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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 30 maggio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'EFFICACIA DEL SISTEMA GIUDIZIARIO

Audizione di Giovanni Tamburino, capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano, e di Claudio Castelli, presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano.
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 
Tamburino Giovanni , Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 2 
Ferranti Donatella , Presidente ... 4 
Amoddio Sofia (PD)  ... 5 
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 
Marotta Antonio (PdL)  ... 5 
Vazio Franco (PD)  ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Tamburino Giovanni , Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Pomodoro Livia , presidente del tribunale di Milano ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Castelli Claudio , Presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Vazio Franco (PD)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Vazio Franco (PD)  ... 13 
Ferri Cosimo , sottosegretario di Stato alla giustizia ... 13 
Vazio Franco (PD)  ... 13 
Ferri Cosimo , sottosegretario di Stato alla giustizia ... 13 
Ermini David (PD)  ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Ermini David (PD)  ... 14 
Sarro Carlo (PdL)  ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Pomodoro Livia , presidente del tribunale di Milano ... 15 
Castelli Claudio , Presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Giovanni Tamburino, capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano, e di Claudio Castelli, presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'efficacia del sistema giudiziario, in relazione all'esame della proposta di legge C. 331 Ferranti, recante la delega al governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, l'audizione di Giovanni Tamburino, capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano, e di Claudio Castelli, presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano.
  Prosegue il ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'efficacia del sistema giudiziario. Oggi saranno svolte audizioni con riferimento alla proposta di legge C. 331 recante la delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, il cui esame è stato avviato dalla Commissione giustizia il 21 maggio scorso.
  Ieri abbiamo avuto una prima seduta di audizioni. Oggi proseguiamo e ultimiamo il ciclo con la presenza del Presidente Giovanni Tamburino, che ringrazio, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Oltre ad avere la possibilità di ottenere da lui riferimenti alla proposta di legge in discussione, forse emergeranno dal dibattito anche alcuni elementi che più attengono alla situazione carceraria.
  Proseguiremo poi, non appena arriveranno, con la Presidente Pomodoro e il Presidente Castelli.
  Do la parola al Presidente Tamburino.

  GIOVANNI TAMBURINO, Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Buongiorno, presidente. Buongiorno a tutti i componenti della Commissione e a tutti i deputati di recente nomina.
  Io ho già avuto, rispetto al precedente Parlamento, occasione di essere audito dalla Commissione giustizia. In uno di questi incontri si era affrontato anche il tema delle misure alternative e delle sanzioni sostitutive. Si tratta di argomenti di grande importanza, che attengono a una serie di profili.
  Ovviamente il profilo primario è quello della sicurezza della società e dei cittadini di fronte al fenomeno del crimine, un profilo, peraltro, riferibile anche al sistema penitenziario, che, come tutti sappiamo, attraversa un momento molto critico per il sovraffollamento e anche per altre ragioni.Pag. 3
  Questo disegno di legge, a mio parere, presenta alcune caratteristiche positive, che mi permetto di sottolineare.
  Innanzitutto, nel primo articolo si adotta un sistema di delega al Governo per quanto riguarda la determinazione di nuove sanzioni. Mi riferisco ai commi 1 e 2 dell'articolo 1. Questo sistema mi sembra da apprezzare, perché la questione è di notevole complessità e io ritengo che il metodo della legislazione delegata sia quello più produttivo rispetto ai risultati da raggiungere.
  Un punto che potrebbe essere forse rivisto riguarda la limitazione delle sanzioni alternative alla lettera a) al limite della reclusione del massimo dei quattro anni. È un limite edittale, che, secondo un rilevamento sul quale non potrei giurare al 100 per cento, ma che ha una sua attendibilità, se applicato oggi all'universo carcerario che conosciamo, darebbe un risultato di un decremento contenuto, sotto le mille unità.
  Non sono molti, infatti, i reati che hanno pena edittale massima fino a quattro anni e soprattutto non sono molti quelli che conducono effettivamente in carcere le persone. Si potrebbe forse al riguardo rivedere questo limite, o innalzandolo e portandolo a cinque anni, oppure ricorrendo al sistema dell'enucleazione di alcuni reati ulteriori, che magari hanno una notevole numerosità di ricadute di applicazioni concrete, ma non presentano un profilo di forte allarme sociale.
  Questa è l'unica considerazione che mi sentirei di svolgere, nel sottolineare un grande apprezzamento per il Parlamento e per chi sostiene questo disegno. Per la prima volta, o quasi, si introduce una pena principale nel sistema penitenziario che rompe la dicotomia tra pena detentiva e pena pecuniaria.
  Si apre, così, uno spazio: anche se si tratta ancora di una pena personale limitativa della libertà, è una pena detentiva principale che non è la reclusione in carcere. Si tratta di una detenzione presso l'abitazione del condannato, in tal senso si chiama reclusione, ma è un esempio, forse uno dei primi, di apertura a sanzioni che non siano la detenzione o la pena pecuniaria. Questa è la considerazione che ritengo di sviluppare.
  C’è poi l'articolo 2, che riguarda la sospensione del procedimento con messa alla prova. Anche questo avrà ricadute sul sistema penitenziario, perché comporterà un minore ricorso alla sanzione e, quindi, anche alla sanzione detentiva. Alla sospensione si aggiunge la prestazione di lavoro di pubblica utilità.
  Occorre precisare che queste ricadute positive si verificheranno nel tempo. Rispetto alla situazione carceraria odierna, di per sé, questa norma non produce alcun effetto. Nel tempo dovrà, invece, produrre una riduzione, così come abbiamo visto che le norme del 2010, la legge n. 199 e la legge n. 9, ampliata nel 2012, hanno prodotto un risultato importante. Le due leggi hanno avuto, infatti, oltre 14.000 casi di applicazione, con effetti largamente positivi. Nei 14.000 includo sia i soggetti detenuti usciti, sia quelli non entrati dalla libertà.
  A questa larga applicazione delle due recenti leggi, a mio parere molto equilibrate e positive, si deve senza dubbio il fenomeno, al quale assistiamo dal 2010, della stabilizzazione della popolazione penitenziaria, peraltro verso il basso. Nel giugno del 2010, o comunque nel secondo semestre del 2010, abbiamo raggiunto un picco che ha sfiorato le 69.000 presenze. Oggi, invece, siamo un po’ sotto le 66.000.
  Senza voler essere ottimisti, è in corso sicuramente una stabilizzazione della popolazione penitenziaria, che, se guardiamo il fenomeno dal 2006, post indulto 2010, aveva visto una crescita veramente tumultuosa e impressionante.
  Considerando che sia il fenomeno criminale, sia gli altri fenomeni che determinano i flussi di ingresso della popolazione penitenziaria non sono variati, anzi, sotto alcuni profili il fenomeno criminale in sé ha dimostrato alcune punte di innalzamento, ritengo che questo andamento assai positivo del trend della popolazione penitenziaria sia da attribuire soprattutto a questi interventi normativi.Pag. 4
  Mi fermerei qui, presidente. Se ci sono domande, sono a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Possiamo aprire il dibattito per le domande. Se posso, ne pongo subito una io.
  Se ho capito bene, c’è un primo rilievo che il presidente svolge, riferito alla scarsa applicabilità o comunque allo scarso effetto deflattivo che potrebbe avere la delega al Governo per le pene detentive non carcerarie, all'articolo 1, riferita a reati che hanno pene del massimo edittale, ossia in astratto, di quattro anni.
  Non ho capito se la soluzione è quella di alzare il limite a cinque anni – peraltro, nel dibattito parlamentare della scorsa legislatura questo aspetto era già presente – oppure quella di individuare alcune tipizzazioni di reati di scarso allarme sociale.
  Vorrei portare nella domanda un rapporto che deriva proprio dal dibattito parlamentare. Questo limite, che sembra così basso, è stato tanto sofferto in Aula, lo ripeto. In realtà, c’è una difficoltà. Si parla di pene definitive che saranno all'esito di sentenze di condanna e, quindi, c’è la difficoltà di far passare il messaggio di una condanna definitiva per la quale sia, in alternativa, prevista una pena detentiva non carceraria.
  Vorrei sapere se, dal suo punto di vista, anche ai fini dell'effetto deflattivo, perché questi provvedimenti vanno in quel senso – dobbiamo rispondere alla sentenza della Corte europea del diritti dell'uomo (CEDU) – potrebbe essere meglio alzare il limite edittale e, quindi, magari arrivare a cinque anni, oppure individuare alcune fattispecie tipiche di reato di minore allarme sociale che possano essere più frequenti e che possano creare il sovraffollamento per un tipo di criminalità in fondo marginale.
  Inoltre, mi veniva segnalato che noi abbiamo previsto un coordinamento di questa delega, alla lettera h), che riguarda detenzioni alternative al carcere, con gli altri provvedimenti che sono stati assunti dal Parlamento riguardanti proprio la detenzione domiciliare fino a diciotto mesi.
  Questo coordinamento è necessario, ma mi veniva anche rappresentato proprio ieri dall'onorevole Vazio se non sia il caso di prevedere – lo pongo come momento di dibattito – una norma transitoria nella delega che disciplini le situazioni già definitive. Ne parlerà poi meglio l'onorevole stesso.
  Passo alla misura riguardante la messa alla prova, un istituto nuovo che vogliamo cercare di far entrare in vigore. Io parlo anche da relatrice in questo momento, perché manca il collega Costa.
  Abbiamo saputo ieri dal presidente del tribunale di Torino, ma oggi verrà anche il presidente del tribunale di Milano per comunicarci la sua esperienza, che ci sono alcune convenzioni che vengono stipulate sui lavori di pubblica utilità.
  In merito alle convenzioni vorremmo capire meglio proprio da lei, che è riferimento centrale del ministero, come vengono disciplinate le convenzioni sul territorio nazionale oggi e come ciò avverrà domani, in base alla normativa che noi abbiamo previsto, in cui c’è una responsabilizzazione maggiore e ulteriore del servizio svolto dall'Ufficio per l'escuzione penale esterna (UEPE).
  Vogliamo sapere anche se sui diversi territori la configurazione che noi abbiamo espresso nel testo è adeguata o se il testo normativo va migliorato.
  Per esempio, ci faceva notare ieri il presidente del tribunale di Torino che noi facciamo riferimento a un programma che l'imputato sottopone all'UEPE per la messa alla prova – questo sarà poi vagliato dal giudice – ma non parliamo più esplicitamente delle convenzioni.
  Su questo punto, poiché noi vorremmo tutti, io credo, emanare una legge che sia applicabile e funzionante e che abbia effetti concreti, vorremmo capire se è il caso, secondo la sua esperienza, di trattare meglio le convenzioni, fermo restando l'obbligo di prevedere convenzioni che disciplinino a monte la questione, eventualmente sempre con delega da parte del ministero ai presidenti dei tribunale.
  Ci è stato posto anche il problema della questione assicurativa di chi si presta ai Pag. 5lavori di pubblica utilità, questione che adesso viene risolta in maniera contingente nelle singole esperienze. Io so che ci sono alcuni protocolli operativi a Milano, a Torino e anche a Firenze. Sicuramente ce ne saranno altri anche in altri tribunali d'Italia. Questi sono i casi che conosco io, ma voi dovreste avere una panoramica più ampia della mia.
  Noi ponevamo questo come uno degli elementi importanti anche per il Governo: c'era un articolo specifico, l'articolo 6, che valeva in quanto tale a fine 2012, ma che adesso vale ancora di più come impegno del Governo. Noi invitavamo il Governo e il ministro a riferire in merito alla necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna (UEPE). Com’è la situazione, quali sono le prospettive ? Ovviamente non si possono fare le riforme se non c’è un minimo di sostegno anche sotto questo profilo.
  Passo all'ultima mia domanda, che mi sta molto a cuore in merito alla questione del sistema penitenziario. Riguarda la questione dei cosiddetti psicologi, le figure di consulenti di sostegno previste dall'articolo 80 del Regolamento penitenziario che attualmente non sono incardinate stabilmente. Si tratta di rapporti di consulenza.
  Da una serie di elementi che noi abbiamo, o perlomeno che mi sono giunti e che ho anche valutato, ci sembra che questa situazione di consulenza spezzettata e frazionata porti poi, in realtà, a un disservizio e forse anche a una maggiore spesa e non a una professionalità che, invece, all'interno della struttura carceraria serve.
  Mi scuso di avere utilizzato questo tempo. Se lei non può rispondere in questo momento a tutte le domande, io credo che ci sarà un'altra occasione e comunque ci può inviare note scritte.
  Saluto il Presidente Castelli di Milano, che è appena arrivato. Il Presidente Pomodoro sta arrivando. Completiamo ora le domande per il Presidente Tamburino.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SOFIA AMODDIO. Approfitto della presenza del Presidente Tamburino per dire che sono a conoscenza, da agenti penitenziari con cui abbiamo svolto audizioni, del fatto che, soprattutto su sua sollecitazione, in alcuni istituti penitenziari di Milano è stata messa in atto una sorta di vigilanza dinamica.
  Volevo avere maggiori ragguagli su questa forma di vigilanza da parte degli agenti penitenziari, sapendo che questo è uno dei tanti temi dell'amministrazione carceraria in relazione all'organico e al rapporto tra organico di agenti penitenziari e detenuti. È uno dei grandi temi scottanti anche della questione carceri.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Saluto, nel frattempo, la Presidente Livia Pomodoro.

  ANTONIO MAROTTA. Io volevo che fosse chiarito un aspetto, compatibilmente anche con l'attività del Presidente Tamburino come capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP).
  Nel momento in cui siamo di fronte all'espiazione della pena e facciamo riferimento alla pena edittale di quattro anni – così mi sembra, perché noi che non eravamo deputati nella scorsa legislatura non abbiamo seguito la prima parte dell'intervento legislativo cui facciamo riferimento – se noi abbiamo già nel nostro Codice la possibilità dell'espiazione della pena agli arresti domiciliari o una richiesta addirittura di affidamento al servizio sociale quando il residuo della pena è di tre anni, mi chiedo quale sia l'importanza di questo intervento legislativo nel caso pratico. Avremmo veramente una fetta molto limitata di soggetti che possono beneficiare di questa situazione di espiazione della pena, se facciamo riferimento a quanto è già contenuto nel nostro Codice.
  Alla luce di ciò propongo di valutare la possibilità di ampliare di molto il limite edittale. Solo in quel caso potremmo trovare una convenienza, sul piano dell'esecuzione della pena, a non sovraffollare l'istituto penitenziario e trasferire questa situazione fuori dalle carceri.Pag. 6
  Con riferimento a quanto ci comunicava il presidente del tribunale di Torino ieri, io volevo capire, in merito all'indagine che il presidente aveva svolto presso il tribunale di Torino e all'applicazione dei relativi casi, se l'indagine è stata svolta dal ministero e, quindi, dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, su tutto il territorio nazionale.
  Se l'indagine è localizzata a Torino e abbiamo un risultato che può essere accettato, che risultato otteniamo se la trasferiamo in tutto il territorio nazionale ? Se abbiamo un risultato soddisfacente, come quello a cui faceva riferimento il presidente del tribunale di Torino, possiamo andare avanti.
  Per quanto riguarda il problema del nostro provvedimento, cioè la messa alla prova, se non c’è questa convenienza, perché in tutta Italia il risultato d'indagine è relativo solamente a pochi casi, allora dovremmo rivedere anche da questo punto di vista la normativa. Questo anche con riferimento – ma è un problema che affronteremo in seguito – alla gratuità del lavoro in termini di compatibilità costituzionale con l'obbligatorietà della retribuzione per la prestazione lavorativa.

  FRANCO VAZIO. Come correttamente ha fatto notare il presidente, io mi ponevo un problema di coordinamento di una norma che entrerà in vigore dalla sua approvazione, ma che ha come finalità un effetto deflattivo della misura del carcere per reati di limitato allarme sociale.
  Mi ponevo il problema che forse sarebbe opportuno valutare una norma transitoria per cui, per fatti già previsti dall'articolo 1, il detenuto possa fare istanza al magistrato di sorveglianza per utilizzare lo stesso regime carcerario.
  Poiché la determinazione dell'articolo 1 viene effettuata in sede di determinazione della pena dal giudice del dibattimento, non potrebbero accedervi, secondo me in maniera irragionevole, coloro i quali sono già stati condannati per un reato previsto nei limiti edittali della norma, ma che evidentemente non possono più accedervi. Secondo me, questo potrebbe essere uno spunto.
  Mi ha colpito l'osservazione che ha fatto il presidente Tamburino, laddove riferisce che ci sono mille persone che potrebbero ipoteticamente usufruire di questa fattispecie. Sono 1.000 persone su 59.000, un numero francamente modestissimo.
  Si faceva una valutazione circa un'espansione del limite edittale di pena. Sotto questo profilo, siamo tutti un po’ prigionieri anche della piazza, cioè del fatto che aumentare i limiti massimi di pena produce sempre effetti di un dato tipo, anche se noi sappiamo che i limiti massimi di pena non vengono mai applicati e che vengono applicati sovente i minimi. Sarebbe forse preferibile ragionare con fattispecie delittuose, come diceva il presidente, che non creano allarme sociale o, a esclusione, alzando la pena di fattispecie delittuose che, al contrario, potrebbero creare allarme sociale, per far sì che questa norma possa essere in effetti utilizzata e non rimanere lettera morta.
  D'altra parte, il sistema del regime post condanna dell'affidamento non sarebbe applicabile nei casi di specie, perché, per esempio, l'affidamento in prova non è applicabile ai recidivi, mentre questa normativa ai recidivi potrebbe essere applicabile. Sotto questo profilo mi sembrerebbe utile mantenere questa impostazione.

  PRESIDENTE. Do la parola al Presidente Tamburino per la replica.

  GIOVANNI TAMBURINO, Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sia nella prima domanda del presidente, sia nell'ultima dell'onorevole Vazio viene posto il tema se convenga alzare il limite edittale o intervenire su singoli reati. Intervenire sui singoli reati può voler dire o inserire alcuni reati o escluderne altri.
  È una questione alla quale non saprei rispondere, perché ognuna delle due ipotesi presenta vantaggi e svantaggi.
  La prima ipotesi, quella di alzare il limite, rischia di includere, perché si Pag. 7estende fino a cinque anni, reati che possono non determinare alcun plauso sociale, ma anzi una reazione critica.
  Ragionevolmente, io credo che sarebbe preferibile andare a cercare i reati che vale la pena di introdurre o almeno quelli che occorre escludere. Questa soluzione, che razionalmente, in prima battuta, sembra la migliore, presenta, a sua volta, almeno due inconvenienti.
  Il primo è che si aprirebbe una discussione piuttosto ampia, perché le opinioni sarebbero senz'altro molte e diverse.
  Il secondo, forse più sostanziale, è che, se si va a togliere il reato di maggiore allarme, accadrà proprio che l'efficacia della legge sarà minore per ciò stesso. In realtà, di fatto, noi troviamo in carcere persone che sono ritenute pericolose e che hanno commesso reati di un determinato allarme. Se si andasse a escludere quei reati, l'efficacia deflattiva, se questo è uno degli scopi di questa legge, ne verrebbe ridotta.
  È una scelta complessa e io non avrei una formula per indicare che cosa sia meglio. Ragionevolmente, forse la soluzione migliore è quella di alzare il limite ed escludere alcuni reati. Forse, alla fine, questo potrebbe essere il male minore.
  Per quanto riguarda l'altra domanda sul coordinamento con le misure in corso, che si collega, a sua volta, con l'intervento dell'onorevole Vazio, c’è una delega anche per il coordinamento. Io ritengo che sia senz'altro un'operazione da compiere, perché attualmente il momento dell'esecuzione è irto come una boscaglia. Andrebbe un po’ disboscato, creando alcune semplificazioni. Ci sono norme che si sono sovrapposte, tra cui l'ordinamento penitenziario e la legge ex Cirielli, e altre che si sono aggiunte, ragion per cui un momento di pulizia normativa sarebbe senz'altro auspicabile e sarebbe bene prevederlo.
  La norma transitoria può essere utile, anche se in realtà non credo che sarebbero molti i casi che ne avrebbero bisogno. Nell'articolo 1, infatti, il meccanismo è diverso, e con questo tocco anche l'intervento dell'onorevole Marotta, perché viene applicato in sede di cognizione, cioè dal giudice della cognizione, che già applica questa misura. Questa è anche la novità alla quale facevo riferimento nella prima parte dell'intervento. Cambia proprio il sistema. Questa diventa una norma di sistema.
  Peraltro, con quattro anni di pena edittale massima, avverrà sempre, o quasi sempre, perché l'esperienza giudiziaria è in questo senso, che la pena in concreto sarà molto più bassa. Saranno molto rari i casi in cui i giudici applicheranno il massimo della pena. Questo avviene statisticamente in casi rarissimi.
  Andremo, dunque, a coprire quasi sempre la misura dei tre anni della detenzione domiciliare attuale. Per chi attualmente si trova in detenzione domiciliare, e può averla fino a tre anni, salvo le limitazioni della cosiddetta ex Cirielli che in questo disegno di legge non ci sono, si pone un problema di possibile applicazione. Rispetto a tali casi sarebbe auspicabile una norma transitoria.
  Per quanto riguarda la messa alla prova e le convenzioni per i lavori di pubblica utilità, ho sentito che la Commissione ha svolto l'audizione del presidente del tribunale di Torino, che già in una precedente occasione era stato sentito.
  Credo che il tribunale di Torino sia all'avanguardia in Italia – forse anche il tribunale di Milano è allo stesso o livello, o quasi – nell'approntamento di queste convenzioni. Tuttavia, dove non c’è una forte volontà dei presidenti dei tribunali e dei magistrati, di fatto questi lavori di pubblica utilità sono stati scarsamente applicati.
  Il dipartimento, di per sé, non è coinvolto, perché non si tratta di detenuti. Anzi, questa è una pena che esclude la detenzione per definizione. Forse erroneamente, ma abbiamo talmente tante altre cose da fare che a questo non ci siamo dedicati, non abbiamo finora realizzato un censimento sul piano nazionale per sapere come sono andate effettivamente le cose. Sappiamo che di fatto non sono state molte le occasioni di applicazione.Pag. 8
  Il dipartimento sta, invece, agendo molto fortemente nell'essere attore di iniziative per affidare lavori di pubblica utilità, che però, tali non sarebbero, a detenuti. Si tratta di ricorrere a strumenti analoghi per detenuti, ma questo ci porta un po’ fuori dell'argomento. Non abbiamo, quindi, un censimento sul piano nazionale.
  Quanto all'UEPE, è chiaro che vi è un coinvolgimento degli Uffici dell'esecuzione penale esterna. Opportunamente, si prevede che il Governo, con il ministro competente, debba poi indicare come rafforzare questi uffici. Attualmente, di fronte un organico di circa 1.500 persone ne sono presenti 7-800. Siamo, dunque, fortemente sotto organico e di questo ovviamente soffre un po’ tutta la parte dell'esecuzione penale esterna. Tale punto sarebbe da rivedere.
  Trascuro il tema della questione assicurativa, che è stato ricordato, perché credo che il Presidente Pomodoro saprà rispondere molto meglio.
  Per quanto riguarda gli psicologi, è un problema, perché si è ritenuto che si tratti di personale da riferire all'assistenza sanitaria. Poiché l'assistenza sanitaria non è più di competenza del dipartimento e del Ministero della giustizia, ma è passata alla competenza regionale, da questo momento tutte le relazioni con gli psicologi sono entrate in crisi e ancora adesso non sappiamo esattamente come risolvere questa crisi. C’è una situazione un po’ di stallo ed è discutibile, a mio parere, che si tratti di personale sanitario e non d'altro genere.
  Per quanto riguarda il punto sollevato dall'onorevole Amoddio della vigilanza dinamica, è un discorso di una certa complessità e non vorrei togliere troppo tempo alla Commissione.
  Noi conosciamo una serie di esperienze internazionali, per esempio della Spagna, che è molto avanzata su questo piano, e altre, che indicano come il detenuto vada reso il più possibile artefice della propria riqualificazione. Considerare che il detenuto sia soltanto il destinatario, il soggetto passivo, il vaso da riempire con interventi altrui è una concezione non appropriata.
  La dimostrazione si ha dal fatto che, laddove si interviene con un'attribuzione di maggiore responsabilità ai detenuti, i risultati sono positivi. Naturalmente, quest'attribuzione di maggiore responsabilità va fatta con grande cautela, perché non tutti sono uguali. Il mondo carcerario è molto differenziato. C’è un livello minimo di pericolosità, che riguarda tutti, o il 90 per cento, ma in questo 90 per cento o più i livelli sono molto differenziati.
  È possibile avere strutture aperte o semiaperte. Sono strutture che funzionano assai meglio. Non sono funzionali alla riduzione del personale, che pure è un problema che il DAP ha, perché c’è un deficit di organico di 6.000 unità su 45.000 per la Polizia penitenziaria, ma è una filosofia, per usare questo termine, relativa all'impostazione della relazione con il detenuto. Questa impostazione è la più efficace nella previsione del reinserimento, cioè del ritorno del detenuto nella società.
  La vigilanza dinamica viene applicata in Italia, per esempio a Bollate, già da una dozzina d'anni, ma anche in molti altri istituti e con essa si vede un calo delle situazioni conflittuali e dei problemi di aggressività. I risultati sono positivi, purché si adoperi l'istituto con cautela e prudenza.
  Quanto all'intervento dell'onorevole Marotta, ho già detto sui lavori di pubblica utilità e anche per quanto riguarda l'utilità della norma mi sembra di aver già risposto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente Tamburino. Credo che ci saranno altre occasioni anche per lei di audizioni e contatti con la Commissione sulla tematica del carcere, ragion per cui altre problematiche verranno affrontate in maniera più ampia in seguito. La ringraziamo molto della sua partecipazione.
  Vorrei ora dare la parola al Presidente Pomodoro e al Presidente Castelli. L'audizione del tribunale di Milano, nelle persone del presidente del tribunale Livia Pomodoro e del Presidente Castelli, riguarda soprattutto un'esperienza positiva, che ci è nota, in materia di lavori di Pag. 9pubblica utilità. Quello che avete sottomano è un provvedimento complesso e, quindi, valutate voi l'ampiezza del vostro intervento.
  Do la parola al Presidente Pomodoro.

  LIVIA POMODORO, presidente del tribunale di Milano. Innanzitutto grazie e buongiorno. Se il Presidente lo consente, il presidente Castelli e io ci divideremo i compiti, perché allo stesso titolo ci siamo occupati molto attivamente dei lavori di pubblica utilità e abbiamo anche portato alcuni documenti, che sono stati messi a disposizione della Commissione.
  Io svolgerei alcune considerazioni sull'istituto della sospensione del processo e della messa alla prova, partendo dal fatto che sono la genitrice dell'istituto della messa alla prova per quanto riguarda i minori.
  Sono passati ormai più di vent'anni da quando la norma è stata inserita nel codice di procedura penale per i minori. Il provvedimento ha retto al vaglio anche delle verifiche costituzionali, peraltro doverose, e di quelle di utilità della norma stessa.
  Non sono più il presidente del tribunale dei minori di Milano, ma vi posso assicurare che la norma è stata per lunghissimo tempo utile e che lo è tutt'oggi. È utilizzata con grande vantaggio per coloro che hanno potuto servirsene.
  L'applicazione di un'analoga normativa, di un simile complesso di norme, ai maggiorenni pone problemi diversi, che vanno esaminati. Tuttavia, la proposta di legge che vedo formulata, che era stata presentata alla Camera nella scorsa legislatura e di cui voi avete fatto una sintesi per l'inizio di questa, mi sembra rispondere piuttosto bene al requisito fondamentale. Si conforma, infatti, ai princìpi costituzionali e anche a quelli comunitari, che non sono certo improntati a un ricorso continuo alla custodia in carcere per coloro che hanno commesso reati.
  Naturalmente, tutto dipende dai reati. Ci sono reati per i quali non è possibile l'utilizzo di questa norma. Nel caso dei minori è sempre possibile, ma ora stiamo parlando della situazione specifica degli adulti. In realtà, io penso che si sia fatto un grande lavoro di adattamento. Vorrei soltanto suggerire alcuni punti che mi sembra possano essere ripresi.
  Quando si parla di lavori di pubblica utilità e dell'avvio degli imputati ai lavori di pubblica utilità, un riferimento molto importante è quello all'Ufficio per l'esecuzione penale esterna. Questo ufficio diventa centrale, se si vuol parlare di sospensione del processo e di messa alla prova. Aggiungerò poi alcune considerazioni soltanto sulle tipologie dei reati che possono essere riguardati con attenzione sotto questo profilo.
  Secondo le indicazioni fornite nelle norme che abbiamo esaminato, l'imputato deve presentare una domanda perché possa essere avviato al trattamento. Spetta al giudice poi decidere. Sulla congruità del programma individuato dovrà pur esserci qualcuno che lo convalidi, che stabilisca che si tratta di un programma che può essere attuato. Poi ci sono i problemi relativi al luogo nel quale viene svolta l'attività di pubblica utilità alternativa all'eventuale custodia o addirittura al rito del processo. Il problema diventa molto delicato.
  Per quanto riguarda i minori, essi vengono presi in carico immediatamente, nel momento in cui hanno commesso un reato, dai servizi sociali di riferimento ed è con questi, e con gli avvocati – c’è sempre la tutela degli avvocati – che si valuta la congruità, l'utilità e l'adesione al programma. Per quanto riguarda il minore, è molto importante che sappia di avere questa chance e di poter scegliere aderendo al programma.
  Il caso dell'adulto è diverso, ma io penso che sia molto importante tener conto della necessità che ci sia un organismo – ritengo che questo ufficio debba essere individuato anche per i lavori di pubblica utilità in generale – che porti a un confronto davanti al giudice, il quale decide che si può effettivamente procedere alla sospensione del processo e alla messa alla prova.Pag. 10
  Occorre, cioè, che ci sia qualcuno che obiettivamente possa indicare, come elemento importante che sicuramente va previsto, quale tipo di lavoro di pubblica utilità potrà essere messo a disposizione del soggetto che ne ha fatto richiesta. Non tutti i lavori di pubblica utilità possono essere adatti per un programma di rieducazione dell'imputato di uno specifico reato.
  In modo analogo, è estremamente importante che ci siano alcune garanzie da parte dell'ente o dell'istituto al quale il soggetto viene affidato perché compia questo percorso.
  L'esperienza mi ha insegnato che a volte le migliori intenzioni cozzano contro realtà che possono costituire persino un danno maggiore per chi ha scelto la strada della rieducazione piuttosto che quella del contenimento in carcere. Anche in questo caso è evidente che, se si compiono scelte sbagliate nel momento in cui si consente che il soggetto vada a fare il periodo di messa alla prova, queste si ritorceranno contro la persona stessa, che ne subirà le conseguenze e non avrà dato buona testimonianza di sé. Anche tutto il sistema, però, subisce un vulnus. È inevitabile.
  Io sono assolutamente favorevole al provvedimento, come è evidente dalle mie parole, ma ritengo che sarebbe estremamente opportuno che ci fosse un'attenzione molto particolare alla gestione della norma. Queste norme vanno gestite in modo tale da poter sottolineare e assicurare il successo, che è un successo duplice: si tratta sicuramente della rieducazione e del reinserimento sociale del soggetto al quale noi abbiamo sospeso il processo, ma anche di un esempio di virtuosità che si rivolge all'intera comunità.
  Vi assicuro che questo aspetto è estremamente utile. Io l'ho verificato con i minori, ma penso che, a maggior ragione, sarebbe utile con i maggiorenni.
  L'ultima questione che vorrei sottolineare è in relazione ai reati indicati. Possono essere presi in considerazione i reati con pena non superiore a quattro anni. Praticamente sarebbero quasi tutti i reati di competenza ex pretorile.
  L'unico dubbio che ho è in relazione, per esempio, a un reato come il 612-bis codice penale, che è un reato delicato. Si deve tener conto che, a parte il reato in sé – per tutte le questioni sul femminicidio io sono una chiara e decisa sostenitrice di azioni forti, e loro lo sanno – ci sono alcuni particolari atti di violenza. Per esempio, noi abbiamo indicato tra questi gli atti persecutori in ambito condominiale. Sembreranno non particolarmente rilevanti, ma voi sapete quanto danno causano ?
  Io penso anche che si debba consentire al giudice, con limiti che si possono sempre indicare nella norma, una certa flessibilità e duttilità, riponendo dentro la possibilità di utilizzo il 612-bis codice penale, ma lasciando al giudice, come dicevo prima, in relazione al tipo di lavoro al quale si indirizzano le persone, la possibilità di tener conto che ci sono reati tipicamente indicati dalla legge che, come vediamo, nella realtà corrispondono a fattispecie tutt'affatto diverse, alcune delle quali hanno un valore diverso da quello per il quale la norma è stata individuata.
  Mi fermerei qui per quanto riguarda la messa alla prova. Per i lavori di pubblica utilità, invece, penso sia utile che il collega Claudio Castelli, presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano, esponga la nostra posizione.

  PRESIDENTE. Do la parola a Claudio Castelli, presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano.

  CLAUDIO CASTELLI, Presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano. Buongiorno. Ringrazio anch'io.
  Noi abbiamo svolto un'attività rispetto alla questione dei lavori di pubblica utilità previsti dagli articoli 186 e 187 del codice della strada, che è un tema un po’ diverso rispetto all'ipotesi di cui parliamo ora. Sono questi, però, i primi casi in cui è stato davvero applicato l'istituto dei lavori di pubblica utilità.
  L'esperienza che noi abbiamo avuto è stata estremamente positiva, sia rispetto all'accoglienza da parte degli imputati – Pag. 11abbiamo liste d'attesa, per essere chiari – sia dal punto di vista degli avvocati e degli enti, nonostante ci siano alcuni problemi.
  Cito alcuni numeri. Noi oggi abbiamo 53 enti convenzionati. Tenete conto che i tribunali se ne occupano come delegati del ministero.
  Un anno fa avevamo meno della metà degli enti convenzionati, ragion per cui si tratta proprio di un processo che si sta allargando a dismisura. Le convenzioni riguardano 29 onlus e 24 comuni, per complessivi 554 posti. Sono state emesse 359 sentenze nel 2012 e già 230 nei primi quattro mesi del 2013. La prospettiva a regime è di arrivare a mille condannati l'anno.
  Noi abbiamo visto che tutto questo processo ha avuto un esito positivo, fatta eccezione per due esiti negativi, di cui uno, peraltro, è uno dei pochissimi casi all'articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990 ossia possesso di droga in modica quantità, che comporta problemi diversi.
  L'esito, dunque, è stato fondamentalmente positivo, ma – e credo che questo vada espresso chiaramente – comporta un forte impegno da parte degli uffici giudiziari. Noi abbiamo centralizzato tutto. Abbiamo creato un gruppo di lavoro che si occupa di questo tema e che segue sia le convenzioni, sia i rapporti con gli enti.
  Occorre poi un forte impegno anche da parte degli enti. Molto francamente – ce lo dicono gli enti stessi con i quali ogni anno noi teniamo una riunione per valutare la situazione – per loro la questione comporta alcuni costi. Al di là del problema dell'assicurazione, che è un problema minore, ci sono costi perché, se l'intervento vuole essere serio, deve essere inevitabilmente seguito a livello orientativo.
  Ciononostante – credo di essere molto chiaro, perché noi su questo punto siamo stati decisi – io sarei totalmente contrario a qualsiasi ipotesi di pagare gli enti. Sono totalmente contrario a qualsiasi ipotesi di pagare anche le persone che si sottopongono a questo trattamento.
  Se lo facciamo nei confronti degli enti, sono disposto a mettere la mano sul fuoco che tra breve troveremo procedimenti a carico di falsi enti e di enti che fittiziamente sostengono di svolgere lavori pubblici.
  Quanto a pagare la persona responsabile, francamente il fatto che si sottoponga a questo trattamento rappresenta già un beneficio. Noi abbiamo avuto due casi di persone che sono rimaste negli enti, si trattava di onlus, a continuare l'attività, una volta espiata la sanzione, perché hanno avuto un contatto particolarmente positivo e favorevole e hanno riscontrato che si trattava di un'attività sociale positiva.
  Dal punto di vista dell'impostazione, io credo che dobbiamo considerare il tema non tanto in quanto alleviamento del problema carcerario. Su questo punto inciderà pochissimo. Credo che il numero di mille sia ragionevole. Dobbiamo vederlo con un profilo diverso: questo è uno dei primi passaggi in Italia verso forme di giustizia riparativa.
  Io non sarei preoccupato delle reazioni delle parti lese, perché questo è uno dei pochi casi in cui la soluzione dà «soddisfazione» alla parte lesa, oltre al fatto che alla proposta di legge sono state opportunamente accluse alcune misure riparative e risarcitorie che incidono sul processo.
  La persona che ha la sospensione condizionale della pena è considerata diversamente rispetto a quella che si vede lavorare nel giardinetto per metterlo a posto o che accompagna l'anziano o il disabile. Sono due situazioni radicalmente diverse, delle quali le seconde vengono accettate molto di più, perché sono «afflittive». Sono socialmente afflittive e, come tali, superano questi problemi in un'ottica totalmente positiva.
  Svolgo due ultime osservazioni. La prima è che, se si introduce un simile provvedimento, occorre una fortissima centralizzazione. Ciò comporta un impegno del Ministero della giustizia, perché bisogna trovare gli enti. Bisogna non costringere i comuni, ma comunque avviare, io credo, una convenzione con l'ANCI e Pag. 12con alcuni grandi enti, come la Caritas. La Caritas è uno dei bacini fondamentali con cui ci rapportiamo.
  Non solo, occorre un identico e fortissimo intervento sugli uffici giudiziari. È vero quello che si dice: la realtà è totalmente a macchia di leopardo. Ci sono uffici che hanno coltivato questo tema e altri che non l'hanno coltivato.
  Questo avviene, molto francamente, anche per un motivo: per un giudice che li applica con le sentenze è molto più semplice condannare un soggetto piuttosto che destinarlo ai lavori di pubblica utilità. Comporta molto meno tempo, per esprimersi con molta franchezza. Anche se si effettua la messa alla prova, che consente di risparmiare dal lato processuale, essa comporta un impegno non secondario.
  L'altra cosa è che bisogna regolare la questione della discrezionalità. Nella proposta di legge c’è una discrezionalità enorme che viene attribuita all'UEPE, peraltro non regolata. Inoltre, una discrezionalità enorme viene attribuita anche al giudice.
  Quella del giudice è probabilmente quasi inevitabile. Tenete conto che, se noi attribuiamo discrezionalità al giudice, il problema di quali reati sottoporre viene superato. L'ipotesi che facevamo noi era quella della vecchia competenza pretorile, che non andava solo fino ai quattro anni, ma comprendeva anche reati come resistenza a pubblico ufficiale, ricettazione, furto aggravato. Ci sono, però, reati come quelli di cui all'articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990 che si adattano poco a un'attività di questo tipo. Se noi attribuiamo discrezionalità rispetto a questo punto, ci sarà, comunque, la possibilità di valutare i singoli casi.
  D'altro canto, il sistema concepito è quello di concedere all'UEPE, non dico una facoltà di vita o di morte, ma comunque una facoltà enorme. L'UEPE, infatti, deve concordare il tipo di trattamento non solo con l'imputato, ma anche con l'ente.
  Inoltre, non viene disciplinato un altro fatto: se l'UEPE e l'imputato non si accordano, che cosa succede ? Questo deve essere un elemento di procedura che deve essere garantito.
  Noi con l'UEPE abbiamo avuto solo esperienze eccellenti. L'UEPE di Milano, sotto questo profilo, ha dimostrato una disponibilità, una capacità di lavoro e una sensibilità eccezionali, ma non possiamo basarci sulle persone. Dobbiamo fare in modo che il rito possa sopperire a questi problemi. Se seguiamo tutti questi percorsi, probabilmente possiamo vedere esiti estremamente positivi.
  La scelta di fondo verso la giustizia riparativa è quanto mai moderna. È una scelta che noi in Italia finora abbiamo pochissimo sperimentato e che può anche evitare il fatto di ritenere che l'unica alternativa sia il carcere, oppure, quando ha sopravvento il carcere, il contrario. Offre una soluzione diversa, molto più accettabile da parte della società, perché tiene conto delle esigenze di tutti, sia dell'imputato sia della parte lesa e prevede una collaborazione totale dei difensori. Io credo che questo possa essere un fatto positivo.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCO VAZIO. Volevo fare una riflessione che, per alcuni versi, snatura un po’ il concetto impostato. Cerco di andare nel senso indicatomi dal relatore e dai presidenti.
  Noi ci poniamo il problema di una massima applicazione di questa norma a fini non solo deflattivi, ma anche riparatori. Io sono molto convinto e consapevole del fatto che l'effetto di riparazione determini alla parte lesa una grande soddisfazione, perché essa vede in concreto una pena irrogata davanti ai suoi occhi.
  Sotto questo profilo, anziché innalzare la pena massima, introducendo nella norma un fattore discrezionale – peraltro, si tratta di soggetti che oggi non sarebbero ricompresi in questa norma – nell'attribuire al giudice del dibattimento la facoltà di applicare la norma nei casi in cui esso Pag. 13giudice ritenga di irrogare una pena inferiore ai quattro anni – e, quindi, ritenga che non vi sia un allarme sociale – altrimenti non irrogherebbe una pena inferiore, propongo un'alternativa.
  Mi riferisco a una pena nel concreto. Potrebbero essere anche sei od otto mesi per persone che non possono godere, per esempio, della sospensione condizionale della pena. Per tali reati si potrebbe stabilire, con la facoltà del giudice, per pene che si ritengono e si convengono non di allarme sociale, di un anno o anche di sei mesi, oltre al caso delle pene edittali, la facoltà di accedere al trattamento.
  Non tocchiamo l'impostazione della lettera a), ma attribuiamo in aggiunta questa possibilità.
  Prendiamo, per esempio, un caso edittale. Nell'eventualità in cui il giudice, al di fuori dei casi la cui pena massima è inferiore a quattro anni, ritenga di irrogare nei fatti una pena sino a sei mesi per reati che hanno il limite massimo dei quattro anni, si può prevedere l'accesso a questo rito.
  Si può obiettare che sei mesi è poco, ma potrebbero esserci molti casi, e il presidente lo può confermare, di persone che non godono più della sospensione condizionale della pena.

  PRESIDENTE. Sì, ma bisogna vedere per quale titolo di reato.

  FRANCO VAZIO. Sto dicendo «sino a». Può trattarsi anche di un giorno.

  COSIMO FERRI, sottosegretario di Stato alla giustizia. Mi vorrei inserire su questa osservazione dell'onorevole Vazio. Mi sembra di capire che lui proponga una valutazione ex ante sull'irrogazione della pena da parte del giudice nell'esercizio della discrezionalità. Parliamo di sospensione del procedimento con messa alla prova.
  Non ho capito come fa il giudice...

  FRANCO VAZIO. Io mi riferivo all'articolo 1.

  COSIMO FERRI, sottosegretario di Stato alla giustizia. Ah, appunto. Non capivo come potesse il giudice valutare la pena da irrogare quando non c’è il processo. Era solo per chiarire. È meglio chiarirlo per i resoconti.
  Già che ci sono, colgo lo spunto che mi ha offerto il collega Claudio Castelli per quanto riguarda la discrezionalità dell'UEPE. Ne parlavo prima anche con il Presidente Tamburino. Mi sembra uno spunto, parlo per quanto riguarda le competenze del ministero, di interesse. Forse è opportuno, come dicevo anche al presidente, fornire alla Commissione alcuni dati e capire come siamo organizzati nel territorio.
  Il collega Castelli parlava giustamente di Milano e dei grossi risultati dell'UEPE locale. Bisogna, secondo me, come ministero, monitorare le diverse situazioni. Non si può lasciare una discrezionalità all'UEPE tanto ampia e non avere il controllo del suo funzionamento nel territorio.
  Per quanto riguarda, invece, le convenzioni, un altro punto importante, sono d'accordo su quanto si diceva dei lavori non retribuiti e della retribuzione. Si porrebbe anche un problema previdenziale e non solo quello di creare associazioni ad hoc. Sono d'accordo con quanto affermava Castelli.
  L'altro punto da verificare è quello sulle convenzioni. Il ministero, come avete sottolineato, aveva dato le deleghe ai presidenti dei tribunali anche nell'ottica del decentramento.
  Bisogna distinguere la sospensione del procedimento con messa alla prova, che è quello di cui parliamo, rispetto a quanto si fa abitualmente – ne abbiamo parlato ieri – per quanto riguarda i lavori di pubblica utilità, per esempio nel caso di guida in stato di ebbrezza.
  È un altro schema, non è questo l'argomento, ma in quel caso il lavoro di pubblica utilità si applica. È il giudice di cognizione che va a sostituire, nei casi in cui sussistano i requisiti soggettivi – anche in quel contesto si pone il problema del recidivo e di quanto comporta la conversione dell'articolo 189 del codice della strada – il tipo di pena.Pag. 14
  L'imputato, con il suo difensore, si presenta al giudice di cognizione e gli porta un protocollo già elaborato. L'UEPE interviene in una fase successiva, in quel caso. Questo schema, che esiste già per la guida in stato di ebbrezza con l'articolo 189 del codice della strada, vede l'UEPE intervenire come forma di controllo dopo che il giudice ha già convertito la pena nei lavori di pubblica utilità.
  Tra l'altro, molti giudici, secondo le statistiche in mio possesso, ahimè, spesso convertono senza verificare. Bisognerebbe controllare se c’è una convenzione, mentre molti giudici, forse anche per i carichi di lavoro, agiscono sulla fiducia, nel momento in cui il difensore si presenta e sottopone un progetto.
  Mi ricordo, una volta, perché mi è capitato personalmente, un soggetto che voleva stipulare la convenzione con una parrocchia per lavori di pubblica utilità, ma c'era un problema. Il difensore insisteva sul fatto che la convenzione esisteva. Manca, dunque, questo controllo iniziale, ma lo schema può servire per quanto riguarda i rapporti con l'UEPE. Potremmo sperimentare quel modello anche in questo caso.

  DAVID ERMINI. La ringrazio. Intervengo soltanto sul problema dei reati fino a quattro anni. Lei prima, presidente, ci parlava...

  PRESIDENTE. Di quale articolo parliamo ? Il limite dei quattro anni riguarda tutte e due le opzioni: articolo 1 o 2 ?

  DAVID ERMINI. Mi riferisco all'articolo 1 sulle pene detentive non carcerarie.
  Lei prima faceva cenno alla vecchia competenza pretorile. In effetti, alcuni reati, come la ricettazione o addirittura il 624-bis codice penale, corrono il rischio di non rientrare, anzi non rientrano in questa fattispecie, anche se sono di lievissima entità.
  Mi piace fare un esempio. La ricettazione di una bicicletta vecchia, per cui sicuramente il giudice attribuirebbe il comma 2 al momento dell'emissione della sentenza di condanna, comunque non permette l'applicazione di questa norma.
  Il furto di un vaso sotto un porticato, per cui adesso viene costantemente contestato il 624-bis, non darebbe la possibilità di applicazione. Se un ragazzo di diciotto anni ruba un vaso sotto un porticato, si trova un 624-bis codice penale e non può utilizzare una norma che, invece, avrebbe la possibilità di essere rieducativa per lui sotto questo aspetto.
  Io mi domando: non sarebbe forse il caso, come era nella vecchia norma sulla competenza pretorile, di indicare, oltre al limite dei quattro anni, anche alcune fattispecie, sia pur di lieve entità ? Una valutazione su quanto viene contestato evidentemente esiste, ma non al termine del processo. Il giudice, soprattutto il GIP, vedendo gli atti, può già rendersi conto se si tratti di un caso di minore entità.
  È questa la mia domanda.

  CARLO SARRO. Più che porre una domanda chiedo un chiarimento. Il Presidente Castelli parlava prima, nel suo intervento, della necessità, o dell'utilità, di ipotizzare alcune convenzioni. Citava, per esempio, la Caritas e l'ANCI.
  Ieri, nell'audizione con il presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani e con Alessandra Salvadori, giudice del medesimo tribunale, riferendo la loro esperienza, gli auditi ci dicevano che uno degli elementi che hanno connotato il successo della sperimentazione è stato quello della flessibilità dello schema e soprattutto della capacità di adattamento alle singole situazioni. Taluni rappresentavano, infatti, una particolare esigenza. Molti problemi si erano superati anche con l'introduzione del colloquio tra il candidato aspirante al percorso presso un ente o una struttura e i relativi responsabili.
  Nell'immaginare, come lei ci accennava, uno schema tipo di carattere generale – per l'ANCI riguarderebbe, in sostanza, tutti i comuni – non c’è il rischio di sortire l'effetto opposto, ossia di ridurre l'accesso allo strumento e soprattutto l'incentivo da Pag. 15parte dei comuni a utilizzarlo, mancando un'autonomia e, quindi, una connotazione specifica caso per caso ?

  PRESIDENTE. Pongo una domanda, riagganciandomi anche a questo problema. È giusto quanto è stato evidenziato sia dai colleghi intervenuti, sia dai presidenti auditi. Questa è una proposta che nasce con una forte responsabilizzazione dei servizi UEPE. Noi stiamo facendo quest'indagine – correggetemi, se sbaglio – sui lavori di pubblica utilità, ma in un istituto totalmente diverso rispetto a quello che andiamo a disciplinare. È un tema nuovo e stiamo verificando alcune esperienze per comprendere la fattibilità.
  Esiste una norma specifica, all'articolo 6, laddove si chiede al ministero di implementare le piante organiche anche dal punto di vista numerico e professionale, di competenza e di profili professionali. Ovviamente questi servizi di esecuzione penale esterna dovranno svolgere lavori di tipo diverso. Mi ponevo questo quesito.
  Io rimango dell'idea che il punto di riferimento sia l'Ufficio di esecuzione penale esterna, ma sono anche sensibile ad alcune critiche che sono state mosse e che sono state riprese, se ho capito bene, anche nell'intervento del sottosegretario. Questa critica è stata mossa anche dalle Camere penali. Nel provvedimento, in pratica, si prevede che l'imputato vada direttamente all'UEPE, senza un previo vaglio del giudice.
  Ieri ci è stata rivolta questa critica, ossia che l'avvocato e il difensore si recano direttamente dall'UEPE. A questo punto, elaborano un programma e l'UEPE, se ho compreso bene, dovrebbe avere poi le convenzioni e i contatti con gli enti. Solo dopo che il programma è stato messo a punto con la difesa, perché è una possibilità che richiede l'imputato e, quindi, un'opzione a cui acconsente, c’è il vaglio del giudice. Ieri, nelle audizioni che sono state svolte, non ricordo bene chi proponeva, invece, di fare un passaggio preventivo dal giudice.
  Volevo capire il vostro parere. Noi non abbiamo accolto questa proposta, anche perché si compirebbero tanti di quei passaggi che, anziché semplificare, la norma tenderebbe a una deflazione. A nostro avviso, occorre fare in modo che il giudice e il pubblico ministero dedichino la loro attività alle cause più serie e che quelle meno serie abbiano un percorso di recupero.
  Questa è la sintesi del mio intervento. Volevo capire su questo punto qual è la vostra opinione. Grazie.

  LIVIA POMODORO, presidente del tribunale di Milano. Affermo subito che su quest'ultimo punto, Presidente, il passaggio preventivo al giudice sarebbe totalmente sbagliato e creerebbe, peraltro, un intasamento degli uffici giudiziari. Si andrebbe, infatti, due volte davanti al giudice: la prima volta per chiedere di essere ammessi al programma, la seconda col programma e con l'ipotesi di poter ottenere la sospensione o la messa alla prova.
  Mi sembrerebbe di duplicare persino il giudizio. Che succede se il giudice la prima volta dice di no ? Che si fa ? Un'opposizione, un ricorso ? Peraltro, noi dobbiamo trovare norme di maggiore flessibilità, pur con tutte le garanzie per tutti, prima di tutto per i cittadini e poi per gli stessi imputati. Non c’è dubbio.
  A proposito, invece, della domanda che è stata posta in relazione agli accordi di carattere nazionale, la mia opinione personalissima, per quanto abbiamo visto, è che questi debbano essere accordi di carattere generale. È il solito problema di avere una cornice che sia uguale per tutti, altrimenti, come voi potete immaginare, ci si disperde in tanti rivoli. Chi ha la capacità, come noi, anche perché abbiamo fatto esperienze e abbiamo attuato iniziative per mettere a punto progetti adeguati, riesce ad andare avanti. Tutto il resto resta indietro.
  Questo non è ammissibile, anche perché quelle che sono andate avanti sono buone pratiche, anzi sono qualcosa di più di buone pratiche, e le norme ce le consentono. Il decreto legislativo 274 del 2000 sui lavori di pubblica utilità era stato formulato a proposito dei giudici di pace. Noi abbiamo utilizzato lo strumento, potendolo Pag. 16fare con la nuova legislazione, dieci anni dopo. Stiamo attenti a non creare ulteriori meccanismi elefantiaci, che poi non portano allo scopo.
  Per quanto riguarda gli accordi con i comuni e con gli enti interessati, tra cui la Caritas e tanti altri, a me sembra assolutamente indispensabile che si tratti di accordi di cornice che consentano a tutti, al loro interno, di stipulare a mano a mano le convenzioni. Noi stessi firmiamo le convenzioni su delega del Ministero della giustizia. Non lo facciamo perché ce lo siamo inventati tra di noi, ma perché all'interno del programma al quale io devo necessariamente adeguarmi, che è quello del Ministero della giustizia, riusciamo a ottenere queste collaborazioni.
  In più, i grandi comuni hanno tutto l'interesse a essere consorziati in un'ipotesi di questo genere, perché, a loro volta, non mettono direttamente in campo ipotesi di lavori di pubblica utilità. Sono le grandi strutture consorziate del volontariato, le strutture che fanno capo agli assessorati, ai servizi sociali, ai servizi sul territorio che, a loro volta, debbono rivolgersi al volontariato e che possono essere stimolate a chiedere che questi signori mettano a disposizione alcuni posti.

  CLAUDIO CASTELLI, Presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano. Aggiungo solo due considerazioni.
  Sulle osservazioni sollevate io non posso far altro che concordare. Concordo sull'estensione della vecchia competenza pretorile, perché mi sembra ragionevole, soprattutto se attribuiamo una discrezionalità.
  Il problema che veniva posto prima, invece, è una questione diversa, anzi un istituto diverso, perché riguarda una pena già irrogata. L'esperienza che abbiamo avuto noi è francamente positiva, ma riguarda non la messa alla prova di cui stiamo parlando oggi come elemento estintivo del reato, ma come sanzione alternativa rispetto ad altre.
  (Applausi).

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo molto, anche perché l'altra volta non eravamo riusciti a vederci. È andata bene. Evidentemente l'altra volta non era destino.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.