Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 3671-BIS GOVERNO, RECANTE LA DELEGA AL GOVERNO PER LA RIFORMA DELLE DISCIPLINE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL'INSOLVENZA
Audizione di Renato Rordorf, presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali, e di rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 ,
Rordorf Renato , Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 3 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 ,
Rordorf Renato , Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 3 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 ,
Bonafede Alfonso (M5S) ... 8 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 ,
Bonafede Alfonso (M5S) ... 8 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 ,
Longobardi Gerardo , Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 8 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 ,
Bonafede Alfonso (M5S) ... 11 ,
Vazio Franco (PD) ... 11 ,
Bazoli Alfredo (PD) ... 12 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 ,
Longobardi Gerardo , Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 12 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 ,
Vella Paola , Consigliere della Corte di cassazione ... 13 ,
Rordorf Renato , Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 13 ,
Vella Paola , Consigliere della Corte di cassazione ... 13 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Vella Paola , Consigliere della Corte di cassazione ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Vella Paola , Consigliere della Corte di cassazione ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 ,
Vella Paola , Consigliere della Corte di Cassazione ... 15 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 ,
Bonafede Alfonso (M5S) ... 15 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 ,
Rordorf Renato , Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 15 ,
Vella Paola , Consigliere della Corte di cassazione ... 16 ,
Longobardi Gerardo , Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 16 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 ,
Ruscetta Felice , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 16 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 ,
Ruscetta Felice , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 16 ,
Longobardi Gerardo , Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 16 ,
Ruscetta Felice , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 16 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 ,
Longobardi Gerardo , Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 16 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 ,
Ruscetta Felice , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 17 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 ,
Vella Paola , Consigliere della Corte di cassazione ... 17 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 ,
Vella Paola , Consigliere della Corte di cassazione ... 17 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 ,
Ruscetta Felice , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 17 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 ,
Ruscetta Felice , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 17 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 ,
Rordorf Renato , Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 17 ,
Longobardi Gerardo , Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 18 ,
Rordorf Renato , Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 18 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 ,
Ruscetta Felice , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 18 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 ,
Ruscetta Felice , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 18 ,
Rordorf Renato , Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 19 ,
Vella Paola , Consigliere della Corte di cassazione ... 20 ,
Vigani Maria Rachele , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 20 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 ,
Vigani Maria Rachele , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 20 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 ,
Vigani Maria Rachele , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 20 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 ,
Vigani Maria Rachele , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali ... 20 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI
La seduta comincia alle 15.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).
Audizione di Renato Rordorf, presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali, e di rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 3671-bis Governo, recante la delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di Renato Rordorf, presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali, accompagnato da Paola Vella, Consigliere della Corte di cassazione e di Gerardo Longobardi, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, accompagnato da Felice Ruscetta, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, e da Maria Rachele Vigani, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili
L'Aula riprende alle 16,00, quindi abbiamo un'ora e cinque minuti. Io darei la parola al presidente per un quarto d'ora.
Do la parola al presidente Rordorf per lo svolgimento della sua relazione.
RENATO RORDORF, Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Naturalmente, se si volesse descrivere in dettaglio il disegno di legge che nasce dai lavori della Commissione, ci vorrebbe molto più di un quarto d'ora. Non so se poi ci dovrà essere il tempo per delle domande.
PRESIDENTE. Sì, avete un quarto d'ora ciascuno e poi ci sarà il tempo per le domande.
RENATO RORDORF, Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Un quarto d'ora potrà servire per una minima indicazione di ordine generale sulle linee guida della riforma.
Le considerazioni da fare sono le seguenti. La riforma, come tutti i presenti sanno, nasce da un'iniziativa del Ministero della giustizia, che ha istituito questa Commissione per il riordino delle procedure concorsuali.
L'idea in base alla quale la Commissione è stata istituita e che quest'ultima ha cercato di seguire è, quindi, quella di una riforma organica delle procedure concorsuali, che abbia l'obiettivo di individuare Pag. 4delle linee di sistema nell'ambito di tutte le procedure concorsuali, indipendentemente dalle specificità che naturalmente, in funzione delle caratteristiche soggettive di coloro che a tali procedure si trovano a essere assoggettati, si possono determinare.
Mi pare di poter dire che si sono voluti perseguire tre obiettivi di fondo. Il primo è un obiettivo che potrei definire di ammodernamento della disciplina concorsuale, e in particolare fallimentare italiana, sul presupposto del tutto evidente che questa disciplina ha ancora come suo pilastro centrale, non a caso, un regio decreto del 1942. Questo basta già per segnalare quanto ammodernamento occorra in questa materia. Naturalmente si sono succeduti nel tempo, in particolare nell'ultimo decennio, non pochi interventi riformatori sulla legge fallimentare del 1942. Tuttavia, proprio perché non si è trattato di interventi di riforma che hanno interessato nel complesso questa legge, ma soltanto di interventi di riforma, talvolta anche ampi, di tipo novellistico, che hanno novellato alcune sue parti, resta che l'impianto di fondo della nostra normativa in materia è quello risalente al 1942.
Mi pare inutile sottolineare quanto siano lontani, non solo dal punto di vista cronologico, ma anche dal punto di vista politico, sociale ed economico, i tempi del 1942 da quelli odierni.
La circostanza che, come accennavo e come non poteva non essere, dal 1942 a oggi, specialmente nell'ultimo decennio, si sono succeduti non pochi interventi di riforma di questa legge fallimentare, posto il forte cambiamento dei tempi, la diversa sensibilità, i vari input che oggi abbiamo anche dall'Europa e dal confronto internazionale rispetto a questa materia, ha fatto sì che questi interventi non organici si sono succeduti spesso in una logica emergenziale, in una logica di interventi d'urgenza.
Quasi tutti dopo il 2006 sono stati realizzati con decreto-legge e successiva legge di conversione in parte modificativa del decreto-legge stesso, con un ritmo di quasi un intervento all'anno.
Ciò ha contribuito, non solo a far diventare ulteriormente obsoleti per certi versi gli aspetti della legge non modificati da questi interventi, ma anche a rendere assai poco coerente l'impianto generale della legge stessa, perché si è trattato, come dicevo, di interventi non funzionali o solo relativamente funzionali a una visione organica ed eventualmente diversa del meccanismo fallimentare.
Il secondo macro-obiettivo che si è inteso perseguire è quello di dare organicità al sistema. Su questo permettetemi di insistere per un momento con una considerazione di ordine più generale, che, tuttavia, mi pare importante fare.
Naturalmente siamo tutti perfettamente consapevoli che non viviamo più nell'epoca delle grandi codificazioni ottocentesche e che, quindi, normative di ampio respiro non possono più essere concepite nei termini in cui potevano esserlo nel 1800 e ancora nel 1900, ovvero, come normative destinate a durare quasi indefinitamente nel tempo, per motivi storici fin troppo ovvii.
Tuttavia, mi pare che, se c'è una materia nella quale si avverte oggi il bisogno di fare il punto, di assestare le linee-guida della normativa, dopo queste continue modifiche emergenziali a pezzi e bocconi, dovute spesso a spinte contingenti alle quali la normativa successiva tendeva magari a rispondere in maniera diversa da come si era fatto nell'anno precedente, con andamenti spesso a zig-zag della normativa stessa, se c'è una materia in cui si sente il bisogno di un momento di riflessione e di risistematizzazione generale, questa sia la materia fallimentare.
Questa non è soltanto un'esigenza di armonia concettuale di sistema fine a se stessa, ma è un'esigenza che gli operatori del diritto e gli operatori della materia avvertono in maniera particolare. Ciò è dovuto alla profonda consapevolezza che la scarsa organicità delle norme con le quali si ha quotidianamente a che fare e la spesso rilevabile incoerenza di alcune norme e il sovrapporsi di norme intertemporali che rendono non facile distinguere quale disciplina si applica a una determinata procedura a seconda del momento di riferimento rappresentano un ostacolo molto Pag. 5reale e molto concreto alla rapidità e all'efficacia delle procedure concorsuali. Se, dunque, l'obiettivo che vogliamo perseguire, sul quale credo tutti converremo, è quello di porre rimedio al fatto che le nostre procedure concorsuali sono troppo farraginose e troppo lente, non dico che questo sia il toccasana, ma certamente dare coerenza e sistematicità alla normativa di riferimento è uno degli strumenti che, davvero, possono contribuire a facilitare, a snellire e ad accelerare l'iter di queste procedure.
Naturalmente il terzo macro-obiettivo cui accennavo da principio è quello di colmare – questo si collega in parte al discorso dell'ammodernamento – le lacune che esistono nell'attuale procedura fallimentare, alcune delle quali sono particolarmente significative e sono avvertite come fattore di ostacolo a un efficiente funzionamento delle procedure concorsuali.
Le lacune sono tante, ma, nel breve tempo che ho a disposizione, vorrei soffermarmi in particolare su due aspetti. Se ci saranno domande su tutti gli altri aspetti della riforma, saremo a vostra disposizione per rispondere io personalmente e la collega Vella, per quanto occorrerà. Quelli di cui mi accingo a parlare sono i punti sui quali mi parrebbe utile soffermarmi maggiormente.
Abbiamo individuato queste lacune nella mancanza di procedure di allerta e mediazione assistita della crisi, delle quali si è a lungo parlato anche nei lavori preparatori di Commissioni precedenti. Sono dieci anni che in Italia si discute dell'opportunità e dell'utilità dell'introduzione di queste procedure.
A noi – evidentemente mi riferisco ai componenti della Commissione che ho avuto l'onore di presiedere – sembra davvero che questo sia il momento nel quale questo tipo di procedure di allerta e composizione assistita della crisi sono indispensabili e nel quale è necessario introdurle.
È necessario introdurle, innanzitutto perché abbiamo delle indicazioni molto precise in questo senso da parte dell'Unione europea. La raccomandazione del 2014 lo indica in modo assolutamente esplicito.
C'è poi una seconda ragione, che si lega all'osservazione di partenza sul tempo trascorso dalle origini della legge fallimentare a oggi. In questo così ampio arco di tempo è profondamente cambiato il modo stesso di intendere l'insolvenza e di guardare alle procedure con le quali si debbono fronteggiare le crisi di insolvenza delle imprese.
Oggi non si deve più guardare a queste procedure in termini prevalentemente sanzionatori, quasi punitivi, caratteristiche che il fallimento aveva all'origine, ma soprattutto in termini recuperatori della crisi, secondo una prospettiva che, privilegiando le soluzioni negoziali della crisi stessa, tenda il più possibile e fin dove è possibile a favorire il recupero dei valori dell'impresa, piuttosto che a ipotizzare semplicemente dei meccanismi per espellere le imprese insolventi dal mercato.
Se tutto questo è vero e importante, la possibilità di intercettare tempestivamente e precocemente i sintomi della crisi costituisce, con ogni evidenza, la premessa indispensabile perché quell'obiettivo si possa raggiungere.
È del tutto evidente che, soltanto se i suoi sintomi vengono intercettati e fronteggiati in modo tempestivo e precoce, si può evitare che la crisi – che non è un fatto che accade in un momento specifico, ma è un procedimento di progressivo degrado del tessuto economico e finanziario dell'impresa – giunga a un punto di non ritorno che rende del tutto teorica l'ipotesi del risanamento.
È questa la realtà con la quale spesso oggi ci si confronta. Alcuni studi svolti nell'ambito dell'Università di Bologna a proposito della situazione delle imprese in concordato nei cinque anni precedenti l'ammissione alla procedura di concordato, hanno dimostrato come queste imprese sono arrivate al concordato in situazioni di crisi che hanno reso il concordato stesso fatalmente destinato a un esito liquidatorio, non consentendone un utilizzo recuperatorio dei valori dell'impresa e di continuità.
Da almeno cinque anni i dati aziendali di quell'impresa, esaminati con attenzione, dimostravano l'evidenza di segni della crisi, che non sono stati percepiti e fronteggiati Pag. 6in tempo, ma sono stati percepiti e fronteggiati (se così si può dire) con cinque anni di ritardo, quando ormai la situazione non era più modificabile.
Dunque, le procedure di allerta sono la condizione indispensabile per consentire che le procedure concordatarie, intese come noi vorremmo che fossero, ovvero come procedure dirette soprattutto al recupero di continuità dell'impresa in crisi, possano realizzare questo risultato prima che sia troppo tardi, prima che questo obiettivo diventi irrealizzabile e irraggiungibile.
Perché questo possa funzionare occorre costruire delle procedure alle quali l'imprenditore sia disposto a ricorrere e non sia scoraggiato o disincentivato dall'intraprendere.
Infatti, la ragione per la quale oggi l'imprenditore spesso arriva alla procedura concorsuale, allo stesso concordato o agli accordi di ristrutturazione troppo tardi è il timore e la diffidenza dell'imprenditore stesso ad avviarsi su un percorso di procedure concorsuali o para-concorsuali visto come estremamente scivoloso e pericoloso, come una sorta di piano inclinato lungo il quale l'imprenditore vede il pericolo di precipitare nel fallimento, che è l'esito che evidentemente vuole evitare.
Perché queste procedure abbiano successo, occorre, dunque, che siano procedure il più possibile «amichevoli», che non scoraggino l'imprenditore dall'accostarvicisi, donde i caratteri che abbiamo immaginato esse debbano avere. Evidentemente mi esprimo in termini generali. Come ho detto prima, se volete, possiamo scendere nei dettagli, ma non lo farei ora.
Il primo è il carattere della stragiudizialità. L'imprenditore vede con diffidenza la porta del tribunale, da varcare per portare i libri in tribunale, come non a caso si dice con un'espressione ormai sintomatica, mentre può molto più facilmente affidarsi a organismi nei quali veda, invece, delle strutture poste al suo servizio, destinate, non a giudicare il suo comportamento, ma ad aiutarlo a superare i suoi problemi.
Correlata alla stragiudizialità c'è la confidenzialità. Occorrono procedure che non espongano l'imprenditore al rischio che la pubblicità della sua crisi sia a propria volta un elemento che accentua la crisi stessa, perché non gli consente di trovare facilmente credito e lo mette in difficoltà rispetto al mercato di riferimento.
Queste sono, molto all'ingrosso, le caratteristiche di fondo che si è cercato di dare alle procedure di allerta e di composizione amichevole.
L'allerta dovrebbe rappresentare quel momento in cui, prima di tutti, gli organi interni dell'impresa percepiscono i sintomi della crisi, per dare corso a queste procedure, con dei meccanismi al tempo stesso premiali per l'ipotesi in cui a quelle procedure si acceda opportunamente e tempestivamente o, viceversa, sanzionatori se, dove ne ricorrano le condizioni, non vi si faccia ricorso.
L'allerta deve poter nascere, però, anche dall'esterno, soprattutto dalle segnalazioni dei creditori qualificati, che sono il creditore fiscale e il creditore previdenziale, perché è esperienza a tutti noi ben nota che il primo sintomo e il più evidente della crisi dell'impresa è il mancato pagamento degli oneri previdenziali e degli oneri fiscali.
A questo meccanismo si allaccia l'ipotesi di sanzioni e di premi e soprattutto l'ipotesi di una più precisa e definita responsabilità degli organi sociali per la mancata attuazione di queste procedure.
Gli altri due punti ai quali, procedendo sempre per sommi capi, vorrei accennare a proposito di lacune da colmare si riferiscono all'insolvenza di gruppo.
Noi abbiamo una chiara percezione del fatto che oggi i fenomeni imprenditoriali più rilevanti si realizzano attraverso la struttura dei gruppi di imprese.
Nei gruppi di imprese si determina sempre per molti aspetti, tra cui le procedure concorsuali, una «tensione» tra la sostanziale unitarietà imprenditoriale del gruppo da un lato, che naturalmente è maggiore o minore a seconda della tipologia dei gruppi stessa, e la struttura giuridica dall'altro.
La struttura giuridica, continuando a riconoscere autonomia nella soggettività giuridica e patrimoniale e distinzione delle masse patrimoniali attive e passive di ciascuna delle imprese facenti parte del gruppo, Pag. 7rende difficile coniugare strumenti giuridici concepiti in rapporto a situazioni individuali di ciascuna singola impresa con una realtà che, viceversa, vede queste imprese collegate tra loro.
Questo inconveniente, oltre che per molti aspetti processuali, a cominciare da quelli in tema di competenza territoriale per le procedure e analoghi, si manifesta soprattutto nei procedimenti concordatari, nei quali occorre individuare l'idoneità di un piano di concordato a risolvere la crisi dell'impresa o l'insolvenza, in termini, se possibile, di continuità dell'impresa stessa.
Ciò si basa sul presupposto che il concordato, nella concezione che abbiamo impostato, debba essere soprattutto funzionale al mantenimento della continuità dell'impresa.
Non si può ipotizzare la continuità dell'impresa che fa parte di un gruppo, se non la si colloca all'interno della logica del gruppo, perché è una logica unitaria per definizione, donde derivano una serie di previsioni destinate a colmare questa grave lacuna. Infatti, al netto di alcune disposizioni contenute nella legge sull'amministrazione delle grandi imprese in crisi, nella legge fallimentare il fenomeno di gruppo non è in alcun modo disciplinato.
Più in generale, ci è parso di dover ipotizzare una serie di disposizioni volte a meglio coordinare il diritto fallimentare con il diritto societario. Il discorso sui gruppi conduce immediatamente a questo approdo.
Stranamente per certi versi (o forse no) accade che la legge fallimentare e il Codice civile, che contiene le disposizioni del diritto societario, sono coetanei (entrambi risalgono al 1942), però si sono mossi sempre su binari relativamente distinti, assai poco collegati tra loro, l'uno volto a disciplinare l'impresa in attività, ovvero l'impresa fisiologica, e l'altro volto a disciplinare la situazione di insolvenza.
In realtà, oggi, proprio in quanto l'insolvenza vuole essere tradotta il più possibile, non in mera liquidazione dell'impresa, ma in continuità dell'impresa stessa, questi due piani spesso si sovrappongono, ma le discipline non sono adeguatamente coordinate.
Ad esempio, basterebbe pensare ai temi della tutela dei creditori e dei terzi nelle fusioni o, più in generale, nelle operazioni straordinarie sul capitale o sulla struttura delle imprese. Queste procedure sono disciplinate dal Codice civile attraverso una serie di strumenti di opposizione e di tutela davanti agli organi giurisdizionali, che non sono facilmente coordinabili con l'ipotesi in cui queste operazioni si collochino all'interno di una procedura concorsuale.
Infatti, all'interno della procedura concorsuale entrano in gioco un diverso rapporto tra l'interesse dei creditori e quello dei soci e una competenza degli organi nelle procedure concorsuali che non coincide, neanche dal punto di vista della mera individuazione del giudice competente a erogare un certo tipo di tutela, con quella prevista dal Codice civile.
Ciò è fonte di gravi problemi interpretativi e applicativi e, quindi, di ritardi e complicazioni nell'attuazione delle procedure.
Io credo che una disciplina che cerchi di dare organicità e sistema a queste realtà sia uno degli strumenti principali per facilitare i risultati di cui prima parlavo.
Mi fermo per ragioni di tempo. Segnalerei soltanto, perché mi pare giusto e doveroso farlo, che, come sicuramente a voi non è sfuggito, il testo del disegno di legge presentato dal Governo alla Camera dei deputati sul quale voi state lavorando, come dicevo da principio, è frutto in larga parte del lavoro della Commissione ministeriale di cui ho parlato; tuttavia, per alcuni aspetti (non molti, ma significativi) se ne discosta.
Su questo magari, se c'è tempo, potrebbe dire qualcosa la collega Vella. Mi dica il presidente se ritiene opportuno che mi soffermi su questi punti di differenza, almeno sui principali, o se è più utile soffermarsi su altri.
PRESIDENTE. La ringraziamo. Adesso vorrei dare la parola al presidente Longobardi, anche perché il testo che noi abbiamo davanti è questo. Noi partiamo non dai lavori della Commissione, ma dal testo del disegno di legge, quindi questo è il Pag. 8nostro punto di riferimento. L'onorevole Bonafede desidera porre una domanda?
ALFONSO BONAFEDE. Presidente, gli aspetti per cui il Ministero si è discostato dalla Commissione mi interessano perché...
PRESIDENTE. Il Consiglio dei ministri.
ALFONSO BONAFEDE. Sì, il Consiglio dei ministri. Mi interessa semplicemente perché è come se il professore rappresentasse il suo punto di vista sull'attuale disegno di legge, così come era originariamente concepito.
PRESIDENTE. Dopo lo evidenzieremo. È passata mezz'ora, quindi io adesso darei la parola al presidente Longobardi. Dopodiché, magari, introdurremo questo tema con una domanda, a cui potrà rispondere eventualmente la dottoressa Vella.
Gerardo Longobardi, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, è accompagnato da Maria Rachele Vigani, consigliere nazionale delegato procedure concorsuali, da Felice Ruscetta, consigliere nazionale delegato procedure concorsuali, e da Cristina Bauco, ricercatrice della Fondazione nazionale commercialisti.
Abbiamo anche un documento predisposto dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Per lasciare un po’ di tempo alle domande, la pregherei in questo quarto d'ora – conosciamo la sua abilità – di evidenziare i punti più salienti del documento, fermo restando che noi abbiamo appena iniziato e queste sono le prime audizioni. È abitudine della Commissione sia proseguire sia studiare i documenti.
GERARDO LONGOBARDI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Presidente, innanzitutto, la ringrazio per la generosa presentazione. Sono un po’ in imbarazzo perché, oltre a essere di fronte a una Commissione parlamentare così autorevole per l'esame di questo disegno di legge, ho a fianco il presidente Rordorf. Spero che il maestro non bacchetti troppo l'allievo.
Sicuramente apprezziamo molto i lavori della Commissione Rordorf. Non lo dico per piaggeria e l'abbiamo più volte scritto nel documento. Apprezziamo anche che molte delle nostre richieste sono state recepite dall'elaborato della Commissione Rordorf e sono rimaste nel disegno di legge C. 3671 che è in discussione.
Siamo pienamente d'accordo sulla linea di coerenza e di sistema a cui ha fatto qui riferimento il presidente Rordorf. Nel documento che vi abbiamo presentato ci sono un commento alle varie norme e una tabella di raffronto tra il testo dell'atto Camera e le modifiche e integrazioni che proponiamo.
Con riguardo ai princìpi generali di modifica e in particolare all'articolo 2, viene introdotto il concetto di crisi, disgiunto dal concetto di insolvenza. Riteniamo che sarebbe forse opportuno ricorrere anche a definizioni non solamente giuridiche ma anche di natura aziendalistica, proprio perché, a nostro dire, la nozione di crisi è molto più magmatica di quanto possa essere quella di insolvenza.
Con riferimento a un'altra fattispecie estremamente importante, riferita proprio agli intercettori della crisi, sarebbe opportuno fare un attento distinguo tra i soggetti che sono deputati al controllo della società, in particolare il collegio sindacale e il revisore.
Indubbiamente la funzione del collegio sindacale è importante, ma lo è se e in quanto quest'ultimo svolge anche attività di revisione contabile. Nell'ipotesi in cui non svolge attività di revisione contabile, evidentemente l'intercettore naturale della crisi non può che essere la società di revisione, la quale verifica l'impossibilità della continuità aziendale ai sensi del principio ISA (International Standards on Auditing) 570 Italia.
In quel caso, il collegio sindacale riceve dal revisore una comunicazione in ordine alla situazione di crisi e solo in quel momento può attivarsi. Altrimenti, il collegio sindacale non può avere questa possibilità. Pag. 9
Pertanto, riteniamo che sia opportuno introdurre nella norma, in particolare nell'articolo 2, comma 1, lettera d), le parole «dell'incaricato della revisione legale», proprio per specificare che, ahimè, il collegio sindacale può intervenire solamente se fa l'una e l'altra.
C'è una questione che noi riteniamo importante, ma non voglio soffermarmici troppo. Si propone la soppressione del principio enunciato nella lettera n) del comma 1 dell'articolo 2, relativo all'istituzione presso il Ministero della giustizia di un albo di soggetti destinati a svolgere, su incarico del tribunale, le funzioni di curatore e di commissario.
Sappiamo perfettamente che questi soggetti, nel momento in cui accettano l'incarico, sono dei pubblici ufficiali e sono soggetti alla responsabilità civile ex articolo 1176 del codice civile. Inoltre, sono soggetti al controllo del magistrato; c'è un rapporto intuitu personae tra il magistrato e il curatore fallimentare o commissario giudiziale.
Potrebbe ipotizzarsi una sorta di delegittimazione del magistrato a introdurre un albo, che, peraltro, sarebbe una sovrapposizione, ovvero un albo «al quadrato», nel senso che i soggetti a cui vogliamo far riferimento sono dotati di professionalità adeguate (avvocati e commercialisti) e iscritti in albi professionali.
Il fatto che questi soggetti debbano essere iscritti a un altro albo ci sembra quasi una tautologia, a meno che non debbano essere iscritti nell'albo quei soggetti che sono indicati nell'articolo 28 della legge fallimentare. Mi riferisco in particolare a coloro che non sono soggetti ordinistici, ovvero non sono né avvocati né commercialisti, ma sono coloro che, come dice la norma «abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali». Se dovessimo scegliere l'albo, il tertium genus sarebbe questo.
Peraltro, ciò creerebbe anche un grosso problema con riguardo ai giovani, che non crescerebbero mai. Mi riferisco al fatto che sarebbe richiesta, non solamente un'adeguata professionalità, ma anche una comprovata esperienza. Troviamo dei modi per far crescere i giovani.
Sulla sostanza, c'è da dire che nell'articolo 13, comma 1, lettera b), del disegno di legge si parla del dovere dell'imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi.
Questo è un fatto che già avviene naturalmente nelle società di capitali, in particolare nelle società per azioni, quindi, di fatto, si tratterebbe di verificare come questa norma possa impattare nell'ipotesi in cui non ci sia un soggetto che controlla l'imprenditore. Ritorniamo all'antico dilemma «collegio sindacale sì, collegio sindacale no; revisore sì, revisore no».
La nostra proposta tranchant è quella di prevedere per tutte le società di capitali un soggetto che sia tenuto al controllo. Chiamiamolo «revisore», chiamiamolo «collegio sindacale», chiamiamolo «sindaco unico», chiamiamolo come vogliamo. Ritengo difficile che l'imprenditore si autodenunci, soprattutto quando parliamo di imprenditori individuali o di società personali, ma anche nel caso di società di capitali dove non esistono organi di controllo.
Con particolare riferimento al cuore della procedura d'allerta, credo che sia stato svolto un grandissimo lavoro dalla Commissione, individuando nella sezione specializzata degli organismi di composizione della crisi (OCC) i soggetti che dovranno gestire l'allerta.
Evidentemente si tratta di qualcosa di diverso rispetto agli attuali OCC. Tuttavia, perché il sistema possa funzionare, non è tanto importante il nominalismo del contenitore, dell'OCC sezione specializzata, quanto il contenuto, cioè dire che i soggetti che faranno parte dell'organismo di composizione della crisi dovranno essere altamente qualificati.
Noi avevamo proposto in Commissione Rordorf due ipotesi, una principale e una subordinata. In primo luogo, i soggetti che dovranno lavorare nell'organismo di composizione della crisi dovrebbero essere i professionisti in possesso dei requisiti dell'articolo 67, secondo comma, lettera d), Pag. 10vale a dire professionisti che siano anche revisori contabili, intesi come soggetti ordinistici.
In via subordinata, abbiamo previsto anche la possibilità che possano essere semplicemente i professionisti iscritti all'albo degli avvocati e all'albo dei commercialisti, vale a dire quelli in possesso dei requisiti di cui all'articolo 28, primo comma, lettere a) e b), della legge fallimentare.
In ogni caso, facciamo una preghiera: se vogliamo veramente far sì che gli OCC e le sezioni specializzate decollino, è importante che vengano affidati a dei soggetti professionalmente qualificati, che abbiano il «bollino blu». Altrimenti, abbiamo fatto una cosa molto interessante, però la svuotiamo di qualsiasi contenuto.
Affronto ora velocemente un argomento di cui stavamo parlando anche prima in corridoio. È una questione estremamente importante, sulla quale come Consiglio nazionale chiediamo un'attenzione particolare. Mi riferisco alla cosiddetta «allerta esterna».
Il presupposto dell'allerta esterna – mi corregga se sbaglio – è l'inadempimento di importo rilevante. Ci sono dei soggetti esterni alla società che possono intercettare la crisi. Questi sono sostanzialmente l'Agenzia delle entrate e l'INPS, quei soggetti che, alla fine della fiera, come stava dicendo il presidente Rordorf, nei cinque anni precedenti il fallimento o il concordato preventivo molto probabilmente non hanno ricevuto pagamenti di alcuni tipo.
Noi ci chiediamo: per quale motivo oggi, fatta cento la massa dei crediti delle procedure concorsuali, almeno il 40 per cento, ma sicuramente di più, è rappresentato da debiti nei confronti dell'erario e degli istituti previdenziali?
Se così stanno le cose, ben venga quanto ha rappresentato la Commissione Rordorf in ordine all'utilizzabilità dell'allerta esterna, ma facciamo in modo che l'allerta esterna funzioni. Questo può funzionare, se esistono delle procedure automatiche.
In Italia abbiamo 300 banche dati, che debbono dialogare tra loro. Se un'azienda che ha cento dipendenti non versa periodicamente per tre mesi, quattro mesi, cinque mesi, sei mesi o sette mesi le ritenute e l'IVA e non presenta gli F24, signori, è la cosa più semplice del mondo. Non dobbiamo aspettare i quattro anni o i cinque anni cui faceva riferimento il presidente Rordorf; alla peggio, basta un anno.
Non è possibile che alla fine chi rimane «con le pive nel sacco» è sempre lo Stato. È meglio prevenire la crisi, perché questa è sicuramente molto importante.
Scusate, ma questo è un argomento forte, che ci farebbe piacere che passasse, e, quindi, abbiamo indicato la possibilità di integrare la norma con dei rilevamenti automatici. Non ci sono difficoltà.
Mi avvio alla conclusione parlando del procedimento di composizione della crisi, in particolare della chiusura. Si è detto che è una procedura di carattere confidenziale. Tuttavia, credo che, nel momento in cui viene fatta la scelta di pubblicare presso il registro delle imprese l'ulteriore relazione del professionista, quando decorre inutilmente il semestre, questo faccia cambiare pelle alla procedura riservata.
Abbiamo suggerito, quindi, la riformulazione della lettera i) del comma 1 dell'articolo 4. In particolare, una volta che l'organismo di composizione informa il presidente della sezione specializzata, ricadrà su quest'ultimo l'obbligo di convocare l'imprenditore e gli organi di amministrazione e di adottare il provvedimento che ritenga maggiormente opportuno. Questo chiude il cerchio della confidenzialità e della riservatezza della questione.
C'è poi la problematica dell'attestatore. Anche su questo abbiamo qualche perplessità. Dell'attestatore si parla sia nella chiusura della procedura di allerta sia nel concordato preventivo.
A nostro avviso, la figura dell'attestatore deve restare. È vero che ci sono stati dei problemi e lo sappiamo perfettamente, però questo non significa che, se c'è una mela marcia, bisogna buttare direttamente l'albero. Questo vale per tutti noi, per tutte le professioni, per tutte le istituzioni.
Riteniamo che la figura dell'attestatore debba restare così com'è e non debba essere nominata nella fattispecie de qua dal tribunale, ma debba continuare a essere Pag. 11nominata dall'imprenditore, ferme restando le responsabilità personali, civilistiche e penali connesse all'attività dell'attestatore.
Chiudo con un paio di osservazioni sul concordato preventivo e in particolare sull'articolo 6. Indubbiamente ci piacerebbe che tutti fossero concordati in continuità. Nella mia esperienza professionale, su cento casi che ho esaminato, ne ho visti 95 in liquidazione e cinque in continuità. Debbo dire che sono stato fortunato a vederne cinque in continuità.
Chiediamo di ripensare alla rigidità della struttura del concordato, inteso esclusivamente come concordato in continuità. Proponiamo in particolare di escludere la legittimazione del terzo a proporre un concordato, fintanto che non venga concluso il procedimento di allerta e di mediazione di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b). Siamo d'accordo, quindi, sulla legittimazione del terzo, ma solo dopo aver concluso l'iter dell'allerta.
Abbiamo parlato della fissazione delle modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano. Sarebbe un ritorno al passato, in quanto attribuire al tribunale poteri di verifica in ordine alla realizzabilità del piano economico ci crea qualche problema, anche alla luce della cassazione. Ovviamente quella norma è totalmente innovativa, quindi siamo d'accordo.
Infine, chiudo con le proposte di modifica del codice civile. C'è una questione che riguarda il progetto Common, su cui noi abbiamo qualche perplessità, che è esplicitata nell'articolo 7. La norma, così com'è scritta, ci crea qualche difficoltà; non riusciamo obiettivamente a capirla. Comunque, mi riferisco a quello che veniva definito «progetto Common».
Con riferimento, invece, alle osservazioni proposte di modifica dell'articolo 13 e dell'articolo 14 (liquidazione coatta amministrativa), direi che per quanto riguarda la responsabilità dei sindaci si parla solamente di un atteggiamento premiale dell'imprenditore. Abbiamo chiarito che qui non c'è un problema di premialità, ma c'è un problema di limitazione delle responsabilità. Quando il revisore si attiva per tempo, un riconoscimento della sua attività deve essergli dato. I meccanismi di modifica del codice civile in questo caso dovrebbero prevedere quantomeno una riduzione delle responsabilità in capo al professionista che si attivi per tempo.
Infine, la revisione della liquidazione coatta amministrativa è perfetta. Tuttavia, ci crea qualche perplessità il fatto che nella liquidazione coatta amministrativa l'organismo di composizione della crisi sia l'autorità di vigilanza. È l'arbitro che controlla se stesso. Francamente l'autorità di vigilanza deve vigilare per tutto il tempo. Ahimè, se non ha vigilato, perché fargli fare pure l'organismo di composizione della crisi? Pertanto, sarebbe ipotizzabile e auspicabile una lettura diversa.
Chiedo scusa per l'enfasi. Spero di aver rispettato i tempi.
PRESIDENTE. Grazie, presidente. Prego i colleghi, anche per rispetto degli auditi, di porre domande e di non fare considerazioni, perché altrimenti non abbiamo tempo per la replica.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ALFONSO BONAFEDE. Io sostanzialmente avevo già posto la domanda. Chiedo al presidente Rordorf, o a chi per lui, di esprimere quali sono le differenze rispetto al lavoro della Commissione e se queste differenze equivalgono a dei punti su cui, attualmente, non concorda nella redazione finale, perché rappresentano un'opinione divergente.
FRANCO VAZIO. A me pare che si possa desumere dall'articolo 6, ma mi domando se non sia più opportuno esplicitare con maggior evidenza – sempre che io l'abbia inteso correttamente – il fatto che il concordato può essere domandato dal terzo anche in prosecuzione di una sua iniziativa. Mi riferisco al concordato con prosecuzione per iniziativa del terzo che lo domanda.
A me parrebbe di interpretarlo in questo senso, però in realtà potrebbe essere Pag. 12solamente limitato alla presentazione della domanda di concordato, ma non anche al fatto che io voglia proseguire l'attività del soggetto in crisi.
Mi domando se sia questa la filosofia e se non sia opportuno magari specificarlo più dettagliatamente.
ALFREDO BAZOLI. Fermo restando che questo è un progetto di legge molto ambizioso e molto complesso e che, quindi, ovviamente adesso siamo destinati a porre domande che non esauriscono tutti i quesiti sui quali sarebbe opportuno fare un approfondimento, a me pare che il presidente del consiglio dei dottori commercialisti abbia toccato due punti interessati e sensibili, sui quali vorrei conoscere anche il punto di vista del presidente Rordorf. Sono esattamente due punti sui quali anch'io mi interrogo.
Il primo concerne l'affidamento dell'incarico, un ruolo decisivo e nevralgico per il funzionamento delle procedure di allerta, agli organismi di composizione della crisi, che oggi faticano ad adempiere le funzioni alle quali sono deputati, che sono quelle relative alla gestione delle crisi di sovraindebitamento dei privati.
È chiaro che, se non funziona l'organismo che deve gestire le procedure di allerta, tutta l'impalcatura, che secondo me è molto ambiziosa e molto interessante, rischia di venir meno. A me interessa capire come in Commissione avete valutato questo tema.
La seconda questione riguarda i concordati preventivi. Il disegno di legge prevede sostanzialmente che il concordato preventivo o è in continuità o non ha senso di essere. Peraltro, la riforma di pochi mesi fa aveva introdotto la soglia del 20 per cento per l'ammissibilità dei concordati preventivi.
Mi chiedo che valutazioni avete fatto su questo in Commissione, cioè perché si è ritenuta opportuna un'eliminazione tout court di questo strumento, che ha caratteristiche che hanno una loro logica e una loro coerenza all'interno del sistema. Vorrei capire quali sono state le valutazioni che hanno portato a una decisione così drastica e così forte.
PRESIDENTE. Io vorrei porre solo una domanda, collegandomi a quella posta dal collega Bazoli con riferimento agli organismi di composizione delle crisi. Peraltro, quella è una legge che fu varata nella scorsa legislatura e alla quale abbiamo creduto. Ha portato molto lavoro, ma pochissimi effetti, da quello che abbiamo capito. Ho capito male?
GERARDO LONGOBARDI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Abbiamo cominciato ieri. I primi organismi di composizione delle crisi hanno qualche mese.
PRESIDENTE. Addirittura! Mi raccordo a questa domanda. Si credeva molto a quegli organismi, che dovevano avere anche una certa composizione. Mi pare che in seguito ci fu una norma transitoria. Forse è per questo che la legge è entrata in vigore abbastanza tardi rispetto alla sua approvazione (parliamo per lo meno del 2011).
Forse non ho verificato bene, però sarà una sezione di quell'organismo. Rispetto a come è composta oggi, si prevedono delle composizioni specifiche di questa sezione e magari anche tempi di realizzazione non così lunghi? Se la legge per entrare in vigore ci mette sei anni, diventa un problema. Questa è la prima domanda.
Ho visto la critica che riguarda l'elenco nazionale dei curatori presso il Ministero della giustizia. Io vorrei capire questo. Il testo forse c'era anche nella versione della Commissione. È un'idea che in qualche modo prevede una circolazione delle professionalità? Mira a questo? Ho a cuore anche i giovani e le professionalità locali, però devo fare una domanda.
Per esempio, nel testo di legge che ora è al Senato è stato previsto un albo nazionale degli amministratori giudiziali.
Presidente Longobardi, il discorso è questo. Noi sappiamo che ci sono delle incrostazioni. Lo dico alle due parti in causa, quindi anche alla magistratura. Sappiamo che ci sono delle incrostazioni e, quindi, forse una scarsa rotazione degli incarichi in sede locale. Non è detto che la rotazione equivalga sempre alla professionalità. Non Pag. 13saprei come poter equilibrare le due cose, se non affidandoci alla serietà e alla correttezza di chi nomina.
Lei afferma che questi elenchi nazionali sarebbero una duplicazione. Tuttavia, in realtà, non consentirebbero di avere una circolazione più ampia delle professionalità? Senza nulla togliere agli albi presso i tribunali di nomina, a volte ci sono dei posti dove alcune professionalità di ampio respiro mancano e magari si va a chiamare il conoscente, l'amico o l'amico dell'amico.
Io l'ho letta così. Magari potrebbe essere migliorata, ma non l'ho letta come una forma di limitazione del locale. Ovviamente il professionista locale deve poter lavorare, questo è giusto, e soprattutto i giovani devono poter crescere. Tuttavia, questo non potrebbe essere un modo per avere un albo nazionale cui potersi riferire nel caso in cui certe professionalità in sede locale non ci siano? Voi fate riferimento a Roma, ma l'Italia non è Roma, Firenze o Milano.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
PAOLA VELLA, Consigliere della Corte di cassazione. Posso anche cominciare dalla fine.
RENATO RORDORF, Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Scusate, c'è la domanda che riguarda i punti divergenti. Naturalmente i punti divergenti possono essere tanti. Magari Paola Vella può accennare a quali sono i due o tre principali e poi eventualmente posso dire due parole anch'io.
PAOLA VELLA, Consigliere della Corte di cassazione. I due punti focali sono la modifica che riguarda la procedura d'allerta e l'aspetto che concerne la restrizione ulteriore del concordato preventivo liquidatorio.
Parlo subito del concordato preventivo, perché è quello più immediato. Il trend ormai è stato già affermato, nel senso che le modifiche che sono state compiute con la soglia del 20 per cento hanno portato già a una riduzione dei concordati. Un collega del tribunale di Roma mi riferiva che improvvisamente i concordati preventivi non ci sono più. Questo è già un effetto, quindi, semmai, bisogna gestirlo un po’ meglio.
Sicuramente, tutto ciò che è emerso dalla Commissione è frutto di un grande dibattito, di un lavorio e di un confronto di idee. Lasciare spazio alla possibilità di fare un concordato liquidatorio, dove ci sia l'apporto di un terzo, sicuramente migliora la soddisfazione dei creditori. Questo è un dato oggettivo: se i creditori andranno in liquidazione e, quindi, non potranno accedere al concordato, verranno soddisfatti di meno.
Pertanto, si era pensato che fosse giusto mantenere, almeno in questa ipotesi, l'idea di un concordato liquidatorio, perché in quel caso è sicuramente più conveniente per i creditori. Sembra quasi una sostituzione a una valutazione di convenienza.
Si è chiesto giustamente: come mai questo concordato liquidatorio, che è stato quello che ha sempre riempito le nostre aule sinora...
L'idea di perseguire più che altro il concordato in continuità è strettamente legata alla grande innovazione, che si vorrebbe compiere, di trasformare il fallimento in liquidazione.
Per intenderci, la procedura fallimentare e il concordato liquidatorio a oggi sono molto simili e, purtroppo, entrambi lenti. Noi non abbiamo avuto dei concordati liquidatori che effettivamente portassero una grande risorsa in termini di celerità, efficienza e anche soddisfazione dei creditori.
Pertanto, si è detto: se vogliamo togliere tutto l'aspetto negativo del fallimento, l'aspetto un po’ scoraggiante sotto il profilo personale e umano, decidiamo che, se c'è da liquidare e non è possibile andare avanti, si fa una liquidazione, naturalmente rendendola più veloce e più snella, come sarebbe stato un concordato liquidatorio; se, invece, si vuole salvare l'impresa, allora diamo tutte le risorse possibili, perché è interesse di tutta l'economia e dello Stato poter portare avanti, magari non tutta l'azienda, ma solo un ramo della stessa. Pag. 14
Infatti, non è detto che il concordato in continuità debba riguardare necessariamente tutta l'azienda. Se c'è almeno una parte di imprenditorialità che si può lasciare andare avanti, allora si cerca di agevolarlo.
PRESIDENTE. Questa è la parte che noi già abbiamo varato con la riforma dell'anno scorso. È già legge.
PAOLA VELLA, Consigliere della Corte di cassazione. Attualmente, il concordato liquidatorio si può fare, purché si abbia una soglia del 20 per cento. Invece, con la riforma, adesso, praticamente non ci sarebbe la soglia del 20 per cento, ma si direbbe: o si fa un concordato...
PRESIDENTE. Nella delega del Governo?
PAOLA VELLA, Consigliere della Corte di cassazione. Sì, o si fa un concordato, almeno in parte in continuità, oppure... La Commissione Rordorf diceva di lasciare il concordato liquidatorio dove c'è un terzo che vuole apportare delle risorse e che acconsente. Se, invece, non c'è nessuna risorsa extra, a quel punto dice di fare una normale liquidazione. Non si chiama «concordato», ma si chiama «liquidazione»; non è nemmeno vista nell'ottica del fallimento.
È chiaro che è tutto correlato all'innovazione forte che c'è fin dall'inizio. Se vanno viste a pezzettini, staccate tra loro, non funzionano. Questo è ciò che riguarda il discorso del concordato.
L'altra questione che penso sia importante sottolineare è la procedura d'allerta. Avete già visto come è nata la procedura d'allerta, con le spinte dell'Europa eccetera.
Il problema è che era emersa un'idea che, con l'aggiunta delle ultime due lettere, è stata un po’ snaturata. Adesso abbiamo un «monstrum». Si parte con l'idea che l'imprenditore deve essere sereno e sapere che deve rivolgersi all'organismo di composizione della crisi, perché lì trova qualcuno che lo aiuta. Siccome lui è lento, non ce la fa, non si circonda, non chiede, sa che c'è un punto di riferimento.
Il progetto imprenditorialità della Commissione europea fino al 2020 dice proprio questo: sostegno alle imprese, soprattutto alle piccole e medie imprese – noi ne siamo pieni – cioè a quelle che non hanno strutture organizzative interne solide.
L'imprenditore deve potersi rivolgere tranquillamente all'organismo, mettersi a un tavolo, parlare e chiedere: «Che cosa possiamo fare?»
L'idea era proprio questa confidenzialità, che è un po’ la scommessa di tutta la riforma. Se, però, noi alla fine ci attacchiamo quest'ultimo pezzo... L'articolo 4, comma 1, quello sulle procedure di allerta, secondo la Commissione si fermava alla lettera g), mentre adesso abbiamo le lettere h) e i).
Innanzitutto, c'è una grande responsabilità dell'attestatore dell'organismo, il quale deve valutare se l'imprenditore ha adottato delle misure idonee. Se ritiene che le misure non siano idonee, mette in allerta il presidente della sezione specializzata.
Quest'ultimo ricomincia daccapo tutto l'iter: chiama l'imprenditore, dà a un professionista l'incarico di esaminare la situazione patrimoniale, economica e finanziaria, che voi trovate nelle lettere precedenti, e poi dà un termine entro il quale adottare delle misure. È esattamente una duplicazione: quella era stragiudiziale, questa diventa giudiziale.
Alla fine la grande sanzione, se uno non fa niente, è che si pubblica nel registro delle imprese. Non mi sembra opportuno fare tutto questo movimento e snaturare il senso dell'allerta, che deve invogliare gli imprenditori ad agire. Se in Italia gli imprenditori non si muovono, noi possiamo fare tante belle norme, ma rimarremo sempre in difficoltà. È lì che serve un incentivo. Se l'imprenditore riesce a fidarsi di questo organismo e va, allora non deve avere paura che si metta in moto tutto un meccanismo in cui si ritrova di nuovo dentro al tribunale.
Ci sembrava che la soluzione, uscita da un grande dibattito, fosse molto ponderata. Questo aggancio potrebbe snaturato il tutto.
PRESIDENTE. Pongo una domanda, altrimenti noi non capiamo. Come dicevo al presidente, l'attestatore si riferisce al tribunale laddove l'imprenditore non metta in atto le misure idonee a porre rimedio alla crisi, cioè sia immobile.
PAOLA VELLA, Consigliere della Corte di Cassazione. Sì, oppure se non adotta misure idonee.
PRESIDENTE. Qual era la vostra soluzione?
ALFONSO BONAFEDE. Si partiva dall'idea per cui, se l'imprenditore è in crisi, potrebbe anche essere colpa sua e della sua incapacità di porre rimedio, però, se l'imprenditore nel rivolgersi al tribunale deve fare una valutazione di questo tipo, effettivamente potrebbe avere il timore di farlo. Il fatto di rivolgersi al tribunale non esclude che lui si senta colpevole. Se non ho capito male, lui potrebbe sentirsi incapace di risolvere la crisi e, per questo, rivolgersi al tribunale.
PRESIDENTE. Il presidente Rordorf vuole aggiungere una cosa su questo punto. Io la intendo come una specie di remora, nel senso di rispondere a un imprenditore che, in allerta, va dall'organismo di mediazione e non fa nulla, rimane inerte. Qual è la vostra visione?
RENATO RORDORF, Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Io la metterei in questi termini. L'imprenditore è in crisi e ci sono i segnali di allerta; questi segnali vengono trasmessi all'imprenditore, il quale deve fare qualcosa. Immaginiamo che faccia qualcosa e si rivolga all'organismo di composizione. Vengono fatte delle proposte e l'organismo si muove. L'imprenditore, utilizzando gli spunti che ha ricevuto, può muoversi in modo tale da superare la crisi. Non succede più nulla e tutti vissero felici e concreti.
Non è detto che le cose vadano bene. Che l'imprenditore si attivi o meno, può succedere che la crisi non venga superata.
Nella proposta della Commissione non era previsto altro. Era previsto che questa procedura di allerta e composizione della crisi fosse una procedura «in sé conclusa», per cui, se l'imprenditore riesce a realizzare, attraverso questa procedura, l'obiettivo di superamento della crisi, va tutto bene. Se non ci riesce, che cosa succede? L'obiezione che era stata fatta è che bisogna trovare una chiusura della procedura.
Io sono personalmente convinto che non ci fosse nessuna necessità di trovare una chiusura formale della procedura. L'imprenditore è semplicemente un imprenditore in crisi, che non è riuscito, attraverso quello strumento, a superare la sua crisi. Dunque, come già potrebbe avvenire a prescindere dalla procedura di allerta, potrà ricorrere a una procedura di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione della crisi, se riterrà di farlo, oppure potrà ricorrere un terzo. In seguito risponderemo alla domanda sull'iniziativa del terzo. Altrimenti, qualche debitore chiederà il suo «fallimento». Lo metto tra virgolette perché oggi non lo chiameremmo così. Non vedevo la necessità.
Se si ipotizza la necessità che, invece, questa procedura arrivi comunque a una conclusione, che dica all'imprenditore «bravo, hai superato la crisi», oppure «cattivo, non hai superato la crisi», allora si apre il problema di chi deve chiudere questa procedura.
La scelta fatta nella proposta del Governo è che la procedura si chiuda con un arrivo al presidente del tribunale delle imprese, con una sorta di sanzione reputazionale, perché l'esito negativo viene pubblicato nel registro delle imprese.
Naturalmente, si possono scegliere tutte le soluzioni possibili, ma questo tipo di chiusura, oltre a essere, come suggeriva la consigliera Vella, un po’ farraginosa, perché, per arrivare a questa sanzione reputazionale si ha una sorta di sub-procedura ulteriore, quindi tutto diventa molto più pesante, comunque, fa balenare sin dall'inizio Pag. 16 all'occhio dell'imprenditore questo rischio finale.
Di conseguenza, viene meno quella prospettiva di confidenzialità e di stragiudizialità che rappresentava l'esca principale per attivare questa procedura. Certamente, se l'imprenditore non fa niente, viene punito. Se, invece, l'imprenditore fa qualcosa che non viene giudicato sufficiente, viene punito ugualmente? L'imprenditore è sicuro che ciò che fa sarà giudicato sufficiente?
Questa è la ragione per la quale noi avevamo preferito non prevedere questa chiusura, ma lasciare che l'esito successivo dipendesse dal corso degli eventi. Non so se sono stato chiaro.
PAOLA VELLA, Consigliere della Corte di cassazione. Quantomeno, semmai si dovesse lasciare una relazione finale o qualsiasi cosa, si dovrebbe eliminare la duplicazione di tempi e di costi, perché, se si ricomincia da capo...
GERARDO LONGOBARDI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Vorrei passare la parola al consigliere Ruscetta, con riferimento alla questione degli albi.
Per la chiusura noi avevamo ipotizzato, invece, una soluzione più semplice, vale a dire che il presidente della sezione specializzata convocasse l'imprenditore o l'organismo di amministrazione, adottando gli opportuni provvedimenti e nominando, se del caso, un amministratore giudiziario, determinandone poteri e durata. Questa è la nostra chiusura.
PRESIDENTE. Ci rifletteremo. Nel frattempo è arrivato anche l'altro relatore, l'onorevole Ermini.
FELICE RUSCETTA, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Vorrei chiarire quello che ha affermato il presidente a proposito dell'albo al quadrato. A noi può anche andar bene eventualmente un elenco nazionale, ma che non sia un albo, perché già abbiamo due albi, quello degli avvocati e quello dei commercialisti, e non vorremmo che all'accesso di questo albo venissero collegati corsi, esami, prove continue, crediti.
PRESIDENTE. Vi riferite all'albo.
FELICE RUSCETTA, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Al nome «albo». Per noi è già sufficiente l'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
GERARDO LONGOBARDI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. La forma è sostanza.
FELICE RUSCETTA, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Esatto. Una cosa è l'elenco, dove si accede con semplice domanda, dopo che ci si è iscritti nell'albo dei dottori commercialisti o in quello degli avvocati, e un'altra cosa è dover fare delle nuove prove di accesso per iscriversi in questo nuovo albo. A questo punto, come dice il presidente, parliamo di albo al quadrato, con costi, con tempi e con tutta una serie di disagi per i professionisti.
PRESIDENTE. La dottoressa mi ha fatto ricordare una cosa. Non se i colleghi rammentano che noi recentemente per gli interpreti e i traduttori, per cui non c'è la questione dell'albo...
GERARDO LONGOBARDI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Non sono soggetti regolamentati.
PRESIDENTE. Vorrei ricordare qual è stata la soluzione, perché ovviamente ci può essere anche in quel contesto una difficoltà per alcune professionalità. Tralasciando che ci sarà l'albo del tribunale eccetera, in quel caso ci sarà un elenco nazionale presso il Ministero, che verrà arricchito dai vari tribunali. Non è una Pag. 17duplicazione di albo, ma è un elenco che, secondo me, invece, soprattutto per alcune aree povere...
Purtroppo, spesso alcune specializzazioni...
FELICE RUSCETTA, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Presidente, l'importante è che non parliamo di albo. Questa è la nostra preoccupazione.
PRESIDENTE. Sì, ho capito qual è la problematica. Può darsi pure che non sia utile, ci rifletteremo.
PAOLA VELLA, Consigliere della Corte di cassazione. Vorrei aggiungere una cosa su questo argomento, perché anche questo è stato molto dibattuto dentro alla Commissione e si legava al discorso della specializzazione.
Noi abbiamo fatto un discorso sulla specializzazione del giudice, cioè abbiamo trovato dei meccanismi per essere sicuri che il giudice che si occupa delle procedure concorsuali sia veramente specializzato. A ciò abbiamo legato il discorso sulla specializzazione del professionista, perché certamente non tutti i dottori commercialisti e non tutti gli avvocati si occupano di procedure concorsuali.
Noi avevamo inserito in questa lettera l'idea di prevedere l'indicazione di requisiti di professionalità, indipendenza ed esperienza, una parte dei quali può essere già nel bagaglio. Questo è ovvio, perché è già iscritto nell'albo.
PRESIDENTE. Non c'è un albo dei curatori?
PAOLA VELLA, Consigliere della Corte di cassazione. Non c'è. Noi nei tribunali abbiamo i consulenti tecnici d'ufficio (CTU), ma non abbiamo i curatori.
Si era anche pensato che al limite, se dovesse essere un albo, i requisiti dell'iscrizione a livello nazionale ...
PRESIDENTE. Il perito del giudice è iscritto in un elenco dei consulenti tecnici del tribunale e il curatore no.
Anziché fare un albo nazionale, si potrebbe fare un elenco – se non lo vogliamo chiamare albo – dei curatori, che possono essere commercialisti o avvocati, però con una professionalità specifica. Io penso che sia importante.
FELICE RUSCETTA, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Presidente, già esiste.
PRESIDENTE. Non esiste.
FELICE RUSCETTA, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Mi riferisco al fatto che noi siamo soggetti all'aggiornamento professionale continuo, ma soprattutto i presidenti e i giudici delegati chiedono un curriculum in cui i professionisti devono indicare l'esperienza e la formazione...
PRESIDENTE. Consigliere, questa è una buona prassi di alcuni tribunali e di alcuni presidenti. Qui bisogna considerare che l'Italia è lunga e diversa.
RENATO RORDORF, Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Se permettete, vorrei fare una considerazione di ordine appena più generale, perché ho il timore che, altrimenti, c'è qualche difficoltà a intenderci.
Una delle questioni sulle quali noi ci siamo interrogati come Commissione sin dall'inizio è stata quale fosse il più opportuno grado di dettaglio delle regole che volevamo proporre, partendo ovviamente dalla considerazione che stavamo lavorando su un'ipotesi di legge delega, dunque su una legge che deve indicare dei criteri direttivi, non il dettaglio di una disciplina, Pag. 18e tenendo conto di ciò che la storia ci insegna sulle grandi riforme.
Mi viene in mente su tutte il Testo unico della finanza del 1998, che mi pare l'esempio più clamoroso. È una norma fondamentale, composta da oltre 180 articoli – non ricordo esattamente – che nasce da una legge-delega di tre righe.
È chiaro che si sarebbe potuto facilmente immaginare una proposta di questo tipo. Abbiamo scelto – personalmente credo che sia una scelta che ha un prezzo, ma che ha allo stesso tempo un valore – di fare, viceversa, un lavoro sufficientemente dettagliato. Se non ho contato male, sono oltre 140 i criteri di delega.
Lo abbiamo fatto sapendo che questo, naturalmente, comporta maggiori complicazioni, un iter parlamentare più difficile, però significa anche, se posso dirlo in questa sede, maggior rispetto per il Parlamento nelle sue funzioni.
Detto tutto ciò, non dimentichiamoci, per favore, che stiamo parlando di una legge delega. Di conseguenza, tutta una serie di discussioni di dettaglio su come vorremmo che fosse l'albo...
Se posso permettermi, presidente Longobardi, io sono del tutto d'accordo con lei sulla necessità che la sezione speciale dell'organismo di composizione della crisi sia costruita in modo tale da garantire professionalità eccetera, ma tutti questi sono aspetti che dovranno essere necessariamente verificati e formulati in un futuro decreto delegato, una volta che il Parlamento ritenesse di approvare la legge-delega in questi termini.
Francamente, esiterei ad appesantire un testo di legge delega, che come legge delega forse può avere il difetto di essere, semmai, fin troppo pesante, con ulteriori dettagli, anche se capisco bene da parte del presidente Longobardi o di chiunque di noi la tentazione di dire: «Perché non precisiamo? Perché non aggiungiamo?» La ragione è che questa è una legge delega.
GERARDO LONGOBARDI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Il dettaglio è già ottimo.
RENATO RORDORF, Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Scusate, mi pareva opportuno chiarire questo criterio generale.
PRESIDENTE. Assolutamente.
FELICE RUSCETTA, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Vorrei fare una precisazione a proposito degli organismi di composizione della crisi. Io sento spesso che sono falliti. Vorrei ricordare alla Commissione che, mentre la legge n. 3 è del 2012, il decreto ministeriale n. 202 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale nel gennaio 2015. Le norme per l'iscrizione nel registro del Ministero sono del 15 luglio 2015.
Gli organismi di composizione della crisi sono appena nati e ce ne sono già quasi 50 iscritti presso il Ministero, di cui 40 sono dei commercialisti, con numeri esponenziali. Come gestori della crisi, siamo già quasi 2.000 professionisti iscritti negli organismi, perché ci si crede molto.
PRESIDENTE. Noi ci abbiamo lavorato, così come la Commissione precedente. In questo momento me ne occupo io, ma prima c'erano altri colleghi. Ci abbiamo creduto molto, perché si tratta di una linea, in quel piccolo settore, di sostegno del debitore. Ha una filosofia, che adesso è stata ripresa.
Io non l'avevo più seguito. Qualcuno ci aveva riferito che non aveva avuto un riscontro molto positivo.
FELICE RUSCETTA, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Presidente, le assicuro che purtroppo c'è molta richiesta da parte dei cittadini e delle imprese sotto soglia. Noi commercialisti ci abbiamo creduto da subito e stiamo andando avanti con il nostro ruolo, che, oltre che di professionisti, Pag. 19 è anche un ruolo sociale. Su questo noi stiamo puntando molto.
RENATO RORDORF, Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Forse debbo ancora qualche risposta. Torno per un attimo sui punti in cui il testo si è differenziato, in particolare su un punto che mi pare importante. Mi riferisco alla lettera f), comma 1, dell'articolo 6.
Della scelta del concordato preventivo in continuità come strumento principe rispetto al concordato liquidatorio, che rischia di essere solo un doppione del fallimento con maggiori costi, ha già parlato la consigliera Vella.
Anche del fatto che si sarebbe potuto lasciare in piedi un'ipotesi di concordato liquidatorio, quando questo fosse manifestamente più conveniente per la presenza di un'offerta di un terzo, che altrimenti non ci sarebbe, ha parlato la dottoressa Vella.
L'altro punto importante è che il testo presentato prevede che il tribunale abbia il potere di determinare, con particolare riguardo alla valutazione di fattibilità del piano di concordato, che evidentemente è il cuore del concordato stesso, attribuendo anche poteri di verifica in ordine alla realizzabilità economica dello stesso.
Questa opzione era stata espressamente scartata, per la verità, dalla Commissione, la quale aveva ritenuto di volersi attenere ai princìpi che ormai, dopo molti dibattiti, sono stati acquisiti da una giurisprudenza che, per quanto io so, si è andata consolidando, quantomeno a livello di giurisprudenza di legittimità e di cassazione con sezioni unite.
In base a tale giurisprudenza la valutazione di fattibilità economica, nella misura in cui comporta delle stime probabilistiche sul fatto che il concordato potrà avere un buon esito oppure no, appartiene al giudizio dei creditori, i quali decidono se e fino a che punto correre il rischio di dare spazio a quel piano.
Interviene il giudizio del giudice solo per quanto riguarda la cosiddetta «fattibilità giuridica», cioè quando il piano contiene delle previsioni che giuridicamente non sono corrette – evidentemente è compito del giudice rilevarlo – oppure quando – qui, se volete, si può tornare alla fattibilità economica, ma solo in termini estremi – è così manifestamente inattuabile da comportare quella che in termini giuridico-negoziali noi abbiamo definito «la mancanza della causa in concreto» e, quindi, la nullità della proposta. È stato lasciato questo spazio.
Invece, la previsione della valutazione del giudice sulla fattibilità economica è in forte controtendenza, è fuori sistema rispetto ai modelli europei e comporta la necessità per il giudice di imbarcarsi, attraverso consulenze tecniche e quant'altro, in una serie di valutazioni che poi rischiano di creare un loop. Su questo francamente io avrei delle perplessità, che mi pareva giusto segnalare.
Sulla questione del concordato del terzo, a differenza del sistema attuale, che dà al terzo, a certe condizioni, soltanto la possibilità di avanzare delle proposte di concordato o delle offerte di concordato concorrenti, abbiamo ipotizzato anche la possibilità di farsi egli stesso istante per il concordato, cioè di fare la domanda.
Questo scioglierebbe i nodi complicati che si innescano quando la domanda proviene dal debitore e la proposta proviene dal terzo. Naturalmente il terzo che presenta la domanda avanzerà anche la proposta e sarà lui a formulare il piano.
Aggiungo che il rischio che il terzo possa proporre la domanda di concordato dovrebbe funzionare da stimolo per l'imprenditore nelle procedure di allerta, affinché sia lui a mettere tempestivamente in moto la procedura per superare la crisi, per evitare che sia il terzo a farlo, sottraendogli un'impresa che ipotizziamo essere ancora funzionale o funzionante.
Le soglie di valutazione che sono state introdotte nel decreto-legge n. 59 del 2016 hanno senso in funzione del concordato liquidatorio. Con quelle soglie il legislatore del decreto-legge ha voluto evitare i concordati irrisori, perché, appunto, liquidatori. Un concordato in continuità non ha Pag. 20problemi di soglie, perché il problema è se quell'impresa, attraverso il concordato, può sopravvivere oppure no. Dunque, era evidente che in questa logica non potessero più trovare spazio le soglie.
Sull'affidabilità degli organismi ha già risposto il presidente Longobardi. È chiaro che nessuna legge può funzionare bene, se le persone che la debbono far funzionare non sono all'altezza del loro compito. Noi speriamo che lo siano.
PAOLA VELLA, Consigliere della Corte di cassazione. Presidente, noi avevamo inserito una piccola precisazione sui componenti. L'articolo 4, comma 1, alla lettera a), prevedeva che si dovesse chiedere il possesso dei requisiti di competenza tecnica, esperienza e indipendenza anche rispetto a situazioni di conflitto di interessi. Nel testo originario della Commissione la preoccupazione di avere degli organismi qualificati c'era e si era tradotta in questa frase.
Come diceva giustamente il presidente, si potrà fare lo stesso, però magari dirlo può essere un rafforzamento dell'importanza del ruolo.
MARIA RACHELE VIGANI, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Scusate, vorrei aggiungere una cosa. Chiederemmo di lasciare inalterata la competenza attuale dei tribunali...
PRESIDENTE. È una cosa dolorosa.
MARIA RACHELE VIGANI, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. È dolorosissima per i tribunali, ma soprattutto per le aziende e per gli imprenditori.
PRESIDENTE. Questa questione era rimasta in sordina. Mi ero meravigliata che nessuno l'avesse sollevata.
MARIA RACHELE VIGANI, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Lo dico io.
PRESIDENTE. Non mi riferisco a voi. Se la platea fosse stata aperta... Siccome qui sono presenti tutti rappresentanti di tribunali grandi, non si sono...
MARIA RACHELE VIGANI, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, delegato procedure concorsuali. Io, per esempio, sono bergamasca. Non faccio parte di un tribunale grande, ma neanche di un tribunale piccolo.
L'altro aspetto è l'aver inserito nell'articolo 7 una nuova possibilità di individuare una disciplina sull'incompatibilità tra incarichi assunti nelle varie procedure. È il vecchio problema: il commissario giudiziale che bene ha operato potrebbe tranquillamente essere nominato curatore – se vogliamo, cambiamogli pure il nome – nella procedura liquidatoria. Non ha senso perdere il bagaglio di conoscenza che il professionista che ha seguito la procedura precedente ha, solo per prevedere un'incompatibilità perché ci sono state delle criticità su alcune procedure.
Per il resto, va tutto bene.
PRESIDENTE.
Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.20.