Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 24 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 631  FERRANTI E C. 980  GOZI, RECANTI MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI

Audizione del presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative, Glauco Giostra, del professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Bologna, Giulio Illuminati, di rappresentanti dell'Associazione italiana vittime di malagiustizia e di rappresentanti dell'Associazione Nessuno tocchi Caino.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Giostra Glauco , Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative ... 3 
Ermini David (PD)  ... 3 
Giostra Glauco , Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Illuminati Giulio , Professore di Procedura penale presso l'Università degli studi di Bologna ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Caizzone Mario , Presidente Associazione italiana vittime di malagiustizia ... 12 
Borgia Raffaele , Rappresentante Associazione italiana vittime di malagiustizia ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Rossodivita Giuseppe , Rappresentante Associazione Nessuno tocchi Caino ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Rossodivita Giuseppe , Rappresentante Associazione Nessuno tocchi Caino ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Giostra Glauco , Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative, Glauco Giostra, del professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Bologna, Giulio Illuminati, di rappresentanti dell'Associazione italiana vittime di malagiustizia e di rappresentanti dell'Associazione Nessuno tocchi Caino.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge c. 631 Ferranti e c. 980 Gozi, recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali, del Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative, Glauco Giostra, del Professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Bologna, Giulio Illuminati, componente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale, di rappresentanti dell'Associazione italiana vittime di malagiustizia, con il presidente Mario Caizzone accompagnato da Raffaele Borgia ed Elisa Fasolin, e di rappresentanti dell'Associazione Nessuno tocchi Caino, per la quale è presente l'avvocato Giuseppe Rossodivita.

  GLAUCO GIOSTRA, Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative. Grazie, presidente, per l'invito. Questo è un giorno fausto, peraltro, perché ricorrono i venticinque anni della pubblicazione del codice di procedura penale, quindi è una giornata molto significativa.

  DAVID ERMINI. Pie illusioni !

  GLAUCO GIOSTRA, Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative. Sì, si sono rivelate tali, però erano bei propositi quelli che ispiravano quel codice.
  Mi limiterò ad alcuni rilievi critico-costruttivi sulle due proposte di legge e ad altri di cui vi riferirò a nome della Commissione ministeriale. A voi spetta ovviamente – non ho alcuna pretesa di organicità – fare un'alta sintesi politica di queste sollecitazioni.
  Cercherò di tenere distinti tre livelli: quello che penso delle due proposte di legge, quello che propone la Commissione che presiedo al Ministero, e quello che invece in materia cautelare – non ho ancora sottoposto alcune di queste idee alla Commissione e non so se le approverebbe – secondo me bisognerebbe fare in questo settore.
  A titolo personale esprimo un giudizio generale positivo per quanto riguarda la direzione in cui vanno entrambe le proposte di legge, cioè il contenimento del Pag. 4ricorso al carcere in funzione cautelare, purché sia chiaro, giacché sappiamo quanto danno portano locuzioni come «svuota carceri», che la finalità non deve essere quella della deflazione degli istituti carcerari, ma deve essere quella di un'attenta ricognizione, una verifica per valutare se davvero oggi nel nostro sistema la custodia cautelare obbedisca alla sua funzione di extrema ratio.
  Se infatti obbedisse a questo, come secondo me non avviene, non dovremmo fare altro, vista la situazione carceraria, che ampliare le strutture penitenziarie e costruirne di nuove, come qualcuno semplicisticamente vorrebbe. Il sovraffollamento è invece una spia, perché il 30 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio, 23.682 persone, secondo l'ultima rilevazione.
  Che questo nostro impegno non abbia a che fare con il problema carcerario lo dimostra la circostanza che secondo me ci sono anche troppe persone fuori che invece dovrebbero essere dentro, quindi il problema carcerario dell'affollamento si complicherebbe. In proposito basta richiamare le parole del Papa dell'altro giorno, secondo cui i pesci piccoli sono dentro, mentre gli altri nuotano liberi.
  Ho qualche dato statistico interessante. Voi sapete che i carcerati sono 66.000, di cui detenuti in esecuzione di pena e imputati per corruzione 11, per concussione 21, per peculato 46. Certo, con un sistema che punisce la corruzione con una pena da 6 mesi a 3 anni, e il furto aggravato, con violenza sulle cose, perché hanno eliminato la placca antitaccheggio, da 1 a 6 anni, non ci si può lamentare se la situazione è questa.
  Mi permetto un'ultima osservazione di carattere generale. È vero che un intervento del genere non deve avere questo obiettivo di deflazione carceraria, però mi piacerebbe raccomandare, dato che parlo a dei legislatori, di evitare in futuro (se siamo a questo punto, è perché non lo si è evitato in passato) di cavalcare l'insicurezza sociale, cioè di dare a intendere che più si è severi con le misure cautelari, con i limiti alle misure alternative per l'esecuzione di pena, e più ci si prende carico della sicurezza sociale.
  Così non è, non foss'altro perché i dati criminologici di tutti i Paesi evidenziano che i reati impuniti sono il 92-95 per cento, quindi non è incidendo su una percentuale dello zero virgola qualcosa che ci si può fare carico del problema della sicurezza sociale.
  Vi rivolgo questa raccomandazione perché il nostro legislatore tutte le volte che si ripropone un allarme mediaticamente gonfiato o effettivo sa solo aumentare le pene e diminuire le garanzie. È la cosa più facile e la cosa che rende elettoralmente, così abbiamo un sistema in cui ad esempio, sull'onda dei sequestri di persona a scopo di estorsione, l'ordinamento punisce il sequestro di persona più che l'omicidio, semplicemente perché in quel momento bisognava dimostrare di fronteggiare questo problema.
  Entrambi i progetti di legge sono apprezzabili per gli intendimenti, però dal mio punto di vista la proposta di legge Gozi non è condivisibile quanto alle scelte che la qualificano. Alcune sono ovviamente condivisibili, ma non quella più qualificante. Il progetto di legge C.631 Ferranti presenta soluzioni tutte sostanzialmente condivisibili, ma a me sembra troppo timido: propone giuste soluzioni, ma si potrebbe fare di più.
  Proposta di legge Gozi. Dato che il tempo stringe, toccherò soltanto le modifiche più significative. Come sapete, all'articolo 275, comma 3, aggiunge un 3 bis. Dopo aver detto «fermo quanto disposto dal comma 3», cosa che già non va bene, perché il comma 3 è una norma incostituzionale che la Corte sta demolendo con otto-nove pronunce di seguito, tutte con lo stesso timbro argomentativo, di cui il legislatore dovrebbe prendere atto e trarre le debite conseguenze, dice che «per tutti gli altri reati si può adottare una misura cautelare soltanto se sussiste l'esigenza e se il soggetto è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza».Pag. 5
  Questa dichiarazione dell'abitualità è una cosa rarissima, molto casuale. Se proprio bisogna ancorare a qualcosa, è meglio utilizzare il dato della recidiva, ma riterrei che questa soluzione non vada praticata. Gli automatismi non vanno mai praticati né in bonam partem, né in malam partem, in particolare adesso che il livello di pene è stato alzato a cinque anni per poter disporre della misura cautelare, e questa soluzione mette in conto che, in presenza di esigenze cautelari comprovate, non si possa adottare la misura se il soggetto non è stato dichiarato delinquente. Costringe quindi a lasciare fuori dal carcere soggetti pericolosi solo perché non hanno avuto questa dichiarazione di abitualità.
  Proposta di legge C. 631. Per semplificare, visti i limiti di tempo, ritengo che gli articoli 1, 2, 4, 5 e forse 7, con qualche piccola precisazione, siano tutti da condividere, e la Commissione che presiedo – mi riservo di produrre a breve una documentazione definitiva – è esattamente su questa linea. Mi soffermerò solo laddove ho qualche rilievo da muovere.
  Articolo 3 sul 274: non so se avete soffermato adeguatamente la vostra attenzione su questa riformulazione, ma è ad un tempo una modifica molto sentita e controversa. Dando fiato, respiro e attuazione alla norma attuale, che voleva che una misura cautelare si potesse disporre in carcere solo quando la gravità del fatto e la pericolosità del soggetto (disturbi della personalità) deponessero per una esigenza cautelare in carcere, nonostante questa previsione sapete che la giurisprudenza ai gravi indizi fa seguire quasi sempre la misura cautelare, sostenendo che la pericolosità è in re ipsa: chi è indiziato di un grave reato è chiaramente pericoloso. Questo è un passaggio veramente delicato e molto discutibile.
  La proposta di legge C. 631 Ferranti dice – e questa è la stessa soluzione della Commissione che presiedo – che la sussistenza di una situazione di pericolo non deve essere desunta esclusivamente dalla modalità del fatto per cui si procede, ma bisogna avere ulteriori elementi, altrimenti è un'anticipazione di pena. Questa è la formula più in linea con l'articolo 27 della Costituzione, la presunzione di non colpevolezza, per cui ti addebito un reato gravissimo, ti presumo innocente e devo dimostrare la pericolosità aliunde.
  A questo proposito, siccome la gravità degli indizi dà a tutti l'idea che quel soggetto sia colpevole, segnalo – spia lessicale non priva di significato – che sia nella proposta C. 631 che nella C. 980 si parla di «pericolo di reiterazione dei reati» mentre invece non dovrebbe essere così, perché è «pericolo di commissione di reati», perché quello in corso di accertamento è ancora sub iudice.
  Questo avviene anche in una proposta come questa dell'onorevole Ferranti, che rimette le tessere al loro posto e raccomanda di fare attenzione, perché bisogna approfondire la personalità tenendo conto non solo della gravità indiziaria.
  Ricordo che il Primo presidente della Cassazione nella relazione inaugurale dell'anno giudiziario ha evidenziato che «c’è uno squilibrio non più sopportabile fra quanto ci si sofferma nelle ordinanze cautelari sulla gravità indiziaria e quanto poco o per nulla sulla personalità e sugli elementi che debbono essere considerati per valutarla pericolosa».
  Ancorché io condivida questa scelta, bisogna però essere consapevoli della sua delicatezza, perché mi è stato opposto nella discussione anche all'interno della Commissione che, nel caso in cui il pubblico ministero sorprenda in flagranza una persona (gli esempi sono sempre estremi, per mettere sotto tensione la tesi), non conosca il soggetto ma lo veda commettere un reato efferato, non avendo elementi diversi dal fatto non potrebbe disporre una misura cautelare. Questa è l'obiezione che potrebbe essere sollevata sostenendo una tesi del genere.
  L'altra obiezione, più debole ma non priva di plausibilità, è che, se chiedete qualche elemento ulteriore alla gravità indiziaria per disporre la misura cautelare, scatterà il meccanismo di verificare se sia recidivo, perché è l'unico altro elemento che abbiamo, anche se tutti sostengono Pag. 6che si debba considerare il contesto di vita, le abitudini, la reputazione sociale, e la recidiva non sia altro che un modo di rendere ancor più classista la nostra giustizia, in quanto è tipica di certi reati e non di altri.
  Io preferisco ovviamente, pur con la consapevolezza di qualche controindicazione nel caso concreto, la formula adottata nella proposta di legge Ferranti.
  Poiché si vuole mandare un messaggio al giudice, mi chiedevo se non possa essere adottata una formula che mandi comunque il messaggio di stare attento e motivare bene sulla personalità, senza incorrere però nelle obiezioni rappresentate, quindi se non sia possibile formulare la presunzione in questi termini, come ad esempio «la sussistenza della situazione di pericolo può essere desunta anche dalle modalità del fatto». Con questo «anche» si darebbe l'idea che debba essere desunta da altro, però si può far riferimento anche alle modalità del fatto. Nello stesso tempo, è elastica al punto di permettere al magistrato in casi estremi di far riferimento solo alle modalità del fatto.
  Avrei qualcosa da aggiungere all'articolo 5 della proposta di legge C. 631, che recita: «la custodia cautelare può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate». Anche per far leva su una certa pigrizia e indolenza motivazionale dei magistrati, si potrebbe aggiungere: «nel disporre la custodia cautelare in carcere – subito dopo questa sacrosanta formulazione – il giudice deve dare specifica motivazione della inidoneità nel caso concreto della misura degli arresti domiciliari, assistita eventualmente anche dal controllo elettronico».
  In questo modo deve mettere esplicitamente per iscritto perché non basti l'altra, che è un modo per caricarlo di un onere che potrebbe auspicabilmente indurlo a scegliere talvolta gli arresti domiciliari, anche la tanto invocata sentenza Torreggiani raccomanda «che si consideri attentamente l'uso degli strumenti di controllo elettronico, prima di ricorrere a misure cautelari», che da noi sono quattordici braccialetti.
  Articolo 6: quando sussistono gravi indizi – questa è una norma qualificante – di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e 416-bis, associazione sovversiva, associazione con finalità di terrorismo, associazione di stampo mafioso, è applicata la custodia cautelare in carcere salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
  Qui ho due obiezioni da muovere, la prima sul numero dei reati che consentono questa presunzione assoluta, perché qui c’è un salutare sfoltimento di tutti gli attuali meccanismi di automatismo rispetto a tipologie di reato, alcune già abbattute dalla Corte e altre in odore di esserlo, però secondo me bisognava andare fino in fondo: l'associazione sovversiva e l'associazione con finalità di terrorismo non hanno copertura costituzionale.
  Forse si può avere qualche dubbio sul fatto che l'associazione di stampo mafioso consenta queste presunzioni automatiche, ma la Corte Costituzionale dal 1995 e la Corte europea dei diritti dell'uomo (caso Pantano contro Italia) ci dicono che si giustifica la presunzione nei confronti della criminalità organizzata assoluta, perché «c’è un vincolo associativo che esprime una forza di intimidazione, condizioni di assoggettamento e di omertà». In questo caso non c’è quindi bisogno di dimostrare l'esigenza cautelare, è in re ipsa, e forse sarebbe anche difficile dimostrarla, e la presunzione assoluta ha statisticamente una base.
  Comunque toglierei il 270 e il 270-bis, perché sono destinati a cadere. Vorrei infatti evidenziare che non è in base alla gravità: questa presunzione si giustifica solo in base alla particolare natura di quel reato, che può essere anche meno grave di altri, perché il reato di associazione potrebbe avere gradi diversi rispetto a una strage.
  È dunque sempre applicata la custodia cautelare in carcere per questi reati, che io limiterei al 416-bis, salvo che siano acquisiti Pag. 7elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Con la presunzione costruita in questo modo mettiamo il giudice di fronte a un'alternativa «o tutto o niente, o lo mandi in carcere o lo liberi», per cui è facile che, di fronte a reati così gravi e insidiosi, l'opzione sia soltanto la prima. Non voglio semplificare al punto di attribuire al giudice la decisione volta per volta, però sarò favorevole a una presunzione relativa e non assoluta.
  Mutuando la formula che ormai la Corte Costituzionale ci consegna in tutte le sue sentenze sull'articolo 275, preciserei non «salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulta che non sussistano», in quanto è molto difficile trovare elementi che dimostrino l'insussistenza delle esigenze cautelari, ma «salvo che siano acquisiti elementi specifici – sono le parole della Corte Costituzionale – in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure». In questo modo, di fronte a reati di questo tipo, il giudice potrebbe concludere che di regola è carcere, ma, in presenza di elementi che dimostrano che gli arresti domiciliari o un divieto di dimora sono sufficienti, può motivare così.
  Articolo 7 della proposta di legge C. 631: si sostituisce si può revocare la misura anche «per fatti sopravvenuti» con «per ragioni sopravvenute», cosa che mi convince a metà, e poi si dice che per fatti sopravvenuti il soggetto ha diritto all'interrogatorio, mentre «per ragioni» ci dà l'idea che è un genus più ampio di fatti, è una riconsiderazione degli stessi elementi, è un nuovo ragionamento.
  Innanzitutto la sostituzione mi convince perché mi sembra che l'attuale «anche per fatti sopravvenuti» non significhi molto, mentre qui, togliendo l’«anche», si dice solo «per ragioni sopravvenute». Capite che è facile imbastire un ragionamento diverso sulla base degli stessi elementi, però forse lo si vuole consentire ed è anche opportuno, in quanto magari un soggetto, che sia stato difeso male in prima battuta, riconsiderando bene e riargomentando può richiedere la revoca.
  A questo riguardo, si potrebbe restringere non alle ragioni sopravvenute (proposta su cui l'onorevole Ferranti aveva lavorato molto), ma ai fatti, quindi l'interessato può chiedere la revoca in pochissimi casi, se tutto questo è controbilanciato da un meccanismo di controllo d'ufficio sulla perdurante necessità della custodia cautelare.
  Con questo mi riferisco non a una verifica d'ufficio della sussistenza dei presupposti, ma a qualcosa in più, qualcosa su cui non si è riflettuto abbastanza o si è riflettuto senza approdare a risultati, perché oggettivamente è molto difficile disciplinarlo. Per questo le poche volte in cui ho a che fare con commissioni mi cimento sempre sulla traduzione normativa, perché le idee possono essere anche ottime, ma, nell'andare a scriverle, la penna trova più di una difficoltà a tradurre l'idea.
  In questo caso ci sono difficoltà processuali, tecniche, sistematiche non indifferenti, ma il principio, sacrosanto, ci viene dettato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo con tantissime sentenze, una delle quali riguarda anche noi: Labita contro Italia del 2000. Questa stabilisce che quando lo Stato limita la libertà personale di un soggetto nella forma più grave, il carcere, si debba far carico che questa limitazione abbia la durata strettamente indispensabile ai fini processuali, che è cosa diversa dai termini massimi di custodia cautelare, previsti per evitare che si abusi.
  Questo è come per la ragionevole durata del processo: non è che il processo, come qualche vostro collega – scusate – molto semplicisticamente o demagogicamente ha detto, debba essere breve nel senso di tre mesi o tre anni, perché non si può stabilire a priori e può durare uno od otto anni ed essere di ragionevole durata, perché necessari, mentre può durare otto mesi e questi possono rivelarsi troppi. C’è un sindacato sull'inutile stasi del procedimento, laddove queste stasi, che sono gravi quando abbiamo a che fare con un soggetto a piede libero, sono gravissime quando il soggetto è detenuto.Pag. 8
  Qui si dovrebbe quindi prevedere un controllo periodico e valutare quanto tempo, chi lo fa, tutti aspetti delicati. Nel caso in cui sia approvata la lettera c) e un soggetto sia pericoloso, sia alto il rischio che commetta non altri reati, ma reati (è bene mantenere questa igiene lessicale), se è alto all'inizio, sarà alto per tutto il procedimento, quindi lo possiamo tener dentro quanto vogliamo, perché la sua pericolosità non diminuisce, anzi in genere con la raccolta degli elementi aumenta.
  La Corte europea ci dice però: tu mi devi dire che cosa hai fatto nel frattempo, perché, se dopo aver dimostrato questa pericolosità all'inizio, lo tieni in carcere cinque anni e non fai nulla, lo devi liberare. Se dal deposito ex articolo 415 bis all'udienza preliminare fai passare quattro mesi inutili, lo devi liberare.
  Il problema è che, come sapete, tutti i provvedimenti de libertate vanno motivati e sono ricorribili per Cassazione, e soprattutto nella fase delle indagini è difficilissimo che il giudice possa motivare e l'imputato impugnare, perché c’è un segreto investigativo da tutelare.
  Si potrebbe quindi prevedere che per la fase delle indagini al PM si imponga un periodo predeterminato per rinviare a giudizio, stretto, perché se ci sono i gravi indizi non c’è ragione di tenere molto l'indagine, se non eccezionalmente, dopodiché, per la fase processuale, ci può essere un controllo periodico: se c’è stato un rinvio troppo lungo, carenza di personale, l'onere è dello Stato, non deve pagare il cittadino.
  In rapida carrellata, tutte le proposte della proposta di legge C. 631 cui ho dato il mio assenso sono condivise anche dalla Commissione ministeriale. Abbiamo pensato inoltre (ci stiamo ancora lavorando e quando sarà definito lo sottoporrò alla vostra attenzione) di avanzare una proposta perché, per il principio di proporzionalità della custodia cautelare rispetto alla sentenza, tutte le volte in cui c’è una sentenza di condanna (queste misure si collocano tutte a sentenza di condanna di primo e secondo grado già intervenuta, non definitiva, altrimenti il problema non si porrebbe) oggi si dice che, se la misura cautelare è durata più della condanna inflitta, bisogna liberare.
  Noi vorremmo inserire invece non una uguale o maggiore durata, ma i due terzi, senza spingere fino a «ha già scontato tutta la pena», perché consideriamo giusto, ove la condanna sia confermata, che questo soggetto sconti quel terzo che manca in esecuzione di pena e con opportunità rieducative, che la misura cautelare ovviamente non offre. Questo è un modo per alleggerire la pressione carceraria sull'imputato.
  Qualcuno ha anche proposto che dopo la sentenza di condanna la misura cautelare in carcere non possa essere mantenuta, se si può prevedere che possa usufruire di una misura alternativa al carcere (affidamento in prova, detenzione domiciliare). Anche questo ha un buon effetto.
  È stato anche proposto che in caso di patteggiamento, ancorché impugnato, in presenza di una collaborazione dell'imputato con il pubblico ministero, con lo Stato, la presunzione di pericolosità si possa ritenere attenuata e, salvo eccezionali esigenze cautelari, si possa prescindere dalla custodia cautelare in carcere e ricorrere almeno a misure alternative.
  Sono state abbattute alcune preclusioni che impongono la custodia cautelare in carcere per evasione o per violazione di prescrizioni e abbiamo allargato l'arsenale degli strumenti cautelari a disposizione della magistratura inquirente e giudicante. Per esempio abbiamo riesumato con molte cautele lo strumento della cauzione e quello del braccialetto elettronico anche usato autonomamente.
  È infatti convinzione condivisa da molti, anche se di difficile traduzione pratica, che più è ampio il ventaglio, più con la norma introdotta dalla C. 631, secondo cui si può ricorrere al carcere solo se le altre misure «cumulativamente combinate» non sono sufficienti, la combinazione di una cauzione che in caso di fuga porti alla confisca dell'intero patrimonio, che male non fa anche per la Cassa delle ammende, del braccialetto elettronico e di un divieto abbia un effetto Pag. 9deterrente pari a quello del carcere, senza dover ricorrere a questa misura estrema.
  Mi scuso per essermi dilungato.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. C'era anche l'onere dei lavori della Commissione che lei presiede, quindi le ho concesso più tempo. Do la parola al Professor Giulio Illuminati, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Bologna.

  GIULIO ILLUMINATI, Professore di Procedura penale presso l'Università degli studi di Bologna. Grazie, presidente. Cercherò di essere rapido anche per lasciare spazio al dibattito. Evito le premesse, però non posso fare a meno di sottolinearne una. Noi parliamo di funzioni distorte della custodia cautelare perché, come tutti gli operatori sanno, la custodia cautelare viene applicata e vissuta anche dall'opinione pubblica come anticipazione della pena, cioè si mette in carcere una persona non per esigenze cautelari, che sono una copertura formale, ma per farle scontare una pena che probabilmente poi non sarà scontata al termine del processo, quindi questo è anche un incentivo all'applicazione della custodia cautelare.
  La collega Presutti nel nostro ultimo convegno parlava di fragilità della fase esecutiva in confronto alla robustezza della fase cautelare, in quanto c’è questa esigenza di anticipare quello che chissà se potrà poi essere applicato al termine del processo, e questo è evidentemente in contrasto con la presunzione di non colpevolezza, che costituzionalmente è prevista fino a sentenza definitiva di condanna.
  Un'altra funzione distorta, anche questa in contrasto, è quella di mettere in carcere una persona come strumento di coercizione per ottenere ammissioni, laddove, come si diceva un tempo, si usa la custodia in carcere come strumento istruttorio. Su questo si può discutere a lungo e in realtà il codice ha cercato in tutti i modi di assicurare che sia il riconoscimento delle esigenze cautelari a ottenere l'applicazione della custodia cautelare.
  La stessa Corte Costituzionale ha ribadito in una sentenza recente, la prima della serie delle sentenze sull'articolo 275, che la custodia cautelare si giustifica soltanto se ha una funzione completamente differente da quella della pena, però credo che voi dovreste realisticamente tener conto del fatto che questa funzione teorica, scritta nei libri, della custodia cautelare in realtà serve da schermo a usi diversi, e questo anche nella percezione dell'opinione pubblica.
  Personalmente, quindi, considero importante lavorare anche sulla specificazione dei presupposti e sull'esigenza di una motivazione specifica per quanto riguarda le esigenze cautelari, perché dubito che aggiungere aggettivi a una formula legislativa sia risolutivo, però è importante mandare un segnale agli operatori che il legislatore si preoccupa di queste cose e soprattutto sta andando verso un'inversione di tendenza, perché, come è facilmente riscontrabile, l'ultima riforma della custodia cautelare nel senso della tutela dell'imputato è quella del 1995, mentre tutti gli interventi successivi hanno spinto il legislatore a utilizzare la custodia cautelare in funzione di sanzione anticipata.
  Basta considerare le norme che prevedono per esempio un'incentivazione della custodia cautelare al momento della pronuncia della sentenza di condanna in primo grado o di appello per comprendere che la legge stessa incentiva questa utilizzazione, che dovrebbe essere considerata costituzionalmente illegittima.
  Bisogna quindi innanzitutto eliminare tutte le forme di anticipazione della pena, ovvero le norme a cui mi riferivo prima, il comma 1-bis e 2-ter dell'articolo 275, ed eliminare anche tutti gli automatismi. Personalmente, ma questa è un'opinione forse da accademico, sarei per l'eliminazione totale della presunzione di cui parlava Glauco Giostra dell'articolo 275, comma 3, cioè si presume l'adeguatezza della custodia cautelare in carcere perché stiamo parlando di delitti di mafia. Tutt'al più si potrebbe riconoscere, come ha detto la Corte Costituzionale, una presunzione relativa, per cui il giudice comunque può tener conto di elementi per i quali si escluda la presenza di esigenze cautelari. Pag. 10Nella proposta di legge c’è una modifica, di cui ha parlato Glauco Giostra. Sicuramente l'articolo 275 va ripulito dalle superfetazioni che sono state introdotte man mano che venivano alla ribalta reati particolarmente odiosi o suscitatori di emotività nella collettività.
  Il mio punto di vista è che comunque la legge non debba favorire l'applicazione della misura cautelare, ma sia necessario restituire la responsabilità al giudice, in particolare per quanto riguarda la custodia cautelare in carcere, perché, come si riscontra facilmente, le misure alternative sono quasi sempre trascurate, laddove o è custodia in carcere oppure l'imputato rimane libero.
  Gli arresti domiciliari vengono usati, ma quasi mai applicati in prima battuta, cioè sulla richiesta del pubblico ministero. Il giudice può applicare gli arresti domiciliari invece della custodia cautelare in carcere, ma non lo fa. Magari dopo una settimana o un mese concede gli arresti domiciliari, perché l'imputato ha collaborato e quindi non c’è più bisogno di tenerlo in carcere per ottenerne la confessione, o, trattandosi di un reato non particolarmente grave, ormai gli abbiamo impartito una lezione e possiamo scarcerarlo, come a volte traspare anche delle motivazioni dei provvedimenti che applicano gli arresti domiciliari.
  Secondo me sarebbe quindi opportuno restituire discrezionalità al giudice, togliendo la maggior parte degli automatismi. Potrei anche fare un elenco di norme che andrebbero abolite, ma ho l'impressione che adesso non sia il caso, quindi su questo non aggiungo altro a quanto già evidenziato da Glauco Giostra.
  La cauzione è stata tolta dal legislatore del 1989, forse anche con la nostra responsabilità perché in quella Commissione eravamo presenti, ma mi sono sempre dichiarato contrario all'abolizione della cauzione, perché è vero che è uno strumento potenzialmente discriminatorio, ma non in senso assoluto, almeno fin quando l'entità della cauzione venga commisurata alle condizioni economiche dell'imputato.
  Certo, ci saranno sempre dei soggetti che non hanno alcuna possibilità di prestare la cauzione e probabilmente rappresenteranno una buona percentuale degli ospiti delle nostre carceri, perché queste ospitano quasi sempre emarginati, un 30-40 per cento di extracomunitari, curiosa coincidenza se paragoniamo la percentuale di extracomunitari presenti in Italia con quella degli extracomunitari in carcere, in quanto non c’è alcuna corrispondenza.
  Il fatto che questa misura non sia utilizzabile nei confronti di una quantità rilevante di imputati non esclude però che si possa utilizzare in determinate circostanze come ulteriore strumento. A volte la cauzione può infatti rivelarsi più efficace di altre misure alternative.
  Ci sarebbero tante cose da dire, che elenco telegraficamente: rivedere la proporzionalità tra misura cautelare e pena che dovrà essere scontata, per cui non ha senso mettere in custodia cautelare un imputato di cui si possa prevedere l'accesso a misure non carcerarie in sede di esecuzione della pena o addirittura la sospensione della pena. Nel codice attualmente si parla solo di sospensione condizionale della pena, ma è una norma che a mio parere va ampliata, collegandola a tutte le ipotesi in cui la pena in concreto non sarà scontata in carcere, eliminando in questi casi l'applicabilità della custodia cautelare in carcere.
  Vorrei affrontare altri due punti. Uno riguarda l'individuazione dei limiti edittali, che sono stati aumentati in cinque anni per la custodia cautelare in carcere, anche perché il limite precedente era un limite fittizio, perché dire che la pena deve essere superiore nel massimo a tre anni di reclusione o non inferiore a quattro anni di reclusione è esattamente la medesima cosa, è una specie di trucco verbale. Almeno adesso si è portato a razionalità questo dato.
  È importante parlare di limiti edittali, perché in questa proposta di legge ci si è opportunamente resi conto che nel parlare di custodia cautelare in carcere c’è un convitato di pietra, il codice penale, la Pag. 11legge penale sostanziale. Noi abbiamo ancora a che fare con il codice Rocco, che ha pene edittali altissime nel massimo, e una pena edittale altissima rende applicabile la custodia cautelare in carcere e si riflette anche sui termini massimi di durata della custodia cautelare.
  C’è quindi una deformazione che viene dal diritto penale sostanziale, che però deve essere riformato non solo strumentalmente rispetto alla custodia cautelare in carcere, ma perché la politica criminale si fa con il diritto penale sostanziale e non con il diritto processuale. Qui mi riallaccio a quanto giustamente evidenziato da Glauco Giostra: non si può intervenire sul processo penale tutte le volte in cui si deve reprimere, combattere o dar mostra di combattere un reato particolarmente grave.
  Il processo non combatte: è uno strumento di garanzia che serve per assicurare che la pena sia applicata a persone che lo meritano. La politica penale si fa nel diritto penale sostanziale e non nel diritto processuale. Questo forse travalica il discorso che stiamo facendo in questa sede, però è una cosa di cui bisogna rendersi conto. La modifica dell'articolo 73 della legge sugli stupefacenti è sacrosanta anche perché anche questa norma ha un effetto di carcerizzazione molto importante.
  Un'altra questione riguarda i limiti edittali. So che il Presidente Canzio, Presidente della Commissione della quale faccio parte anch'io, ieri ha proposto qui di invertire la presunzione di inadeguatezza della custodia cautelare in carcere per reati di un certo livello di gravità. Leggo quindi il comma dell'articolo come modificato nella proposta Canzio, articolato che è stato consegnato alla Presidenza: «Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere salvo che sussistano esigenze cautelari particolarmente rilevanti – quindi l'inversione della presunzione di cui all'articolo 75 o la stessa presunzione di non adeguatezza della custodia in carcere per gli ultrasettantenni e le donne incinte –, se il delitto per cui si procede è punito con una pena inferiore nel massimo a otto anni di reclusione».
  Il presidente Canzio mi ha chiesto di fare una rassegna dei delitti che starebbero fuori o dentro questo limite, che si è scelto di fissare a otto anni perché, una volta che il limite è stato portato a cinque anni, dire superiore a cinque o non inferiore a sei è uguale e non ha senso, pochi delitti hanno come pena edittale massima sette anni, quindi il passo successivo è otto anni. Vengono esclusi dall'applicazione della custodia in carcere, ma ciò non esclude l'applicazione di misure alternative e comunque può essere utilizzata nel caso di esigenze cautelari particolarmente rilevanti.
  Pari a otto anni abbiamo adesso la corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio o la corruzione per induzione, il sequestro di persona semplice, mentre quando si tratta di sequestro a scopo di estorsione andiamo su pene molto più rilevanti, la ricettazione. Questo è il livello minimo di pena per il quale non sarebbe in vigore questa presunzione.
  Pari a sette anni abbiamo le lesioni gravi, l'omicidio colposo per la circolazione stradale o per cause di lavoro non aggravato, la posizione di vertice in associazioni per traffico di stupefacenti ma di lieve entità, l'incendio, tutti delitti di una certa gravità, ma non talmente gravi da esigere l'applicazione della custodia in carcere quando possa essere sostituita da misure alternative.
  L'ultima questione, che è stata evocata più volte, riguarda i controlli periodici, ai quali sono favorevole. C’è un problema di coordinamento o di duplicazione con il riesame. Ricordo che alcuni anni fa partecipai a un workshop della Commissione europea in cui si discuteva proprio dei controlli periodici in vigore in vari ordinamenti che però non prevedono lo strumento del riesame come l'abbiamo noi.
  In quell'occasione, a richiesta risposi che probabilmente sarebbe stato opportuno prevedere sia il riesame che i controlli periodici. Quando mi fu chiesto di sceglierne uno, scelsi il riesame, perché a me sembra molto più efficace lo strumento delle impugnazioni immediate, che tra l'altro si possono anche rimaneggiare Pag. 12perché ci sono alcune sbavature nei termini soprattutto per il deposito della sentenza o per la pronuncia del riesame dopo l'annullamento della Cassazione, termini che si possono anche rimodulare.
  Per me il riesame rimane comunque una garanzia molto importante, anche perché assicura il contraddittorio, sia pure posticipato sull'applicazione della misura cautelare. Del resto, noi abbiamo un controllo periodico nella forma dell'articolo 299, solo che è un controllo a richiesta dell'imputato. Sono d'accordo sul fatto che vada regolato meglio, anche perché la Cassazione spesso sbanda su questo tema. Forse bisognerebbe prevedere anche ne bis in idem cautelare, ma questo è un altro discorso che per motivi di tempo non è il caso di toccare, anche se sarebbe interessante.
  Ultima cosa: come si fa ad abbreviare i tempi della custodia ? Qui mi riallaccio a quanto diceva Glauco Giostra, perché mi pare che ci siano degli strumenti possibili. Al nostro convegno, ad esempio, il collega Ceresa Gastaldo ha proposto di prevedere un termine molto stretto per il pubblico ministero in caso di gravi indizi di colpevolezza accertati dal giudice per la formulazione dell'imputazione, quindi per il rinvio a giudizio.
  Era quello che si voleva fare con l'immediato cautelare, che poi è stato completamente stravolto e ha cambiato del tutto significato, cioè mandare subito a giudizio l'imputato che si trova in stato di custodia cautelare e prendere sul serio (questo mi sembra molto interessante e vi invito a rifletterci), quando si tratta di processo con l'imputato in custodia cautelare, il termine massimo di sospensione dell'udienza dibattimentale di dieci giorni.
  Se quindi l'imputato è in carcere, quel termine, che adesso è un termine «canzonatorio», come direbbe Calamandrei, perché è un termine ordinatorio che nessuno rispetta, potrebbe essere uno strumento davvero efficace per accelerare i processi con imputati in carcere e quindi addirittura mettere una sanzione drastica, per cui, se l'udienza viene rinviata per più di dieci giorni e l'imputato è in carcere, deve essere liberato.
  Scusate se sono stato confuso, ma spero che qualcosa sia arrivato. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio, è stato estremamente chiaro e la complessità degli argomenti è tale che purtroppo impegna tempo.

  MARIO CAIZZONE, Presidente Associazione italiana vittime di malagiustizia. Buongiorno a tutti, grazie di averci invitati. In previsione del poco tempo a disposizione, abbiamo fatto preparare un elaborato a dei giuristi amici dell'associazione, elaborato che abbiamo già lasciato agli atti della Commissione ed è quindi un punto fermo. Vi ringraziamo per averci dato la possibilità di parlare di un problema molto serio come la carcerazione preventiva, che ci sta molto a cuore in quanto nel nostro centro di ascolto e osservatorio tocchiamo giornalmente con mano le problematiche.
  Lascerei quindi la parola al collega Raffaele Borgia, che non è un giurista, ma un dentista.

  RAFFAELE BORGIA, Rappresentante Associazione italiana vittime di malagiustizia. Ringrazio la Commissione per l'invito. Non essendo un giurista, mi limiterò a esporre il lavoro che la nostra associazione svolge. Si tratta di un lavoro di ascolto delle vicende di tante persone che cadono in disgrazia e si trovano coinvolte, a torto o a ragione, in meccanismi che fanno scattare tutte le situazioni che abbiamo sentito citare dagli eminenti cattedratici, dovendo quindi affrontare periodi di carcerazione preventiva, in cui la loro vita perde completamente ogni rapporto con la realtà. Sono persone che perdono i rapporti familiari, il lavoro, il rispetto di se stessi.
  Questa situazione di carcerazione preventiva, che nasce da uno scarso rispetto del principio di presunta innocenza, deve essere affrontata da voi legislatori con grande attenzione, perché su di essa si Pag. 13gioca la vita di tante persone. Dobbiamo infatti pensare al soggetto che si ritrovi a non poter più disporre del proprio reddito, che magari è l'unico reddito in grado di sostentare la propria famiglia, e chiederci chi mai potrà ripagargli questa sofferenza, se sarà giudicato innocente. Bisogna essere coscienti anche di questo, al di là delle esigenza di sicurezza, di una giurisprudenza severa e attenta a tutti i comportamenti di ogni buon cittadino.
  È giusto che ci siano le sanzioni, ma devono essere quelle della pena, non quelle dell'anticipo della pena, perché i cittadini chiedono la certezza della pena, non l'esemplarità di un'azione che può essere anche eclatante e soddisfare l'emotività del momento. Dobbiamo sempre pensare che abbiamo davanti una persona, un individuo, un cittadino. Al di là della repulsione che si può provare nel caso in cui un soggetto sia imputato di un delitto odioso, come giuristi, magistrati, uomini di legge dobbiamo pensare che abbiamo una missione. Come io ho la mia missione di medico, anche il magistrato ha l'alta missione di dare giustizia ai cittadini.
  Sono molto confortato dalla scelta di questa Commissione di affrontare un tema così importante, così delicato come quello della carcerazione preventiva.

  PRESIDENTE. La ringrazio per il contributo scritto e per la sinteticità e la pregnanza delle parole. Do ora la parola all'avvocato Giuseppe Rossodivita, rappresentante dell'Associazione Nessuno tocchi Caino.

  GIUSEPPE ROSSODIVITA, Rappresentante Associazione Nessuno tocchi Caino. Grazie, presidente, per questo invito. Come molti di voi sanno, l'associazione Nessuno tocchi Caino è un'associazione di area Radicale. Personalmente sono avvocato penalista e forse è utile sapere che mi sono occupato della sentenza Torreggiani, che è stata il frutto anche di ricorsi avanzati da persone che avevano chiesto assistenza al Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei di cui sono segretario, e quindi ho patrocinato questi ricorsi che poi hanno dato vita alla sentenza Torreggiani.
  Abbiamo apprezzato la linea di tendenza che queste due proposte di legge intendono perseguire. La proposta di legge a prima firma Gozi, analoga a quella presentata la scorsa legislatura dall'onorevole Rita Bernardini, è stata elaborata dalla Camera Penale di Roma come testo e quindi parte – mi rivolgo al professor Giostra, che a mio avviso ha liquidato troppo frettolosamente questa proposta di legge – dall'osservatorio quotidiano che c’è nelle aule dei tribunali in tema di applicazione delle misure cautelari.
  Il processo penale non è affatto uno strumento di lotta di qualsiasi fenomeno: il processo penale è il luogo in cui accertare la responsabilità penale di un individuo che è accusato di aver commesso un fatto. A nostro avviso non si fa politica criminale con il processo penale, così come per altri versi con il diritto penale sostanziale non si possono risolvere fenomeni sociali che dovrebbero essere tenuti assolutamente fuori dall'alveo del penalmente rilevante.
  È vero che il legislatore da un ventennio a questa parte ha avuto – non sono parole mie ma del Presidente della Repubblica Napolitano durante il convegno organizzato due anni fa – un atteggiamento schizofrenico proprio per rispondere alle esigenze, diciamo, della collettività veicolate per lo più dai mezzi di informazione.
  Molti di voi sanno, ma vorrei che rimanesse agli atti della Commissione, che oggi siamo tutti responsabili del fatto che ci sono persone detenute in esecuzione pena, così come in custodia cautelare, che stanno scontando una pena tecnicamente illegale, al di fuori del modello normativo di pena detentiva. Lo ha detto la Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza Torreggiani e questo vale anche per la custodia cautelare in carcere.
  Attraverso queste proposte di legge si vuole perseguire un obiettivo più che corretto, che nasce dall'esigenza, confermata dalle parole del Presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, di un abuso (non ci Pag. 14sono altri termini) da parte della magistratura responsabile dello strumento della custodia cautelare in carcere. Sebbene il codice di procedura penale su questo sia già perfetto e i manuali scritti dai professori insegnino a tutti gli studenti di giurisprudenza che la custodia cautelare in carcere è l’extrema ratio, sappiamo invece che nei tribunali avviene esattamente il contrario.
  Ho detto che a mio avviso il professor Giostra ha liquidato un po’ troppo frettolosamente la proposta a prima firma Gozi, con cui si vuole intervenire su quell'esigenza cautelare, la lettera c), che statisticamente rappresenta nel 90 per cento delle ordinanze di custodia cautelare che andiamo a leggere l'esigenza che viene di solito ravvisata. Questa esigenza, però, deve fare i conti con il tema specifico della reiterazione del reato della stessa specie di quello per cui si procede, perché il 90 per cento attiene a quello e non al pericolo di commissione degli altri reati, che pure prima sono elencati. Il 90 per cento delle ordinanze di custodia cautelare è quindi basato su motivazioni stereotipate su questi temi.
  Con la proposta di legge Gozi si vuol dire quindi che quando viene ravvisato il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede, quindi non con riferimento a tutte le altre misure custodiali che pure sono previste dal codice, quindi dire che c’è il blocco, a meno che non ci sia la dichiarazione di abitualità professionale, equivale a dirlo solo per la custodia cautelare in carcere. Detto questo, si interviene esattamente sulla custodia cautelare in carcere, mentre sopravvivono le altre misure, che tutti oggi consideriamo sostanzialmente dimenticate da chi deve applicarle e possono essere applicate anche al di fuori della dichiarazione di abitualità e professionalità del reato, fermo restando che ovviamente, seppure si dovesse ritenere che questo limite oggi è astratto, individuatene...

  PRESIDENTE. La critica mossa a questa proposta nell'audizione di ieri – lo dico soltanto perché ne possa avere conoscenza, dato che si è focalizzato su questa proposta – è che i limiti di riferimento sono non solo anacronistici, perché oggi la dichiarazione di delinquenza abituale per tendenza non si fa quasi mai, ma anche limiti di automatismo che si vogliono togliere alla luce della sentenza della Corte Costituzionale.

  GIUSEPPE ROSSODIVITA, Rappresentante Associazione Nessuno tocchi Caino. Grazie. Proprio per questo intendevo chiedervi di individuare come legislatori altri limiti. Questo sarebbe a mio avviso l'intervento più adeguato per rispondere a un abuso della custodia basato su questo tipo di motivazioni.
  Per il resto, sono d'accordo con il professor Giostra nel sostenere che anche la proposta di legge a prima firma della presidente Ferranti vada nella direzione giusta, ma tuttavia la ritengo un po’ timida. Si potrebbe eventualmente, anche se per deformazione professionale non mi fido troppo, inserire nell'articolo 3, come proponeva il professore, quell'obbligo di motivazione sull'insufficienza delle altre misure previste dal codice.
  Sappiamo bene però – diciamocelo francamente – che oggi esistono delle motivazioni fotocopiate, copia e incolla, sulla reiterazione del reato della stessa specie perché l'obbligo di motivazione in sé non è sufficiente per impedire abusi da questo punto di vista.
  Consentitemi di concludere esprimendo un'ultima riflessione. Sono d'accordo sull'eliminazione o almeno riduzione di quel comma 3 già falcidiato dalla Corte Costituzionale. Sull'articolo 299 ragioni anziché fatti: la volontà di ampliare mi sembra un dato positivo, ma non vorrei che fosse interpretata in modo restrittivo. D'altra parte, basti pensare alla problematica dell'elusione fiscale, all'interpello, laddove il legislatore nelle sue relazioni ha detto che questo tema non deve entrare a far parte dell'albo del penalmente rilevante, mentre la Corte di Cassazione ha detto esattamente il contrario, respingendo la tesi del legislatore.Pag. 15
  Siccome, proprio perché la custodia cautelare viene vissuta illegittimamente come anticipazione della pena, il decorso del tempo talvolta è un elemento che può essere anche valorizzato a un certo punto della vicenda processuale dal giudice al quale si chiede la revoca, non vorrei che il termine «ragioni» potesse essere utilizzato in modo distorto. Mi dispiace per la confusione, ma il tempo è ristretto. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, anche per aver rispettato i tempi. Purtroppo non avremo tempo per il dibattito, ma il professor Giostra, che si è sentito chiamato in causa, vorrebbe dare una risposta.

  GLAUCO GIOSTRA, Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative. Forse ho riferito frettolosamente, ma non ho esaminato frettolosamente la vostra proposta, avvocato, perché cerco di fare le cose con molta attenzione soprattutto quando si toccano temi così delicati.
  La proposta che lei ritiene liquidata frettolosamente lascia in piedi tutti gli automatismi gravissimi già caducati dalla Corte, dicendo «fermo restando», e l'unica restrizione che introduce è: «ancorché sussistano esigenze cautelari» non puoi applicarla se il soggetto non è stato dichiarato delinquente abituale o per tendenza. È così casuale, raro e anche poco coerente con il problema, perché uno potrebbe dire: salvo eccezionali esigenze quando (come lei sostiene perché il presupposto statistico è giusto) il 90 per cento sono reati dello stesso genere, e in quel caso devi riavere un surplus di onere motivazionale, una recidiva specifica. Mi consenta, però, di obiettare che collegarlo a quel presupposto è come dire che tutti quelli più alti di un metro non possono avere...

  PRESIDENTE. Scusate, ma non è un confronto. Anche ieri sono state mosse critiche costruttive a entrambe le proposte, quindi adesso dovremo adottare un testo base per gli emendamenti. Nel ringraziare gli auditi per il tempo dedicato e gli apporti costruttivi, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.55.