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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Giovedì 18 luglio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI DIFFAMAZIONE, DI DIFFAMAZIONE CON IL MEZZO DELLA STAMPA O CON ALTRO MEZZO DI DIFFUSIONE, DI INGIURIA E DI CONDANNA DEL QUERELANTE, IN RELAZIONE ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 925 COSTA, C. 1100 GELMINI, C. 1190 LIUZZI, C. 1165 DAMBRUOSO, C. 191 PISICCHIO E C. 1242 MOLTENI

Audizione dei direttori di testate giornalistiche di rilievo nazionale, in particolare di: Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, Alessandro Sallusti, direttore di Il Giornale, Maurizio Belpietro, direttore di Libero, Marco Travaglio, vicedirettore di Il fatto quotidiano, Liana Milella, giornalista delegata dal direttore di Repubblica, Giorgio Mulè, direttore di Panorama, Bruno Manfellotto, direttore di L'Espresso, Marcello Masi, direttore del TG2, Bianca Berlinguer, direttore del TG3, Sarah Varetto, direttore di SKY TG 24, Alessandro Banfi, direttore di TG COM 24, Roberto Iadicicco, direttore dell'AGI, Paolo Mazzanti, direttore di TM NEWS, Gianfranco Astori, direttore dell'ASCA, Nicola Perrone, direttore di DIRE.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 4 
De Bortoli Ferruccio , Direttore del Corriere della Sera ... 5 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 7 
Varetto Sarah , Direttore di SKY TG 24 ... 7 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 9 
Sallusti Alessandro , Direttore di Il Giornale ... 9 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 10 
Mulè Giorgio , Direttore di Panorama ... 10 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 12 
Mulè Giorgio , Direttore di Panorama ... 12 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 12 
Berlinguer Bianca , Direttore del TG3 ... 12 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 12 
Berlinguer Bianca , Direttore del TG3 ... 12 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 13 
Travaglio Marco , Vicedirettore di Il fatto quotidiano ... 13 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 14 
Travaglio Marco , Vicedirettore di Il fatto quotidiano ... 14 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 15 
Travaglio Marco , Vicedirettore di Il fatto quotidiano ... 15 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 15 
Belpietro Maurizio , Direttore di Libero ... 15 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 16 
Banfi Alessandro , Direttore di TG COM 24 ... 16 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 17 
Masi Marcello , Direttore del TG2 ... 17 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 18 
Astori Gianfranco , Direttore dell'ASCA ... 18 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 20 
Manfellotto Bruno , Direttore di L'Espresso ... 20 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 22 
Milella Liana , Giornalista delegata dal direttore di Repubblica ... 22 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 23 
Milella Liana , Giornalista delegata dal direttore di Repubblica ... 23 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 24 
Iadicicco Roberto , Direttore dell'AGI ... 24 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 25 
Perrone Nicola , Direttore di DIRE ... 25 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 25 
Perrone Nicola , Direttore di DIRE ... 25 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 26 
Della Volpe Santo , Direttore di Libera informazione ... 26 
Pisicchio Pino (Misto-CD)  ... 28 
Ferranti Donatella , Presidente ... 28

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei direttori di testate giornalistiche di rilievo nazionale, in particolare di: Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, Alessandro Sallusti, direttore di Il Giornale, Maurizio Belpietro, direttore di Libero, Marco Travaglio, vicedirettore di Il fatto quotidiano, Liana Milella, giornalista delegata dal direttore di Repubblica, Giorgio Mulè, direttore di Panorama, Bruno Manfellotto, direttore di L'Espresso, Marcello Masi, direttore del TG2, Bianca Berlinguer, direttore del TG3, Sarah Varetto, direttore di SKY TG 24, Alessandro Banfi, direttore di TG COM 24, Roberto Iadicicco, direttore dell'AGI, Paolo Mazzanti, direttore di TM NEWS, Gianfranco Astori, direttore dell'ASCA, Nicola Perrone, direttore di DIRE.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante, in relazione all'esame delle proposte di legge C. 925 Costa, C. 1100 Gelmini, C. 1190 Liuzzi, C. 1165 Dambruoso, C. 191 Pisicchio e C. 1242 Molteni, l'audizione dei direttori di testate giornalistiche di rilievo nazionale, in particolare di: Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, Alessandro Sallusti, direttore di Il Giornale, Maurizio Belpietro, direttore di Libero, Marco Travaglio, vicedirettore di Il fatto quotidiano, Liana Milella, giornalista delegata dal direttore di Repubblica, Giorgio Mulè, direttore di Panorama, Bruno Manfellotto, direttore di L'Espresso, Marcello Masi, direttore del TG2, Bianca Berlinguer, direttore del TG3, Sarah Varetto, direttore di SKY TG 24, Alessandro Banfi, direttore di TG COM 24, Roberto Iadicicco, direttore dell'AGI, Paolo Mazzanti, direttore di TM NEWS, Gianfranco Astori, direttore dell'ASCA, Nicola Perrone, direttore di DIRE.
  Inizialmente, avevamo previsto di incontrarci nella Sala del Mappamondo, ma essendo ancora in corso i lavori delle Commissioni per il Decreto del fare, siamo ospiti nell'aula della Commissione affari costituzionali.
  Voglio ringraziare sentitamente gli illustri ospiti che, nonostante i loro gravosi impegni, hanno aderito immediatamente e senza alcun indugio all'invito a prendere parte a questa nostra seduta conclusiva dell'indagine conoscitiva sulle proposte di legge oggetto dell'indagine.
  Faccio presente che nella seduta di martedì 16 luglio scorso, su proposta dei relatori onorevoli Costa e Verini – che si trovano alla mia destra e che saluto e ringrazio, soprattutto per il lavoro di sintesi che stanno svolgendo – è stato adottato come testo base su cui lavorerà la Commissione la proposta di legge n. 925, presentata dall'onorevole Costa.Pag. 4
  Questo testo base ha un significato. Come è stato evidenziato proprio dalla Commissione, è la proposta di legge che riproduce integralmente il testo che fu approvato dall'Assemblea della Camera dei deputati pressoché all'unanimità con soltanto 6 voti contrari e 20 astenuti nella XIV legislatura. Pertanto è il risultato di approfondimenti e di una sintesi di posizioni contrapposte.
  A questo testo manca, ma può essere introdotta con emendamenti, la parte relativa all'estensione della legge sulla stampa e i siti Internet aventi natura editoriale. Naturalmente, quando è adottata una proposta come testo base, non si tratta che di una base di partenza per addivenire a una legge che ci auguriamo sia più condivisa possibile, e che quindi, come mi auguro, rappresenterà il frutto di un lavoro costruttivo da parte di tutte le forze politiche.
  Non è questo il momento per entrare nel merito delle questioni, ma non posso che sottolineare la delicatezza del tema che stiamo trattando. Ogni qual volta il Parlamento esamina leggi sulla stampa in vista di una riforma della legge di settore, in realtà, l'obiettivo è trovare un punto di equilibrio, un giusto contemperamento tra la libertà di informazione e il diritto a non essere diffamati.
  Spostare l'asticella in maniera eccessiva verso l'uno o l'altro diritto in questione avrebbe, ovviamente, conseguenze gravissime per la democrazia del Paese o per la dignità dell'individuo. Proprio in considerazione della complessità delle questioni trattate e afferenti alla libertà di informazione, ho chiesto all'onorevole Pisicchio, alla mia sinistra, già presidente della Commissione giustizia nella XV legislatura, in veste, tra l'altro, di giornalista professionista e oggi qui con il compito di coordinare i diversi interventi previsti secondo uno schema non diverso da quello di una tavola rotonda. Resta ferma la natura di indagine conoscitiva della Commissione.
  Infine, con sentiti ringraziamenti, voglio salutare il professor Carlo Federico Grosso, il dottor Franco Siddi, Segretario generale della Federazione nazionale della stampa italiana, gli avvocati Caterina Malavenda e Guido Scorza, che hanno già preso parte e offerto il loro contributo nelle scorse sedute all'indagine conoscitiva, che oggi sicuramente apporteranno un contributo utile in vista dell'approvazione del testo per l'esame dell'Assemblea previsto a partire dal 26 luglio prossimo. Saluto anche il presidente dell'Ordine dei giornalisti, dottor Iacopino, a sua volta tra le persone audite nelle precedenti sedute.
  Do subito la parola all'onorevole Pisicchio per entrare nel vivo dei lavori.

  PINO PISICCHIO. Auguro buon pomeriggio a tutti i nostri illustri ospiti e ai colleghi parlamentari.
  La presidente mi ha fatto l'onore di chiedermi di svolgere il ruolo di moderatore nel corso dell'esperimento che stiamo sviluppando quest'oggi. In realtà, si tratta di un'audizione ma, al tempo stesso, di un dibattito che vede come protagonisti coloro che rappresentano la stampa italiana, la stampa militante, la stampa che fa la notizia, che ha come punto di riferimento i codici deontologici e tutto ciò che fa giornalismo professionista.
  Naturalmente, la presidente ha descritto con parole molto precise e molto attente lo stato dell'arte del dibattito in questa Commissione con riferimento al tema delicatissimo posto oggi alla vostra attenzione.
  Siamo di fronte alla necessità di sviluppare un utile bilanciamento di diritti costituzionali, che ricevono una tutela costituzionale: libertà di diritto e manifestazione del pensiero, articolo 21, e diritto inviolabile del cittadino alla reputazione. Siamo, però, di fronte alla necessità di operare per costruire una struttura normativa che non solo individui in modo molto netto e preciso e sviluppi la fattispecie diffamatoria, ma che tenga anche conto di questa condizione nel quadro dell'evoluzione delle tecnologie dell'informazione e, al tempo stesso, realizzi un apparato sanzionatorio.
  Saluto i relatori, uno dei quali è per due volte mio collega, nel senso che è giornalista anch'egli, l'onorevole Verini, Pag. 5mentre l'onorevole Costa ha una specifica formazione essendo un bravo ancorché giovane avvocato. È necessario costruire un meccanismo sanzionatorio che sgombri il campo dalle pene detentive. Mi pare che su questo punto si sia realizzata una convergenza e una piena condivisione.
  Si tratta anche di stabilire, chiarire, definire quale possa essere la responsabilità del direttore. È uno dei profili più controversi di una responsabilità che quasi si configura in termini oggettivi. Ancora, è chiamata in campo la questione della rettifica e della valutazione della sua efficacia, delle modalità con cui la rettifica deve essere effettuata.
  Ci siamo anche occupati e attendiamo da parte vostra delle osservazioni sulla valutazione relativa alla disciplina del risarcimento. Tutta la disciplina risarcitoria va soppesata, considerata e costruita in modo efficace, ma anche non punitivo.
  Inoltre, la questione della lite temeraria è uno degli aspetti che ha attraversato tutte le proposte di legge elencate in apertura dalla presidente, e che ha trovato, nell'ambito della discussione che si è svolta in Commissione giustizia, punti di attenzione e di sensibilità molto forti.
  Infine, mi permetto – per il segmento che riguarda la mia proposta di legge – che non mi dispiacerebbe conoscere l'opinione di autorevoli direttori e giornalisti sulla possibilità della presenza di un Giurì col ruolo di costruire le condizioni, prima ancora che si realizzi la giurisdizionalizzazione della lite, per rendere possibile un punto di negoziato tra il lettore e il giornalista.
  Mi pare, grossomodo, in una dimensione di sintesi assai rapida – quest'oggi dobbiamo anche mettere in pratica una sorta di spending review sui tempi – che questo possa essere un po’ il menu in riferimento al quale mi permetterei di invitare tutti coloro che intendono intervenire, ringraziandoli ancora una volta della loro presenza, di tener conto.
  Voglio anche rendere noto che questa di seduta sarà redatto un resoconto stenografico. Vorrei, quindi, invitare chi interverrà a tener conto del fatto che il resoconto stenografico è uno strumento straordinario e anche affascinante perché non mette nel conto le tecnologie che vanno molto di moda nella concezione dell’instant democracy, ma ha bisogno anche di una scansione adeguata degli interventi, senza sovrapposizioni, che sicuramente non vi saranno.
  Gli uffici mi hanno già fornito alcune indicazioni relative alle richieste di intervento, per cui darei la parola al direttore del Corriere della Sera, dottor Ferruccio De Bortoli.

  FERRUCCIO DE BORTOLI, Direttore del Corriere della Sera. Ringrazio l'onorevole Pisicchio e il presidente per quest'invito, come tutti commissari della Commissione e i colleghi presenti.
  Farò soltanto alcune considerazioni in margine a un dibattito che è stato ampio in questi mesi e che ha portato anche a un'attenzione da parte del Parlamento sull'evoluzione di una normativa che negli anni abbiamo sperimentato inadeguata, spesso ingiusta e con qualche eccesso di cui abbiamo largamente parlato, discusso e scritto in queste ultime settimane.
  Toccherò soltanto e rapidamente alcuni temi, partendo da quello delle rettifiche. State discutendo, come anche le proposte tengono conto, che si potrebbe ipotizzare un ampliamento e una diversa disciplina delle rettifiche, in modo che possano escludere alcuni profili penali.
  Oggi, pubblichiamo molte rettifiche e il paradosso è che qualche volta siamo responsabili anche per le falsità in esse contenute. La responsabilità oggettiva si estende, infatti, anche a queste: le rettifiche, quando riportate con una certa ampiezza, non escludono il profilo penale e non interrompono un'attività processuale, per cui dobbiamo aspettare la fine dei processi per capire se abbiamo svolto bene o male il nostro mestiere.
  Fermo restando, ovviamente, che il carcere non debba essere mai previsto per i reati d'opinione in una democrazia evoluta quale si ritiene debba essere la nostra, credo che forse questa potrebbe anche essere l'occasione per un riesame complessivo Pag. 6della responsabilità del direttore. Oggi abbiamo pubblicato un articolo, l'avvocato Caterina Malavenda è accanto a me, ma ho un conflitto di interesse palese e conclamato.
  Ovviamente e naturalmente, vi manifesto – credo che i miei colleghi direttori siano d'accordo su questo punto – che l'esercizio della responsabilità oggettiva e dell'attività di controllo che ci spetta per legge si sia fortemente complicato negli anni. La legge è stata pensata quando i giornali uscivano una volta al giorno, erano composti di poche pagine e forse si poteva pensare che un direttore attento e disciplinato potesse leggerle tutti.
  Attualmente, leggiamo soltanto una parte minima di quello che pubblichiamo e siamo responsabili, ovviamente, anche di ciò che il sito pubblica in tempo reale. Naturalmente, questo ci pone un problema di deontologia professionale. Se, spesso, la tempestività ha fatto premio sull'accuratezza, questo, francamente, fa parte del sistema informativo moderno.
  Tenete conto anche della pervasività dei social network, che in qualche modo prendono pezzi di informazione che i giornali e i siti producono e in un tempo relativamente ridotto quelle informazioni assumono forme completamente diverse, significati spesso totalmente ribaltati, eppure siamo in origine anche responsabili di quello che sui social network si è diffuso.
  Forse il tema della responsabilità del direttore va, allora, riesaminato, tenendo conto che esistono anche normative che possono avvicinarsi a quella di cui stiamo discutendo. Mi riferisco, per esempio, al decreto legislativo n 231 del 2001, che in qualche modo, in presenza di un modello organizzativo che possa essere stabilito dal legislatore, prevedano anche profili e fattispecie in cui la responsabilità oggettiva del direttore non è esercitata.
  Questo non vuol dire che vogliamo sottrarci alle nostre responsabilità – per carità – ma che vogliamo semplicemente rappresentarvi una situazione oggettiva. Il direttore di un giornale è contemporaneamente direttore di tante pubblicazioni, di tanti momenti informativi, che francamente sfuggono anche al proprio controllo diretto.
  Un altro aspetto che vorrei porre alla vostra attenzione è il fatto che abbiamo molte cause. Credo di essere primatista, da questo punto di vista, non ve ne elencherò il numero perché abbiamo perso il conto. Siccome è giusto che si dica tutto, dirò che ho anche un paio di condanne definitive, ma credo che dovrebbe essere prevista e possa, giustamente, essere anche disincentivata quell'azione penale temeraria e renderla in qualche modo effettiva, cioè rientrare nel civile, un aspetto per cui un'azione temeraria è sanzionata, mentre nel penale questo non avviene.
  Oltretutto, è vero che si perdono delle cause, ma se ne vincono anche talmente tante che sarebbe anche interessante che, come pena accessoria, ci fosse la pubblicazione delle non poche cause che sono state vinte dai giornalisti.
  Inoltre, viviamo in un sistema con un ordinamento giudiziario in cui tutto passa per il processo. Forse l'eccessiva processualizzazione è una delle malattie del nostro ordinamento. I processi durano tantissimo e, quando si arriva a sentenza definitiva, non si ha più assolutamente memoria del fatto. Devo anche riconoscere la necessità certamente improcrastinabile di restituire l'onore a una persona ingiustamente accusata di aver commesso dei fatti o di aver detto e riferito delle notizie. Il passare del tempo, ovviamente, rende praticamente impossibile questa sorta di restituzione. Devo, però, anche sottolineare la soddisfazione che può venire al giornalista dall'aver sostenuto una battaglia corretta.
  Credo, tuttavia, che debba essere posto alla vostra attenzione che, se i processi durassero di meno, in qualche modo sarebbe esclusa la possibilità che, a causa della lunghezza dei processi, possa esserci una perdita del legame con il fatto.
  Il risarcimento del danno, come abbiamo detto, può avvenire in via penale o civile, ma una duplicazione tra il penale e il civile costituisce un forte ostacolo, soprattutto nell'occuparsi di quei poteri Pag. 7forti, di coloro che dispongono di una certa capacità e volume di fuoco, con i loro uffici legali. Questi possono agire sia sul piano penale, sia su quello civile e, in qualche modo, comprimere la libertà di stampa, nel senso che non ci si occupi più di chi ha un volume di fuoco dal punto di vista della disponibilità di tempo, di avvocati e di potere iniziare un processo penale contemporaneamente a uno civile, così in qualche modo comprimendo la libertà di opinione. Credo che questo possa essere un utile argomento di dibattito.
  Allo stesso modo, ritengo che vada salvata la specificità delle opinioni. Se si attribuiscono dei fatti falsi, è giusto che i processi vadano avanti e sia riconosciuto un risarcimento adeguato per la diffamazione. Anche quando sono sostenute con una certa verve, credo che le opinioni debbano essere anche maggiormente rispettate.
  Aggiungo a questo mio intervento il tema dell'interesse pubblico a conoscere i fatti accaduti. Questo riguarda, per esempio, la gestione dei nostri archivi negli anni, ovviamente accanto al diritto all'oblio, che è certamente un altro diritto soggettivo che non si può trascurare. Sarà, in qualche modo, giusto prevedere un equilibrio tra l'interesse pubblico a conoscere i fatti, anche accaduti molto tempo prima, e l'esercizio del diritto all'oblio.
  Inoltre – è una mia considerazione personale – bisogna che vi rendiate conto che noi, operatori dell'informazione, siamo alla fine di una catena. È chiaro che l'informazione nasce, come quella finanziaria, da una comunicazione di una società, da un documento pubblico o privato, da una dichiarazione o un'intervista. Noi esercitiamo e dobbiamo esercitare il controllo, la critica, cercare di capire la sostanza dei fatti, ma siamo alla fine di una lunga catena informativa, che vede responsabilità di vario tipo.
  Concludo con una perorazione, che nulla ha che vedere, ovviamente, e che non credo che possa essere compresa in un testo legislativo, ma dovremmo ritornare un po’ tutti – qui, naturalmente, anche noi abbiamo le nostre responsabilità – a una civiltà in cui si riconoscono gli errori che si commettono: quelli commessi alla fine di questa catena informativa e quelli commessi all'inizio. Qualche volta siamo i portatori – se sani o insani lo deciderete voi – di informazioni, di fatti, di opinioni che nascono a monte e poi sono portati a conoscenza del pubblico.
  Spero che questa sia anche l'occasione per svelenire il confronto sul tema del rapporto tra politica e stampa e superare anche la mia personale sensazione – non so se anche i colleghi la condividano – che esista una forma un po’ rivendicativa, da parte del mondo della politica, nei confronti di una stampa, che forse è stata troppe volte, a giudizio di esponenti del mondo politico, quindi anche vostro, un po’ troppo indisciplinata. L'indisciplina, tuttavia, è un connotato della libertà.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore. Pensi che disgrazia essere un politico e anche un giornalista. È il massimo, non gli manca niente.
  Per darci una regola, il direttore ha parlato per 7 minuti. Se riuscissimo a contenere gli interventi entro i 6 o 7 minuti, credo che riusciremo tutti a esprimerci.
  Do la parola alla dottoressa Sarah Varetto, direttore di Sky TG 24.

  SARAH VARETTO, Direttore di SKY TG 24. Vi ringrazio, innanzitutto, per l'invito a discutere un tema del quale si parla da molto tempo.
  Vorrei partire da un dato. Chi mi ha preceduto ha ben spiegato come oggi sia cambiato anche il ruolo del direttore. Prima, si dirigeva un giornale in un certo modo; oggi, una pluralità di testate fa capo a un giornale, esistono i siti Internet e diventa molto complicato riuscire davvero a seguire e a controllare tutto. Per come è impostata oggi la legge, si prevede un tipo di controllo che difficilmente si potrà esercitare.
  Parlerò della mia esperienza. Noi siamo un canale all news, in diretta per 19 ore al giorno: è quasi impossibile pensare che Pag. 8si possa controllare ogni singola parola, ogni singolo testo, ogni lancio, ogni servizio per 19 ore al giorno. Questo è soltanto un esempio, se ne possono fare molti altri in relazione alla disciplina dei siti Internet. In ogni caso, sono tutte testimonianze di come sia cambiata la nostra professione di giornalista e di cui una futura legge, una riforma della normativa sulla diffamazione, dovrà tenere conto per contenere anche elementi che contemplino le diversità dei modi di informazione, la diversa velocità con la quale oggi si è tenuti, come giornalisti, a fornire le informazioni.
  Di conseguenza, è anche ovvia la pressione psicologica che si sente quando si lavora in un contesto in cui la velocità è fondamentale, col rischio di azioni più o meno legittime o azioni che, invece, hanno finalità strumentali.
  Se da una parte, vorrei ovviamente sottolineare anch'io il valore della cancellazione delle pene detentive legate ai reati di opinione, di diffamazione e di ingiuria, dall'altra, evidenzierei anche l'importanza – presente nelle varie proposte di riforma in questa materia – del ruolo della rettifica, ossia della valorizzazione di quest'istituto. Questo non dovrebbe rendere la diffamazione non punibile o non procedibile, ma fungere davvero da ristoro completo, ovviamente sotto il profilo penale, ma con una sempre maggiore importanza anche dal punto di vista del procedimento civile.
  Oltretutto, oggi il fatto che sia difficile la quantificazione del danno non patrimoniale dà luogo spesso a richieste che possono essere anche spropositate, che hanno finalità strumentali, conoscendo anche la lunghezza dei processi, e, in realtà, avere anche una funzione intimidatoria nei confronti del giornalista.
  Se, da una parte, va messo un tetto e, dall'altra, serve una regola che dia davvero piena funzione all'istituto della rettifica, tutto ciò potrebbe rappresentare anche un passo avanti. Nei mezzi che abbiamo citato, Internet o televisivi, di flussi di informazione continui, è ovvio che la rettifica potrebbe arrivare in tempi molto rapidi a ristabilire la verità, salvo sempre – mi preme sottolinearlo – il valore del commento, dell'opinione del giornalista, che ovviamente va tenuto disgiunto dalla posizione di un fatto più o meno veritiero oggetto della contestazione.
  D'altronde, il direttore De Bortoli sottolineava che sarebbe bello veder pubblicate anche le cause che si vincono, che sono tante. Nell'ambito delle cause, quando si arriva non soltanto a rigettare la richiesta, ma anche a giudicarla manifestamente infondata o pretestuosa, forse andrebbe previsto anche, oltre alla condanna alle spese processuali, visto che in quei casi probabilmente si era fatta la scelta di intraprendere l'azione con uno scopo magari strumentale o intimidatorio – si potrebbero usare altri aggettivi – anche la condanna di chi ha proposto l'azione al pagamento di un risarcimento nei confronti del convenuto, di colui che ha ricevuto la diffamazione.
  L'ultimo e importante aspetto che vorrei sottolineare è quello, presente nelle varie proposte, dell'eventuale della sussistenza della diffamazione qualora il fatto attribuito sia vero e che, quindi, la contestazione sia relativa soltanto alle opinioni del giornalista.
  In questo caso, non si dovrebbe neppure ammettere la contestazione. Se il fatto è vero, ovviamente va tutelato il diritto di esprimere l'opinione anche se portata avanti con termini o toni particolarmente incisivi.
  Concludo un po’ come ho iniziato, molto semplicemente, suggerendo che qualsiasi normativa deve, questa volta, tenere conto del fatto che l'informazione è profondamente cambiata, che sono cambiati i mezzi, la velocità, il modo in cui si propongono le informazioni, le piattaforme su cui sono distribuite. Non possono esserci norme rigide che tengano conto soltanto di una parte dell'informazione e non regolamentino affatto illeciti compiuti attraverso altri mezzi di diffusione. Bisognerebbe arrivare a una normativa che tenga conto dei cambiamenti avvenuti, degli attuali mezzi attraverso cui sono diffuse le informazioni dei giornalisti e anche delle peculiarità di questi.

Pag. 9

  PINO PISICCHIO. Il direttore ha mantenuto tempi europei, 4 minuti e mezzo, per cui le rivolgo i miei complimenti.
  Do ora la parola al direttore Alessandro Sallusti.

  ALESSANDRO SALLUSTI, Direttore di Il Giornale. Grazie di quest'invito. Credo che le nostre osservazioni stiano già prendendo corpo. Mi sembra che l'introduzione del direttore De Bortoli rappresenti un po’ la prima piattaforma generale. Il direttore di Sky ha aggiunto dei dettagli. Mi limiterò ad aggiungere alcune altre osservazioni rispetto ai temi già trattati.
  La prima è sulla responsabilità oggettiva. Non solo con riferimento agli argomenti portati dai colleghi, mi permetto di sottoporne alla vostra attenzione una che è frutto della mia esperienza personale. Mi è stato contestato, non ricordo più se in sede di processo penale o professionale, che il direttore può esercitare la responsabilità oggettiva attraverso la sua catena di comando, facendosi quindi carico della sua catena di comando, e assimilando così questa figura a quella dell'amministratore delegato di una società.
  Rispetto a questo, vorrei segnalare alla Commissione come, in realtà, il settore dell'editoria, dell'editoria quotidiana o delle all news, come ricordava il direttore, presenti caratteristiche talmente specifiche da non essere assimilabili ad altre aziende o ad altre imprese. Non è realmente e concretamente possibile, infatti, visti i tempi e la velocità con cui il prodotto deve essere confezionato e messo sul mercato, che la catena di comando riferisca, e quindi renda partecipe il direttore di tutte le decisioni che i vari membri della catena di comando assumono di minuto in minuto o di ora in ora. Diversa è un'azienda che produce mobili: se sorge un problema, è affrontato coi tempi e i modi che possono risolverlo in maniera compiuta. Eppure, a me è stato rinfacciato che sono responsabile attraverso la tua catena di comando.
  La seconda osservazione riguarda il carcere. È ovvio che mi trovo assolutamente d'accordo che, per i reati di opinione, non si debba assolutamente andare in carcere, neanche nella loro lettura più ampia. Mi permetterei, però, di far notare che forse, così facendo, inviamo anche un messaggio sbagliato all'opinione pubblica. Noi non siamo una casta e credo che nessuno di noi voglia diventarlo e sottrarsi a responsabilità da codice penale.
  Qualora fosse dimostrato, infatti, come a me non è mai capitato di appurare come testimone in 30 o 40 anni di mestiere, che un giornalista scrive del falso sapendo di scrivere il falso e con lo scopo di danneggiare qualcuno o di trarne beneficio, saremmo in un altro campo, ossia non in quello delle opinioni o degli errori professionali, ma in quello in cui, a mio avviso, l'opinione pubblica deve essere garantita.
  La terza osservazione – mi rifaccio sempre alla mia esperienza, ma credo sia questo il contributo che posso portare rispetto a colleghi molto più esperti che confezionano prodotti molto più articolati – è in relazione all'obbligo di pubblicazione della rettifica. Sembra paradossale che sia richiamato da me, che sono stato condannato anche per non aver pubblicato una rettifica, anche se non è questa la sede per parlarne – ma mi sono sforzato in tutti i vari gradi di giudizio di spiegare che non sono mai venuto a conoscenza di quella rettifica perché non era indirizzata a me.
  Bisognerebbe, allora, anche a scanso di equivoci, che venga precisato che il destinatario della rettifica deve essere oggettivamente messo nelle condizioni di prendere atto della rettifica stessa. Con gli attuali sistemi di informazione a catena, un po’ a cascata, è possibile che siano ripresi da fonti Internet il particolare di una notizia o un'intera notizia, di cui, se smentiti soltanto alla fonte iniziale, non necessariamente si riuscirà, anche con tutta la buona fede, a venire a conoscenza in tempi utili per rimediare.
  Sarebbe interessante, allora, che chi intenda essere rettificato faccia tutto quello che un buon padre di famiglia deve fare per raggiungere l'obiettivo che vuole. Nel mio caso, per esempio, si tratta di una Pag. 10generica rettifica all'ANSA, che io non avevo, per cui di questa rettifica non ho mai preso atto. Mi sono permesso di riportare quelli che mi rendo conto essere dettagli, ma che sono il frutto della mia esperienza e che mi hanno provocato un danno.
  Vorrei, inoltre, segnalare alla Commissione una circostanza che temo non possa essere materia di un provvedimento di legge, ma che a mio avviso merita una riflessione. Statistiche alla mano – se questa Commissione non le avesse a disposizione, sono pronto farle pervenire – si evidenzia un fatto assolutamente anomalo: la velocità dei processi che riguardano come denuncianti, in sede sia penale sia civile, i magistrati e le entità dei rimborsi che riguardano condanne pecuniarie di denuncianti appartenenti alla magistratura sono dalle 3 alle 4 volte superiori. Si tratta, cioè, di processi 3 o 4 volte più veloci e condanne 3 o 4 volte più pesanti a parità di reato che non se il denunciante è un cittadino normale, un politico.
  Credo che questa sia un'anomalia e, comunque, un fenomeno molto sospetto. Non so se il legislatore possa rifletterci e se è in grado e abbia la possibilità di porre dei filtri affinché questa statistica diventi un po’ più omogenea.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore. Se dispone di dati statistici da fornire alla Commissione, la ringrazieremo se vorrà trasmetterceli.
  Ha chiesto di intervenire il direttore Mulè, al quale do la parola.

  GIORGIO MULÈ, Direttore di Panorama. Grazie dell'invito. Premetto che sono qui in una veste un po'scomoda perché questa seduta origina da un fatto che mi riguarda molto da vicino.
  La Commissione ha molto meritoriamente intrapreso questo cammino, con la passione che gli onorevoli componenti della Commissione ci hanno messo, a seguito di un provvedimento giudiziario che mi riguarda legato alla condanna a 8 mesi di reclusione senza la sospensione condizionale della pena per la violazione dell'articolo 57, quindi per l'omesso controllo.
  A seguito di questa condanna, meritoriamente, e da parte – di questo sono riconoscente alla Commissione – delle formazioni politiche più diverse, si è manifestato immediatamente un interesse. Mi sono dato un periodo di tempo nel quale ritengo che questo organismo possa addivenire a una conclusione, ossia i 100 giorni da quella condanna alla quale ne è seguita un'altra di cui, nei 7 minuti a disposizione, tornerò a parlare.
  Dall'epoca di questa condanna, infatti, ossia dalla fine di maggio, 100 giorni sono il periodo che va dal deposito delle motivazioni all'eventuale ricorso in appello. Scaduto questo termine, la sentenza, se non appellata, diventa esecutiva, e quindi la condanna diventerebbe esecutiva con quello che ne consegue.
  A questa battaglia, a mio avviso di civiltà rispetto ai princìpi costituzionali che è inutile richiamare e che meglio di me conoscete, ci richiama e continua a richiamarci la Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha scritto in maniera molto chiara. Cito per tutte la sentenza del 2009 contro la Grecia, che conoscete perfettamente. Quei 100 giorni, a mio avviso, quando intrapresi questa campagna, erano un periodo nel quale serenamente avremmo potuto affrontare il dibattito.
  È accaduto, invece, che pochi giorni fa si sia aggiunta, agli 8 mesi di reclusione, una seconda condanna ad altrettanti 8 mesi di reclusione, sempre in violazione dell'articolo 57, sempre senza la sospensione condizionale della pena, per un altro processo.
  Sostanzialmente, parliamo di due condanne a complessivi 16 mesi di reclusione per articoli che non ho scritto di mio pugno. C’è anche da notare, nel caso di specie, che la condanna per l'estensione materiale dell'articolo è stata a una multa di 600 euro, mentre al direttore sono stati riservati 8 mesi.
  Si potrà pensare che il direttore abbia dei precedenti penali e dei pregiudizi tali da non consentire l'applicazione della Pag. 11pena. Insisto sulla vicenda personale perché, in realtà, è materia delle vostre proposte di legge, quindi è fondamentale sapere praticamente come funzionano le cose. I miei pregiudizi sono unicamente legati a 3 condanne, tutte e 3 per multe, per cui mai mi è stato comminato il carcere in precedenza né sono state trasformate in multe le condanne in carcere. Si tratta di 3 condanne per diffamazione risalenti ad articoli scritti da me, quando mi trovavo ancora al Giornale in altre relazioni.
  Questi tre pregiudizi, quindi, in un'attività giornalistica legati soltanto alle multe, costituiscono, secondo il giudice monocratico di Milano, nei due casi, motivo ostativo alla concessione delle attenuanti generiche e alla sospensione condizionale della pena.
  Non mi dilungherò su considerazioni rispetto all'enormità – a mio avviso – della sentenza, ma mi limiterò a sottolineare che questa sentenza si riverbera nella condotta quotidiana di un direttore e ha sicuramente pesantissimi riflussi.
  Vi confesso che, a seguito della seconda condanna, sono stato seriamente tentato e ho attentamente valutato se fosse il caso di dimettermi da direttore di Panorama in quanto quella condanna, oggettivamente, poteva contribuire a un'intimidazione del direttore, nel senso di sentirsi non più libero, ma molto limitato, nell'accesso degli articoli sul suo giornale alle opinioni. Ero gravato, infatti, già da due importanti pregiudizi che, in astratto o anche in concreto, potevano limitare l'accesso a quello che, invece, deve essere un libero scambio di opinioni quale è un giornale.
  Vi era, cioè, a mio giudizio, e vi è sicuramente una compressione del diritto di critica nonchè una mortificazione dell'articolo 21 della nostra Costituzione. Inoltre, è in discussione il principio non negoziabile per chi dirige un giornale non solo di essere, ma di mettere in grado i suoi collaboratori di essere totalmente liberi in ciò che vogliono scrivere all'interno di alcuni princìpi di continenza che tutti riconosciamo.
  Il primo punto che mi sta a cuore è di stabilire – in questo le proposte di legge depositate vanno incontro a questo principio – le responsabilità in capo a ognuno. Il direttore De Bortoli, il direttore Sallusti e il direttore Varetto hanno fatto riferimento alla possibilità che un direttore possa controllare tutto quello che finisce su un giornale.
  Vi cito l'esempio di un caso proprio dell'altro ieri, martedì, giorno di chiusura di Panorama: in assenza di un vicedirettore malato e di uno in ferie, non vi era possibilità, in astratto, che davanti a giudici si potesse riconosce la responsabilità di altri, come peraltro vorrei che fosse chiaro che non avviene mai. Non esiste, infatti, in giurisprudenza il caso di un direttore che abbia scaricato o, comunque, addossato o addebitato la culpa in vigilando dell'articolo 57 al vicedirettore, per cui è il direttore che si assume la responsabilità.
  In virtù di questo principio, che mi auguro vogliate cassare con la vostra proposta di legge, sono chiamato a rispondere del contenuto di oltre 120 pagine redazionali di Panorama. Per un calcolo approssimativo, queste 120 pagine corrispondono a 650.000 battute, che corrispondono all'incirca a mezzo tomo di quelli che vedete esposti qui.
  Si porrebbe, quindi, in capo al direttore la responsabilità di esercitare per ogni pagina, per ogni singola parola scritta sul suo giornale, un controllo rispetto alla patita diffamazione che un attore esterno potrebbe confutare. Vi renderete conto che questo è impossibile anche per il fatto che queste famose 650.000 battute non arrivano nel corso di un periodo disteso nel tempo, ma si concentrano, ancor più per i quotidiani dove le migliaia di battute sono enormemente superiori, in 2 ore, quando il giornale si chiude, o al limite in un giorno.
  Questo significa che il direttore di un giornale non fa altro che leggere quello che, evidentemente, i suoi collaboratori hanno fatto e non ha nessuna capacità, però, di incidere nella fattura del giornale perché o legge e valuta o si occupa del Pag. 12giornale. Capirete che questa è una menomazione, a mio giudizio grave. Per questo motivo, credo che la riforma dell'articolo 57 della legge sulla stampa e sulla responsabilità del direttore non sia più...

  PINO PISICCHIO. Mi perdoni, direttore, ma siamo oltre i tempi prestabiliti.

  GIORGIO MULÈ, Direttore di Panorama. Concludo trovandomi totalmente d'accordo che l'attribuzione del fatto falso debba prevedere la possibilità della punizione. Sono totalmente d'accordo sull'istituzione di un Giurì. Le cause dei magistrati – parlo per esperienza personale – hanno certamente tempi più rapidi. A questo proposito, sarò lieto di fornire l'esperienza personale dei risarcimenti riconosciuti a magistrati e di quelli riconosciuti ad altri attori.
  Per il resto, non volendo scomodare princìpi giuridici, mi sembra che ci sia in Commissione una convergenza molteplice sui princìpi cardine che ispirano la riforma. Mi auguro soltanto che i 50 giorni rimanenti siano sufficienti perché la legge sia riformulata. Auguro a tutti buon proseguimento.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore.
  Do la parola alla dottoressa Berlinguer, direttore del TG3.

  BIANCA BERLINGUER, Direttore del TG3. Sarò breve. Molti temi, infatti, sono già stati trattati. Vorrei, però, sottolineare l'ovvia differenza che esiste tra il giornale e la televisione. Partirei a mia volta dalla responsabilità del direttore, ma non, per l'appunto, per sottrarmi a qualunque responsabilità. Non solo siamo responsabili di quello che scrivono tutti i nostri redattori, quindi di tutti i servizi che vanno in onda, che naturalmente, come già tutti hanno sottolineato, nessuno di noi controlla personalmente, tranne alcuni, ma non l’all news, che è impensabile. Un telegiornale ha mediamente 4 edizioni, in cui vanno in onda più o meno 14 o 15 servizi. Chiaramente, di ognuno, controllo personalmente alcuni più delicati, ma non tutti.
  Siamo, però, anche i responsabili di quello che dicono gli ospiti invitati durante il telegiornale o, per esempio, da noi durante l'approfondimento notturno della Linea notte. Dovrò andare a L'Aquila nei prossimi giorni a rispondere di non so ancora quale dichiarazione di Vittorio Sgarbi durante una trasmissione di Linea notte. Non solo, quindi, è stato querelato lui, ma sono stata querelata io e dovrò andare a rispondere dell'opinione di Vittorio Sgarbi. Mi sembra davvero che questo non stia in piedi.

  PINO PISICCHIO. È il reato di intervista temeraria.

  BIANCA BERLINGUER, Direttore del TG3. Esattamente. Tra l'altro, quella sera non ho neanche visto Linea notte e neanche sono riuscita a capire cosa abbia detto. Mi è arrivato l'ufficiale giudiziario a casa, ho dato tutto all'avvocato, ma ancora non abbiamo capito di che cosa dovrò rispondere, chi si è sentito offeso dalle dichiarazioni Vittorio Sgarbi, ma come di chiunque altro.
  È impensabile, naturalmente, che un direttore possa rispondere delle affermazioni di un ospite di qualunque genere durante il suo telegiornale in diretta. Stiamo parlando sempre di dichiarazioni avvenute in diretta e anche questa è sicuramente una questione che va rivista.
  L'altra questione di cui vorrei parlare è l'istituto della rettifica. È verissimo, giustissimo, a mio avviso, che, quando è considerata esauriente, non si vada oltre. Per i telegiornali, è differente. Per noi, la rettifica avviene in tempi rapidissimi, cioè nelle successive edizioni, e di solito, quando c’è la rettifica, si tende a escludere il procedimento successivo. Se, cioè, nelle successive edizioni si interviene per rettificare questioni che riguardano il telegiornale e anche le trasmissioni giornalistiche di rete e a quel punto rettificano attraverso i telegiornali, è difficile che si proceda con l'azione giudiziaria.Pag. 13
  Del carcere non voglio neanche discutere perché siamo, chiaramente, tutti d'accordo che vada assolutamente eliminato. È positiva, però, anche a mio giudizio, l'introduzione dell'azione penale temeraria. Moltissime, infatti, sono le querele che lasciano il tempo che trovano, che non portano a nessuna condanna, ma fanno sprecare moltissimo tempo e non solo a noi.
  Vorrei anche sottolineare che, quando si procede con una querela, per esempio, rispetto a un telegiornale, non solo si querelano l'autore del servizio e il direttore, ma anche il conduttore che non ha dato quella notizia e che si è limitato magari a leggere poche righe in cui lo introduceva e in assenza della notizia causa della querela.
  In questo caso, si procede comunque con l'azione giudiziaria che riguarda tre persone. Anche questo meccanismo andrebbe un po’ semplificato. Non ha senso che si intervenga anche sul conduttore. Non parlo del conduttore dell'approfondimento, per il quale altro è il discorso, ma del conduttore che, per esempio, nell'edizione dei telegiornali si limita a leggere poche righe che introducono il servizio e dove di solito la questione che porta all'azione giudiziaria non è neanche nominata. Lì bisognerebbe davvero un po’ mettere ordine.
  Condivido il discorso per cui, usciti indenni da una querela, qualcuno paga per quello che è successo. È anche un modo per mettere fine a tantissime querele che lasciano il tempo che trovano, cioè portano dispendio di energie, di soldi, di investimenti di tempo e poi si risolvono in nulla. Questi mi sembrano i tre temi più importanti. Soprattutto, è bene differenziare, appunto, i casi di carta stampata e di televisione.

  PINO PISICCHIO. Ringrazio la dottoressa Berlinguer e do la parola al dottor Travaglio, vicedirettore di Il fatto quotidiano.

  MARCO TRAVAGLIO, Vicedirettore di Il fatto quotidiano. Vorrei partire da quello che succede oggi nella nostra esperienza. Forse sono il primo non direttore responsabile che parla, e quindi magari mi calerò di più nella parte di chi scrive e che, con quello che scrive, si trascinano dietro anche il direttore responsabile per le ragioni spiegate dai direttori che mi hanno preceduto.
  Oggi, ci sono molte querele, moltissime cause civili, per danni, sempre più cause civili, sempre meno querele, un segno di degrado, a mio giudizio, del costume. La querela, infatti, in qualche modo presuppone un accertamento dei fatti, mentre la causa civile presuppone soprattutto l'accertamento del danno. Paradossalmente, se si dà del ladro a un ladro, quello potrebbe essere ritenuto danneggiato.
  Ci sono addirittura delle sentenze nelle quali, in sede civile, noti corrotti hanno vinto le cause perché definiti tali, cause intentate, magari, dopo qualche anno, quando speravano di aver fatto dimenticare le loro tangenti.
  Esiste, dunque, una sovrabbondanza di cause civili rispetto alle querele penali. Molte querele sono fondate perché si scrivono fatti falsi e infamanti; molte sono infondate perché sono scritti fatti infamanti ma veri; moltissime sono spacciate per reati di opinione, mentre sono attribuzioni di fatti determinati infamanti e falsi che non c'entrano nulla con il reato di opinione. Siamo, però, messi tutti nello stesso calderone anche quando esprimiamo un giudizio o un'opinione.
  Negli Stati Uniti, il Presidente Bush fu protagonista di un libro di Michael Moore intitolato Stupid white man, stupido uomo bianco, tradotto in Italia da Mondadori: al Presidente degli Stati Uniti non è passato nemmeno per l'anticamera del cervello di denunciare civilmente o penalmente Michael Moore. In Italia, se si dà dello stupido a un politico, è querela sicura, causa civile sicura e persa sicura.
  Credo che un giornalista, se argomenta quello che sta dicendo, possa arrivare a dare dello stupido a un uomo pubblico visto che, appunto, per le cariche pubbliche, non essere stupidi aiuta. Ritengo, quindi, che sia interesse pubblico anche Pag. 14valutare le facoltà mentali delle cariche pubbliche. Da noi, è assolutamente impossibile farlo perché si sa benissimo che, dando dello stupido a un personaggio pubblico, si perde la querela, si perde la causa e si paga.
  Penso anche, sostanzialmente, che il carcere, intorno a cui verte questo dibattito da troppi anni, sia un falso problema. Sappiamo benissimo che il carcere è finto. Se anche si è condannati al carcere, non si sconta la pena. Non a caso, negli ultimi 50 anni, credo che i giornalisti finiti in carcere siano due o tre. Certamente, dobbiamo interessarci della sanzione e valutare se la pena detentiva sia o meno ancora giustificabile attualmente, però credo che, prima di parlare di questo, dovremmo essere molto sinceri.
  Come ricordava De Bortoli, siamo il Paese dei conflitti di interessi e non mi riferisco soltanto a Berlusconi, ma a tutti quegli editori che con interessi preponderanti al di fuori del mondo dell'editoria e che tendono, molto spesso, a usare i loro giornali come clave per picchiare chi ostacola i loro affari e come carote per blandire e nutrire chi li favorisce. Molto spesso, quindi, i giornalisti sono usati a volte come killer, altre per la captatio benevolentiae.
  Questo influenza molto il nostro dibattito di oggi: come si dissuade, infatti, un giornale o un giornalista che ha avviato una campagna non perché sia convinto della bontà di quella campagna, ma perché sta facendo il gioco del suo editore, di cui il direttore è l'interprete fedelissimo ? Si può minacciarlo con una multa ? Assolutamente no. La multa è, infatti, un investimento per l'editore che ha investito in una certa campagna: se, quindi, il giornalista sa che rischia la multa e che la multa è pagata dal suo editore, che gli ha chiesto di proposito di portare avanti quella campagna, dov’è l'effetto deterrente della pena ?
  È chiaro, quindi, che non si può sostenere di essere tutti d'accordo che il carcere non debba più essere previsto. Siamo tutti d'accordo che il carcere è necessario in caso di dolo; d'altra parte, il dolo è consustanziale al reato e senza dolo non c’è il reato. Bisognerebbe, salvando, a mio avviso, la gran parte dell'impianto normativo esistente, impiantarci due fondamentali distinzioni.
  Innanzitutto, bisogna fare finalmente in modo a separare il reato di opinione, che non deve essere più reato, dall'attribuzione di fatti determinati falsi e infamanti, che deve rimanere reato. Nessuno può fare la distinzione tra la cattiva e la buona fede, non una legge, non un giudice, ma solo la prassi.
  A me capitato, per esempio, di incappare in un paio di casi di omonimia, persone che si chiamavano nello stesso modo e che io ho confuso. Ho perso le cause civili e ho pagato. Se, però, si incappa in un caso di omonimia, non ci sarebbe neanche bisogno che l'omonimo facesse notare l'errore né di aspettare la sua rettifica perché, personalmente, sarei io stesso a rettificare e a scusarmi, a profondermi in scuse, a inginocchiarmi, anche a offrirgli un risarcimento purché non mi denunci perché mi rendo perfettamente conto che ho fatto una cazzata.
  Se, invece, si è parte di una campagna precisa per colpire una persona costi quel che costi, la rettifica non verrà mai. L'autorettifica è la migliore dimostrazione della buona fede del giornalista, che spesso si accorge, ancor prima del diffamato, di avere sbagliato.

  PINO PISICCHIO. Mi perdoni, dottor Travaglio, ma la avverto che ha consumato i 7 minuti.

  MARCO TRAVAGLIO, Vicedirettore di Il fatto quotidiano. Vado a concludere. Due sono le distinzioni necessarie: tra opinioni e fatti falsi, tra chi è in buona fede e chi non lo è. Lo strumento dell'autorettifica spontanea è ancora più efficace se il giornalista si scusa in prima persona che non quando qualcuno si lamenta e noi gli rispondiamo.
  Attenzione, però, a non obbligarci a pubblicare le rettifiche senza replica. Spesso, infatti, riceviamo rettifiche che contengono un sacco di falsità. Non possiamo Pag. 15ammettere di passare per bugiardi anche quando diciamo la verità, per cui il diritto di replica deve essere garantito. È chiaro che, se la rettifica è soddisfacente, tempestiva, nei giusti spazi, deve estinguere il penale e anche, in qualche modo, precludere la strada del civile, fermo restando che nel civile non possono esserci risarcimenti discrezionali nei termini di cifre pazzesche. Secondo la mia esperienza, pur avendo anch'io ricevuto diverse querele da magistrati, non è che questi siano giudicati più in fretta o che ricevano risarcimenti più ampi rispetto ad altri cittadini.
  Noto, e concludo davvero, un altro tipo di disparità: se critico un politico, quello mi denuncia; se il politico critica me, io lo denuncio e lui si avvale dell'insindacabilità parlamentare. Questo è abbastanza seccante perché, da questo punto di vista, servirebbe una regolata – ovviamente, non è materia del dibattito di oggi – perché è abbastanza seccante che qualcuno possa andare per il mondo a dire quello che gli pare di un giornalista e che il giornalista non possa ripagarlo della stessa moneta di cui di solito siamo remunerati noi. Ho concluso e vi ringrazio.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il dottor Travaglio, che però aiuterei anche a capire che il politico come categoria dell'anima non esiste. Esiste il deputato, il consigliere regionale e così via.

  MARCO TRAVAGLIO, Vicedirettore di Il fatto quotidiano. Diciamo meglio, il parlamentare.

  PINO PISICCHIO. Non esiste copertura di immunità per tutti.
  Do la parola al direttore Belpietro.

  MAURIZIO BELPIETRO, Direttore di Libero. Ringrazio il presidente e gli onorevoli. Siccome hanno già detto tutto o quasi tutto i colleghi, mi limiterò a qualche episodio e a qualche breve riflessione, anche citando qualche caso personale. So che non si dovrebbe, ma forse aiuterà a capire perché un caso riguarda, per esempio, il coinvolgimento di un parlamentare visto. Parlavamo del rapporto tra questi e i giornalisti, come il sottoscritto, che è direttore.
  Il direttore pubblica un'opinione, l'opinione è querelata, si arriva davanti al magistrato, il parlamentare fa valere certe prerogative, si arriva alla Corte costituzionale, che stabilisce che il parlamentare era nell'esercizio delle sue funzioni, e quindi ha espresso legittimamente un'opinione che non può essere in alcun modo censurata. Il risultato è, ovviamente, che si censura il direttore.
  Per aver esercitato, quindi, il diritto di pubblicare l'opinione di un parlamentare, il direttore è sanzionato con 4 mesi di carcere perché, evidentemente, non possono essere sindacate le opinione del parlamentare da nessuno, ma il direttore deve sindacarle. Siamo a un assurdo, ma in realtà ce ne sono molti.
  Per esempio, quando si è querelati da un magistrato, si finisce di fronte a un tribunale, anche in quel caso per omesso controllo, ovviamente si discute del merito e questo consiste in una sfumatura: il magistrato si è rifiutato di firmare o, semplicemente, non ha firmato perché era assente ? Io non posso accertare il fatto, pubblicato da un giornalista, ma sono assolutamente disponibile a pubblicare una rettifica, che non mi è stata mandata, a pubblicare un'intervista a questo magistrato per le sue precisazioni. Oltretutto, il magistrato non si occupa più di quella faccenda, già chiusa perché sono trascorsi anni, per quindi può legittimamente intervenire. Persino al giudice sembra una posizione sensata.
  A questo punto, il giudice chiede al legale della parte civile cosa ne pensi, quale sia la sua opinione in merito alla disponibilità del direttore, e la risposta è che il cliente non intende avere a che fare con certi giornali. Francamente, non si capisce cosa dobbiamo fare. Noi riportiamo dei fatti e raccontiamo delle vicende. Possiamo, certo, incorrere in errori, siamo disponibili alla rettifica, ma se siamo disponibili alla rettifica, il giornalista deve finire comunque in carcere ?Pag. 16
  Entriamo, per la verità, in un terreno che rappresenta l'assurdo di questa legislazione. Sostanzialmente, non si fa distinzione tra intenzionalità della diffamazione e sua assenza, per cui un reato in genere colposo si trasforma in un reato doloso, come se noi tutti volessimo diffamare. Questa, però, è una stupidaggine. Pensate, infatti, davvero che qualcuno voglia intenzionalmente scrivere il falso, a parte alcuni che pensano questo ? Pensate davvero che i giornalisti stiano lì a scrivere il falso per beccarsi una querela e, quindi, una condanna ? I giornalisti commettono degli errori come tutti.
  Inoltre, c’è l'assurdo del caso del direttore: chiamato, risponde per omesso controllo e, interrogato se abbia effettuato il controllo sulla notizia, ovviamente non può che rispondere di sì. Tutti hanno spiegato quanto è difficile questo mestiere e quante notizie e articoli arrivino in poco tempo e siano pubblicati. Siamo chiamati a controllare. Io posso controllare chiedendo al giornalista se ha effettuato le verifiche, tutte, se è sicuro della sua fonte.
  Oltretutto, la normativa si scontra con la legge dell'ordine che stabilisce che un giornalista non debba rivelare le sue fonti, teoricamente neanche al direttore. Se il giornalista non vuole rivelarle, nel momento in cui le rivela, dovrebbe fornirle al direttore, che qualche volta ha anche tanti rapporti con altri – mi è capitato in passato – e passa l'informazione della fonte a qualcun altro, esattamente alla persona che era stata criticata. Siamo nell'assurdo.
  Devo rispondere di qualcosa e, paradossalmente, nel momento in cui ammetto di non conoscere la fonte dal mio giornalista, ammetto di non aver controllato. Questo è l'assurdo giuridico cui troviamo di fronte. Ora, capirete che forse è il caso di ripensare a tutto ciò.
  Allo stesso modo, mi è accaduto recentemente di pubblicare un'intervista su un fatto vero, cioè su una persona che sta accusando o presentando una denuncia all'autorità giudiziaria contro un'altra persona, di essere querelato per aver dato la notizia della denuncia. Dando, infatti, notizia della ragione della querela, ovviamente, secondo la parte, l'ho diffamato informando sul fatto che, per chi l'ha denunciato, lui ha rubato o fatto qualcos'altro.
  Credo che, a questo punto, forse sia il caso di ripensare la normativa. Diversamente – non credo, a differenza del collega Travaglio, che nessuno vada in carcere – siccome ormai l'applicazione contro la diffamazione è un po’ meno tollerante, ci ritroveremo con molti colleghi che dovranno finire in carcere. Non penso che tutte le volte il Presidente della Repubblica interverrà con la grazia. Allora, forse, sarete voi parlamentari a dover decidere cosa fare.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore Belpietro. Do la parola al direttore Banfi.

  ALESSANDRO BANFI, Direttore di TG COM 24. Buongiorno. Ringrazio il presidente e l'onorevole Pisicchio. Anch'io faccio parte dell’all news, ma sono di fresca nomina, per cui, benché sia stato direttore vent'anni fa, torno a farlo dopo vent'anni. Dirò alcune cose molto veloci e facendo seguito alle numerose considerazioni molto giuste di tutti, ma che voi avete esposto con acutezza.
  Partirò col precisare che, a mio avviso, diffamare intenzionalmente qualcuno sia come spaccargli la faccia. Se si spacca la faccia a qualcuno, si faccio un reato che, nel suo orizzonte, ha una sanzione. Che questa sia la pena detentiva o meno poco importa, ma credo che non possiamo partire dall'idea che il nostro tipo di reato sia diverso dagli altri.
  La diversità è, come è stato già osservato, nell'intenzionalità. Un'altra differenza di fondo risiede nel fatto che, da un certo punto di vista, tra imputare a qualcuno un atto orrendo, che ad esempio sia un pedofilo, e spaccargli la faccia, a casa mia è peggio scrivere o dare la notizia al TG com 24. Non vedo perché, teoricamente, vada eliminata la sanzione. Quello che, secondo me, è fondamentale è proprio il nodo – Belpietro l'ha appena detto – dell'intenzionalità.Pag. 17
  Accade, non è che non accada. Nel nostro mestiere, per svariati motivi, al di là dell'editore, del direttore, accade che un giornalista voglia diffamare qualcuno per una serie di motivi. È giusto che chi vuole diffamare, sapendo di fornire una notizia falsa, paghi. Personalmente, la penso così. Spero di non andare troppo controcorrente.
  In secondo luogo, quello il cui comportamento non è intenzionale chiede umilmente di essere messo in condizione di non essere colpito a tradimento da una querela o da una causa civile. Ha molta ragione Travaglio. La causa civile genera un doppio danno. Uno è quello dei tempi della giustizia civile. Quasi tutti gli editori – almeno questo è quello che è successo a me, che non ho mai perso una querela – sanno che si tratterà di pagare una causa che andrà avanti per 10 anni e spingono per la transazione.
  In questo modo, si fa la figura dei cretini perché non esiste un merito di verità. Il nostro mestiere, la nostra passione è cercare di raccontare la verità, proprio la parte più bella del nostro lavoro. Si è fregati, invece, da un sistema di questo tipo.
  Ciò premesso, mi chiedo se non sia possibile far passare dalla cruna di un ago di una rettifica obbligatoria chi vuole querelare. Forse è una stupidaggine, ma chi vuole querelare deve prima provare al giudice che ha provato a informare chi aveva commesso la stupidaggine.
  Un conto è sbagliare senza dolo e, allora, ha perfettamente ragione, il direttore Sallusti, a cui non era stata indirizzata la rettifica. Sarebbe intelligente obbligare l'eventuale querelante a mandare una rettifica: se la si riceve senza pubblicarla, signori, c’è la volontà di diffamare. Se, come credo nel 90 per cento dei casi, non si ha intenzione di diffamare, si pubblica la rettifica e, ad esempio, noi la pubblichiamo all news. C’è gloria per tutti con rettifiche 24 ore su 24. Mi pare importante.
  Anche sul discorso della catena di comando e della responsabilità oggettiva, in effetti complicato, trovo difficile essere assertivo o innocentista fino in fondo. Dipenderà dal fatto che mi sono occupato della line per tanti anni con illustri esponenti del nostro mondo e solo recentemente sono tornato in prima fila come direttore, ma penso che le line debbano essere consapevoli delle proprie responsabilità e che i direttori abbiano modo chiedere conto di certi passaggi.
  Faccio parte di un sistema integrato, ho un canale e un forse e forse quest'ultimo è più importante del primo, eppure è quasi impossibile controllare il sito. Se, però, sbaglio a scegliere il caporedattore, il caporedattore sbaglia 5 volte, sono un cretino io. Non capisco come si possa evitare quest'argomento in un'aula di giustizia, dove, nonostante i mille terribili racconti dei colleghi, ci si fida che a un certo punto prevalga la realtà dei fatti.
  Non so se ci abbiate già pensato nelle numerose proposte di legge, sicuramente avallo quanto si sta facendo, lo trovo straordinario, ma finalmente tocco un problema incancrenito. Non trovo una stupidaggine che un meccanismo di spedizione della rettifica obbligatoria, che certamente deve corrispondere a un obbligo nostro, debba però anche fare da cruna dell'ago attraverso cui il querelante deve passare, come in una specie di primo stadio.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore Banfi. Do la parola al direttore Marcello Masi.

  MARCELLO MASI, Direttore del TG2. Buonasera, presidenti e commissari. Vi ringrazio per l'opportunità che ci offrite. Mi sembra superfluo ripetere quanto è stato già detto. Naturalmente, sono d'accordo con il 90 per cento degli interventi che mi hanno preceduto, ma porre poche riflessioni.
  La prima è sull'ormai impossibile identificazione globale di tutta l'informazione. Credo che dobbiamo prendere atto, il Parlamento prima della società civile, che in realtà l'ha già fatto, che viviamo in un mondo in cui quotidianamente in Italia le fonti informative sono 64.000.Pag. 18
  È una cifra talmente esorbitante che neanche si può immaginare di contarla. Basta, però, pensare che in Francia sono 78.000, credo che in America superino tranquillamente le 215.000. Globalmente, credo si aggiri intorno al miliardo il numero di fonti informative che giungono ogni giorno sul web e su Internet.
  Credo che oggi stiamo combattendo una battaglia di civiltà per la difesa del diritto di opinione, ma anche di giustizia. È giunto, infatti, il momento di dare delle risposte anche a chi svolge questo lavoro con grandi difficoltà. Invidio il collega che mi ha preceduto, perché evidentemente è molto più bravo di me: io non riesco a controllare i miei 273 minuti giornalieri di informazione. Ogni tanto ci provo, ma torno a casa col mal di testa e, battute a parte, neanche ci ho mai provato.
  Tengo, invece, a sottolineare che oggi dobbiamo tentare uno sforzo di visione. Possiamo tranquillamente risolvere il problema, come ho letto in tutte le proposte di legge. Condivido particolarmente con quella di Pisicchio per la storia del Giurì, che però non vorrei introdurre come argomento, ma è chiaro che il reato di opinione va abolito, che bisogna tornare a un buon senso, che tra l'altro credo sia ciò che soprattutto i cittadini chiedono. Manca, però, in tutte le proposte la visione di un futuro che è già presente.
  Per il lavoro che svolgo insieme ai miei molti colleghi, ogni tanto mi ritrovo nel tritacarne. Nel mio telegiornale è detto qualcosa, qualcuno la riprende, la estrapola e ci si ritrova il giorno dopo in 5.000 siti o comunità a passare per mafioso, una volta per fascista, una per comunista, stupratore, pedofilo. Va tutto bene. Chi fa svolge lavoro, porta e deve portare la croce. Siamo pagati anche per questo, anche se noi della Rai adesso molto meno di quello che pensiate.
  Domani, però, il peso dell'informazione via web sarà oggettivamente superiore al peso che dell'informazione via TV, via cavo, via giornali. Facciamocene una ragione. Probabilmente, andremo ancora in pensione con i grandi giornali e i grandi telegiornali, anche se ci credo poco, ma i nostri figli sicuramente per l'informazione faranno i conti con la rete.
  Oggi, allora, escludere, per una sorta di paura, di affrontare un tema che effettivamente fa venire i brividi è un errore. Quantomeno, a mio parere, vanno poste le basi per un confronto che dovrà essere per forza decisivo per risolvere questo tipo di reati.
  Concludo con una battuta. Si diceva che le line funzionano: io ho una querela presso il tribunale di Caltanissetta, un paio presso quello di Cosenza e un altro, ma non vorrei sbagliarmi, presso quello di Reggio Calabria, perché alcuni pluricondannati all'ergastolo sono stati visti in un servizio televisivo del TG2 e non erano imputati ma testimoni ma non sono stati citati nel servizio, ma il solo fatto di essere stati inquadrati ha fatto in modo che la loro querela sia stata presa in considerazione, io sia stato rinviato a giudizio in due di questi procedimenti, mentre per un altro sto aspettando il rinvio a giudizio, che arriverà.
  Credo, allora, che la giustizia, oltre che le rotture personali, enormi come potete immaginare, non possa sprecare un magistrato, un gup e così via per giudicare un certo tipo di reato, che sia tempo perso, soldi persi, soprattutto per i contribuenti. Vi ringrazio.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore. Andiamo adesso a una delle fonti tradizionali dell'informazione, l'Agenzia, l'ASCA, con il direttore Astori.

  GIANFRANCO ASTORI, Direttore dell'ASCA. Ringrazio l'onorevole Commissione e per questa opportunità che la presente Ferranti e il presidente Pisicchio ci hanno offerto per determinare i termini di un problema.
  Per quanto mi riguarda, convenendo con i colleghi già intervenuti, vorrei sottolineare semplicemente alcuni aspetti, non prima che mi consentiate di riportare, sul piano personale, di sentirmi poco rassicurato dalla rappresentanza del Governo in questa sede. Si tratta, infatti, di persona Pag. 19che ha ritenuto di interporre causa civile contro la testata che mi trovo a dirigere, ma non mi lascerò intimidire per questo nell'espressione delle mie opinioni.
  Mi pare che siano in contrapposizione tra di loro due aspetti, due temi. Il primo è quello di un bene collettivo, ossia l'informazione; il secondo è il bene singolo certamente significativo della reputazione della persona.
  Mi pare che le due qualità siano nettamente diverse ed è la regione che mi porta a ritenere, in contrasto anche con altre opinioni, che pure sono state espresse in questa sede, che non sia ammissibile una pena afflittiva della libertà per quanto riguarda i reati a mezzo stampa. Diversamente, verremmo meno ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico.
  La reputazione non attiene ai valori fondamentali della persona né alla sua integrità psicofisica. Ha relazioni con il contesto sociale, nel quale ciascuno esercita la propria attività, la propria presenza e le proprie relazioni familiari. Qualsiasi ristoro, la rettifica motivata, il ristoro economico per il danno eventualmente intervenuto, si giustificano, ma, francamente, non riesco assolutamente a intravedere misure effettive relative alla libertà.
  Aggiungo una notazione del tutto personale: a querelare – sarebbero interessanti le statistiche, come richiamava Sallusti – normalmente sono esponenti del mondo della politica, imprenditori, magistrati, coloro che ritengono di ricoprire una funzione sociale rilevante nella vita della società e che si ritengono, di conseguenza, colpiti sotto questo profilo. Mi fermo qui perché ciascuno è in grado di trarre le proprie conseguenze.
  Le liti temerarie rappresentano, come è stato ampiamente sottolineato in questa sede, un'aggressione all'indipendenza degli operatori dell'informazione. Serve un filtro su questo terreno. Il collega del TG2 ricordava il tema del Giurì dell'informazione, che non è altro che il tema della mediazione utilizzata e applicata normalmente ormai dal punto di vista delle cause civili, un processo che cerchi di evitare il processo. Mi pare che il tema del Giurì, in questo senso, possa avere un suo particolare significato.
  Quanto al tema della responsabilità oggettiva e dell'omesso controllo, mi pare che conveniamo tutti che ormai l'informazione non è più confinata a un prodotto finito. Il controllo, al di là di là degli aspetti quantitativi qui ricordati anche con qualche arguzia, poteva riguardare forse un prodotto finito con deleghe che, peraltro, non sono mai riconosciute in sede giudiziaria nell'ambito della catena di comando. Se, però, l'informazione si trasforma in un processo, che omissione di controllo possiamo realizzare nei confronti di un processo in divenire continuo ?
  Aggiungo un'altra considerazione. È presente il presidente dell'ordine dei giornalisti, che non so se condividerà questa mia riflessione ad alta voce. La responsabilità riguarda in primis l'operatore dell'informazione, che verifica la notizia, la attinge, ne immagina la misura di veridicità: non si può pensare che a un pezzo firmato abbia ancora occorra il babbo, il direttore responsabile, che si aggiunge al singolo giornalista che ha ritenuto in piena responsabilità di sottoscrivere una notizia e di proporla.
  Vorrei, infine, porre un'ultima osservazione che riguarda il tema del web. È stato osservato dal collega che mi ha appena preceduto che l'informazione si sta nettamente spostando, non sostituendo. Siamo a un ampliamento della platea e della diffusione di questi temi: pensiamo davvero di poter, come si diceva delle mie parti, svuotare il mare con il cucchiaio, Cioè pensare che i social network e simili siano vigilabili dal punto di vista della diffusione dell'informazione ? Verosimilmente, no.
  Il tema va misurato con grande competenza professionale sul fronte della verifica delle fonti. Riguarda la professionalità dei giornalisti e non il rincorrere responsabilità oggi difficilmente ascrivibili nel momento in cui ciascuna notizia è perpetuata, convalidata, riproposta su altri 50.000 fonti.Pag. 20
  Sappiamo che uno dei temi su cui oggi i motori di ricerca sono chiamati a rispondere è che, naturalmente, la notizia può essere rettificata dalla fonte primaria, un quotidiano, un'agenzia di stampa, come il mio caso, ma non è automaticamente recepita. Il tema è, dunque, come riuscire a creare una cornice corretta, ma senza la pretesa – consentitemi – di svuotare il mare con un cucchiaio.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore anche per aver lambito il tema sensibile della riforma dell'ordine, ma che comunque oggi esula dalla nostra riflessione.
  Do la parola al direttore Manfellotto.

  BRUNO MANFELLOTTO, Direttore di L'Espresso. Buongiorno. Ringrazio dell'invito e, paradossalmente, ringrazio anche Alessandro Sallusti e Giorgio Mulè che, con ciò che è capitato loro, hanno in qualche modo obbligato il Parlamento a produrre delle proposte di legge che partivano innanzitutto dalla detenzione, su cui non credo che ci sia bisogno di aggiungere molto a quanto già detto. Penso che, in un sistema civile e libero, sia proprio un principio di libertà e di civiltà escludere la detenzione per reati di questo genere.
  Aggiungerei, addirittura, che bisognerebbe forse, benché esuli un po’ dalla discussione di oggi e dalla sede, verificare quegli altri casi in cui la detenzione c’è ancora. Mi riferisco, per esempio, ai casi di riservatezza, per i quali la detenzione ancora esiste.
  Rispetto ai molti temi toccati, che condivido, vorrei solo sottolineare tre aspetti. Uno mi pare che non sia ancora stato chiarito. Sul controllo non mi pare ci sia molto da aggiungere. A volte, ho l'impressione che, da parte dei parlamentari, non ci si renda conto, ma è comprensibile, così come noi non ci rendiamo conto delle difficoltà e del lavoro che i parlamentari svolgono in queste aule, di come si svolga praticamente il lavoro di un giornalista. Per non essere in conflitto di interessi, vi racconterò solo l'esperienza precedente a quella che sto vivendo adesso.
  Negli anni in cui ho diretto un giornale locale, questo aveva tredici edizioni, realizzava tredici prime pagine e pubblicava ogni giorno 187 pagine di testo, in ognuna delle quali c'erano almeno dieci titoli con altrettante notizie. Sfido chiunque nemmeno a controllare, ma anche a sapere cosa ci fosse nella cronaca di Lucca quel giorno. Lo si scopre l'indomani.
  Tutto è moltiplicato, naturalmente, perché queste tredici redazioni hanno aperto tredici siti, che vanno avanti come le all news ricordate anche dai colleghi, quindi è fisicamente e materialmente impossibile il tipo di controllo al quale si faceva riferimento. In qualche modo, allora, le responsabilità vanno meglio chiarite e, a mio avviso, legate più specificamente, come pure è stato ricordato, alla falsità di un fatto.
  Sono rimasto molto male prima perché ho visto, mentre mi pare fosse Maurizio Belpietro a chiedere se credevate che vogliamo scrivere il falso di proposito, alcuni giovani parlamentari ridere. Questo mi dispiace molto perché significa che, nei confronti dei giornali e dei giornalisti, esiste un preconcetto e un pregiudizio molto pericoloso, ossia la convinzione dell'intenzione criminale di sedersi al tavolino e di diffamare. Questo non è vero. Parlo, naturalmente, per le mie esperienze.
  Per dimostrarvi questo, non solo vale anche la pena ricordare che nei tre anni, ma anche nei precedenti sei al Tirreno e nei tre a L'Espresso, il giornale non ha mai perso una causa: evidentemente, i fatti raccontati non erano falsi. Vorrei, però, fare un'ulteriore sottolineatura oltre alla questione delle cause civili e del prevalere delle cause civili, elemento che è stato ricordato e che va sottolineato perché spiega e conferma il tentativo di intimorire il giornalista.
  Oggi, rettifiche e querele hanno varie categoria. Innanzitutto, esiste la querela cosiddetta minacciata. Il numero di querele minacciate che poi non sono presentate è infinito. Ogni venerdì, quando esce il giornale – lo stesso varrà per Giorgio ogni giovedì, per Panorama – arrivano venti telefonate che annunciano querele e Pag. 21che servono a farci sapere a cosa rischiamo di andare incontro. In secondo luogo, molte delle rettifiche richieste non riguardano un fatto specifico, mai contestato, ma l'eventuale interpretazione che il lettore può dare di quel fatto vero e che nessuno smentisce.
  Inoltre, in un articolo, in un servizio di un giornale, un fatto può essere illustrato con poche parole: la risposta del rettificante è generalmente un romanzo, un saggio in cui si ripercorre tutta la storia politica, sociale, imprenditoriale, a seconda del personaggio, e se ne pretende la pubblicazione. C’è una utilizzazione dell'annuncio della rettifica o dell'annuncio della querela o della presentazione della rettifica che va al di là di quello che è successo realmente, cioè acquista un senso, un significato che non ha più niente a che vedere con il fatto contestato.
  Su questo, una riflessione va fatta perché rientra nel tentativo, a mio avviso un po’ puerile, di intimorire un giornalista, un direttore di giornale, che onestamente sono anche un po’ abituati ormai. È un meccanismo che serve ad altri, a terzi, a lanciare, evidentemente, eventuali messaggi.
  Torno anche sui fatti falsi o sbagliati. Quotidianamente, interveniamo sul sito a fronte di fatti sbagliati o di dettagli scappati e in tempo reale, appena possibile – sul sito, dati i tempi, è più probabile che questo accada – se ne dà rettifica. È inutile che vi dica che, se dovessi pubblicare integralmente tutte le rettifiche e precisazioni che arrivano, non realizzerei più un giornale, ma un bollettino, che chiamerei «la rettifica». Pubblicheremmo quello, che non avrebbe più senso alcuno, e sarebbe la fine della libertà di informazione.
  Ho cercato di risolvere a casa mia il problema facendo in questo modo. Quando la precisazione arriva davvero, bisogna pretendere che quella destinata alla carta sia contenuta in un numero di righe preciso. In qualcuna delle proposte di legge che ho detto questo dato esiste, anche se mi permetto di sostenere che le trenta righe rapidamente diventano quaranta, e che quaranta di ottanta battute sono diverse da quaranta di quaranta battute.
  Prometto, però, all'interlocutore che ha necessità di argomentare la ragione della sua prestazione con la pubblicazione on line. Sul nostro sito, c’è una sezione dedicata a questo, con un titolo preciso: metto lì i testi integrali delle richieste di precisazione, qualora queste naturalmente non siano offensive, seguano e rispettino gli stessi criteri che dovremmo rispettare e seguire sempre noi. Do notizie in breve sul giornale, rimandando al testo integrale sul sito.
  Me lo posso permettere anche perché, avendo una settimana di tempo, spesso non posso dare all'interlocutore una soddisfazione immediata. Trascorrono, infatti, dieci giorni dal momento in cui lui nota qualcosa, imprecisioni, dettagli. Molto spesso, però, ripeto che stiamo parlando delle impressioni che quella notizia può suscitare.
  Cito un caso per tutti. Pubblicazione dell'elenco degli italiani con una società off shore, notizia emersa non da documenti nostri, ma ai quali uno dei nostri giornalisti, assieme a un pool di giornalisti internazionali, ha lavorato: è un fatto indiscutibile, c’è una presenza di quella società e ciascuno dei presenti si sente in dovere di spiegare perché ce l'ha, per cui scrive un saggio. Non può smentire perché l’off shore c’è. Sono due cose completamente diverse, sulle quali secondo me è urgente una riflessione.
  Una delle proposte di legge prevede un'estensione della responsabilità, oggi del direttore, anche all'editore, mi pare nel caso dalla stampa non periodica, quindi sulle testate on line o radiotelevisive. Su questo una riflessione è molto importante e, soprattutto per le testate che non hanno la fortuna di avere un editore forte, è una grossa penalizzazione, un grosso tentativo di intimidazione, di modo di intimorire e mette, tra l'altro, a rischio l'autonomia del giornalista nei confronti del suo editore, specialmente in quelle testate più piccole. Farei, dunque, una riflessione anche su questo.

Pag. 22

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore anche per la suggestione circa il nuovo genere letterario De rectifica.
  Do la parola alla dottoressa Milella.

  LIANA MILELLA, Giornalista delegata dal direttore di Repubblica. Buongiorno a tutti. Innanzitutto, vi porto i saluti del mio direttore, Ezio Mauro, che purtroppo oggi era impossibilitato a essere qui, ma col quale abbiamo avuto modo di discutere quello che avrei detto. Naturalmente, però, rivendico la responsabilità personale di quello che dirò.
  Vorrei procedere con un rapidissimo flash sul nostro netto ritardo rispetto alla necessità di questa legge. Sicuramente, questo non è un caso. Se la normativa sulla diffamazione non è cambiata, è perché il Parlamento, in generale, e gli esponenti politici non hanno voluto. Non possiamo dimenticare quello che è successo l'anno scorso al Senato, quando appunto si tentava, sull'onda del caso Sallusti, di eliminare il carcere, mentre quel carcere è rispuntato con una forza molto pesante, riducendo di fatto a nulla la possibilità di fare la legge.
  Su questo, esorto voi, che siete in funzione legislativa, a riflettere. Forse è il caso, maneggiando questa materia, di pensare un intervento molto limitato, ma anche, se fosse possibile, innovativo, non restando necessariamente ancorati alle vecchie norme del codice penale e di procedura penale, alla legge sulla stampa, ma guardando un attimo in avanti, a una stampa cambiata, a siti che non c'erano e che oggi ci sono, a un modo di fare televisione che oggi c’è e che ieri non c'era. Questo è, a mio avviso, fondamentale.
  L'altro aspetto rilevante è che proprio da quelle norme si evince la stranezza che la diffamazione non è punita una sola volta punendo una sola persona, ma sono punite più persone, il giornalista che l'ha commessa, il direttore, l'editore, c’è una multa, un risarcimento: non avete idea che questo sia un po’ troppo ? Naturalmente, deve essere chiaro che parlo da umile cronista. Hanno parlato i direttori, forse un po’ troppo dal loro punto di vista e non dal nostro, di piccoli cronisti.
  Ovviamente, il direttore deve rispondere, come nelle proposte di legge che ho letto. Il modo in cui deve rispondere è vario e forse su questo è necessaria una riflessione particolarmente oculata. Il direttore può rispondere degli articoli non firmati, quelli di ignoti. In generale, va rivisto secondo me – sono presenti giuristi più che in gamba – il concetto di responsabilità del direttore.
  Vi inviterei anche a riflettere sulla questione del rapporto tra la pena e il risarcimento. Vi trovate a operare in un momento di pesantissima crisi dell'editoria, in cui i tagli nei giornali, i ridimensionamenti sono sotto gli occhi di tutti: quando decidete l'elenco delle sanzioni economiche, dovete riflettere su questo. Quando leggo che, nella proposta di legge Costa, una diffamazione potrebbe essere punita da un minimo di 5.000 a un massimo di 10.000 euro e a questo si aggiunge un risarcimento che può arrivare a 30.000, ma può anche salire ancora, mi allarmo perché questo rischia di essere di per sé un bavaglio all'informazione.
  Noi di Repubblica abbiamo definito la legge sulle intercettazioni una legge-bavaglio: attenzione a non trasformare una legge sulla diffamazione anch'essa in un bavaglio per il fatto in sé di irrogare pene talmente pesanti che il singolo giornalista sarà «avvicinato e consigliato» di non scrivere quello che sta scrivendo. I giornali, infatti, non potrebbero assumersi l'onere economico di pagare queste multe.
  Altra questione importantissima, che considero una sorta di mutazione genetica – vi accennava prima Travaglio – della diffamazione. In questa sala ho la fortuna siano presenti due persone che sono state i miei avvocati nella mia storia professionale, l'avvocato Malavenda e l'avvocato Grosso, persone dunque che possono testimoniare questo cambiamento.
  Vent'anni fa, quando lavoravo come cronista giudiziario, mi arrivavano principalmente querele per diffamazione, cioè un bel processo penale nel quale potevo Pag. 23difendermi. Si andava nel merito delle questioni che mi venivano contestate. Adesso, invece, la verità del fatto alla fin fine non interessa a nessuno e tutto passa per il processo civile e non solo.
  In questa macchina, come oggi voglio definirla, della diffamazione, non nel senso che esista una macchina per diffamare, ma una macchina che marcia sul presunto reato di diffamazione, si individua – mi dispiace dirlo – quella che io considero un'aggressione alla libertà di stampa, purtroppo, da parte di parlamentari e politici che ne sono protagonisti. È una macchina che sfrutta il presunto reato, la mezza parola in più in un pezzo, per ottenere dei soldi.
  Quando ero già stata invitata qui, ho ricevuto, per esempio, l'ultima richiesta di risarcimento danni da parte del senatore Matteoli per un rigo in un pezzo: chiede a Repubblica 50.000 euro e non solo, abbiamo rettificato. Matteoli era stato inserito in un elenco di incandidabili perché per un errore non ci siamo resi conto che, invece, il suo processo era chiuso.
  Questo signore, nonostante la rettifica pubblicata, che posso mostrarvi, ha chiesto un risarcimento civile a me, al direttore, al mio vicedirettore Giannini. Intendiamoci bene – spero che il senatore Matteoli non mi senta – questa è una macchina della diffamazione ! Se Matteoli avesse voluto, avrebbe potuto procedere con una bella citazione penale e avremmo discusso e io avrei potuto dimostrare l'errore commesso.
  In questo momento il sottosegretario Ferri non mi vede, ma almeno le sue sono due querele e due risarcimenti civili.

  PINO PISICCHIO. Un bel medagliere, dottoressa.

  LIANA MILELLA, Giornalista delegata dal direttore di Repubblica. Vengo rapidamente a quanto mi preme dire. Ho sentito di un'ipotesi per questo progetto di legge di seguire la via della legislativa in Commissione: ben venga la legislativa perché fareste più in fretta possibile. Dopodiché, ho poche note tecniche sui testi che ho letto.
  So di dare un dispiacere ai direttori presenti parlando della cosiddetta macchina del fango, come noi di Repubblica l'abbiamo definita, ma su questo dobbiamo intenderci bene e poi saranno i giuristi a trovare la soluzione: un conto è la diffamazione non voluta, un conto è la campagna persecutoria, sistematica, giornaliera nei confronti di una persona.
  Penso che, quando abbiamo a che fare con fatti del genere, forse si debba trovare una formula giuridica diversa per contestarli. Non essendo a favore del carcere, penserei, in questo caso sì, a una multa e a un risarcimento particolarmente significativi. Potrei citare dei casi, ma preferisco evitare.
  Aggiungo, a proposito della questione che si collega a questa, quella della querela temeraria, che nella proposta dell'onorevole Gelmini, nel caso della macchina del fango, si ipotizza di utilizzare il carcere. A mio avviso, in questo caso, si dovrebbe andare a una severa punizione economica.
  Vengo rapidissimamente alla rettifica, di cui hanno parlato tutti i direttori. Alla rettifica così come immaginata nella proposta Costa, senza commento, personalmente sono contraria. Una rettifica senza commento, infatti, diventa una sorta di arma nelle mani della persona che sta rettificando e, soprattutto, non dà al giornale nessuna possibilità di «trattativa».
  A fronte di un titolo in apertura di prima pagina su una notizia che si rivela non vera e per la quale ci arriva una rettifica senza commento che pretende di occupare quello stesso spazio in prima pagina, chiedo ai direttori presenti come potrà essere pubblicata. Non lo potrà mai. Quando stabilirete le modalità della rettifica, tenete conto che questo è sicuramente un problema consistente.
  Procedendo per brevissimi flash, credo che vada abolito o, quanto meno, dimensionato il risarcimento. La sospensione del giornalista dall'ordine da uno a sei mesi è una misura assolutamente non consona. Bisogna, infine, porre attenzione Pag. 24a usare il termine «recidivo» per il giornalista. Vi pare veramente che Giuseppe D'Avanzo potesse essere considerato un recidivo o Travaglio possa esserlo nel lavoro che svolge ? Quando usate questo termine, ricordate che di fronte avete dei giornalisti.

  PINO PISICCHIO. Lei sta manifestando una chiara vocazione alla politica quanto a lunghezza degli interventi, ma abbiamo tenuto conto del suo medagliere conquistato con tutte quelle querele. In considerazione di questo, i dieci minuti e mezzo possono essere accettati. Naturalmente, scherzo. Mi conceda questa battuta.
  Do la parola al direttore Iadicicco.

  ROBERTO IADICICCO, Direttore dell'AGI. Saluto tutti e ringrazio per l'invito. Parlare dopo è sempre complicato, soprattutto quando ha già parlato il collega Astori. Vorrei soltanto ricordare che l’AGI trasmette oltre mille notizie al giorno in rete nazionale, altre 6-700 al giorno sulle varie reti locali. Non mi soffermerò, quindi, sulla possibilità del controllo, ma ogni volta che arriva la notifica di una richiesta, che non sappiamo neanche più ormai cosa sono, del nome del direttore responsabile e del nome dell'autore del pezzo, vado a controllare il pezzo che forse dovrebbe essere oggetto del provvedimento giudiziario. Ricevo addirittura notifiche di fatti di cinque anni fa, di cui non ci ricordiamo né chi è l'autore né chi è il direttore, ma quando controllo non capisco quale sia il problema.
  Il problema dell'omesso controllo del direttore molto spesso non si limita soltanto al fatto di non avere la possibilità, proprio per il discorso dei colleghi sulla buona fede, o di non pensare che un giornalista scriva un pezzo per uno scopo ben preciso. Quando arriva una notifica per una querela che poi va avanti, spesso, del processo iniziato dal magistrato per la querela, non trovo il motivo, non so quale sia il danno commesso, perché la persona sia offesa.
  Alla fine, la persona è offesa perché si è definito pregiudicato uno che non voleva essere chiamato in questo modo, perché due sacerdoti litigavano, si sono picchiati e uno è stato mandato via, per cui ha querelato sostenendo che non è vero che si sono picchiati e finiti in ospedale. Sono tante storie particolari e mi chiedo se, tornando indietro, vedendo quel pezzo l'avrei passato o vi avrei ravvisato una ragione per non farlo.
  Questa riflessione è legata anche quanto si diceva della fonte primaria dell'informazione. Oggi le agenzie di stampa non vedono solo la presenza di Internet, ma anche quella di colleghi con i siti, con una sorta di scambio. Rilanciamo le televisioni all news, loro rilanciano noi, le fonti si sono un po’ confuse e non si sa più quale sia la fonte che permette quella diffusione, considerata nella legge originaria e in molte delle proposte come diffusione anche ai fini della valutazione del danno. Se, infatti, un'agenzia di stampa, notoriamente, pubblica una notizia e produce il danno, quello è molto evidente perché è ripreso da tutti.
  Tutte le proposte contengono aspetti positivi, che vanno nella direzione giusta. Il problema è interpretare quelle proposte nella realtà. Il valore di una rettifica per un'agenzia di stampa è un fatto complesso: la rettifica è sempre una notizia minore rispetto alla notizia, che ha più clamore. Anche se la notizia che determina la querela e il danno ha una certa importanza, normalmente tutti quelli che ricevono la rettifica non la considerano come la notizia originaria. Dare più valore alla rettifica e sostenere che passare la rettifica sia già un esimente per qualcosa è un'operazione da mettere in chiaro, soprattutto per le agenzie di stampa che, fornendo tantissime notizie al giorno in pochi istanti, hanno il problema di dare evidenza alla rettifica rispetto sia alla notizia originale, ma anche a tutte le altre notizie che passano. Avete tutti, infatti, davanti le agenzie. Questo è il valore della rettifica, messo in evidenza e importante, ma di cui bisogna stabilire bene i termini.
  Quanto al rapporto con il direttore, non ho assolutamente l'idea che debba perdere la qualifica di essere responsabile Pag. 25di qualcosa. Ci mancherebbe. È giusto che qualcuno tenga un po’ le fila. Nell'esposizione del direttore De Bortoli è emersa, a un certo punto, l'idea di una sorta di «231», una legge attraverso la quale individuare dei motivi esimenti.
  Noi abbiamo adottato da due anni l’ISO9001, un sistema di qualità che per molti di voi è noto per tanti ambiti. Siamo stati gli unici a ricorrervi per un notiziario generale in Italia dal 2011. L’ISO9001, per un'agenzia di stampa, per un notiziario consiste esattamente nel sistema di controllo, cioè nell'avere in ogni momento una catena che certifica non che una certa notizia è vera o falsa naturalmente, perché dipende da tante cose, ma che è valutata secondo criteri per cui può passare in rete. Non accade mai che qualcuno scriva una notizia e questa passi automaticamente in rete. È sempre un altro a riverificare e ricontrollare, fino a concepire dei livelli di sensibilità delle notizie che devono essere visti da altri.
  Utilizziamo questo sistema da due anni e comporta che ogni ripetizione corretta, che può essere richiesta dalla fonte, o addirittura ogni annullamento di notizia, per noi è una penalità che va a inficiare il sistema di qualità fino a perderlo. Questo sistema, negli ultimi due anni, per noi ha ridotto moltissimo le denunce penali; non ha, naturalmente, come hanno ricordato gli altri colleghi, ridotto le richieste di risarcimento danni, che possono esserci naturalmente per tante ragioni.
  Alla catena di comando, dunque, abbiamo pensato in questo modo, ma sicuramente, come sottolineato dai miei colleghi, per un discorso anche di albo professionale, di professionisti, chiedere che un collega ne controlli un altro iscritto all'albo è come pretendere da un primario chirurgo non presente in sala operatoria, che ha soltanto detto a qualcun altro di andare a operare, che le responsabilità su quel paziente sono le sue perché ha mandato il chirurgo a operare. La negligenza del medico che opera e sbaglia non può essere propriamente attribuita.
  Sicuramente una sorta di responsabilità del direttore deve rimanere. Siccome, però, non dimentichiamo che stiamo parlando di professionisti, iscritti a un albo professionale, dei duecento giornalisti che ogni giorno e ogni minuto pubblicano una notizia per la mia agenzia, professionisti presenti su tutto il territorio, naturalmente nessuno di loro pensa che io possa dirgli di scrivere un pezzo contro qualcuno. Credo che la buona fede di cui si è parlato sia alla base. In tutto poi, naturalmente, c’è sempre un principio negativo.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore. Do la parola al direttore Perrone.

  NICOLA PERRONE, Direttore di DIRE. Buonasera a tutti e grazie di questo invito. Sarò molto telegrafico. Mi ritrovo in molte osservazioni poste dai colleghi. Vorrei soltanto per piccole pillole soffermarmi nel tenere in considerazione un po’ il clima in cui qualsiasi proposta di riforma, e quindi anche questa, va a inserirsi.
  È mia impressione che nel Paese esista un clima un po’ ostile nei confronti dei giornalisti.

  PINO PISICCHIO. Sapesse per i parlamentari !

  NICOLA PERRONE, Direttore di DIRE. Questo mi mette un po’ in allarme, come hanno sottolineato i colleghi, soprattutto per l'aumento spropositato delle richieste di danni. Mi preme far considerare l'effetto intimidatorio che viene da queste richieste spropositate di danni. Ben venga, come ho letto nella proposta di riforma, l'indicazione di un minimo e, soprattutto, di un massimo. Diversamente, diventa un massimo spropositato, e quindi un'intimidazione ancora maggiore.
  Va bene l'eliminazione della pena detentiva. Qui è stata ricordata la Corte di Strasburgo, discorso che mi trova d'accordo perché la previsione del carcere è comunque suscettibile di provocare un effetto dissuasivo per l'esercizio della libertà di stampa. A prescindere, quindi, da altre considerazioni, è bene che questo sia stato considerato.Pag. 26
  Per quanto riguarda i processi, è vero che durano troppo a lungo, sfiancando direttori, giornalisti, editori e molte volte, appunto, si arriva troppo tardi e non si ricorda nemmeno perché si è chiamati. Penso che sia necessario quello che hanno definito un Giurì, comunque un'istruttoria preliminare che valuti se sia il caso di procedere o fermarsi per insussistenza e non consistenza dei fatti.
  Avrei da avanzare una proposta di cui non ho parlato con l'ordine dei giornalisti e non so se sia realizzabile. Si sono pronunciati direttori di grossi gruppi editoriali, ma nel Paese esiste anche una miriade di giornalisti e di attività editoriali che non hanno alle spalle dei grossi gruppi editoriali: si potrebbe prevedere, in caso di querela temeraria, una condanna, se appunto infondata e priva di sussistenza dei fatti, la cui sanzione pecuniaria possa andare in un fondo a disposizione di quei giornalisti che non possono garantirsi una tutela legale all'altezza, una sorta di fondo presso l'ordine dei giornalisti.

  PINO PISICCHIO. Ringraziamo il direttore, peraltro piuttosto intraneo nelle stanze della Camera e che, quindi, consideriamo tra i nostri.
  Ringraziamo il dottor Mazzanti, direttore dell'Agenzia TM News, che ha lasciato un appunto per la Commissione, che quindi sarà allegato agli atti, così come quello del direttore di Il Sole 24 Ore.
  Do la parola al dottor Della Volpe di Libera informazione.

  SANTO DELLA VOLPE, Direttore di Libera informazione. Ringrazio la Commissione e tutti i colleghi di quest'opportunità, anche perché hanno parlato tutti i direttori. Io dirigo il sito Internet di Libera, Libera informazione, di don Ciotti, la nostra associazione e, insieme ad Articolo21, abbiamo da tempo, anche con la Federazione nazionale della stampa, l'Associazione stampa regionale di tutta Italia, l'ordine dei giornalisti e le varie associazioni che si occupano di questo, aperto un osservatorio che si occupa proprio delle querele e, soprattutto, delle querele temerarie.
  Lanciammo l'allarme due anni fa. L'onorevole Pisicchio ricorderà quel primo convegno alla Federazione nazionale della stampa e, recentemente, ancora il 3 ottobre scorso abbiamo messo in risalto i problemi e i temi sulla questione dell'informazione e della diffamazione.
  Partiamo solo da un punto. Mi scuseranno i colleghi del mondo della politica e i parlamentari se lo riprendo, ma è fondamentale per capire quanto stia a cuore proprio a noi. Partiamo sempre, infatti, dal diritto del lettore, e quindi del cittadino, della persona, ad avere una informazione pulita, corretta, vera, rispettosa, ma anche libera da ogni tipo di condizionamento e di paura.
  La nostra associazione nasce, vive e opera nei territori dove, purtroppo, esiste la mafia. Sappiamo che esiste anche quel tipo di paura. Oggi è non solo fisica, ma è una paura del proprio futuro. A dei giovani giornalisti, magari – scusate la parentesi – pagati 5 euro per un articolo o per una notizia che va su qualche sito, viene fatta un'intimidazione di 100-200.000 euro di risarcimento danni prima ancora che scrivano l'articolo. Si sa, infatti, prima che, se l'articolo viene pubblicato, saranno chiesti 200.000 euro. Capirete bene quale tipo di condizionamento subirà un collega che magari ha famiglia.
  Ribadiamo, però, anche un altro concetto. Questo gruppo di giornalisti da sempre lavora su questi argomenti e, in particolare, con l'ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa. Non chiediamo, però, nessuna immunità per i giornalisti. Deve essere ben chiaro perché altrimenti il principio ci si ritorce contro. Quando si sbaglia si va fino in fondo, ma è lì il problema.
  Cosa significa andare sino in fondo quando c’è un errore da parte dei giornalisti ? Ringrazio veramente tutti i direttori che sono stati qui, molto più importanti di me, che ho solo trentacinque anni di professione giornalistica, di cronista, come ricordava anche la collega Milella, alla RAI, ma vorremmo anche che i cronisti, i giornalisti, i redattori, anche e Pag. 27soprattutto quelli dai 4 euro a pezzo, non fossero lasciati soli se venisse meno il ruolo del direttore.
  Il ruolo del direttore non può venire meno all'interno di una legge perché rappresenta la garanzia per il giornalista che è sul campo il sapere che ha alle spalle, una redazione, un direttore e, magari, anche un editore. Non so come questo possa configurarsi dal punto di vista della legge poiché non sono uomo di legge, ma non eliminiamo per i direttori le responsabilità. Diversamente, queste ricadrebbero solo sul giornalista che conduce la battaglia quotidiana per un'informazione pulita e libera.
  Un altro tipo di considerazione è finita in una raccolta di firme con Articolo21 e Libera informazione all'epoca del caso Gabanelli. Ricorderete i 34 milioni di euro chiesti di risarcimento danno dall'ENI. La raccolta firme è servita a testimoniare che bisogna tutelare il diritto, come dicevo, a essere informati bene, allo stesso tempo tutelando il giornalista che svolge bene il proprio lavoro.
  Se questo è il nostro punto sia di arrivo sia di partenza, pensiamo sempre a quei redattori e a quei piccoli editori, alle piccole radio, ai piccoli giornali, che si vedono recapitare con l'ufficiale giudiziario al mattino la richiesta di risarcimento danni in sede civile, usato come clava, per 50-60.000 euro. Vuol dire chiudere quel giornale, chiudere quella emittente.
  Abbiamo esaminato, e concluderò con questa piccola disamina, il testo Costa a cui faceva precedentemente riferimento la presidente, che ringrazio ancora per l'invito, e ne abbiamo tratto alcune considerazioni. Mi riferisco al nostro gruppo di giornalisti e di avvocati dell'ufficio querele temerarie, intitolato a Roberto Morrione, scomparso un anno fa e che di questa battaglia fece, insieme all'avvocato Flamminii Minuto, una propria bandiera.
  Consideriamo molto positiva l'abolizione del carcere del testo Costa, così come l'esclusione dei siti Internet, benché la presidente precisasse che potrebbe essere inserito con emendamento il ritorno dei siti Internet di carattere giornalistico. A questo proposito, però, bisogna differenziare – perdonate la richiesta – i siti Internet dai blog. È facilissimo, infatti, chiedere a un blog qualsiasi un risarcimento danni e, se si inserisse anche Internet all'interno di una legge, si potrebbe invitare qualcuno che voglia a querelare dei blog. Facciamo attenzione: i blog dovrebbero, a nostro avviso, essere esclusi, perché altrimenti l'opinione, e i blog sono le opinioni, sarebbero colpiti. Allo stesso modo in cui col carcere si colpisce un'opinione, questo accade querelando chi manifesta la sua opinione su un blog. Colpiremmo un'opinione e vorremmo che questo non avvenisse.
  Consideriamo positivo il tetto massimo del danno patrimoniale a 30.000 euro. Questo è importante perché si riduce il margine di discrezionalità della sanzione. Consideriamo positiva la prescrizione dell'azione civile dopo un anno. Questo è importantissimo perché diventa un deterrente anche per quel tipo di azione. Consideriamo positiva l'abolizione della riparazione pecuniaria in aggiunta al risarcimento del danno perché si elimina un raddoppiamento del carattere che sarebbe fortemente punitivo nel caso di querela. Consideriamo positivo che per legge siano trasmessi gli atti all'ordine professionale, cioè all'ordine dei giornalisti.
  Abbiamo, però, due note negative. Quanto alla rettifica senza commento, vorremmo ci fosse un approfondimento. È anche possibile una rettifica senza commento, ma in tal caso dovrebbe escludere qualsiasi ulteriore passo in sede sia penale sia civile: se si pubblica la rettifica, non si deve querelare mai più.
  Se, invece, si ha la possibilità di rispondere perché, diversamente, Totò Riina può sostenere di non aver mai guadagnato 250 milioni di euro, cito un esempio, per un traffico, solo perché sono 200 e ho sbagliato solo la cifra, e resta l'impressione nel lettore che lui non abbia commesso veramente quell'azione.
  Concedendo la possibilità del commento alla rettifica, il giornalista è forte delle sue opinioni e può andare anche in tribunale a difenderle. Bisognerebbe, Pag. 28quindi, concedere la possibilità della rettifica con commento o senza commento: senza commento, esaurisce l'azione; con il commento, si può andare avanti perché il giornalista ha in mano le carte, come si suol dire, per poterlo fare.
  Infine, la rettifica per i libri ci sembra un punto veramente negativo. Pensate a cosa significa rettificare ciò che c’è in un libro. È vero che non deve esistere la prateria sconfinata della possibilità di diffamare con i libri, ma chiedere la rettifica significa, per esempio, spendere 60.000 euro per una pagina di giornale: come può l'editore pagare una cifra del genere ? Significa far chiudere quella casa editrice.
  Due punti chiederemmo fossero presi all'attenzione della Commissione. Uno di questi è la tutela del segreto professionale anche per i pubblicisti. Oggi, gran parte del lavoro nelle piccole radio, come nella mia redazione, non è svolto da professionisti, ma da pubblicisti, che non possono essere esclusi da questa questione.
  Quanto alla rettifica, vorremmo sapere se sia possibile inserire per legge nel diritto all'oblio la rettifica da parte del sito Internet nella stessa pagina iniziale della notizia. Oggi, attraverso i siti di ricerca, la prima notizia compare, la rettifica va in fondo e bisogna cercarla: si può chiedere, invece, che questa sia collocata all'interno della stessa pagina.
  Quanto alle querele temerarie, siamo molto contenti, che finalmente ci sia, nel testo di legge Costa. Certo, da 1.000 a 10.000 euro non è un buon deterrente, questo deterrente va rinforzato, aumentato, va alzata la cifra. Riteniamo, come ricordava la collega, che non si possa parlare di recidivi e l'interdizione della professione da uno a sei mesi per i recidivi ci fa stare un po’ male: cosa vuol dire essere recidivi quando si esprime un'opinione come si fa nella carta stampata o nell'informazione ?
  Infine, vi sottopongo il tema del Giurì per la correttezza dell'informazione. La proposta dell'onorevole Pisicchio, A.C. 191, se ricordo bene, proponeva quest'argomento. Vorremmo che questo fosse approfondito con l'ordine dei giornalisti e con la Federazione della stampa. Riteniamo, infatti, che la composizione di cinque membri, due dell'Agcom, due dell'ordine dei giornalisti e uno tra i magistrati della Corte d'appello, togliesse ai giornalisti il proprio organo di autogoverno e di autodisciplina.
  Vorremmo riaffermare che noi cittadini offriamo le garanzie, come quella di eliminare il carcere, che non deve esserci, ma i giornalisti sono capaci di darsi anche delle sanzioni se necessario.
  Vi ringrazio ancora infinitamente della pazienza.

  PINO PISICCHIO. Mi pare che, nel frattempo, si sia formato un consiglio di disciplina dell'ordine, che però non tocca gli stessi aspetti contemplati nella nostra proposta, ma non entro nel merito.
  Il mio compito è finito. Vi ringrazio tutti. Credo che questo dibattito sia stato particolarmente intenso, efficace, utilissimo per la Commissione. Mi corre l'obbligo, anche se non l'ho fatto prima, ma l'avete notato perché avete anche interloquito con lui, di ringraziare il sottosegretario Ferri, che ha garantito con la sua presenza l'attenzione del Governo, e quindi anche le azioni positive del Governo con riferimento a tutto quel che concerne il mondo dell'informazione.
  Presidente, le restituisco la parola come legittima detentrice nella funzione di presidente della Commissione giustizia. Grazie ancora.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Pisicchio per averci offerto questo contributo, anche per avere aiutato quest'audizione a svolgersi nel migliore dei modi. Ringrazio, in particolare, i direttori e i loro rappresentanti che hanno partecipato.
  È stata una acquisizione ulteriore di conoscenza molto importante e ora, oltre che a tutti i deputati che sono stati presenti, il compito, abbastanza impegnativo e di sintesi, passerà ai relatori. In ogni caso, il provvedimento è in Aula con la discussione generale venerdì prossimo. Il termine per la presentazione degli emendamenti Pag. 29è lunedì 22 alle ore 18, per cui la Commissione dovrà lavorare in modo serrato.
  Vorrei ringraziare anche il professor Grosso, che ha seguito non solo le precedenti audizioni, ma anche interamente questo significativo ultimo giorno di approfondimenti. Il nostro impegno è di produrre un testo più condiviso possibile, ma anche significativo dal punto di vista delle modifiche legislative e anche speriamo equilibrato.
  Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.