Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 2 luglio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI DIFFAMAZIONE, DI DIFFAMAZIONE CON IL MEZZO DELLA STAMPA O CON ALTRO MEZZO DI DIFFUSIONE, DI INGIURIA E DI CONDANNA DEL QUERELANTE, IN RELAZIONE ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 925 COSTA, C. 1100 GELMINI, C. 1190 LIUZZI, C. 1165 DAMBRUOSO E C. 191 PISICCHIO

Audizione del professore Carlo Federico Grosso, ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Torino, del professore Domenico Pulitanò, ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca e dell'avvocato Caterina Malavenda, studiosa del diritto dell'informazione.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Grosso Carlo Federico , Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Torino ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Morani Alessia (PD)  ... 7 
Costa Enrico (PdL)  ... 8 
Scalfarotto Ivan (PD)  ... 8 
Piepoli Gaetano (SCpI)  ... 8 
Sannicandro Arcangelo (SEL)  ... 9 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Grosso Carlo Federico , Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Torino ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Malavenda Caterina , Studiosa del diritto dell'informazione ... 10 
Pulitanò Domenico , Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Verini Walter (PD)  ... 15 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Malavenda Caterina , Studiosa del diritto dell'informazione ... 16 
Verini Walter (PD)  ... 16 
Malavenda Caterina , Studiosa del diritto dell'informazione ... 16 
Pulitanò Domenico , Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Malavenda Caterina , Studiosa del diritto dell'informazione ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Malavenda Caterina , studiosa del diritto dell'informazione ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Malavenda Caterina , Studiosa del diritto dell'informazione ... 19 
Costa Enrico (PdL)  ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 12.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del professore Carlo Federico Grosso, ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Torino, del professore Domenico Pulitanò, ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca e dell'avvocato Caterina Malavenda, studiosa del diritto dell'informazione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante, in relazione all'esame delle proposta di legge C. 925 Costa, C. 1100 Gelmini, C. 1190 Liuzzi, C. 1165 Dambruoso e C. 191 Pisicchio, l'audizione del Professor Carlo Federico Grosso, Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Torino, del Professor Domenico Pulitanò, Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca e dell'avvocato Caterina Malavenda, studiosa del diritto dell'informazione.
  Sono presenti i relatori, onorevole Costa e onorevole Verini. Do quindi la parola al Professor Carlo Federico Grosso, Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli Studi di Torino.

  CARLO FEDERICO GROSSO, Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Torino. Buongiorno, vi ringrazio di avermi invitato a questa audizione. Ho esaminato tutti i testi che sono all'attenzione del Parlamento e sono fondamentalmente d'accordo con l'impostazione che si sta profilando. Come avete evidenziato molto bene nelle relazioni, ovviamente il nodo è trovare un giusto contemperamento fra la libertà di stampa e la tutela dell'onorabilità delle persone, nodo non semplice che però deve essere in qualche modo sciolto.
  Bisogna cercare in ogni caso di dare una disciplina nettamente nuova, sufficientemente dettagliata e precisa, punto sul quale farò alcune osservazioni che vanno al di là delle proposte da voi elaborate.
  Mi sembra comunque che i punti salienti, sostanzialmente comuni a quasi tutte le proposte, siano assolutamente condivisibili. I punti fondamentali sono la totale eliminazione della sanzione detentiva, che a mio avviso non ha senso per il giornalista. Sul terreno della deterrenza e dell'intervento contro i giornalisti che fanno i cattivi giornalisti con la pratica della diffamazione, si possono utilizzare altri strumenti non penali, come ad esempio la sanzione da applicare nell'ambito del procedimento disciplinare. Anche su questo mi sembra che le vostre proposte siano molto attente.
  Secondo punto: il nodo della rettifica, in quanto considero importantissimo garantire una disciplina adeguata della rettifica. Pag. 4Vedremo poi se sia preferibile prevedere la rettifica come causa di non punibilità, come previsto dalla proposta di legge Costa, oppure come causa di improcedibilità, come previsto dalla proposta di legge Gelmini e da altri.
  Terzo punto: mi sembra molto importante stabilire una regola sull'entità del risarcimento del danno, che è stata enunciata da quasi tutte le proposte di legge. Partirei da quest'ultimo punto, perché è opportuno stabilire qualche indicazione sull'entità del risarcimento del danno.
  Il danno che viene cagionato con la diffamazione è di regola esclusivamente morale e, nella mia esperienza di difensore di numerose testate, non mi è quasi mai accaduto di trovarmi di fronte a un danno patrimoniale che è quantificabile in base ai parametri.
  Il danno morale è da determinarsi in via equitativa dal giudice, laddove non abbiamo criteri definiti per la determinazione del risarcimento del danno morale. I giudici hanno assunto in questo terreno una enorme discrezionalità, per cui ci troviamo di fronte a condanne estremamente differenziate e questo dipende dalla sensibilità e dalla mentalità del giudice.
  In linea generale, ho visto che i risarcimenti liquidati da giudici civili sono in media superiori ai risarcimenti liquidati da giudici penali, perché i giudici civili magari hanno maggiore dimestichezza dei giudici penali nella determinazione della quantità. A me sembra quindi che definire un limite massimo di risarcimento, che può ammontare a 30.000 euro come indicato nella proposta di legge Costa o a 50.000 euro come indicato in altre proposte di legge, sia assolutamente apprezzabile proprio per evitare eccessive differenziazioni.
  Sulla base della mia esperienza, ad esempio, i giudici di Roma tendono a dare un risarcimento che normalmente non supera i 50.000 euro, ma si attesta sui 20-30.000 euro a seconda dell'intensità dell'offesa. Qualche volta mi è capitato di assistere a condanne a 100.000 euro, ma disparità di questo tipo non hanno senso. Non è male, quindi, indicare un limite massimo.
  Vediamo ora in maniera più approfondita i dettagli delle vostre discipline. In merito alla rettifica, considero assolutamente apprezzabile quanto indicato dal testo Costa e poi ripreso da altri. Sono d'accordo che la rettifica debba essere fatta senza commenti e diffusa non soltanto con il mezzo stampa, ma con altri mezzi di comunicazione di massa (televisione, radiofonia, internet) e deve anche essere prevista con riferimento alla stampa non periodica, perché una differenziazione di trattamento è inaccettabile.
  È giusto anche prevedere che, se non interviene l'editore o il direttore, l'autore possa salvaguardare la sua posizione con un'iniziativa autonoma. Da questo punto di vista, quindi, le discipline sono assolutamente condivisibili.
  Il primo problema di fondo è quale debba essere l'effetto di una rettifica correttamente fatta. Ci sono due linee di massima: nella proposta Costa si parla di cause di non punibilità, nella proposta Gelmini di causa di improcedibilità. Se consideriamo il problema di economia processuale, probabilmente è più opportuno scegliere la strada dell'improcedibilità, perché per riconoscere alla rettifica l'efficacia di causa di non punibilità con esclusione delle responsabilità occorre fare il processo.
  C’è però un punto delicato che nella proposta Costa è giustamente evidenziato: la causa di non punibilità viene riconosciuta previa valutazione del rispetto delle regole. Questo è importante, perché la rettifica può avvenire in maniera abnorme e chiaramente bisogna valutare. Se creiamo una causa di improcedibilità e si attribuisce al giudice che deve riconoscere l'improcedibilità una delibazione su questo punto esclusivo, si potrebbe conciliare l'esigenza di una valutazione sul contenuto della rettifica con quella di non affrontare il processo, ma di chiudere a monte il discorso processuale-penale.Pag. 5
  A mio avviso questa sarebbe la soluzione migliore: stabilire la clausola di improcedibilità con la possibilità del giudice di valutare il merito.
  Apro una parentesi per evidenziare l'esigenza di fissare regole assolutamente precise. La rettifica diventa un nodo molto forte, perché nel momento in cui si stabilisce che, se pubblicata correttamente, questa blocca il procedimento penale, la disciplina della rettifica diventa un istituto centrale nella disciplina della diffamazione. Bisognerebbe quindi capire se si possano dettagliare le linee della disciplina della rettifica, perché ad esempio non ho visto indicare nelle proposte di legge la sua ampiezza e come debba rapportarsi al passo diffamatorio.
  Questa misura è implicita, nel senso che l'ampiezza della rettifica è proporzionata alla lunghezza dell'articolo e soprattutto all'estensione dei passaggi diffamatori in esso contenuti, ma bisognerebbe introdurre una norma che definisca il rapporto fra pezzo diffamatorio ed entità della rettifica, magari anche fissando, come avete fatto per l'entità del risarcimento, un limite massimo di ampiezza della rettifica, stabilendo ad esempio che non possa superare le quattrocento battute o le sessanta righe di giornale.
  Si può immaginare un'ipotesi di questo tipo, perché spesso i quotidiani si trovano in difficoltà nel pubblicare rettifiche estremamente ampie. Nel momento in cui la rettifica diventa causa di non punibilità, bisogna definire questo punto per evitare contenziosi.
  Se si accetta questa impostazione, un'adeguata rettifica deve essere sicuramente causa di non punibilità o di improcedibilità.
  Bisognerebbe anche stabilire che, nel momento in cui si ottempera alla richiesta di rettifica, questa escluda la responsabilità civile. In alcune proposte di legge si dice che «si tiene conto della rettifica agli effetti del risarcimento», ma, se si pubblica una rettifica adeguata, la rettifica dovrebbe essere lo strumento di copertura.
  Questa però è una scelta di politica legislativa, perché potreste anche stabilire che la rettifica escluda la responsabilità penale, ma lasci aperto un risarcimento. A questo punto dovete fare una scelta precisa e forse la mia valutazione è condizionata dal mio ruolo di avvocato di una testata giornalistica. Personalmente mi chiedo: perché fare il processo sia penale che civile nel caso di un'adeguata rettifica che ristori veramente l'onore ? Ma è un punto su cui voi dovreste chiarire le vostre decisioni.
  Ulteriore problema delicato in materia di rettifica: nel momento in cui il querelante ottiene il diritto a rettificare e questa pubblicazione va ad escludere quantomeno la responsabilità penale, bisogna stabilire quale valutazione il direttore del giornale possa fare sul contenuto della rettifica, perché questa può essere impropria o addirittura criminosa, cioè contenere a sua volta dei reati.
  Qui c’è un'altra scelta rilevante da compiere, stabilendo che sia onere del direttore controllare il contenuto e legittimamente rifiutare una rettifica criminosa o impropria. A questo punto, però, se colui che è stato offeso fa una rettifica pesante, che contiene a sua volta delle offese per terze persone, e il direttore la blocca, dichiarando di non poterne rispondere, viene meno la possibilità del direttore e del giornalista di avere la scriminante o la causa di improcedibilità che voi prevedete. Probabilmente su questo problema bisogna fare una riflessione.
  Si potrebbe anche stabilire che, se la rettifica contiene dei reati, di questi risponda non il direttore del giornale che pubblica la rettifica, ma colui che presenta una rettifica criminosa, perché può diffamare a sua volta altre persone o realizzare altri reati, per cui sarà passibile di processo penale.
  Questa è una soluzione che pongo sul tappeto, ma indubbiamente è un problema che occorre definire. I punti fondamentali su cui occorrerebbe ulteriormente riflettere sono quindi la responsabilità per le rettifiche criminose e la disciplina della lunghezza della rettifica in rapporto all'articolo diffamatorio in un eventuale limite massimo di battute.Pag. 6
  Proprio in questi giorni ho chiuso una trattativa per una diffamazione pesante e mi hanno chiesto ovviamente la pubblicazione, ma il problema è stato quantificare l'ampiezza perché il direttore obiettava che più di tanto non avrebbe pubblicato, il querelante però pretendeva un certo spazio, per cui sarebbe importante fissare un criterio.
  Veniamo ora agli altri punti. Le pene: sono assolutamente favorevole alla prospettiva dell'eliminazione della sanzione detentiva, che è già stata eliminata in molte legislazioni europee. I limiti: nella proposta Costa per la diffamazione a mezzo stampa si prevede una multa da 5.000 a 10.000 euro. Può andar bene, anche se in altre proposte le dimensioni sono inferiori e in altre superiori. Dato che chi è condannato penalmente viene condannato alla multa, poi viene condannato al risarcimento del danno morale (e avete giustamente eliminato la riparazione pecuniaria, che è un doppione del risarcimento dei danni), bisogna trovare il giusto contemperamento fra massimo risarcimento dei danni e multa.
  Le misure previste nella proposta di legge Costa da 5.000 a 10.000 euro per la diffamazione a mezzo stampa aggravata dal fatto determinato e un limite di 30.000, che potrebbe anche essere elevato a 50.000, per risarcimento del danno morale potrebbero rappresentare un giusto dimensionamento delle sanzioni. Anche le pene previste per l'ingiuria e per la diffamazione a mezzo stampa per fatto non determinato mi sembrano corrette.
  Per quanto riguarda la responsabilità del direttore, mi sembra giusto mantenere il principio attualmente in vigore della responsabilità diminuita fino a un terzo rispetto alla responsabilità prevista per il giornalista.
  Un ulteriore punto riguarda il limite del risarcimento del danno, che è stato previsto in alcune proposte soltanto nel caso in cui non vi sia recidiva specifica oppure non vi sia una recidiva infraquinquennale. Questo atteggiamento è assolutamente condivisibile.
  In un'altra proposta si tenderebbe a escludere il limite del risarcimento del danno nel caso del reato realizzato dolosamente. Il giornalista però risponde sempre e soltanto per dolo, mentre il direttore risponde per colpa, per non avere controllato adeguatamente il contributo del giornale. Mi domando se una formula di questo tipo non venga a escludere il limite del risarcimento per tutti i giornalisti. Forse sarebbe opportuno limitarsi a circoscrivere l'esclusione del limite massimo del risarcimento del danno ai casi di recidiva, specifica o infraquinquennale, come fa la proposta Costa.
  Condivido l'idea di prevedere, anche con riferimento ai procedimenti penali, una condanna del querelante che abbia fatto una querela impropria, presente in tutte le proposte di legge e in una in modo particolarmente incisivo e forse eccessivo.
  Ho parlato avendo come archetipo la prima proposta presentata, quella dell'onorevole Costa, ma vorrei entrare nel merito delle altre proposte. Per quanto riguarda la proposta Gelmini, considero condivisibile l'idea di evitare il processo prevedendo che la rettifica costituisca una causa di improcedibilità. Per quanto concerne le sanzioni che sono leggermente inferiori, o il risarcimento leggermente superiore, si tratta di una vostra valutazione politica. Mi sembra comunque che la proposta nelle sue linee essenziali non si discosti dalle altre.
  Per quanto concerne la proposta Liuzzi, che è ispirata agli stessi princìpi, il punto qualificante è contenuto nell'articolo 3, che stabilisce una pesante condanna dell'attore civile in caso di soccombenza. Questo è un altro punto che deve essere valutato, perché è molto pesante quanto stabilito in questo articolo che recita: «Anche d'ufficio l'attore può essere condannato a versare al convenuto o a ciascuno dei convenuti un importo non inferiore, nel caso di rigetto integrale della domanda, alla metà del danno richiesto e nel caso di rigetto parziale alla metà della differenza tra il danno eventualmente accertato e quello richiesto».Pag. 7
  Mi domando che effetti possa avere una norma di questo tipo, prevista esclusivamente per il processo civile, sul processo penale dove si innesca, con la costituzione di parte civile, anche l'azione civile e dove non può essere prevista una norma di questo tipo perché spesso nei processi penali non si chiede il risarcimento dei danni con la condanna penale, ma si chiede il risarcimento in separato giudizio o al massimo il pagamento di una provvisionale.
  Forse sarebbe meglio non prevedere un principio del genere che verrebbe a creare una disparità fra coloro che hanno solo l'azione civile e quelli che con la querela innescano il processo civile nel processo penale. Questo disincentiverebbe l'azione civile che in caso di soccombenza avrebbe effetti peggiori dell'azione civile innescata nel processo penale.
  La proposta Pisicchio è molto simile a quella Costa. Un po’ diversa è la proposta Dambruoso-Caruso, ma sui punti di divergenza non sono d'accordo. Sono valutazioni assolutamente personali, ma dissento per quanto concerne la nuova disciplina della diffamazione a mezzo stampa sul terreno della modifica dell'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47.
  La proposta Dambruoso prevede infatti che «in caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa si applica la pena della multa da euro 5.000 a euro 50.000». Si tratta quindi di una sanzione con un limite massimo molto superiore a quelle previste dalle altre proposte.
  «Alla condanna per delitto di cui al comma 1 consegue la pena accessoria della pubblicazione», e questo va benissimo. «La pena è diminuita fino ai due terzi qualora su richiesta della persona offesa sia stata pubblicata la rettifica», per cui nella proposta Dambruoso la rettifica viene ipotizzata non come causa di non punibilità, ma come mera causa di attenuazione della pena.
  È una scelta politica assolutamente ragionevole, diversa. Personalmente sono molto più vicino all'impostazione di tutte le altre proposte, anche perché se creiamo una rettifica forte, immediata, che ristabilisce l'onorabilità della persona, bisogna dare un grosso incentivo a questa rettifica. Se un soggetto offeso chiede la rettifica, la rettifica è forte, il giornale la pubblica nei termini stretti, giustamente previsti, mi sembra che gli effetti di questa rettifica debbano essere sufficientemente forti anche sul terreno dell'economia processuale.
  Si ripara fortemente l'onore offeso con una pubblicazione in sufficiente evidenza e una rettifica sufficientemente articolata e si chiude, non si fa il processo penale. Dovete scegliere se ammettere ancora il risarcimento o no, ma quantomeno il processo penale viene chiuso. Anche da un punto di vista pratico le conseguenze procedurali sarebbero notevoli.
  So che qualcuno ritiene che per determinati fatti particolarmente aggressivi, in cui si ravvisi un dolo particolarmente intenso, sarebbe opportuno mantenere la pena detentiva. Anche questa è una scelta politica molto rilevante, ma personalmente, di fronte all'importanza che la stampa può avere in un sistema democratico, preferirei escludere la detenzione dei giornalisti. Ribadisco però che, se si elimina la detenzione, va giustamente prevista la responsabilità disciplinare del giornalista che diffama, perché la diffamazione deve essere comunque censurata.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Il Professor Grosso ha necessità di rientrare, per cui passeremo in seguito all'audizione degli altri relatori. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  ALESSIA MORANI. La ringrazio, Professor Grosso, per la sua audizione, perché è un piacere ascoltarla e lo dico, oltre che come onorevole, da collega.
  Mi soffermerei sul punto che lei considerava più complesso, quello della rettifica, perché potremmo stabilire le modalità della rettifica ma il problema è che oggi da un articolo di stampa si sviluppa un battage informativo globale in termini di diffusione su internet e televisione. È quindi molto complesso stabilire la proporzionalità della rettifica rispetto all'articolo Pag. 8incriminato, soprattutto in base a questo battage informativo. Vorrei conoscere la sua opinione sull'improcedibilità o sulla causa di non punibilità della rettifica, chiedendole però di accantonare il ruolo di difensore di testata. Grazie.

  ENRICO COSTA. Grazie, professore. Vorrei porle una domanda su un punto nevralgico della riforma, quello della responsabilità del direttore, perché spesso i direttori vengono coinvolti sebbene non abbiano oggettivamente la possibilità di controllare e di vigilare. Abbiamo dei giornali con tante edizioni locali, abbiamo situazioni in cui c’è solo una finzione giuridica di possibilità di controllo, che però nella realtà non c’è.
  Spesso i direttori chiedono di adeguare la normativa a queste situazioni, che magari nel momento in cui la legge è entrata in vigore non erano sul tappeto, cercando di ancorare la punibilità del direttore responsabile a una verifica puntuale degli adempimenti o dell'impossibilità di adempiere, perché c’è una certa sofferenza di fronte a una sorta di responsabilità oggettiva.

  IVAN SCALFAROTTO. Ho tre domande telegrafiche. Una riguarda la sanzione e quindi il suo ammontare, ovvero se il Professor Grosso non ritenga opportuno considerare che, al di là della responsabilità penale che è personale, nell'editoria moderna parliamo spesso di grandi gruppi editoriali che hanno una linea politica e spesso il giornalista è allineato a una linea politica più generale.
  Parliamo quindi di una sanzione che si riferisce a una persona fisica quando in realtà magari l'articolo diffamatorio è coerente con una linea politica assai più ampia, che va ben al di là dell'intenzione a delinquere del singolo giornalista. Vorrei chiederle quindi quale potrebbe essere la soluzione.
  Seconda domanda: in un primo testo del disegno di legge Costa, che conteneva anche internet e che poi è stato espunto dando luogo a un'altra versione, c'era un'interessante formulazione che riguardava la rettifica, secondo cui nella rettifica via internet bisognava tenere conto anche degli aspetti grafici e del posizionamento. Vorrei chiederle quindi se, al di là della lunghezza a cui lei si riferiva, sia importante che la rettifica di un articolo diffamatorio strillato in prima pagina a caratteri di scatola venga pubblicata nello stesso posto invece che a pagina 27 e in caratteri minuscoli, in modo che nessuno la veda.
  La terza, telegrafica domanda riguarda l'esclusione della responsabilità civile. Ritengo che la rettifica non debba escludere la responsabilità civile, perché essa rappresenta uno dei classici strumenti di chiusura della stalla a buoi scappati, soprattutto quando la diffamazione avvenga per mezzo di sistemi radiotelevisivi. Per poter avere la stessa audience bisognerebbe avere la fortuna che il telespettatore si trovi a quella stessa ora davanti alla tv. È chiaro che il giornale cartaceo ha una vita più lunga, per cui, se un settimanale mi ha diffamato, l'altro numero che contiene la rettifica rimane per una settimana sullo sgabello del bagno di casa, mentre se si tratta di una trasmissione televisiva devo avere la fortuna di vedere due volte lo stesso telegiornale.
  Ritengo, pertanto, che tenere ferma la responsabilità civile possa fungere da deterrente per l'articolo diffamatorio, perché il resto ripara un danno, ma noi dovremmo avere l'obiettivo di evitare che il danno si verifichi ab initio. Grazie.

  GAETANO PIEPOLI. Vorrei chiedere al professor Grosso, che ringrazio per il contributo, se sia possibile ipotizzare un ruolo degli Ordini professionali in questa materia, in questa disciplina nuova a monte o comunque in relazione alla vicenda successiva.
  Come noi concepiamo questo bilanciamento tra libertà di stampa e di espressione, manifestazione del pensiero e tutela delle prerogative fondamentali del soggetto, c’è anche da considerare che spesso si tratta di valutare la libertà di impresa e quindi, come l'onorevole Scalfarotto ha lasciato intendere, c’è un profilo che attiene Pag. 9alla responsabilità legata ai gruppi editoriali. Vorrei chiederle quindi se questo possa essere preso in considerazione.
  Vorrei sapere infine come evitare che il procedimento civile diventi l'unica strada intrapresa, perché la soluzione in chiave penale rischia di deludere le attese del danneggiato. Grazie.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Per quanto riguarda la forza dissuasiva della sanzione, mi rifaccio alle considerazioni dell'onorevole Scalfarotto. Per quanto riguarda invece la dizione contenuta nell'articolo 1, lettera c), dove è scritto: «la pubblicazione in rettifica deve essere effettuata entro sette giorni dalla richiesta con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l'ha determinata», vorrei sapere se ritenga sufficientemente circoscritto il concetto con «deve essere effettuata con idonea collocazione e caratteristica grafica» tale da compensare lo scritto diffamatorio.

  STEFANO DAMBRUOSO. Ringrazio il Professor Grosso per il suo contributo. Vorrei capire se consideri compatibile con la nostra Costituzione il limite di risarcibilità del danno morale una volta accertato come sussistente, se quindi quella soglia dei 50.000 euro o qualunque altra soglia sia compatibile con la lesione di un diritto costituzionalmente garantito, che non dovrebbe prevedere dei paletti predefiniti in termini risarcitori. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al Professor Grosso per una sintetica replica.

  CARLO FEDERICO GROSSO, Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Torino. Molto sinteticamente, come mi suggerisce la Presidente, per quanto riguarda la prima questione, se la rettifica vada prevista come causa di non punibilità o di improcedibilità, da un punto di vista dell'economia processuale preferirei prevederla come causa di improcedibilità. Oltretutto l'improcedibilità non avrebbe alcun effetto specifico e immediato sul risarcimento del danno.
  Per quanto riguarda la posizione del direttore: è vero, i direttori delle grosse testate non sono in grado di controllare tutto il contenuto del periodico, soprattutto perché alcuni periodici hanno le edizioni principali e tutte le edizioni locali. Forse si potrebbe introdurre un sistema di deleghe formalizzato, come avviene nell'ambito della responsabilità dei gruppi societari.
  Il problema esiste. Indubbiamente la responsabilità oggi è del direttore e probabilmente continuerebbe ad esserlo se non ci fosse un intervento specifico in materia. A me è capitato solo una volta, in tanti anni di difese penali, di riuscire a far assolvere un direttore per mancanza di colpa, perché la pubblicazione era avvenuta su una pagina aggiuntiva di pubblicità. Anche il giudice ha quindi riconosciuto che il direttore non era in grado di verificare la pubblicità aggiunta a un'edizione locale, ma si tratta di un caso eccezionale.
  Per quanto riguarda la linea politica editoriale, si potrebbe affrontare il problema sul terreno civilistico, perché in materia penale la responsabilità è personale. Se il giornalista accetta una linea editoriale e questa necessariamente comporta una diffamazione, peggio per lui: dal punto di vista penale ha commesso diffamazione e ne risponderà. Sul piano civilistico il discorso potrebbe essere molto diverso.
  Sugli aspetti grafici della rettifica bisogna stabilire una linea di collocazione, perché non si può pubblicare in trentesima pagina una rettifica di un articolo di prima pagina. Sul fatto che la rettifica non debba escludere la responsabilità civile posso anche essere d'accordo. Ho impostato il problema in termini problematici, c’è una doppia possibilità ed è logico scegliere questa strada.
  Bisognerebbe evitare che quella civile sia l'unica strada, però non mi sembra che i progetti che ho esaminato forzino le cose e il nucleo diventa la responsabilità civile.
  Sul problema della legittimità costituzionale non sarei preoccupato, perché porre un limite significa porre un limite Pag. 10comunque. L'onorabilità può essere lesa più o meno intensamente, ma nel momento in cui si pone un limite massimo di 30, 50, 60, 80.000 euro, ci sarà un dosaggio proporzionato all'interno di questo limite.
  Sarebbe incostituzionale perché sarebbe attenuata la tutela del diritto fondamentale dell'onore, ma francamente avrei qualche dubbio: nel momento in cui si pone un limite, il limite vale per tutti, per cui non si violerebbe il principio di uguaglianza. Porre un limite consentirebbe di organizzare in maniera più razionale la pratica dei risarcimenti, evitando che un giudice condanni a 100.000 euro e un altro a 10.000 euro per un fatto analogo. Un giudice a Milano giudica in un modo, a Roma in un altro, a Palermo in un altro modo ancora.

  PRESIDENTE. La ringraziamo per il suo contributo. Saluto il Professor Domenico Pulitanò, Ordinario di Diritto penale dell'Università degli studi di Milano-Bicocca e l'avvocato Caterina Malavenda, studiosa del diritto dell'informazione.
  Do la parola all'avvocato Caterina Malavenda.

  CATERINA MALAVENDA, Studiosa del diritto dell'informazione. Vi ringrazio per la convocazione e mi spoglio dalla veste di difensore dei giornalisti, perché io difendo anche le parti civili, quindi conosco le due metà della mela. Ho letto con grande interesse le proposte di legge, perché vi ho trovato un'omogeneità di fondo.
  Ritenendo la leva della rettifica un meccanismo molto utile, vorrei sottoporre alla Commissione un tema che ho letto in una delle proposte di legge presentate, ovvero che il processo penale per diffamazione è un terno al lotto: può capitare di essere assolti o condannati con la stessa facilità quando non si controverta in tema di fatti. Se abbiamo una diffamazione che consiste nell'aver attribuito un fatto, la verifica è facile: se il fatto è vero, la diffamazione è scriminata, se il fatto è falso, la diffamazione non è scriminata, e il giudice ha una cornice dalla quale non può uscire.
  Quando cominciamo ad andare nel termine forte, nell'insinuazione, nell'espansione dei significati, nei fatti veri messi in fila che però portano a una tesi indifendibile, nella diffamazione perché hai detto una cosa quando invece dovevi dirne un'altra, è sufficiente fare un giro in Cassazione per verificare l'esistenza di una gamma di forme di diffamazione talmente complessa che credo che oggi nessuno possa dire o scrivere qualcosa con la certezza di essere immune da una condanna.
  C’è una proposta di legge che considera la diffamazione penalmente rilevante solo quando contenga al suo interno l'attribuzione di un fatto falso, che poi è l'accezione comune, perché l'uomo della strada è propenso a credere che la diffamazione sia affermare una cosa falsa, mentre il resto sfugge, è una costruzione giurisprudenziale. Portare la diffamazione sul fatto rende molto più semplice utilizzare la rettifica, perché si può rettificare un fatto. Ma come si rettifica un'opinione ?
  Immaginiamo che la rettifica sia una condizione di non procedibilità, che, spontanea o richiesta, blocchi il processo penale. Tutti quelli che hanno diffamato attribuendo fatti falsi hanno un'autostrada, ma mi chiedo come possano rettificare quelli che abbiano definito qualcuno cretino, laddove si può rettificare un fatto, non un'opinione.
  Conosco tanti diffamati perché li ho difesi, e credo che un diffamato debba pretendere da un giornale, da un sito, da una televisione che il fatto falso venga rettificato riportandolo al vero, che è la forma di risarcimento in forma specifica più conveniente ed efficace. Certo, mi può sfuggire il telegiornale o il giornale del giorno dopo, e questo fa parte del rischio.
  Si dovrebbe quindi modulare la diffamazione sul fatto falso, scindendo due ipotesi: il fatto falso divulgato per un errore di verifica, per cui non ho effettuato la verifica, ho diffamato e non sono scriminato, oppure il fatto falso volutamente divulgato per danneggiare la vittima predestinata, cosa che sui nostri giornali purtroppo accade.Pag. 11
  È necessario anche modulare la diffamazione a seconda dei casi, perché converrete con me che la colpa, sia pure grave, è molto meno grave del dolo. Si potrebbe quindi modulare la pena prevedendo che in un caso debba essere meno grave, nell'altro più grave. In questo modo si garantisce omogeneità di trattamento rispetto alla diffamazione nella sua accezione comune, cioè raccontare fatti falsi.
  Sul carcere non mi pronuncio perché non mi compete. Avendo difeso anche le parti civili ritengo comunque che a volte un articolo possa uccidere, in quanto alcuni articoli possono fare talmente male che non recuperi più e vai all'inseguimento della notizia per bloccarla senza purtroppo riuscirci. Questo aspetto deve essere adeguatamente considerato, perché dall'altra parte abbiamo persone che talvolta hanno la vita rovinata: se la notizia entra nel circuito, non si riesce più a farla uscire, non c’è niente da fare. La rettifica, quindi, diventa lo strumento principe per ripristinare l'onore di queste persone.
  Per usare la rettifica bisogna innanzitutto fissare un limite. Ci sono modifiche all'articolo 8 della legge n. 47 del 1948, che non prevedono un limite. A volte mi è capitato di vedere otto pagine di rettifica. Bisogna mettere un limite: trenta, quaranta, cinquanta righe, modulando oppure dando dei moduli, per cui dell'articolo che non supera le cento righe la rettifica sarà trenta, di quello di duecento sarà sessanta. Si può quindi modulare la lunghezza della rettifica in base alla lunghezza dell'articolo e ai fatti da rettificare, perché a volte c’è soltanto un fatto da rettificare.
  Dobbiamo collocarla nello stesso posto in cui è stato pubblicato l'articolo, ma è già scritto: l'articolo 8 è già perfetto. Quindi l'articolo in prima pagina si rettifica in prima pagina se vuoi che il processo si fermi. Questo è molto importante, perché a volte pubblicare la rettifica non garantisce alcun beneficio perché la condanna arriva ugualmente e anzi a volte la rettifica appare un'ammissione di colpa penalizzante, perché non ti scontano un euro dal danno.
  Se invece la rettifica diventa un modo per bloccare l'azione penale, avranno interesse a pubblicarla tutti i processabili, anzi sarà il direttore a proporre di pubblicare le rettifiche per non andare sotto processo. E anche una rettifica spontanea, perché non possiamo far dipendere la procedibilità dalla volontà del diffamato, altrimenti è troppo facile.
  Il direttore o il giornalista che si accorge di aver sbagliato rettifica spontaneamente, sapendo che il processo penale, e solo il processo penale – questa è la mia opinione – si ferma. Tutto quello che sfugge a quest'area, che può essere certamente causa di danni, può essere rimesso al giudice civile, quindi, se la rettifica non ferma il licenziamento, vado dal giudice e mi faccio risarcire il licenziamento che la rettifica non ha bloccato. Se ho perso un contratto e la rettifica non me lo fa recuperare, mi rivolgo al giudice civile, se ho subìto un ulteriore danno che la rettifica non ha riparato, vado dal giudice civile.
  Quello che esubera dal penale va al civile, con buona pace dei giudici civili che non saranno contenti, a cui potrà essere demandata anche tutta quella parte di espressioni infelici, forti, brutali che però non credo debbano superare la soglia del penalmente rilevante, altrimenti i tribunali si intasano. Ho infatti una visione ampia e non avete idea del numero esorbitante di processi per diffamazione. Questi sono veloci perché il PM non fa indagini, deposita gli atti, se il giornalista si difende, bene, altrimenti si va in giudizio.
  La rettifica è la leva che si può usare se la diffamazione è il fatto, diversamente diventa sperequativo perché chi non può rettificare non vedrebbe alcun beneficio. Ho una grossa perplessità sulle rettifiche per i libri, perché sono a pagamento dell'editore due pubblicazioni sui quotidiani e, per la pubblicazione su un giornale medio che abbia una visibilità, i moduli vanno da 30.000 euro in su e poi la cifra dipende dal giornale (Il Corriere della sera costa di più, Il Resto del Carlino forse meno).Pag. 12
  Immaginate un editore che, avendo pubblicato un libro-inchiesta con in coda 200 nomi di persone citate, debba pubblicare 200 rettifiche per due volte: pensate che pubblicherà ancora libri di inchiesta o si dedicherà all'arte di artisti scomparsi da anni senza eredi ?
  Bisogna portare le cose sul piano concreto e la rettifica per i libri sui giornali è una condanna a morte per gli editori. Invece, la rettifica del giornale va sul giornale, della radio va alla radio, del libro va sul libro. I libri vengono sempre ristampati almeno una volta perché si stampano le prime 2.000 copie, si vede come va e poi si ristampa il richiesto. Sulla prima ristampa si può quindi apporre la rettifica all'inizio, così si sa di cosa si sta parlando.
  Immaginate infatti una rettifica su Il Corriere della sera in cui si scriva che nel libro pubblicato ieri il signore veniva accusato di essere un concussore ma in realtà non ha mai concusso: anche chi non ha letto il libro leggerebbe la rettifica e andrebbe a verificare. Parlo in maniera pragmatica perché mi pare che questo tema lo richieda, per evidenziare l'esigenza di riconsiderare la rettifica per gli editori.
  Per quanto riguarda la responsabilità del direttore, vorrei sapere se possiamo cominciare a dire che, se gli articoli sono firmati, ne risponde l'autore, perché non c’è motivo di duplicare la responsabilità. L'autore firma, quindi risponde dell'articolo, mentre di tutto quello che non è firmato, che quindi merita particolare attenzione, la Cassazione stabilisce che risponda il direttore.
  Possiamo quindi ridurre l'alea della sua responsabilità agli articoli non firmati. Il direttore serve a garantire che qualcuno risponda del prodotto del giornale, che ci sia o non ci sia un responsabile diretto. Se c’è, risponde il responsabile diretto che ha effettuato le verifiche, vagliato i documenti, scritto l'articolo, mentre il direttore non l'ha mai letto, quindi potremmo togliergli la responsabilità degli articoli firmati.
  Considero impossibile sottrarre tutto alla responsabilità del direttore, ma si può rendere la cosa meno automatica, però questa è giurisprudenza. Lo alleggerirei quindi delle cose firmate, che hanno un autore, un padre che risponde direttamente, a cui si può far causa civile o penale.
  Dobbiamo parlare anche dell'altra parte, perché chi fa querele e cause non paga pegno. Si possono fare serenamente querele e cause civili, perché anche se hai torto al massimo paghi le spese. Vorrei che fosse implementata una responsabilità pecuniaria in capo a chi fa querele e liti temerarie.
  Nel civile esiste la lite temeraria, ma è praticamente inapplicata. Una proposta di legge prevede l'introduzione dell'96-bis del codice di procedura civile, che renderebbe automatica l'erogazione di una certa somma a favore del convenuto tutte le volte in cui la domanda viene rigettata anche parzialmente, cosa che mi parrebbe una buona soluzione. In sede penale, oggi la formula con cui il giornalista viene assolto non lo consente; si potrebbe prevedere che il querelante temerario paghi una sanzione non alle casse dello Stato, ma all'imputato, che ha pagato l'avvocato, ha affrontato il processo, si è visto messo in piazza, per cui merita un ristoro pecuniario, in modo che il querelante impari a dosare le proprie azioni.
  Di molte querele non capisco neanche il problema, nonostante i miei trenta anni di esperienza.
  Un'ultima cosa: non togliete l'udienza preliminare, perché altrimenti vanno tutti a dibattimento, con un aggravio dei tribunali e soprattutto senza alcuna scrematura a monte, mentre tanti processi non vanno avanti perché il giudice dell'udienza preliminare o il pubblico ministero li ferma prima che arrivino al dibattimento.

  DOMENICO PULITANÒ, Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca. Cercherò di essere telegrafico e mi concentrerò sui punti fondamentali. Prima questione: la pena e l'eliminazione della pena detentiva. A me sembra un passo significativo molto ragionevole, ma dovrebbe essere nel quadro di un complessivo ripensamento sull'uso delle comminatorie di pena detentiva.Pag. 13
  Isolatamente considerato, il ritrarsi della pena detentiva per la diffamazione a mezzo stampa con attribuzione di un fatto determinato è un ritrarsi della sanzione relativamente a un fatto che può essere molto grave, come sottolineava la collega Malavenda. Sarebbe una riforma che nell'attuale sistema avrebbe un significato discriminatorio, sia pure nella direzione giusta. Potrebbe essere un primo passo verso un drastico ripensamento dell'uso oggi troppo massiccio delle comminatorie di pena detentiva.
  Per quanto riguarda la questione della restrizione della fattispecie di diffamazione, limitandola all'attribuzione di fatti falsi, punto molto delicato, credo che l'idea della restrizione motivata dalla collega Malavenda meriti di essere presa in considerazione. Ci lamentiamo quasi quotidianamente dell'uso di linguaggi degradati e vi è una richiesta di tutela, di riconoscimento delle ragioni di fronte a un'offesa che rende delicato ritrarre i confini del penale. Probabilmente una decisione motivata dovrebbe avere una più attenta e puntuale conoscenza del quadro dei bisogni di reazione e di cosa succede.
  È vero che, come evidenziato dalla collega Malavenda, su questi aspetti c’è molta confusione e forse qualche segnale, magari una riscrittura che delimiti la fattispecie, potrebbe avere spazio.
  In merito al livello della sanzione pecuniaria ho visto indicazioni diverse nelle proposte di legge. La considerazione della gravità della diffamazione aggravata a mezzo stampa fa apparire più adeguata a rappresentare la gravità del reato l'indicazione contenuta in un paio delle proposte e la multa da 5.000 a 50.000 euro, in quanto 50.000 è la soglia massima indicata per la multa nella parte generale del Codice penale, derogata in malam partem da disposizioni speciali di vario genere.
  In questa sede potrebbe essere un'indicazione ragionevole, tenendo conto che il massimo edittale della pena deve essere fissato con riferimento ai fatti più gravi ricompresi nella fattispecie, non come indicativo della gravità di tutto ciò che nella fattispecie rientra.
  Piccola annotazione tecnica: nella proposta A.C. n.1165 complessivamente ben costruita, sulla pena è adottato un criterio di commisurazione, tenuto conto della gravità dell'offesa e della diffusione dello stampato. Questa indicazione è ripresa dall'articolo 12 della legge sulla stampa n. 47 del 1948, dove il criterio è però riferito alla determinazione della riparazione pecuniaria, e in quel contesto ha senso: gravità dell'offesa e diffusione dello stampato incidono sulla misura del danno.
  Dal punto di vista della commisurazione della pena è meglio evitare disposizioni inusuali e inutili di parte speciale, perché i criteri generali di cui all'articolo 133 del codice penale sono più che sufficienti.
  Riguardo alla questione dell'interdizione temporanea dall'esercizio della professione, in qualche proposta vi sono indicazioni che fanno riferimento alla recidiva ai sensi dell'articolo 99, comma 2 del codice penale. Credo che il senso del riferimento fosse additare come limite di applicabilità della pena interdittiva l'ipotesi della recidiva specifica, non altre ipotesi di recidiva pure considerate dalla norma. Se si segue questa strada, sarebbe opportuno limitare alla recidiva specifica – articolo 99, comma 2, n. 1 codice penale – l'ambito di applicazione dell'interdizione temporanea nello spazio indicato da uno a sei mesi, che probabilmente è ragionevole.
  Per quanto attiene alla questione cruciale della responsabilità del direttore per violazione dei doveri di vigilanza, per alcuni aspetti si tratta di una riscrittura della norma attuale, che dovrebbe essere interpretata in chiave di responsabilità per colpa. Di fatto l'applicazione è diversa: si scivola verso la responsabilità oggettiva.
  L'altro elemento di novità di tutte le proposte è l'estensione alla radiotelevisione e indirettamente a internet rispetto ai siti ricollegati alla legge sulla stampa. Restano alcuni interrogativi di fondo che sono ritornati nelle riflessioni: la questione se e come prevedere una responsabilità Pag. 14per omesso controllo, tenendo conto che il problema riguarda non solo la diffamazione, ma l'intero mondo dei reati a mezzo stampa, tra i quali ve ne sono anche di più gravi della diffamazione (pornografia, pedopornografia, istigazione a delinquere).
  Su questo problema della responsabilità per omessa vigilanza ho ascoltato alcune indicazioni favorevoli a un'eventuale restrizione al solo caso di autore non indicato, non imputabile, non identificabile. È un'indicazione che non ricorre nelle proposte attuali, mentre era massicciamente presente nelle proposte della XIV legislatura che poi sono confluite in quel testo unificato del 2004, che è stato un riferimento importante per le proposte attuali.
  A monte di quelle proposte vi era un'indicazione, alla cui elaborazione avevo partecipato insieme al Professor Grosso nella Commissione per la riforma del codice penale da lui presieduta negli anni dal 1998 al 2001.
  Tale indicazione era così costruita: fuori dai casi di concorso doloso nel reato, quando l'autore non è indicato o non è punibile per qualsiasi causa – ecco la sussidiarietà – per reati commessi con il mezzo della stampa o della radiotelevisione risponde a titolo di colpa il soggetto che in base alla legge o alle disposizioni organizzative dell'impresa editoriale o radiotelevisiva sia tenuto al controllo della pubblicazione o della trasmissione e che non abbia per colpa impedito la realizzazione del delitto, pena prevista quella fissata per il delitto doloso diminuita della metà.
  È un'impostazione molto restrittiva: sussidiarietà della responsabilità del soggetto apicale e rimodulazione del responsabile che tiene conto della reale organizzazione dell'impresa, secondo linee che ritroviamo altrove nel diritto penale in materia di sicurezza del lavoro e anche – punto interessante di riflessione – nella disciplina della responsabilità degli enti.
  Per quanto concerne la pena, probabilmente è ineludibile il brutto sistema di responsabilità anomala, che lega una fattispecie di responsabilità per colpa a un delitto base doloso. Varrebbe la pena, almeno simbolicamente, prevedere una riduzione molto forte.
  La rettifica: tutte le proposte in discussione prevedono elementi di novità che mi lasciano molto perplesso. La pubblicazione senza commento è una restrizione molto forte della libertà di espressione del destinatario dell'obbligo di notifica. Queste proposte vengono probabilmente pensate partendo in modo implicito dall'idea che colui che chiede la rettifica abbia ragione, sia una persona offesa.
  Dal punto di vista dell'ordinamento giuridico, credo che problemi di questo genere debbano partire da una premessa che riconosca alle parti in conflitto uguali diritti e uguale dignità di diritti. Il problema di chi abbia ragione o torto potrà essere risolto soltanto in sede di giudizio finale e quando viene richiesta la rettifica il problema è ancora aperto.
  Bisogna dare spazio a colui che si è sentito e probabilmente è stato offeso e ha buone ragioni per chiedere la rettifica, ma anche il destinatario dell'obbligo di rettifica ha una libertà che deve essere rispettata.
  Il senza commento, che potrà al massimo valere per il contesto in cui la rettifica è pubblicata, non può certamente essere interpretato come perdita del diritto di replica. Credo che sia più saggio e più ragionevole dal punto di vista funzionale evitare di accentuare gli obblighi di pubblicazione – lo schema attuale dell'articolo 8 della legge n. 47 del 1948, potrà essere tecnicamente ritoccato, esteso ad altri campi, come ad altri mezzi di comunicazione, ma tutto sommato va bene – eventualmente fare riferimento a caratteristiche particolari di idoneità riparatoria della rettifica in prospettive diverse quali quelle dell'eventuale ragione di improcedibilità, soluzione che a me non convince del tutto, ma che merita di essere discussa, o della rettifica come causa di netta riduzione o riparazione del danno ed eventualmente di non punibilità sopravvenuta.
  È un passaggio delicato e forse di spazio residuale, se è vero che l'obiettivo principale della disciplina complessiva Pag. 15deve essere quello di favorire soluzioni mediante accomodamento fra le parti, valorizzando il meccanismo della querela e della remissione della querela. È quella la strada maestra per la non punibilità dell'autore della pubblicazione che abbia provveduto a riparare il danno cagionato. Deve essere quindi seriamente valutato il problema delle caratteristiche di idoneità e di tempestività della rettifica o riparazione del danno.
  L'ultima osservazione riguarda i criteri del risarcimento e l'eventuale limitazione. È stato posto il problema della legittimità di porre limiti alle possibilità di risarcimento che a me sembra serio, laddove vi sia un danno valutabile. Nelle proposte in esame la questione del limite è legata specificamente alla riparazione, laddove sia rimessa a una valutazione equitativa. In questo contesto specifico della valutazione equitativa, mi pare che la linea della limitazione sia sostenibile e ragionevole, per dare ordine a prassi molto incerte e talvolta sovrabbondanti.
  Mi domando anch'io se il limite indicato come massimo nelle proposte (30.000 euro, mentre in altre proposte precedenti c'erano limiti superiori) sia opportuno. Potrebbe essere un buon criterio di riferimento, ma forse si potrebbe prevedere una possibilità di deroga, tenendo il limite come indicazione di massima derogabile in casi eccezionali.
  Per quanto riguarda il problema delle querele infondate e delle liti temerarie, faccio mie le considerazioni della collega Malavenda.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  WALTER VERINI. Ringrazio il professore per l'esposizione e per il contributo davvero significativo. Vorrei tornare brevemente su un quesito posto dall'onorevole Morani. Si è parlato di modulazione distinguendo ancora più marcatamente tra dolo e colpa, concetto condivisibile.
  Per quanto riguarda il tema della rettifica, durante le vostre esposizioni consideravo come la mera rettifica nel medesimo organo di informazione che ha pubblicato una notizia scorretta o diffamante possa non essere sufficiente. Se infatti questa sera dalle 24.00 in poi accendendo qualsiasi canale televisivo vedessimo le anticipazioni della rassegna stampa dei giornali del giorno dopo, con dei titoli che potrebbero essere la sintesi diffamante di un articolo, questa verrebbe amplificata e diffusa presso un pubblico molto più ampio di quello degli acquirenti del giornale, per non parlare poi della diffusione che quella stessa notizia avrebbe in ogni rassegna stampa di radio locale o nazionale il mattino seguente.
  Da giornalista, da persona molto sensibile all'esigenza di adeguare la nostra normativa a quelle europee e di evitare le sanzioni detentive, mi pongo però anche il problema di tutelare al massimo la persona, il cittadino, il soggetto che abbia subìto diffamazione. La sola rettifica nel medesimo organo di informazione può essere soltanto parzialmente e moralmente risarcitoria.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Ringrazio gli intervenuti. Relativamente alla questione affrontata dall'avvocato Malavenda, sulla possibilità di sanzionare il querelante che denunci qualcosa di infondato, vorrei chiederle di chiarire meglio questo aspetto, perché è decisamente interessante, ma vorrei capire in che termini si possa applicare.
  Mi sembra che il testo Costa preveda in caso di recidiva la possibilità di sospendere dall'albo i giornalisti. Vorrei conoscere le posizioni dell'avvocato Malavenda e del Professor Pulitanò su questo punto.

  PRESIDENTE. Anch'io vorrei porre una domanda in relazione alle vostre posizioni. L'avvocato Malavenda propone di restringere l'area del penalmente rilevante soltanto ai fatti determinati falsi, anzi mi pare anche con un'intenzionalità, lasciando il resto alla tutela soltanto civile. Vorrei chiederle se abbia dei suggerimenti per rendere più pregnante la tutela civilistica. Sappiamo infatti che le cause civili Pag. 16sono soggette a un iter particolarmente lungo, mentre qui occorre una celerità che permetta di essere immediatamente efficaci.
  Mi sembrava percorribile la strada di restringere l'area del penalmente rilevante, anche se magari non soltanto al fatto determinato e poi di verificare come rendere gli strumenti civilistici più adeguati al tipo di tutela necessario.
  In queste nuove proposte si attribuisce grande valore alla rettifica, perché deve servire a calmierare l'entità del risarcimento del danno, deve servire come risarcimento in forma specifica e poi c’è chi vede la non punibilità o la non procedibilità, ma credo che tutto questo non possa essere automatico, altrimenti basta dire che, pubblicata la rettifica, la querela deve intendersi rimessa.
  Anche se colgo la novità e l'intenzione di contemperare i vari interessi, vorrei capire meglio come inquadrare la valenza della rettifica e quindi della sua efficacia.
  Do quindi la parola all'avvocato Malavenda per la replica.

  CATERINA MALAVENDA, Studiosa del diritto dell'informazione. Grazie. Lascio la domanda del presidente per ultima perché mi pare più complessa.
  Rispondendo all'onorevole Verini che fa anche il giornalista, ricordo che la responsabilità penale è personale, quindi, se Mannoni a Linea notte diffonde una notizia facendola propria, commetterà una diffamazione a sua volta; se la rete locale riprende l'articolo e lo diffonde, commette un'infrazione a sua volta.
  Ogni condotta è penalmente personale (il discorso civilistico è diverso) quindi, se tu riprendi un mio articolo diffamatorio – come sovente accade – risponderai a tua volta. Anche la rettifica dovrebbe seguire la stessa strada.

  WALTER VERINI. Sempre che l'interessato ne venga a conoscenza...

  CATERINA MALAVENDA, Studiosa del diritto dell'informazione. La notizia della diffamazione impiega ad arrivare al diffamato un nanosecondo, perché c’è sempre un amico che guarda la televisione la sera tardi, c’è sempre un conoscente che ha visto la TV locale.
  La diffamazione in genere è una cosa molto composta, per cui è difficile che il titolo possa comportare una diffamazione, mentre è molto più facile che sia l'articolo, che a volte viene letto per brani.
  Quando facciamo i processi per diffamazione non processiamo per la rassegna stampa: processiamo perché è stato pubblicato su Il Corriere della sera, quindi è lì che va a impattare la rettifica. Per l'area circostante che eventualmente rimanga impunita ci sono le cause civili, quindi la diffusione di una notizia diffamatoria può causare danni civili. Tutti i giorni qualcuno viene querelato per l'articolo che ha scritto ma, se lo riprende la RAI, ne risponderà non Il Corriere della Sera bensì la RAI, perché la responsabilità civile segue quella penale.
  Quando la rettifica viene pubblicata in maniera evidente e palese su un giornale, viene ripresa dal motore di ricerca, va nell'archivio e Google la riprende, quindi quando si digita il nome appaiono l'articolo e la rettifica (anzi addirittura prima la rettifica perché viene messa in un momento successivo).
  Una rettifica, se ben congegnata, è autoreferenziale perché segue la notizia, soprattutto con internet, i blog e la diffusione digitale, anche perché ormai le notizie si cercano su internet, non sul giornale. Credo che il problema ci sia, ma non possa essere filtrato attraverso il processo penale, altrimenti diventa un'altra cosa.
  L'altra domanda riguardava il problema della querela infondata. Oggi il codice di procedura penale prevede che l'imputato assolto possa chiedere il risarcimento del danno causato dal processo ingiusto se il fatto non sussiste o non l'ha commesso. La formula «il fatto non costituisce reato» con cui viene assolto il giornalista non è contemplata in questa norma, quindi il giornalista che viene assolto con questa formula non può chiedere il risarcimento.Pag. 17
  Basterebbe quindi prevedere per tutte le formule assolutorie la condanna del querelante alle spese e al risarcimento nella misura stabilita dalla norma ove modificata, così rientrerebbe nella risarcibilità anche l'assoluzione del giornalista che oggi non ci rientra, omogeneizzando il civile e il penale, perché nel civile è prevista la sanzione da lite temeraria, nel penale invece non c’è. Ovviamente dipende dalla persona offesa scegliere se adire il giudice civile o penale.
  Sono per la non punibilità, perché la rettifica ha delle caratteristiche sia di grafica sia di lunghezza sia di incisività. Se la chiede il rettificante è chiaro che è soddisfatto, mentre quando la rettifica è pubblicata spontaneamente dal direttore o dal giornalista sarà il giudice penale al quale è stata sottoposta la diffamazione a valutarne la correttezza e la validità, in modo che diventi causa di non punibilità.
  A quel punto nel procedimento opererà come una scriminante, per cui la querela si fa, procede, perché a volte la rettifica potrebbe essere finta solo per godere del beneficio. Credo che debba impattare non sulla querela, che deve essere libera, ma sulla punibilità, perché la rettifica rende non punibile una condotta che lo sarebbe senza quel presupposto, quindi potrebbe essere questa la strada.
  Sulle caratteristiche, l'articolo 8 c’è già ed eventualmente si può anche modificare. La rettifica riguarda anche questioni non penalmente rilevanti: il fatto falso non diffamatorio può essere rettificato ugualmente, quindi la rettifica copre condotte diverse e ulteriori rispetto a quella penale, per cui rimane salva.
  Le cause civili sono divise in due categorie. La prima vede il giudice civile accertare la diffamazione in via incidentale e liquidare il danno. Il presupposto rimane uguale perché, in caso di causa civile per diffamazione, il presupposto verrà meno se c’è la rettifica che rende non punibile il reato.
  In tutti gli altri casi la causa civile viene fatta per l'immagine, l'identità personale, cioè profili che, pur non essendo la reputazione, sono altrettanto sensibili. Quello rimane fermo, perché c’è già: l'articolo 2043 del codice civile che copre i danni all'immagine, all'identità personale e alla reputazione anche non derivanti da diffamazione penalmente rilevante, perché ad esempio la colpa, che non supera la soglia del penale, rimane una causa di risarcimento civile.
  Credo quindi che il sistema civilistico sia già strutturato per coprire tutto quello che resterebbe fuori dall'area penale, lasciando la decisione incidentale del giudice civile tutte le volte in cui non si voglia querelare. È però necessario normare perché, se rettifichi e non sei più penalmente punibile, l'accertamento incidentale del reato dovrebbe essere sottoposto alla stessa condizione, quindi in caso di rettifica il giudice deve bloccare anche l'azione civile, altrimenti c’è uno sbilanciamento fra penale e civile.

  DOMENICO PULITANÒ, Ordinario di Diritto penale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca. Parto da quest'ultimo appunto sulla scelta della strada penale o civile. La strada civilistica, così com’è concettualmente impostata, richiede la prova del danno, mentre quella penale richiede la prova del fatto ed è molto più semplice. È in re ipsa per uno schema presuntivo: se vogliamo evitare lo stigma penalistico, bisogna prendere sul serio questa presunzione e impostare il tutto in chiave di riparazione equitativa, con un pizzico di soddisfazione anche simbolica che il penale tende a dare più del civile. È un problema di rito e nella sostanza mi pare che si tratti di una strada molto ragionevole di deflazione penalistica.
  Questione delle responsabilità del querelante e rimborso spese: è un problema serio in materia di diffamazione, ma anche un problema di ordine generale. Ho più volte riflettuto sulla mancanza di reazioni adeguate verso liti temerarie portate in penale e purtroppo santificate da un intervento troppo affrettato del pubblico ministero. È un problema serio, la cui collocazione non può essere la questione Pag. 18settoriale della diffamazione, ma andrà pensato in un'ottica ragionevolmente più ampia.
  La prima delle domande sulla questione della rettifica legata alle rassegne stampa e all'eco nata dalla prima notizia pone un problema serio e mi ha fatto pensare a una questione che interferisce con tutti i nostri ragionamenti, alla quale non avevo pensato prima. Ci possono essere articoli diffamatori e pubblicazioni diffamatorie delle quali l'articolista e il giornale possono non rispondere. Si tratta della questione tanto dibattuta in giurisprudenza dell'intervista diffamatoria di chi afferma cose false e diffamatorie verso taluno, che il giornalista ha pubblicato nel corretto esercizio del diritto di cronaca, che è anche diritto di informare su diffamazioni lanciate nel mercato da soggetti più o meno autorevoli.
  In quest'ottica va valutato anche il giornalista Mannoni che a mezzanotte presenta la stampa, non commette diffamazione ma esercita il suo diritto di informazione riportando giornali che contengono diffamazioni.
  Chiaramente Mannoni non può essere destinatario di un obbligo di rettifica, mentre il giornale che fa il suo mestiere pubblicando l'intervista diffamatoria invece sì, ma quel giornale e non altri. Credo sia un punto molto delicato nelle proposte in discussione l'idea che le rettifiche possano o debbano essere pubblicate in luoghi diversi da quello che ha contenuto la manifestazione diffamatoria. Mi riporto per brevità alle considerazioni svolte dall'avvocato Malavenda.
  Questione della rettifica e della sua rilevanza come causa di non punibilità: è un punto molto delicato per quanto riguarda l'articolazione tecnica, ma è da vedere se si riesca a costruire una fattispecie di non punibilità che sia sufficientemente definita con estremo rigore in tutti i suoi elementi costitutivi.
  Avevo anche riflettuto all'alternativa tra causa a fattispecie determinata oppure rimessa a una qualche valutazione discrezionale del giudice. Questa seconda strada potrebbe apparentemente presentare dei vantaggi, ma ci riporta su uno sfondo molto difficile da controllare. La considererei quindi rischiosa. Non so se si riesca a costruire una fattispecie di non punibilità legata alla rettifica, che metta da parte la questione principale della querela e remissione della querela, che riterrei comunque la strada maestra delle composizioni degli interessi in gioco.
  Cercherei di salvaguardare quella strada e terrei quest'altra come elemento di riflessione, ma con la consapevolezza che per arrivare a definire una rettifica come condizione di non punibilità e non semplicemente di riduzione del danno risarcibile – risultato a cui si può arrivare – bisognerebbe pensare a una rettifica che per contenuti, per tempestività, per modalità di diffusione abbia riparato integralmente il danno legato alla pubblicazione originaria.
  Se vi è uno spazio anche ridotto che induca a ritenere che l'offesa cagionata non sia stata riparata integralmente, arrivare alla non punibilità mi parrebbe un passo molto forte. La regola generale in tutto il sistema penale è che la non punibilità si lega a una riparazione integrale e qui francamente la vedo problematica.
  Le alternative che in qualche proposta ho trovato (previsione di attenuanti o viceversa di circostanze aggravanti per il rifiuto della rettifica) sono soluzioni praticabili, hanno una loro ragionevolezza, ma tutto sommato sono questioni abbastanza limitate, forse poco più che simboliche, come spesso è la pratica di inserire circostanze aggravanti o attenuanti che dicono poco o niente dal punto di vista pratico.

  PRESIDENTE. Grazie. Indubbiamente il tema è molto delicato e credo che le soluzioni siano tutte sul tappeto. Noi terremo presenti i vostri contributi e, dopo l'ulteriore tornata di audizioni degli organismi di riferimento nella prossima settimana, i relatori predisporranno un testo base su cui magari potremo ottenere un vostro contributo.

  CATERINA MALAVENDA, Studiosa del diritto dell'informazione. Io comunque rimango Pag. 19per la rettifica, perché è già scritta come deve essere. Il giudice civile quando deve valutare la congruità della rettifica fa esattamente la stessa valutazione, perché a volte viene pubblicata in maniera sbagliata e il giudice crede che non sia una rettifica. C’è tanta giurisprudenza sul punto. Basta fissare dei limiti di spazio e di tempo oltre i quali non vale più.
  Adesso c’è la seconda edizione aggiungibile del periodico a due giorni dalla pubblicazione sul quotidiano. Sono già fissati anche i tempi: due giorni il quotidiano, il secondo numero aggiungibile del periodico, trenta righe, che possono diventare anche sessanta, fatti, immagini e pensieri. Quindi è già scritto. Se il fatto viene rettificato, il giudice può anche valutare la verità del fatto che non è mai assoluta, ed ha una certa discrezione nel valutare. La condizione di non punibilità può essere sottoposta al giudice quando fa la sentenza.
  Il fatto falso può essere diffuso perché non si è controllato abbastanza, quindi pensando che sia vero. Oggi c’è la putatività, che è una delle norme meno applicate del mondo, però c’è un'area in cui dice: potevi fare questi controlli ma non li hai fatti, qui la scriminante non opera.

  PRESIDENTE. Certo, la verifica della fonte, del fatto storico...

  CATERINA MALAVENDA, studiosa del diritto dell'informazione. In questo caso è un fatto falso diffuso con colpa grave. Se invece lo diffondi sapendo che è falso, è più grave del primo...

  PRESIDENTE. Penso che la sola multa sarebbe poco, perché siamo quasi al limite della calunnia. La proposta Gelmini è basata proprio su questo. Mentre il primo aspetto, il fatto falso senza i dovuti controlli, quindi colpa grave, condotta di rilevanza penale, fa parte del mestiere, quando si ha la coscienza della falsità e la volontà di diffonderla al fine di ledere l'altrui reputazione, siamo al limite della calunnia e quindi francamente la pena fino a 5.000 euro appare insufficiente.

  CATERINA MALAVENDA, Studiosa del diritto dell'informazione. In quei casi forse si può prevedere la pena alternativa della multa o della reclusione fino a un anno, che tanto è convertibile in libertà vigilata.

  ENRICO COSTA. Questo è proprio il nocciolo della questione, ed è una scelta politica che saremo chiamati ad assumere, perché quando si dice no al carcere per i giornalisti è difficile far percepire l'idea di ritagliare una disciplina. Dal punto di vista logico e del buonsenso il suo percorso giuridico non fa una grinza. Il punto è però riuscire a dettagliare una norma che stabilisca questo e non si presti a interpretazioni diverse, perché quando è un'opinione ha una strada, quando è un fatto determinato un'altra. Molte situazioni, note ai giornalisti, sono a cavallo tra l'opinione e il fatto determinato.
  Sarebbe opportuno individuare una disciplina omogenea per tutte le situazioni, magari graduandola attraverso la pena pecuniaria più forte in determinate situazioni, però questa è l'indicazione che credo emergerà anche dalla Federazione della stampa e che informalmente abbiamo percepito.
  È opportuno quindi capire se si possa dettagliare una norma sotto questo profilo anche per sottoporlo agli ulteriori auditi, che faranno una valutazione non dal punto di vista giuridico, ma dal punto di vista professionale, «corporativo».

  PRESIDENTE. Scusate, ma devo chiudere perché sono iniziati i lavori in Aula. Nel ringraziare i nostri auditi, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.05.