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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Mercoledì 20 maggio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO C. 2798 , RECANTE MODIFICHE AL CODICE PENALE E AL CODICE DI PROCEDURA PENALE PER IL RAFFORZAMENTO DELLE GARANZIE DIFENSIVE E LA DURATA RAGIONEVOLE DEI PROCESSI E PER UN MAGGIORE CONTRASTO DEL FENOMENO CORRUTTIVO, OLTRE CHE ALL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO PER L'EFFETTIVITÀ RIEDUCATIVA DELLA PENA, E DELLE ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE C. 370  FERRANTI, C. 372  FERRANTI, C. 373  FERRANTI, C. 408  CAPARINI, C. 1285  FRATOIANNI, C. 1604  DI LELLO, C.1957 ERMINI, C. 1966  GULLO, C. 1967  GULLO

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, di rappresentanti della Federazione nazionale della stampa italiana e di rappresentanti di testate giornalistiche.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Vicinanza Luigi , Direttore dell'Espresso ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 4 
Mulé Giorgio , Direttore di Panorama ... 5 
Calabresi Mario , Direttore de La Stampa ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Calabresi Mario , Direttore de La Stampa ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Calabresi Mario , Direttore de La Stampa ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Belpietro Maurizio , Direttore di Libero ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Cappellini Stefano , Capo redattore de Il Messaggero ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Tito Claudio , Capo redattore de La Repubblica ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Stasio Donatella , Capo servizio de Il Sole 24 ore ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Bianconi Giovanni , Inviato de Il Corriere della Sera ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Bianconi Giovanni , Inviato de Il Corriere della Sera ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Lillo Marco , Inviato de Il Fatto Quotidiano ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Iacopino Enzo , Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Iacopino Enzo , Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Iacopino Enzo , Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Iacopino Enzo , Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 
Del Freo Anna , Segretario generale aggiunto vicario Federazione Nazionale della Stampa Italiana ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 25 
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 
Verini Walter (PD)  ... 25 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 25 
Ferranti Donatella , Presidente ... 26 
Stasio Donatella , Capo servizio de Il Sole 24 ore ... 26 
Lillo Marco , Inviato de Il Fatto Quotidiano ... 26 
Del Freo Anna , Segretario generale aggiunto vicario Federazione nazionale della stampa italiana ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 
Del Freo Anna , Segretario generale aggiunto vicario Federazione nazionale della stampa italiana ... 27 
Vicinanza Luigi , Direttore de L'Espresso ... 27 
Ferranti Donatella , Presidente ... 27

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, ove non vi siano obiezioni, anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, di rappresentanti della Federazione nazionale della stampa italiana e di rappresentanti di testate giornalistiche.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 2798, recante modifiche al Codice penale e al Codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena, e delle abbinate proposte di legge C. 370 Ferranti, C. 372 Ferranti, C. 373 Ferranti, C. 408 Caparini, C. 1194 Colletti, C. 1285 Fratoianni, C. 1604 Di Lello, C.1957 Ermini, C. 1966 Gullo e C. 1967 Gullo, l'audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, di rappresentanti della Federazione nazionale della stampa italiana e di rappresentanti di testate giornalistiche.
  Sono presenti Luigi Vicinanza, direttore de L’Espresso, Giorgio Mulé, direttore di Panorama, Mario Calabresi, direttore de La Stampa, Maurizio Belpietro, direttore di Libero, Stefano Cappellini, capo redattore de Il Messaggero, Claudio Tito, capo redattore de La Repubblica, Donatella Stasio, capo servizio de Il Sole 24 Ore, Giovanni Bianconi, inviato de Il Corriere della Sera, Marco Lillo, inviato de Il Fatto Quotidiano, Enzo Iacopino, presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, accompagnato da Ennio Bartolotta, direttore del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti e Anna Del Freo, segretario generale aggiunto vicario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il presidente della Federazione oggi era impegnato in una concomitante iniziativa.
  Ringrazio tutti per la disponibilità. Inizierei dai direttori di giornale o comunque dai loro delegati e partirei da Luigi Vicinanza. Il tema lo conoscete. Siamo qui per sentire anche la vostra voce con riferimento alla delega contenuta nell'articolo 25 del disegno di legge governativo che riguarda la modifica del regime di pubblicabilità delle intercettazioni telefoniche.
  Do la parola a Luigi Vicinanza.

  LUIGI VICINANZA, Direttore dell'Espresso. Ringrazio la presidente, gli onorevoli deputati e il viceministro per questa opportunità.
  Brevissimamente, io mi vorrei soffermare sull'articolo 25 in questione e, in particolare, sulla lettera a) del comma 1 dell'articolo 25, che leggo testualmente: «Prevedere disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione, in conformità all'articolo 15 della Costituzione, attraverso Pag. 4prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e che diano una precisa scansione procedimentale all'udienza di selezione del materiale intercettativo, avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, in particolare dei difensori nei colloqui con l'assistito, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale».
  Io credo, onorevole presidente, che in linea di massima possiamo tutti essere d'accordo su questi princìpi. Tuttavia, non posso non rilevare la genericità della formulazione stessa di questa lettera. È fuori discussione la tutela delle conversazioni degli avvocati difensori con i loro assistiti. La questione più complessa emerge, invece, quando parliamo di «persone occasionalmente coinvolte nel procedimento» e comunque quando si parla di «comunicazioni non rilevanti a fini di giustizia penale».
  In base alla mia esperienza professionale e, immagino, all'esperienza professionale di tantissimi colleghi, io suppongo che stiamo parlando di intercettazioni presenti in atti giudiziari. Dunque, la selezione della rilevanza di queste intercettazioni non viene effettuata da noi giornalisti, ma evidentemente dall'autorità giudiziaria che ha proceduto all'elaborazione degli atti. In questo caso si pone il problema di quale riservatezza attribuire all'atto.
  Tutti noi, per nostra esperienza, sappiamo che un atto giudiziario di per sé è a disposizione, nel momento della sua pubblicazione, di un numero imprecisato di persone. Immaginiamo gli imputati, che, in genere, nei processi che hanno una certa rilevanza per la stampa sono più d'uno. Pensiamo agli avvocati. Molto spesso ogni imputato ne ha più d'uno. Pensiamo agli agenti di Polizia giudiziaria, ai cancellieri e a tutto il personale che ha lavorato per l'elaborazione dell'atto. Quest'atto, in quanto tale, non è un atto riservato, né tantomeno segreto e, dunque, per sua natura, è un atto che è diventato pubblico.
  Noi giornalisti che cosa facciamo ? Nel momento in cui riceviamo questi atti contenenti le intercettazioni, così come sono state trascritte dall'autorità giudiziaria, non possiamo far altro che pubblicarle in base ai princìpi sanciti dalla Cassazione, che, come ben sapete, sono il requisito di verità, di rilevanza sociale e di continenza nel racconto.
  Dunque, io credo che, di fronte a questa elaborazione, noi continueremo a fare il nostro mestiere di giornalisti, pubblicando tutti gli atti di cui verremo a conoscenza e che avremo a disposizione.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Se mi consentite, per dare anche meglio il segnale di qual è la finalità di questa indagine conoscitiva, apro una breve parentesi, solo per essere un po’ più chiari.
  È vero ed è ovvio che il giornalista pubblica quello di cui viene a conoscenza e soprattutto che, come lei ha ricordato poco fa, la rilevanza è valutata dall'autorità giudiziaria. Il nodo su cui si sta riflettendo – e che in parte affronta la delega – è che oggi è pubblicabile tutto quello che è depositato e conosciuto dalla difesa. Nel momento in cui c’è il deposito di un'ordinanza di custodia cautelare e delle annesse fonti di prova, oggi c’è un regime di pubblicabilità. Scade il segreto.
  Per il futuro, nella questione della delega o comunque nelle ipotesi che si fanno in materia, si prevede un percorso più ristretto di pubblicabilità in corso d'indagine. La delega prevede, anche se in maniera, come dice lei, generica – poi bisognerà vedere come e se precisarla – un restringimento della pubblicabilità attraverso dei percorsi che comportino una valutazione di rilevanza dell'autorità giudiziaria. Si tratta di una distinzione tra l'ostensibilità alla difesa e la pubblicabilità di un atto di indagine e, quindi, anche di un'intercettazione telefonica. Ovviamente, dopo la chiusura dell'indagine, il dibattimento è pubblico. Il problema riguarda la fase delle indagini.Pag. 5
  Questa è una disciplina diversa. Adesso tutto è rilevante tranne ciò che è manifestamente irrilevante. Il percorso a cui si vuole tendere in questa delega è quello di creare un percorso di valutazione di rilevanza e, quindi, di restringimento della pubblicabilità alla rilevanza.
  Andiamo avanti. Do la parola al direttore di Panorama, Giorgio Mulé.

  GIORGIO MULÉ, Direttore di Panorama. Signora presidente, onorevoli rappresentanti della Commissione, egregi colleghi, io utilizzerò meno dei dieci minuti che mi sono stati gentilmente concessi, ma vorrei impiegare una breve parte nella fase introduttiva – sono davvero due minuti – per richiamare la vostra attenzione su un problema che conoscete bene.
  È la seconda volta che io vengo audito nell'ambito di un'indagine conoscitiva della Commissione giustizia della Camera. La precedente risale al 18 luglio 2013 ed era relativa alle proposte di legge in materia di diffamazione. Mi sia consentito di esprimere proprio in questa sede il mio profondo rammarico nel constatare che, a due anni di distanza dall'avvio dell'esame, l’iter legislativo non si sia ancora concluso, né pare che sia destinato a concludersi rapidamente, dal momento che la Camera sembra orientata ad apporre ulteriori modifiche alla proposta di legge precedentemente approvata, che quindi dovrà tornare al Senato.
  A seguito dell'approvazione della proposta di legge in prima lettura alla Camera, io sospesi la mia intenzione di non presentare appello avverso due sentenze di condanna al carcere, senza condizionale, per complessivi sedici mesi di reclusione, non già per il reato di diffamazione, ma per quello di omesso controllo nella mia qualità di direttore responsabile. La proposta di legge, infatti, cancellava la prognosi della detenzione, sostituendola con le multe.
  Mi illusi, è oggi il caso di dirlo, che la proposta di legge potesse approdare a una rapida approvazione. Così non è stato. Nel frattempo, in questi due anni, i nuovi pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell'uomo – qui c’è uno degli attori – hanno condannato l'Italia per non essersi ancora dotata di uno strumento legislativo in materia di diffamazione che l'uniformi ai parametri della civiltà moderna.
  A causa delle condanne al carcere – ribadisco, senza sospensione condizionale della pena – seppur non ancora definitive, mi vengono inflitte umiliazioni nella mia vita quotidiana che io patisco nel silenzio, essendo intimamente convinto che la forza della dignità delle mie ragioni prevale oggi e prevarrà sempre sugli abusi del diritto e le storture della legge.
  Vi esorto a fare presto e a procedere a una rapidissima approvazione della legge, affinché non si consumi, a causa della lentezza del Parlamento, l'ennesima tragedia del diritto, esponendo l'Italia al dileggio internazionale.
  Dalle vostre azioni non dipende il destino di un uomo e di un giornalista, che comunque rimarrà libero, perché nessuna cella riuscirà a ingabbiare le sue idee, ma la libertà di ogni cittadino italiano di poter esprimere su un giornale la sua opinione e di un giornalista di raccontare i fatti.
  Mi scuso per questa premessa e vado al nocciolo della convocazione.
  Riguardo alla disciplina legata alla tutela della riservatezza delle comunicazioni delle «persone occasionalmente coinvolte nel procedimento» e comunque «delle comunicazioni non rilevanti a fini di giustizia penale», segnalo l'imbarbarimento in atto e tento di spiegarmi.
  Vi sono due tipi di violazione – lei, presidente, vi faceva cenno – dal punto di vista temporale: una avviene nella fase delle indagini preliminari, l'altra a conclusione di un'indagine, sia essa sfociata in un rinvio a giudizio o in un'archiviazione.
  Per esperienza da cronista prima e da direttore poi mi è sempre accaduto che, al di fuori di atti, quali per esempio l'ordinanza di custodia cautelare in carcere o la richiesta di rinvio a giudizio, siano in prima analisi i magistrati o i loro collaboratori – intendo ufficiali di Polizia giudiziaria – e in parte gli avvocati a fornire ai giornalisti intercettazioni telefoniche interessanti, Pag. 6sotto il profilo giornalistico, per il coinvolgimento di terze persone estranee e per il contenuto spesso succoso, dal punto di vista politico, ma assolutamente irrilevanti dal punto di vista penale.
  Succede così che il giornalista ritenga di dover adempiere al suo ruolo di testimone dei fatti, pubblicando il contenuto delle intercettazioni coinvolgenti terze persone estranee e irrilevanti penalmente, facendosi scudo della formula «è nelle carte dell'inchiesta», oppure «si tratta di documenti depositati», oppure ancora «è agli atti del processo».
  È all'evidenza una fuga dalle proprie responsabilità che ha determinato l'imbarbarimento cui ho accennato poco fa. L'ultimo esempio è di ieri – ne avete abbondanza sui giornali di oggi – ed è relativo all'inchiesta sul calcioscommesse. L'agenzia ANSA ha riportato conversazioni inserite nel provvedimento cautelare sottolineando che si trattava di una telefonata tra un soggetto non indagato e non arrestato in cui si parla di altri due soggetti, non indagati, molto noti e di un'altra tra un soggetto non indagato e non arrestato, in cui si parla di un terzo soggetto non indagato. Ovviamente, si tratta di notizie irrilevanti penalmente, come dice il giudice, presentate però con la solita formula «è agli atti dell'inchiesta».
  Sarò ancora più esplicito e citerò un caso che mi riguarda direttamente, evitando di fare riferimento a vicende terze, come hanno, peraltro, segnalato prima di me autorevoli rappresentanti della magistratura auditi dalla Commissione.
  Nell'agosto 2011 sono stato indagato dalla procura di Napoli per il reato di corruzione per una vicenda legata alla pubblicazione di un articolo. Nell'ambito del procedimento tutti i telefoni cellulari e me intestati e quello fisso della mia segreteria di Panorama sono stati a lungo intercettati su richiesta dei pubblici ministeri napoletani. Si è trattato di un'operazione di spionaggio in piena regola, in cui si è colpita alla radice la libertà di stampa, essendo a tutti voi nota la molteplicità dei rapporti, la delicatezza e la natura strettamente confidenziale della relazioni in capo al direttore di un news magazine in Italia.
  Segnalo che furono intercettati anche i telefoni di altri giornalisti non indagati, segnatamente il vicedirettore esecutivo di Panorama, il capo della redazione romana e un collaboratore del settimanale.
  L'inchiesta è stata archiviata nel marzo 2014 dal giudice per le indagini preliminari, che ha riconosciuto l'assoluta liceità e correttezza dei comportamenti miei e dei miei coindagati.
  Prima ancora che io sapessi del provvedimento di archiviazione, nella totale ignoranza degli atti contenuti nel procedimento da parte mia e dei miei legali, non avendo mai avuto accesso agli atti, è stato pubblicato, il 17 luglio 2014, il contenuto di un'intercettazione telefonica. Si tratta della conversazione n. 831 – questo per darvi l'idea di quante migliaia di telefonate siano state intercettate – tra me e un soggetto terzo non indagato, ossia Marina Berlusconi, presidente della Arnoldo Mondadori Editore e, quindi, naturale referente per il direttore di Panorama.
  In quella conversazione pubblicata non c’è alcuna traccia di elementi penalmente rilevanti. C’è, invece, uno scambio di vedute sulla situazione politica. Eppure, con il ricorso alla solita formula «che l'intercettazione fosse agli atti del processo», l'organo di stampa ritenne di pubblicare la comunicazione.
  Aggiungo, come dato di cronaca, che a quasi un anno di distanza dai fatti, non ho alcuna notizia, dopo la presentazione di una mia querela inoltrata alla procura di Roma.
  Signora presidente e signori onorevoli, questa barbarie va fermata con una sollecitudine – si spera – superiore a quella sconosciuta dall’iter sulla legge della diffamazione. Ecco, quindi, la mia proposta in materia.
  Sono pubblicabili solo le notizie contenute in un provvedimento definito da un giudice con motivazione, come le ordinanze che prevedono l'applicazione di misure cautelari di sequestro o atti di perquisizione. Per tutti gli atti istruttori precedenti Pag. 7non menzionati nel provvedimento del giudice c’è il divieto assoluto e invalicabile di pubblicazione, anche se allegati al fascicolo.
  Le intercettazioni inserite nel fascicolo, ma non oggetto di menzione nel provvedimento, sono valutate in un'udienza con le parti, in cui sono stabilite quelle da tenere in vita, per le quali rimane il divieto di pubblicazione fino a quando non siano oggetto di pubblico dibattimento, come giustamente notava lei, e comunque con la non identificabilità di soggetti terzi estranei. Tutte le altre vanno distrutte immediatamente.
  Per quelle intercettazioni, o per le parti di esse, coinvolgenti persone non indagate comunque inserite nel provvedimento, va introdotto il divieto assoluto di pubblicazione dell'identità dei terzi, prevedendo di identificare le persone intercettate casualmente come soggetto A, soggetto B, e via elencando. In alternativa, si può prevedere che nei provvedimenti cautelari come la custodia in carcere, venga preservata l'identità di soggetti terzi non indagati e, nel caso di pubblicazione di intercettazioni con indagati, di ricorrere al metodo riassuntivo e mai testuale delle conversazioni.
  Si può prevedere di omissare quelle parti comunque utili all'accertamento della prova dalle quali si possa risalire all'identità dell'intercettato casualmente, cioè il soggetto A. Se, per esempio, si legge nell'intercettazione che il soggetto A, non indagato, afferma: «Certo che poi, quando mio padre, che, come sai, è il Presidente del Consiglio, verrà a sapere questa vicenda, se la prenderà a male», la frase va trascritta con gli opportuni omissis.
  Si può, prevedere, inoltre, la sospensione per minimo tre mesi dall'Ordine dei giornalisti nel caso in cui il giornalista riveli l'identità di un soggetto terzo intercettato casualmente e indicato come soggetto A nell'atto del giudice.
  Ancora, si può prevedere una multa di importo cospicuo nei confronti di chiunque, non giornalista, incorra nella stessa violazione.
  Si può prevedere la sospensione per minimo tre mesi dall'Ordine dei giornalisti nei casi di pubblicazione di parti di intercettazioni omissate e una multa cospicua nei confronti dell'editore.
  Si può prevedere una multa cospicua nei casi di pubblicazione di parti omissate su testate non giornalistiche online.
  Si può prevedere la piena responsabilità disciplinare del giudice, con la sanzione della perdita di anzianità, che consente l'identificazione di persone terze non indagate nel provvedimento cautelare.
  La ringrazio per l'attenzione.

  MARIO CALABRESI, Direttore de La Stampa. Buongiorno e grazie per avermi invitato. Mi rivolgo a voi innanzitutto associandomi a quello che ha detto Giorgio Mulé sul tema della diffamazione.

  PRESIDENTE. Vi fornisco una risposta. È qui presente anche il viceministro, che è firmatario della proposta di legge in materia di diffamazione con il mezzo della stampa. Ieri abbiamo già dato i pareri agli emendamenti. Voteremo, se non la prossima settimana, in quella successiva. Dovrebbe essere in Aula a metà di giugno.
  Andiamo oltre, altrimenti non ce la facciamo a sentire tutti.

  MARIO CALABRESI, Direttore de La Stampa. Lo tolgo al resto del mio tempo. Parlo tre minuti e basta. Vorrei soltanto dirvi che, quando parliamo delle classifiche sulla libertà di stampa che ci mettono in posti imbarazzanti... Io faccio parte della giunta del World Editors Forum. Due anni fa mi è stato chiesto come mai in Italia funzioni così. Io ho detto: «Ci stanno lavorando».
  L'anno scorso il Congresso mondiale dell'editoria è stato a Torino e io speravo di iniziare con questo argomento. Ho fatto una spiegazione su come stavano cambiando le cose. La prossima settimana c’è il Congresso di nuovo, per il terzo anno. Questo è un tema dibattuto perché ci mette assolutamente, soprattutto nei casi come l'omesso controllo, fuori dall'Occidente.
  Non volevo dire altro su questo. Ci tenevo a sottolinearlo, perché effettivamente è un tema.

Pag. 8

  PRESIDENTE. Anche per noi questo è un tema molto delicato e molto sentito. Avremmo potuto dire la stessa cosa. Il testo Camera avrebbe potuto essere approvato così com'era stato approvato dal Senato, ma ciò non è avvenuto. Abbiamo ancora un bicameralismo perfetto.
  Ovviamente, ci sono stati emendamenti, c’è stata una discussione e c’è stata una rielaborazione, pur senza scardinare il punto centrale della proposta. Ci sono anche temi nuovi che sono stati introdotti al Senato, tra cui la questione dell'oblio, che ci ha creato ulteriori problematiche.
  Proprio ieri – non domani, a seguito anche di questa ulteriore sollecitazione, o comunque giusta rimostranza, ma ieri – il relatore Verini e il Governo hanno espresso finalmente i pareri in maniera definita, molti emendamenti sono stati ritirati e, quindi, io credo che si andrà presto al voto. Ovviamente, l’iter dovrebbe essere rapido e il Senato speriamo che questa volta tenga conto di una sinergia che si è creata.
  Grazie.

  MARIO CALABRESI, Direttore de La Stampa. Grazie. Io sarò molto meno tecnico di Mulé. Vi do semplicemente il parere e il punto di vista di un direttore di giornale.
  Secondo me, è evidente che in questi anni ci sono state delle degenerazioni nel sistema, degenerazioni che non sono ascrivibili al sistema giornalistico in toto, ma al sistema nella sua generalità. È stato tutto allegato già nelle prime fasi, con riferimento a tutte le intercettazioni, sia quelle che avevano a che fare con le persone sotto inchiesta, sia quelle che non avevano a che fare con le persone sotto inchiesta. In un certo senso sono arrivate nelle redazioni tonnellate di documenti.
  Vi porto un caso specifico. Tutto ciò interroga fortemente anche la deontologia dei giornalisti. Io penso che questo sia un aspetto da sottolineare, perché la questione del giornalismo non si può risolvere semplicemente per legge, prescrivendo che cosa si pubblica e che cosa non si pubblica e soprattutto non in termini generici. Esistono anche la responsabilità dei giornalisti e la deontologia professionale.
  Vi faccio un caso per tutti. A me è capitato, come capita spesso alle nove di sera, di ricevere file in cui ci sono migliaia di pagine di documenti e in cui, naturalmente, si fa la ricerca con le parole chiave, altrimenti in altro modo non si potrebbe procedere. Mi è capitato nell'inchiesta lavori pubblici – in questo caso si trattava del caso del dottor Balducci – che venissero fuori diversi aspetti privati e personali del dottor Balducci.
  Quando io li ho visti, mi sono interrogato e ho chiesto ai miei cronisti se avessero a che fare con l'inchiesta e se queste fattispecie servissero a giustificare ed evidenziare la corruzione. Quando mi è stato detto di no e che semplicemente le intercettazioni fuori dal lavoro rappresentavano la sua sfera privata, io ho deciso di non pubblicare quella parte sul giornale.
  Naturalmente, però, ho trovato le intercettazioni su molti altri giornali il giorno dopo e sono stato soggetto di ironie per il fatto di non averle pubblicate. Io ho rivendicato, però, con i miei giornalisti il fatto che, secondo me, era fondamentale fare questo.
  Sulla testata del New York Times c’è scritto «All the news that's fit to print», ossia tutte le notizie che vale la pena di pubblicare, non tutte le notizie che ci sono arrivate in redazione o che qualcuno ci ha passato. Pertanto, io penso che si dovrebbe restituire anche una parte di responsabilità.
  Un'altra parte di responsabilità deve essere, secondo me, dei magistrati, però, in quello che allegano, nel modo in cui lo allegano e anche nella selezione doverosa che viene fatta dei materiali. Quando la selezione è porosa, evidentemente, e se poi le notizie possono essere degne di interesse...
  Dobbiamo ricordare una cosa: voi siete il Parlamento della Repubblica e il ruolo della stampa in un'opinione pubblica democratica è quello di andare oltre l'ufficiale, non è semplicemente di riportare ciò che è ufficiale. La stampa deve poter pubblicare anche ciò che l'autorità pubblica Pag. 9non deve pubblicare, altrimenti tantissime pagine di giornalismo non sarebbero neppure esistite.
  Peraltro, i doveri del giornalista non rispecchiano quelli del magistrato o quelli del funzionario. Il dovere del giornalista è fare informazione corretta e dare informazione. Naturalmente, la libertà, come sostiene la Convenzione europea dei diritti umani, trova limiti nella responsabilità. Deve esserci il limite nella responsabilità.
  Qui, però, dobbiamo fare una distinzione. Ci sono due elementi che sono in competizione: da una parte, il diritto alla riservatezza e alla privacy e, dall'altra, il diritto all'informazione. Ci possono essere momenti in cui questi due diritti sono in tensione. Un conto è il pettegolezzo – si faceva l'esempio della comunicazione riservata che nulla ha a che fare con il processo – un conto sono comunicazioni che possono non avere rilevanza penale, ma che, se riguardano soggetti pubblici o funzionari pubblici, possono mettere in luce comportamenti, magari non penalmente rilevanti, ma che illuminano un percorso e un modo di comportarsi.
  Noi sappiamo che in democrazie e sistemi che hanno una maggiore tutela e meno permeabilità degli atti processuali ci sono, però, alcuni comportamenti, soprattutto di persone che vengono elette oppure di funzionari pubblici, che secondo me all'opinione pubblica interessano. Non si può dire all'opinione pubblica che questo non si può pubblicare.
  C’è anche un ulteriore rischio, se vogliamo, ossia che si ricrei una sorta di doppio binario per cui c’è un mondo informato di politici, di giornalisti e di funzionari, che conosce alcune cose, che conosce intercettazioni, che conosce dialoghi che vengono preclusi, invece, all'opinione pubblica e che possono servire poi anche per creare distorsioni nel sistema.
  Pertanto, io penso che ci debba essere un forte richiamo alla deontologia professionale. Secondo me, se l'Ordine vuole avere una funzione vera e reale, su questo deve lavorare a fondo. Deve esserci anche una selezione da parte del magistrato, che non può buttare tutto lì e depositare tutto.
  In terzo luogo, però, non si può pensare che tutto quello che riguarda un processo non sia pubblicabile. Se vengono fuori cose che magari non hanno rilevanza penale in quel processo, ma che fanno emergere comportamenti che è importante che l'opinione pubblica conosca, proibire di pubblicare questo, secondo me, non può stare in piedi in un corretto funzionamento.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie del contributo.
  Do la parola a Maurizio Belpietro, direttore di Libero.

  MAURIZIO BELPIETRO, Direttore di Libero. Grazie, presidente. Grazie ai suoi colleghi per l'invito odierno. Mi consenta una battuta sulla vicenda della diffamazione. Essendo un giornalista che ha portato il tema di fronte alla Corte di Strasburgo e avendo vinto, facendo condannare lo Stato italiano, rispetto a una condanna alla carcerazione di quattro mesi per omesso controllo per aver pubblicato l'opinione di un parlamentare, vi volevo solo informare di una piccola questione che continua ad accadere.
  Per avere di nuovo pubblicato l'opinione di un parlamentare, che in un'Aula del tribunale di Milano è venuto a testimoniare dicendo: «Sì, io ho detto – ma questo era noto, perché era stato rilanciato da tutte le agenzie – queste parole», la procura di Milano ha chiesto nei miei confronti, per omesso controllo, perché il testo era stato giudicato inattaccabile e, quindi, il giornalista che l'aveva scritto era stato assolto, otto mesi di carcere.
  Grazie al cielo – ne ho ricevuto oggi notizia ed è per questo che ve lo racconto – il giudice nella fase del dibattimento in prima istanza ha ritenuto che non ci fossero delle responsabilità e che non vi fosse alcun reato e, quindi, mi ha assolto. Questo vi dà la misura di che cosa succede e di qual è il trattamento nei confronti della stampa, peraltro non quando pubblica chissà che cosa, ma quando pubblica opinioni dei rappresentanti del popolo, di parlamentari.Pag. 10
  Ciò detto, per quel che riguarda le intercettazioni, io faccio il direttore o il codirettore da una ventina d'anni. Se metto insieme tutto sono 25 anni. Pertanto, mi sono passate sotto le mani tante intercettazioni e tante frasi. Le ho sempre pubblicate, ovviamente, perché questo mi era consentito e perché questa, in fondo, è la ragione del nostro mestiere, ossia pubblicare le notizie, e quelle erano notizie.
  Non erano notizie di reato. Erano notizie. Questo fa la differenza. Per l'esperienza che io ho sono inserite nei fascicoli processuali proprio perché sono notizie, non perché sono notizie di reato. La notizia di reato molto probabilmente troverebbe spazio nella stampa e negli organi di informazione con un'eco molto più limitata. Invece, quando vi è una notizia, un gossip, un pettegolezzo, un'informazione di quel tipo, quella notizia finisce inevitabilmente in prima pagina.
  Posso citare alcuni casi che ricordo. Penso, per esempio, al caso che ha riguardato il Governatore della Banca d'Italia Fazio, tanto per rimanere fuori da ambiti più strettamente politici, così nessuno si sente coinvolto o tirato in ballo.
  All'epoca – lo cito perché io fui responsabile – io pubblicai quell'informazione che riguardava Fazio. C'era la famosa frase di Fiorani che diceva a Fazio: «Ti darei un bacio in fronte», dimostrando una conoscenza che andava al di là delle funzioni dei due, ossia del governatore e dell'amministratore delegato della Banca di Lodi. Naturalmente, quella vicenda processuale, come sappiamo, poi è finita in un qualche modo, cioè con l'assoluzione di Fazio.
  Tutte queste notizie sono inserite non già per dimostrare chissà che cosa, perché il reato, al limite, era di aggiotaggio e bisognava dimostrare quello. Il reato consisteva, al limite, nelle false informazioni agli organi di vigilanza, non certo il bacio presunto e poi telefonico di Fiorani, che era un modo di dire «Ti saluto caramente». Certo, era colorito, perché tutti noi, quando parliamo al telefono, facciamo così.
  Tutte queste notizie e queste informazioni finiscono agli atti proprio perché devono poi ricevere ampia diffusione. Alcuni procedimenti giudiziari la ricevono solo perché ci sono quelle notizie. È bene che lo si sappia, è inutile girarci intorno. Qualcuno ha detto – mi pare che fosse il Procuratore Carlo Nordio – che più che la separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici servirebbe la separazione delle carriere fra magistrati e giornalisti, perché spesso si è usato questo sistema.
  L'ha detto Violante, forse. Mi confondevo.
  Spesso è avvenuto questo, ossia si è creata una situazione per cui conviene a tutti, conviene al giornalista e conviene al magistrato, che ovviamente finisce sui giornali, diventa famoso e probabilmente ne ha un vantaggio di carriera o pensa di averlo.
  Bisogna in qualche modo intervenire, perché questo non è utile ai fini della giustizia e, io credo, neanche ai fini della corretta informazione. La responsabilità, però, non va attribuita soltanto ai giornalisti che vedono che nelle idee che ci sono devono essere sanzionati, penalizzati e multati gli editori. Va attribuita a chi dispone delle intercettazioni.
  Proprio Carlo Nordio dice che bisogna tornare a come era una volta, per cui i responsabili della riservatezza di quelle intercettazioni che sono strumento di indagine sono i magistrati. Il magistrato che le chiede forse è il caso che controlli, e ha gli strumenti per controllare, se vuole.
  Io confesso che raramente – forse in un solo caso – ho visto approfondito l'argomento di chi avesse passato che cosa. Spesso non si è trovata la responsabilità. In qualche caso sarebbe bastato fare due controlli sui telefonini magari dei magistrati o di qualcuno vicino ai magistrati e si sarebbe trovata. Su questo bisogna intervenire. Se non si interviene su questo, si continuerà ad avere una diffusione.
  I giornalisti fanno il loro mestiere: se hanno una notizia, la pubblicano. Certo, si può dire che bisogna omettere il nome e prevedere delle sanzioni, ma alcune notizie, se ci sono delle indagini, sono rilevanti Pag. 11e, quindi, si pubblicano. Chi ha la tutela, invece, della riservatezza è il magistrato che fa le indagini. Forse è bene che intervenga per fermarne la diffusione.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, direttore.
  Do la parola a Stefano Cappellini, caporedattore de Il Messaggero.

  STEFANO CAPPELLINI, Capo redattore de Il Messaggero. Grazie, presidente. Sarò molto rapido, anche perché alcuni dei concetti che ho ascoltato li condivido e, quindi, non perderò troppo tempo a tornarci sopra.
  Io credo che sia stato detto con chiarezza che in questi anni ci sono stati molti abusi, alcuni anche di una certa gravità. Devo dire anche rispetto al dispositivo che è in discussione in questa sede che si tratta di abusi che sono stati relativi non soltanto a persone non indagate, ma anche a persone indagate.
  Credo che il problema riguardi anche chi è indagato, nel senso che, come è stato detto giustamente, non tutte le intercettazioni di chi è sottoposto a indagini hanno una rilevanza. Questo, purtroppo, è un aspetto che non sembra essere stato, però, il criterio nella formulazione degli atti giudiziari, nel loro utilizzo e nella loro divulgazione.
  Io credo che vada rimarcato questo perché ritengo che lì ci sia un vulnus persino più grave. Un indagato non per il suo status deve perdere alcuni dei diritti fondamentali che gli devono essere riconosciuti.
  L'elenco degli abusi sarebbe molto lungo. L'impressione – è stato detto anche questo con chiarezza – è che ormai ci sia una sorta di meccanismo scientifico. Si sa che l'inserimento di alcune notizie ricavabili da intercettazioni che non hanno nulla a che vedere con il reato può fare da grancassa mediatica. È chiaro che esiste un meccanismo per cui il particolare di gossip, la battuta sapida o il riferimento a un nome eccellente possono diventare un mezzo, se inseriti nelle carte giudiziarie, per ottenere più spazio. L'indagine avrà maggiore eco e se ne parlerà di più. Questo probabilmente è un intento perseguito volontariamente, in alcuni casi, secondo me con una grave stortura.
  Ha ragione il direttore Calabresi quando dice che, ovviamente, qui c’è un problema anche di deontologia giornalistica. Si tratterebbe ogni volta di fare delle riflessioni molto accurate su cosa sia il caso di pubblicare e cosa no. Tuttavia, io credo che vada fatta anche una gerarchia. Io ritengo che il problema fondamentale sia evitare una stortura grave dal punto di vista del diritto e dei diritti degli indagati e dei non indagati, ossia quella di concepire le ordinanze come una sorta di mare magnum in cui, oltre a mettere insieme tutti gli elementi che possono essere indizio, c’è un tentativo magari di gettare discredito sull'indagato o comunque di introdurre elementi totalmente marginali, ma che possono garantire eco all'indagine.
  Da questo punto di vista io credo che veramente occorra studiare dei meccanismi molto ferrei e molto rigorosi per impedire che questo accada. Questo deve avvenire, però, innanzitutto alla fonte, altrimenti – anche questo è stato giustamente ricordato prima – è molto complicato che limiti deontologici intervengano a impedire la pubblicazione di quelle che appaiono come notizie interessanti, che possono comunque avere un interesse per il pubblico dei giornali.
  Chiaramente si finisce poi, pubblicando queste notizie, e negli ultimi anni purtroppo questo è accaduto regolarmente, per dare corso a una vera e propria barbarie. Non c’è dubbio che l'idea di un indagato come persona privata di alcuni requisiti e di alcuni diritti è, di per sé, dal punto di vista di uno Stato di diritto che sia degno di chiamarsi tale, una stortura, anche se l'indagato è responsabile di evidenti misfatti, anche se c’è un'ipotesi di colpevolezza molto fondata. La gravità dei reati non può, però, sospendere le garanzie anche per chi questi reati eventualmente li abbia compiuti.
  Io credo che esista comunque una gerarchia di responsabilità, tra cui sicuramente quella del mondo giornalistico, che Pag. 12ha bisogno di interrogarsi sui limiti e di trovarli, magari anche con l'ausilio di una legge. Credo, però, che il problema fondamentale sia trovare un meccanismo che alla fonte «stoppi» questa situazione.
  Peraltro, davvero c’è una cesura in questo senso, per cui, da un certo punto in avanti, le intercettazioni non sono solo diventate un genere giornalistico e un genere giudiziario molto praticato, ma alcune inchieste sembra che vivano solo delle intercettazioni. Sembra quasi che non ci sia altro che la pubblicazione di conversazioni. Molto spesso dietro di queste rimane poco anche dell'inchiesta e delle sue conseguenze penali vere e proprie.
  Io credo che sia davvero arrivato il momento di elaborare un dispositivo di legge che impedisca che si prosegua su questo corso. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie molte.
  Do la parola a Claudio Tito, caporedattore de La Repubblica.

  CLAUDIO TITO, Capo redattore de La Repubblica. Buongiorno. Grazie per l'invito.
  Io vorrei sgombrare il campo da un equivoco: se ci sono stati abusi sull'uso delle intercettazioni, in realtà sono stati molto limitati, perché la pubblicazione di atti o di intercettazioni coperte ancora dal segreto istruttorio ha riguardato casi rarissimi, che si contano sulle dita di una mano. Stiamo parlando di episodi molto rari.
  Per quanto riguarda il resto, ossia gli atti non più coperti dal segreto istruttorio, pensare che il legislatore possa individuare un criterio generale e astratto per cui venga vietata o ristretta la possibilità di pubblicare quegli atti interpella anche un profilo democratico. Come diceva anche Mario Calabresi, il rischio è che alcune delle notizie e, quindi, delle informazioni e anche dei comportamenti penalmente, socialmente e politicamente rilevanti vengano mantenuti all'interno di una cerchia ristretta di conoscitori.
  C’è poi un altro aspetto che forse va valutato in tutta la sua importanza e pienezza. A meno che non vogliamo giudicare i nostri magistrati, nel caso specifico un pubblico ministero o un giudice, come delle macchine – ma mi sembra che nessuno di noi possa farlo è evidente e tutti sanno che, per quanto riguarda la fase che precede il processo, negli atti che vengono depositati c’è già una selezione. C’è una selezione che viene fatta prima dalla Polizia giudiziaria, poi dal pubblico ministero e poi dal giudice. Quella selezione è fatta sulla base di un principio molto semplice: che cosa è rilevante o meno ai fini del processo. Quella selezione la fanno già il pubblico ministero e il giudice. Non può essere un compito riversato sui giornalisti.
  Se c’è una cosa nella richiesta di custodia cautelare è perché il pubblico ministero, o il giudice successivamente, ha deciso che quell'elemento, quell'intercettazione, quell'episodio è rilevante per spiegare i motivi del reato, ma soprattutto per illustrare un contesto. Può capitare che tale contesto, in alcune casi, non sia penalmente rilevante, ma lo è per giustificare il processo nel suo impianto.
  Chiaramente all'interno di questo quadro esiste una responsabilità del giornalista, ma è una responsabilità che viene esercitata, in primo luogo, davanti ai propri lettori e alla pubblica opinione e, in secondo luogo, nell'ambito della deontologia professionale. Esiste già un codice. Ci si può attenere a quel codice.
  Naturalmente, nessuno può pensare di divertirsi o di godere nel pubblicare episodi, casi o frasi morbose, magari legati a minori. Il rischio, però, è che vincolare il tutto a una disposizione di legge possa anche ferire il profilo democratico del ruolo che svolge la stampa.
  Non voglio infilarmi in questioni tecniche, ma esiste già un articolo del codice di procedura penale che prevede la cancellazione e l'eventuale eliminazione di atti o episodi che non riguardano e non interessano il processo. È l'articolo 269 del codice di procedura penale. Perché non utilizzarlo ? Da quello che risulta a me nessuno ricorre a quell'articolo del codice. Mi pare che ci sia una volontà, che deriva Pag. 13da episodi che hanno riguardato soprattutto la classe politica, di intervenire su questa materia.
  Un ultimo aspetto su cui vorrei richiamare la vostra attenzione riguarda le eventuali pene legate alla pubblicazione di questi atti. Al proposito mi pare di aver letto anche di una proposta un po’ bizzarra di consiglieri della Presidenza del consiglio. Pensare di introdurre anche in questo caso la carcerazione dei giornalisti mi sembra un'idea veramente pazzesca, su cui spero che questa Commissione e il legislatore riflettano. Spero anche che riflettano sulla dimensione delle eventuali pene pecuniarie.
  Anche su quell'aspetto io richiamo la vostra attenzione. Pensare di far pagare delle multe molto alte significa intanto per i giornalisti dei piccoli giornali essere sottoposti a una minaccia costante dell'editore. Poi c’è una garanzia che per il lettore è stata esercitata fino adesso. Normalmente, o almeno per legge, l'editore non entra nelle redazioni. Se, però, si impongono delle multe altissime, il rischio è che ci sia un controllo preventivo dell'editore e nemmeno del direttore. Io penso che questo rappresenti un limite alla libertà di stampa, ma soprattutto alla conoscenza di quello che avviene da parte degli elettori e della pubblica opinione.

  PRESIDENTE. Grazie molte.
  Do la parola a Donatella Stasio, caposervizio de Il Sole 24 Ore.

  DONATELLA STASIO, Capo servizio de Il Sole 24 ore. Io non ho una scaletta perché sono stata delegata all'ultima ora, ma mi sono riguardata un po’ la questione, occupandomi di intercettazioni da tempo immemorabile, e ho visto che praticamente si parla di riforma dal 1996. C’è stata tutta una serie di proposte di legge che sono state «brandite» – è il caso di dire – e mai approvate, nemmeno per le parti che apparivano teoricamente condivise, come nel caso dell'archivio riservato o dell'udienza filtro. Anche su questa volontà politica di intervenire e su come intervenire io ho, quindi, dei dubbi consistenti.
  Io penso che si debba cambiare schema, evidentemente non solo perché non si è legiferato fino ad oggi. Il giornalista e il magistrato svolgono due mestieri diversi. Siamo poteri di controllo, con un'incidenza fortissima su ambiti delicati, come la libertà e la privacy e, quindi, dobbiamo ovviamente esercitare questo potere enorme che abbiamo con grandissimo senso di responsabilità.
  Come impostazione, io condivido quella del collega Calabresi. Innanzitutto penso che giocare allo scaricabarile non abbia molto senso. Mi riferisco a dire che sono i giornalisti che pubblicano o che sono i magistrati che mettono troppa roba dentro. Bisogna accettare l'idea che sia noi, sia i magistrati facciamo un lavoro nell'ambito del quale è molto ampio il potere di valutazione che noi abbiamo dei fatti.
  Questo spiega perché negli atti giudiziari finiscano delle intercettazioni che non sono strettamente attinenti, almeno apparentemente, all'indagato, ma che riguardano terzi estranei o sono di contesto. Sarebbe stupido e soprattutto improprio che il legislatore dicesse: «No, tu non li devi mettere», perché quella è una valutazione che spetta esclusivamente al magistrato. Pertanto, ne risponderà il magistrato.
  Né si può fare della dietrologia e pensare, anche se ci sono dei casi, come peraltro avviene nella nostra professione – li voglio considerare patologici – di magistrati che possono utilizzare delle notizie irrilevanti per dare notorietà alla propria inchiesta. Se ci mettiamo su questo piano, non ne usciamo più. Così come lì c’è un margine importante di valutazione discrezionale, così c’è anche nel nostro lavoro.
  Il nostro lavoro qual è ? Innanzitutto è quello di valutare sempre, naturalmente, la rilevanza generale e l'interesse pubblico che un fatto ha. Noi non siamo vincolati al penalmente rilevante. Anche una notizia che non sia penalmente rilevante, ma che abbia un interesse pubblico è una notizia che noi abbiamo il dovere di pubblicare.
  Tuttavia, abbiamo anche il dovere di rispettare i diritti altrui. Questo richiamo forte alla deontologia professionale secondo Pag. 14me non c’è e non c’è stato da parte nostra. Ciò implicherebbe una maggiore reattività degli organi preposti e, quindi, anche dell'Ordine, ma reale e consistente.
  Se è vero quello che raccontava il collega Calabresi, faccio tanto di cappello a Calabresi per non aver pubblicato quelle intercettazioni. Io ho sentito, in uno dei tantissimi convegni ai quali ho partecipato sul tema delle intercettazioni, alcuni direttori raccontare la stessa cosa che raccontava lui, cioè di questa massa di intercettazioni che spesso arrivano in ora tarda, quando il giornale è non dico in chiusura, ma in una fase concitata, ragion per cui esse vengono distribuite tra un più ampio numero di redattori, anche tra quelli che solitamente non si occupano di queste cose. Il criterio di pubblicazione è quello della quantità. È il mercato che stabilisce cosa pubblicare, non conta la qualità di che cosa pubblichiamo.
  Questo deve finire, ovviamente. Quindi, tanto di cappello a Calabresi, che non ha pubblicato, anche sentendosi irridere il giorno dopo. Non so quali reazioni ci siano state, ma mi è sembrato di capire questo. Tuttavia, questo è giornalismo.
  Questo ripeto, insisto, veramente interpella, proprio perché non si possono immaginare divieti e sanzioni che non siano ovviamente legati alla segretezza dell'indagine. La segretezza dell'indagine ha un senso e una funzione, perché serve a tutelare non soltanto l'indagine stessa e il processo, ma anche le persone che vi sono coinvolte. Tuttavia, pensare di disciplinare con dei divieti e delle sanzioni, meno che mai con il carcere, cosa che obiettivamente mi sembra fuori dal mondo, questo aspetto della nostra vita, per quanto invasivo, non mi sembra corretto.
  Io faccio un appello fortissimo perché credo che bisognerebbe attivare, invece, questo meccanismo deontologico più pregnante e più incisivo per fare in modo che ci sia un contenimento e un maggior senso di responsabilità, ovviamente, da parte di noi giornalisti.

  PRESIDENTE. Grazie a Donatella Stasio.
  Do la parola a Giovanni Bianconi, inviato de Il Corriere della Sera.

  GIOVANNI BIANCONI, Inviato de Il Corriere della Sera. Buongiorno e grazie. Io vorrei partire da quello che voi avete sul tavolo e metterlo a confronto anche con l'esperienza che ho maturato io, per la quale il direttore mi ha indicato come vostro interlocutore.
  Intanto voi avete un progetto di legge che nella scorsa legislatura era arrivato quasi alla fine, ma poi è caduto. Meno male che è caduto, perché non si sarebbe potuto pubblicare niente per spiegare quello che era accaduto. Questo, sinceramente, è un progetto che spero resti negli archivi del Parlamento e basta.
  Adesso, invece, avete sul tavolo questa delega e alcuni autorevoli pareri, soprattutto di due o tre procuratori che sono venuti qui a proporre una soluzione intermedia, che è quella di poter pubblicare integralmente un'ordinanza di custodia cautelare e forse anche una richiesta, ma poi più niente fino alla fine delle indagini preliminari. Questo per provare a bilanciare tre interessi contrapposti, se non addirittura di più.
  Su questo aspetto io credo che bisognerebbe un po’ ragionare. Naturalmente riporto il punto di vista di chi fa il mio mestiere, che è un mestiere diverso da quello del magistrato, come diceva prima Donatella Stasio, e che ha riguardo a notizie socialmente rilevanti e non penalmente rilevanti, anche quando derivano da atti giudiziari non più segreti.
  Sulla questione del «non più segreti» vorrei invitarvi a tenere presente sempre questa vicenda. Noi stiamo parlando, in ipotesi, di vietare la pubblicazione di una notizia che non è segreta. Io non so se voi avvertite una contraddizione in questa definizione. Io, sinceramente, sì. Comunque sia, si potrebbe arrivare a paradossi per cui, con riferimento a questi atti non segreti, un avvocato che li conosce legittimamente, poi li racconta a me e io poi magari li vado a raccontare in un dibattito televisivo o in un incontro pubblico. Poi, però, non li posso scrivere sul giornale. È Pag. 15una cosa curiosa, io penso, che possa avvenire. Pertanto, vi invito a tenere presente questo.
  Dopodiché, come dicevo, il magistrato ha come riferimento l'azione penale. Io credo che voi avrete molta difficoltà a scrivere che una determinata frase di un'intercettazione messa lì non aveva rilievo penale, per cui poi potrete sanzionare il magistrato. Non so, può darsi che ci riusciate, ma è evidente che, con l'obiettivo di illuminare il soggetto della persona indagata o di vedere le relazioni che ha e che incidono sulla sua capacità delinquenziale si può mettere qualunque cosa, o quasi qualunque cosa.
  Tanto per fare esempi recenti, la questione del regalo del Rolex al figlio di un Ministro poteva metterla o non metterla. L'ha messa, io credo legittimamente, in quel quadro che ha costruito, ma, se anche non l'avesse messa e fosse rimasta in un brogliaccio che sarebbe poi finito in mano all'avvocato, io credo che sarebbe stato interesse nostro, e forse anche dovere nostro, pubblicare la notizia, perché aveva un rilievo sociale e politico.
  L'esempio della casa dell'ex Ministro Scajola è evidente.

  PRESIDENTE. È stato assolto.

  GIOVANNI BIANCONI, Inviato de Il Corriere della Sera. È stato assolto, ma intanto si è dimesso prima che venisse indagato, perché la vicenda era comunque di rilievo. A me non interessa se ha commesso un reato o no. Mi interessa sapere se un Ministro può utilizzare o meno la sua funzione in questo senso. Forse sì, forse no, non lo so, ma poi mi darà delle spiegazioni, se sono credibili o meno. È evidente che il metro di valutazione è diverso.
  Stabilire che noi possiamo pubblicare soltanto il contenuto di un'ordinanza significa consegnare al magistrato maggior potere discrezionale. Spesso io sento dire che i magistrati si allargano e che hanno o vogliono avere una funzione anche di giudice etico. Anche nel parere del Consiglio superiore della magistratura, nel capitolo intercettazioni, si mette in guardia da questa «tentazione» dei magistrati ad avere un occhio troppo attento all'etica.
  Può essere, ma, se voi stabilirete che si può pubblicare soltanto il contenuto di un'ordinanza, a quel punto il giudice potrebbe dire: «Questo lo ometto perché può finire sul giornale e questo no». È quasi inevitabile che si ragioni anche così. Pertanto, si rischia di allargare questo potere discrezionale del giudice al di là dell'aspetto penale, nel quale dovrebbe restare confinato.
  Noi giornalisti abbiamo già delle regole. Non è neanche vero il contrario di quello che ho detto, ossia che tutto ciò che è penalmente rilevante sia socialmente rilevante. Per niente. Molte cose che stanno nelle ordinanze noi non le pubblichiamo.
  Io vengo da Catanzaro, dove ci sono 1.200 pagine di un decreto di fermo in cui ci sono tante cose, compresa l'intercettazione che faceva riferimento a Lotito. Anche quella, non è che non c'entrasse niente. Uno degli arrestati parla con un altro. Il pubblico ministero scrive che il soggetto parla con un non indagato dicendo che bisogna stare attenti alle regole, mentre lui le viola costantemente perché vende le partite e i giocatori. Dal punto di vista del pubblico ministero è rilevante per quel passaggio. Dopodiché, se si mette la frase sul presidente di una squadra di calcio, è evidente che diventa una frase rilevante socialmente, tant’è che poi il soggetto viene intervistato e risponde.
  Con riferimento al procuratore di Roma che vi ha fatto l'esempio di Mafia Capitale sulla squadra della capitale – esempio che riguardava Totti e il fatto che siano state pubblicate delle notizie contenute in un'informativa che non erano state messe nell'ordinanza, né nella richiesta – è plausibilissimo, anzi, secondo me, è vero che ci fosse una rilevanza sociale in quelle intercettazioni, anche se non erano contenute nell'ordinanza perché al giudice non servivano.
  Peraltro, c’è un altro aspetto che mi permetto di mettere in luce di quella proposta: che succede con il riesame ? Tra la custodia cautelare e la richiesta di Pag. 16rinvio a giudizio quasi sempre c’è il tribunale del riesame, che diventa per noi una delle fonti principali, perché è un momento di deposito ulteriore anche di informative. Magari il riesame decide della scarcerazione o meno di una persona, o la lascia dentro, sulla base di quei nuovi atti. A quelli noi non possiamo accedere ? Forse li possiamo vedere, ma non li possiamo pubblicare ?
  Qui torniamo al discorso iniziale che vi dicevo: una distinzione fra ciò che è conoscibile lecitamente e ciò che è divulgabile lecitamente, ma non è pubblicabile, io non so come voi potrete arrivare a farla.
  Noi abbiamo delle regole, come dicevo, che sono quelle della legge sulla privacy e quelle del codice deontologico. È evidente che ci siano state delle esagerazioni. Questo è sotto gli occhi di tutti. Non credo che siano tanto quelle politicamente sensibili, quanto altre, le esagerazioni che ci sono state. Quelle politicamente sensibili io non credo che siano irrilevanti, in realtà, o che non lo siano state. Alcune intercettazioni relative a uomini di Governo che raccontavano di avere difficoltà a partecipare alle riunioni del Governo perché la sera prima avevano fatto molto tardi, secondo me, sono socialmente rilevanti. Mi dispiace, ma purtroppo è così. Per qualcun altro non lo sarà, ma credo che potrò essere io a stabilire se è socialmente rilevante oppure no, nella mia piccola funzione.
  Su questo aspetto io credo che noi abbiamo delle regole che devono essere incentivate, ma stabilire per legge mi sembra discutibile, perché una legge, una volta che è stata fatta, poi rimane. Non è facile cambiarla, come sapete bene. Voi ci mettete tanto ad approvare le riforme.
  Vi voglio anche dire un'ultima cosa. A parte il fatto che quasi tutto quello che noi facciamo oggi è illegale formalmente, perché noi già oggi non potremmo pubblicare il contenuto e nemmeno le ordinanze di custodia cautelare, per un altro motivo, legato all'articolo 114. Non lo potremmo fare, ma per un altro motivo che riguarda la verginità del giudice che dovrebbe poi giudicare e che non dovrebbe conoscere prima. Secondo me, questo andrebbe quantomeno riformato.
  Secondo voi, però, è più garantista riportare il contenuto per un sunto che faccio io, oppure riportare invece il testo di una telefonata così com’è ?
  Aggiungo un'ultima cosa a proposito di garantismo. Vi voglio ricordare l'inchiesta su Riano Flaminio – non so se la ricordate – quando alcuni maestri furono accusati di violenze sessuali o di abusi sessuali su bambini. Furono arrestati. Subito dopo, avendo i giornalisti accesso agli atti, cominciò una controindagine su come erano stati interrogati questi bambini dai Carabinieri in presenza dei genitori.
  Con riguardo a come, per fortuna, sono andate poi le cose – la realtà la conoscono solo i protagonisti, ma gli imputati sono stati assolti – già dall'inizio, quando erano stati arrestati con l'accusa di pedofilia, già subito proprio, perché è stato possibile pubblicare i verbali, in questo caso, c’è stata questa controindagine.
  Secondo me, voi non dovete stare attenti solo alle intercettazioni. Parliamo di atti di indagine, tra cui ci sono anche i verbali, gli interrogatori, i pedinamenti e tante altre cose che si fanno nelle indagini. Grazie a quella pubblicazione di atti, indebita forse nelle ipotesi di riforma che io leggo e che sono state proposte, gli indagati già all'epoca potettero essere non indicati semplicemente come accusati di pedofilia. Qualche dubbio cominciò a circolare subito e, per come è finito il processo, meno male che è andata così.
  Anche dal punto di vista del garantismo nei confronti degli indagati l'idea che non si possa studiare e pubblicare il materiale di indagini depositato, quindi lecitamente conosciuto ma non direttamente contenuto nelle ordinanze, nei decreti di fermo o nelle richieste di arresto, credo che sia utile, a volte, anche a tutela dei diritti degli indagati.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola a Marco Lillo, inviato de Il Fatto Quotidiano.

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  MARCO LILLO, Inviato de Il Fatto Quotidiano. Buongiorno a tutti e grazie per questo invito. Visto che tanti colleghi e, prima ancora, alcuni procuratori hanno già discusso con voi di questi temi, io vorrei provare a entrare un po’ direttamente, senza fare preamboli, nelle questioni specifiche.
  Il punto di partenza che tutti dobbiamo tenere presente, secondo me, è quello del diritto alla difesa da parte degli indagati e, ovviamente, degli avvocati. Su questo io non penso che sia intenzione del Parlamento intervenire e anche la delega mi pare che non lo permetta. Pertanto, dobbiamo partire dal presupposto che, qualsiasi cosa voi facciate, gli avvocati degli indagati avranno sempre diritto ad avere i CD-Rom che ormai si usano al posto delle carte, con tutte le informative, tutte le intercettazioni telefoniche, tutti i verbali, tutti i pedinamenti e tutto quello che diceva prima Giovanni Bianconi.
  Andiamo al secondo punto: dove possiamo mettere un argine a questo fiume che a monte non viene fermato ? Alcuni suggeriscono di porre l'argine nella cosiddetta udienza filtro o comunque di mettere in mano ai magistrati il rubinetto che chiude questo fiume. Altri propongono di farlo magari più a valle e di fare che sia l'Ordine dei giornalisti a giudicare la deontologia del giornalista che pubblica l'intercettazione del corista o di chi so io e che entra nella privacy di una persona e, quindi, a valle.
  Io voglio sottolineare alcuni aspetti positivi del sistema attuale. Mi vorrei porre nella condizione di dire: siamo sicuri che il sistema attuale è così terribile ? Vediamo quali sono gli aspetti positivi con dei casi pratici.
  Cominciamo da Calciopoli. Quando l'indagine della magistratura di Napoli si concentrava sostanzialmente sulla Juventus, grazie alle norme attuali, i difensori di Luciano Moggi acquisirono tutte le intercettazioni e le riascoltarono tutte. Scoprirono degli audio che non erano stati utilizzati dai magistrati, che non erano stati messi nelle famose ordinanze, che oggi dovrebbero essere l'unico documento pubblicabile, secondo quanto ha suggerito qualche procuratore in audizione, ma che erano a loro disposizione.
  In questi audio c'era un'altra squadra, l'Inter, che peraltro è la mia squadra – parlo, come ha fatto prima Giovanni Bianconi, contro la mia squadra – che interveniva sul designatore, in maniera lecita si è poi scoperto. Comunque questo era un dato di fatto che controbilanciava ed equilibrava la posizione di Moggi.
  Questo dato di fatto è stato portato da parte degli avvocati a conoscenza dei giornalisti. I giornalisti l'hanno pubblicato e il pubblico – è un caso di cui possiamo parlare apertamente, anche perché parliamo, grazie a Dio, di cose semplici come lo sport – si è fatto un'idea più equilibrata di quello che era accaduto. Non era soltanto Moggi che parlava con il designatore arbitrale, ma c'era anche Facchetti. Facchetti magari non commetteva reati, ma comunque anche lui parlava. La giustizia sportiva, sulla base di queste intercettazioni nuove, provò a elevare una accusa all'Inter, che però poi cadde per prescrizione, mi pare di ricordare.
  Questo è un esempio positivo del funzionamento delle norme attuali, che non sarebbe possibile se passasse la «linea Pignatone» – chiamiamola così – che vi è stata suggerita. Pertanto, prima di buttare il bambino con l'acqua sporca, io ci penserei un attimo.
  Facciamo un altro esempio. Se noi avessimo la restrizione degli atti pubblicabili, come è stato suggerito da alcuni procuratori qui, soltanto all'ordinanza, come diceva prima Giovanni Bianconi, consegneremmo il potere di decidere cosa sia rilevante o meno per l'opinione pubblica ai magistrati.
  In un Paese come l'Italia, che ha conosciuto stagioni di dossier e macchine del fango, questa è una scelta appropriata ? Mettere nelle mani di circa 100 o 200 avvocati e di amici di avvocati – che magari fanno politica, che magari sono legati ai Servizi segreti o che magari fanno attività di altro tipo – delle carte sicuramente imbarazzanti politicamente, come quelle che possono essere scartate nell'ordinanza Pag. 18ma che rimangono agli atti del giudizio, è una scelta saggia ? Io penso di no.
  Andiamo avanti. Qual è l'interesse contrapposto che sempre si sbandiera per chiedere di limitare il diritto-dovere di cronaca dei giornalisti ? È l'interesse della privacy. Sembra che ci sia una spinta spasmodica del Parlamento a tutelare i cittadini e non i politici.
  Io vorrei segnalare che i casi di intervento del garante della privacy, in anni e anni di esistenza di questa Autorità, sono – mi pare di ricordare – una trentina in tutto. Parliamo del caso di Stefano Ricucci che dice «Ti amo» ad Anna Falchi. È una gravissima violazione della privacy, conoscendo quanto Anna Falchi sia attenta alla sua privacy. Oppure parliamo anche di casi di altro genere, più gravi e più delicati, come quello che dicevamo prima di Balducci o anche quello di Giuliani, il ragazzo ucciso al G8.
  Il punto qual è ? Siamo sicuri che questa norma sia stata fatta avendo in testa questi interessi reali dei cittadini, oppure è stata fatta nell'interesse di chi ha già tanto potere per proteggersi ? Io, per esempio, mi fiderei di più di questo intento di tutela dei cittadini se sentissi qualcuno che pone altri temi.
  Faccio un esempio. Le conferenze stampa con le quali i magistrati alle 10 di mattina del giorno in cui vengono arrestate decine e decine di persone parlano degli arresti con una forza mediatica preponderante rispetto a quella della difesa, inondano i telegiornali di quella giornata con le accuse, spesso senza che noi giornalisti, soprattutto quelli televisivi, quelli che hanno il primo impatto sull'opinione pubblica, abbiamo il tempo di intervenire sulla difesa.
  Perché nessuno parla mai di questo ? Perché nessuno ricorda mai casi come quelli di quegli stranieri che furono arrestati con accuse gravissime di stupro e che mesi dopo si scoprì essere completamente innocenti, ma furono sbattuti su tutti i telegiornali ?
  Perché non si dice mai che c’è stata una conferenza stampa alla presenza di un procuratore nazionale antimafia, che ha discusso, per esempio, del caso di Scaglia, il famoso manager di Fastweb poi scarcerato con tante scuse perché ritenuto innocente, almeno in primo grado ?
  Perché non si tocca la conferenza stampa ? Forse perché quello è un potere dei magistrati e i magistrati sono molto attenti al proprio potere.
  La sensazione che ho io è che nelle audizioni che sono state fatte qui dai procuratori – metto in guardia i parlamentari da questo aspetto – i magistrati abbiano fatto una sorta di scarico sui giornalisti. Loro hanno chiesto di lasciare loro il potere di intercettare, anzi hanno chiesto di aumentarlo, e poi di colpire e bastonare i cattivi, i giornalisti, che pubblicano le intercettazioni.
  Io starei attento ad attribuire tutto questo potere ai magistrati. Faccio presente che noi, nel nostro piccolo, facciamo anche un controllo dell'attività della magistratura.
  Arrivo al caso Totti, essendo io quello che l'ha tirato fuori, insieme a Lirio Abbate, nel libro che abbiamo scritto. Questo caso è proprio quello che ha citato il procuratore Pignatone qui per dire che lui, per esempio, non aveva messo questo dato nell'ordinanza, ma era finito su tutte le pagine dei giornali. Peraltro, non è finito su tutte le pagine dei giornali, perché Totti gode di una buona stampa. In realtà, è andato su pochi giornali. Peraltro, non era un'intercettazione, ma un'informativa di polizia, comunque fuori dall'ordinanza.
  Il tema qual è ? Io rivendico, invece, il dovere del giornalista di pubblicare quelle informazioni su Totti, anche perché io non sono convinto che sia giusto quello che ha detto qui Pignatone davanti a voi, ossia che sia corretto non indagare su quella vicenda.
  Potrei, per esempio, sostenere, ma è una mia tesi, una mia idea, che rientra nel diritto di critica del giornalista, che magari, se fossi stato io, un paio di attività di indagini su quella vicenda le avrei fatte. Avrei convocato il responsabile della gara che ha dato questa possibilità alla società del calciatore di guadagnare 900.000 euro Pag. 19all'anno grazie a un palazzo di periferia. Avrei provato a sentire in carcere, cosa che poi è avvenuta, Luca Odevaine, quello che, come presidente della gara, ha offerto questo grande affare. Gli avrei chiesto: «Lei, come hanno scritto Il Fatto Quotidiano e il libro I re di Roma, era realmente amico di Totti quando ha fatto questo favore alla società, o comunque era presidente di una gara che ha permesso di fare un grande affare alla famiglia Totti ?».
  Se noi oggi possiamo porre queste domande al Procuratore Pignatone – teoricamente, ma non lo fa nessuno; chi si azzarda a porre domande a un procuratore come Pignatone, che dobbiamo ringraziare perché ha fatto quell'indagine che ha liberato Roma di tanti loschi figuri ? – è perché c’è un giornalista che si è letto le carte e che ha avuto la possibilità di pubblicare quelle notizie. Criticamente, noi possiamo, quindi, chiederci se la magistratura stia facendo fino in fondo il suo dovere su Totti, sì o no, per esempio. Io ritengo che questa sia una possibilità che debba essere rivendicata e mantenuta, a tutela dei cittadini, se è vero che vogliamo agire a tutela dei cittadini.
  Voglio fare un altro esempio sul rischio di intervenire con l'accetta, come a volte si fa, su materie delicatissime come queste, che richiederebbero il bisturi.
  Nel progetto Alfano e, prima ancora, nel progetto Mastella in maniera molto più pesante si ipotizzava di eliminare le sanzioni penali per aumentare le sanzioni pecuniarie, soprattutto nella pubblicazione delle intercettazioni.
  Io non voglio dire che preferisco il carcere alle pene pecuniarie, ma sottolineo anche qui un problema. Facciamo un esempio pratico. Penso all'intercettazione pubblicata da Il Giornale nel 2005, poco prima di una campagna elettorale molto delicata, nella quale Piero Fassino diceva al telefono, parlando con Consorte, mi pare di ricordare: «Abbiamo una banca». Era la famosa intercettazione dell'Unipol, che era stata trafugata, anche con le modalità che poi sono state oggetto di un procedimento.
  A me quello che interessa è un punto: se l'unica sanzione per la pubblicazione di un'intercettazione che non doveva essere pubblicata, come quella, è una pena, come prevedeva il decreto Mastella o quello di Alfano, di 100.000 o di 10.000 euro, Il Giornale di Silvio Berlusconi, della famiglia Berlusconi, avrebbe pubblicato quell'intercettazione, avendo la gravissima pena, alla vigilia di una campagna elettorale così delicata per lui, di 100.000 euro ? Io penso di sì.
  Quella intercettazione sarebbe stata pubblicata da un piccolo giornale come Il Fatto Quotidiano, che aveva allora un capitale sociale di 700.000 euro, quando è nato ? Io penso di sì, ma alla settima intercettazione saremmo stati costretti a chiudere.
  Prima di eliminare il sistema attuale, che prevede la galera – per andare in galera bisogna veramente essere un diffamatore seriale, nella situazione attuale italiana – e introdurre le pene pecuniarie, io penso che quello che ha detto prima Claudio Tito sia molto sensato. Stiamo attenti, perché così consegniamo il potere di decidere cosa pubblicare a editori che in Italia, purtroppo, non sempre sono editori puri.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a tutti.
  Adesso sentiamo il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Do la parola al Presidente Enzo Iacopino.

  ENZO IACOPINO, Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Presidente, vorrei ringraziare gli uffici, che ci hanno fornito ieri un materiale significativo, che, in base a quello che ho ascoltato, è stato utile non solo a me. È stato utile anche per preoccuparmi, devo dire la verità, nel leggere alcune delle cose dette dai procuratori, che sono state in parte citate. Parlare per decimo è complicato – non invidio la collega che parlerà per undicesima – ma alcune cose penso di avere il dovere di dirle.

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  PRESIDENTE. I ruoli sono diversi, però. Parliamo con il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti.

  ENZO IACOPINO, Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. A parte la preoccupazione iniziale che mi ha creato il collega Mulé – preoccupazione iniziale che in parte conoscevo, tanto che, poiché siamo molto amici, gli avevo detto che poi avremmo parlato – dal collega Calabresi in avanti ho cominciato a respirare. Ero veramente inquieto e mi sono chiesto: «Dove sono finito mai ?» Era questa la domanda che mi facevo.
  Lunedì sono stato a Venezia per un dibattito – mi piace pensare molto interessante per i contributi di altri – su diffamazione e intercettazioni. C'era un avvocato molto noto, del quale neanche sotto tortura farò il nome, che ha cominciato dicendo che il problema di fondo è che chi fa le leggi deve regolare dei conti.
  Io ho reagito, debbo dire la verità, più per ruolo che per intima convinzione. Forse il collega Lillo non sa che lei è un magistrato. Non voleva essere scortese. Io lo conosco.

  PRESIDENTE. Non lo è stato.

  ENZO IACOPINO, Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Ha parlato di più potere ai magistrati e via elencando. Io ho reagito credo più per dovere di ruolo che per intima convinzione.
  Certo, è vero che questo problema delle intercettazioni esplode periodicamente. Mi fa piacere che sia stata citata la legge Mastella. Tutti citano il disegno di legge Alfano di solito, ma la Mastella era quattro volte peggio, anche come sanzioni economiche e come carcere per i giornalisti. Sui giornalisti la politica trova quasi sempre un'unità. La cosa non ci fa molto piacere.
  Come vi dicevo, io ho letto le trascrizioni delle audizioni dei magistrati e dei procuratori e mi permetto di citare alcune parole del dottor Pignatone. «Secondo me, un problema che corrisponde a un Paese democratico come il nostro è che, se viene arrestato un magistrato, un pubblico funzionario, ma anche una qualunque persona la cui sorte interessa all'inquilino della porta accanto, devono essere chiari e devono poter essere conosciuti il come, il perché e gli elementi per cui una persona viene arrestata o perquisita o per cui un sequestro viene effettuato».
  La dottoressa Manfrin manifesta tutte le sue perplessità sull'idea del riassunto che è affiorato: «A questo punto, non volendo abusare del vostro tempo, ma rappresentando un'indicazione che va comunque valutata, io credo che in merito a tutta la grande polemica che si innesta sul riportare integralmente le intercettazioni e sul non riportarle ci si debba chiedere se non sarebbe altrettanto arbitrario e comunque fonte di altri motivi di perplessità ritenere che solo delle rappresentazioni riassuntive di quanto è stato intercettato rappresentino una garanzia di riservatezza».
  L'ultima considerazione – cito solo questa per non annoiarvi, ma ce ne sono tante di queste cose nella trascrizione preziosa, che conserverò – è di Bruti Liberati, che parla del materiale di gossip che loro hanno eliminato facendo un'adeguata selezione e poi arriva a manifestare uno scrupolo, che gli fa onore: «Il problema è di non evidenziare alcune cose. Può capitare, però, come vi è stato detto, che alcuni filoni potessero apparire rilevanti. Cito un solo esempio, relativo all'indagine su Expo, quella che coinvolse Frigerio. Qualunque esponente politico di rilievo venisse a Milano...» Vi risparmio il resto: Frigerio si attivava per contattarlo, ma non era emerso niente e la cosa non è andata avanti.
  È naturale che tutti i giornalisti, o quasi tutti i giornalisti, difendano questa loro facoltà di pubblicare – dirò poi qualcosa sul comportamento dei giornalisti e ve ne chiedo perdono – le intercettazioni. Tuttavia, quando la sesta Commissione del Consiglio superiore della magistratura (lo dico per la trascrizione, perché non l'ho trovato nelle citazioni) dice che sulle intercettazioni sono state ipotizzate Pag. 21«soluzioni estreme secondo cui i contenuti delle intercettazioni non sarebbero mai pubblicabili se non per sintesi, con previsione addirittura di sanzioni detentive» – un regalino che va da tre a sei anni...

  PRESIDENTE. Scusi, lei riferisce questo per il verbale. Anche da parte mia intervengo per il verbale. Quello è un parere della sesta Commissione. Non mi sembra che sia stato ancora votato dal Consiglio superiore della magistratura. Nemmeno noi riusciamo a capire le fonti.
  Io vi ho mandato ieri – l'idea di mandarvelo è mia – del materiale in più proprio per conoscenza. Per quei riferimenti che non si capisce di chi siano voi vi dovete attenere alla delega. Lo dico solo per il verbale, perché risulti. È ignoto anche a noi chi l'abbia detto.

  ENZO IACOPINO, Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Io sto cercando di articolare un dissenso rispetto al contenuto della delega e di dare la forza, non con l'interesse dei giornalisti, che è naturale quasi per tutti, ma con le opinioni che vengono manifestate da non giornalisti.
  Vi risparmio la citazione delle dichiarazioni del dottor Caselli, che per tanto tempo è stato un riferimento per molti, anche per molti di noi giornalisti, con tutte le considerazioni che faceva, evocando inchieste delle quali non si sarebbe saputo nulla.
  I giornali di stamattina sono pieni di informazioni sulla vergogna dell'uso della carta di credito del Presidente delle Ferrovie Nord. Ci sono 120.000 euro di multa. Nascono da intercettazioni. I giornali di oggi ne sono pieni tutti. Gli avete dato il buco. Va bene, gli avete dato il buco.
  È stata citata anche Calciopoli bis, ter o quater, che viene da Catanzaro...
  Proverò ad arrivare al punto, ma veramente in due minuti.
  Con riferimento alla Clinica Santa Rita, se noi non avessimo pubblicato le intercettazioni, aspettando la conclusione di tutte le indagini – mi pare che il processo si sia concluso con un ergastolo – per mesi e mesi gente in buonafede sarebbe andata in quella clinica e sarebbe stata devastata nel corpo da operazioni che non avevano alcun collegamento con la salute, ma solo con il business, con gli affari.
  Per concludere – mi rendo conto che vi annoia ascoltare le stesse cose da tutti – i custodi del segreto non possono essere i giornalisti. Un giornalista che ha una notizia e non la pubblica è un cattivo giornalista, che nasconde una notizia. Ovviamente, qual è l'unico faro che deve avere ? È quello dell'interesse pubblico. C’è l'interesse pubblico nella Santa Rita e c’è l'interesse pubblico alle Ferrovie Nord, quando che sia stato, prima o dopo, c’è l'interesse pubblico su Calciopoli e c’è l'interesse pubblico, come dice il procuratore Pignatone, che non mi pare un uomo molto generoso, ma che mi sembra anzi molto rigoroso, perfino nell'interesse del vicino di casa che ha il diritto di sapere che cos’è accaduto e com’è accaduto.
  Le intercettazioni sono molto spesso la fotografia di una situazione che è di interesse pubblico, anche quando – vi prego di considerare questo – non è configurato il reato. Ciò che è di interesse pubblico e ciò che ha rilevanza penale non sempre coincide. L'interesse pubblico va oltre la rilevanza penale.
  Credo che Bianconi abbia citato la vicenda del Rolex. Io regalo un Rolex a chi mi pare. Poi, se qualcuno vorrà approfondire, approfondirà. Mi pare, però, che sia di interesse pubblico sapere che si è verificata quella vicenda.
  Ci sono ancora due annotazioni che vorrei affidare alla vostra valutazione.
  La Corte europea dei diritti dell'uomo ci ha regalato 31 milioni di euro di sanzioni nel 2013. Io so che non basterebbero per affrontare la vicenda delle pensioni, ma sarebbero un aiutino. Ci sono 31 milioni di euro per provvedimenti che la Corte ha considerato non rispondenti alla legislazione comunitaria.
  La Corte europea dei diritti dell'uomo ha assolto, nel nome dell'interesse pubblico – mi perdoni, ma non riesco a pronunciarne il nome – un giornalista Pag. 22che, acquisendo delle intercettazioni, ha rivelato che in Russia un governatore aveva dato dei fondi al suo compagno.
  Il caso che citiamo sempre noi, come se fosse l'unico, è Dupuis contro la Francia. Lo cito qui perché in quel caso le intercettazioni erano illegali. Non erano intercettazioni ordinate dalla magistratura, ma intercettazioni acquisite in via non legale. La Corte ha assolto il collega Dupuis, dicendo tra l'altro che non era possibile chiedergli di consegnare i documenti perché c'era il dovere di tutelare la fonte. In un altro caso è già avvenuto lo stesso. Mi riferisco a Tillack contro Belgio. È sempre così.
  Vogliamo continuare nelle sanzioni ? Lo diceva per primo Calabresi. Noi abbiamo le norme, ma purtroppo siamo dei giornalisti che non sanno comunicare, debbo dire la verità. Noi abbiamo norme deontologiche che ci impongono di agire, a parte la privacy. Sul Garante della privacy, in realtà, io ho un problema, perché mi pare che abbia un'attenzione un po’ altalenante. Quando si parla di orologi e di bottiglie di vino è molto attento. Quando si parla della vita dei sopravvissuti a tragedie, come viene fatto in alcuni contenitori televisivi ogni pomeriggio che Dio manda in terra, ogni pomeriggio, non riusciamo a coinvolgerlo. Adesso pare che stia per aprire un'indagine su segnalazione dell'Ordine.
  Noi abbiamo la possibilità di intervenire. Per parlare di un comportamento tipo, la collega che ha programmato la sceneggiata a Santa Croce Camerina – vado a casa del collega Mulé – con il cacciatore che faceva finta di passare, è stata sanzionata. Questo non si sa perché è colpa nostra. Noi la possibilità di sanzionare quelli che si trasformano in buca delle lettere – che è una cosa che non vogliamo, che non siamo disposti ad accettare – quelli che pubblicano cose che riguardano persone assolutamente terze, che non hanno un ruolo pubblico e per le quali, quindi, non c’è l'interesse pubblico a conoscere comportamenti che possono anche non costituire reato, nelle norme ce l'abbiamo.
  Noi abbiamo questa possibilità, nonostante una legge, che ha avuto anche il voto di chi tra di voi era parlamentare nella passata legislatura, che ha ridisegnato i Consigli di disciplina degli ordini professionali e – ve lo confesso; permettetemi uno sfogo conclusivo – ci ha messo in un mare di guai, perché in quelle condizioni gestire la vigilanza e applicare le sanzioni è veramente molto problematico.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Ringrazio anche il direttore Ennio Bartolotta, che accompagnava Enzo Iacopino.
  Do la parola ad Anna Del Freo, segretario generale aggiunto vicario per la Federazione nazionale della stampa italiana, che è stata delegata dalla Federazione.

  ANNA DEL FREO, Segretario generale aggiunto vicario Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Ringrazio tutti per questa opportunità.
  Come diceva prima il presidente dell'Ordine, io sono buona ultima. Molte delle cose che volevo dire sono già state dette dai colleghi, ragion per cui non vi tedio ulteriormente.
  Condivido soprattutto l'impostazione che ha dato il collega de Il Corriere della Sera alla faccenda.
  Poiché, oltre a essere una giornalista e, quindi, a essere coinvolta profondamente in tutta questa tematica, rappresento il sindacato, vorrei porre anche un'ottica sindacale. Vorrei, cioè, portare all'attenzione della presidente e del legislatore che si dovrà occupare di questa materia che essa si inserisce, non dimentichiamolo, in un contesto particolarmente difficile oggi per i giornalisti.
  I giornalisti, oggi – forse i magistrati non ci pensano – lavorano in un contesto economico profondamente cambiato, con molte meno garanzie economiche rispetto a prima. È più difficile oggi avere indipendenza come giornalisti, in quanto molte delle garanzie sul lavoro che avevamo non ci sono più, i direttori sono sempre più sottoposti alle pressioni degli Pag. 23editori, ma anche a poteri esterni, che li premono e vige anche un contesto in cui molti di noi lavorano come giornalisti indipendenti, con una situazione economica molto pesante.
  In tutto questo contesto si dovrebbe inserire un'ulteriore normativa che potrebbe avere un'incidenza veramente molto pesante. Il collega diceva che bisogna andare non con l'accetta, ma con il bisturi, in questi casi, ed è vero.
  A seguito di questo, partendo dal fondo, vorrei dirvi che, in un contesto economico come quello che abbiamo adesso, le sanzioni pecuniarie sui giornali ci metterebbero, come giornalisti, totalmente nelle mani di editori che spesso non hanno nemmeno più la liquidità per far fronte a determinate cose. Ci metterebbero veramente sotto il controllo di un editore, con lo spauracchio già esistente delle querele temerarie – non sto qui a riprendere il discorso della diffamazione – e oltretutto anche con il fantasma di sanzioni pecuniarie pesanti.
  Questa situazione ci crea dei problemi. I giornalisti, infatti, non lavorano tutti, come diceva prima il collega de Il Fatto Quotidiano, in testate che hanno la possibilità di far fronte a tutto questo, che peraltro adesso sono sempre di meno.
  Espresso il punto di vista anche di un'ottica di mercato che non è assolutamente favorevole alle garanzie per i giornalisti, io vorrei sottolineare che il diritto fondamentale che va tutelato è quello per cui il giornalista deve pubblicare le notizie. Non è possibile che quanto non è più segreto per definizione, perché a un dato punto cade il segreto sugli atti e anche sulle intercettazioni trascritte, debba essere poi responsabilità nostra non pubblicarlo. Questa è un'aberrazione, come più o meno tutti hanno detto, e io la considero assolutamente il punto nodale della situazione.
  Aggiungo che non so se un'eventuale udienza filtro, di cui si è parlato molto in passato, soprattutto ai tempi del disegno di legge Alfano, che nessuno rimpiange, naturalmente, possa essere una soluzione. È forse il male minore, ma io non chiuderei del tutto i rubinetti dell'informazione.
  Molti hanno fatto esempi di vario genere. Io ricordo, per esempio, le telefonate tra la Cancellieri e Ligresti. Non c'era certamente una rilevanza penale per il Ministro. Non c’è stata mai e la Cancellieri non è stata neanche mai indagata. Nessuno di noi, però, può dire che ciò non avesse un grosso interesse sociale e politico e una rilevanza di notizia.
  Così come gli altri colleghi, io metto, quindi, in guardia proprio dal chiudere i rubinetti dell'informazione. Questo non è un contesto in cui noi possiamo scialare, da questo punto di vista. È un contesto in cui, per vari motivi, noi dobbiamo stare attentissimi a non scivolare ulteriormente indietro nelle classifiche che già ci mettono alle spalle di tutti i Paesi occidentali da questo punto di vista.
  Quanto al cosiddetto riassunto, mi permetto di dire che a volte il riassunto non ci risolve il problema. Anzi, spesso è più arbitrario della pubblicazione della trascrizione per intero. Non posso, quindi, che ribadire, da buona ultima, l'impostazione impressa da tutti gli altri miei colleghi.
  Sulla privacy mi rendo conto che ci sono i due diritti che si devono bilanciare. C’è anche un diritto alla privacy di chi è oggetto di queste intercettazioni. Voglio ricordare, però, che noi siamo tutti appartenenti a un ordine professionale e che non si può fare il giornalista (o almeno non si dovrebbe) senza appartenere ed essere iscritti a un ordine professionale.
  Questa non è una questione secondaria. Diversamente, facciamo tutti i giornalisti senza essere iscritti all'Ordine. Abbiamo, quindi, delle regole deontologiche, anche molto stringenti. Come diceva la collega Stasio, sarebbe il caso forse, da parte nostra e degli organismi preposti a questo, di porci tutti un rigore sulla deontologia. Questo non significa, però, che noi, per aver pubblicato le intercettazioni non coperte dal segreto, dobbiamo rischiare il carcere – il che mi pare una cosa totalmente illiberale – o addirittura delle sanzioni economiche che infliggono il colpo di Pag. 24grazia, a volte. Ripeto, la situazione non è più rosea neanche per i grandi giornali – voi lo sapete – e queste sanzioni a volte infliggono il colpo di grazia ad alcune testate.
  In questo caso a me non sembra che la situazione esistente, per riallacciarmi a quello che diceva il collega de Il Fatto Quotidiano, sia tanto disastrosa da doverla andare a peggiorare. Lo è e lo è stata, perché ci sono stati degli abusi, ma non mi sembra che sia il caso di peggiorarla con normative che possono pesantemente incidere sul nostro diritto di informare.

  PRESIDENTE. Bene. Vi ringrazio molto. Se ci sono domande, abbiamo ancora cinque minuti.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALFREDO BAZOLI. Cercherò di essere molto rapido. Io vorrei partire da due considerazioni, anche alla luce delle riflessioni dei giornalisti.
  La prima è che, ovviamente, noi non possiamo minimamente limitare il ricorso all'utilizzo delle intercettazioni per i magistrati perseguenti dei reati. Quello dell'intercettazione è uno strumento di indagine fondamentale, ragion per cui è fuori da ogni orizzonte limitare in qualunque modo l'utilizzo di un mezzo di indagine assolutamente imprescindibile.
  L'altro caposaldo – in questo senso io condivido molto tutte le osservazioni fatte dai giornalisti – è che un giornalista, quando ha una notizia, deve pubblicarla. Quando ha una notizia che ritiene sia di rilevanza pubblica, che sia o non sia attinente all'inchiesta alla quale fa riferimento, la notizia deve essere pubblicata.
  Lo dico più chiaramente: se in un'inchiesta c’è un'intercettazione che mi riguarda, che riguarda l'onorevole Bazoli, il quale si professa cattolico integrale, ma poi si scopre da quella intercettazione che frequenta un ambiente malavitoso o un giro di prostituzione, io credo l'opinione pubblica abbia interesse a sapere che l'onorevole Bazoli dice di fare una certa cosa e poi ne fa un'altra, anche se magari questo non ha nulla a che fare con l'inchiesta. Questo io lo do per scontato e accedo a questa ricostruzione del riconoscimento del ruolo dei giornalisti.
  Il problema qual è, allora ? Il problema è che le intercettazioni telefoniche che sono utilizzate come strumento di indagine comportano il sacrificio di un valore di rango costituzionale, che è il diritto alla riservatezza della corrispondenza e delle comunicazioni.
  È un sacrificio che è ammesso se lo si utilizza per perseguire un reato. Non è un sacrificio concesso per garantire il diritto di cronaca. È questo il punto sul quale io credo che occorrerebbe forse anche da parte vostra una riflessione in più. Se fosse, invece, un sacrificio consentito per il diritto di cronaca, allora perché non consentire ai giornalisti di intercettare i potenti, i politici, i grandi magistrati, i grandi giornalisti, i direttori di banca ? Perché non consentire questo, se l'obiettivo numero uno da salvaguardare è il diritto di cronaca, al quale deve cedere assolutamente il diritto alla riservatezza ?
  Questo, secondo me, è il problema su cui occorre trovare un bilanciamento, tenendo conto del fatto che negli atti delle indagini le intercettazioni sono pubblicate tutte e i brogliacci sono pubblicati tutti, giustamente, perché i difensori hanno il diritto di vedere se nelle intercettazioni ci sia qualcosa che può essere utilizzato per le difese dei propri assistiti.
  In questo senso io credo che l'obiettivo che abbiamo noi, come legislatori, sia quello di trovare un giusto bilanciamento tra le esigenze dell'opinione pubblica di sapere e un minimo di tutela e di salvaguardia di un principio minimo di riservatezza, che, se non viene tutelato adeguatamente, rischia di compromettere uno dei valori di principio su cui si regge anche la nostra comunità. Questo, secondo me, è il punto.
  Se noi individuiamo, come è nella proposta che è stata fatta anche dai procuratori, che a me sembra cerchi di trovare un compromesso che mi pare abbastanza ragionevole, un discrimine che distingua Pag. 25ciò che è lecito da ciò che è illecito e che indichi ai giornalisti che, se hanno una notizia e l'acquisiscono in un dato modo, è una notizia che hanno acquisito illecitamente e che, quindi, visto che non avrebbero potuto acquisirla, perché è ormai stato definito che è illecita la pubblicazione di intercettazioni non contenute nei provvedimenti conclusivi di un'indagine, questo fornisce un criterio che consente deontologicamente a voi di evitare di pubblicare quella notizia.
  Se noi individuiamo un discrimine chiaro, che nella proposta che è stata fatta dai procuratori mi pare avere una modalità piuttosto ragionevole, a me pare che questo possa essere un bilanciamento. Altrimenti, se l'unico diritto che conta è il diritto dell'opinione pubblica di sapere, il rischio è che si travalichi ogni argine da questo punto di vista. Non so se questo sia nell'interesse di tutti, visti anche gli esiti a cui porta la pubblicazione, ossia la gogna mediatica e tutte le conseguenze che essa comporta.

  PRESIDENTE. Io avevo dato la parola per una domanda, ma è una domanda che si risponde da sola. Lei ha fatto una considerazione, ragion per cui la domanda è implicita. La domanda io la interpreto e la faccio anche mia.

  ALFREDO BAZOLI. Ho indicato la soluzione proposta dai procuratori.

  PRESIDENTE. Ovviamente, questa è una considerazione che l'onorevole Bazoli fa, chiedendo anche un'ulteriore riflessione o comunque un approfondimento. Il tema è stato molto sviscerato, e ve ne ringrazio. A questa domanda, quindi, non c’è la risposta.

  WALTER VERINI. Vorrei completare la riflessione dell'onorevole Bazoli formulando una domanda. Il tema è questo, e scusate se semplifico.
  Nel nostro sistema esiste anche la legge di iniziativa popolare. Anzi spesso il Parlamento è chiamato, come è avvenuto anche recentissimamente, ad affrontare questo tipo di percorso legislativo. Fermo restando che i mestieri degli auditi e di coloro che un po’ pomposamente si chiamano legislatori, che saremmo noi parlamentari, sono diversi, la domanda che io pongo è la seguente: nella ricerca di un punto di equilibrio – nei termini che utilizzava, secondo me molto efficacemente, Alfredo Bazoli – che non può che spettare al legislatore, perché siamo noi che votiamo poi in Parlamento, è possibile, da parte non tanto delle singole testate e dei singoli direttori, quanto delle rappresentanze, ossia della Federazione nazionale della stampa italiana e dell'Ordine dei giornalisti, provare, nello spirito della legge di iniziativa popolare, che citavo per rendere l'idea, a trasformare i codici, che sono importanti ma lasciano il tempo che trovano, e le autoregolamentazioni in suggerimenti legislativi di cui il Parlamento, naturalmente nella sua totale autonomia, può o non può tener conto su questa delicatissima materia, nella quale, come avete detto tutti, si confrontano (non si scontrano) due diritti costituzionali ?

  VITTORIO FERRARESI. Io volevo riassumere una considerazione. In una riforma del processo penale che noi stiamo andando a fare per cercare di arginare alcune lungaggini processuali che fanno cadere l'Italia in una vera e propria vergogna giudiziaria, secondo gli auditi, questa emergenza della pubblicabilità delle intercettazioni è sentita così tanto dai cittadini italiani, nella loro generalità, a livello processuale, oppure, secondo loro, c’è più un'esigenza di andare a incidere solo su alcuni casi di alcune persone rilevanti a livello pubblico ?
  Noi dobbiamo anche interrogarci sulla necessità del momento. Io non vorrei che si incidesse su un problema, quello del processo penale, che riguarda la stragrande maggioranza dei cittadini che vanno in un tribunale andando a incidere solo sui diritti di persone che hanno rilevanza pubblica e che magari hanno l'interesse a non far uscire le circostanze che, secondo noi, sono molto importanti a livello processuale, non tanto per la rilevanza Pag. 26penale, quanto, per esempio, per l'espressione di un elettorato che poi dovrà andare a votare subito, non dopo cinque o sei anni, quando esce una sentenza di condanna o di assoluzione, di un politico o di un funzionario pubblico.
  Io credo che ci sia un interesse concreto e attuale. Nel pubblicare determinate cose cinque o sei anni dopo io credo che venga meno l'interesse della cittadinanza, soprattutto per queste persone che hanno rilevanza pubblica.
  A proposito dell'interesse – questa è la seconda domanda – di cui parlava il collega Bazoli per le misure cautelari, ricordo che l'ordinanza di custodia cautelare viene emessa proprio per salvaguardare interessi attuali, ossia per evitare che il soggetto, per esempio, non reiteri il reato, non fugga o non inquini le prove.
  In questo senso tutti gli atti del procedimento penale hanno la tendenza a uscire a livello mediatico per informare le persone di quello che sta succedendo. Non si capisce perché quelli precedenti, che hanno comunque una rilevanza procedimentale e una rilevanza pubblica, non debbano rientrare in questo aspetto, che non c'entra niente con le garanzie costituzionali di cui godono i soggetti sottoposti a indagine e a misura cautelare.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  DONATELLA STASIO, Capo servizio de Il Sole 24 ore. Io volevo dire che la riflessione dell'onorevole Bazoli è effettivamente importante. Tuttavia, l'onorevole Bazoli faceva riferimento alla proposta di Pignatone, che al momento è una proposta. Essendo la delega estremamente generica, parliamo di tutto e di niente. A me sembra di capire, che c’è una contraddizione, che se pure gli allegati, cioè tutto ciò che non è penalmente rilevante, che quindi giustifica, secondo il suo ragionamento, la compressione di un diritto fondamentale, che è quello alla riservatezza, e quindi giustificherebbe poi la pubblicazione – mi pare che questa sia la catena – se non sbaglio, nella fase dibattimentale questo materiale viene depositato e diventa pubblico.
  Ne facciamo, quindi, solo una questione di tempi ? Prima o poi questo materiale diventa pubblico. Pertanto, quello che lei chiama il sacrificio non giustificato dal procedimento penale, il sacrificio della privacy, comunque si verificherebbe nella fase del dibattimento, dove tutto è pubblico. Io credo che la pubblicità del dibattimento sia una conquista importante del nostro Paese, che ha abbandonato il modello inquisitorio.
  La sua è un'importante riflessione, ma la soluzione di Pignatone finisce per contraddirla, in qualche modo.

  MARCO LILLO, Inviato de Il Fatto Quotidiano. Posso fornire una risposta a quella che, secondo me, se l'ho bene interpretata, voleva essere la domanda dell'onorevole Bazoli ? Io penso che lui volesse sostanzialmente chiederci se, secondo noi, è troppo comprimere il nostro dovere-diritto di cronaca impedendo di pubblicare tutto quello che c’è.
  Io gli rispondo con l'esempio che ho fatto prima. Secondo lei, che cosa dovrebbe fare un giornalista quando ha delle intercettazioni che sono nelle mani di 200 difensori ? In un'indagine come quella di Mafia Capitale ci sono almeno 200 avvocati che hanno in mano tutte le intercettazioni e tutte le informative.
  Voi su questo non incidete. Voi dite: «Voi giornalisti non potete pubblicare altro che quello che c’è nell'ordinanza». Lei si rende conto di cosa vuol dire questo ? Ci sono 200 persone che hanno 200 amici a cui raccontano e danno le carte. Questo circola in un circuito ristretto. I giornalisti che vengono a conoscenza, perché ovviamente parliamo tutti i giorni con gli avvocati, di queste informazioni non dovrebbero pubblicarle ? Si rende conto dell'effetto di questa sua affermazione ?
  Questa è la risposta.

  ANNA DEL FREO, Segretario generale aggiunto vicario Federazione nazionale della stampa italiana. Io volevo solo rispondere all'onorevole Verini...

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  PRESIDENTE. È relatore della diffamazione a mezzo stampa. Prima, quando non c'era l'onorevole Verini, è stato chiesto più volte lo stato del provvedimento. Io ho detto che ieri sia lei, sia il Governo avete espresso il parere e che, quindi, a breve si voterà.

  ANNA DEL FREO, Segretario generale aggiunto vicario Federazione nazionale della stampa italiana. Intervengo unicamente perché sono stati citati l'Ordine e la Federazione come due soggetti che potrebbero fornire dei suggerimenti, come ci chiedeva l'onorevole.
  Posto che noi ci auguriamo che il Parlamento faccia un po’ il suo mestiere – la ringrazio anche di questa sua richiesta – come abbiamo detto prima che lei arrivasse, in tempi molto più rapidi di quelli che sono stati finora tenuti dal Parlamento, dal legislatore, io credo che noi siamo (personalmente lo posso dire a nome della Federazione) pronti a fornire dei suggerimenti. Avevamo anche preparato dei documenti e fornito dei suggerimenti ai tempi del disegno di legge Alfano, che non condividevamo assolutamente.
  Io credo che oggi, da tutto quello che abbiamo sentito, si possa evincere da parte vostra almeno la filosofia, lo spirito che ci ha animato un po’ tutti. Da questo punto di vista un filone lo potete già capire. Come Federazione nazionale della stampa, io posso dire che, se occorrono, nello spirito di ciò che ho detto io e che hanno detto anche i miei colleghi, dei suggerimenti più precisi, noi siamo anche pronti ad elaborarli. Non appena avremo un canovaccio su cui discutere, lo faremo. Siamo molto contenti che lei ce lo dica, anzi le lascio il mio numero. Può chiamare in Federazione e noi le possiamo anche proporre dei punti in questo spirito. Lo spirito, però, è quello che noi oggi abbiamo illustrato.

  LUIGI VICINANZA, Direttore de L'Espresso. È evidente che il legislatore è sovrano, ancora di più in quest'Aula, e che, dunque, può decidere come regolare questa questione delicatissima.
  Io, però, ribadisco la mia opinione. Compito di un giornale e compito dei giornalisti è pubblicare tutto ciò che ha rilevanza sociale, interesse pubblico, corrisponde alla verità ed è fatto in modo continente. Il legislatore può anche decidere di apporre segreti, ma io credo che il nostro lavoro continuerà a essere svolto in quella maniera, nonostante le eventuali sanzioni.

  PRESIDENTE. Grazie. Io credo di interpretare veramente il pensiero di tutti nel ringraziarvi perché la volontà della Commissione è quella di avere un confronto. È stato un confronto molto costruttivo, che farà riflettere sia i deputati, sia il Governo presente sugli aspetti molto complessi di questa vicenda. Questo spiega anche il perché da lungo tempo si parla di questo tema, ma poi non si riesce a definire il provvedimento.
  Oggi sono contenta di aver completato l'altro aspetto della medaglia. Noi ieri vi abbiamo mandato gli esiti di quell'indagine, presidente Iacopino, non perché siano un fattore decisivo. Le dichiarazioni dei procuratori sono valide come oggi lo sono le vostre. Sono una visuale da un determinato punto di vista.
  Ringraziando ancora i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.