Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'EFFICACIA DEL SISTEMA GIUDIZIARIO
Audizione del presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani, del giudice del tribunale di Torino, Alessandra Salvadori, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, della professoressa di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Macerata, Claudia Cesari e di rappresentanti dell'Unione delle camere penali italiane.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3
Panzani Luciano , Presidente del tribunale di Torino ... 3
Salvadori Alessandra , Giudice del tribunale di Torino ... 5
Ferranti Donatella , Presidente ... 8
Amoddio Sofia (PD) ... 8
Ferraresi Vittorio (M5S) ... 8
Rossomando Anna (PD) ... 8
Dambruoso Stefano (SCpI) ... 8
Scalfarotto Ivan (PD) ... 8
Costa Enrico (PdL) ... 9
Molteni Nicola (LNA) ... 9
Ferranti Donatella , Presidente ... 9
Panzani Luciano , Presidente del tribunale di Torino ... 9
Salvadori Alessandra , Giudice del tribunale di Torino ... 10
Panzani Luciano , presidente del tribunale di Torino ... 11
Ferranti Donatella , Presidente ... 12
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 12
Savio Valerio , Vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 14
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 15
Ferranti Donatella , Presidente ... 15
Spigarelli Valerio , Presidente dell'Unione delle camere penali italiane ... 15
Ferranti Donatella , Presidente ... 18
Cesari Claudia , Professoressa di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Macerata ... 18
Ferranti Donatella , Presidente ... 23
Costa Enrico (PdL) ... 23
Spigarelli Valerio , Presidente dell'Unione delle camere penali italiane ... 23
Ferranti Donatella , Presidente ... 23
Spigarelli Valerio , Presidente dell'Unione delle camere penali italiane ... 23
Ferranti Donatella , Presidente ... 24
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 24
Cesari Claudia , Professoressa di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Macerata ... 24
Turco Tancredi (M5S) ... 25
Sarti Giulia (M5S) ... 25
Spigarelli Valerio , Presidente dell'Unione delle camere penali italiane ... 25
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 26
Ferranti Donatella , Presidente ... 26
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 26
Cesari Claudia , Professoressa di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Macerata ... 26
Ferranti Donatella , Presidente ... 27
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI
La seduta comincia alle 15.10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani, del giudice del tribunale di Torino, Alessandra Salvadori, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, della professoressa di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Macerata, Claudia Cesari e di rappresentanti dell'Unione delle camere penali italiane.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'efficacia del sistema giudiziario – in relazione all'esame della proposta di legge C. 331, recante la delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili – l'audizione del presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani, del giudice del tribunale di Torino, Alessandra Salvadori, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, della professoressa di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Macerata, Claudia Cesari e di rappresentanti dell'Unione delle camere penali italiane.
L'esame della proposta è stato avviato dalla Commissione il 21 maggio scorso con la relazione introduttiva. Si è stabilito di inserire nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'efficacia del sistema giudiziario anche la materia in oggetto della presente proposta di legge in quanto questa è, tra l'altro, diretta a introdurre nell'ordinamento strumenti deflattivi di natura processuale che dovrebbero avere anche la funzione di migliorare l'efficacia del sistema giudiziario e la durata del processo. Ritengo che anche le altre parti della proposta possano essere lette in un'ottica di miglioramento dell'efficienza complessiva del sistema giudiziario.
Domani, sempre in questo ambito, saranno svolte le audizioni del Capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, del presidente del Tribunale di Milano, Livia Pomodoro e del presidente aggiunto dell'ufficio GIP del Tribunale di Milano, Claudio Castelli.
Specifico che la presenza di rappresentanti del tribunale di Torino e di Milano è rivolta ad approfondire le questioni riguardanti l'esperienza in materia di lavori di pubblica utilità. La loro audizione, infatti, è stata programmata in quanto questi due uffici giudiziari hanno messo a punto dei protocolli o delle esperienze virtuose che credo sia utile acquisire.
Do ora la parola al presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani.
LUCIANO PANZANI, Presidente del tribunale di Torino. Buongiorno. Ringrazio il Presidente e la Commissione per questo invito. Siamo già stati sentiti da questa Commissione il 3 luglio dello scorso anno. Pag. 4Di conseguenza, ciò che ho da dire, e che approfondirà più in dettaglio la dottoressa Alessandra Salvadori, che ha seguito meglio queste problematiche, non sarà nuovo. Preciso subito che nel testo del disegno di legge che ci è stato sottoposto mi pare che siano state recepite diverse delle indicazioni che avevamo dato nel corso della precedente audizione.
L'esperienza del Tribunale di Torino è, ovviamente, a legislazione vigente sui lavori di pubblica utilità come provvedimento sostitutivo della pena. Dobbiamo dire che per molti anni al Tribunale di Torino, come del resto in tutti i tribunali d'Italia, c’è stata una totale mancanza di casi in cui, da una parte, si richiedesse di poter essere ammessi ai lavori di pubblica utilità e, dall'altra, vi fosse una concreta possibilità e disponibilità degli enti a svolgere questa attività. Praticamente, l'unico soggetto che si dichiarava disponibile era il comune di Torino, e solo sul canile municipale. Si trattava, quindi, di un'esperienza trascurabile.
Le cose sono cambiate quando si è creato un gruppo di lavoro che comprende magistrati della procura della Repubblica e soprattutto l'UEPE (Ufficio dell'esecuzione penale esterna) del ministero. Anche grazie a una persona che si è occupata di questo in modo particolare, che non è un magistrato, ma un'assistente sociale, si è trovato un punto fondamentale, che è ciò che differenzia l'esperienza di Torino da quella degli altri uffici.
In sostanza, non vi era la disponibilità degli enti, che pur potevano stipulare le convenzioni con il tribunale, essendo i presidenti dei tribunali delegati a ciò dal Ministro della giustizia, perché vi era timore di portarsi «in casa» chissà quali personaggi. Successivamente, si è, invece, prevista una prassi per cui l'ente destinatario che offre i lavori di pubblica utilità ha un colloquio preventivo con la persona, colloquio che ha completamente smitizzato il problema. Difatti, non abbiamo mai avuto rifiuti dopo che si è avviata questa prassi e abbiamo cominciato a stipulare queste convenzioni, arrivando a 83 – a un certo punto sono cresciute in misura esponenziale – non con tutte le circoscrizioni del comune di Torino, ma con moltissimi comuni, anche piccoli, del circondario della provincia di Torino, con varie associazioni sia appartenenti al mondo cattolico sia laiche, con la Croce Rossa e con la provincia di Torino. Insomma, siamo arrivati – ripeto – a 83 convenzioni sulla base di un testo fisso e predeterminato.
La prassi si è tradotta anche in un protocollo sulle modalità con cui opera il giudice nei vari momenti. Quindi, il meccanismo è ormai a regime. I numeri sono abbastanza elevati e soprattutto il flusso è costante.
Ci sono due tipologie di reati per cui si ricorre prevalentemente a questo tipo di misura. La prima è la guida in stato di ebbrezza in relazione al Codice della strada perché c’è un fortissimo interesse dell'imputato legato al fatto che l'auto viene sequestrata e che la conversione consente, appunto, il dissequestro e il recupero dell'auto stessa. Un'altra riguarda i casi in cui c’è il problema della sospensione condizionale della pena, ancorché in numero minore, sebbene vi sia un'esperienza significativa di provvedimenti.
Questa è la sostanza della nostra esperienza. La dottoressa Salvadori sarà molto più dettagliata di me, ma non vorremmo annoiarvi ripetendo due volte le stesse cose.
Dal punto di vista dei problemi che abbiamo riscontrato, vi è prima di tutto la necessità di ampliare i soggetti che possono essere destinatari di questo tipo di provvedimenti. Ho visto con piacere che tra i soggetti è indicato lo Stato. A dire il vero, da qualche giorno presso la procura della Repubblica abbiamo un soggetto che ha chiesto di accedere ai lavori di pubblica utilità e che, sia pur non direttamente con la procura, ma attraverso un'associazione che opera presso la procura stessa, è stato ammesso e quindi lavora negli uffici giudiziari. Ne avremo prossimamente altri anche in tribunale.
Il Ministero della giustizia ha concesso una delega al presidente del tribunale per sottoscrivere queste convenzioni. Tuttavia, Pag. 5bisognerebbe inserire nel testo di legge la previsione che ogni amministrazione dello Stato si doti entro un certo periodo di tempo di un regolamento o di una normativa interna con cui prevede le modalità di delega per le sue articolazioni periferiche. Altrimenti, in mancanza di delega – da questo punto di vista, il Ministero della giustizia è virtuoso, ma non tutte le amministrazioni lo sono altrettanto – si rischia di non riuscire a operare.
La seconda questione fondamentale – che non è considerata, sebbene sia un ostacolo concreto – è la necessità di un'assicurazione per gli infortuni. Si tratta di lavoro gratuito, ma non per questo cessa di essere un'attività di lavoro. Tra l'altro, i costi di queste coperture assicurative sono assai bassi, ma devono comunque essere previste e regolamentate.
Il terzo aspetto è ampliare il più possibile il novero dei soggetti autorizzati. La dottoressa Salvadori vi dirà che c’è una norma, peraltro di carattere tributario, che indica esattamente tutte le tipologie di soggetti che rientrano nella dicitura usata dalla proposta di legge. Credo, però, che sarebbe opportuno un richiamo espresso a questa norma, salvo che si voglia dire qualcosa di diverso, in modo tale da poter essere sicuri di comprendere effettivamente, per esempio, soggetti come le cooperative, ovvero tutti i soggetti che non operano con fini di lucro.
Questo è molto importante perché dobbiamo pensare che non è immaginabile avere molti soggetti che operano come lavoratori di pubblica utilità presso lo stesso ente perché normalmente si tratta di strutture abbastanza limitate, quindi è necessario ampliare il novero degli enti piuttosto che puntare sempre sui medesimi.
Come ho detto, i punti fondamentali dell'esperienza torinese – ciò che ci consente di dire che a Torino i lavori di pubblica utilità sono una realtà effettiva – sono il previo colloquio con l'ente e il programma concordato con l'ente stesso. Ora, il testo della proposta di legge dice semplicemente che il programma viene presentato dall'imputato, che lo concorda con l'UEPE. Non si dice nulla sul fatto che debba essere sentito l'ente che sarà destinatario del progetto. In sostanza, la prassi (lo era anche a Torino prima che si adottasse questa metodologia di lavoro) è quella di disporre il lavoro di pubblica utilità a favore di tizio, dopodiché si manda tizio presso un ente senza interpellarlo preventivamente. Questo, però, determina spesso un rifiuto. Sarebbe, quindi, opportuno indicare questa metodologia non dico in maniera vincolante, ma almeno menzionarla nella norma di legge per dire che occorre un progetto concordato anche con il soggetto destinatario. Diversamente, rischiamo di perdere ciò che consente di far funzionare questa nuova disciplina.
ALESSANDRA SALVADORI, Giudice del tribunale di Torino. Il mio compito è quello di entrare nei dettagli del quadro di insieme che ha appena reso il presidente Luciano Panzani. Il dato di partenza è che dal 2010-2011 a oggi il lavoro di pubblica utilità – da istituto esistente sulla carta in tantissime forme, ma sostanzialmente inapplicato – ha avuto, perlomeno a Torino, un'amplissima e proficua applicazione.
Per rendere concretamente quanto appena affermato, vorrei riferirvi qualche cifra. Nel 2010, a un certo punto, le convenzioni non erano state più rinnovate (ve ne era solo una, probabilmente scaduta). Dal 2000, quando con le disposizioni sul giudice di pace il lavoro di pubblica utilità era diventata una sanzione normale che poteva applicare lo stesso giudice di pace, al 2010 vi erano stati in tutto il tribunale di Torino – compreso il giudice di pace, quindi nell'intero distretto – non più di 10 casi. Dalla metà del 2010 a oggi, i dati complessivi sono di oltre 950 casi. È evidente, dunque, che stia funzionando solo adesso.
Insomma, c’è stata una netta inversione di tendenza, per cui credo che questa nostra esperienza sia estremamente significativa per chi come voi oggi è chiamato a valutare un progetto di legge che, tra l'altro, deve introdurre la sospensione del Pag. 6processo con messa alla prova. Dico questo perché, non a caso, uno dei principali motivi di critica a questo progetto sostiene che è inutile introdurre un istituto nuovo che si appoggia su un altro che finora ha dato pessima prova di sé. Invece, l'esperienza di Torino pone un punto fermo proprio contro questa obiezione, nel senso che il lavoro di pubblica utilità ha dimostrato di poter funzionare. Non è, pertanto, un istituto in sé inefficiente, ma, a certe condizioni e con certi presupposti, funziona.
L'ulteriore obiezione viene – direi, quasi in modo spontaneo – quando si fa una valutazione dei dati soltanto in base al periodo temporale. In pratica, si dice che oggi ci sono molti casi di lavori di pubblica utilità, almeno a Torino e in altre realtà virtuose, legati a una delle tante riforme del Codice della strada, nella quale è stata introdotta questa possibilità, per cui questo incremento è esclusivamente collegato ai reati del Codice della strada. Tuttavia, anche questa non è un'obiezione valida.
Bisogna riconoscere che i reati contro il Codice della strada, in particolare le fattispecie di cui agli articoli 186 e 187, cioè la guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanza stupefacente, sono un campo di elezione. Ciò non solo perché – come ha ricordato il presidente Panzani – spesso c’è un interesse economico forte alla restituzione del veicolo, ma anche perché, nei casi in cui non c’è il veicolo, quindi non vi è rischio di confisca, spesso i soggetti che incorrono in questi reati sono normalmente inseriti, tengono in altissimo conto un'estinzione del reato e sono, tra l'altro, in grado di rispettare un programma di lavoro. Pertanto, senza dubbio, questo è un campo di elezione.
Ciò nonostante, sempre citando i dati numerici, vorrei far rilevare che dagli stessi si può argomentare che questo non è l'unico campo. Come ha già anticipato il presidente, l'altro settore in cui dal 2010 nel tribunale di Torino vi sono state proficue applicazioni del lavoro di pubblica utilità è quello della seconda sospensione condizionale. Come sapete, dalla fine del 2005 per concedere una seconda volta la sospensione condizionale è necessario che ci sia il risarcimento o la sottoposizione al lavoro di pubblica utilità. Ebbene, dal 2005 al 2010 a Torino vi erano stati 4 casi. Dalla metà del 2010 a oggi, i casi sono circa 100, di cui 70 hanno già trovato esecuzione o sono in fase esecutiva. Sebbene non siano grandi numeri, fanno capire che la differenza non è soltanto nella novità legislativa, ma in qualcos'altro.
L'ulteriore elemento da considerare è che, se fosse stato soltanto il Codice della strada a consentire il lavoro di pubblica utilità, questo avrebbe dovuto trovare un omogeneo o almeno diffuso impiego. Invece, esso è stato applicato solo in certi tribunali. Ritengo, pertanto, che l'obiettivo del mio intervento sia quello di portarvi, attraverso l'esperienza che ho acquisito sul campo, tutte le informazioni utili per stabilire se questo ottimo risultato è replicabile e in che modo ciò possa essere fatto.
Insomma, per rispondere alla domanda in modo concreto mi sembra indispensabile capire perché oggi da noi funziona e perché non funzionava altrove. Anticipando l'esito, per rimanere nei tempi, i presupposti perché funzioni sono un numero sufficiente di posti disponibili in cui svolgere lavori di pubblica utilità e un interesse adeguato dell'imputato. Questi sono – ripeto – i due presupposti fondamentali che, a loro volta, dipendono il primo da motivi di ordine strettamente organizzativo e, il secondo, da una situazione complessiva di carico e di arretrato.
Sotto il primo aspetto, il tribunale di Torino ha avuto una risposta diversa da quella di altri tribunali perché il Ministero della giustizia aveva delegato i vari presidenti a stipulare le convenzioni, ritenute indispensabili per far accedere al lavoro di pubblica utilità. In particolare, il gruppo di studio è stato importante perché ha affrontato in modo sistematico il problema, instaurando contatti con tutti (con la formazione, con la procura e con gli avvocati), rilevando quali fossero le criticità. In sostanza, ci si è chiesti perché gli enti rifiutano un soggetto che svolge un'attività gratuitamente. Ebbene, i problemi erano quelli già anticipati. In primo luogo, Pag. 7vi era il terrore di accogliere soggetti che dessero più problemi che vantaggi; vi era la paura della burocrazia, cioè di dover sprecare tempo per le relazioni, le domande e quant'altro; infine, c'era un timore elevatissimo per i controlli delle forze dell'ordine.
Pertanto, gli enti non stipulavano le convenzioni perché avevano paura che gli venisse imposto di dover necessariamente accogliere soggetti sgraditi e di dover subire tutta la trafila. Compresi i motivi di resistenza, si è deciso di risolverli creando un ufficio unico, che ha rappresentato una svolta perché, anche sul piano organizzativo, ha risposto immediatamente alle richieste degli interessati. Si è imposta, inoltre, la necessità di un colloquio preventivo con l'ente, garantendo a quest'ultimo il diritto di rifiutare. In terzo luogo, vi è stata una totale semplificazione di tutte le procedure, predisponendo moduli che già prevedevano tutto ciò che deve essere inserito, proprio per non creare problemi. Infine, l'elenco degli enti convenzionati non è pubblicato; rimane, infatti, segreto nelle mani dell'assistente sociale che si occupa direttamente di questo ufficio e che fa da tramite necessario. Ciò evita che gli enti siano disturbati da soggetti che chiedono di essere accolti.
Un altro aspetto fondamentale è stato lo stratagemma delle convenzioni in itinere. Difatti, alcuni enti volevano – per così dire – prima provare e poi acquistare. Pertanto, anche se non c'era una convenzione, abbiamo deciso che l'ente che aveva tutti i requisiti per stipularla poteva accogliere i soggetti. Questo è stato decisivo perché dopo il primo esperimento gli enti hanno cominciato a stipulare le convenzioni.
Tornando alla proposta di legge in esame, ho notato con grande soddisfazione che quasi tutti i suggerimenti che avevamo cercato di fornire quando siamo stati sentiti a luglio sono stati accolti. In particolare, oltre a quelli relativi al limite massimo del periodo di sospensione e alla necessità di sospendere la prescrizione durante la messa in prova, considerando i suggerimenti organizzativi, è stato concentrato in capo all'UEPE tutto il procedimento, visto che questo ufficio ha le competenze in fase sia iniziale sia di controlli. Questo dovrebbe consentire di riprodurre questo ufficio unico e di utilizzare personale che ha competenze specifiche e che comunque se le creerà con l'esperienza.
Un altro aspetto che ho scoperto non essere molto apprezzato dal di fuori, ma che a me sembra positivo, è prevedere che l'interessato si rechi con un programma, concordato di intesa con l'UEPE, anche per evitare delle strumentalizzazioni. Posto che, tra l'altro, la proposta prevede poteri istruttori e poteri integrativi del giudice, avere un programma definito consente di poter arrivare con qualcosa che mostri un serio interesse. Questo è un aspetto sul quale il tribunale di Torino ha molto battuto, cioè l'onere dell'interessato di attivarsi, anche là dove – come in questi casi relativi al Codice della strada – non è espressamente richiesto un consenso.
Un altro suggerimento che è stato integralmente accolto è di ampliare al massimo la cerchia degli enti presso i quali si può svolgere il lavoro di pubblica utilità. Il richiamo a enti e organizzazioni non lucrative di utilità sociale risponde proprio a questo. A questo proposito, cito il decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, che ha riordinato la disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle onlus e che, quindi, definisce questi enti, comprese le fondazioni, le cooperative e così via.
Inoltre, ho notato che non c’è più nessun tipo di riferimento alla convenzione. Credo che ciò non sia stata una svista, ma un fatto voluto proprio per raccogliere quel suggerimento che vuole consentire agli enti di provare. In più, in questo modo vi è la necessità del consenso dell'ente perché, se non ha stipulato una convenzione, di volta in volta si dovrà, appunto, prestare il consenso. Ciò non esclude, comunque, che si possano fare delle convenzioni per meglio regolamentare la materia.
Per quanto riguarda i nostri suggerimenti, gli unici due profili sui quali si potrebbe dire qualcosa in più sono, innanzitutto, Pag. 8precisare i poteri, i limiti e le modalità con le quali le amministrazioni statali periferiche possono non più stipulare convenzioni, ma accogliere questi soggetti e, in secondo luogo, risolvere il problema della copertura assicurativa. Insomma, mentre nello scorso mese di luglio avevamo svolto un intervento propositivo, quello odierno aderisce alla proposta di legge, ritenendo che sia stato fatto un buon lavoro.
Riguardo alla questione dell'interesse dell'imputato, credo che questi possa trovare un vantaggio se l'istituto che gli si offre, cioè il rito alternativo, non soltanto è allettante in sé, ma lo è anche rispetto all'alternativa stessa. Se un tribunale è intasato, non c’è alternativa allettante che tenga perché si sa benissimo che non si avrà nulla perché arriverà la prescrizione. Al contrario, in tribunali come Torino, dove il processo viene definito in tempi utili, questa alternativa viene altamente considerata, quindi si accede ai riti alternativi e a tutte le altre soluzioni.
Su questo non c’è molto da fare. Tuttavia, avendo voi all'esame anche un progetto che prevede la sospensione per gli irreperibili, c’è da sperare che questo comporti anche un minimo di deflazione e quindi possa farlo funzionare. Grazie.
PRESIDENTE. Vi ho messo un po’ di fretta perché, prima di procedere con le altre audizioni, vorrei dare la possibilità ai deputati di intervenire, visto che tra poco dovrete lasciarci. Vi ringrazio dei documenti che avete consegnato e della relazione che avete promesso di inviarci, che rimarranno agli atti dell'indagine conoscitiva e saranno a disposizione di tutti i parlamentari.
Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
SOFIA AMODDIO. Vorrei capire meglio il discorso della segretezza delle convenzioni. Per esempio, presso il tribunale di Siracusa l'alternativa della pubblica utilità dà buoni risultati, ma le convenzioni sono pubbliche, nel senso che sono depositate in tribunale, tutti gli avvocati ne hanno accesso e possono invogliare i propri clienti a sostituire la pena con la messa alla prova.
VITTORIO FERRARESI. Vorrei conoscere il parere del presidente Panzani sui presupposti e le resistenze, dal momento che su tale argomento era contrario all'esposizione della dottoressa Salvadori.
ANNA ROSSOMANDO. Vorrei un chiarimento dal quale poter trarre spunti per migliorare ed estendere questo istituto. La questione dell'assicurazione per infortuni, che è una criticità, come è stata risolta a Torino ? È evidente, infatti, che ci sono questioni organizzative, affrontate le quali si riesce ad applicare delle norme molto utili.
STEFANO DAMBRUOSO. Innanzitutto, mi complimento per la chiarissima esposizione. Mi permetto soltanto di dire, presidente, che – al di là di tutte le domande legittimamente fatte da ciascun deputato proveniente dalle varie regioni in cui vive – avendo compreso il contenuto dell'esperienza fatta degli istituti in esame, che se questo è stato fatto a Torino si può anche fare ovunque. Tralasciando il contenuto tecnico che ciascuno di noi è capace di apprendere, il messaggio più importante di questa audizione è proprio che se si è fatto a Torino si può fare in tutte le altre regioni d'Italia e in tutti i distretti. Ecco, il messaggio migliore vorrei condividere è proprio questo. Grazie.
IVAN SCALFAROTTO. Per esprimere esattamente il contrario di quanto ha detto l'onorevole Dambruoso, vorrei dire che mi ha molto interessato l'ultimo riferimento all'interesse dell'imputato di accedere a questo strumento e al fatto che la mancanza di arretrati, e quindi la certezza che il procedimento arriverà a sentenza, è parte integrante dell'attrattività dello strumento. Lei ritiene che in realtà differenti, in cui non c’è l'efficienza del tribunale di Torino, questo strumento Pag. 9possa risultare meno applicabile, quindi meno vivo nell'applicazione pratica ? Grazie.
ENRICO COSTA. Faccio una domanda soprattutto con riferimento al testo che abbiamo approvato nella scorsa legislatura. Proprio per essere concreti, alla luce di questo testo che abbiamo approvato, vi chiedo se – soprattutto per l'aspetto della revoca della messa alla prova e dei provvedimenti intermedi, anche modificativi, legati al consenso dell'imputato – ci sono dei suggerimenti pratici da apportare. Infatti, questa era una parte che abbiamo affrontato con una certa difficoltà, cercando di legare i vari emendamenti. Il testo originario prevedeva una delega, ma poi abbiamo adottato un testo organico, sganciandoci da essa, quindi ci possono essere dei passaggi ancora critici legati alla pratica.
NICOLA MOLTENI. Innanzitutto mi complimento per la vostra esposizione. Proprio perché a Torino funziona bene, mentre apparentemente in altre zone non è così, vi chiedo se non vi sembra che, proprio in considerazione di ciò, la funzione deflattiva di questo istituto rischia di essere pari a zero, rispetto alla finalità per la quale viene proposto, ovvero risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri.
PRESIDENTE. Vorrei fare una domanda, che è anche una sintesi. In questo momento ci sono delle convenzioni che vengono stipulate su delega del Ministero della giustizia dai vari presidenti, quindi la delega – se ho capito bene – riguarda tutti i presidenti d'Italia. Abbiamo verificato che, man mano, si sta diffondendo questa pratica. Comunque, per quel che vi riguarda, Torino ha stipulato delle convenzioni. Ora, rispetto alla situazione attuale vorrei capire se questo testo – che fa un passo avanti, almeno secondo noi che lo abbiamo approvato nella scorsa legislatura in Aula – vada nella direzione del superamento delle difficoltà oggettive che ci sono state e che il collega Molteni ha enucleato. In caso contrario, quali ulteriori modifiche specifiche sono necessarie affinché sia perfezionato sia dal punto di vista normativo sia da quello organizzativo del ministero ?
Do ora la parola gli auditi per una breve replica.
LUCIANO PANZANI, Presidente del tribunale di Torino. Comincio io perché ho meno cose da dire. Successivamente la dottoressa Salvadori, che ha seguito la questione molto più da vicino e soprattutto applica queste norme tutti i giorni, sarà in grado di darvi maggiori indicazioni.
Si è detto che Torino è un tribunale efficiente, cosa che confermo. Tuttavia, non è sempre un tribunale efficiente. Per esempio, i procedimenti che si svolgono nelle sezioni distaccate del tribunale hanno dei tempi più lunghi perché le sezioni distaccate sono meno efficienti per loro natura. Ci auguriamo, quindi, che la normativa sugli accorpamenti ci consenta di risolvere questo problema. So, peraltro, che questo argomento è molto controverso.
A questo proposito, apro una parentesi per dire che stiamo guardando con molta preoccupazione al problema degli accorpamenti, in una logica che probabilmente sfugge ai più e che non è quella di cui si discute. Abbiamo fame di funzionari amministrativi, ovvero rischiamo di bloccarci per mancanza di cancellieri. La produttività del tribunale di Torino, soprattutto su dibattimento penale, è rallentata dalla mancanza di cancellieri che hanno i requisiti di legge per andare in udienza. Pertanto, sto considerando gli accorpamenti come una sorta di cannibalizzazione, come quando si prendono due macchine e se ne fa una prendendo i pezzi migliori. Ecco, vedo questo processo come la possibilità di avere dei funzionari. Dico questo perché è veramente un grossissimo problema che hanno tutti gli uffici giudiziari e di cui vorrei foste consapevoli.
Tornando al nostro discorso, il tribunale di Torino non è sempre efficiente. In particolare, la corte di appello di Torino Pag. 10per una serie di circostanze, ovvero vuoti di organico che si sono creati in passato e che soltanto recentemente sono stati almeno in parte colmati dal Consiglio superiore, ha accumulato un notevole arretrato.
A Torino abbiamo creato gruppi di lavoro di magistrati, talvolta di magistrati funzionari, in cui vi sono rappresentanti di tutti gli uffici di tutte le sezioni del tribunale interessate per trovare una soluzione a un problema. In questo momento il problema è individuare dei criteri di fissazione dei processi, che poi discuteremo con il Consiglio dell'ordine gli avvocati, che tengano conto dell'indicazione data dal Procuratore generale della corte d'appello Marcello Maddalena in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, ovvero di non lavorare a vuoto, facendo processi destinati a morire in corte d'appello perché, obiettivamente, a Torino si è creato questo problema. Quando parliamo di efficienza del tribunale di Torino, si tratta, dunque, di un'efficienza relativa.
Per concludere il discorso, credo che questo tipo di procedimenti possa funzionare anche in realtà dove vi sono problemi più seri dal punto di vista della capacità di fare i processi. Sicuramente funziona per la guida in stato di ebbrezza perché c’è l'interesse contingente al dissequestro dell'auto. Tuttavia, là dove c’è un soggetto per cui il lavoro di pubblica utilità è una prospettiva concreta, visto che una persona che ha un procedimento penale non ha una normalità di vita, credo che questa soluzione possa funzionare.
Sulle altre domande lascio la parola alla dottoressa Salvadori, che sarà molto più precisa di me. Mi limito a rispondere alla domanda della presidente, rivoltami anche dal deputato Ferraresi, circa la mia opinione leggermente diversa. Credo, infatti, che le convenzioni – se volete, possiamo mandarvi il testo, che è ormai fisso, nel senso che gli enti aderiscono a una bozza di convenzione uguale per tutti, e che nessuno ci ha mai chiesto di modificare – responsabilizzino gli enti; di conseguenza vederle sparire non mi trova del tutto d'accordo.
Allo stesso tempo, le cose camminano sulle gambe delle persone che le fanno funzionare. Occorre, quindi, non solo un ufficio unico, ma anche qualcuno all'interno di questo ufficio che comprenda l'importanza di questi percorsi. Questo, evidentemente, non si può scrivere nelle norme. Tuttavia, l'idea del programma concordato con l'UEPE, così come scritto nella proposta di legge, senza specificare «previo contatto dei soggetti con l'ente destinatario», potrebbe essere interpretato, là dove non c’è una persona che abbia questa volontà, in termini burocratici. Se fosse così, questa esperienza fallirebbe. Quindi, da questo punto di vista, se vogliamo dare alla normativa anche una funzione propositiva, dovremmo eliminare questo rischio.
Un'altra questione importante è la copertura assicurativa, che oggi viene fatta chiedendo agli enti destinatari di accollarsi questo costo minimo. Questo, però, è un problema che abbiamo sempre, tutte le volte in cui facciamo qualcosa con la collaborazione di soggetti esterni al tribunale. Per esempio, per le convenzioni che abbiamo fatto con l'università di Torino e con il Consiglio dell'ordine, ai sensi dell'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011, per gli stage e per la creazione in nuce dell'ufficio del processo – esperienza che, tra l'altro, funziona molto bene – si è dovuto pensare anche al problema della copertura assicurativa perché le persone che vengono a lavorare in tribunale potrebbero banalmente inciampare, cadere e farsi male. Insomma, è un problema che deve essere affrontato perché se non ci pensiamo prima, poi rischiamo di bloccarci. Sembra una banalità, ma non è così.
ALESSANDRA SALVADORI, Giudice del tribunale di Torino. Con riguardo alla cosiddetta segretezza delle convenzioni, non è che siano proprio segrete. Più semplicemente, queste non vengono distribuite, né pubblicate, ma tenute dalla dottoressa che gestisce l'ufficio per rendere Pag. 11evidente che c’è un'intermediazione necessaria dell'ufficio e per garantire gli enti che non verranno disturbati da soggetti che implorano di essere presi. Questo è il motivo, che gli enti hanno molto apprezzato. Mi rendo conto che non sia un aspetto da codificare come altre buone prassi, ma è servito.
Rispondendo all'onorevole Rossomando, abbiamo risolto la questione della copertura assicurativa. Infatti, tutti gli enti privati o pubblici, statali e territoriali, sono in grado, avendo un'autonomia, di pagare questo minimo importo. Il problema che ponevamo era, in particolare, per le amministrazioni periferiche statali come il tribunale perché, non avendo autonomia contabile, non siamo in grado neanche di recuperare i 30 euro per l'assicurazione.
Il caso dell'unico soggetto che adesso inizierà il lavoro presso la procura è stato risolto con un escamotage di intermediazione, nel senso che c’è un ente che lo ha indirizzato e che si fa carico della copertura assicurativa. Tuttavia, per ampliare il bacino di utenza a tutti gli enti territoriali sarebbe utile prevedere chi e come deve pagare questa assicurazione.
Quanto all'interesse dell'imputato e alla funzione deflattiva, vorrei dire che questo è un istituto che porterà a un miglioramento minimo dal punto di vista carcerario perché molti di questi reati difficilmente finiscono in carcere. Ha, invece, sicuramente una funzione deflattiva. Ritengo, infatti, che la probation giudiziale che viene applicata non dopo tre gradi di giudizio come pena sostitutiva, ma immediatamente su richiesta dell'imputato sia auspicabile perché improntata a una filosofia di pragmatico risparmio di risorse estremamente scarse.
Quando si fanno obiezioni di tipo teorico-dogmatico, ritenendo che si rompa l'armonia del processo, si deve ricordare, in primo luogo, che l'istituto esiste già nel processo minorile, quindi, se del caso, l'armonia è già rotta. Inoltre, la controproposta minimale di applicarlo alla fine dei tre gradi è non uno spreco, ma un lusso che in questo momento chiunque frequenti le aule di giustizia, soprattutto del monocratico che è spesso intasato e abbandonato, non può sottovalutare. Ovviamente, la misura troverà più utilizzo nei tribunali che funzionano e pochissimo in quelli che non funzionano. Tuttavia, è comunque un tassello. In alcune parti, è una piccola goccia, ma in altre può comportare una consiste deflazione.
Per quanto riguarda, invece, la domanda del relatore devo dire che ho molto apprezzato il testo. Leggendolo, mi sembra di aver visto codificare quasi tutte le nostre buone prassi, ovviamente con una terminologia che non può essere di minuzia o di dettaglio. Tuttavia, l'aspetto organizzativo, che è comunque fondamentale, è ben riproposto.
C’è il punto, su cui io e il presidente Panzani non eravamo in sintonia, della convenzione da menzionare o meno. Ciò nonostante, si potrebbe dire che serve una convenzione, subordinando l'attivazione espressamente al consenso dell'ente, oppure, come è stato fatto, si potrebbe non inserire la convenzione, ma a quel punto il consenso dell'ente diventa implicito, ma necessario.
Insomma, la proposta di legge è pienamente in linea con quello che intendevamo suggerire.
LUCIANO PANZANI, presidente del tribunale di Torino. Vorrei aggiungere un'osservazione rispetto a quanto diceva l'onorevole Costa. Con questa proposta di legge, siccome viene aumentato il novero di reati e anche le pene a cui applicare gli istituti in parola, probabilmente ci saranno casi in cui la durata del lavoro di pubblica utilità può essere maggiore di quella che è oggi. Da questo punto di vista, ci avviamo su un territorio inesplorato, nel senso che non sappiamo quali incidenti di percorso si potrebbero realizzare. Comunque, al di là dello stretto coordinamento che occorre in sede di esecuzione e che il buonsenso stesso suggerisce, non credo si debba aggiungere nulla dal punto di vista della normativa.
Pag. 12PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola al presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Maria Sabelli.
RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Il nostro intervento sarà breve anche perché posso dire che condividiamo quanto è stato già detto dai colleghi del tribunale di Torino. Come sappiamo, questa proposta di legge interviene su tre istituti: le misure alternative, la messa alla prova e il rito degli irreperibili. Nel primo caso, ciò accade attraverso una delega legislativa.
Il nostro parere sulla proposta di legge nel suo complesso è senz'altro favorevole poiché risponde a una finalità generale di efficienza e a specifiche finalità in relazione ai singoli istituti, che sono di tipo deflattivo, soprattutto per quanto riguarda l'istituto della messa alla prova; di miglioramento del sistema carcerario, per quanto riguarda l'istituto delle misure alternative; di tipo preventivo, ovvero di miglioramento dell'efficacia della risposta sanzionatoria.
Dico questo perché so bene che quando si interviene sul sistema sanzionatorio si pone il problema dell'adeguatezza della risposta sanzionatoria dopo l'intervento di modifica. In linea generale siamo convinti che una risposta di efficacia sanzionatoria non sia legata alla previsione astratta di pene particolarmente severe, bensì all'equilibrio complessivo del sistema e a un'efficacia che è certezza della pena. Quando si parla di certezza della pena non è che si intende far riferimento alla necessità di applicare pene detentive severe. Il concetto di certezza della pena è diverso, cioè è legato all'efficacia della risposta processuale e all'efficacia e all'adeguatezza della risposta sanzionatoria.
In questo senso, quindi, intervenire – la mia è una considerazione di carattere generale – con misure alternative facoltative alle sanzioni detentive, nel senso che non sostituiscono integralmente la detenzione, ma costituiscono un'opportunità che si aggiunge alla pena detentiva tradizionale, vuol dire assicurare una migliore risposta sanzionatoria, anche tenuto conto dell'entità contenuta delle pene detentive alle quali queste misure alternative si aggiungono.
Ho poche altre annotazioni, trattandosi, peraltro, di un nuovo giro di audizioni, in quanto – come è stato già ricordato – sulla materia sono già state svolte audizioni nel corso della precedente legislatura, con accoglimento, nel testo attuale della proposta, di molte delle osservazioni che furono fatte in quell'occasione.
Per quanto riguarda le misure alternative, ricollegandomi a quanto osservavo circa l'opportunità anche in termini di adeguatezza della risposta sanzionatoria, queste misure sono previste in via, appunto, alternativa rispetto alla pena detentiva, con esplicito richiamo all'articolo 133 del Codice penale che costituisce la norma di riferimento alla quale il giudice deve richiamarsi nel momento in cui applica questa nuova misura.
Per rassicurare sul punto dell'adeguatezza della risposta sanzionatoria, rilevo che è prevista la possibilità di revoca quando nella fase esecutiva non sia disponibile il domicilio, ovvero il comportamento del condannato risulti contraddittorio rispetto alla finalità e alle caratteristiche della misura alternativa che sia stata applicata.
Con riferimento alla messa alla prova, il nuovo articolo 168-bis del Codice penale prevede un limite di pena edittale piuttosto contenuto, ovvero 4 anni. Restano fuori diversi reati ai quali, in prospettiva, potrebbe applicarsi questo istituto. Dico ciò non in termini critici, ma per osservare come l'ambito, tutto sommato circoscritto, di applicazione di questo nuovo istituto – che, peraltro, in realtà proprio nuovo non è perché, sia pure in materia minorile, è già previsto – costituisca una buona opportunità di sperimentazione nell'ambito del processo penale. Difatti, l'istituto offre potenzialmente delle opportunità e, qualora, una volta conclusa la fase di opportuna sperimentazione, abbia dato buona prova di sé, potrà essere suscettibile di ulteriori estensioni.
Il giudizio favorevole tiene conto anche del fatto che è prevista non solo la prestazione Pag. 13del lavoro di pubblica utilità in occasione della messa alla prova, ma anche l'eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato. Ciò va nel senso di quella giustizia riparativa che, a nostro giudizio, costituisce un obiettivo di carattere più generale che può ispirare anche altri tipi di intervento in altri settori del sistema penale. Ugualmente, il giudice può anche, con il consenso dell'imputato, prevedere l'osservanza di altre prescrizioni.
Opportunamente, è stata prevista la possibilità per il giudice di acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle particolari condizioni di vita dell'imputato. Questa è un'altra previsione che esclude qualsiasi automaticità e indebita limitazione del potere discrezionale del giudice.
Riteniamo opportuna anche la previsione della necessità di richiedere il consenso del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari. Ciò non è previsto nella fase successiva, ma questo risponde alla necessità di evitare che l'istituto possa essere, nella fase delle indagini preliminari, utilizzato a fini strumentali, quindi di contenimento di un'attività investigativa in corso.
Sulla messa alla prova non avrei altre osservazioni da fare. Il nostro giudizio è molto favorevole anche per quanto riguarda l'intervento nel procedimento nei confronti degli irreperibili. Il sistema che viene fuori prevede tre gruppi di situazioni possibili: notifica a mani dell'indagato o imputato; situazioni in cui vi è la certezza che l'imputato sia a conoscenza del procedimento, non necessariamente del processo; infine, situazioni in cui non vi sia stata notifica a mani proprie, né la certezza di conoscenza del procedimento. Solo in questo caso, il giudice nella fase dell'udienza preliminare dispone la notifica a mani proprie a mezzo della polizia giudiziaria. È certamente un piccolo aggravio per la polizia giudiziaria, ma pienamente compensato dalle finalità deflattive di questo istituto, ma anche dal fatto che comunque la notifica a mani proprie non viene disposta in tutti i casi in cui – per essere stato adottato l'arresto, il fermo ed essere intervenuta la nomina di fiducia – vi è la certezza che l'imputato sia a conoscenza del procedimento, ma non necessariamente anche del processo.
A prima lettura, devo dire che avevo avuto qualche perplessità a proposito della necessità della previsione di ripetere ogni anno nuove ricerche dell'imputato, il che potrebbe determinare qualche aggravio. Tuttavia, è vero che vi è, obiettivamente, la necessità di accertare periodicamente se il soggetto sia divenuto reperibile. Inoltre, la norma è stata scritta in termini tali da consentire anche di modulare opportunamente il tipo di ricerca alla situazione concreta di fronte alla quale il giudice si trova. In relazione alla natura del soggetto e anche all'entità e alla natura del fatto che costituisce oggetto del processo, il giudice disporrà le nuove ricerche con quella maggiore o minore ampiezza o con quelle caratteristiche specifiche che sono richieste dal caso in esame.
Avrei un'ultima considerazione, che faccio anche alla luce di una delle domande che sono state rivolta ai colleghi di Torino. Mi riferisco alla prevedibile efficacia della messa alla prova in relazione agli aspetti organizzativi legati all'esistenza della predisposizione di convenzione e alla disponibilità di enti. È facile, infatti, immaginare che sul territorio vi siano situazioni piuttosto differenziate. Probabilmente alla realtà particolarmente virtuosa di Torino, se ne contrapporranno altre più problematiche.
Se penso all'esperienza romana, devo dire che in un primo tempo – nei limiti molto più ristretti nei quali è attualmente prevista l'applicazione del lavoro di utilità sociale – l'avvio di queste forme di lavoro di pubblica utilità è stata abbastanza difficile e faticosa. Tuttavia, alla fine, messo a regime il sistema, dopo una fase di lento rodaggio, l'opportunità di disporre di questo strumento ha fatto sì che il sistema partisse e diventasse un'occasione sia di deflazione, ma anche di miglioramento e di maggiore adeguatezza della risposta sanzionatorie, come dicevo prima. Grazie.
VALERIO SAVIO, Vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati. Vorrei fare delle annotazioni su alcuni aspetti processuali della messa alla prova. La proposta di legge prevede che dovrà essere l'indagato o l'imputato a premunirsi del programma e a rivolgere, quindi, l'istanza agli uffici locali di esecuzione penale esterna. Questa previsione potrebbe creare dei problemi perché, prevedibilmente – parlo riferendomi alla nostra esperienza degli uffici giudiziari, nella quotidianità dei processi, soprattutto per certi tipi di reati «di strada» – la gran parte degli indagati che potrebbe usufruire della messa alla prova non è adeguatamente difesa, spesso è difesa d'ufficio o non conosce queste opportunità perché non ha la possibilità di accedere a una conoscenza adeguata degli strumenti processuali a sua disposizione.
Allora potrebbe succedere che questa previsione possa intasare gli uffici a cui vengono richiesti i programmi. Infatti, potrebbe capitare che un'immensa mole di domande pervenga agli uffici con dei programmi standardizzati rilasciati dagli enti che dovrebbero farlo, stando alle convenzioni. In buona sostanza, dovremmo prevedere che l'istanza venga rivolta direttamente al giudice senza la necessità di allegare il programma e che possa essere poi il giudice a richiederlo.
Facciamo una seconda annotazione, ma non con spirito critico rispetto al progetto, che ci auguriamo venga varato presto e bene perché certamente è un istituto utile. I nostri – ripeto – sono rilievi critici che muoviamo per cogliere l'occasione di fare entrare in vigore un meccanismo che fin dall'inizio possa dare il massimo dei risultati che ci si propone di raggiungere.
Proponiamo di prevedere una connessione tra questo istituto e i riti alternativi al dibattimento, per esempio valutare la necessità che i soggetti che chiedono la messa alla prova debbano fare un'ammissione di responsabilità, una confessione, rispetto ai fatti oggetto dell'indagine sia perché non si vede come il giudice possa imporre un programma che ha aspetti sanzionatori indiscutibili, anche con limitazione della libertà personale, senza una valutazione almeno del fumus della colpevolezza dell'indagato, sia perché nel concreto dell'istituto l'imputato che ha confessato avrebbe tutto l'interesse a eseguire compiutamente le prescrizioni della messa alla prova per non incorre, alla ripresa del procedimento ordinario, in una condanna certa.
Sarebbe altresì opportuno prevedere che, nei casi in cui la messa alla prova abbia dato un esito negativo per una qualsivoglia ragione, il processo debba proseguire con le forme del giudizio abbreviato, con la possibilità di aderire al patteggiamento, anche questo in modo da regolare meglio i passaggi da un rito all'altro.
Un'ultima notazione riguarda la previsione di scomputo del presofferto dei giorni di messa alla prova dalla pena in caso di esito sfavorevole e di condanna dell'imputato, cosa che nel minorile, peraltro, non è prevista. Ecco, non credo che la messa alla prova possa essere un mezzo per scomputare giorni di sanzione nel caso di esito negativo. Questo potrebbe essere un aspetto da correggere.
Tornando all'esperienza romana dell'istituto del lavoro di pubblica utilità con riferimento alla guida in stato di ebbrezza, vorrei dire che l'istituto ha avuto un ottimo risultato in relazione a questo reato proprio per la tipologia degli imputati. Come è stato detto prima dalla collega Salvadori, si tratta spesso di una tipologia di persone socialmente inserita, con un lavoro, che ha interesse a evitare sanzioni penali propriamente dette e a recuperare l'auto.
Questo istituto va, quindi, studiato, pensato, elaborato e modificato in stretta connessione con l'esperienza concreta degli uffici giudiziari, con la tipologia dei reati e anche degli imputati dei singoli reati. Torno, così, al punto da cui era partito il presidente Sabelli.
La previsione della pena edittale di 4 anni, senza un'elencazione di specifici reati che hanno una pena edittale superiore a questo limite generale, rischia di rendere marginale l'istituto nella pratica. Pag. 15Riusciamo a immaginare che la messa alla prova possa essere assai applicata per le ipotesi di piccolo spaccio (articolo 73, comma quinto, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) o per i furti aggravati, come il furto al supermercato. Come è noto, il furto semplice non esiste; basta che in un furto al supermercato si stacchi una placca antitaccheggio e diventa un furto aggravato, per il quale la messa alla prova non è possibile. Pensate, ancora, alle piccole truffe, come nel caso di chi continua a percepire un rateo di pensione di reversibilità di una persona defunta, o alla ricettazione lieve.
Insomma, ci sono diverse fattispecie che sarebbero di elezione nella pratica di questo istituto che rischierebbero di essere tagliate fuori se non ci fosse, accanto alla previsione di un limite edittale di pena, un'elencazione di alcune specifiche ipotesi di reato a cui l'istituto è applicabile.
Questi rilievi sono fatti – ripeto – nell'ottica di cercare di far entrare in vigore un meccanismo che abbia una vasta applicazione, quindi non li facciamo con lo spirito critico. Nel suo complesso, in tutti e tre i suoi grandi capitoli, approviamo senza dubbio questo disegno di legge.
RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Vorrei aggiungere solo una chiosa finale. Il meglio è nemico del bene. Questo istituto ha una sua flessibilità; forse è suscettibile di miglioramenti e di ampliamenti, all'esito, però, di una fase di opportuna sperimentazione.
PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Valerio Spigarelli, presidente dell'Unione delle camere penali italiane.
VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane. Vi ringrazio per l'invito e per la tempestività con cui sono state messe all'ordine del giorno delle misure che sono sempre state ritenute apprezzabili dall'Unione delle camere penali. Anch'io evito di ripetere quanto detto in occasione della precedente audizione. Parto, quindi, dalle conclusioni del discorso che ho appena ascoltato da parte dei rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.
A nostro modo di vedere, questi istituti che sono fondamentali debbono essere varati in maniera coraggiosa. Ciò significa che bisogna fare i conti con la realtà, cioè identificare – come il buon legislatore fa – un percorso e verificare se la finalità legislativa è raggiunta dal provvedimento che si discute o se, invece, la dichiarata finalità legislativa rischia di essere elusa.
Allora, il primo discorso da fare è proprio questo. Conosciamo perfettamente sia lo stato delle nostre carceri, che non a caso viene richiamato nella relazione, sia il fatto che se si prende l'elenco dei reati a cui, in astratto, sono applicabili entrambi gli istituti, a cagione del limite edittale di 4 anni, tanto della detenzione domiciliare quanto della sospensione del processo con messa alla prova, troveremmo in questo momento nelle nostre prigioni, ristrette per reati che rientrano nel novero di questo provvedimento, non più di 300-400 persone.
Mi rendo perfettamente conto che, essendo un provvedimento coraggioso, si può pensare a una gradualità di inserimento. Tuttavia, per quanto riguarda la sospensione del processo con messa alla prova, stiamo parlando di un provvedimento che viene applicato con il rito minorile da molti lustri oramai, dando un'ottima prova di sé, anche per tipologie di reati assai significative. Viceversa, non possiamo mantenere quel limite di 4 anni senza neppure prendere in considerazione quanto diceva il dottor Savio precedentemente, cioè tenere un limite di 4 anni, ma fare in modo che il giudice faccia una valutazione e decida se il fatto può rientrare in una pena in concreto di quel limite e dunque applicare l'istituto in relazione a una valutazione di gravità del fatto che, in astratto, già dà.
Altrimenti, se variamo un provvedimento di questo tipo, rischiamo di avere quello che in altre parole vi è stato detto dal presidente del tribunale di Torino. Rischiamo, cioè, di avere un provvedimento Pag. 16che è «appetibile» per coloro che violano assai occasionalmente la legge, ma che non rientra in nessuna categoria criminologica conosciuta. Per esempio, coloro che violano la legge sugli stupefacenti – come ha appena richiamato il dottor Savio – con un fatto lieve come quello che rientra nell'articolo 73, quinto comma, sono esclusi da questi provvedimenti, pur essendo marginali dal punto di vista della pericolosità sociale.
Sarebbe, dunque, incongruente non applicare questi istituti, che ovviamente si applicano a fenomenologie criminali marginali di non rilevante pericolosità, proprio a coloro che finiscono in prigione e invece applicarli a coloro che, per definizione, non ci vanno.
Vi posso fornire il numero preciso dei reati a cui è applicabile questo provvedimento con il limite così come viene inteso, ma è una tipologia di reati per cui nelle stesse valutazioni di violazione primipara – perché di questo si tratta per l'applicazione della messa alla prova e anche della detenzione domiciliare – nessuno va in prigione perché nella maggior parte dei casi viene concessa la sospensione condizionale.
Sarebbe coraggioso varare entrambi i provvedimenti, spiegando altrettanto coraggiosamente la ratio del provvedimento, che non è in conflitto con le esigenze di sicurezza sociale. Questi provvedimenti – detenzione domiciliare e sospensione del processo con messa alla prova – hanno entrambi una modalità di applicazione per cui, nell'ipotesi in cui emerga un qualsiasi, anche lato, indizio di pericolosità sociale, vengono revocati. Non è neanche così coraggioso pensare che possano essere applicati a fatti diversi e più significativi. Pensate solo che il furto non rientra nella possibilità di applicazione di questo provvedimento, come minime ricettazioni di valori infimi.
Insomma, se si va a fare un provvedimento di questo genere ci sarà comunque – lo dico perché è la prima volta che vengo di fronte a questa conformazione della Commissione – una dialettica politica perché qualcuno lo leggerà come un favore a qualcun altro. Spiegare, invece, che l'efficienza della sicurezza passa attraverso provvedimenti di questo genere verrà più facile se si ha un'applicazione più diffusa.
Questa premessa, cioè la questione del limite edittale, è anche la maggior critica che facciamo e che avevamo sollevato già la volta scorsa al Ministro Severino. Peraltro, avevamo raccolto anche qualche dichiarazione che ci faceva ben sperare sulla possibilità di un passo più lungo. Poi, però, in Assemblea non vi è stato seguito; tuttavia, insistiamo su questo aspetto della questione, collegandolo anche a un altro discorso. Soprattutto quando si parla di messa alla prova, il presidente del tribunale di Torino ha detto che ciò che rende appetibile lo strumento è che il reo, attraverso il lavoro di pubblica utilità, recupera qualcosa di significativo. Dobbiamo, quindi, partire dal dato, ampiamente noto a tutti gli esperti, che i riti alternativi – più correttamente gli strumenti premiali – sono falliti anche perché nel corso del tempo hanno completamente mutato geneticamente la loro fisionomia.
Per esempio, il patteggiamento era nato ed era appetibile perché escludeva le pene accessorie e le sanzioni amministrative di un certo tipo. Poi, avendo ceduto su questo punto – la sirena della sicurezza ha cantato molto spesso – e avendo pian piano eliminato questi benefici, si è reso il patteggiamento molto meno appetibile.
In questo provvedimento, uno dei limiti, di cui parla una norma specifica, è quello della contestuale messa alla prova con applicazioni di significative sanzioni accessorie o amministrative. Invece, in quel caso bisognerebbe incidere per rendere appetibile questo strumento, che nel momento in cui si applica finisce – come hanno detto i giudici di Torino -per garantire anche l'effettività della pena. Questa è la cosa che va sottolineata.
Si tratta di una pena. È una maniera diversa, ma significativa di applicare la pena. Invece, nel range di cui stiamo parlando molto spesso c’è la «non pena», cioè la sospensione condizionale data come una croce di cavaliere, come molto Pag. 17spesso si fa nei tribunali italiani, senza una verifica approfondita. Va detto, quindi, che rendere lo strumento più coraggioso lo rafforza e non ne minimizza l'efficacia dal punto di vista retributivo e preventivo.
Ho ascoltato quanto diceva il presidente Sabelli. Devo dire che non mi convince, per quanto riguarda lo strumento della messa alla prova, la non sincronia di quello che sembra un consenso obbligatorio del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. Infatti, la norma è formulata in una maniera che rende difficile capire se il consenso del Pubblico Ministero sia o meno un requisito di ammissibilità della richiesta. In ogni caso, se ci fosse un problema di interferenza con le indagini, basterebbe che la richiesta di messa alla prova che viene presentata di fronte al giudice sia comunicata al pubblico ministero, che renderà il suo parere, come anche nella fase successiva. Penso, dunque, che quella norma dovrebbe essere chiarita sotto questo punto di vista perché sembrerebbe condurre a situazioni di questo tipo.
In entrambi i provvedimenti ci sono delle esclusioni soggettive, che riguardano alcune figure criminali. Non discuto, per adesso, i riferimenti agli articoli 102, 103 e 104 del Codice penale, mentre mi sento di discutere quello all'articolo 108, che riguarda i criminali per tendenza, ritenuta dalla dottrina, ma anche da larga parte della giurisprudenza una sorta di reperto archeologico del Codice Rocco. Francamente, anche per i criteri di valutazione per cui l'articolo 108 può essere applicato, potremmo risparmiare almeno quello, se sentiamo facendo una norma di progresso del sistema.
Mi avvio alla conclusione accennando ad alcune altre questioni. La dottoressa Salvatori ci ha riferito delle loro consuetudini molto efficienti. A questo proposito, ritengo che allegare il programma sia già un'incomoda problematica; soprattutto, conoscendo gli uffici giudiziari e i loro tempi, ciò potrebbe diventare esiziale nell'ipotesi di giudizio immediato perché vi sarebbe da allegare questo programma concordato nel giro di 15 giorni, cosa che a Roma non si farebbe mai. Quindi, bisogna riprendere in considerazione questo punto sostanziale per renderlo potenzialmente applicabile.
Uno di quei provvedimenti su cui siamo talmente tutti d'accordo da tempo, al punto che non si riesce a comprendere perché non sia stato licenziato prima, cioè la sospensione del processo con messa alla prova, faccio solamente due sottolineature. La prima è che gli avvocati delle camere penali hanno rilevato il seguente fenomeno: è una tipologia tipica, gli ultimi degli ultimi degli ultimi, ossia di persone che vengono fermate, a cui si prendono le generalità all'inizio del procedimento e di cui si dispone, coattivamente o quasi, l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, cioè presso un soggetto che quella persona non conosce e che molto spesso non conoscerà mai. Insomma, si rende virtuale questa elezione di domicilio, cioè si fa eleggere domicilio – questo è uno dei casi per cui si può procedere in assenza in questa ipotesi – attraverso una fictio, cosa che sarebbe di dubbia compatibilità con il sistema europeo.
Pertanto, anche quando abbiamo, nella fase procedimentale, delle elezioni di domicilio, bisogna prendere in considerazione questo aspetto, semmai evitando la possibilità che ci sia un'elezione presso il difensore d'ufficio, ma solo presso un difensore fiduciario che quindi si conosce per definizione. Poi, tenendo in debito conto i tempi del processo penale, bisogna prendere in considerazione la circostanza che, molto spesso, anche le elezioni di domicilio, se vengono fatte due anni o tre anni prima, finiscono per essere di dubbia compatibilità con un'effettiva conoscenza del processo. Allora, anche su questo bisognerebbe rimeditare il fatto che un'elezione di domicilio fatta a troppa distanza di tempo deve essere riverificata o comunque ricontrollata successivamente.
Chiudo dicendo che questo è un inizio significativo, ma deve segnare un reale spostamento da un diritto penale «carcerocentrico» a un diritto penale che, invece, utilizza sanzioni di tipo diverso. Se si Pag. 18inizia questo percorso, bisogna avviarlo in maniera efficace, senza fare un passo che rischia di essere, viceversa, inefficace, come ho detto all'inizio.
PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola alla professoressa Claudia Cesari che ha già fornito un notevole apporto nella predisposizione del testo sulla messa alla prova, anche perché lei è qui, oltre che in qualità di professoressa di diritto processuale penale dell'università degli studi di Macerata, soprattutto come esperta dell'istituto della messa alla prova sui minori. Nella scorsa legislatura c’è stato uno scambio di idee in questo senso, per cui la professoressa è anche menzionata, insieme al professor Chiavario, tra coloro che hanno apportato un notevole contributo al progetto. Per questo vorrei ringraziarla ancora, anche per essere qui con noi oggi.
CLAUDIA CESARI, Professoressa di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Macerata. Grazie. Riprendiamo l'analisi di questa versione, oramai quasi definitiva, di una proposta di legge che, molto francamente, mi pare sia davvero buona. Siamo a uno stadio molto avanzato della riflessione e si vede. Oggi abbiamo sentito più pareri complessivamente favorevoli, quindi non ripeto valutazioni positive che sono state già fatte da altri.
Mi limito a qualche osservazione, alcune di carattere generale, altre più specifiche e sollecitate dal dibattito che, attraverso le domande e le osservazioni di chi mi ha preceduto, comincia a emergere su alcuni punti.
Esprimo un giudizio positivo perché è un ottimo provvedimento per quanto riguarda la deflazione processuale. Mi riferisco soprattutto alla messa alla prova che, sia pur timidamente, rappresenta un primo significativo e necessario passo nel senso dell'introduzione di logiche di giustizia riparativa all'interno del sistema. Quando parlo di giustizia ripartiva – lo sottolineo, come altri hanno fatto prima di me – non intendo un gesto di debolezza dello Stato nei confronti di chi commette reati, ma, al contrario, di un recupero di efficacia della risposta penale. Soprattutto per il tipo di destinatario la cui fisionomia è tratteggiata all'interno della proposta di legge, ci stiamo riferendo prevalentemente a soggetti che oggi non vanno in esecuzione di pena, rispetto ai quali una misura di questo genere potrebbe dare visibilità, efficacia e immediatezza alla reazione al reato.
Soprattutto, mi preme spezzare una lancia a favore di un profilo che finora non è emerso, cioè la centralità della vittima, della posizione della persona offesa. Una componente importante del contenuto della messa alla prova sta nell'eliminazione delle conseguenze dannose del reato (anzi personalmente aggiungerei anche di quelle pericolose, che altrove, peraltro, nella trama normativa affiorano), quindi nella necessità di introdurre come punto qualificante del programma di messa alla prova le restituzioni, la riparazione e il risarcimento del danno. Sotto questo profilo, mi sembra che ci sia una valutazione molto positiva da fare perché le persone offese oggi trovano scarsissimo riconoscimento, in generale, all'interno del processo. Il fatto che la risposta al reato faccia perno sul riconoscimento delle loro ragioni e di logiche riparative, in realtà, garantisce maggiore efficacia e anche visibilità alla risposta istituzionale al reato.
Cominciamo a parlare, però, anche dei limiti, altrimenti parliamo solo delle cose positive. È, a mio avviso, opportuno che venga introdotto a livello dell'ordinamento di carattere generale un istituto che è già nel sistema e che abbiamo sperimentato fin troppo. Tuttavia, bisogna tener conto, appunto, di alcuni possibili limiti.
Uno, sicuramente, va individuato nel fatto che – è stato già ricordato poc'anzi – come passo in avanti è timido. Infatti, il limite dei 4 anni di reclusione come tetto sanzionatorio per l'individuazione dei reati ai quali sarebbe applicabile è basso. Sono d'accordo che oggi politicamente potrebbe essere difficile alzare questa soglia. Varrebbe la pena, tuttavia, di ricordare che il fatto che questo tetto sia basso va tenuto presente quantomeno a futura memoria.Pag. 19
Mi spiego meglio. Parallelamente a questa iniziativa a livello legislativo – mi auguro che prima o poi saranno alla vostra attenzione – stanno maturando proposte di legge che riguardano istituti di confine rispetto a questo. Mi riferisco alle iniziative legislative che riguardano la tenuità del fatto o la cosiddetta «irrilevanza» del fatto, ma anche ai risultati della Commissione Fiorella, cioè a una bozza che riguarda istituti simili a questi. Ora, se passassero istituti di quel tipo, avremmo un'archiviazione per irrilevanza del fatto, il che vuol dire che fatti molto bagatellari non arriverebbero nemmeno all'esercizio dell'azione penale. Avremmo, poi, l'estensione dell'oblazione molto oltre i confini attuali, cioè logiche di mera estinzione del reato attraverso il pagamento della pena pecuniaria, nonché l'estensione in forma generalizzata di quella che è attualmente la disciplina dell'articolo 35 del rito penale di pace, cioè l'estinzione del reato per condotte riparatorie, che verrebbe estesa a tutti i delitti procedibili a querela e a tutti i reati contro il patrimonio senza violenza alle persone.
Ciò vuol dire che, paradossalmente, per ipotesi di quel tipo che oggi non rientrerebbero nella messa alla prova, pagando si avrebbe l'estinzione. È evidente, quindi, che nel momento in cui entrassero in vigore istituti di questo tipo questa soglia dei 4 anni diverrebbe risibile. Pertanto, per rendere efficace questo istituto bisognerebbe alzarla. Oggi potrebbe anche andar bene così, ma domani potrebbe diventare obsoleta. Va tenuto conto di questo anche perché è vero che nel sistema minorile ha dato buona prova, ma insieme ad altri istituti che funzionano benissimo, come l'irrilevanza del fatto. Inoltre, nel sistema minorile né l'irrilevanza del fatto né la messa alla prova hanno tetti sanzionatori, cioè si applicano per qualunque reato.
Non so statisticamente quante di quelle situazioni si riferiscono a questa fascia di crimini. Probabilmente sono pochissime, perché su queste fasce abbiamo prevalentemente il perdono giudiziale e l'irrilevanza del fatto. Pertanto, la messa alla prova minorile si applica non per il basso criminale, ma per una criminalità media o medio-alta. Ci sarebbe, dunque, poco da scandalizzarsi perché l'istituto potrebbe benissimo affrontare reati di questo tipo, a condizione che funzioni bene.
Sono d'accordo sul fatto che, nel momento in cui un istituto di questo genere cozza con una realtà di sostanziale inefficienza delle strutture, si ha il rischio di fare un buco nell'acqua. È chiaro che si tratta di una di quelle discipline in cui è determinante non solo per la riuscita, ma anche per una sperimentazione efficace che le strutture che devono tenerla in piedi funzionino.
Ora, sotto questo profilo, ripeto oggi una mia perplessità di fondo sulla scelta che è stata fatta nella proposta di legge, ossia quella del lavoro di pubblica utilità. Considerare il lavoro di pubblica utilità come l'elemento centrale e indispensabile, cioè ineludibile come contenuto del programma di prova potrebbe essere un'arma a doppio taglio. È vero che il lavoro è fondamentale; non possiamo escludere, però, che il lavoro non si trovi, ovvero che quel tipo di contenuto, in concreto, non possa essere realizzato nelle singole ipotesi.
È vero che l'esperienza del tribunale di Torino è ottima. Mi permetto, tuttavia, di dubitare del fatto che si possa tener conto di quella torinese come di un'esperienza significativa di quello che avverrà a breve su tutto il territorio nazionale. Abbiamo sentito che l'esperienza di Torino ha avuto tempi di rodaggio molto lunghi, anche per Torino. Inoltre, questa città è davvero un caso particolare, non perché è del nord. In verità, evitando una lunga disquisizione sociologica, Torino è una realtà pilota nel campo della giustizia riparativa, cioè siamo in un ambito in cui culturalmente sia la magistratura, sia l'avvocatura sia gli enti locali, da più di un decennio, fanno un lavoro di questo genere.
Il tribunale per i minorenni di Torino fa mediazione penale e giustizia riparativa – faccio presente che la mediazione penale nel sistema minorile non esiste – già da anni nella prassi, cioè sono già partiti Pag. 20da tempo sulla base di logiche pionieristiche che è inevitabile che contagino a macchia tutto il sistema. Quindi, sia pur a fronte di un tribunale che non è – come si diceva poco fa – necessariamente il più efficiente, su queste logiche sono avanti, non per scienza infusa ma perché hanno un'esperienza alle spalle davvero lunga di sperimentazione in questo campo. Invece, bisogna sapere che altrove si comincia da zero.
Allora si pone il rischio concreto di stabilire cosa succede quando un imputato chiede di accedere a un beneficio previsto dalla legge con il vantaggio dell'estinzione del reato e – in quella sede, in quel momento – il posto per il lavoro di pubblica utilità non c’è. Siccome non è colpa sua non possiamo negargli il beneficio. Si pone – ripeto – il problema giuridico serio di cosa fare. Glielo dobbiamo procurare per forza ? Dobbiamo costringere gli enti locali ? Gli enti locali non dovrebbero avere il diritto di organizzarsi, gestire i costi e l'organizzazione ?
Ora, sotto questo profilo, c’è poco da fare. Siamo in presenza di un rischio. Quindi, per non fare il salto nel buio, occorrerebbe evitare che il lavoro di pubblica utilità sia un contenuto imprescindibile per alcune fattispecie, per le quali si potrebbe eliminare o comunque prevedere come uno dei diversi possibili contenuti.
In alternativa, si tratta tuttavia di una soluzione di più basso profilo, si potrebbe introdurre una norma analoga a quella che c’è già all'articolo 6 della proposta di legge, a proposito dell'obbligo – tra l'altro, molto apprezzabile – di attivazione del ministero rispetto alla consistenza dell'organico degli uffici di esecuzione penale esterna. Effettivamente, un altro problema che si potrebbe creare è questo. Non so quanto gli UEPE possano gestire, a parità di organico, anche questo fattore in più nel loro carico di lavoro. È giusto, quindi, andare a verificare la loro consistenza.
Forse, anche su questo, si potrebbe inserire una misura che imponga al Ministero di organizzare il lavoro di pubblica utilità, cioè impostare seriamente i contatti con gli enti locali, un'anagrafe nazionale delle convenzioni, verificare i posti, stabilire degli incentivi e così via. Non so cosa si possa immaginare sul piano politico, ma penso a un qualcosa che permetta di arrivare all'implementazione e all'esecuzione della normativa, tenendo conto che oggi siamo impreparati sulla maggior parte del territorio nazionale.
Faccio osservare che nella messa alla prova minorile oggi molti criticano, per esempio, il fatto che le statistiche evidenziano che la messa alla prova è utilizzata di più o di meno sul territorio nazionale a seconda dei distretti di corte d'appello sulla base della maggiore o minore disponibilità degli uffici di servizio sociale, in termini di organico e risorse.
L'unico elemento di vantaggio di questa proposta di legge, dal punto di vista del sistema, non è il sovraffollamento carcerario, quanto la deflazione processuale. Sotto questo profilo, è apprezzabile che la proposta stessa tenga conto della possibilità di realizzare la messa alla prova anche nel corso delle indagini preliminari.
Mi limito qui a due osservazioni. Mi rendo conto della difficoltà di imporre un'organizzazione su una mera iniziativa dell'imputato del programma di messa alla prova in sede stragiudiziale, cioè direttamente con gli uffici per poi presentarla al giudice. È anche vero che eliminare questo passaggio e passare necessariamente in prima battuta per il giudice – tendenzialmente in questi casi, essendo un procedimento a citazione diretta, è immaginabile che sia il giudice dibattimentale – impone di arrivare comunque alla fase dibattimentale, sia pur prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e poi far passare la sospensione del processo attraverso una serie di rinvii. Questo è quello che succede anche nella messa alla prova minorile, paradossalmente in un sistema – come quello minorile – in cui i servizi sociali sono coinvolti fin dall'inizio. Tuttavia, la maggior parte delle volte arrivano in udienza preliminare senza aver fatto queste verifiche, per cui si rinvia a ripetizione e si perde molto tempo.
Una possibilità potrebbe essere quella di inserire un avviso del pubblico ministero Pag. 21in corso d'indagine simile a quello che si fa per l'oblazione. Pertanto, il pubblico ministero che fosse disponibile ad addivenire a una soluzione di questo genere già in corso di indagine potrebbe darne avviso prima ancora della conclusione delle indagini alla persona sottoposta ad indagini. In questo modo si aprirebbe subito una strada a questa soluzione prima dell'esercizio dell'azione penale nelle forme ordinarie.
Un'altra possibilità potrebbe essere quella di imporre comunque il passaggio per gli uffici. Tuttavia, là dove ci siano delle condizioni di oggettivo congestionamento, si potrebbe imporre che la domanda venga presentata prima, ma che si possa – come avviene per l'articolo 35 del rito penale di pace – chiedere una sospensione del dibattimento, quindi un rinvio per il programma, laddove si dimostri l'impossibilità di averlo potuto organizzare prima. Se l'impossibilità dipende dagli uffici, l'imputato deve avere il diritto di ottenere questa chance anche successivamente. Ciò, però, non deve dipendere dalla sua inattività.
Mi sembra poi un limite il fatto che ci sia un riferimento in più punti al ruolo della vittima, senza un quid pluris di coraggio che forse in questa sede costerebbe, peraltro, poco. Si fa riferimento al risarcimento del danno e al tentativo di conciliazione. Forse varrebbe la pena di menzionare esplicitamente la mediazione penale, che non è il tentativo di conciliazione tradizionale, ma è ispirato a protocolli di intervento molto più complessi per i quali alcuni uffici, anche di servizio sociale giudiziario a carattere regionale, si stanno ormai attrezzando.
Peraltro, rispetto a questo aspetto l'Italia è in difetto perché avremmo dovuto prevedere la mediazione come soluzione disponibile in tutto il sistema sulla base di una decisione quadro che ci imponeva di realizzarla per la verità molto tempo fa. Tuttavia, non abbiamo dato nessuna risposta. Ecco, questa forse potrebbe essere la prima volta. Abbiamo la mediazione in una nicchia nell'articolo 29 del rito penale di pace, visto che ci siamo, questa mi sembra la sede opportuna per fare qualcosa di più e aggiungere a quel tentativo di conciliazione che ha come punto del programma esplicitamente un riferimento ai protocolli di mediazione penale.
Per quanto riguarda le caratteristiche dell'istituto, vorrei notare che istituti di questo genere sono molto innovativi per noi. Dovrebbero reggere anche all'impatto con il dettato costituzionale sulla base di due o tre accortezze. Poggiano sul consenso dell'imputato, che dobbiamo considerare come fattore di bilanciamento anche rispetto ad alcuni princìpi costituzionali – su questo non mi dilungo – come garanzia giurisdizionale, la tutela del diritto di difesa, la legalità e il rigore nella definizione dei criteri applicativi in entrata e in uscita, cioè quali casi posso andare in messa alla prova e come si valutano gli esiti, quindi la revoca e l'esito positivo o negativo. Sotto questo profilo, generalmente, la proposta di legge mi sembra decisamente buona.
Aggiungerei un minimo di specificazione per quanto riguarda i criteri di valutazione in entrata perché forse i parametri sono fumosi. Per esempio, il giudizio di idoneità in genere è un giudizio di relazione, quindi specificherei in rapporto a che cosa deve essere idoneo (alla rieducazione, alla risocializzazione, al contenimento del rischio di recidiva e così via). Si potrebbe fare, come avviene altrove, per le pene di carattere domiciliare, un riferimento esplicito all'articolo 133 del Codice penale. Per esempio, non è casuale che la giurisprudenza di merito sia sulla messa alla prova sia sull'irrilevanza del fatto minorile, che sono istituti molto vaghi, si è già fatta carico di indicare nella giurisprudenza il ricorso all'articolo 133 come bussola orientativa del giudizio e delle decisioni del giudicante.
Le garanzie giurisdizionali si potrebbero anche potenziare. Per esempio mi sembra un poco ambigua la limitazione dei poteri di intervento del giudice sul contenuto del progetto. Ora, al di là del fatto che si possa chiedere o meno in prima battuta al giudice o agli uffici di servizio sociale, mi lascia sempre perplessa Pag. 22che il contenuto di una misura che è sostanzialmente penale possa essere decisa dagli uffici di servizio sociale. L'ultima parola dovrebbe averla il giudicante.
Inoltre, quel potere di intervento così come è limitativo: fa riferimento a misure di sostegno che non si sa bene se sono tutte quelle di quei contenuti oppure solo alcune che possano essere interpretate come tali, ma comunque non a tutte le misure di carattere ripartivo e non al risarcimento del danno. Dico questo perché nella messa alla prova ci sono equivoci proprio perché c’è questo limite. Peraltro, a un certo punto non sono più neanche equivoci poiché c’è una pronuncia della Corte di Cassazione che dice chiaramente che il giudice minorile se non approva il progetto lo respinge, ma non può intervenire.
Ora in questo caso stabilirei chiaramente in partenza cosa può fare il giudice. Purché ci sia il consenso dell'imputato, il giudice dovrebbe poter modificare direttamente il progetto per qualunque tipo di prescrizione, per cui varrebbe la pena generalizzare e non scendere troppo in dettaglio.
Vorrei fare due osservazioni sollecitate dalle riflessioni di chi mi ha preceduto. È vero che il consenso del pubblico ministero in corso d'indagine può sembrare strano, ma ha delle ragioni, per cui, francamente, lo vedrei come necessario. È vero che ci vuole un accertamento sulla responsabilità, anzi nella proposta di legge direi che non ci si accontenta del fumus. Il meccanismo decisorio dovrebbe essere simile a quello del patteggiamento. È il meccanismo a regola di giudizio rovesciata previsto dall'articolo 129 del Codice di procedura penale, che si applica in quanto non risultino gli elementi per prosciogliere immediatamente.
Questo, però, presuppone l'esercizio dell'azione penale, il che vuol dire che se lo si vuole fare in corso di indagine il pubblico ministero deve esercitare l'azione. Tuttavia, siccome non lo possiamo costringere a esercitare l'azione prima del completamento delle indagini, occorre aspettare che abbia concluso le indagini, per cui il pubblico ministero ha un obbligo di completezza; del resto se non le avesse completate non potrebbe esercitare l'azione penale perché sarebbe ancora in piedi l'ipotesi dell'archiviazione. Insomma, deve aver sciolto l'alternativa azione/archiviazione. Va da sé che la messa alla prova non può bypassare l'archiviazione. Se si può archiviare, quella scelta deve avere la priorità.
Allora, l'unica possibilità può essere indurre il pubblico ministero a prendere posizione anticipatamente, se ritiene di non aver nessun'altra indagine da fare, quindi di poter completare anticipatamente l'inchiesta, esercitare l'azione penale e ammettere il giudice a fare un accertamento sia pure con una regola di giudizio affievolita rispetto a quella dibattimentale. A quel punto, abbiamo una situazione di accertamento della colpevolezza allo stato degli atti. Quindi, se durante la sospensione emergono prove a discarico nulla vieta di prosciogliere, anche in itinere; se non emergono si va avanti ed eventualmente si chiude con un esito positivo, che certo presuppone l'accertamento della colpevolezza, sia pure a bocce ferme. In quel caso, è il consenso dell'imputato a permettere di chiudere l'indagine, e quindi anche l'istruttoria, potenzialmente in anticipo.
Ammettere la confessione come requisito mi sembra un po’ troppo. Vedrei, infatti, due ostacoli, uno giuridico e uno pratico. Quello giuridico sta nel fatto che la confessione come presupposto di un beneficio entrerebbe in rotta di collisione con il diritto di difesa e la presunzione di colpevolezza e metterebbe a rischio di illegittimità costituzionale l'istituto. Dal punto di vista pratico, inoltre, gli imputati non rischierebbero di affrontare un istituto di questo genere a fronte della possibilità che le cose vadano male perché, se vanno male, poi riprenderebbe il processo e si ritroverebbero addosso la spada di Damocle di una confessione già resa per ottenere il beneficio. Direi, pertanto, che questo sarebbe fortemente disincentivante.
Sotto questo profilo, cioè quello degli incentivi, mi sembra saggio, invece, prevedere Pag. 23lo scomputo del presofferto. Come si ricordava prima, è pur sempre una misura penale. Entro certi limiti, vi sono anche delle limitazioni di libertà, quindi forse non mi sembra particolarmente scandaloso che si conceda un minimo di riconoscimento in questo senso.
Mi fermo qui. Resto a disposizione per eventuali domande.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti e vi invito a inviarci degli ulteriori contributi, se li avete. Poiché dobbiamo fare questa proposta che dovrà essere coraggiosa, come ci è stato richiesto, vorrei precisare che questa è già coraggiosa anche per essere stata approvata in fine legislatura. Siccome l'ho vissuta anche come correlatrice, insieme all'onorevole Costa, sono confortata dal fatto che i limiti non sono tanti, almeno rispetto alle critiche che ricevono i provvedimenti quando escono dal Parlamento. Dico, tuttavia, che, come ricorderà il correlatore onorevole Costa, sono limiti su cui ha pesato – voglio rispondere soprattutto a chi ha detto che può significare poco per via di questo limite di 4 anni – un contesto molto difficile da superare.
Innanzitutto questa era la base del disegno governativo, in cui già c'era la previsione di 4 anni. Inoltre, in quella discussione ricordo – non so se fossero periodi pre-elettorali – che questo provvedimento che alcuni considerano poco coraggioso, è stato qualificato da altri come un modo per fare un indulto o una mini-amnistia.
Tra l'altro, tenevo a precisare che non abbiamo mai detto che questo provvedimento è in grado di risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Piuttosto si inserisce in una serie di provvedimenti che speriamo matureranno in questa legislatura, per lo meno in parte, e che aprono un percorso. Sono contenta di aver ricevuto un'incitazione ad andare avanti su questa strada. Poi, a questo punto, dato che sono state fatte delle osservazioni anche molto pertinenti, vi chiedo di trasmetterci, sia per i relatori sia per la Commissione, delle proposte emendative e migliorative del testo, che saranno sicuramente apprezzate da tutti e poi valutate in sede di discussione ulteriore.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ENRICO COSTA. Vorrei fare un paio di domande all'avvocato Spigarelli, che ha posto il tema delle sanzioni accessorie e amministrative e ha fatto riferimento a una equivocità del testo. Su questo dovremmo confrontarci, ma penso che almeno la chiarezza sia necessaria. Dopodiché dobbiamo fare la scelta politica in un senso o in un altro. Chiedo, quindi, un consiglio anche su come procedere dal punto di vista della tecnica normativa.
Vi è, poi, un altro aspetto che non vorrei andasse a inquinare il provvedimento, cioè il tema «svuota carceri». Abbiamo un termine, ma anche dei problemi, per cui è opportuno inserire questo argomento nell'ambito di un provvedimento che comunque ha una finalità che può, in un certo senso, agganciarsi oppure no ? Infatti, è chiaro che dovremo intervenire anche sotto questo profilo. Non so se lo faremo noi o il Governo, magari con un decreto-legge. Tuttavia, non dobbiamo trascurare l'argomento.
VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane. Vorrei specificare che il riferimento all'appetibilità della messa alla prova non nasce dal fatto che considero equivoca la norma. Mi pare che la norma dica che anche all'esito positivo della messa alla prova c’è applicazione di...
PRESIDENTE. Su questo occorre un'interlocuzione. Come dicevo prima, si estingue proprio il reato, non la pena.
VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane. Per quanto riguarda le pene accessorie, mi pare sia implicito. Invece, per quanto riguarda le sanzioni amministrative non le estingue affatto. Questo era esattamente il problema che, rivoltato, veniva dichiarato Pag. 24appetibile dal presidente del tribunale di Torino. Il passo in più, in questo caso, sarebbe su tale questione.
Rispondo anche al discorso «svuota carceri» o meno. Come dicevo prima, questo è un passo che coraggiosamente si è fatto, ma non è che risolva il problema contingente. Occorre una rivisitazione del sistema complessivo delle pene – di questo dovremmo finalmente discutere – con un'ottica sana, cioè di pene effettive, efficaci, retributive, che raggiungono lo scopo di prevenzione generale, non necessariamente con il carcere al loro centro.
In un recente convegno che abbiamo fatto a Milano, non un chierico del diritto, ma un estraneo come Veronesi – peraltro molto criticato, ma secondo me molto coraggioso – citava le percentuali di recidiva della Norvegia che non ha l'ergastolo, ha un massimo di 20 anni e un sistema particolare, e tuttavia ha solo il 10 per cento di recidiva mentre la nostra percentuale è molto più significativa. Va spiegato, pertanto, che questo provvedimento non è un cedimento a qualche cosa. Al contrario, dobbiamo spendere la moneta della sicurezza; dobbiamo far comprendere che questi istituti rafforzano la sicurezza. Da questo punto di vista, bisogna fare il passo ulteriore.
Per quanto riguarda il discorso delle carceri, la posizione degli avvocati penalisti contro i loro interessi è nota. A situazioni emergenziali, di degrado, di carcere equiparato da una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo a un trattamento inumano non si può che rispondere con provvedimenti altrettanto emergenziali. Bisogna, però, avere il coraggio di prenderli. Non si possono stipare 20.000 persone in più dentro le carceri.
Andiamo tutti i mesi in 2-3 prigioni italiane e quello che vediamo è incredibile. Lo sanno tutti quelli che entrano nelle celle (non gli uffici colloqui). Non possiamo rinviare anche perché, tra l’ altro, bisognerà fare i conti. Prima o poi qualcuno li farà, ma già piovono le richieste. Quella è una sentenza pilota, ma si rischia una débâcle finanziaria se non si interviene. Peraltro, non è che vi siano molte maniere emergenziali per intervenire: ce n’è una sola significativa e la conoscete tutti.
PRESIDENTE. Purtroppo, da sola non basta. Altrimenti facciamo lo stesso errore dell'altra volta.
RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Il tema delle carceri è molto complesso. È chiaro che questa proposta di legge non è la panacea. Il problema è non arrivare all'ultimo giorno concesso dalla Corte europea per poi dire che c’è un unico strumento, ossia quello emergenziale che suggeriva l'avvocato Spigarelli. D'altronde, lo strumento emergenziale è stato già utilizzato nel 2006, ma adesso siamo di nuovo punto e a capo, se non peggio di come stavamo prima.
In due parole è molto complicato dire quali sono gli strumenti. Una riflessione molto seria è stata già avanzata. Mi riferisco a quello che è avvenuto da parte della Commissione Giostra del Consiglio superiore della magistratura, che è un atto compiuto. Inoltre, abbiamo partecipato ad alcune audizioni nel corso della precedente legislatura in tema, a esempio, di misure cautelari, facendo riferimento a una complessiva rivisitazione del sistema sanzionatorio.
Ora, è chiaro che vi sono alcune misure che possono essere adottate in tempo breve o brevissimo, mentre altre richiedono tempi molto più prolungati. Se, però, si comincia a lavorare seriamente su questo aspetto, allora ritengo che non arriveremo all'ultimo giorno utile per dire che c’è solo l'amnistia o l'indulto.
CLAUDIA CESARI, Professoressa di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Macerata. Dal punto di vista della «decarcerizzazione», la messa alla prova non è una soluzione, ma bisogna tener conto di misure di questo genere, come l'inserimento di provvedimenti in alternativa a quelli classici di carattere domiciliare. In quella sede, tra l'altro, è visto con moltissimo favore il riferimento Pag. 25al controllo elettronico, quindi al braccialetto elettronico (o alla cavigliera elettronica), cioè a modalità di controllo radicalmente alternative rispetto alla collocazione in istituto e quindi anche forme di limitazione di libertà diverse da quelle tradizionali che decomprimano i penitenziari.
Comunque, si tratta di soluzioni che entrano nel sistema, cominceranno a radicarsi ed evitano di arrivare all'emergenza e quindi all'esigenza della soluzione emergenziale. Certo, sono un primo passo, ma dal punto di vista della cultura della pena sono importanti.
In un recente convegno l'ex presidente di «Antigone» ha osservato che la mancata conclusione del procedimento legislativo proprio per questo provvedimento, sia pur con tutte le perplessità rispetto all'impatto con le carceri, era un segnale molto negativo, nel senso che si tratta di provvedimento che, dal punto di vista culturale, è il volàno di un tipo di concezione della reazione istituzionale e sociale alla devianza che è alternativa al carcere, quindi può favorire questo processo. Questo è solo il primo passo. Ci sono, infatti, pacchetti di proposte – penso al «pacchetto Giostra» – già pronti e che devono solo essere valutati e portati a compimento. Ovviamente, questo è soltanto auspicabile.
TANCREDI TURCO. Vorrei porre tre brevi domande. Per quanto riguarda l'istituto della messa alla prova, visto che esiste già l'istituto il beneficio della sospensione condizionale della pena, mi domando quanto questo nuovo istituto verrebbe applicato concretamente e quando converrebbe applicarlo.
Inoltre, poiché questo istituto riguarda solo i reati che hanno come massimale della pena i 4 anni, mi domando se ritenete che ci possono essere delle tipologie di reati non meritevoli, anche se hanno un massimale fino a 4 anni, di beneficiare di questa misura.
Infine, l'avvocato Spigarelli diceva che con questo istituto rimangono comunque fuori sia il furto aggravato sia gli episodi di piccolo spaccio, vorrei chiedergli se ritiene che attribuire la discrezionalità al giudice, in modo che possa intervenire anche per altri tipi di reati che hanno un massimale maggiore, possa essere un modo concreto per migliorare questa legge.
GIULIA SARTI. Vorrei ricordare, oltre ai lavori della Commissione Giostra, anche quelli della Commissione Pisapia, che sono molto utili e meritano di essere tenuti in considerazione. Inoltre, venerdì scorso ho partecipato all'Assemblea nazionale di «Antigone» perché ci sono tre proposte di legge d'iniziativa popolare, per le quali la raccolta firme è già partita e che probabilmente verranno depositate a ottobre, se si riusciranno a raccogliere le 50.000 firme, che riguardano la revisione del Testo unico sulle droghe, l'introduzione del reato di tortura e un pacchetto di proposte sul sovraffollamento carcerario.
Penso che anche queste possano essere una base di partenza molto buona. Pertanto, al di là del fatto che possano essere o meno depositate in Parlamento con le 50.000 firme, sarebbe il caso di iniziare a tenerle in forte considerazione.
VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane. Sulla questione della limitazione dell'impatto della norma è ovvio che deve essere una disposizione scritta. Non si può dare una discrezionalità al giudice perché altrimenti la norma sarebbe chiaramente incostituzionale. Invece, si potrebbero alzare i limiti di pena a cui l'istituto è applicabile, che credo sarebbe la scelta d'elezione, oppure, in via subordinata – per usare un gergo da avvocato – accanto a un limite prefissato, si potrebbe identificare una serie di reati che, oggettivamente, anche se hanno pene più elevate, possono essere oggetto di questo strumento. Queste sono le due alternative. Non si può, però, lasciare al giudice la discrezionalità senza delimitare l'applicabilità dell'istituto.
Non dico nulla sulle proposte di legge perché stiamo raccogliendo le firme assieme ad «Antigone». Dico solo che quello Pag. 26sulla tortura sarà un altro discorso che va assolutamente preso in considerazione da questo Parlamento. Spero che lo faccia prima ancora che si finisca di raccogliere le firme.
RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Per quanto riguarda i rapporti con la sospensione condizionale direi che sono istituti completamente diversi. Oltretutto, la sospensione condizionale presuppone la celebrazione del processo, mentre la messa alla prova ha proprio finalità di evitare la celebrazione del processo. Inoltre, nel momento in cui non vi sono le condizioni per la concessione della sospensione condizionale evidentemente l'imputato sarà indotto a scegliere questa soluzione.
Quanto al discorso dell'esistenza di reati non meritevoli, pur compresi nel limite edittale, è la situazione contraria rispetto all'opportunità di estendere. Va detto che il giudice, pur nel limite dei 4 anni...
PRESIDENTE. Una delle problematiche che si è posta nella precedente legislatura è che nel disegno di legge Severino era escluso lo stalking. Siccome, poi, nella delega la detenzione non carceraria da automatica è stata cambiata, diventando alternativa, è stata esclusa qualsiasi tipologia di reato. Il problema, tuttavia, si riproporrà, quindi penso che la domanda dell'onorevole Turco sia più che pertinente.
RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Ricordavo, infatti, il problema dello stalking. In generale, si possono introdurre delle esclusioni oggettive, così come si può introdurre anche un riferimento per titoli di reato che vadano oltre il limite della pena edittale di 4 anni. Il punto è che spesso il titolo del reato in sé stesso non è molto indicativo della reale concreta gravità del fatto. Spesso si rischia di amplificare la gravità su valutazioni di tipo astratto che non tengono conto né del fatto oggettivo – che può essere anche molto modesto, pure entrando evidentemente nella previsione di reato – né di situazioni soggettive perché, pur a fronte di fatti modesti, condizioni soggettive e personali di vita, così come peraltro espressamente indicato nel testo, possono essere ostative alla concessione della messa alla prova. Tutto sommato, il testo lascia una discrezionalità al giudice. Forse, quindi, bisogna concedere un po’ di fiducia anche nel buon uso che sarà fatto di questa discrezionalità.
Per rispondere all'ultima domanda, è possibile ampliare. Per esempio, in materia di decreto di citazione diretta a giudizio si è seguita esattamente questa strada, cioè quella di stabilire in via generale un limite edittale e poi estenderlo ad altri titoli di reato.
Ho ascoltato molto attentamente quello che è stato detto dall'avvocato Spigarelli e sono d'accordo. Il problema è che, nel momento in cui il legislatore intende introdurre una riforma, occorre porsi anche il problema della realizzazione concreta della riforma stessa. Non so cosa potrebbe accadere se da un giorno all'altro tutti i tribunali d'Italia fossero invasi dalla necessità di far fronte a migliaia di convenzioni di lavoro di pubblica utilità, per questo prima avevo fatto riferimento a un utile periodo di sperimentazione.
CLAUDIA CESARI, Professoressa di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Macerata. Mi sembra importante rispondere all'onorevole Turco, in riferimento al tipo di reato. Non dico nulla sulla sospensione condizionale, rispetto alla quale sono d'accordo. In questi casi, l'obiettivo sarebbe evitare di arrivare alla sospensione condizionale perché è una perdita di tempo e uno spreco di risorse. Questa, invece, è una misura più efficace della sospensione. È più immediata e visibile; dà maggiore soddisfazione e più presto alla vittima.
Sul tipo di reato, direi che reati più gravi di questi bisogna prevederli, altrimenti il riferimento non è estensibile per via discrezionale. Tuttavia, all'interno di quella cornice astratta la discrezionalità Pag. 27del giudice c’è, nel senso che questi non è obbligato a concedere la messa alla prova, bensì deve valutare. Quando valuta l'idoneità del programma – per questo dicevo che forse si potrebbe precisare ulteriormente; direi che comunque la norma si può intendere in questo senso anche con questa formulazione del testo – deve considerare la gravità concreta.
Il punto è che il problema non è la gravità astratta perché all'interno della cornice edittale, cioè della descrizione formale di una condotta criminosa, in concreto ci sono i comportamenti più svariati, da quelli sciocchi fino a quelli gravissimi. Ora, la quantificazione della gravità va fatta caso per caso, quindi il programma deve essere adeguato a quella gravità.
Se il giudice ritiene che per quel tipo di persona per quel tipo di condotta in concreto non sia concepibile una soluzione di questo tipo non è tenuto ad accogliere la proposta. Faccio notare che, molto apprezzabilmente, è previsto a questo scopo un contraddittorio con l'offeso, che c’è costantemente, indipendentemente dalla costituzione di parte civile. Il parere dell'offeso, anche se non è un potere di veto, dovrebbe servire anche a valutare qual è la percezione della vittima, cioè qual è, in concreto, il tipo di offensività, quindi anche di caratura, in termini di gravità reale, della condotta dal punto di vista di chi ha subìto il reato. Grazie.
PRESIDENTE. Vi ringrazio dei notevoli contributi e del tempo che ci avete dedicato. Se avete anche delle indicazioni brevi e sintetiche da inviarci, ci saranno utili per migliorare il provvedimento. Visto che l’iter legislativo non è stato completato nella scorsa legislatura, cerchiamo di fare uscire un provvedimento migliore.
Questa Commissione si è messa subito al lavoro su tali provvedimenti e – lo dico anche per la questione del sovraffollamento carcerario – nella seduta di domani svolgeremo la relazione degli onorevoli Sarro e Rossomando sulla riforma della misura cautelare in carcere, dove in uno degli articoli finali c’è anche un'appendice che riguarda la diminuzione della pena massima da 6 a 3 anni per il piccolo spaccio. Quindi, questo è già contenuto in quel provvedimento, all'articolo 8.
Si tratta, dunque, di discuterla con le priorità che abbiamo. Inoltre, abbiamo anche iniziato la riforma dell'articolo 416-ter. Per quanto riguarda il provvedimento – dico questo anche perché ci sono anche i rappresentanti del Governo – sulle misure alternative alla detenzione carceraria ci sono state la Commissione Pisapia, la Commissione Grosso e così via. Tuttavia, l'ultima, la Commissione Giostra, è quella che ha messo a punto il provvedimento più attuale. Devo dire che in Parlamento sono la prima firmataria, ma dietro di me ce ne sono tanti altri, di una proposta di legge che abbiamo depositato e che dà conto di questo lavoro, quindi non si prende nessun merito, traducendolo in articolato. Ovviamente, quello è un intervento molto sistematico, anche sull'ordinamento penitenziario, quindi credo che sia uno dei provvedimenti che, anche in maniera autonoma, il Governo possa assumere in via primaria proprio per dare delle risposte urgenti.
Insomma, senza appropriarsi di lavori altrui, diamo conto di un lavoro che è stato fatto da una Commissione mista, che comprende rappresentati del ministero, del Consiglio superiore, della magistratura di sorveglianza e che dà dei segnali importanti. Su questo, sollecito, dunque, il Governo a prendere in mano questa materia perché come Commissione più di tanto non possiamo fare, visto che i tempi sono stretti.
Ringrazio nuovamente tutti gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 17.25.