Sulla pubblicità dei lavori:
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
Audizione del Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro.
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 3 ,
Giro Mario , Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 ,
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 7 ,
Quartapelle Procopio Lia (PD) ... 7 ,
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI) ... 8 ,
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 8 ,
Giro Mario , Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 9 ,
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta Civica verso Cittadini per l'Italia-MAIE: (SCCI-MAIE);
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIA EDERA SPADONI
La seduta comincia alle 14.05.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Audizione del Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l'audizione del Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro. Saluto anche il consigliere Macchia e il consigliere Jacobucci, che sono presenti quest'oggi.
Nel ricordare che al Viceministro Giro sono state attribuite le deleghe per le questioni inerenti la cooperazione internazionale ai sensi della legge n. 125 del 2014, sottolineo che questa audizione è attesa da tempo in ragione della rilevanza del tema oggetto dell'indagine e conseguentemente dell'urgenza di poter inquadrare il ruolo della Farnesina nel contesto dell'azione governativa per l'attuazione dell'Agenda 2030.
È noto che il Ministro dell'ambiente è stato destinatario di un riconoscimento specifico e che vi è una riflessione per l'istituzione di una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che rischia di essere tardiva nei risultati.
È, d'altra parte, noto che in questo ramo del Parlamento la Commissione affari esteri è l'unica a essersi dotata, peraltro anche in ottemperanza a uno specifico auspicio formalizzato dalla Presidenza della Camera, di un comitato permanente ad hoc che ha avviato il proprio lavoro nel mese di giugno e che è seriamente intenzionato a svolgere il proprio ruolo, dedicando approfondimenti specifici obiettivo per obiettivo, come emerso in occasione dell'audizione del professor Giovannini.
Do ora la parola al Viceministro affinché svolga il suo intervento.
MARIO GIRO, Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. È noto a tutti voi che l'Agenda 2030 non è soltanto un'agenda di cooperazione. Essa è più complessa e riguarda tutta la dimensione delle politiche domestiche di governo, quindi gli aspetti delle politiche pubbliche e i settori economici, sociali e ambientali, come è stato detto da Lei, presidente.
Ha, dunque, una dimensione più politica, essendo, appunto, un'agenda universale in cui la dimensione esterna è solo una parte che può essere ricondotta all'attività della cooperazione allo sviluppo.
Sul piano dell'attuazione interna, lo scorso anno il Ministero dell'ambiente ha proposto di riprendere e potenziare il meccanismo già esistente, varato dopo il vertice precedente sullo sviluppo sostenibile, quello di Johannesburg del 2002.
È stato, quindi, proposto, alla fine del 2015, di usare quel meccanismo per elaborare la nuova strategia nazionale in corso di definizione. Il contributo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale in materia di cooperazione si Pag. 4sta articolando in collegamento coerente con il Documento triennale di programmazione e di indirizzo della cooperazione, che è previsto già dalla legge n. 125 ed è un elemento essenziale della nostra strategia di cooperazione verso l'esterno.
Questo documento è già pronto, ma deve essere presentato al CICS (Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo), presentazione che speriamo possa aver luogo prima della fine dell'anno.
È importante tener conto anche delle raccomandazioni che man mano emergeranno dall'esperienza maturata dalla società civile, come ha fatto anche il recente rapporto di Alleanza per lo sviluppo sostenibile, presentato qualche tempo fa davanti a questo stesso Comitato.
Al riguardo, vorrei aggiungere che il Parlamento continua a essere cosciente – è importante che lo sia – del ruolo che può svolgere nel raggiungimento degli stessi obiettivi SDG (Sustainable Development Goals).
Mi dedico soprattutto alle linee strategiche della cooperazione allo sviluppo. Provo, dunque, ad anticipare i contenuti del documento triennale. Noi abbiamo voluto un documento che fosse il più olistico possibile, il più onnicomprensivo possibile. Abbiamo cercato di inserire al suo interno tutta la cooperazione verso l'esterno dell'Italia che coinvolge tutti i ministeri che la fanno, che sono tanti, non solo il Ministero degli affari esteri, anche se esso è la parte più importante.
Forse, però, quella davvero più importante in termini assoluti di flusso di denari è quella che fa direttamente il Ministero dell'economia e delle finanze. Poi ci sono gli altri.
Darci una linea strategica comune per andare tutti in una stessa direzione, anche se ognuno con la sua autonomia e la sua indipendenza, è il senso del documento che vedrete e che deve ancora essere approvato.
Ovviamente, dovrà ricevere i pareri del Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, altro organo importante che la legge n. 125 introduce e che, nella mia visione, è il luogo della discussione aperta. Per questo, stiamo facendo anche riunioni informali, in modo da avere sempre la presenza sia della società civile sia dei parlamentari sia di altri stakeholder della cooperazione allo sviluppo per rinnovare continuamente la nostra strategia.
Il documento poi dovrà passare nelle Commissioni parlamentari, prima della sua approvazione definitiva al Consiglio dei ministri.
Si tratta, peraltro, di un documento che è già stato condiviso con i membri del Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, che ha quattro gruppi di lavoro che continuano a lavorare. L'approccio, come dicevo, si basa su pilastri diversi, per cui cerca di essere il più olistico possibile.
Abbiamo, innanzitutto, il pilastro economico perché adesso abbiamo la possibilità, con la Cassa depositi e prestiti, di fare public private partnership anche nella cooperazione allo sviluppo, quindi il settore economico privato può inserirsi in questo disegno sociale, ambientale e della governance, cioè del capacity building dei vari Stati.
C'è una volontà di questo Governo di rilanciare la cooperazione anche in un percorso di aumento delle risorse. Come sapete, nel 2016 arriveremo allo 0,26 per cento, mentre partivamo dallo 0,19.
Avete anche sentito le ultime discussioni sull'attuale legge di bilancio che, da una parte, prevede l'aumento, che era già stato garantito dalla legge di stabilità dell'anno scorso, di 120 milioni anche per l'anno prossimo. Purtroppo, dall'altra parte, c'è stata, invece, una diminuzione perché – qui chiedo anche l'aiuto delle Commissioni e del Parlamento – è stato defalcato il Fondo «La Pergola».
Quindi, l'aumento si dimezza senza il Fondo «La Pergola», che era quello che il Viceministro Pistelli aveva ottenuto negli anni precedenti. C'è poi la messa in mora di alcuni nostri capitoli della cooperazione, nel continuo rimpallo tra Ministero dell'economia e delle finanze, Ragioneria generale dello Stato e Ministero degli affari esteri per 36 milioni. Pag. 5
Questo è solo pro tempore, quindi soltanto per un periodo, però rende certamente difficile la nostra programmazione.
Nel Documento triennale si inseriscono non solo i settori tradizionali di intervento ed eccellenza della cooperazione italiana, come l'educazione e la sanità, ma abbiamo anche cercato di esplorare settori nuovi. Mi riferisco, ad esempio, al nostro apporto alla Addis Tax Initiative per il rafforzamento dei sistemi fiscali. Infatti, perché uno Stato si regga deve avere un sistema fiscale che funzioni, quindi cerchiamo di non limitare il nostro sostegno agli Stati a quello che abbiamo fatto fino adesso, ma cerchiamo di toccare anche un tema molto delicato e molto importante affinché gli Stati, per esempio africani, abbiano la capacità di mantenersi.
Anche la nostra adesione alla Global Partnership for Sustainable Development Data è molto importante perché riguarda il fatto che non ci sono anagrafi civili in molti Stati, quindi non si può fare programmazione sociale o non si sa qual è la lista elettorale. Ecco, non aver mai costituito un'anagrafe o un registro civile ha tanti addentellati.
Per fare un esempio, in tanti Stati questo ha evidenti conseguenze anche sull'aspetto migratorio. Pensate, infatti, cosa vuol dire non avere documenti o non essere registrati: non si sa chi è la persona e non si ha un ufficio dall'altra parte a cui chiedere.
Poi, naturalmente, c'è l'ambiente. Abbiamo COP21; tra poco ci sarà COP22. L'ambiente è una questione presente trasversalmente nella nostra nuova strategia. Come sapete, un soggetto di grande dibattito politico interno sono le migrazioni e la loro connessione con i processi di sviluppo.
Qui penso che bisogna essere pragmatici. C'è chi pensa che gli interventi fatti sulle questioni migratorie non abbiano nulla a che vedere con quelli fatti sullo sviluppo. Invece, io ci vedo una connessione perché uno fa leva sull'altro.
Quello che si dice giornalisticamente – «aiutiamoli a casa loro» – significa anche riuscire a trovare dei modelli per poter creare lavoro nei Paesi da cui tanti immigrati provengono.
In questo momento, abbiamo dei programmi in corso, che hanno un tasso buono di successo per centinaia di persone che hanno trovato lavoro. In qualche caso, si tratta anche di ritorni volontari assistiti. Tuttavia, penso che dobbiamo passare da centinaia a migliaia.
Questo, naturalmente, non ha un impatto diretto sui flussi migratori nell'immediato perché, anche se passiamo da centinaia a migliaia, non riusciamo a raggiungere le decine o centinaia di migliaia che si spostano. Ci dà, però, un'idea di che cosa si può fare per «aiutarli a casa loro».
Come sapete, l'Italia ha contribuito alla nascita del fondo fiduciario di emergenza dell'Unione europea sulle cause profonde dell'emigrazione (il cosiddetto «Fondo La Valletta») e ha anche insistito che fosse aumentato. C'è stata una battaglia in Consiglio europeo in questo senso nelle ultime settimane. Finalmente l'abbiamo spuntata, quindi abbiamo 500 milioni in più.
Il Fondo La Valletta funziona mediamente bene. Ci sono 17 Paesi prioritari. Per noi, di questi cinque sono i più prioritari di tutti. Infatti, Nigeria, Niger, Mali, Senegal ed Etiopia sono i Paesi da cui proviene o passa la gran parte dei migranti che vengono verso di noi. Si tratta di dar loro delle alternative reali, non semplicemente cercare di trattenerli in campi disumani, come avveniva in passato.
Penso che a questi cinque Paesi bisogna aggiungerne almeno altri due. Il primo è la Guinea, dove abbiamo recentemente aperto un'ambasciata, come in Niger, perché è diventato il secondo Paese di flusso in questi mesi.
L'intento è quello di affrontare il tema dello sviluppo dell'Africa con una particolare attenzione alla creazione, come dicevo, di lavoro. A livello nazionale, nel prossimo triennio, si intensificheranno soprattutto gli sforzi a beneficio di un numero maggiore di Paesi tra i meno avanzati dell'Africa subsahariana, in coerenza con l'impegno di aumentare le risorse.
Per chiudere questa parte migratoria, aggiungo che nella legge di bilancio di quest'anno Pag. 6 si prevede un fondo per l'Africa, che è anche il risultato di un lavoro che abbiamo chiamato giornalisticamente «Africa Act», a cui hanno partecipato anche importanti membri di questa Commissione, per darci uno strumento prioritario per l'Africa.
Questo fondo è solo per il 2017 e aumenta di 200 milioni la misura di impatto. Lo abbiamo fatto perché l'Europa «cincischia», come sapete, quindi prende tempo, noi, invece, abbiamo bisogno di iniziare e di dare qualcosa di concreto. Allora, da una parte abbiamo quello che ho già spiegato, ovvero il tentativo di creare dei modelli semplici e ripetibili che possano dare lavoro ad almeno migliaia di persone; dall'altra, dobbiamo spingere per gli investimenti con il nuovo strumento che l'Europa si prepara a mettere in piedi.
Questi sono gli unici due modi, dal basso e, se volete, dall'alto, di creare lavoro là dove non c'è e creare movimento economico. Più l'economia si muove, più è possibile che le persone decidano di cogliere le opportunità che hanno a casa loro, anche se difficili, se aiutate e accompagnate, quindi non migrare e non rischiare la vita.
Si tratta di una sfida che, ovviamente, non possiamo affrontare da soli. Domani il Ministro Gentiloni parte per il Niger e il Mali. Doveva andare con il Commissario europeo per l'immigrazione, gli affari interni e la cittadinanza Avramopoulos, che, purtroppo, ha un problema a un timpano. Quindi andrà con alti funzionari e non con il Commissario.
Comunque, l'obiettivo è quello di spingere e accompagnare l'Europa verso questi territori per vedere cosa si può fare, oltre a quello che già fanno le organizzazioni internazionali come l'OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), che costruisce luoghi più umani dove questi ragazzi e ragazze transitano per farli rimanere.
Questa è la parte che collega il nostro lavoro con la migrazione. Tornando al documento triennale, le sue aree prioritarie includono il Sahel, l'Africa occidentale e l'Africa orientale, come tradizionalmente è per l'Italia, la regione del bacino del Mediterraneo e del Medioriente, che è di evidente interesse primario per noi (pensiamo soltanto alla Libia, dove dovremmo ricominciare la cooperazione appena ci sarà più sicurezza), l'area balcanica e la regione afgano-pachistana, che afferisce, però, più al decreto missioni che alla cooperazione.
Abbiamo anche teso, quindi, a distinguere perché, siccome dopo il lavoro fatto al Parlamento si andrà per missioni, è giusto che il decreto missioni e la cooperazione abbiano ciascuno i suoi Paesi. Dopodiché vengono gestiti insieme, ma un conto è il decreto missioni, un altro è la cooperazione ordinaria.
Infine, abbiamo l'America centrale e la regione andina dove operiamo soprattutto nei confronti dell'insicurezza, quindi contro le maras e le gang per il recupero, appunto, dei ragazzi delle gang, nonché con l'aiuto ai sistemi giudiziari di questi Paesi. Abbiamo, poi, anche una piccola presenza iniziale nel sud-est asiatico, attraverso il nostro ufficio in Vietnam perché l'Asia è una zona in cui siamo sempre stati molto assenti, quindi vorremmo vedere cosa può nascere.
Come in passato, una parte significativa della nostra strategia si definisce, come dicevo, al Ministero dell'economia e delle finanze perché è da lì che vengono i soldi per la gran parte della nostra cooperazione multilaterale, cioè banche e fondi di sviluppo, dalla Banca mondiale in giù. Sono tanti soldi, cosa che deve impegnarci in un'osservazione politica più stringente, anche da parte del Parlamento, per verificare come operano queste banche e questi fondi.
Il documento continua dedicando attenzione al partenariato per l'efficacia della cooperazione allo sviluppo. Da quest'anno, nei nostri bandi, per esempio per le ONG, c'è tutta una parte di valutazione che prima non c'era. Bisogna, infatti, valutare bene l'impatto di ogni progetto di valutarlo, anche per correggersi in corso d'opera perché l'aiuto deve essere il più possibile efficace. Sapete che su questo tema ci sono state molte riunioni a livello internazionale. Noi vogliamo, appunto, applicarle. Pag. 7
Infine, menziono il G7 anche perché nella sua agenda inseriamo una parte sullo sviluppo che riguarda le migrazioni e la sicurezza alimentare. Il risultato è che tipo di agricoltura si può sostenere in questi Paesi. C'è il land grabbing o la coltura ad alta intensità, mentre bisogna cercare di favorire i piccoli contadini e le piccole proprietà. Insomma, è un discorso ampio.
Visto che il tempo è poco, posso soltanto dire che una parte dei migranti non sono migranti economici, bensì ambientali. Faccio un esempio molto chiaro, quello che fa Carlo Petrini con «Terra madre». Lui fa venire qua circa 5.000 contadini – noi diamo i visti, quindi lo sappiamo – di zone anche molto lontane e rurali. Ebbene, tornano tutti. Un contadino è legato alla sua terra. Se la cosa funziona, anche nel piccolo, non si pensa alla migrazione.
Il progetto migratorio nasce quando, per motivi ambientali o economici, non è più possibile fare buona agricoltura. Allora, ci si sposta in città, si va ad affollare gli slum e lì nasce il progetto migratorio e riguarda soprattutto giovani istruiti o studenti che sono in grado di fornirsi di quei 6-7.000 dollari che servono, in media, per cercare di arrivare a Lampedusa. Faccio solo questa citazione, ma ci sarebbe da fare tutto un discorso.
Al G7 si aggiunge l'anno in cui l'Italia farà parte del Consiglio di Sicurezza, quindi il nesso sviluppo e pace è evidente. In particolare, tra le priorità della nostra azione nel corso del mandato presso il Consiglio di Sicurezza, avrà un ruolo rilevante il dossier «Donne», in piena aderenza con l'Agenda 2030.
Concludo sul tema dell'adattamento del sistema ONU alla sfida dell'Agenda 2030. L'Italia, con la nuova legge n. 125 del 2014, ha innovato il sistema di cooperazione. Si trova oggi in una posizione buona per poter contribuire in maniera più costruttiva del solito al rinnovamento delle Nazioni Unite.
Prima parlavo di agenzie, banche e fondi, ma mi riferisco anche alla stessa struttura delle Nazioni unite. Per tale ragione abbiamo aderito al Multilateral Organisation Performance Assessment Network (MOPAR) che, nonostante la parola difficile, è un foro in cui i Paesi donatori – tenete presente che crescono perché ci sono anche gli arabi adesso – cercano specificatamente di fare peer review tra di loro per misurare l'efficacia delle organizzazioni multilaterali. Quindi, ci si occupa dell'efficacia dell'aiuto delle stesse organizzazioni multilaterali, di cui tanto si parla e su cui poco si conclude.
È una sfida importante, che naturalmente ci riguarda. Pensiamo solo al polo agro-alimentare delle Nazioni Unite che abbiamo qui a Roma.
L'esercizio del Documento di programmazione è concluso già da parecchio tempo. Stiamo aspettando la convocazione del Consiglio interministeriale della cooperazione allo sviluppo, quindi potremmo annettere questo nostro documento nella strategia nazionale di cui all'audizione, ovvero l'Agenda 2030, che conterrà anche una narrativa specifica relativa al diciassettesimo obiettivo, che è quello strettamente dedicato allo sviluppo.
Vi ringrazio.
PRESIDENTE. Grazie a Lei. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio molto la presidente per aver organizzato l'audizione, che è molto importante per il lavoro di indagine conoscitiva che stiamo facendo. Ringrazio il Viceministro per la panoramica, che delinea, in particolare, una politica per l'Africa finalmente strategica. Infatti, alla volontà politica espressa al più alto livello dal sistema Italia stanno facendo seguito una serie di iniziative, dall'apertura delle ambasciate, che è una questione cruciale, al Fondo per l'Africa, che è un'iniziativa che pure rafforza la nostra presenza strategica e dà delle direzioni di azione, appunto, a un'espressione di volontà politica.
A questo vorrei aggiungere una cosa. Credo che questa Commissione, anche con l'aiuto dell'opposizione, ha lavorato tantissimo sul tema della cooperazione. Abbiamo approvato la legge, ci siamo confrontati e c'è stato un atteggiamento di vera collaborazione. Credo che nessuno in questa Commissione Pag. 8 sottovaluti l'importanza di quello strumento della politica estera; è una delle poche cose su cui ci troviamo spesso d'accordo, anche se non sempre.
Tuttavia, ho letto con sgomento e con difficoltà di comprensione le varie dichiarazioni che sono uscite ieri sulle difficoltà interne al Ministero. Ci tengo a ribadire che da parte parlamentare c'è sempre stata la disponibilità a collaborare per un fine che è condiviso, appunto, tra maggioranza e opposizione, nonché dal Governo.
Tutte le azioni di questo Governo che abbiamo visto in questi mesi hanno aumentato le risorse per la cooperazione, riportando questo tema all'interno dell'agenda politica, e valorizzato tutte le iniziative di cooperazione dell'Italia nelle sedi internazionali. Siccome stiamo lavorando tutti per la stessa cosa, penso sia opportuno farlo nel modo che stiamo perseguendo, per esempio con gli emendamenti sulla legge di bilancio che sono stati votati ieri e che rispondono ad alcune delle preoccupazioni emerse dai comunicati di questi giorni.
PIA ELDA LOCATELLI. Intervengo anch'io molto rapidamente. Innanzitutto, ringrazio il Viceministro per aver sottolineato che il dossier «Donne» avrà un ruolo rilevante dentro l'agenda complessiva. Sappiamo che l'Agenda 2030 prevede delle azioni trasversali a tutte le 17 mete, con una prospettiva di genere;in parallelo c'è lo stand-alone Goal sull'uguaglianza di genere. Quindi c'è un doppio approccio di azioni trasversali e azioni specifiche.
Sempre in tema di donne e genere, Lei ha fatto riferimento al tema G7 e alle due priorità importanti, tra le molte, quelle delle migrazioni e dell'agenda alimentare. Faccio presente che, come Intergruppo salute globale e diritti delle donne stiamo preparando un evento, di cui abbiamo già messo al corrente la sherpa italiana e il Ministero, su un'iniziativa che coinvolge i gruppi analoghi al nostro dei Paesi del G7, del G20, ma non solo, per elaborare un documento da consegnare agli sherpa affinché l'agenda del G7 sia influenzata da questa visione trasversale del ruolo che le agency delle donne possono svolgere in tema di migrazioni.
Infine, vorrei capire bene – non le chiedo di farlo adesso, anche se immagino ci siano già dei documenti elaborati – la connessione tra Fondo La Valletta, Africa Act e il Migration Compact declinato all'italiana, cioè i cinque mini Migration Compact, che non riesco a configurare in un disegno complessivo.
Inoltre, ho già manifestato una mia preoccupazione. Infatti, si dice che sosteniamo i cinque (o sette, secondo quel che sarà) Paesi di questi mini Migration Compact, ma la mia preoccupazione è che, insieme alle politiche di sostegno allo sviluppo, possiamo rischiare di sostenere anche le politiche repressive di alcuni Governi, quindi chiedo una vigilanza assoluta su questo caso.
Giusto per fare un esempio, mi vengono in mente i sostegni all'Eritrea, dove sappiamo bene di cosa parliamo. Grazie.
PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, ringrazio il Viceministro, al quale rivolgo anch'io qualche domanda sulla cooperazione.
Prima di tutto, Lei ha parlato della cosiddetta accountability, ovvero della valutazione dell'impatto di ogni progetto. Sarebbe importante, effettivamente, riuscire a raggiungere un risultato, che, tra l'altro, viene richiesto anche dalla stessa legge che abbiamo approvato l'anno scorso, proprio in termini di valutazione dell'impatto di ogni progetto per capire qual è l'efficacia del nostro aiuto allo sviluppo.
Credo, infatti, che se non riusciamo ad avere questo tipo di accountability diventi complicato anche riuscire a spiegare come si utilizzano le nostre risorse nella cooperazione e se producono quello che dovrebbero, ovvero lo sviluppo.
La mia seconda domanda riguarda il come conciliare l'obiettivo sedicesimo dell'Agenda 2030 con l'attuale politica estera. Mi riferisco, in particolare, all'export di armi. Sappiamo che l'obiettivo 16 è dedicato alla promozione di società pacifiche e inclusive ai fini dello sviluppo sostenibile. Allora, mi chiedo, con un certo tipo di politica di export di armi (abbiamo visto Pag. 9l'esempio delle armi date all'Arabia Saudita, che poi sono state e sono utilizzate per bombardare lo Yemen da un anno e mezzo, creando migliaia di vittime civili), com'è possibile perseguire il sedicesimo obiettivo. Se, come politica estera e di «difesa» ci ritroviamo a dare armi a Paesi che bombardano i civili, dobbiamo decidere o per gli obiettivi o per l'export di armi, che non porta sicuramente al raggiungimento degli obiettivi, in particolare del sedicesimo.
Sulla questione dei migranti, ringrazio il Viceministro per aver toccato anche la questione dei migranti ambientali. Trovo molto positivo il fatto che ci sia lo sforzo di creare lavoro nei Paesi da cui arrivano i migranti. Rimane, comunque, il fatto che dovremmo fare una riflessione sulla buona agricoltura, che Lei, Viceministro, ha citato, in aggiunta al fatto che in molti Paesi dell'Africa – come abbiamo visto anche attraverso una risoluzione che ricordo essere stata approvata all'unanimità in Commissione affari esteri – vi è un accaparramento della terra da parte di multinazionali.
Anche questo genera un conflitto tra gli sforzi che vengono fatti dalla cooperazione per riuscire a creare la cosiddetta «buona agricoltura» e dei sistemi che, invece, rubano la terra. Anche su questo, probabilmente, dovremmo fare una riflessione seria.
Condivido, infine, quanto detto dalla collega Quartapelle (siamo d'accordo su poche cose, questa è una di quelle). Visto che c'è un appoggio unilaterale da parte del Parlamento, dobbiamo andare avanti.
Do la parola al Viceministro per una breve replica.
MARIO GIRO, Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Comincio dalle sue osservazioni. La questione dell’accountability per noi è fondamentale. Dobbiamo pubblicare tutto ciò che c'è sulla valutazione dell'impatto e dell'efficacia dell'aiuto sui nostri siti perché – ripeto – la valutazione dei progetti è fondamentale.
Ovviamente, ci sono vari modi di valutare l'impatto di un progetto. Infatti, un progetto può essere anche bellissimo, ma risultare estraneo ai bisogni di quel territorio o, viceversa, può essere utilissimo, ma gestito male. Pertanto, stiamo elaborando delle linee di valutazione molto stringenti.
Sulla questione dell'export delle armi posso fare solo una riflessione personale, nel senso che non è una mia competenza, né tocca la cooperazione. Per quanto riguarda il Fondo Africa sarà in gran parte gestito dalla cooperazione, anche se è dedicato alle migrazioni. C'è, quindi, una distinzione. Una parte di questi soldi saranno, però, utili anche ad aiutare la capacity delle forze di sicurezza dei Paesi.
Ecco, questi soldi non saranno gestiti dalla cooperazione, ma ci sarà una divisione a monte. Ci sono altri strumenti al Ministero, proprio perché voglio che si tenga la distinzione anche quando si tratta di fornire non armi, bensì materiale logistico e così via.
Quando poi si va sulle armi, si dice che la nostra legge sia una delle migliori in senso restrittivo. La mia personale opinione è che non vanno vendute le armi ai Paesi in guerra. Questo è chiaro, ma è una mia personale osservazione perché non ho questa competenza.
Sulla questione delle migrazioni ambientali, è molto importante continuare questa riflessione. Il Ministro, a un certo punto, aveva detto anche a New York che va trovata la forma di un riconoscimento giuridico dei migranti ambientali.
A parte i rifugiati, che già si dividono in IDP (internally displaced person), refugee e così via, c'è il grosso blocco dei cosiddetti «migranti economici» dentro il quale c'è, appunto, di tutto. Per esempio, ci sono i migranti ambientali, che non possono essere considerati alla stessa stregua.
Ora, diciamo la verità: quando uno scappa dalla sua terra non lo fa mai volentieri, quindi in fondo questo è un discorso che, da un punto di vista morale e politico, non dovrebbe neanche essere fatto. Tuttavia, se c'è bisogno di una normazione di questo fenomeno, ho pensato che è quello che ha detto il Ministro Paolo Gentiloni fosse molto saggio, ovvero che, anche a livello internazionale, si desse un riconoscimento giuridico al fatto che, per Pag. 10esempio, in Kenya molte persone se ne stanno andando dalla zona del lago Turkana perché El Niño ha portato una siccità pesantissima.
Facendo questo mestiere, apro una brevissima parentesi. Ho scoperto che El Niño è un disastro. Per esempio, ha distrutto quasi tutte le barriere coralline, salvo nel Mar Rosso. Mi dicono gli esperti che è tutto grigio perché ha cambiato la gradazione dell'acqua, riscaldandola, quindi il corallo muore. Avremo, dunque, delle conseguenze peggiori di quelle che stiamo già vivendo sulla superficie della terra. Di fatto, sono cambiate le correnti profonde negli oceani, per cui oggi le belle barriere coralline non le troviamo né alle Maldive, né ai Caraibi, ma solo nel Mar Rosso perché è chiuso. Questo è per fare un piccolo esempio che mi hanno raccontato.
La buona agricoltura e il land grabbing è una storica battaglia della FAO, che però non è riuscita a imporsi, quando l’élite dirigente di un Paese decide di affittare per 99 anni o addirittura a volte di regalare o vendere enormi territori. Non è una novità assoluta perché questo è cominciato già con la colonizzazione, che ha introdotto in Africa la monocultura. Se pensiamo che la Liberia è stata messa tutta a caucciù o che l'Africa occidentale, in particolare la Costa d'Avorio, è stata messa tutta a cacao, vediamo che la cosa viene da lontano.
Oggi abbiamo dei Paesi che hanno bisogno, come i Paesi arabi, la Cina e altri. Ci sono anche compagnie occidentali. Poi, noi funzioniamo con i privati, quindi ci schermiamo. Comunque, molti Paesi fanno questo stesso discorso perché è economicamente vantaggioso. Tuttavia, metterei un bemolle, come dicono i francesi, nel senso che non funziona più perché la gente si ribella. Ecco, noi dobbiamo sostenere la società africana che cerca un'altra strada.
Quel modello non funziona più tanto perché spostare la popolazione in Africa è molto difficile. Il land grabbing ha, infatti, subito un rallentamento. Se guardate i dati, in questo momento sta rallentando perché non riescono più a vendere passando sulla testa della gente. Questo significa che il tasso di democrazia, o quantomeno di coscienza della società africana, sta salendo.
In fondo, questo ci sprona a offrire un'alternativa a tutto ciò, ovvero la buona agricoltura. Ora, la buona agricoltura è come le piccole e medie imprese: noi abbiamo l'esperienza, l'eccellenza e la qualità in Italia, ma è molto difficile, sia per le PMI, sia per le PMI agricole, ovvero per le piccole proprietà, esportare il modello. È un ecosistema che si può sradicare. Non possiamo prendere il sistema agricolo che c'è in una regione del centro Italia e spostarlo in Kenya perché è una questione di cultura, di credito e quant'altro.
È un lavoro difficile e soprattutto lento. L'ho visto fare in Messico con il settore della scarpa, con l'aiuto della regione Marche. Ebbene, ci hanno messo quindici anni. Questi sono i tempi dello sviluppo e della cooperazione allo sviluppo.
C'è la parte emergenza, ma poi il resto è lento, quindi dobbiamo accettare questi tempi e convincere i nostri partner – in particolare i Governi, che hanno fretta – che è necessario, appunto, accettare questi tempi per avere uno sviluppo endogeno dal lato sia industriale sia agricolo.
Come l'Asia è entrata nella globalizzazione, tant bien que mal, con l'industria e la manifattura, l'Africa può entrarci con l'agricoltura perché è l'unico continente che ha ancora terra libera, mentre tutti gli altri hanno ormai esaurito le proprie capacità di terra. È l'unico continente che è ancora sottopopolato. L'Africa riuscirà, infatti, ad avere lo stesso livello percentuale di popolazione mondiale che aveva prima della tratta degli schiavi solo dopo il 2030. Ecco, pensate cosa ha voluto dire la tratta.
Ci sono Paesi, come l'Angola o il Congo che hanno qualche decina di milioni di abitanti per territori enormi. Insomma, c'è tanta terra, per cui l'Africa può entrare nella globalizzazione attraverso l'agricoltura. Peraltro, siccome tutti mangiano, la cosa è molto strategica.
Purtroppo, proprio da questo deriva il land grabbing, ma c'è anche la possibilità di offrire un modello alternativo. Ovviamente, ci vuole il tempo necessario. Pag. 11
Per quanto riguarda le donne, come abbiamo detto, è una cosa trasversale. Teniamo molto alle nostre battaglie contro le mutilazioni genitali femminili e contro i matrimoni precoci. Ormai tutti sanno all'ONU che sono importanti.
Provo a spiegare in due parole il collegamento tra Migration Compact, Fondo La Valletta e Africa Act.
L'idea del Migration Compact era questa. L'Italia, per prendere sul serio i partner africani, propone all'Europa uno scambio equo sulla base di investimenti. Non basta la cooperazione allo sviluppo o sulla sicurezza, ma ci vogliono grossi investimenti. Ovviamente, vanno scommessi molti soldi – per dare una cifra, 1 o 2 miliardi per Paese – ma non in doni bensì in investimenti garantiti, a tassi bassi. Questa è l'idea del Migration Compact, detta in pochissime parole.
L'Europa non ha accettato il modello così definito, ma lo ha separato in due. I primi due pilastri li ha inseriti nel cosiddetto «Migration Framework», vale a dire fare insieme un po’ di sicurezza e aumentare un pochino la cooperazione allo sviluppo.
Il Fondo La Valletta era un prodromo, ovvero un tentativo parallelo a quello che stiamo dando alla Turchia, ma per l'Africa. Naturalmente, è ridicolo perché le somme sono completamente disomogenee.
L'Africa è un continente. Noi diamo alla Turchia sino a 3 miliardi (anzi, vediamo quando glieli daremo, perché per adesso abbiamo dato solo qualche centinaia di milioni). I «più 3» sarebbero i soldi che dovrebbero mettere i Paesi individualmente, ma quelli non sono del tutto garantiti. Comunque, 3 miliardi sono una grossa cifra. Tuttavia, il Fondo La Valletta ne aveva 1,8 all'origine, poi abbiamo fatto aumentare, anche se ancora non basta.
In ogni caso, il Fondo La Valletta è limitato a certi Paesi, per esempio esclude tutti i Paesi rivieraschi del Golfo di Guinea, come la Costa d'Avorio, la Guinea, il Ghana e la Nigeria che sono Paesi fondamentali per noi. In sostanza, è troppo focalizzato sulla sicurezza e poco sulle questioni migratorie, quindi sui bacini da dove provengono le migrazioni.
Il nostro fondo è un tentativo di fare un Fondo La Valletta nuovo e soprattutto di spenderlo rapidamente, per questo dura un anno. Certo, 200 milioni non sono sufficienti, ma sono un grosso sforzo. È un modo per dire che facciamo da soli, iniziando subito, per far vedere che può funzionare.
Come dicevo, il Migration Compact è stato diviso in due pezzi, il Migration Framework e lo strumento, che stanno ancora negoziando. Sullo strumento dico due cose.
Si tratta del cosiddetto «Piano Juncker per l'esterno», non per l'Europa, che dovrebbe chiamarsi EIP. Questo strumento riprenderebbe il nostro discorso sugli investimenti, facendo leva. Che significa fare leva? Per esempio, mettiamo 3 miliardi – per la precisione 3,3 miliardi – che saranno usati a garanzia degli investimenti privati. Così si fa, appunto, leva. Si danno 500 milioni di garanzia su investimenti di cinque o dieci volte tanto. L'impresa ha le spalle coperte, per cui può andare a fare, ad esempio, energia rinnovabile in Africa perché l'Europa le garantisce il rischio d'impresa.
Questo è molto importante perché le imprese non si muovono senza garanzia. Questo è il modo per far leva, ovvero moltiplicare i soldi fino a dieci volte. Se si moltiplicano fino a dieci volte, vi dico che 3 miliardi bastano per avere un impatto fortissimo sui Paesi africani.
Vi faccio l'esempio del Niger, che è un Paese di transito, quindi difficile perché non c'è un interesse primario dell’élite dirigente a trattenere le persone. Loro dicono che da quando hanno il terrorismo, per fortuna hanno anche l'immigrazione perché il terrorismo ha distrutto l'industria del turismo – ricordate quelli che andavano nel deserto; ci sono stati pure dei rapiti italiani – ma adesso hanno il passaggio dei migranti, che fanno comunque economia.
Allora, cosa diamo in cambio alla classe dirigente del Niger? Possiamo dare solo grossi investimenti, almeno 1 miliardo, anche perché il livello totale della nostra cooperazione allo sviluppo, tra Unione europea Pag. 12 e Paesi europei, non supera i 50 miliardi di euro l'anno, che sono tanti, ma le rimesse degli immigrati superano di poco questa cifra, quindi non c'è interesse.
In sostanza, se i migranti vanno in Europa e fanno le rimesse, loro fanno lo sviluppo con quei soldi. Invece, dobbiamo investire su grandi lavori. La cosa è complicata perché sono Paesi che hanno bisogno, per esempio di trasporti e energia.
Il punto numero uno è proprio l'energia rinnovabile. Devo dire che va a onore dell'Enel, soprattutto per la parte Enel Green Power, il fatto che in questo momento sta investendo solo in energia rinnovabile in Africa, proponendo sistemi che si reggono da soli, senza costruire grandi centrali e grandi cavi di trasmissione che disperdono il 30 per cento di quello che trasportano, perché in un territorio così vasto come l'Africa è l'unico modo per installare energia. Questa è l'idea.
Come Italia, potremmo scegliere questo settore d'investimento, ovvero l'energia rinnovabile laddove non c'è, perché se non c'è energia la gente si deve per forza muovere. Non si fa niente senza energia.
Se ci limitassimo solo a questo, potremmo avere un impatto anche con i nostri «soli» 200 milioni e con un po’ di soldi della cooperazione che a questo possono essere dedicati.
L'ultimo punto riguarda le polemiche di ieri e l'altro ieri sugli aiuti. Quando vedo che 120 milioni mi vengono decurtati prima di metà e poi quasi la stessa cifra (105 milioni) viene messa in accantonamento, che è una parola ambigua nel linguaggio burocratico, che può anche prefigurare alla fine un taglio, mi preoccupo, quindi lo dico.
Qualcuno mi ha detto che rompo il bon ton tra istituzioni. Ebbene, mi dispiace, ma se si promettono soldi ai Paesi poveri nella mia cultura personale sono sacri. Se non ce li hai, non li dai, ma se li prometti li devi dare. Non si possono usare i soldi per la cooperazione per altri fini. Questa è la mia personale posizione.
PRESIDENTE. Ringrazio il Viceministro e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14.50.