Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RIGUARDANTE I QUADRI DI RISTRUTTURAZIONE PREVENTIVA, LA SECONDA OPPORTUNITÀ E MISURE VOLTE AD AUMENTARE L'EFFICACIA DELLE PROCEDURE DI RISTRUTTURAZIONE, INSOLVENZA E LIBERAZIONE DAI DEBITI, E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2012/30/UE (COM (2016) 723 FINAL)
Audizione di: Paola Vella, magistrato della Corte Suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza; Massimo Orlando, consigliere della Corte d'Appello di Lecce e componente del gruppo di esperti della Commissione europea «On restructuring and insolvency law»; Stefano Ambrosini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» e di diritto della crisi d'impresa presso l'Università LUISS «Guido Carli» di Roma; Lorenzo Stanghellini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Firenze.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3
Vella Paola , Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza ... 4
Ferranti Donatella , Presidente ... 4
Vella Paola , Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza ... 4
Ferranti Donatella , Presidente ... 7
Vella Paola , Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza ... 7
Ferranti Donatella , Presidente ... 9
Vella Paola , Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza ... 9
Ferranti Donatella , Presidente ... 9
Vella Paola , Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza ... 9
Ferranti Donatella , Presidente ... 9
Sarro Carlo (FI-PdL) ... 9
Vella Paola , Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza ... 9
Ferranti Donatella , Presidente ... 9
Vella Paola , Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza ... 9
Ferranti Donatella , Presidente ... 10
Vella Paola , Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza ... 10
Ferranti Donatella , Presidente ... 10
Ambrosini Stefano , professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» e di diritto della crisi d'impresa presso l'Università LUISS «Guido Carli» di Roma ... 10
Ferranti Donatella , Presidente ... 13
Orlando Massimo , consigliere della Corte d'Appello di Lecce e componente del gruppo di esperti della Commissione europea «On restructuring and insolvency law» ... 13
Ferranti Donatella , Presidente ... 14
Stanghellini Lorenzo , professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Firenze ... 14
Ferranti Donatella , Presidente ... 18
Bazoli Alfredo (PD) ... 18
Vella Paola , Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza ... 19
Stanghellini Lorenzo , professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Firenze ... 21
Orlando Massimo , consigliere della Corte d'Appello di Lecce e componente del gruppo di esperti della Commissione europea ... 22
Ferranti Donatella , Presidente ... 22
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI
La seduta comincia alle 14.40.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).
Audizione di: Paola Vella, magistrato della Corte Suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza; Massimo Orlando, consigliere della Corte d'Appello di Lecce e componente del gruppo di esperti della Commissione europea «On restructuring and insolvency law»; Stefano Ambrosini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» e di diritto della crisi d'impresa presso l'Università LUISS «Guido Carli» di Roma; Lorenzo Stanghellini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Firenze.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti, e che modifica la direttiva 2012/30/UE (COM (2016) 723 final), di: Paola Vella, magistrato della Corte suprema di cassazione, esperto delegato del Ministero della giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza, accompagnata da Roberta Bardelle, magistrato addetto all'ufficio I – cooperazione giudiziaria internazionale in materia civile della Direzione generale della giustizia civile, Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia; Massimo Orlando, consigliere della Corte d'Appello di Lecce e componente del gruppo di esperti della Commissione europea «On restructuring and insolvency law»; Stefano Ambrosini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro e di diritto della crisi d'impresa presso l'Università LUISS «Guido Carli» di Roma; Lorenzo Stanghellini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Firenze.
Oggi svolgiamo questa audizione in vista dell'atto di indirizzo che dobbiamo deliberare questa sera. Specificheremo più avanti, anche in relazione all'andamento dei nostri lavori pomeridiani, l'orario in cui si riunirà la Commissione. Ringrazio gli auditi della disponibilità, anche perché sono venuti con un preavviso molto breve, in quanto abbiamo saputo solo l'altra settimana di questa seduta che ci sarà lunedì 29 prossimo.
Iniziamo da Paola Vella, che ci darà i punti del tavolo che è già intercorso tra il Ministero della giustizia e la Commissione. Pag. 4
Do la parola a Paola Vella per lo svolgimento della sua relazione.
PAOLA VELLA, Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza. I lavori sono cominciati a gennaio di quest'anno e la cadenza dei lavori è mensile. L'articolato della direttiva consta di circa 35 articoli.
La premessa che vorrei fare è che i negoziati sono in corso e che al momento noi siamo arrivati all'esame dei primi due commi dell'articolo 10. Naturalmente, prima di iniziare i lavori, c'è stata una panoramica generale su tutti i titoli di cui consta la direttiva, però adesso stiamo in prima lettura scendendo in analisi dettagliata.
Vorrei anche dire che questa analisi dettagliata è molto utile, perché nel confronto tra le varie delegazioni degli Stati membri stanno emergendo delle criticità che, in qualche modo, strada facendo vengono risolte.
Quella che lascerò è una relazione molto dettagliata, di 32 pagine. Ho fatto un lavoro analitico soprattutto sugli articoli sui quali il dibattito si è già sviluppato e, quindi, è possibile dire di più.
Come panoramica generale, la direttiva ha un'impostazione che copre sostanzialmente tre aree. Al di là dei titoli, che hanno un carattere trasversale, perché riguardano le parti generali, le aree più importanti sono quelle che concernono il Titolo II relativo alla ristrutturazione preventiva. Devo subito anticipare che questo è l'argomento che crea più difficoltà interpretative e anche di raccordo con le procedure che noi abbiamo in essere e che adesso stiamo affrontando.
Il titolo successivo, cioè il Titolo III, riguarda invece la seconda opportunità per gli imprenditori. Anticipo subito che su questo tema della second chance, con tutto l'accesso all'esdebitazione, noi siamo piuttosto avanti, cioè con le riforme che abbiamo avuto e con le norme che sono già state presentate e che voi avete già esaminato siamo... Mi riferisco all'atto che ora è passato al Senato.
PRESIDENTE. Sulla procedura di insolvenza.
PAOLA VELLA, Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza. Sì. Nell'articolato che voi avete esaminato come proposta di legge-delega, le norme che riguardano l'esdebitazioni sono sostanzialmente in linea con i princìpi che sono contenuti nella direttiva.
Un altro titolo della direttiva che, come già abbiamo visto, non dovrebbe creare problemi è il Titolo IV, quel titolo che copre davvero tutte le procedure concorsuali, perché riguarda, non tanto i dettagli tecnici e il contenuto delle norme quanto l'efficienza delle procedure. Sono soltanto delle disposizioni che servono a velocizzarle, a renderle più efficienti e più efficaci. Ci sono delle norme che riguardano la formazione dei giudici, la formazione dei professionisti, il controllo, la trasparenza, la digitalizzazione delle procedure, i contatti telematici.
Se abbiamo più tempo, possiamo anche soffermarci, ma io penso che sarà opportuno sorvolare su questi titoli, che in realtà – lo ripeto – non dovrebbero creare problemi. C'è una grande assonanza tra la direttiva che stiamo esaminando e le norme che già sono state presentate, quindi su questo non ci dovrebbero essere particolari problemi.
I nodi che ci sono, a parte il Titolo I, che è quello introduttivo, sul quale dobbiamo fare qualche premessa, sono da un lato le procedure di allerta, che voi avete esaminato a lungo e su cui abbiamo un po’ di differenza rispetto alla presentazione della direttiva, dall'altro, come anticipavo, il quadro di ristrutturazione preventiva, che ha delle caratteristiche un po’ particolari.
La prima cosa che vorrei subito focalizzare è la seguente. La direttiva ha un approccio davvero molto più semplice rispetto Pag. 5 al nostro ordinamento. Noi siamo abituati a fare delle chiare distinzioni di soglie, per esempio tra i vari imprenditori: imprenditore sopra soglia o sotto soglia in base all'articolo 1 della legge fallimentare. Abbiamo delle procedure che sono contenute nella legge fallimentare e poi abbiamo la legge n. 3 del 2012, che ha delle regole particolari.
La semplicità della direttiva, che segnalo, è che lì si parla di debitore e si parla di imprenditore. Non ci sono delle regole specifiche dettate in modo particolare a seconda della soglia o a seconda dell'importanza, quindi noi partiamo dal singolo imprenditore individuale fino ai gruppi.
La cosa strana è che di gruppi nella direttiva non si parla, se escludiamo un accenno forse nella relazione introduttiva. Noi vorremmo anche segnalarlo, perché invece ci sembra importante che si faccia un piccolo accenno all'esistenza dei gruppi. Da noi, invece, come avete già visto, sono state dettate delle norme specifiche per le procedure concorsuali dei gruppi.
Un altro aspetto che vorrei segnalare, sempre per rimanere sul terreno soggettivo, è che quando si elenca il tipo di imprenditore che la direttiva ha in mente, considerate che per loro anche il professionista è un imprenditore, è l'imprenditore professionale, è l'imprenditore commerciale. Noi invece siamo abituati a vedere il professionista non come un soggetto di procedure concorsuali, ma un soggetto che eventualmente può percorrere la via del sovraindebitamento se ci sono delle problematiche di questo tipo.
Non si menziona mai l'imprenditore agricolo. Questa è una domanda che io ho posto. Ho detto: «Scusate, ma qui non compare. Compare l'artigiano, il professionista». Nel dibattito è emerso che, in realtà, danno per scontato che, anche se non c'è scritto «agricolo» è compreso anche l'imprenditore agricolo.
L'altra cosa importante è che non compare nemmeno tra le esclusioni. Infatti, nell'articolo 1 quando si parla dell'oggetto e ambito di applicazione si dicono anche quali sono i soggetti ai quali non si applica. L'unico riferimento che si fa è alla persona fisica che non sia un imprenditore. Noi, per intenderci, possiamo chiamarlo «consumatore», cioè la persona fisica che comunque è un debitore, però non è un imprenditore.
La direttiva non sarebbe rivolta a questo tipo di soggetto, però il comma 3 dell'articolo 1 afferma che gli Stati membri possono decidere – e noi l'abbiamo già fatto e abbiamo già queste norme – di estendere tutte la materia del sovraindebitamento anche alla persona fisica non imprenditore.
Non è menzionato l'ente pubblico. Questo è un altro problema che abbiamo segnalato, perché noi nell'articolo 1 della legge fallimentare abbiamo espressamente l'esclusione degli enti pubblici.
Credo che questo debba essere interpretato nel senso che, se l'ente pubblico esercita un'attività di impresa, secondo la direttiva è comunque soggetto alle procedure che sono previste. Tuttavia, forse sarebbe opportuno segnalare nell'articolo 1 che la direttiva non si applica all'ente pubblico quando questo agisce nell'esercizio delle sue funzioni e, quindi, non come soggetto imprenditoriale a prescindere dalla qualifica che possa avere.
Questa è una panoramica sotto il profilo soggettivo. Ci sono alcune cose che forse vanno chiarite e puntualizzate, perché possiamo intenderci, anche quando dobbiamo recepirle, su fino a che punto è una mancanza che significa non applicabilità oppure semplice dimenticanza.
Dal punto di vista oggettivo, invece, la cosa importantissima da comprendere subito è che questa direttiva nel suo nucleo centrale, che è quello della ristrutturazione preventiva, in realtà coglie un piccolissimo segmento del mondo concorsuale. Non riguarda la ristrutturazione di qualsiasi soggetto imprenditoriale, ma riguarda soltanto l'ipotesi in cui un soggetto voglia ristrutturare la sua posizione mantenendo la continuità aziendale.
L'interpretazione è molto stretta, perché noi, nell'evoluzione che c'è stata, giurisprudenziale e dottrinaria, eravamo arrivati a un approdo che a mio avviso è molto importante. Noi abbiamo detto che l'economia deve strutturarsi in modo tale che si salvino le imprese. Tutte le nostre norme Pag. 6ultimamente sono dirette a questo e non soltanto in Italia. Sto vedendo che adesso la situazione è generalizzata: si cerca di salvare l'impresa.
Stranamente, però, l'impostazione della direttiva è che si occupa della continuità solo quando è l'imprenditore stesso che vuole continuare. Se, in ipotesi, trova la possibilità di vendere la sua azienda, quindi l'impresa rimane ma la dà un terzo, secondo la direttiva noi staremmo fuori dal campo di applicazione.
Potremmo anche chiedere che, invece, accanto a quella che noi definiamo «continuità diretta» sia presa in considerazione anche la continuità indiretta, perché ciò che ci preme è salvare, non l'imprenditore in sé come persona ma l'impresa, quindi credo che potrebbe essere opportuno stimolare un chiarimento di questo tipo.
Tuttavia, ogni qualvolta ci sia un aspetto liquidatorio di questa ristrutturazione siamo già fuori dal campo di applicazione del Titolo II. Noi che conosciamo i dati e sappiamo che effettivamente sono poche le procedure in continuità aziendale, capiamo che ci stiamo occupando di un piccolo settore.
Lo sottolineo perché c'è una norma sulla quale per un attimo anche gli stessi negoziati hanno avuto un piccolo stallo e rispetto alla quale c'è bisogno di un chiarimento. Potrebbe essere utile che anche da parte nostra venisse un'indicazione.
L'articolo 4, che parla proprio dei quadri di ristrutturazione preventiva, al secondo comma fa una precisazione un po’ particolare: «il quadro di ristrutturazione preventiva può consistere in una o più procedure o misure».
Il senso di questa previsione è dire: «Se uno Stato membro ha già diverse procedure nel campo della ristrutturazione che funzionano, non vogliamo costringerlo ad avere una sola procedura. Può essere che quegli obiettivi che si propone il titolo si possano raggiungere attraverso più procedure».
Questo è un momento molto delicato, perché, se dovesse passare l'idea che è sufficiente che lo Stato membro adotti una procedura conforme alla direttiva e, quindi, rispetti questi canoni e poi, però, resta libero di adottare anche un'altra procedura, sempre di ristrutturazione preventiva, sempre con la continuità aziendale, dove, però, cambia le regole, noi rischiamo di trovarci in una vanificazione dell'armonizzazione che si vuole realizzare.
I rischi potrebbero essere: il forum shopping, ossia l'imprenditore si va a scegliere il Paese dove c'è la procedura che gli piace di più, e i rischi di alterazione della concorrenza, ossia un'impresa si stabilisce nel Paese dove le regole le consentano di ristrutturarsi in maniera più facile.
Sarebbe, quindi, opportuno che fosse data un'indicazione chiara di cosa devono fare gli Stati membri. Noi abbiamo tanti tipi di procedura: il concordato preventivo, che può essere liquidatorio o in continuità aziendale, gli accordi di ristrutturazione, gli accordi di ristrutturazione con gli intermediari finanziari, le convenzioni di moratoria, l'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, la liquidazione giudiziale per il debitore piccolo e per il fallendo, che poi diventa fallito, e altre figure, come i piani attestati di risanamento.
Ora abbiamo anche un altro nodo, cioè quella procedura di composizione della crisi che è stata introdotta con le nostre misure di allerta.
I due nodi fondamentali sono questi. Il primo è che cosa dobbiamo fare con questa procedura di ristrutturazione preventiva. Dobbiamo adottarne una oppure tutte quelle che abbiamo devono rispettare quelle regole?
L'altro aspetto è: la procedura di composizione della crisi che noi abbiamo affiancato alle misure di allerta come si colloca nella direttiva? Infatti, la direttiva sull'allerta dice pochissimo. La direttiva prevede solo quelli che loro chiamano «tools», cioè degli strumenti, delle misure di allerta, che sono le segnalazioni.
Quando un debitore sta in difficoltà, ci deve essere un meccanismo, che possono essere gli organismi di controllo interni o dei creditori che segnalano. C'è, però, una posizione piuttosto rigida che vuole che sia il debitore a decidere di muoversi. Nell'impostazione della direttiva sembra – dobbiamo Pag. 7 ancora usare questo termine perché i negoziati sono in corso – che non si voglia coartare il debitore. Deve essere il debitore che si sente aiutato, che si sente in qualche modo sostenuto dallo Stato, che si muove lui e, quindi, va in ristrutturazione in modo precoce, senza attendere la débâcle che poi si verifica e crea questo problema.
Il rischio è questo. Io credo che non ci sia incompatibilità, nel senso che è vero che la direttiva prevede semplicemente delle misure di allerta. Noi abbiamo inserito anche la previsione dell'organismo di composizione della crisi, che è un punto di riferimento per l'imprenditore. Certamente abbiamo anche un meccanismo che cerca di scuoterlo un po’, perché noi abbiamo una realtà imprenditoriale che va scossa e, quindi, abbiamo anche la possibilità che non scelga di andare, ma sia convocato.
Se si fa tutta questa procedura davanti all'organismo di composizione della crisi e alla fine non ne esce niente e il collegio che è stato nominato dice «Guardate che questo imprenditore è insolvente», la procedura al momento si chiude anche con la comunicazione al pubblico ministero.
L'impostazione che abbiamo noi appare un po’ diversa rispetto a quella che traspare dalla direttiva, che invece sembra una specie di consulenza gratuita, un sostegno, un aiuto, un paternalismo in qualche modo nei confronti dell'imprenditore.
Questo è un aspetto che dovremmo chiarire. È ovvio che ogni Paese poi ha i suoi tipi di soggetti professionali e imprenditoriali, quindi sarà importantissimo – ma la Commissione lo sta già dicendo – lasciare delle finestre di flessibilità per cui dopo ogni Stato membro cerca un po’...
PRESIDENTE. Questo deve essere il minimo.
PAOLA VELLA, Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza. Bisognerebbe avere la possibilità di avere una piccola oscillazione, tenendo conto di queste caratteristiche, però questo è un punto che va sicuramente affrontato.
Rimanendo nell'ambito della ristrutturazione preventiva, un punto cardine, che sembra un po’ destabilizzare, è l'articolo 4, terzo comma, che fa un'enunciazione che appare un po’ forte: «Gli Stati membri limitano la partecipazione dell'autorità giudiziaria o amministrativa ai casi in cui è necessaria e proporzionata alla salvaguardia dei diritti delle parti interessate».
Al di là di questa enunciazione, che sembra sorretta dal discorso secondo cui se si va in tribunale si perde più tempo e costa di più, mi pare che non ci siano delle segnalazioni di incompatibilità, perché l'impostazione che il tribunale deve intervenire solo quando è necessario mi sembra che sia in qualche modo recepita anche nel nostro ordinamento.
D'altro canto, la stessa direttiva attribuisce dei forti poteri di controllo al tribunale in sede di omologazione. Se vediamo il testo degli articoli 10 e 11, ci rendiamo conto che c'è una grande tutela dei creditori dissenzienti. Nel nostro ordinamento, quando c'è un creditore dissenziente è lui che deve fare opposizione, anzi, se non sono state fatte le classi, devono essere dei creditori che rappresentano, non un singolo creditore ma una certa quantità di crediti (il 20 per cento), se invece ci sono le classi deve essere un creditore che appartiene alla classe dissenziente.
Noi, quindi, abbiamo dei vincoli per far sì che il tribunale possa essere coinvolto e fare quel famoso giudizio di cram-down, che noi conosciamo ormai con il termine inglese, che significa valutare la convenienza, cioè se questo creditore nel caso in cui si va in fallimento o in liquidazione ci guadagna di più e se ci perde nella ristrutturazione. Noi abbiamo questo meccanismo.
Gli articoli 10 e 11, invece, tutelano di più il creditore dissenziente. Infatti, se c'è anche un solo creditore dissenziente, anche d'ufficio, l'autorità giudiziaria o amministrativa – lo sottolineo perché poi dirò un'altra cosa – deve valutare e ha delle regole. Pag. 8
Una si chiama «best interest of creditors test» e sarebbe analoga al nostro cram-down. Si tratta di valutare che cosa prenderebbe se ci fosse un'altra procedura, di più o di meno. In base a questo, si capisce se per lui è conveniente o meno.
Ci può essere anche un altro tipo di meccanismo, che loro chiamano «cross-class cram-down». Nella direttiva le maggioranze richieste per l'approvazione del piano di ristrutturazione sono diverse dalle nostre. Noi, al momento, chiediamo la maggioranza delle classi. Se il ceto creditorio è suddiviso in classi, per noi è sufficiente che la maggioranza delle classi approvi la proposta, oltre alla maggioranza relativa dei crediti. Nel caso della direttiva, invece, ci vuole la totalità delle classi, cioè in tutte le classi ci deve essere la maggioranza.
Questo vale per l'adozione de plano, ordinaria. Se, però, questo presupposto non si realizza, per esempio (questo è il caso di cui all'articolo 11) solo una classe approva il piano di ristrutturazione, non per questo il piano cade, ma scatta la possibilità per l'autorità giudiziaria o amministrativa di valutare se comunque quel piano va sostenuto e può andare avanti.
Per questo vi dicevo che ci sono molti poteri. Chiaramente la direttiva è orientata a far prevalere l'ipotesi della ristrutturazione fino alla fine. Addirittura, anche qualora ci fosse il debitore che dice «Mi arrendo, ho chiesto di fare le trattative, ho chiesto la sospensione delle azioni esecutive», ma non si va avanti, c'è, comunque, sempre un vaglio dell'autorità giudiziaria amministrativa, che può dire: «Aspettiamo un po’, rinviamo la dichiarazione di insolvenza, vediamo se riusciamo a raggiungere un accordo tra tutti i creditori».
Perché prima sottolineavo «autorità giudiziaria o amministrativa»? Effettivamente questa direttiva non interferisce soltanto con questo nostro atto. Noi abbiamo separati gli atti che riguardano l'amministrazione straordinaria. I princìpi che sono contenuti nella direttiva riguardano anche tutte le decisioni che nei vari ordinamenti è possibile che in materia di procedure concorsuali siano prese da un'autorità amministrativa.
Riflettevo, per esempio, sul fatto che sotto il profilo del titolo IV, dell'efficienza, riguardo alla formazione, non soltanto l'autorità giudiziaria, come i giudici o i professionisti, ha l'obbligo di formarsi e di aggiornarsi, ma in quel caso anche l'autorità amministrativa dovrebbe essere coinvolta, così come quando si parla della concessione delle misure protettive e della sospensione dell'azione esecutiva. Sono aspetti dei quali bisogna tener conto anche con riguardo al tipo di iter legislativo che è in corso.
Forse – mi permetto di esprimere un'opinione – questa potrebbe essere anche un'occasione per rivedere l'idea di rendere davvero organica questa procedura. Adesso abbiamo anche lo stimolo che ci viene dall'Europa, che, come abbiamo visto, non fa tante distinzioni, tratta la concorsualità e il sovraindebitamento come fenomeno in sé, senza tanti aspetti.
Un altro punto che potrebbe creare qualche delicatezza nel recepimento è quello che riguarda la sospensione delle azioni esecutive. Il sistema che è portato avanti dalla direttiva è diverso dal nostro.
Noi abbiamo, innanzitutto, il cosiddetto «automatic stay», cioè basta che io depositi la domanda di concordato preventivo e automaticamente c'è questa sospensione, che non è soltanto la sospensione delle azioni esecutive individuali, ma comprende anche la sospensione di eventuali azioni cautelari, il divieto di acquisire dei titoli di prelazione e addirittura l'inefficacia delle ipoteche che sono state iscritte nei novanta giorni precedenti.
Nel nostro ordinamento c'è un blocco: fermi tutti, non si muove più nessuno, anche a garanzia della par condicio creditorum, perché, se dobbiamo ipotizzare una ristrutturazione, come si suol dire in gergo, dobbiamo farla a bocce ferme, non ci può essere un creditore che va lì, prende un bene e quel bene non c'è più. Questa è la nostra impostazione.
Nella direttiva, si parla solo di sospensione delle azioni esecutive individuali. Addirittura è prevista la possibilità – ma per fortuna non è obbligatoria – che ci sia anche una sospensione, non generale per Pag. 9tutti, ma solo per alcuni creditori. Loro ammettono che qualche creditore possa agire e qualche creditore no, che nella nostra cultura giuridica non è molto accettabile.
C'è poi un meccanismo iniziale in cui la sospensione deve essere concessa dall'autorità giudiziaria o amministrativa, non è automatica, quindi il debitore deve chiederla e ci sono dei meccanismi molto stringenti per eventuali proroghe, eventuali rinnovi e anche per la revoca.
Addirittura, c'è la possibilità che il professionista che è stato nominato dall'autorità giudiziaria o amministrativa vada dall'autorità e gli dica...
PRESIDENTE. Capisco che il discorso è molto complesso, ma dobbiamo avere la possibilità di sentire anche gli altri auditi ed eventualmente di integrare.
PAOLA VELLA, Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza. Certo, io mi posso anche fermare, perché adesso stavo entrando un po’ nel dettaglio sui vari aspetti.
PRESIDENTE. L'impostazione generale dei punti critici...
PAOLA VELLA, Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza. Grosso modo sì, sono quelli.
PRESIDENTE. Se il consigliere è d'accordo, io adesso darei la parola al dottor Massimo Orlando. Noi abbiamo saputo la scorsa settimana che il 29 maggio prossimo c'è questa discussione in Parlamento, quindi dobbiamo decidere entro questa sera, pregando i colleghi di tornare in Commissione verso le 18,00-18,30, per votare un atto di indirizzo su dei punti chiave, che poi sono sostanzialmente gli atti di indirizzo, previsti dalla legge del Parlamento, al Governo italiano. Mi sembra un ruolo molto importante e anche di forza del Governo italiano. Tuttavia, dobbiamo scegliere, secondo me, anche con l'aiuto di tutti voi, i punti salienti.
CARLO SARRO. Poiché la consigliere Vella è stata interrotta mentre stavamo parlando del tema della sospensione del maggior filtro giurisdizionale che esiste nel nostro ordinamento rispetto alla soluzione contenuta, vorrei sapere come si potrebbe armonizzare. Lei non ha più concluso perché si è interrotta.
PAOLA VELLA, Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza. Dicevo soltanto che ci potrebbe essere il rischio di un sovraccarico nel momento in cui si passa da un sistema automatico, in cui automaticamente si va in stand-by, a una richiesta che viene fatta al giudice, che deve decidere. Potremmo segnalare che all'inizio è quasi certo che la sospensione sia utile per le trattative. La direttiva dice «se è utile per le trattative», ma io fatico a immaginare che non sia utile per le trattative e, quindi, mi sembra quasi un passaggio un po’ burocratico, che un po’ appesantisce.
PRESIDENTE. Quello della direttiva?
PAOLA VELLA, Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza. Quello della direttiva.
Tuttavia, devo dire che loro sono molto convinti a non introdurre l’automatic stay, Pag. 10quindi semmai, se non si riuscisse a fare forza lì, saremmo noi che dovremmo eliminarlo e, quindi, introdurre, invece, un meccanismo di concessione della sospensione, con revoca, rinnovi e tutto quello che c'è.
C'è poi la durata del termine che è di massimo dodici mesi, con tutte proroghe e rinnovi, che corre anche dopo che siamo andati davanti al giudice per l'omologazione. Un conto è durante le trattative, ma dopo, quando hai presentato il piano, stai davanti al giudice e magari hai dei creditori, hai delle perizie da fare, delle cose un po’ complesse...
Tuttavia, su questi due punti c'è molta rigidità a Bruxelles, quindi eventualmente noi possiamo spingere...
PRESIDENTE. Scusate, a questo punto mi inserisco anch'io. Questa rigidità è motivata da cosa? Da sistemi ordinamentali differenti oppure da un approccio diverso anche nei confronti dell'economia e dell'impresa?
PAOLA VELLA, Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza. La ragione fondamentale è che, poiché tutta la direttiva è molto orientata ad aiutare il debitore e a ristrutturarlo, c'è un po’ un contrappeso, per dire che non possiamo tenere in sospeso i creditori per più di un anno e non possiamo fargli trovare la sospensione senza che un giudice l'abbia valutata.
In realtà – lo ripeto – la valutazione iniziale è molto de plano. È dopo, per esempio dopo un mese o due, che ci vuole il controllo. Se stai perdendo tempo, se stai portando avanti le trattative in maniera dilatoria e basta, allora subito si deve revocare. Mi pare che all'inizio potrebbe un po’ appesantire, visto che noi siamo già tanto carichi di procedure. Inoltre, va in contrasto con l'articolo 4, che dice «l'autorità solo quando è strettamente necessario...».
PRESIDENTE. Faremo una sintesi finale dei punti.
Do la parola al professor Ambrosini per lo svolgimento della sua relazione.
STEFANO AMBROSINI, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» e di diritto della crisi d'impresa presso l'Università LUISS «Guido Carli» di Roma. Presidente, grazie, buongiorno a tutti. Io mi son permesso, come già in altre occasioni, di portare un appunto che credo sia in distribuzione in questo momento.
Parto anch'io da un tema secondo me molto importante, che è quello dell'ambito di applicazione, perché ne va del salvataggio oppure no di molte imprese italiane. Infatti, se stiamo alla nozione di cui all'articolo 2, si salvano solo le situazioni in cui l'imprenditore va avanti lui.
Invece, è molto importante ribadire sia l'attuale disposizione dell'articolo 186-bis, primo comma, (cessione a soggetti terzi) sia l'equiparazione, di cui diceva già il consigliere Vella, tra continuità diretta, ossia gestione da parte dell'imprenditore stesso, e continuità indiretta, ossia affitto in capo a un soggetto terzo. Questo amplia lo spettro applicativo che oggi, soprattutto per la situazione italiana, è francamente troppo limitato.
Il Parlamento è faticosamente pervenuto a un approdo, con una soluzione di compromesso, a mio avviso molto importante e propiziata da codesta Commissione rispetto alla proposta governativa tornando sui passi della nostra Commissione Rordorf, laddove si riserva un piccolo spazio al concordato liquidatorio quando chiaramente più vantaggioso della mera liquidazione giudiziale.
La proposta che mi sono permesso di formulare è che nella nozione di ristrutturazione di cui all'articolo 2 vadano espressamente comprese: in primo luogo, la vendita di attività o parti dell'impresa, dell'azienda o di uno o più dei suoi rami (sono a pagina 2), ove idonei ad assicurarne la continuità anche in capo a un soggetto diverso dal debitore e, in secondo luogo, ove consentita dagli Stati membri e dal diritto nazionale, la liquidazione del patrimonio, Pag. 11 purché sia previsto l'apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Questo è sulla falsariga del disegno di legge attualmente in esame al Senato.
Un tema delicato (pagina 3.2) è quello relativo a early warning e misure di allerta (articolo 3). A me pare che in linea di principio il contenuto della proposta non contrasti con la disciplina di cui al disegno di legge delega e segnatamente con l'articolo 4 (procedure di allerta e di composizione assistita).
Qui, presidente, emerge un dato. Io credo che ce lo dobbiamo dire con onestà intellettuale. Questa previsione presenta il pregio di una maggiore semplicità della direttiva rispetto all'ipotesi di disciplina italiana, all'articolo 4 del disegno di legge, che, al di là di quel che si pensa, è oggettivamente un po’ macchinosa. Questa norma sembrerebbe dimostrare che forse uno sforzo di semplificazione si poteva fare.
Ove si volesse enfatizzare l'aspetto della reazione dell'ordinamento all'inerzia del debitore – questo è un elemento importante anche dal punto di vista politico – che è stato il tema centrale nelle discussioni sull'allerta, come ben sa codesta Commissione, si potrebbe attribuire agli Stati membri la facoltà di prevedere, accanto a quelle procedure di tipo volontario e confidenziale cui sembra pensare la proposta di direttiva, forme di controllo giudiziale e di pubblicità più incisive, a fronte, beninteso, di misure premiali per quegli imprenditori che, invece, si attivino tempestivamente per affrontare la crisi.
Ciò non significa – questo è un altro punto di vertice in qualche modo – che non sia condivisibile il principio in base al quale gli Stati membri limitano la partecipazione dell'autorità giudiziaria o amministrativa ai casi in cui sia necessaria e proporzionata alla salvaguardia dei diritti delle parti interessate.
C'è poi un altro aspetto, che hanno evidenziato anche il presidente Panzani e altri di noi: l’early warning può essere riservato per scelta degli Stati membri alle piccole e medie imprese e agli imprenditori individuali, laddove l'esperienza insegna che la ristrutturazione è, invece, anzitutto pensata e utile per le imprese medio-grandi e per le platee dei relativi creditori, di regola ampie.
Della sospensione delle azioni esecutive individuali (articolo 6) ha già detto il consigliere Vella. Ribadisco anch'io che il superamento dell’automatic stay lascia abbastanza perplessi. Sarebbe meglio mantenere l'automatismo, prevedendo la revoca del beneficio su istanza di uno o più creditori o al limite anche di ufficio, tipicamente nel nostro caso su segnalazione del commissario giudiziale nominato, come è noto, di regola anche nella fase pre-concordataria.
C'è poi un altro aspetto delicato sulle azioni esecutive, che il precetto comunitario aggancia alle trattative con i creditori, affermando: «Riscontrata necessità di supportare le trattative con i creditori relativamente al piano di ristrutturazione».
A me pare invece che andrebbe esplicitato a prescindere dall’automatic stay, perché è un interesse protetto importante, anche quando ciò risulti necessario per garantire il rispetto della parità di trattamento fra creditori dello stesso rango e il buon funzionamento della procedura, in quanto la sospensione delle azioni individuali mira precisamente anche a ciò.
Quanto al voto dei creditori pregiudicati dal piano (articolo 9), c'è un lapsus nella seconda riga. Non è «sui crediti o interessi dei quali», ma «crediti o interessi sui quali il piano incide».
La proposta, come sapete bene, riconosce il diritto di voto a tutti i creditori pregiudicati dall'approvazione del piano. Dobbiamo essere avvertiti della circostanza che questa previsione contrasta con il diritto italiano vigente, sia con la moratoria infra-annuale dell'articolo 186-bis sia con l'articolo 6, lettera l), del disegno di legge.
Sarebbe dunque bene a mio avviso contemplare una deroga: «fatte salve giustificate privazioni del voto in ragione della tenuità del pregiudizio per i creditori». Tipicamente una moratoria di pochi mesi non dovrebbe giustificare l'espressione del diritto di voto. Pag. 12
Vengo all'articolo 10: sindacato giudiziale sul piano. Anche questo, presidente, è un tema lungamente dibattuto in varie sedi, compresa questa. Non mi pare si faccia riferimento – ma lo potrà chiarire il professor Stanghellini – a un supporto tecnico, nel senso che l'autorità giudiziaria o amministrativa, secondo l'articolo 10, numero 3, sembra poter rifiutare l'omologazione sulla base di proprie autonome e discrezionali valutazioni.
Io suggerirei l’addendum di una formulazione come: «il rifiuto di omologazione deve basarsi sul motivato parere di un esperto, adeguatamente qualificato, nominato dalla stessa autorità giudiziaria e amministrativa».
Del resto, questa è la scelta che ha fatto la Camera all'esito della discussione in codesta Commissione, recependo un emendamento, proprio quando, parlando del sindacato sulla fattibilità economica del piano, ha inserito «sulla scorta dei rilievi del commissario giudiziale». Infatti, il magistrato in autonomia, motu proprio, difficilmente può decidere in ordine alla prognosi di successo oppure no di quel piano.
Vengo agli ultimi due aspetti. Uno molto importante, che ha avuto qui in Italia una vita ondeggiante come un pendolo, è quello della domanda di concordato – qui parliamo di piano di ristrutturazione – chiaramente da parte di terzi.
L'articolo 11 della proposta di direttiva in materia di ristrutturazione cosiddetta «trasversale» fa riferimento alla proposta del debitore o di un creditore, ma – attenzione – con l'accordo del debitore, il che vanifica molto l'autonoma efficacia del creditore. Dobbiamo ricordare questo. Invece, la legittimazione dei creditori senza il necessario consenso del debitore rappresenta un incentivo alla più tempestiva emersione della crisi e per certi aspetti, ad avviso di alcuni di noi, non meno delle stesse misure di allerta.
Inoltre, questa norma – e confido che avrà una resistenza in sede comunitaria – contrasta con l'ordinamento italiano e almeno con quello francese, che conoscono e anzi favoriscono molto le cosiddette «proposte concorrenti» di cui all'articolo 163, in ossequio al principio di competitività in materia concordataria.
Questo è un punto importante, che induce, a mio sommesso avviso, un supplemento di riflessione. Le possibilità sono varie: o si chiarisce semplicemente che il creditore può attivarsi lui stesso, senza il consenso del debitore, con delle precisazioni analoghe a quelle che avete e che abbiamo noi a monte varato nella Commissione Rordorf, ovvero determinate condizioni, rispetto del principio del contraddittorio e adozione di adeguati strumenti di tutela del debitore, oppure si prova a declinare in maniera più analitica sulla falsariga della previsione del Bankruptcy code americano.
Vengo, infine, alla prededuzione dei finanziamenti bancari e non e dei crediti professionali. Su questo c'è un profilo di interferenza in qualche modo con l’absolute priority rule, ma soprattutto con le previsioni degli articoli 16 e 17.
Ve lo segnalo perché, soprattutto dal punto di vista pratico, è peculiarmente importante. All'articolo 16 numero 2 si fa l'ipotesi dei nuovi finanziamenti, tipicamente bancari, e si dicono due cose, se non contraddittorie, comunque non molto coerenti l'una con l'altra. Si parla di diritto di ottenere il pagamento in via prioritaria, e questo sembrerebbe simile alla nostra prededuzione. Subito dopo, però, si dice: «rango almeno superiore a quello dei creditori chirografari», che non è la stessa cosa, perché superiore ai chirografi c'è il privilegio e la prededuzione è un'altra cosa.
A mio modo di vedere, quindi, bisognerebbe inserire una previsione facoltizzante gli Stati membri, nella misura in cui abbiano all'interno dell'ordinamento esattamente l'istituto della prededuzione.
Io ho ipotizzato: «gli Stati membri possono prevedere disposizioni di particolare tutela sotto il profilo dell'entità e della tempistica del rimborso a favore dei finanziamenti funzionali alla procedura di ristrutturazione e di quelli concessi durante la stessa o in esecuzione della stessa».
L'ultimo tema riguarda i crediti professionali, ma attiene alla protezione di categorie quali avvocati, commercialisti e consulenti Pag. 13 del lavoro, che evidentemente hanno una loro meritevolezza. Anche in questo caso si potrebbe prevedere la maggior protezione dei crediti professionali sorti in funzione di tale procedura, soggiungendo l'ulteriore rimedio della stabilizzazione di questa prededuzione nell'eventuale successiva procedura di insolvenza, come deciso dalla Camera dei deputati in sede di emendamenti.
PRESIDENTE. Grazie, professore, anche di questa sintesi. Intanto cominciamo a metabolizzare vari punti di interesse.
Do la parola al consigliere Massimo Orlando per lo svolgimento della sua relazione.
MASSIMO ORLANDO, consigliere della Corte d'Appello di Lecce e componente del gruppo di esperti della Commissione europea «On restructuring and insolvency law». Io penso che sarò ancora più sintetico, perché, avendo avuto modo di ascoltare Paola Vella e il professor Ambrosini e approvando tutto quello che hanno detto, affronterò solo qualche argomento che non è stato esaminato.
Io ho cercato di vedere quali sono le norme della proposta di direttiva che contrastano e quelle che non contrastano con il «disegno Rordorf». Io credo che questo sia un punto avanzato della legislazione nazionale, anche se è in fieri, per cui la Camera, nell'atto di indirizzo, dovrebbe cercare di invitare in un certo modo il Governo a tutelare le norme della «Rordorf», che riteniamo valide. Questa è stata la mia impostazione.
Secondo me, nella proposta di direttiva manca – e sarebbe opportuno che fosse inserita – una previsione analoga a quella della Commissione Rordorf, che prevede l'obbligatorietà della classe riservata a creditori titolari di garanzie esterne.
Nella «Rordorf» abbiamo detto che il creditore chirografario che ha però un'ipoteca su un bene di proprietà di un soggetto diverso dal debitore è sostanzialmente indifferente all'esito del concordato e può votare anche se il debitore gli propone lo 0,01 per cento, perché il suo credito verrà soddisfatto dagli altri beni.
Questa categoria di creditori, che sono le banche sostanzialmente, dovrebbero avere una classe riservata, non essere messi nel calderone unico dei creditori chirografari. Secondo me, bisognerebbe dirlo.
Per quanto riguarda le misure di allerta, sono d'accordo con l'invito del professor Ambrosini a prevedere forme di controllo giudiziale. La proposta di direttiva sicuramente non impedisce l'introduzione delle misure di allerta, quindi non contrasta con le previsioni della Commissione Rordorf.
Tuttavia, secondo me, le misure di allerta sono talmente importanti che bisognerebbe cercare di ottenere un'armonizzazione, sia pur minima, anche su questo punto, perché servono ad assicurare un ambiente economico generale in tutti gli Stati membri che eviti che i creditori siano involontariamente coinvolti nell'insolvenza di soggetti che continuano la loro attività imprenditoriale sebbene siano decotti.
Secondo me, converrebbe cercare di trovare un modo perché nella proposta di direttiva ci sia l'obbligo di prevedere, non una coercizione, ma un qualche stimolo al debitore perché si attivi a rimuovere la sua insolvenza o a evitare che la sua crisi si evolva negativamente in insolvenza.
Forse l'unica piccola differenza rispetto a quello che diceva la collega Vella è sul divieto di azioni esecutive. Da quello che ho capito io, è difficile che la Commissione faccia un passo indietro rispetto alla non automaticità del divieto di azioni esecutive.
D'altra parte, il timore che ci sia un ingolfamento del tribunale sulla valutazione se concedere o meno la sospensione delle azioni esecutive forse è eccessivo, perché il tribunale, comunque, deve ammettere il debitore, quindi in quella occasione può certamente fare una valutazione.
Peraltro, a chiunque abbia fatto il giudice dell'esecuzione sarà capitato almeno una ventina di volte, nel corso della sua attività, che il giorno stesso della vendita, quando il debitore capisce che c'è un soggetto che potrebbe aver presentato una domanda di acquisto dell'immobile, si prepara una domanda di concordato, anche scritta in due righe, perché l'esistenza stessa Pag. 14della domanda impone la sospensione delle procedure esecutive.
C'è questo abuso del diritto del concordato. Prevedere la non autenticità della sospensione significa indurre il debitore a fare le cose più seriamente, perché, comunque, si deve sottoporre a una valutazione del tribunale.
Per quanto riguarda la valutazione di convenienza, come diceva il professor Ambrosini, sicuramente è opportuno prevedere che il giudice possa negare la omologazione, la confirmation, dopo aver acquisito un parere, noi abbiamo scritto «parere esperto del commissario» nella Rordorf. È sicuramente opportuno, come già prevede la proposta di direttiva, superare la necessità attuale dell'opposizione.
Un'ultima cosa cui sono un po’ affezionato sarebbe quella di prevedere una sorta di misura interdittiva nei confronti degli amministratori che hanno commesso irregolarità nella gestione dell'attività imprenditoriale.
Abbiamo contemplato che la proposta di direttiva preveda una disqualification, cioè una misura interdittiva, nei confronti di imprenditori individuali che hanno commesso irregolarità. In questi casi, la loro discharge può avvenire anche in un periodo di tempo superiore a tre anni. Si tratta di una sorta di sanzione per non essersi comportati correttamente.
Secondo me, una sanzione interdittiva, cioè un'inibizione ad amministrare imprese, dovrebbe avvenire anche nei confronti di amministratori di società di capitali che si sono comportati scorrettamente. Già conosciamo l'articolo 2409 e una norma del genere impedirebbe il fenomeno dei bancarottieri di professione e soprattutto l'abuso della personalità giuridica, in forza del quale l'amministratore fa fallire una società e poi ne apre subito dopo un'altra, continuando le sue attività scorrette a danno dei creditori.
Una sanzione di tipo interdittivo, adottata non dal giudice penale, superando la necessità della definitività di una sentenza di condanna penale, ma adottata dal giudice civile, che entro un certo termine dia la dichiarazione di fallimento in presenza di riscontrata commissione di gravi irregolarità da parte dell'amministratore di società di capitali, potrebbe avere un effetto moralizzatore, quindi impedire che i creditori subiscano dei danni per essere stati coinvolti in azioni scorrette da parte degli imprenditori non corretti.
Per il resto, sono completamente d'accordo con chi mi ha preceduto.
PRESIDENTE. Nel frattempo è arrivato Lorenzo Stanghellini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Firenze.
Anche lui ha fatto parte del gruppo di esperti della Commissione europea e ci ha fatto già arrivare un suo elaborato.
Al termine dell'audizione, dobbiamo cercare di elaborare una risoluzione di indirizzo al Governo italiano da parte del Parlamento per una materia su cui, tra l'altro, abbiamo già lavorato sia in Commissione giustizia sia in Commissione attività produttive: ormai i due disegni di legge sono entrambi al Senato, quindi potranno ricongiungersi eventualmente, se ci sarà questa volontà.
Vorrei capire da lei su quali punti ritiene più meritevole un nostro intervento anche di rafforzamento dell'azione del Governo italiano.
LORENZO STANGHELLINI, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Firenze. Grazie, presidente. Ringrazio i signori membri della Commissione per questa opportunità. Sarò veramente brevissimo, essendo consapevole dei ristretti tempi in cui deve essere conclusa l'audizione di oggi e consegnato il parere, che mi è stato detto essere da licenziare oggi.
Il fatto che sono stato membro del gruppo che ha contribuito a elaborare la proposta è un vantaggio, ma anche uno svantaggio, in quanto ne conosco abbastanza bene il contenuto e magari potrei essere meno obiettivo nel giudicare appunto la sua meritevolezza, anche se su alcuni punti posso naturalmente avere delle riserve, in quanto i servizi hanno, comunque, lavorato a prescindere dalle opinioni dei membri. Pag. 15
Dal punto di vista del contributo che è chiesto oggi, credo che si possa lavorare essenzialmente in due direzioni. La prima direzione è comprendere, come lei diceva, quali possano essere gli elementi di contrasto con l'ordinamento italiano vigente o quello di cui si prospetta la struttura, a seguito dell'approvazione possibile del disegno di legge delega oggi all'esame del Senato. La seconda, invece, è un intervento diretto sul testo della direttiva nei punti che riteniamo meritevoli, a prescindere dal tema del conflitto con l'ordinamento italiano attuale o futuro: in fondo, anche un conflitto con l'ordinamento italiano vigente o futuro non necessariamente giustifica di per sé un intervento.
Il suggerimento rispetto a possibili interventi deve tener conto del fatto che tale strumento obbliga gli Stati membri a introdurre garanzie minime, ma non impedisce che gli Stati membri adottino garanzie più ampie di quelle che prevede espressamente la direttiva.
Alla luce di ciò, credo che le opinioni suggerite – purtroppo, sono riuscito a sentire solo due persone, a causa di una riunione che avevo chiesto al mio dipartimento e che non potevo spostare – siano in larghissima parte condivisibili.
Nella direttiva, come sappiamo, ci sono cinque parti distinte: ancorché il servizio della Commissione dica che ce ne siano tre, in realtà ci sono cinque distinte parti, anche in relazione ai destinatari diversi che sono, in alcuni casi, le imprese o le imprese e i professionisti e, in altri casi, gli imprenditori persone fisiche.
Inoltre, sono assolutamente condivisibili gli strumenti di miglioramento dell'efficienza delle procedure, anche diverse da quelle di ristrutturazione, in quella che definirei la «quinta parte» del documento che abbiamo davanti, ossia gli articoli dal 24 al 29 che vanno assolutamente in linea con tendenze che già l'ordinamento italiano ha inaugurato, allorché questo ha previsto registri di trasparenza dei crediti deteriorati nonché strumenti di trasparenza nell'operato dei professionisti delle procedure concorsuali.
Possiamo, quindi, concentrare la nostra attenzione sulle prime parti, andando per esclusione.
La prima parte prevede la disponibilità di strumenti di allerta per imprenditori e professionisti. Sotto questo profilo, la direttiva prevede che siano disponibili quegli strumenti e facoltizza gli Stati a prevedere strumenti di carattere esterno, che non solo consentano al debitore di prendere consapevolezza del proprio stato di difficoltà, ma che, dall'esterno, impongano un supplemento informativo.
In quest'ottica, quest'approccio molto meno forte di quello presente nel disegno di legge cosiddetto «Rordorf» non mi sembra che si possa pensare che vi è un contrasto: il disegno di legge Rordorf va più in là rispetto a quello che prevede la direttiva.
Come suggerimento, avendo partecipato anche all'elaborazione della direttiva e conoscendo un po’ il clima, credo che gli Stati membri recepirebbero con grande perplessità un emendamento che miri a far sì che i debitori vengano messi in condizioni di pressione dall'esterno. Non che questo sia sbagliato, né contesto questa scelta italiana, ma mi sentirei di non raccomandarla in sede europea, visto che, fra l'altro, non è di per sé necessaria una modifica della direttiva affinché l'Italia faccia questa scelta politica, mentre, da un altro lato, questa potrebbe ridurre l'efficacia di modifica, che è opportuno, come dirò anche più avanti, suggerire.
Per quanto riguarda la parte più consistente degli strumenti di ristrutturazione che va dall'articolo 4 all'articolo 17, essa prevede che gli imprenditori sovraindebitati – intendendo effettivamente imprenditori non professionisti perché quelli professionisti sono destinatari di altre parti della direttiva – possano accedere a strumenti che consentano una loro rapida ed efficiente ristrutturazione.
Fra questi imprenditori, sono compresi anche gli imprenditori agricoli. In tal senso, c'è un primo punto di possibile impatto rispetto alla riforma italiana, la quale, ancorché non sia chiarissimo, almeno da una lettura esterna, perché non ho partecipato ai lavori preparatori, sembra mantenere, Pag. 16pur a seguito di un accertamento unitario dello stato di crisi e di insolvenza, discipline distinte rispetto alla regolazione della crisi degli imprenditori agricoli, da un lato, e degli imprenditori commerciali, dall'altro.
Allora, se così fosse, l'ordinamento italiano, il quale non consente agli imprenditori agricoli, come oggi è previsto, di accedere a uno strumento di ristrutturazione preventiva efficiente, dovrebbe essere conseguentemente adeguato.
Il mio non è un suggerimento alla modifica della direttiva, ma è un'analisi di impatto.
C'è un impatto significativo, anche alla luce del fatto che l'impresa agricola, come sappiamo, non è più quella dell'Ottocento e del Novecento, ma, a volte, è un'impresa con dimensioni significative, per cui, come accade in queste settimane o mesi, vediamo molte di esse combattere con una struttura normativa inadeguata, che non consente loro né di accedere al resto delle azioni esecutive né di accedere a finanziamenti prededucibili prima della presentazione di un piano, che richiede talvolta settimane o mesi di lavoro.
In quest'ottica, al di là dell'analisi d'impatto, credo che ci siano alcuni punti per i quali suggerirei un ritocco del testo della direttiva.
Nel testo che avevo mandato, al di là di una prima parte di commento, ci sono dei possibili emendamenti. Avrei una serie di suggerimenti da fare e di alcuni potremmo dire che sono di una certa importanza.
Il primo è un emendamento all'articolo 2, che va perfettamente in linea con quanto detto dal professor Ambrosini: contemplare che la direttiva possa prevedere, nel quadro della ristrutturazione preventiva, non soltanto una ristrutturazione soggettiva, quindi una ristrutturazione in continuità diretta, ma anche, se possibile, una ristrutturazione in traslazione dell'impresa. Questa è presente anche in altri ordinamenti e in Germania addirittura è prevista una disciplina autonoma con questo tipo di possibilità, che a oggi sembrerebbe preclusa.
Attenzione, il fatto che questa non sia prevista in sede europea non significa che si vieti all'ordinamento italiano di adottare una disciplina di ristrutturazione più comprensiva e inclusiva anche della cosiddetta «continuità indiretta», però, secondo me, il legislatore europeo ha sottovalutato l'importanza di questo strumento – lo dico anche a seguito di molte discussioni di cui il consigliere Orlando sarà memore – adottando una scelta minimalista che non è giustificata e che, almeno dai primi commenti che si sentono a livello internazionale, potrebbe ridurre l'efficacia di uno strumento così importante.
Suggerisco un emendamento all'articolo 9 sull'adozione di piani di ristrutturazione, che ho scritto in inglese, non per una voglia di sfoggio, ma, perché dati i tempi, il testo inglese poteva essere più utile.
Suggerirei di introdurre un meccanismo che la Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL) sta valutando, allorché sono stati studiati meccanismi che consentano la ristrutturazione delle piccole e medie imprese, prevedendo la possibilità che gli Stati membri introducano il silenzio assenso generalizzato o anche limitato, legittimando una difformità di trattamento fra piccole e medie imprese, da un lato, e le restanti, dall'altro, in relazione all'acquisizione del consenso.
Come l'esperienza dimostra, per la grande impresa il silenzio di un creditore è normalmente indicatore, salvo prova contraria, del dissenso rispetto alla proposta, mentre per la piccola e media impresa, molto spesso, il taglio frammentato e minimo dei crediti non significa necessariamente un dissenso.
In tal senso, l'UNCITRAL, in una discussione conclusasi il 19 maggio 2017, ha raccomandato, nell'adattamento degli strumenti di ristrutturazione per le micro piccole e medie imprese, anche l'introduzione del silenzio assenso.
Suggerisco un emendamento all'articolo 13 sulla valutazione dell'autorità giudiziaria o amministrativa, in relazione alla conferma del piano, quella che noi definiamo giustamente «omologazione». Pag. 17
Si tratterebbe di correggere un vero e proprio errore. Non mi è chiaro per quale motivo il legislatore europeo ipotizzi che possa essere contestato il rispetto del principio di priorità assoluta di trattamento dei creditori, al di fuori della cosiddetta «ristrutturazione trasversale». In realtà, leggendo la direttiva, questo è incomprensibile perché il rispetto della priorità assoluta di rimborso viene in gioco quando c'è un'approvazione non da parte di tutte le classi. La lettera b) può indurre una confusione significativa, cioè potrebbe indurre gli Stati membri a legiferare in senso contrario perché si deve necessariamente dare un significato a qualcosa che, in realtà, non ha significato.
L'articolo 16 dovrebbe, a mio avviso, essere ritoccato, in modo da chiarire che la priorità di rimborso, che correttamente il professor Ambrosini individuava anche in termini più analitici, non opera soltanto in procedure di liquidazione, ma anche in procedure di insolvenza in genere.
Questo emendamento non si spiega leggendo la traduzione italiana, dove al paragrafo 2 dell'articolo 16 si parla di procedure di insolvenza. In realtà, la procedura di insolvenza è un insieme più vasto rispetto alla procedura di liquidazione, quindi il testo inglese parla di liquidazione e correttamente dovrebbe fare quello che il traduttore italiano ha fatto, cioè normalizzare nel senso di una procedura di insolvenza; è previsto anche un commento.
Dopodiché, avrei due commenti più generali dei quali mi permetto di suggerire una presa in considerazione.
Il primo commento va esattamente nella direzione indicata dal professor Ambrosini, non perché, di nuovo, sia una questione fondamentale garantire la conformità dell'ordinamento italiano, che prevede dal 2015 le proposte concorrenti nell'ambito del concordato preventivo, rispetto a quello europeo, ma perché ritengo che quella sia un'innovazione corretta, per gli stessi motivi che riferiva il professor Ambrosini.
Non è messo in discussione un principio fortemente voluto dalla Commissione, secondo cui l'iniziativa della procedura di ristrutturazione deve essere data al debitore, anche perché di questo si è discusso e credo che difficilmente la Commissione tornerebbe sui suoi passi. Tuttavia, il fatto che il debitore, preso atto delle circostanze, abbia fatto accesso alla procedura di ristrutturazione preventiva e rimanga l'unico titolare della determinazione del contenuto della proposta è, a mio avviso, eccessivo e mi sembra di capire che ciò sia condiviso anche da altri intervenuti.
A questo punto, occorrerebbe fare non tanto un intervento di mero ritocco dell'articolo 11, motivo per cui non ho formulato un emendamento testuale, ma un ripensamento, nel quadro di una riflessione unitaria, di due o tre articoli della direttiva, i quali diano voce ai creditori non tanto nell'interlocuzione con un «sì» o con un «no» quanto con la formulazione di una proposta alternativa che, del resto, è nota anche dal più amichevole degli ordinamenti conosciuti a livello internazionale, il Chapter 11.
Il Chapter 11, benché sia strettamente proponibile anche dal creditore, è, di fatto, nel 99,99 per cento dei casi posto al debitore. Tuttavia, il debitore ha un tempo entro il quale deve convincere i creditori, per cui, se questi non lo fa, i creditori possono prendere l'iniziativa e formulare una loro proposta, che, nel rispetto di salvaguardie essenzialmente procedimentali nonché di alcune salvaguardie sostanziali, deve essere discusso solo dai creditori.
L'ultimo commento che suggerirei riguarda un'aporia fra i considerando e il testo della direttiva. In che cosa consiste quest'aporia? Il considerando 29 della direttiva traduce una volontà politica alquanto forte di considerare gli azionisti e i soci anche di una Srl, quindi genericamente i soci di piccole e medie imprese, non solo nella loro dimensione di investitori, che è più adeguata per grandi società, quanto nella loro dimensione di imprenditori.
In questa direzione, si prevede che: «i soci di piccole e medie imprese, che non sono meri investitori bensì proprietari dell'impresa e che contribuiscono all'impresa in altri modi, per esempio con competenze in materia di gestione, possano non essere Pag. 18incentivati a ristrutturare a tali condizioni, cioè alla condizione secondo cui possono essere totalmente espropriati, pertanto il meccanismo della ristrutturazione trasversale dovrebbe rimanere facoltativo per il proponente il piano».
Devo dire che nel testo dell'articolo 12, che si occupa dei portatori delle quote di capitale, niente è la traduzione di questa volontà politica. L'articolo 12 prevede un doppio meccanismo. Questo è giusto e lo sottoscriverei, come ho fatto più volte presente nella discussione nel gruppo. Si prevede che gli azionisti non possano impedire una ristrutturazione che è efficiente solo in quanto titolari di un diritto di veto, ma ciò può ben coniugarsi con un principio di massimizzazione del valore dei creditori, allorché gli azionisti o i soci di piccole imprese contribuiscano alla ristrutturazione non solo in senso monetario, ma anche, come dice lo stesso considerando 29, in senso di competenze manageriali.
Allora, se si applica il meccanismo della priorità assoluta di rimborso, che ha, per sua natura, una valenza monetaria, il contributo manageriale non ha luogo e non ha una sua cittadinanza. La ristrutturazione potrebbe andare avanti senza il consenso degli azionisti, solo se vi fosse il rispetto dell'assoluta priorità di rimborso oppure il consenso di tutte le classi. Tuttavia, bisogna essere realisti: questo non è facile da ottenere ed è sempre più difficile quanto più si frazionano le classi in sottoclassi, il che può essere giustificato, da un lato, ma rende molto difficile l'approvazione da parte di tutte le classi.
Credo che si possa sollecitare il legislatore europeo a prendere in considerazione quella che in altri ordinamenti viene definita come eccezione del valore nuovo (new value exception), ossia la possibilità di prendere in considerazione la posizione dell'azionista, il quale «ricompra» la sua partecipazione alla società ristrutturata per effetto di un contributo nuovo, che, nel caso del piccolo socio, può essere anche un contributo in termini personali e non necessariamente in termini manageriali.
Nel commento, c'è appunto una motivazione in questo senso.
Ho cercato di essere breve, ma sono a disposizione per qualsiasi chiarimento sia su quel che ho detto sia su qualunque altro punto per il quale posso dare un contributo.
Grazie, presidente.
PRESIDENTE. Vi ringrazio perché avete veramente fatto uno sforzo notevole di sintesi e, al tempo stesso, di completezza.
Abbiamo chiamato in audizione alcuni professori, il consigliere Massimo Orlando e il consigliere Vella, l'esperto del Ministero che per ora ha seguito il tavolo delle trattative.
Alla luce di quanto emerso, il consigliere Vella si sente di puntualizzare alcune cose?
Non so se il relatore o anche altri deputati vogliano fare qualche domanda.
ALFREDO BAZOLI. Magari può essere utile, prima della replica del consigliere, aggiungere una considerazione.
Abbiamo un tempo abbastanza «risicato» per fare un lavoro che meriterebbe un approfondimento ben superiore. Probabilmente, vale la pena, come è stato anche suggerito da ultimo, concentrarsi sugli aspetti della direttiva che più evidentemente impattano sulla nostra legislazione, ma anche su quella che dovrebbe arrivare quando – lo speriamo e auspichiamo – dovesse entrare in vigore la legge di riforma delle procedure concorsuali.
La direttiva lascia spazio agli Stati membri di scegliere i percorsi con i quali uniformarsi ai principi, però mi pare che lasci anche sufficiente flessibilità. C'è un livello minimo che viene indicato, ma poi gli Stati membri sono, comunque, in grado di intervenire come vogliono. Forse, conviene concentrarsi, visto che il tempo è molto ridotto, solo sugli aspetti che sicuramente possono entrare in conflitto con un assetto normativo sul quale abbiamo lavorato tanto – anche noi siamo un po’ gelosi nella nostra attività – e sugli aspetti per i quali ci pare possa esserci questo conflitto evidente.
Lo dico come nota metodologica che può aiutarci anche a fare meglio il lavoro, di qui alle poche ore che ci rimangono.
Grazie.
PAOLA VELLA, Magistrato della Corte suprema di Cassazione, esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza. Procedo per flash così possiamo concentrarci su alcuni aspetti.
Mi è stato chiesto se questa direttiva si può utilizzare per disciplinare anche il concordato preventivo liquidatorio. Credo che questo non sia facilissimo soprattutto perché ci sono diverse regole che sono strutturate sulla continuità aziendale e che sono molto simili al nostro articolo 186-bis.
L'articolo 186-bis prevede disposizioni che riguardano i contratti pendenti: quello che succede con i contratti, l'impossibilità di far valere delle clausole di risoluzione del contratto e così via.
Credo che, appunto perché la direttiva riguarda soltanto la ristrutturazione in continuità, per la quale speriamo – su questo mi sembra che siamo tutti d'accordo – di riuscire ad avere la continuità diretta e indiretta, evidentemente, se nei nostri atti normativi sarà previsto il concordato preventivo liquidatorio, avremo le mani libere, nel senso che non saremo vincolati, tranne che dall'ultimo titolo, quello sull'efficienza. In realtà, neanche questo ci crea problemi perché siamo avanti – lo posso dire con un pizzico di orgoglio – rispetto a tutti gli altri Stati membri, sia come formazione sia per tutti gli altri aspetti che dicevamo prima, quindi, se dovesse rimanere un concordato preventivo liquidatorio, secondo me è quasi meglio non chiedere di inserirlo, altrimenti, in qualche modo ci vincoliamo, cioè dobbiamo rispettare i vincoli posti.
Vorrei anche fare una riflessione, in continuità con il discorso sull'iniziativa. Ho riflettuto molto, anche sentendo tutte le opinioni dei vari Stati membri e della Commissione, e credo che sia giusto, in effetti, non ammettere l'iniziativa dei creditori perché stiamo trattando solo ed esclusivamente il creditore che è in difficoltà finanziaria. Il presupposto a monte non è quello – si spera – del debitore insolvente. Per funzionare, questa procedura deve riguardare l'imprenditore che è semplicemente in difficoltà finanziaria.
In tal senso, tutti quei problemi posti con il disegno di legge Rordorf sul fare attenzione alla libertà di iniziativa economica e sul capire come riuscire a «espropriare» un creditore che non è insolvente si ripresenterebbero.
Tuttavia, voglio segnalare che, come è emerso dal dibattito a Bruxelles, questo non toglie, come è stato detto anche da chi mi ha preceduto, che le proposte concorrenti siano incompatibili, cioè, una volta che il debitore ha preso l'iniziativa, c'è, forse, la possibilità di un consenso.
Devo dire che è un po’ strano il fatto che il creditore, prima di prendere l'iniziativa, debba avere il consenso del debitore, però, forse, questo può essere uno stimolo. Lo dico perché, se c'è un creditore che va dal debitore e gli dice «guarda che tu cominci a essere in difficoltà finanziaria e bisogna che ti muovi», è chiaro che quello può non dare il consenso, ma cominciano a emergere dei fatti dei quali poi potrebbe dover rispondere perché questi ha anche degli oneri e delle responsabilità.
Una volta partito, in qualche modo questo, procedimento, mi pare che non ci siano ostacoli di sorta ad ammettere le proposte concorrenti, che abbiamo nel nostro ordinamento, quindi su questo potremmo stare tranquilli.
Sotto il profilo dell’automatic stay, probabilmente saremo costretti a modificare quello che abbiamo, per essere realistici. Da una parte, si dice «comunque, dal giudice si deve andare», ma vorrei sottolineare quello che deve valutare il giudice.
Nella direttiva, come è stato sottolineato dalla Commissione, si dice che il debitore non deve provare nulla – lo chiamano test di variability – e non deve dimostrare di trovarsi in difficoltà finanziaria, ma deve dimostrare che ce la può fare, quindi il debitore è sgravato da quest'onere.
Secondo me, bisogna dare una soluzione equilibrata: se chiedo la sospensione e dimostro qualcosa, ha senso l'intervento del giudice, che la valuta, ma, se io non devo dare quella prova e dico al giudice «mi serve la sospensione perché inizio le Pag. 20trattative» e, alla fine, il giudice dice «ti concedo la sospensione», mi sembra ci sia un passaggio che non ha senso.
D'altro canto, siccome la direttiva dice che non sempre è necessario l'avvio davanti al giudice, lui intanto, se non chiede la sospensione, può fare le trattative per conto suo.
Comunque, su quest'aspetto dobbiamo essere realisti. Forse avete ragione a dire che saremo costretti a cambiare qualcosa, però, tutto sommato, non mi sembrava che funzionasse malissimo l’automatic stay.
Dobbiamo sempre ricordarci che parliamo della continuità aziendale e che, se noi dimentichiamo questo presupposto e facciamo mente locale a tutti quei concordati fatti male di gente che era insolvente, è vero che queste regole non funzionerebbero. Al contrario, se pensiamo a un imprenditore che è solo in difficoltà finanziaria e che vuole cercare di salvare l'impresa per andare avanti e pensiamo al fatto che i contratti non si fermano e non si possono risolvere né si possono fare le esecuzioni e che bisogna dargli un po’ di tempo per fare le trattative, secondo me, per un mesetto o due, lasciargli il tempo di fare le trattative, senza l'assillo delle azioni esecutive, dimostrerebbe che l'automatismo ci sia. Comunque, lo potremo vedere in seguito.
Un aspetto di cui non abbiamo parlato a proposito di aspetti importanti – per me è importantissimo sapere anche quello che si dirà qui – riguarda l'iniziativa dei creditori.
Vorrei richiamare la vostra attenzione sull'articolo 7, che è connesso alla sospensione delle azioni esecutive, e chiedervi di guardare i primi tre commi.
Il primo comma riguarda il debitore e dice che, quando c'è la sospensione delle azioni esecutive, il debitore non è costretto a dichiarare l'autofallimento. Sappiamo che incorre in responsabilità penali, generalmente, il debitore che non dichiara l'autofallimento, però, in questo caso, lui è coperto perché il comma dice «se hai ottenuto la sospensione, non sei costretto a dichiarare autofallimento».
Il secondo comma dice che, durante il periodo della sospensione generale, anche l'apertura di una procedura di insolvenza su richiesta di un creditore non è possibile, quindi c'è un altro supporto al debitore: se stai trattando, nessuno ti puoi fare l'istanza di fallimento.
Il terzo comma dice che a questa regola gli Stati membri possono derogare, quando il debitore entra in crisi di liquidità ed è incapace di pagare i debiti in scadenza. Questo comma fa una deroga soltanto all'obbligo del debitore ma non al diritto del creditore.
Secondo me, quest'aspetto è grave, nel senso che, se quel debitore che ha chiesto la sospensione e che sta trattando diventa insolvente nel corso della procedura, così come si deroga a quella possibilità di non dichiarare l'autofallimento, bisognerebbe derogare anche alla possibilità del creditore di andare dal giudice e dire «fermiamoci tutti perché questo è insolvente».
Non dobbiamo dimenticare che la stessa direttiva, da un lato, vuole incoraggiare la ristrutturazione in maniera forte e decisa, ma, se leggiamo i considerando, dice anche che dobbiamo operare in modo tale che, se non è sostenibile l'impresa, bisogna fare di corsa una bella liquidazione, quando ancora il patrimonio da liquidare c'è, perché, se trasciniamo per dodici mesi le trattative, quando si vede che la ristrutturazione non si può fare, come, purtroppo, spesso accade, e andiamo in liquidazione, i creditori hanno perso tutto.
Sarebbe importante estendere la deroga che il terzo comma prevede per l'autofallimento anche alla possibilità per il creditore. Chiaramente questi deve dimostrare che è insolvente e chiaramente dobbiamo mantenere sempre quel principio che abbiamo messo nella legge delega, cioè che prevale sempre la soluzione di ristrutturazione, per cui, fintanto che c'è la possibilità di farla, tra le due strade devo scegliere la ristrutturazione. Tuttavia, non si deve impedire, quando ormai sappiamo che quella è insolvente, al creditore di fare istanza di accertamento dell'insolvenza.
Vorrei sapere se condividete questo punto e che cosa possiamo dire al riguardo.
Sull'imprenditore agricolo, come ho già detto prima, secondo me in qualche modo Pag. 21lo si fa rientrare nella direttiva, per cui, anche se non lo nominano, possiamo stare tranquilli.
Vorrei richiamare l'attenzione sull'articolo 9, comma 5. In qualche studio o intervento o commento, ho visto che l'articolo 9, comma 5, viene interpretato nel senso che questo consentirebbe di adottare il criterio di votazione per teste e non per crediti.
Io avevo letto la norma in un modo diverso. Effettivamente il testo, o almeno quello in italiano, visto che noi su questo adesso ragioniamo, potrebbe prestarsi perché dice «gli Stati membri possono stabilire che la votazione per l'adozione del piano assuma la forma di una consultazione accordo». Questo corrisponde un po’ a quello che succede negli accordi di ristrutturazione, dove non c'è la votazione in tribunale, ma si deve raggiungere l'accordo.
Il testo poi dice: «accordo della maggioranza richiesta di parti interessate di ciascuna classe». Allora, qualcuno dice «in questo caso, la votazione è per teste», invece io intendevo la maggioranza delle parti interessate, sempre con riferimento al criterio del valore del credito che vale anche per il voto.
Dobbiamo considerare che nella legge delega avevamo inserito una precisazione sul voto per teste e avevamo detto «siamo tutti d'accordo che si vota per il valore del credito, ma, se c'è un caso particolare in cui un creditore supera una soglia del 50 per cento, per cui da solo “se la canta e se la suona”, quindi decide tutto lui, combiniamo i due criteri».
Secondo me, è importante sapere, come Stato membro, se vogliamo portare un contributo sull'aspetto del voto per teste o non vogliamo farlo. Dal dibattito che c'è stato finora, alcuni Stati membri vorrebbero mettere la doppia maggioranza, però da parte della Commissione registro una tendenza a non volerla inserire, a meno che non si lasci, anche in quel caso, la flessibilità.
A me interessa sapere quale può essere la nostra posizione ufficiale sui criteri di votazione.
LORENZO STANGHELLINI, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Firenze. Credo che, avendo questa Commissione lungamente esaminato il disegno di legge cosiddetto «Rordorf», dovrebbe esserci forse la consapevolezza di due aspetti.
A livello europeo, la figura dell'attestatore sparirebbe, quindi il divieto di azioni esecutive individuali sarebbe forse un po’ più difficile da ottenere a fronte di una domanda più invasiva, come quella di un concordato preventivo, ma sarebbe molto più facile da ottenere a fronte di un mero tentativo di accordo stragiudiziale, nel quale, ai sensi dell'articolo 182, comma 6, è oggi richiesto l'intervento di un attestatore che deve rendere dichiarazioni.
L'altro punto è che forse – lo consegno come uno spunto possibile – quella di recepimento della direttiva potrebbe essere l'occasione anche per ripensare a una parte della filosofia della delega Rordorf, la quale è tuttora strutturata su una serie di strumenti, ognuno dei quali avente una disciplina separata e senza un sistema di continuità.
L'approccio della direttiva europea è diverso. In realtà, l'approccio è quello dell'ingresso in una sorta di procedimento unico, dal quale il debitore può attingere per avere strumenti di sempre maggiore incisività: dal divieto di azioni esecutive individuali, se ne abbia bisogno, alla ristrutturazione nei confronti dei dissenzienti senza il meccanismo della ristrutturazione trasversale, sino alla più incisiva di tutte che è quella della ristrutturazione trasversale e che assomiglia molto al concordato preventivo.
Tutto questo può avvenire senza un'interruzione e senza cesure procedimentali che provocano, nella maggior parte dei casi, una distruzione di valore. Ogni qualvolta fallisce il tentativo di un accordo di ristrutturazione dei debiti e si deve aprire la procedura di concordato, si ha una cesura e una dispersione dei tempi, quando, forse, l'approccio europeo sotto questo profilo potrebbe essere un pochino più innovativo.
Si apre una fase di negoziazione con i creditori, nella quale si potrà prendere, volendo usare una metafora, da un antidolorifico, Pag. 22 se si tratta di qualcosa che può passare rapidamente, a un antibiotico, fino al medicinale salvavita, nel caso che la malattia sia veramente grave, però senza un'interruzione, la molteplicità di strumenti che, nel nostro ordinamento, devo dire non ha dato buona prova di sé.
MASSIMO ORLANDO, consigliere della Corte d'Appello di Lecce e componente del gruppo di esperti della Commissione europea «On restructuring and insolvency law». Vorrei aggiungere che, sul discorso del ripristino ipotizzato dal professor Stanghellini del silenzio assenso, penso che sia importante conoscere la valutazione della Commissione.
Personalmente non sono d'accordo, anche perché quello è stato soppresso da poco nel decreto-legge n. 83 del 2015, quindi vorrei esprimere il mio dissenso sul ripristino del silenzio assenso.
PRESIDENTE. Bene. Cercheremo di riflettere anche alla luce di quanto emerso.
Vorrei sentire anche il parere del relatore sulla linea da darsi, anche perché l'ultima cosa che ha detto il professor Stanghellini mi ha agitata non poco.
È vero che adesso questo provvedimento è al Senato e che, può darsi, non ne uscirà mai, quindi, a quel punto, saremmo tutti tranquilli perché, avremmo il tempo per rifare tutto, anzi qualcun altro avrà il tempo per rifare tutto daccapo. Tuttavia, ci abbiamo lavorato in tanti, per cui mi sembra che quello che è stato fatto si basi su una buona filosofia. Io direi, quindi, di rimanere fermi sui principi che ci siamo dati, con dei correttivi. Non credo che, già domani, la direttiva sarà approvata perché anche loro hanno tempi più lunghi.
Penso che, intanto, sia possibile dare indicazioni al Parlamento europeo, tenendo conto di quel lavoro che è stato fatto. Mi riferisco a principi che sono ormai consolidati, sia con la mini riforma fallimentare, sia con il disegno di legge che è stato approvato da un ramo del Parlamento e che peraltro mi sembra essere uno dei temi non particolarmente divisivi anche al Senato, dove c'è solo una questione di calendario.
Poi, cercheremo di fare la sintesi sui suggerimenti che sono stati evidenziati e sui punti che vengono dalle vostre relazioni. Per quello che può valere, sicuramente si tratta di un contributo e, se ci sarà un altro passaggio, cercheremo di avere un po’ più di tempo a disposizione.
Vi ringrazio molto e dichiaro chiusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.10.