di legge sono di prevedere negli articoli di legge i criteri per la definizione di piccoli quantitativi (modifica all'articolo 73, comma 3-bis) attraverso una valutazione, caso per caso, di uno specialista SerT, ossia di uno specialista nelle dipendenze; specificare le circostanze del concetto di uso immediato (proposta di modifica all'articolo 73, comma 3-bis), in modo da non vanificare l'efficacia dell'articolo; inserire per la definizione di fatti di lieve entità, soprattutto in riferimento alla definizione della quantità delle sostanze (proposta di modifica all'articolo 73, commi 3-bis e 5), nuovi sistemi tabellari che prevedano la differenza fra sostanze; sostituire, salvo rare eccezioni per gravi motivi di giustizia, la custodia cautelare in carcere (proposta di modifica all'articolo 73, commi 1, 1-bis e 5) con misure cautelari non detentive o alternative alla detenzione o percorsi di giustizia riparativa.
Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Maura Tedici, direttore dell'UOC farmaco tossicodipendenze – ASL 11 Empoli della regione Toscana.
MAURA TEDICI, Direttore della UOC farmaco tossicodipendenze-Asl 11 Empoli della regione Toscana. In realtà, l'UOC è un insieme di servizi all'interno di un dipartimento per le tossicodipendenze.
Ringrazio tutti per questo invito, che mi onora. Porterò alcune riflessioni legate alla mia esperienza di 23 anni di lavoro nei servizi. Rispetto a quello che ho letto esprimo alcune perplessità.
Rispetto alla cannabis mi sembra che la discussione sul fatto che sia una droga leggera o pesante fosse già stata superata nel tempo da alcuni elementi. Il primo è che la cannabis stimola gli stessi recettori che vengono stimolati dalle altre droghe, ma soprattutto che la definizione dell'OMS degli anni Sessanta, in cui si distinguevano le droghe leggere, perché non davano dipendenze e tolleranza, da quelle pesanti, per il fenomeno opposto, è superata dal fatto che oggi sappiamo che la dipendenza è una malattia drammatica – ve lo garantisco – perché si esprime attraverso il craving, il desiderio insopprimibile di usare la droga. Questo vale per qualsiasi sostanza psicoattiva.
Naturalmente, le sostanze non si possono equiparare a livello di effetti, come dicevano prima i colleghi. Noi non dobbiamo leggere solo la droga, ma anche la vulnerabilità della persona che la consuma. Su questo livello, per esempio, mi preoccupa l'idea di considerare la cannabis una droga leggera rispetto ai minori. I minori non sono le persone che hanno meno di diciott'anni, ma quelle che ne hanno meno di ventuno, perché fino a ventun anni il cervello non è tanto strutturato da non essere sensibile ai rischi connessi al consumo abituale di cannabis.
Questo va chiarito rispetto al fatto di considerare la cannabis indica una sostanza diversa dagli acidi o da altre sostanze che nella vecchia distinzione dell'OMS rientravano nelle droghe leggere. Nelle droghe leggere all'epoca, peraltro, c'era anche la cocaina.
A me interessa lanciare il messaggio che oggi non si distinguono più le droghe in base a quanto diciamo noi medici, ma a seconda se abbiano effetti psicoattivi Pag. 12oppure no. La tabella del 2006 è, in realtà, una tabella che tiene conto di questo: tutto ciò che apre il cancello alla possibilità di liberare dopamina e serotonina si definisce droga, se pesante o leggera dipenderà dalla vulnerabilità della persona che l'assume.
Voi capite che sono vulnerabili i piccoli, le persone con disordini di personalità e i genitori. Noi dovremmo stare molto attenti nei nostri trattamenti e distinguere anche rispetto a ciò che vogliamo raggiungere nei nostri pazienti, tenendo conto se una persona è minore e se ha figli in casa. Diversamente, considerare che le droghe sono tutte uguali non farebbe più capire l'irrigidimento del Codice della strada, rispetto al quale anche il consumo di cannabis è considerato come l'uso di una sostanza che può mettere a repentaglio la vita della persona e di terzi. Su questo aspetto io ho, dunque, alcune perplessità.
L'altra perplessità che mi compare su questo livello è: qual è la cannabis di cui si parla ? È la skunk, per esempio ? Se noi calcoliamo gli effetti della cannabis, abbiamo determinati risultati. Se pensiamo alla skunk, in cui il principio attivo, il THC, ha una potenza 25 volte superiore a quella della cannabis normale, definire che questa possa essere una droga leggera è pericoloso.
La conclusione che mi permetto di offrire dalla mia esperienza è che oggi ci sono ragazzini che usano la skunk, ma anche quelli che abusano di cannabis. Noi vediamo ragazzi che hanno usato skunk che hanno slatentizzato crisi psicotiche gravi e li troviamo poi in terapie a livello di SPDC. Oppure vediamo, e ne abbiamo tanti, purtroppo, ragazzi giovanissimi – a me ora stanno arrivando persone del 1996-97-98, che i genitori accompagnano da noi, perché, usando cannabis, facendosi le canne tutto il giorno, hanno smesso di studiare, di andare a scuola, di fare attività sportiva e non hanno più vita di relazione.
Mi sento di evidenziare questo a proposito del fatto che forse sarebbe ora di considerare non soltanto la droga in sé, ma anche il rapporto droga-persona. Le sostanze psicoattive modificano il rapporto della persona con la realtà esterna. Su questo credo che dovremmo riflettere prima di dire che una cosa va bene o non va bene a livello esclusivamente politico.
Sulla cannabis occorre, dunque, qualche riflessione maggiore su ciò di cui si sta parlando, chi si vuole proteggere e chi, invece, non si sta proteggendo. È un pericolo. Riflettiamoci.
Svolgo un'ultima considerazione sulla cannabis. I ragazzi che vengono da noi e che poi faticosamente riusciamo a rendere sobri, alla fine sono soddisfatti – spesso, non sempre – del nuovo status di sobrietà che raggiungono e ci chiedono come mai quest'intervento non fosse stato fatto prima. È un segnale anche da parte dei genitori l'interesse di stare al mondo in maniera sobria, non alterandosi nelle percezioni, perché si crea un falso sé, che si porta dietro tutta la vita.
Passo all'altro aspetto, sul quale mi sento più ferrata, quello del carcere. Sul carcere davvero occorre una riflessione. Capisco tutto il senso della proposta di legge, ma in Toscana ci è stato dato un via molto interessante. La regione Toscana un anno e mezzo fa ci ha detto che i SerT si dovevano dare una mossa e offrire ai detenuti tossicodipendenti le stesse opportunità che offrivano a quelli sul territorio.
Questo ha fatto sì che nel mio servizio abbiamo deciso di seguire le persone in carcere, di andare a trovarle nelle carceri in cui sono detenute, in maniera assidua. Ciò significa senza mai lasciarli un attimo. Noi vediamo, infatti, che, quando un detenuto tossicodipendente da eroina entra in carcere, per i primi tre mesi è trattabile, perché è ancora in una fase di detossicazione e non ha ancora acquisito la nuova identità, quella del detenuto. Lo si può, quindi, motivare al cambiamento.
In questo modo, se il SerT di appartenenza, che il più delle volte, nel 90 per cento dei casi, conosce l'eroinomane, comincia a lavorare seriamente, andando a trovare questa persona in maniera continuativa e proponendo misure alternative, si riesce a far sì che la condanna, che è Pag. 13sempre una situazione brutta, diventi l'occasione per far saltare il fosso e tentare il cambiamento.
Se si aspetta più di tre mesi, se mettiamo nel mezzo interventi burocratizzanti che non permettono il contatto e la relazione terapeutica nuova, si rischia, invece, che la persona acquisisca l'identità del detenuto e condivida con i detenuti, per altri motivi, le stesse linee di pensiero e di dialogo. Ci troviamo così all'ottavo mese, andiamo in carcere e loro non vogliono più venire fuori, perché hanno conosciuto l'avvocato che li fa uscire in altro modo.
Questo dispiace. A me fa piacere, in assoluto, che questi soggetti escano dal carcere, come pensiero civile, ma mi dispiace perché ho visto grossi successi. Quando le persone sono all'interno del carcere, arrivano a sentire di essere guarite. È un errore forte, il cervello le inganna. Pensano di essere guarite in quanto, essendoci le sbarre, il craving si appiattisce. Se, però, sono nella fase iniziale, si riesce a motivarle al cambiamento e poi, una volta finito un percorso unitario legato alla pena, nelle buone comunità le persone restano, perché vogliono arrivare fino in fondo e si ritrovano come erano prima del danno causato dalla sostanza.
Ribadisco – permettetemi l'ultima osservazione – che i percorsi terapeutici che si offrono ai pazienti devono essere non solo veloci quando sono in carcere, ma anche pieni di affetto terapeutico. La relazione deve essere con una persona e chi dà l'esempio deve essere coerente. I tossicodipendenti non devono sentire che gli interventi hanno vincoli di budget. Li hanno e su questo ognuno se la gioca nella sua ASL, ma sarebbe interessante che le ASL non avessero vincoli di budget per chi deve uscire dal carcere. Questo non è possibile. È inutile che si faccia una legge in una direzione, quando poi le persone non possono uscire dal carcere perché non ci sono i soldi. Deve esserci comunque un legame che assicura i risultati.
L'ultima questione che mi preme sottolineare è che forse i SerT, pur con tutta la fatica che si fa negli anni, non sono ancora stati stimolati a sufficienza sul fatto di restituire i risultati e comunicare che ciò che si fa sul territorio, in carcere e in comunità, funziona. Queste persone ottengono vantaggi, hanno obiettivi raggiunti, cambiano stile di vita, trascorrono tre anni sobri, che è il minimo di garanzia perché una persona possa passare tutta la vita senza le droghe.
Se non ci chiedete questo, se non chiedete ai servizi di essere più rigorosi negli interventi, non solo forse i tossicodipendenti rimarranno in carcere, ma forse anche quelli che sono fuori non usciranno dal loro carcere reale, che è quello della sostanza che li rende dipendenti.
PRESIDENTE. Grazie, dottoressa, per il contributo appassionato e l'esperienza che ci ha voluto trasmettere.
Prima di chiudere devo dare la parola all'onorevole Farina, che è il relatore. Ci saranno poi, purtroppo, solo brevissimi interventi, perché devo aprire l'altra indagine conoscitiva.
Do quindi la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
DANIELE FARINA. Grazie, presidente. Volevo cogliere l'occasione per ringraziare anche questa volta, come nelle altre audizioni, coloro che ci hanno portato il loro contributo, specificando anche a loro il fatto che questi progetti di legge sono modeste modificazioni di natura penalistica e che non hanno la presunzione di affrontare anche a livello generale, come invece necessiterebbe, l'intero Testo unico sulle sostanze stupefacenti. Prendono le mosse da una riflessione su anni di applicazione dell'attuale normativa, dalle modifiche del 2006 e dalla necessità forse di una significativa correzione.
Noi abbiamo approfittato e stiamo approfittando di questo per avere una ricognizione più generale. A questo punto delle nostre audizioni abbiamo una discreta esperienza del fatto che il mondo ha una sua varietà, compreso il mondo scientifico. Abbiamo ascoltato documentate relazioni e conclusioni molto diverse Pag. 14fra di loro, tutte suffragate da dati apparentemente incontrovertibili. È una situazione che si è ripetuta negli anni e che, penso, si ripeterà.
Il nostro compito è molto più modesto: porre mano all'attuale legislazione penale, cercando di seguire alcune indicazioni. A questo proposito, chiudo dicendo che quelle dell'Associazione nazionale magistrati hanno una certa rilevanza, io credo, perché ci pongono di fronte termini quantitativi e problemi di coordinamento, sapendo che cercheremo di tenere fermi i princìpi e che le quantità penalistiche avranno un loro sviluppo nel nostro dibattito.
VITTORIO FERRARESI. Secondo me, in quest'audizione sono venute fuori considerazioni nuove anche rispetto alle precedenti. Premesso il fatto che io non sono un consumatore e che non ho mai nemmeno toccato una quantità di cannabis, mi metto dal punto di vista del buonsenso, fuori dalle ideologia, come osservatore del diritto penale.
È venuta fuori una questione interessante, che è la prima volta che emerge, ovvero quella dei danni derivanti da alcol, tabacco e, io aggiungerei, anche gioco d'azzardo. In tutte le nostre audizioni non era mai venuto fuori questo tipo di osservazioni. Non era mai capitato di paragonare effettivamente quello che nel nostro Paese avviene.
Possiamo dire che l'alcol uccide, che il tabacco uccide, ma non che la cannabis uccide. La cannabis, al limite, potrà rendere il soggetto in uno stato paragonabile a quello sottoposto a psicofarmaci, che spesso sono prescritti anche quando, secondo me, non ci sono i requisiti.
È una questione che mi ha toccato molto, perché ho molte amicizie con ragazzi, anche in età adolescenziale, che usavano la cannabis. Dal punto di vista di rovinare la vita dell'adolescente rispetto ad attività sportive e di studio, nonché di vita sociale, io posso confermare che tutti i miei conoscenti che usavano anche pesantemente la cannabis non hanno mai avuto questo problema. Al contrario, l'hanno avuto persone che usavano molto e in maniera pesante Facebook e attività di gioco online col computer. Quelli davvero si rovinavano la vita sociale. Di queste cose, però, si evita sempre di parlare.
La domanda che volevo porre è sull'uso terapeutico della cannabis. Chiedo se qualcuno degli auditi vuole indicarmi se sarebbe possibile intervenire normativamente, se qualcuno ha qualche idea, sull'uso terapeutico dei medicinali a base di cannabis, che, per ora, è stato fortemente ostacolato.
GIANFRANCO GIOVANNI CHIARELLI. Contrariamente a quanto ho sentito dal collega Ferraresi, io ritengo che oggi si sia fatta chiarezza su due temi. Sono emersi, dunque, due elementi, a mio parere importantissimi, che la Commissione dovrà esaminare dettagliatamente nel momento in cui avremo finito questa fase di audizioni.
Il primo è di natura strettamente giuridica ed è collegato al problema procedurale, in particolare a quello che il presidente Sabelli ci diceva nella sua relazione, ossia a ciò che comporterebbe questa proposta con la riduzione della pena edittale prevista per le droghe leggere. Tale aspetto va esaminato attentamente, perché, a mio parere, ci sarebbe uno stravolgimento dell'intero assetto per quanto riguarda la pena edittale massima e la minima.
L'altro punto su cui questa Commissione deve riflettere è che, al di là dei danni che certamente procurano l'alcol e il tabacco, oggi noi ci stiamo occupando di questa proposta di legge. Non ci possiamo occupare anche di una proposta di legge, quando e se sarà presentata, sui danni causati da Facebook o da altro.
In ordine a questa proposta di legge io ritengo che quello che oggi abbiamo sentito dalla dottoressa Tedici, ma anche dal relatore di San Patrignano, sia in linea con quanto avevamo sentito l'altro giorno dal direttore del ministero in ordine ai danni che provoca l'assunzione, anche nella crescita dell'adolescente, di cannabis.Pag. 15
Oltretutto, vi è un contrasto netto, che è da rilevare: da un lato, si inasprisce la pena nel codice della strada per chi si trova in condizione di alterazione e, dall'altro, lo si vuole depenalizzare attraverso la regolamentazione diversa.
Io ritengo che oggi sia stata determinante l'audizione degli illustrissimi relatori, ai quali il Gruppo del Popolo della libertà attribuisce veramente un segno positivo. Vi è da riflettere anche sulla quantificazione, sulla determinazione della pena, qualora si dovesse determinare una fattispecie, che io ritengo nuova, della lieve entità in ordine all'applicazione della pena detentiva.
PRESIDENTE. In realtà, ci sono stati interventi, più che domande, ma capisco che l'argomento sia piuttosto complesso. Ha chiesto di poter rispondere Antonio Boschini.
Do la parola al dottor Boschini per la replica.
ANTONIO BOSCHINI, Direttore sanitario della Comunità San Patrignano. È vero che le idee su questi argomenti sono molto diverse. Non è vero, però, che la letteratura scientifica è diversa. Negli ultimi dieci anni esiste una quantità di letteratura enorme concorde sugli aspetti della neurotossicità della cannabis.
Per quanto riguarda la cannabis terapeutica, io ritengo giusto tenere separati gli aspetti terapeutici da quelli ricreazionali. Io sono un medico. Con i miei ricoverati affetti da tumore uso senza alcun problema la morfina come terapia del dolore, ma non penso che questo metta in discussione il fatto che la morfina sia pericolosa da altri punti di vista.
Non vedo, quindi, il motivo di abbinare la discussione sulla cannabis terapeutica, che deve rimanere nel contesto medico-scientifico, a quella sulla cannabis come uso ricreativo, che è completamente un altro aspetto.
PRESIDENTE. I vostri interventi sono resocontati. Siamo a disposizione anche per ulteriori suggerimenti.
Ringraziando i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.40.