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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 4 giugno 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 631-B  RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI, VISITA A PERSONE AFFETTE DA HANDICAP IN SITUAZIONE DI GRAVITÀ E ILLECITI DISCIPLINARI

Audizione di Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia e di Daniele Negri, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Negri Daniele , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Negri Daniele , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 12 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 12 
Sarti Giulia (M5S)  ... 12 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 12 
Sarti Giulia (M5S)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Sarti Giulia (M5S)  ... 13 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 13 
Sarti Giulia (M5S)  ... 13 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 13 
Sarti Giulia (M5S)  ... 13 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 13 
Amoddio Sofia (PD)  ... 14 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Costa Enrico (NCD) , Viceministro della giustizia ... 16 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 16 
Negri Daniele , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia e di Daniele Negri, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposta di legge C. 631-B, approvata dalla Camera e modificata dal Senato, recante disposizioni in materia di misure cautelari personali, visita a persone affette da handicap in situazione di gravità e illeciti disciplinari, richiesta da alcuni gruppi e su delibera dell'Ufficio di Presidenza, l'audizione di Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, e di Daniele Negri, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara, che in realtà ha già partecipato alla prima giornata di audizioni, che quindi sentiremo anche volentieri in relazione alle modifiche che ci sono state rispetto al testo base.
  Do la parola al procuratore nazionale antimafia Franco Roberti.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Buongiorno a tutti. Il testo di legge di cui oggi dobbiamo discutere è stato preceduto da interventi normativi molto incisivi, a mio avviso, nel segno della finalità di deflazionare la situazione carceraria. È questo l'obiettivo comune a tutti.
  Credo che gli interventi normativi che hanno preceduto il testo legislativo di cui oggi parliamo, la proposta di legge C. 631-B, siano stati molto incisivi e sicuramente apprezzabili nel segno dell'avviamento almeno a soluzione della situazione carceraria, che definisco subito, esprimendo un mio convincimento molto radicato, sicuramente intollerabile e inaccettabile. Non credo, tuttavia, che dipenda da un eccessivo ricorso alla custodia cautelare preventiva da parte dei magistrati, quanto piuttosto da una serie di ritardi sia negli interventi cui accennavo, che hanno il solo difetto di essere arrivati troppo tardi, sia per quanto riguarda la situazione delle strutture carcerarie, dell'edilizia carceraria.
  Naturalmente, non competono a me osservazioni in questa sede in tema di strutture carcerarie. Voglio, però, ricordare che tre sono i testi normativi che hanno preceduto questo progetto di legge C. 631-B, con i quali bisognerà coordinare l'intervento di cui parliamo oggi se esso sarà approvato dal Senato nella forma uscita dalla seconda lettura della Camera e sarà approvato dalla Camera nella forma uscita dalla seconda lettura del Senato.
  Mi riferisco al decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, che porta – lo dico sinteticamente, presidente, ma come premessa al mio intervento – il limite di pena a 5 anni per l'applicazione della custodia cautelare Pag. 4in carcere, che modifica l'articolo 656 del codice di procedura penale in tema di esecuzione delle pene detentive, del quale bisognerà tornare a parlare oggi perché una modifica molto rilevante elimina il divieto di sospensione dell'esecuzione per quanto riguarda anche il plurirecidivi.
  Mi riferisco ancora al decreto-legge cosiddetto Svuotacarceri, 23 dicembre 2013, n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, che prevede il braccialetto elettronico per gli arresti domiciliari, la modifica dell'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario con l'innalzamento della pena a 4 anni per l'affidamento in prova ai servizi sociali, una misura alternativa classica, e infine la liberazione anticipata il cui computo è portato da 45 a 75 giorni per semestre ai fini, appunto, della liberazione speciale anticipata.
  Infine, ricordo il testo della legge 28 aprile 2014, n. 67, che, oltre a prevedere la sospensione del procedimento penale connessa alla prova e la sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili, contempla la delega al Governo per l'introduzione delle pene detentive non carcerarie, reclusione domiciliare e arresto domiciliare, sicuramente interventi che dovranno essere attuati e che sono, per quanto mi riguarda, molto opportuni e apprezzabili.
  In questo contesto normativo già in atto, il cui unico difetto ripeto che è quello di essere arrivato un po’ tardi rispetto al deterioramento della situazione reale, interviene la proposta di legge C. 631-B emendata dal Senato. Signor presidente e signori componenti la Commissione, ho trasmesso alla Presidenza questa mattina il testo delle nostre osservazioni, che ricalcano inevitabilmente osservazioni già formulate da altri soggetti auditi in precedenza, in particolare dall'Associazione nazionale magistrati.
  Non voglio ripetere le cose già scritte e che sono già offerte alla vostra valutazione. Mi limito soltanto a osservare che, per quanto riguarda le esigenze cautelari e le regole e i criteri di valutazione delle esigenze cautelari novellati con l'articolo 1, che si riferisce all'articolo 274, comma 1, lettere a) e c) del codice di procedura penale, a nostro sommesso avviso accentuare l'aggettivazione, richiedendo per esempio che le esigenze cautelari (pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato) non siano soltanto concrete, ma anche attuali, sia un'operazione che per la mia esperienza non ha grande rilievo ai fini di indurre i giudici a una maggiore ponderazione, quindi a un'eventuale rinuncia all'applicazione della custodia cautelare.
  È chiaro che, se il giudice è convinto che in quel caso le esigenze cautelari sussistono, troverà sempre una motivazione adeguata. Questo è il punto, parlandoci molto chiaramente. Allora, mi sembra che questa modifica sia un intervento volenteroso, ma che non abbia grande rilievo o grande incidenza se l'obiettivo è quello di indurre i giudici a una maggiore ponderazione delle esigenze cautelari.
  Molto più incisivo, secondo me, e sicuramente apprezzabile, per esempio, è il riferimento, nel 274, comma 1, lettera b), alla modifica fatta dal Senato, che richiede il riferimento, nell'escludere o nel ritenere la sussistenze dell'esigenza cautelare, al titolo di reato e non alla gravità dello stesso. Sulla gravità, certo, si apre lo spazio a una discrezionalità del giudice che, disancorata dal titolo di reato, potrebbe effettivamente portare a valutazioni troppo estensive. Opportuno, invece, è sicuramente il riferimento alla precisazione al titolo del reato.
  Mi sembra, invece, che la modifica introdotta all'articolo 3 della proposta di legge dell'articolo 275, comma 2-bis, del codice di procedura penale sarebbe foriera di preoccupanti conseguenze. L'ancorare in modo assolutamente automatico e indefettibile la decisione o meno se applicare le misure cautelari non solo alla prevedibile applicazione o concessione della sospensione condizionale della pena, che è sicuramente un riferimento giusto e apprezzabile, ma anche alla previsione della sospensione dell'esecuzione della pena in vista dell'applicazione di misure alternative a noi sembra – so di non essere il primo a dirlo in questa sede – del tutto fuor di luogo e anche pericoloso.Pag. 5
  Si vuole ancorare la valutazione del giudice attuale e concreta delle esigenze cautelari a un evento futuro e incerto quale è l'eventuale sospensione dell'esecuzione, che potrebbe dipendere anche da fattori non ancora esistenti al momento della valutazione del giudice se applicare o meno la custodia cautelare. In ogni caso, si fa dipendere questa valutazione escludendo, appunto, l'applicabilità della custodia cautelare, non solo carceraria ma anche domiciliare, a un evento che non è assolutamente possibile ponderare e apprezzare nella sua concretezza nel momento in cui il giudice è chiamato a esprimersi.
  Tra l'altro, nella mia nota sottolineo due circostanze. Per effetto della modifica dell'articolo 656, attuata, come dicevo, con il decreto-legge n. 78 del 2013, anche ai plurirecidivi si dovrà applicare questa previsione, ma anche ai soggetti che siano stati condannati per il reato di corruzione e per reati finanziari, essendo l'esperienza in questo caso maestra, per cui ben di rado le condanne definitive arrivano a superare i tre o i quattro anni di reclusione, come il 656 contempla e prevede oggi per l'applicazione della sospensione delle pene alternative. Ovviamente, mi limito a segnalare quest'aspetto, poi è una valutazione che il Parlamento fa nella sua assoluta autonomia e sovranità, ma debbo segnalarlo. Qui andiamo incontro all'assoluta inapplicabilità, soprattutto per i casi più gravi.
  Oltretutto, questa previsione fa un po’ a pugni, dal punto di vista logico, con un'altra previsione contenuta in questo progetto di legge. Mi riferisco a quella di cui all'articolo 5, che modifica l'articolo 275, comma 3, nel senso di prevedere – è un effetto delle sentenze della Corte costituzionale – l'applicabilità necessaria del carcere, ove non risultino elementi per cui si possono escludere le esigenze cautelari, a una serie di reati associativi. La Corte, come sapete bene, è intervenuta, ha dichiarato l'incostituzionalità per una serie di reati, ma ha salvato i reati associativi.
  Vedo, però, che in questo testo normativo emendato dal Senato si introduce, oltre al 416-bis, oltre al 270 e 270-bis in materia di terrorismo ed eversione, anche l'articolo 74 in materia di traffico di stupefacenti del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 409, e va ancora bene. Si introduce l'articolo 416-ter, come modificato e approvato recentemente, che però non è un reato associativo. Il voto di scambio politico mafioso non è un reato associativo, quindi bisognerà valutare se mantenere questa previsione che andrebbe, probabilmente, incontro a censure da parte della Corte costituzionale. Capisco la valutazione di gravità estrema del reato, e quindi la giusta tendenza di chi ha inserito l'emendamento a volere essere molto severi, ma questa premessa di tipo costituzionale non va dimenticata.
  Ancora, andando piuttosto rapidamente, presidente, salvo rispondere a domande, l'articolo 7 modifica l'articolo 284, comma 5-bis, prevedendo il divieto di arresti domiciliari a chi sia stato già condannato per evasione negli ultimi 5 anni, a meno che, nella precisazione del Senato, il giudice non ritenga, sulla base di specifici elementi, che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte anche con altra misura.
  Quest'intervento, anche con questa modifica, nonostante la retromarcia fatta un po’ dal Senato rispetto al testo approvato qui dalla Camera, che aveva abolito il divieto sic et simpliciter, in realtà sia su questa norma sia su quella relativa alla modifica dell'articolo 276, comma 1-ter, prevista dall'articolo 6, anche qui salvo che il caso non sia di lieve entità, si può applicare anche la misura carceraria in caso di violazione degli obblighi inerenti agli arresti domiciliari.
  Sulle due norme di cui stiamo parlando sembra che ci sia una certa contraddittorietà. Prima il legislatore dimostra di volere escludere l'applicazione degli arresti domiciliari invece del carcere, incentivando l'applicazione delle modalità di controllo elettronico – abbiamo detto del braccialetto elettronico, modifica dell'articolo 275-bis del codice di procedura penale – ma si attenua così l'applicazione Pag. 6dell'unico istituto veramente utile come deterrenza contro chi intenda violare le prescrizioni relative agli arresti domiciliari, costituito appunto dalla custodia in carcere. Si vede una certa contraddittorietà, ma naturalmente anche queste sono scelte politiche, che ovviamente ci limitiamo a segnalare.
  Ancora, sicuramente apprezzabile è la modifica introdotta all'articolo 308, comma 2, del codice di procedura penale dall'articolo 11 del progetto di legge, che allunga la durata massima delle misure interdittive da 2 a 12 mesi, precisando, opportunamente a nostro avviso, che possono essere anche inferiori al massimo e in questo caso, quando scadono, possa essere rinnovato fino ad arrivare al tetto massimo dei 12 mesi.
  Per quanto riguarda, presidente, la modifica introdotta dall'articolo 12 all'articolo 309 in tema di riesame dei commi 6, 8-bis, 9, 9-bis e dieci, e all'articolo 324, comma 7, si interviene sul procedimento di riesame. Tutte le modifiche alla disciplina del riesame sono, a mio avviso, sicuramente condivisibili, come la possibilità, in presenza di esigenze particolari, di prorogare anche i termini non solo del deposito della discussione davanti al tribunale del riesame, ma anche del deposito della motivazione da 30 a 45 giorni. A me sembra che, in presenza di esigenze particolari, si possa attuare sicuramente questa previsione.
  Non sembra, però, ragionevole escludere questa possibilità di proroga nel caso in cui torni, dopo l'annullamento della Cassazione, il processo in trattazione davanti al tribunale del riesame. Se le condizioni per una proroga sia della trattazione sia del deposito dell'ordinanza esistevano in prima battuta, non si vede perché non debbano continuare a sussistere e a essere prese in considerazione dopo l'annullamento della Cassazione e il ritorno del procedimento davanti al tribunale del riesame a seguito di annullamento.
  Sarebbe, quindi, opportuno che questa possibilità fosse prevista anche nel giudizio di rinvio, solo l'ufficio, poiché il nuovo giudice del rinvio può avere comunque difficoltà a impadronirsi della materia nei termini più ristretti nei casi più complessi.
  Ultima, in ordine di trattazione, notazione che voglio fare riguarda la previsione di un illecito disciplinare specifico per ritardo nella trasmissione degli atti da parte del pubblico ministero al riesame e per il ritardo nel deposito della ordinanza. Anche qui c’è un eccessivo automatismo. Mi permetto di ricordare che già la previsione disciplinare e il decreto legislativo n. 109 contemplano queste ipotesi. Qui si vuole inasprire la pena nei confronti del pm e del giudice che non ottemperano al rispetto dei termini, prevedendo che non si possa andare al di sotto della censura.
  Tutto si può fare, ma bisogna anche tenere conto che molto spesso – chi è stato per 32 in procura, come ho fatto io, lo sa bene – i ritardi, specie nella trasmissione degli atti dalla procura al tribunale, non dipendono affatto dal magistrato, ma da disguidi di cancelleria, di carenze di personale. A volte, i ritardi avvengono anche in seguito alle modifiche nella nomina dei difensori. In corso d'opera è revocata la nomina di un difensore all'indagato, se ne nomina un altro e bisogna ripetere le notifiche. Questo può determinare uno slittamento dei tempi. Direte che, certamente, in questi casi non si può addebitare al magistrato, ma comunque si apre una accertamento predisciplinare che obiettivamente potremmo risparmiarci tutti, magari dedicandoci ad altre cose.
  Presidente, avrei terminato sulle cose che mi premeva dire, che mi sembravano più salienti. Se lei o i signori componenti la Commissione vogliono approfondire, sono a vostra disposizione.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il procuratore non solo per il testo, ma anche per questa sintesi specifica che ha ritenuto di fare.
  Vorrei passare al professor Negri e poi dare la parola ai relatori e ai gruppi, in modo che possano esserci dei quesiti ulteriori.

Pag. 7

  DANIELE NEGRI, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara. Vi ringrazio per l'invito. Cercherò di andare velocemente. Peraltro, come ha giustamente ricordato, sono già stato ascoltato nella prima fase. In effetti, il testo attuale è molto cambiato rispetto ad allora, e quindi limiterò ai rilievi che attengono alle modifiche intervenute.

  PRESIDENTE. O, comunque, ai punti critici. Su questo è stata richiesta la sua relazione.

  DANIELE NEGRI, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara. Il primo aspetto che viene in rilievo è quello relativo al riferimento, nell'articolo 274 ora, al fatto che le situazioni di concreto e attuale pericolo non possano essere dedotte esclusivamente dal titolo del reato. Questo a me sembra un tipo di intervento addirittura recessivo rispetto alla giurisprudenza attuale, che non ritiene di ricavare questi pericoli di natura cautelare addirittura da entità di pena irrogabile in concreto piuttosto elevata.
  Se oramai la giurisprudenza ritiene che i pericula libertatis, in particolare il pericolo di fuga, non siano ricavabili da una pena in concreto irrogabile, ovviamente prevedibilmente, anche elevata, a maggior ragione non può essere tratto questo pericolo semplicemente dal titolo del reato che attiene alla mera qualificazione giuridica del fatto.
  Direi, al contrario, che è una riforma che potrebbe rischiare di avere degli effetti proprio regressivi. Potremmo tornare indietro. Si potrebbe argomentare a contrario che il pericolo non sia traibile esclusivamente dal titolo del reato, ma che possa essere tratto anche solo dall'entità della pena che si ritiene possa essere irrogata. Avremo, quindi, un passo indietro rispetto all'attuale approdo giurisprudenziale nelle sue decisioni predominanti in materia.
  Avevo salutato con estremo favore la modifica della lettera c) dell'articolo 274 nel testo originario, ossia la necessità che il pericolo per la commissione di determinati reati dovesse essere tratto da elementi ulteriori rispetto alla modalità e alle circostanze del fatto principale per cui si procede. Questo si era detto anche, in consonanza rispetto alla relazione che accompagnava la proposta di legge originaria, per un tentativo di rispettare maggiormente il principio della presunzione di innocenza.
  Poiché il fatto principale non è ancora stato accertato definitivamente, dovremmo ritenere che il pericolo di commissione di altri reati debba essere tratto non esclusivamente da quel fatto principale, altrimenti non stiamo facendo altro che dire che c’è un pericolo di recidiva a fronte di un reato di base su cui la recidiva deve essere pronostica e che non abbiamo ancora accertato definitivamente.
  Mi rendo conto, ovviamente, che si pongono dei problemi che sono già stati da più parti messi in luce, cioè la difficoltà di trovare questi altri elementi che attengono, per esempio, ai precedenti penali, alla vita ante acta dell'imputato, a determinati comportamenti, alla sua situazione sociale, familiare, di vita. Ritengo che questo tipo di difficoltà possa essere superato nella normalità dei casi. Ovviamente, per la ricostruzione dei presupposti cautelari, in particolare per dare corpo ai gravi indizi di colpevolezza, il pubblico ministero deve aver già compiuto indagini di un certo tipo, che quindi avrebbero dovuto allargarsi, credo non troppo difficilmente, quantomeno all'acquisizione di questa situazione di contesto sia fattuale sia personale dell'imputato.
  Forse la maggiore difficoltà attiene all'ipotesi della flagranza di reato, poiché i tempi brevi in effetti potrebbero lasciare sguarnito il pubblico ministero che non abbia raccolto elementi di quel tipo oltre, ovviamente, all'evidenza probatoria riguardante la scoperta in flagranza.
  Si potrebbe, allora, pensare che di norma ci sia il divieto di trarre esclusivamente il pericolo di commissione di determinati reati dalle circostanze del fatto principale, salva l'ipotesi della flagranza, in cui potremmo pensare a un provvedimento Pag. 8cautelare a efficacia precaria, in attesa che il pubblico ministero acquisisca questo tipo di elementi a corroborare proprio quella base probatoria di cui già dispone in prima battuta, nel momento in cui, dopo la convalida dell'arresto in flagranza, chiede l'applicazione della misura cautelare.
  Lascio in fondo la questione dell'articolo 275, comma 2-bis, che in effetti è la più complessa. Non ritengo di aggiungere nulla rispetto a quanto già benissimo detto dal procuratore nazionale antimafia con riguardo all'inserimento del reato di scambio elettorale politico mafioso e, ovviamente, nella presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere e anche, chiaramente, per quanto attiene al reato di cui all'articolo 74 del testo unico sugli stupefacenti, che è stato oggetto di una puntuale declaratoria di incostituzionalità da parte del giudice delle leggi.
  Sono favorevole, tutto sommato, alla previsione riguardante gli articoli 276 e 284, una sorta di terzo tempo di una sequela che vedeva originariamente una piena discrezionalità del giudice, poi un automatismo legale, infine una sorta di automatismo temperato. Credo che non cambi molto, in verità, rispetto a una discrezionalità del giudice, che ha sempre in realtà valutato questi fatti di lieve entità sul piano proprio sintomatico del pericolo che l'imputato, in effetti, si dia alla fuga o che, comunque, trasgredisca alle modalità esecutive della misura. Credo si tratti più di un segnale didascalico che di un'innovazione effettiva. L’optimum è sempre quello, direi almeno in questo campo, della piena discrezionalità del magistrato secondo il disegno originario.
  La mia valutazione è positiva, come già mi era capitato di esprimere nella precedente occasione, per quanto attiene alla necessità – mi riferisco all'ordinanza cautelare – che la motivazione dia conto in maniera autonoma degli elementi su cui il provvedimento si fonda. Collegando subito questo profilo ai riflessi in materia di riesame, il parere è favorevole sulle conseguenze di una motivazione che non corrisponda questo a schema, ossia l'annullamento del provvedimento, a evitare così che possa esserci una troppo corriva tendenza all'integrazione della motivazione da parte del tribunale del riesame rispetto, invece, a una mancanza o un'apparenza della motivazione del provvedimento genetico.
  Il parere è favorevole, quindi non mi dilungo – lo avevo dato già l'altra volta – sull'allungamento dei termini delle misure interdittive anche proprio nell'intenzione di rendere la custodia in carcere extrema ratio, quindi potenziando questi strumenti rimasti ai margini dell'esperienza applicativa, anche correlato alle altre modifiche riguardanti il cumulo delle misure che sempre possono andare nella medesima direzione.
  Favorevole è il parere per le modifiche che riguardano il diritto dell'imputato di comparire personalmente davanti al tribunale della libertà, sempre nell'ambito della procedura di riesame di cui all'articolo 309. È favorevole in quanto, viste le questioni che si trattano in materia di libertà, che sono prossime a quelle del merito perché comunque coinvolgono la personalità dell'imputato, è opportuno che questi abbia un pieno diritto a comparire di fronte al giudice, in modo che quest'attività si svolga nell'immediatezza e che il convincimento del giudice sia pieno al riguardo.
  Qualche perplessità, invece, è sul differimento ex officio dell'udienza del riesame. In effetti, si introduce un elemento distonico con la funzione che da sempre ha avuto il tribunale della libertà di un mezzo di estrema garanzia, alla quale deve accompagnarsi la rapidità. Credo, quindi, che la possibilità del differimento, ancorché contenuto, possa introdurre questa distonia con la quale non sono d'accordo. Oltretutto, può darsi che su questa inserzione intervengano ulteriori modifiche che a mano a mano allarghino questo termine. Temo che a cascata, progressivamente, approfittando di questa disposizione, si tenda sempre più ad allargare la possibilità per il giudice del differimento.
  L'altra ragione della contrarietà, oltre quella che ho già detto relativa alla funzione Pag. 9di garanzia del tribunale del riesame, assolta tanto meglio quanto più è celere la sua decisione, o comunque sicuro il momento finale per la decisione, è più di sistema: temo che su questa norma possano innestarsi delle controversie che finiscano, anzi, per frustrare la finalità che si vuole raggiungere attraverso questa clausola.
  Intendo dire che, in sede di ricorso per Cassazione, la difesa a ogni piè sospinto potrebbe anche dedurre il vizio di motivazione di quel provvedimento che ha disposto il differimento, che ritengo debba essere un decreto, anche se non è detto, per esempio deducendo che si tratta di una motivazione del tutto apodittica o di stile, «ritenuto che ci sono molti imputati, viste le numerose imputazioni», senza scendere invece a considerare la concretezza della re giudicanda. Questo, secondo me, rischia addirittura di alimentare conflitti ulteriori, in particolare davanti alla Corte di cassazione. Non credo che si renda un ottimo servizio alla deflazione del sistema.
  Per quanto riguarda il deposito dell'ordinanza, che appartiene ovviamente, come tutto quello di cui stiamo discutendo, alla vostra discrezionalità, personalmente avrei visto dei tempi un po’ più brevi dei 30 + 45, ma ovviamente qui siamo nel campo semplicemente delle soluzioni che ciascuno ritiene di patrocinare.
  Dal punto di vista lessicale, visto lo spirito di servizio che mi anima in questa presenza di fronte a voi, segnalerei il riferimento al comma 10 dell'articolo 309 come novellato, «agli arrestati» nel testo attuale, «per il numero degli arrestati». Siccome il riesame vale per tutte le misure coercitive, andrebbe scelta una terminologia adeguata a tutte le eventualità, quindi soggetto sottoposto alla misura coercitiva.
  Forse anche di semplice riferimento alla gravità delle imputazioni come idonea a giustificare questo deposito ritardato, potrebbe essere completato, visto che la gravità non è in sé sintomatica della necessità di spendere più tempo per la motivazione, con un richiamo alla molteplicità semmai dei fatti addebitati e della complessità probatoria che caratterizzi la vicenda di cui si tratta.
  Vengo, allora, visto che avevo lasciato sospesa la questione della modifica dell'articolo 275, comma 2-bis, che affianca al divieto dell'applicazione della custodia in carcere, di fronte alla prognosi circa la sospensione condizionale della pena, anche un analogo divieto concernente la sospensione dell'esecuzione della pena.
  È una questione molto complessa che provo ad affrontare a vari altri livelli. Anzitutto, come diceva il procuratore, ovviamente bisognerà tener d'occhio cosa succederà delle direttive riguardanti la legge n. 67 del 2014 sulla reclusione domiciliare e altre tipologie di pena simili. La seconda questione è che credo che ci sia un po’ di confusione da dissipare, ma ripeto che su questa disposizione sono molto cauto perché ne ho dedotto molti spunti di riflessione.
  La prima osservazione è la seguente: puntare come riferimento, per evitare la custodia in carcere e gli arresti domiciliari, all'istituto della sospensione dell'esecuzione della pena, quasi equiparandolo, dal punto di vista dei suoi risultati, alla sospensione condizionale della pena, mentre sappiamo che si tratta di istituti talmente distanti che non potremmo neppure osare metterli vicini. Nel caso della sospensione condizionale della pena, infatti, abbiamo un condannato che resta in libertà, quindi l'effetto è quello della libertà ed è quella la relazione che dobbiamo porre con il provvedimento cautelare da adottare o meno in un certo modo, quindi evitando la custodia in carcere o gli arresti domiciliari.
  Nel caso della sospensione dell'esecuzione della pena, invece, abbiamo a che fare semplicemente con un meccanismo procedurale, oltretutto a tempo, 30 giorni, che ha una ratio del tutto eterogenea rispetto all'altra. Semplicemente, fu introdotto per evitare una disparità di trattamento tra condannati, tra chi era ben difeso, e quindi promuoveva l'istanza di accesso alle misure alternative della detenzione, e chi invece, mal difeso, restava Pag. 10in carcere e semmai solo successivamente proponeva l'accesso alle misure alternative.
  Non ha nulla a che fare con la libertà, quindi, quest'istituto, ma semplicemente con la prospettiva del tutto eventuale di un soggetto istante, quindi che proponga in questo termine di 30 giorni, nel corso della sospensione, l'istanza, la prospettiva di ottenere non la libertà, ma l'accesso a una misura alternativa alla detenzione, quindi nella forma dell'affidamento in prova, anche nella sua variante terapeutica per i tossicodipendenti, o la detenzione domiciliare.
  Ecco allora che le cose cambiano notevolmente. Dicevo di andare per livelli. Si capisce la ragione di fondo che vi ha portato a introdurre questa norma, cioè l'esigenza di mantenere una certa proporzione tra l'intervento cautelare e il destino finale del condannato. Se, però, allora ci riferiamo alla sospensione dell'ordine di esecuzione, questa ratio non emerge. Quell'istituto punta semplicemente sul quantum di pena irrogato, senza nessuna ulteriore prognosi relativa al soggetto che starebbe per entrare in carcere e che, invece, potrebbe anche starne fuori.
  Il pubblico ministero, cioè, in piena autonomia e in attesa che eventualmente il magistrato di sorveglianza si esprima sulle misure alternative, calcola semplicemente il cumulo delle pene, tranne l'ipotesi in cui ci siano situazioni personali del condannato, tossicodipendente o madre con figlio minore di dieci anni o ultrasessantenne inabile e così via. Al di là di queste condizioni soggettive, il pubblico ministero si limita a considerare, dopo il cumulo, se la pena sta o meno al di sotto di certe soglie, che oltretutto possono essere anche elevate, 3 o 4 anni per l'affidamento in prova, 6 nella variante terapeutica dei tossicodipendenti e 4, se non ricordo male, per la detenzione domiciliare, di norma 2 per la detenzione domiciliare e 4 per la detenzione domiciliare cosiddetta speciale, quindi per i soggetti deboli cui mi riferivo.
  A questo punto, se la relazione tra l'intervento cautelare e il trattamento penale sanzionatorio è istituita con questo meccanismo della sospensione dell'esecuzione, il ragionamento si basa esclusivamente o quasi esclusivamente su soglie di pena. Potremmo ritenere, quindi, che non subisca custodia in carcere o arresti domiciliari anche chi sarà destinato a una condanna pari a 6, 4 o 3 anni, senza altro considerare di quel soggetto. Questo è ciò che si chiede al pubblico ministero nel momento in cui sospende l'ordine dell'esecuzione. Questo, naturalmente, confligge con le finalità cautelari, che invece chiaramente si abbinano all'intervento de libertate.
  Se, dunque, si vuole perseguire la ratio, che pure possiamo valorizzare, di mantenere una proporzione tra provvedimento cautelare e sanzione finale, bisogna togliere lo schermo costituito al momento, nel testo attuale, dalla sospensione dell'esecuzione della pena e riferirsi direttamente alle condizioni per la concessione delle misure alternative alla detenzione. Qui il discorso si complica ulteriormente. Oltre al quantum di pena, in chiave prognostica qui ritengo che la prognosi possa essere compiuta anche con difficoltà. In fondo, la prognosi sulla pena nel settore cautelare è compiuta già ai fini del giudizio di proporzionalità o proprio per la sospensione condizionale di cui abbiamo parlato.
  Al di là della prognosi sulla pena, bisogna riferirsi anche agli ulteriori requisiti per l'accesso alle misure alternative, che per esempio per l'affidamento in prova attengono al rispetto pronosticato delle prescrizioni date al condannato, che attengono alla prognosi di non recidiva del condannato. Non sempre questi requisiti sono chiesti, quindi sarebbe necessaria una distinzione. Nell'ipotesi della detenzione speciale per cosiddetti soggetti deboli, per esempio, questi requisiti non sono in considerazione.
  Di norma, però, poiché ai fini della concessione delle misure alternative, il giudice, il magistrato di sorveglianza deve considerare questi presupposti, di questi presupposti dobbiamo farci carico sempre in chiave prognostica nel momento in cui Pag. 11andiamo a configurare le reazioni che essi hanno, anticipatamente, a livello cautelare.
  La prima considerazione è che, tra le misure alternative alla detenzione, c’è la detenzione domiciliare. Questo già ci consiglierebbe di limitare il divieto, se lo si vuole introdurre, alla sola custodia cautelare in carcere. Se, infatti, esiste una misura alternativa corrispondente per caratteristiche e afflittività agli arresti domiciliari, non vedo ragioni per cui anche gli arresti domiciliari debbano ricadere nel divieto. Il ragionamento si può fare, partendo semmai dalla misura massima e salvo sempre quel corto circuito di cui più volte si è dato conto con riferimento alla custodia in carcere, cioè a un condannato che sia già in stato di custodia cautelare in carcere, come elemento che impedisce la sospensione dell'ordine di esecuzione.
  Bisognerebbe, quindi, modificare corrispondentemente l'articolo 656 nella parte in cui eccettua dal meccanismo della sospensione dell'ordine di esecuzione chi già si trovi in custodia in carcere, a meno di non ritenere riferito questo trovarsi in custodia in carcere a una custodia in carcere che operi a titolo diverso da quello per cui si sta procedendo e per cui ci stiamo chiedendo se un soggetto vada o meno sottoposto a custodia in carcere nel corso del processo, un gioco di specchi abbastanza complesso.
  Questo è il discorso, tendenzialmente, a mio parere, se si vuole mantenere la limitazione alla custodia cautelare in carcere e poi non riferendolo al presupposto della sospensione dell'ordine di esecuzione, ma ai requisiti soggettivi di concessione delle misure alternative, dal che trarremmo una serie di altre conseguenze.
  Se, per esempio, l'esigenza cautelare attiene al pericolo di commissione di certi reati, non si potrà ritenere pronosticabile, nel momento futuro della misura alternativa, che quel soggetto si asterrà dalla recidiva. In questo senso, potrebbe essere neutralizzato l'effetto di impedire la custodia in carcere. Se manteniamo la relazione, il pericolo genericamente di recidiva a livello cautelare, va a inficiare la prognosi di non recidiva che il giudice in futuro dovrebbe compiere quando sarà investito della questione se concedere o meno la misura alternativa al carcere. C’è, quindi, un'ulteriore complicazione.
  Resta il rapporto con il pericolo probatorio e quello di fuga. Per il pericolo probatorio, è una decisione credo tutta politica di ritenere che si dia un valore preminente al principio di proporzionalità rispetto all'adeguatezza, cioè si sacrifica, si rischia dal punto di vista della prova, che si potrebbe perdere o non avere genuina, perché si ritiene preferibile non mettere in carcere chi alla fine al massimo subirà la detenzione domiciliare. È una valutazione da compiere.
  Anche sul pericolo di fuga dobbiamo ritenere di interrogarci se sia compatibile una prognosi che deve toccare anch'esso con la seconda prognosi, invece compiuta quando si tratterà di decidere sulle misure alternative, riguardante, non in tutti i casi ma in molti di essi, il fatto che l'imputato condannato si adeguerà alle prescrizioni relative alla misura alternativa.
  È chiaro che anche qui si verifica un'incompatibilità. Se è un soggetto a rischio di fuggire, verosimilmente non si atterrà alle prescrizioni a lui impartite nel momento in cui dovesse chiedere di accedere ai benefìci delle misure alternative. Forse si può parlare di un'applicazione ristretta, quindi divieto di custodia cautelare in carcere, e valutazione sul periculum probatorio, se correre o meno questo rischio, parametrata essenzialmente sui requisiti delle misure alternative stesse e non, invece, su quelli del tutto oggettivi, quantum di pena, che attengono alla sospensione dell'ordine di esecuzione.
  Andrei, quindi, al di là, semmai, se lo vorrete fare seguendo questa strada, attraverso questa relazione diretta con i requisiti, escludendo l'automatismo, ma pensando a come giocano tra loro le diverse prognosi in relazione; arresti domiciliari, detenzione domiciliare, non il carcere, ma tenendo conto delle prognosi che il magistrato di sorveglianza dovrà compiere e che il giudice de libertate sarà tenuto a compiere ora interrogandosi sul dopo.

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  PRESIDENTE. Vi ringrazio moltissimo anche per l'aspetto di sintesi, ma di problematiche processuali, e non solo ovviamente, molto complesse.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VITTORIO FERRARESI. Buon pomeriggio a tutti. Vorrei solo chiedere, visto che tutti gli altri punti sono stati toccati, il parere del procuratore nazionale antimafia e del professor Negri sulla fattispecie prevista dall'articolo 12, comma 5, e dall'articolo 14, che prevede appunto il divieto di rinnovazione della misura cautelare. Mi basterebbe questo.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Riteniamo, come abbiamo scritto nel parere, che questa esclusione, salvo eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate – soggiunge il testo – non sia condivisibile. Anzitutto, bisogna capire quali potrebbero essere le eccezionali esigenze cautelari che dovrebbero essere sopravvenute rispetto a quelle che sussistevano prima della scarcerazione o, se si richiede, bisogna capire un supplemento di motivazione rispetto a quella che sorreggeva il titolo cautelare principale. Dovrebbe essere chiarito. Si va incontro a pericoli notevoli, questo è il punto.
  Riflettevo anche ascoltando la pregevole relazione del professor Negri. Condivido l'osservazione finale del professore e vorrei aggiungere che dobbiamo sempre tenere ben distinte le esigenze cautelari alla base dell'applicazione, le misure cautelari che hanno una finalità appunto cautelare, dall'esecuzione della pena, che obbedisce a tutt'altre finalità. Evitiamo, quindi, di fare confusione. Anche su questo piano possiamo far discendere, magari da un'anomalia o inadempimento burocratico, non solo la scarcerazione del detenuto, e va bene, ma addirittura l'impossibilità o quasi impossibilità di sottoporlo nuovamente a misura cautelare ?
  Pongo un quesito a cui non do risposta, mi vi sembra una conseguenza, una conclusione logica e accettabile sotto il profilo della tutela della collettività nei confronti dei criminali peggiori che hanno commesso i reati peggiori ? Qua non ci sono limitazioni, parliamo di qualunque tipo di reato, anche di reati di criminalità organizzata e di terrorismo. Vi sembra adeguata questa soluzione ? Vi pongo il quesito. Secondo me, no. Bisognerebbe bilanciare le garanzie sacrosante di tutela dell'indagato con le esigenze di tutela della collettività.
  Se pensiamo ai fatti di sangue, ai delitti più efferati, forse ci rendiamo conto che limitare la riapplicazione della misura cautelare ai casi di eccezionali esigenze, secondo me significa non fare un buon servizio alle esigenze di tutela della collettività. Questo è il mio pensiero.

  GIULIA SARTI. Torno un attimo sul requisito dell'attualità con una domanda per il procuratore nazionale antimafia. Lei osservava come, in realtà, ci sia una sorta di ridondanza, di inefficacia. Non serve aggiungere questo requisito perché, nel momento in cui il giudice deve motivare e giustificare l'esigenza di una custodia cautelare in carcere, si trova in qualche modo la motivazione.
  Il dottor Pignatone, invece, che abbiamo ascoltato nelle precedenti nostre audizioni, rilevava quanto questo requisito dell'attualità possa in realtà creare dei pericoli, comportare non tanto un'inefficacia, quanto proprio una pericolosità. Nel momento in cui le indagini comunque durano molto, infatti, ancorare la motivazione dell'esigenza di custodia al requisito dell'attualità potrebbe comportare delle difficoltà da parte del giudice. Per taluni reati – non si pensava soltanto a quelli contro la pubblica amministrazione, ma anche ai più spiccioli, cosiddetti reati da strada – potrebbe essere difficile motivare. Vorrei conoscere la sua valutazione.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Condivido questa valutazione del collega Pignatone.

  GIULIA SARTI. Un'altra domanda è per entrambi. Sarò molto diretta perché Pag. 13queste sono le ultime audizioni che stiamo facendo, e quindi vi chiedo veramente un mero giudizio personale, al netto di tutte le osservazioni che sono state fatte. Da tanti mesi siamo dietro a questo provvedimento: sono più i danni o i benefìci che creiamo ?
  Se il fine di un provvedimento di questo testo deve essere quello di pensare alla custodia cautelare in carcere come extrema ratio, ma poi con talune previsioni che abbiamo esaminato fino a ora...

  PRESIDENTE. Questa non è una discussione. Faccia una domanda secca.

  GIULIA SARTI. È una domanda.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Se mi permette, presidente, posso rispondere subito e penso in modo esauriente, anche se conciso.

  GIULIA SARTI. Lo chiedo, però, perché oggi possiamo modificare purtroppo solo le parti...

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Dove non c’è la doppia conforme, lo so.

  GIULIA SARTI. Se bisognerà fare, quindi, i provvedimenti successivi, bisogna avere chiara la situazione.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Lo so bene, onorevole, e le rispondo così. Poiché non amo perdere tempo né farne perdere ai miei interlocutori, non per caso all'esordio del mio intervento ho ricordato i provvedimenti legislativi che sono già stati apprezzabilmente approvati da questo Parlamento in tema con le finalità deflattive della custodia carceraria. Secondo me, spiegheranno in modo progressivo e sempre maggiore, naturalmente, con l'andare avanti della prassi. Tra l'altro, ora già è in atto una deflazione significativa della situazione carceraria. Al di là dei problemi pur sussistenti di deflazione della situazione carceraria, trovo quei provvedimenti giusti e corretti.
  Ciò premesso, dovete chiedervi se quest'ulteriore intervento legislativo sia nel segno della coerenza rispetto ai provvedimenti già adottati o se, piuttosto, alcuni istituti, che sono significativi – ripeto che ascoltavo e condividevo le osservazioni del professor Negri sulla modifica dell'articolo 275, comma 2-bis – ma anche gli altri interventi e gli altri punti che ho segnalato nella mia relazione non si prestino in modo contraddittorio rispetto a una linea che tende, con i provvedimenti legislativi precedenti, a un punto di equilibrio tra le esigenze di garanzia dell'indagato e le esigenze di tutela della collettività. Bisogna chiedersi se quest'ulteriore intervento legislativo sia in segno di coerenza rispetto ai precedenti provvedimenti.
  Ripeto che si può caricare di aggettivi, alla gravità e alla concretezza aggiungere l'attualità con quell'osservazione che condivido del collega procuratore Pignatone, ma tutto sommato non è questo che mi lascia più perplesso. Trovo conforto ancora una volta nella relazione del professore, perché mi lascia veramente stupefatto il rilievo che non si possono applicare gli arresti domiciliari in vista della possibile applicazione della detenzione domiciliare, pur in presenza di esigenze cautelari attuali, concrete, gravi ! A me sembra una follia. Scusate, lo dico con il massimo rispetto, ma sembra assolutamente incredibile sotto il profilo logico.
  Lo stesso discorso vale per quanto si diceva a proposito delle eccezionali esigenze cautelari per riapplicare le misure cautelari in presenza di delitti magari anche gravissimi e così anche per la previsione di un automatismo e la non previsione di alcuna valutazione discrezionale nella comparazione tra le esigenze cautelari e la previsione di applicazione della sospensione e delle misure alternative alla detenzione. Tutto questo mi sembra che, francamente, debba essere superato, in ossequio anche a quei precedenti legislativi Pag. 14che, invece, sono il segno di un punto di equilibrio assolutamente condivisibile tra le varie esigenze.

  SOFIA AMODDIO. Procuratore, da una parte mi rendo conto che questo provvedimento, inserendo i termini di attualità, da qualcuno può essere stigmatizzato come una volontà da parte del legislatore di circoscrivere ancora di più la discrezionalità del giudice, a cui credo molto anche nella pratica giudiziaria. Premetto, per esprimere chiaramente il mio pensiero, che ritengo che l'incremento del termine attuale nel determinare la misura cautelare vada inserito, quindi sposo in pieno questo provvedimento in questo termine.
  Mi ha colpito molto l'affermazione del procuratore laddove dice che qualunque giudice è in grado di motivare che esiste l'attualità del pericolo di fuga. Sposo in pieno l'osservazione, ma non ritiene, per quanto possa apprezzare la discrezionalità del giudice e tutti la utilizziamo e il giudice per primo deve utilizzarla, che questo, di fronte magari a esagerazioni che si sono verificate nella pratica giudiziaria, possa essere anche un motivo di ricorso, di appello, di ricorso in Cassazione ? La Cassazione spesso ha ricondotto in termini giusti le pronunce esagerate di alcuni magistrati, quindi credo che il nostro intento sia anche questo.
  L'altra affermazione che mi ha colpito è quella del divieto di arresti domiciliari a chi sia stato condannato per evasione. L'evasione, chiaramente, non è solamente quella dal carcere. Penso che nessun giudice applicherebbe la misura di custodia cautelare ai domiciliari per un evaso dal carcere se commette un secondo reato nell'arco di 5 anni. Nella casistica giudiziaria, invece, si sono verificati tantissimi casi di evasione dal domicilio domestico, dalla residenza, per fatti veramente banali, come andare in farmacia o all'angolo a fare la spesa perché il detenuto è una persona completamente sola, che non ha nessuna assistenza. In questo caso, giudici ovviamente molto equilibrati si sono trovati in grossa difficoltà, se riportare il soggetto in carcere.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Sono d'accordo con questa sua ultima osservazione. Essendo stato per moltissimi anni procuratore della Repubblica, mi sono imbattuto direttamente in tanti casi. Di fronte anche a un'evasione dal domicilio, l'aggravamento di pena non ci stava, non era adeguato.
  Apprezzo l'emendamento che è stato introdotto dal Senato, che ancora una volta carica il giudice di una valutazione dell'adeguatezza dell'aggravamento di pena e gli consente di ripristinare lo stato di arresti domiciliari quando il caso sia di lieve entità. Il riferimento alla lieve entità mi sembra assolutamente opportuno e condivisibile.

  PRESIDENTE. Prendiamo atto anche dei rilievi positivi di una serie di attività normative che il Parlamento ha messo in atto, come ha detto già il procuratore nazionale antimafia, ma già procuratore della Repubblica, dopo anni di non intervento sul punto, sostanzialmente in un anno, un anno e mezzo di attività.
  Capisco anche i colleghi dell'opposizione, in particolare del Movimento 5 Stelle, che oggi sono intervenuti. Vorrei che su questo punto ci fosse una risposta, se crede, anche del professore oltre che del procuratore. Questa legge – partiamo da altri presupposti, un po’ diversi – è stata arricchita anche dai lavori di una Commissione ministeriale, presieduta tra l'altro da un autorevole magistrato, il presidente Canzio. Questa è la realtà.
  Vorrei che in qualche modo fosse parte anche dei lavori parlamentari. Questa proposta di legge, che mi vede come prima firmataria, ma è condivisa, lavorata anche nella scorsa legislatura, nel corso della quale la ripresentammo, ha proprio quella finalità nell'ambito anche di una questione del sovraffollamento carcerario, ma non solo.
  Ricorderà, infatti, procuratore, che il primo presidente della Corte di cassazione Pag. 15nell'inaugurazione dell'anno giudiziario di due anni fa, mi pare, il presidente Lupo, al suo ultimo anno, quindi la magistratura tutta, rappresentò come si fosse ecceduto e fece una specie di mea culpa sull'utilizzo della custodia cautelare in carcere come forma, sostanzialmente, di anticipazione di pena, con una finalità sostanzialmente diversa. Questo risulta agli atti anche della relazione da cui prende le mosse questa proposta di legge. Questa proposta di legge nasce subito dopo una serie di interventi della Corte costituzionale che cominciano a far cadere tutti gli automatismi imposti al 275 dai vari pacchetti sicurezza. Ha questa collocazione.
  Mi ricollego a questo e faccio una domanda, che però è anche una riflessione. Sul punto dell'attualità, francamente non capisco molto le preoccupazioni della magistratura. Forse abbiamo estrinsecato quella che era un'applicazione giurisprudenziale, principio concreto e attuale. D'altro canto, l'esigenza cautelare non si giustifica se non c’è l'attualità del pericolo concreto e attuale. Sono stata anche per quasi vent'anni pubblico ministero e la pena e lo sconto di pena si giustificano anche se non è attuale il pericolo. Non ricordo chi, ma alcuni ci hanno criticato perché, in realtà, staremmo soltanto estrinsecando un principio che è già nella giurisprudenza. Il principio della concretezza già richiama l'attualità.
  Nessuno vuole portare avanti una proposta di legge che sia dannosa per le esigenze della collettività e al tempo stesso per la sicurezza. Le problematiche di richiamo al 656, comma 5, tout court, se le stanno ponendo i relatori, tutti i commissari di qualsiasi forza politica. Non vogliamo tirarci indietro, l'abbiamo approvata in prima lettura, il Senato l'ha approvata in seconda lettura senza colpo ferire e nessuno si è fatto vivo prima a criticare le nostre mosse. Forse stavolta era opportuno che arrivassero prima e forse che anche il Senato facesse qualche audizione prima di procedere.
  Questa parte dall'articolo 3 attuale, quindi 275, 2-bis, fu un emendamento introdotto a seguito di una proposta della Commissione Canzio, ovviamente non composta solo da Canzio, ma presieduta da fior di professori universitari esperti della materia. Faccio riferimento a Spangher, a Illuminati e ad altri professori di cui non ricordo il nome, e ad avvocati, tra cui Spigarelli, quindi ci fu quel segnale.
  Ha colto esattamente, professor Negri. Lo abbiamo accolto, ma adesso cercheremo comunque di valutare insieme ai relatori e al Governo la possibilità di una correzione. Lo accogliemmo perché il principio che ci convinse in quel momento fu che, per chi non deve entrare in carcere in esecuzione di pena, è lo stesso principio, è la stessa prognosi – questo vi chiedo – che ci si chiede per la sospensione del beneficio della condizionale. Si fa la prognosi che quel soggetto beneficerà della sospensione della pena, e quindi non deve andare in carcere né ai domiciliari.
  Certo, oggi ci dite di fare attenzione, non è che non vada in carcere, avrà il beneficio di una misura alternativa all'esecuzione, quindi i parametri sono diversi, potrebbe esserci un'irragionevolezza anche di un eguale trattamento. Tutto il resto, però, anche la linea che vuole dare dei tempi – lo abbiamo preso dalla Commissione Canzio e l'abbiamo condiviso e su questo punto credo che ci sia unanimità – al tribunale del riesame.
  Sono stata procuratore e sostituto procuratore in anni passati e appena uscì la legge del nuovo codice di procedura penale e all'epoca la motivazione era contestuale del tribunale del riesame.
  Credo che non possiamo tollerare che in 30 giorni non si possa emettere una motivazione che riguarda la misura cautelare. Al netto, il problema principale di questo provvedimento, a parte la rinnovazione che lei rappresentava, il 416-ter, il 74, messo lì anche in più, non si capisce come, è quello del 656, comma 5 ? Questo è il punto critico, il punto vero ? Il provvedimento non può essere perfetto, altrimenti voi professori che cosa fate dopo ? C’è da criticare la magistratura.
  Il punto critico, vero, d'impatto, veramente «repellente» è quello o no ?

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  ENRICO COSTA, Viceministro della giustizia. Ho ascoltato con attenzione tutte le valutazioni. Devo dire che chiederei, chiaramente agli auditi, che hanno fatto delle considerazioni molto interessanti, anche una valutazione sotto questo profilo. Oggi c’è la prognosi sull'eventuale applicazione della sospensione condizionale della pena. Chiunque, però, pratichi minimamente l'attività forense, sa che nell'ordinanza di custodia cautelare tanto spesso, o con una formula di stile o, comunque, con qualche argomento in più, è prevista la prognosi di non applicabilità e, quando non accade il patteggiamento durante l'interrogatorio di garanzia, accade magari successivamente un patteggiamento di fronte allo stesso soggetto, quel giudice per le indagini preliminari che ha scritto quelle cose, con l'applicazione di sospensione condizionale della pena. Nulla è mai stato considerato innaturale. È un processo logico, un percorso.
  Al netto delle considerazioni che sono state svolte, prendiamo soltanto l'aspetto legato alla sospensione condizionale della pena. Potete suggerirci un percorso perché ci sia una sorta di effettività ? È chiaro che non potrà esserci un automatismo, ma forse un «controllo sociale» attraverso l'ultimo articolo. È l'unico modo che abbiamo trovato quando mi trovavo dall'altra parte della barricata.
  Articolo 16: «Il Governo entro il 31 gennaio di ogni anno presenta alle Camere una relazione contenente dati e rilevazioni statistiche relativi all'applicazione nell'anno precedente delle misure cautelari personali distinte per tipologia con l'indicazione dell'esito dei relativi procedimenti ove conclusi». Si chiama controllo sociale, non certamente rimedio giuridico. Secondo me, però, è un aspetto che emerge, come si dice, ictu oculi, come ci siano ordinanze di custodia cautelare e, non dico all'esito del dibattimento o del processo, che può chiaramente avere tutta una serie di novità che non erano note, ma in tempi brevissimi patteggiamenti con l'applicazione della sospensione condizionale della pena.
  È chiaro che non si può prevedere il patteggiamento perché c’è lo sconto e così via, ma secondo me, anche per dare una coerenza al sistema, forse qualcosa in più, visto che interveniamo su questa materia, potrebbe essere utile.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Per quanto riguarda i procedimenti ex articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, siamo già pronti per la rilevazione.
  In teoria, può anche accadere, ma per l'ordinario bisognerà adeguare anche i sistemi informatici per una rilevazione di questo tipo, sicuramente utile, ma che va fatta per bene, in modo da dare risultati attendibili, altrimenti si perde soltanto tempo. Sono d'accordo, quindi – per carità – sulle sue osservazioni, ma bisogna riorganizzare e resettare il sistema in modo da dare dei risultati credibili a queste vostre forme di controllo sociale, come l'ha chiamato lei, o di controllo parlamentare.
  Non credo che gli aggettivi concreto e attuale siano sinonimi. Si accompagnano spesso, ma non sono sinonimi. Se ho ben capito, il riferimento che faceva il collega procuratore Pignatone era a reati contro il patrimonio o anche contro la persona per i quali, o perché sono stati accertati a un lungo tempo di distanza rispetto al fatto o perché hanno richiesto una elaborazione istruttoria particolarmente complessa, si interviene nella valutazione sull’an dell'applicazione della misura cautelare in un momento in cui l'attualità non c’è più. C’è la gravità, ci sono le esigenze cautelari nella loro concretezza, ma non l'attualità. Può accadere. Accadono abitualmente cosa di questo genere, soprattutto per i delitti contro il patrimonio e contro la persona. Non parlo di reati mafiosi, ma ordinari.
  Quest'aggettivo dell'attualità può effettivamente porre delle problematiche in funzione di quello che diceva l'onorevole in sede di valutazione di Cassazione, di giudizio di legittimità. È un aggettivo che, abitualmente considerato abbinato, abbinabile alla concretezza, poi diventa da solo Pag. 17una bomba a orologeria inserita nel procedimento penale. In questo senso, mi sento di condividere quel rilievo critico del collega Pignatone. Non credo di avere altro da aggiungere al momento.

  DANIELE NEGRI, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara. Le mie risposte saranno brevissime. La prima domanda era dell'onorevole Ferraresi sulla rinnovazione. Il procuratore nazionale antimafia porta delle ragioni indubbie. È, però, vero che, se come presidio mettiamo la sanzione della perdita di efficacia della misura quando non si rispettino certi tempi, poi non possiamo eludere questo effetto attraverso una semplice rinnovazione della misura il giorno dopo che essa ha perso efficacia. Diventa un po’ beffardo.
  Si può, semmai, ragionare sulla possibilità di restringere il divieto di rinnovazione, fatto salvo un onere accresciuto di motivazione alla custodia in carcere. Credo che una delle chiavi utilmente impiegabili nella ricostruzione della materia cautelare sia quella d'una maggiore differenziazione tra la misura massima e le altre misure. Non è la stessa cosa.
  Possiamo accettare più facilmente, dal punto di vista delle garanzie, che sia rinnovata una misura blanda, mentre lo spirare di quel termine reso inutile di fronte alla custodia in carcere dovrebbe indurci a una maggiore ponderazione e a ritenere che questo possa accadere, sia pure con una motivazione rafforzata, con un impegno motivazionale supplementare. Diversamente, vanifichiamo lo sforzo che si era fatto per rendere quei termini effettivi.
  Sul provvedimento in generale, la seconda domanda dell'onorevole Sarti, se non mi inganno, continuo a ritenere che il provvedimento sia positivo per tante ragioni. Non sono tornato sui motivi che mi avevano indotto a esprimermi favorevolmente su aspetti poi rimasti non modificati rispetto alla stesura originaria. Li ho, sia pure sommariamente, elencati soltanto.
  Uno di essi certamente è l'annullamento da parte del tribunale della libertà in luogo d'una integrazione della motivazione spesso troppo facile. L'altra ragione, su cui mi permetto di insistere, che mi porta a ritenere che questo provvedimento debba aver corso è insistere sulla versione uscita dalla Camera, quindi versione originaria dell'articolo 274, lettere b) e c).
  Credo che un ripensamento per non limitare il divieto alle sole ipotesi di gravità del titolo di reato, quindi di formulare la prognosi del pericolo di fuga e di commissione di reati da elementi diversi, perciò di non restringere questo divieto alla sola base concernente il titolo del reato, debba essere ripreso in considerazione, tornando sulla stesura approvata a suo tempo dalla Camera dei deputati.
  Quella attuale riferita al titolo di reato vanifica l'obiettivo del provvedimento stesso, che invece proprio in quello snodo aveva un suo punto di forza. Bisognerebbe tornare, quindi, a un riferimento quanto meno alla gravità del reato inteso come gravità del fatto concreto e non della qualificazione giuridica.
  Diversamente, se non è addirittura dannosa, è quantomeno superflua la previsione del divieto di prognosi basato solo sul titolo del reato. Su questo mi permetto di insistere. L'intervento era qualificante anche in considerazione, se non soprattutto, di come si era posta cura nell'individuare l'esigenza che i pericula libertatis, la prognosi uscisse da elementi altri rispetto a quelli del fatto principale per cui si procede, con le difficoltà di cui ho parlato in relazione, la flagranza di reato, per la quale mi permetto di suggerire una possibile soluzione speciale. Conclusivamente, sono d'accordo sul resto e il provvedimento mantiene, secondo me, la sua validità.
  Sull'intervento dell'esponente del Governo in relazione all'articolo 16, e quindi sul controllo sociale, consentitemi di concludere, visto che recentemente mi è capitato di parlare a un convegno che commemorava i 250 anni di Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, che non posso che concordare con quell'intervento e con quest'articolo 16, ricordando che proprio Beccaria, parlando già allora della carcerazione Pag. 18preventiva, diceva che nel disporla conta più il modo della cosa in sé per la percezione che la stessa collettività ha di quel modo con cui si restringe la libertà personale.
  È questa un'attività di diffusione, di comunicazione alla collettività del significato di quei provvedimenti anticipati che sicuramente va coltivata e rafforzata quanto più possibile.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto i nostri ospiti e i colleghi. Ringrazio anche dei documenti che ci sono stati fatti pervenire. Se ci sono ulteriori proposte emendative che credete di poterci mandare...

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. C’è qualche piccola altra cosa, ma presente nel mio documento, con riferimento all'interrogatorio di interdittiva. Abbiamo capito lo spirito per cui è previsto...

  PRESIDENTE. Anche a me sembra un po’ confuso.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Ci sono soluzioni organizzative che potrebbero risolvere il problema senza fare questa cosa un po’ incomprensibile.
  Francamente, non vedo perché non si debba comunque, come già oggi, fare un interrogatorio prima in ogni caso, comunque il giudice decida, se contro o a seconda della richiesta del pm di applicare la misura interdittiva.

  PRESIDENTE. Gli spunti sono molti. Adesso c’è qualche giorno di riflessione, poi in sede di emendamenti cercheremo di tener conto di tutti i suggerimenti che ci sono stati. L'intento, infatti, è proprio questo. Non vogliamo un provvedimento demagogico né punitivo per nessuno. Il problema, però, esisteva, non ce lo siamo inventato. Non è nemmeno inutile. Ce l'abbiamo messa tutta.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.