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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULL'ATTUAZIONE DELL'AGENDA 2030 E GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 7 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Audizione di rappresentanti del Forum permanente per il Sostegno a Distanza (ForumSaD).
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 3 ,
Curatola Vincenzo , Presidente del Forum permanente per il Sostegno a Distanza ... 3 ,
Oppedisano Corrado , rappresentante del Forum permanente per il Sostegno a Distanza (ForumSaD) ... 6 ,
Chiapparo Simona , rappresentante del Forum permanente per il Sostegno a Distanza (ForumSaD) ... 9 ,
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 11 ,
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 11 ,
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare-NCD-Centristi per l'Italia: AP-NCD-CpI;
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta civica-ALA per la costituente libera e popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIA EDERA SPADONI

  La seduta comincia alle 11.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del Forum permanente per il Sostegno a Distanza (ForumSaD).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l'audizione di rappresentanti del Forum permanente per il Sostegno a Distanza (ForumSaD).
  Ringrazio per la loro partecipazione ai nostri lavori il dottor Vincenzo Curatola, presidente, la dottoressa Simona Chiapparo, Corrado Oppedisano e Ilaria De Cave.
  ForumSaD è il maggior coordinamento italiano di organizzazioni ed enti che si occupano di sostegno a distanza. È costituito da 131 organizzazioni ed è presente su quasi tutto il territorio nazionale, operando come strumento di cooperazione internazionale allo sviluppo.
  Quest'audizione è di interesse ai fini dell'indagine conoscitiva anche in vista della definizione delle linee di indirizzo della cooperazione allo sviluppo italiana ai sensi della legge n. 125 del 2014. Il ForumSaD sarà, infatti, chiamato a contribuire in tal senso.
  Do la parola al presidente Curatola, affinché svolga il suo intervento.

  VINCENZO CURATOLA, Presidente del Forum permanente per il Sostegno a Distanza (ForumSaD). Grazie, presidente. Buongiorno. Vorremmo iniziare con un breve intervento del professor Stefano Zamagni, il nostro presidente onorario, che purtroppo non ha potuto essere qui per motivi legati ad altri impegni. Ha registrato un video che sottolinea le specificità del sostegno a distanza, in modo che possiamo inquadrarlo anche nella riflessione che faremo.

  (Proiezione video).

  STEFANO ZAMAGNI, Presidente onorario del Forum permanente per il sostegno a distanza (ForumSad): «Il sostegno a distanza non è una mera filantropia. Ciò vuol dire che i volontari che si dedicano al sostegno a distanza non mettono semplicisticamente mano al portafoglio e fanno una classica donazione ma quello che donano viene seguito passo passo da coloro i quali nel territorio del quale si parla si fanno carico di seguire, a mo’ di sostegno, questa volta non più a distanza, ma da vicino, il progetto educativo del bambino.
  Noi sappiamo – e l'esperienza ce lo conferma, purtroppo – che molto spesso, o comunque spesso, i denari elargiti per una certa causa non vanno a finire nella direzione voluta dal donatore. Prendono altre vie perché ci si affida a volte a mestieranti, altre volte a intermediari che dichiarano fedeltà all'origine ma perseguono altri scopi.
  Ripeto che il sostegno a distanza è, invece, questo collegamento con coloro i quali nel territorio dove arrivano gli aiuti si fanno carico di garantire quella che, con una parola ormai di moda, si chiama accountability.Pag. 4 Accountability vuol dire dare conto, dimostrare l'uso che si è fatto con le risorse o il denaro ricevuti.
  Questa, quindi, è una grossa caratteristica che contraddistingue il SaD dalle altre forme, che io, ovviamente, non demonizzo e non giudico negativamente. È sempre meglio sollecitare la filantropia piuttosto che gli egoismi personali. Dico solo che il SaD è una forma superiore per manifestare solidarietà.
  La terza ragione è che il SaD può essere preso come il prototipo, ovviamente in piccolo – questo è evidente – per indicare la strategia e la via che deve battere chi si vuole seriamente occupare di cooperazione allo sviluppo.
  Il SaD è come un microcosmo che dice: “Vedete, noi, con riferimento a un segmento specifico, quello dei bambini portatori di particolari disagi di un tipo o dell'altro, ci comportiamo in questa maniera. Anche voi, quando vi rivolgete non solo ai bambini e agli adulti, o favorendo lo sviluppo industriale, agricolo eccetera, dovete fare altrettanto”.
  In questo senso io indico nel SaD un modello di comportamento che, opportunamente modificato a seconda del contesto, possa servire a innovare finalmente le politiche di cooperazione allo sviluppo. Ecco allora, in definitiva, le tre ragioni che parlano a favore di questa forma specifica di solidarietà internazionale e intergenerazionale.
  C'è da aggiungere che con il SaD noi evitiamo l'espatrio dei cervelli dai Paesi. Il punto è che a volte – e noi lo sappiamo – quando i giovani vengono ospitati dai Paesi sviluppati, non ritornano più nel loro Paese. Questa è una delle ragioni che spiegano il ritardo per cui questi Paesi non riescono ad agganciare il sentiero dello sviluppo, perché esportano i giovani che rappresentano un potenziale.
  Questi giovani, quando sono arrivati nel Paese avanzato, mettono radici. Personalmente per loro uno può dire che fanno bene, però quel capitale umano non va a beneficio del Paese e, quindi, il Paese sarà sempre più povero e sarà sempre più incapace di sviluppare il proprio potenziale. Il SaD non fa questo, proprio perché lascia i bambini nel loro ambiente, però li aiuta a curarsi, a studiare, a seguire percorsi, a favorire interscambi in una forma o nell'altra e così via.
  Chiudo allora dicendo come il mio appoggio, direi il mio sostegno, che è sostanzialmente morale e culturale, alle ragioni del SaD è, come spero di aver chiarito, un sostegno fondato. Non è basato sull'emozione, non è basato su un sentimentalismo vago, ma ha delle ragioni ben precise, che chiamano in causa quello che da tanti è chiamato il “nuovo modello di sviluppo”. Il SaD è un elemento, certo non l'unico, ma è un elemento centrale di un nuovo modello di sviluppo.
  Tenete conto che la parola “sviluppo” va scritta “s-viluppo”, dove la esse è il privativo latino. I Romani, per negare il significato di una parola, ci mettevano davanti la esse. Quindi, “sviluppo” significa “togliere i viluppi” e i viluppi sono le catene, i legacci, tutto ciò che impedisce alla persona di essere autenticamente libera.
  Quindi, “sviluppare” è una bella parola perché, per sviluppare, bisogna donare e aiutare a essere liberi. Ama lo sviluppo chi ama la libertà. Quando sento qualcuno contrario allo sviluppo, mi rattristo, perché nel suo cuore e nella sua mente non ha il concetto della libertà. Lo sviluppo non è la crescita, è altra cosa. La crescita è un'altra cosa. Lo sviluppo vuol dire allargare gli spazi di libertà.
  Oggi noi sappiamo che il problema centrale dei Paesi cosiddetti poveri, o che non riescono ad agganciare il sentiero dello sviluppo, è proprio quello del razionamento della libertà. In questi Paesi non c'è libertà, perché libertà vuol dire non avere fame, vuol dire non essere ignoranti, vuol dire non avere perennemente malattie di un tipo o dell'altro. Questi legacci, questi viluppi impediscono la libertà.
  Ecco allora perché il discorso del SaD va inserito in questo ampio discorso. È certo un tassello – non si risolvono tutti i problemi con il SaD – però è un tassello importante, che serve come campanello di allarme a tutti gli altri per dire: “Noi, in maniera seria e decisa, ci battiamo per lo sviluppo, cioè per allargare gli spazi di libertà, Pag. 5 per togliere i viluppi”. Questa, secondo me, è una ragione più che sufficiente per dedicare attenzione e soprattutto chiederne».

  VINCENZO CURATOLA, Presidente del Forum permanente per il Sostegno a Distanza (ForumSaD). Questo video voleva dare l'idea della specificità del sostegno a distanza, che coinvolge un milione e mezzo di italiani e un migliaio di associazioni. Quindi, è una pratica diffusa.
  Brevemente, prima di lasciare la parola ai miei colleghi, volevo collegare questo discorso al lavoro che sta facendo il vostro Comitato cioè il lavoro sull'Agenda 2030 e sulla nuova legge di cooperazione.
  Li metto insieme perché l'Agenda 2030, a nostro avviso, presenta due caratteristiche innovative. Una è che chiama tutti i Paesi a contribuire e a collaborare agli obiettivi di sviluppo sostenibile, sia i Paesi che stanno bene, sia quelli che stanno meno bene, anche perché nei Paesi che stanno bene comunque ci sono delle persone che non stanno bene. Saranno immigrati, saranno nuovi poveri, saranno persone emarginate. Anche quelle fanno parte dell'Agenda 2030.
  L'altro fattore fortemente innovativo dell'Agenda 2030, che ci piace, è il coinvolgimento di tutte le componenti della società. A differenza degli Obiettivi del Millennio, le Nazioni Unite hanno voluto specificare che il risultato si può raggiungere solamente se si coinvolgono tutte le società di tutti i Paesi, quindi tutta l'umanità. Non ci possono essere solo l'accordo con i governi o talune iniziative istituzionali, o anche non istituzionali se non c'è un coinvolgimento di tutti i cittadini, delle famiglie e delle organizzazioni sociali.
  Noi abbiamo visto che questi due aspetti, nonostante la legge n. 125 sia antecedente all'Agenda, erano stati colti dalla nuova legge sulla cooperazione, perché in essa si afferma la necessità della coerenza delle politiche nazionali con le politiche di cooperazione allo sviluppo. In definitiva, è quello che dice l'Agenda 2030 quando elimina la distinzione fra i Paesi sviluppati e i Paesi meno sviluppati.
  La nuova legge n. 125 parla di promuovere il sistema della cooperazione italiana allo sviluppo. Non si tratta più di una cooperazione fatta solamente dalle istituzioni o da alcuni soggetti, com'erano le ONG, ma di un sistema della cooperazione che coinvolge tutto il Paese. Noi, per esempio, abbiamo un milione e mezzo di cittadini che riteniamo facciano cooperazione allo sviluppo, nel loro piccolo, con il loro impegno e le loro donazioni.
  La legge n. 125 promuove la partecipazione dei cittadini alla solidarietà e alla cooperazione internazionale. Non è una semplice intenzione. La promuove perché prevede una Conferenza pubblica nazionale, da tenersi ogni tre anni, la quale deve favorire la partecipazione dei cittadini nella definizione delle politiche di cooperazione allo sviluppo e proprio della politica di un Paese. Questi sono grandi strumenti che la legge mette a disposizione per l'attuazione dell'Agenda 2030.
  In questi due anni e mezzo dall'approvazione della legge n. 125 abbiamo constatato, però, che vi sono alcune criticità. Le mettiamo in evidenza con lo spirito anche di superarle e di collaborare anche con il Parlamento. Se ci sono degli aggiustamenti o delle cose da fare, siamo disponibili.
  Noi abbiamo notato che in questi tre anni praticamente i criteri per l'iscrizione all'elenco previsto dall'articolo 26, un elenco di organizzazioni che lo Stato riconosce come soggetti della cooperazione internazionale allo sviluppo, hanno portato molte ONLUS, tra cui diverse nostre associate, ma anche le comunità degli immigrati e anche altri nuovi attori della cooperazione, a non poter partecipare alla cooperazione allo sviluppo, perché non sono stati riconosciuti.
  Abbiamo cercato un dialogo con l'Agenzia che concorda con noi sul fatto che questi criteri siano da cambiare, ma le cui linee-guida si rifanno alla legge precedente. Quindi, fino a quando i criteri non verranno cambiati, ci troveremo in questa situazione.
  Questo che cosa ha portato? Ha portato al fatto che l'anno scorso – e c'è il rischio che accada anche quest'anno – non si è potuto attuare il sistema della cooperazione italiana allo sviluppo, che la legge Pag. 6invece afferma e promuove, perché non c'è la possibilità per questi nuovi soggetti di poter partecipare.
  Riguardo alla promozione della partecipazione dei cittadini, abbiamo notato che viene promossa poco, anche semplicemente in termini economici, nel senso che le risorse che vengono stanziate dall'Agenzia sono molto residuali (meno dell'1 per cento) per iniziative di promozione, educazione alla cittadinanza globale e sensibilizzazione.
  D'altra parte, a nostro avviso, gli stessi interventi classici di aiuto allo sviluppo dell'Agenzia, che investono la maggior parte delle risorse, potrebbero essere ottime occasioni di coinvolgimento dei cittadini se ci fosse una cooperazione di sistema, cosa che, invece, fino adesso non è stata possibile.
  L'ultimo dato di criticità che volevamo segnalare, che afferisce anch'esso alla partecipazione della società civile, riguarda il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo. Quest'organismo, che la legge ha previsto e che ha la competenza di essere propositivo e consultivo rispetto alle tematiche della cooperazione allo sviluppo, si è riunito l'ultima volta nel gennaio dell'anno scorso.
  Devo dire che c'è stato un grande lavoro fra i membri di questo organismo a livello informale. Sono stati prodotti documenti molto validi, a nostro avviso, sulle varie tematiche, dal Piano della cooperazione italiana al Programma per l'immigrazione, ma che rimangono documenti informali. Questo organismo rimane – diciamo così – dormiente.
  La preoccupazione che volevamo porre è un impegno anche a evitare che questa stessa storia si ripercuota su un altro organismo previsto dalla nuova legge, la Conferenza pubblica nazionale, che dovrebbe tenersi quest'anno e che rappresenta, a nostro avviso, il più alto momento di partecipazione dei cittadini nella definizione delle politiche di cooperazione allo sviluppo. Così dice la legge.
  A nostro avviso, per evitare che ciò avvenga, occorrerebbe già lanciare dei segnali e invitare il Governo ad avviare questo percorso già da adesso. Se si vuole veramente che sia un momento di partecipazione nazionale, esso ha bisogno di tempi e, quindi, di sette, otto mesi per poter far sì che, ognuno nei propri ruoli e con un lavoro sinergico, si riesca a portare questo risultato.
  Questo era il collegamento che facevamo. Lascerò poi la parola a Simona Chiapparo per il dettaglio anche sui punti dell'Agenda 2030, che abbiamo sviluppato ancora informalmente nel lavoro.

  CORRADO OPPEDISANO, rappresentante del Forum permanente per il Sostegno a Distanza (ForumSaD). Grazie, presidente. Grazie, onorevole Locatelli. L'Agenda 2030 ci stimola non solo perché include, per la prima volta, nel quadro strategico globale per lo sviluppo la migrazione, ma anche perché parte da un riconoscimento del fatto che le politiche positive dei governi nella gestione delle migrazioni possono fornire un significativo contributo allo sviluppo sostenibile e alla lotta alla povertà.
  Si rileva, infatti, che la dichiarazione conclusiva di New York fa esplicito riferimento a diverse dimensioni dei processi migratori, evidenziando, in particolare, il negativo impatto dello sradicamento forzoso a causa dei conflitti, dell'instabilità e della povertà estrema; la necessità di promuovere l’empowerment dei migranti, dei rifugiati e delle comunità sradicate dai propri territori; la necessità di rafforzare l'impegno contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento del lavoro dei migranti, in particolare quello dei minori; la necessità di promuovere l'accesso all'istruzione e alla conoscenza ai migranti nel corso della loro vita; inoltre, la necessità di riconoscere e valorizzare il contributo positivo recato dai migranti allo sviluppo e alla resilienza nei Paesi di origine e di destinazione.
  Per la prima volta, quindi, nell'Agenda globale emerge la visione dei migranti quali attori promotori dello sviluppo e non solamente quali soggetti vulnerabili e bisognosi di forme di tutela. Il nesso fra migrazione e sviluppo, fra l'altro, è riconosciuto anche dall'Unione europea ed è stato evidenziato al vertice di La Valletta del 2015. Il documento del vertice G7 in Giappone, Pag. 7 del 2016 chiede di aumentare gli sforzi per la prevenzione dei conflitti e, inoltre, la concertazione di politiche finalizzate alla protezione internazionale.
  Una questione che tutto l'impianto delle organizzazioni del ForumSaD, organizzazioni non governative che oggi rappresentiamo, ritiene centrale e prioritario è uno sforzo globale per scatenare la pace, altrimenti – non è solo, purtroppo, un nostro presentimento – tutto sarà più lungo e costoso in termini di vite umane, di disprezzo dei diritti delle persone e per le economie sociali globali.
  Sulla carta, quindi, esistono obiettivi condivisi a livello internazionale, come riconoscere e tutelare i diritti dei migranti, prevenire le migrazioni forzate dovute ai conflitti, accrescere la collaborazione tra i Paesi di destinazione – nella consapevolezza del fatto che uno stesso Paese a volte rientra in tutte le categorie –, ridurre i costi sociali delle migrazioni e accrescerne il potenziale per lo sviluppo, sia nei Paesi di origine, sia in quelli di destinazione.
  La sfida la impongono i numeri indicati proprio dalle Nazioni Unite che nel 2015 registravano 244 milioni di migranti internazionali, pari al 3,32 per cento della popolazione mondiale. È stato correttamente osservato che gli immigrati con le rimesse e altri aiuti alle famiglie rimaste in patria alleviano la povertà e spesso avviano attività che accrescono i commerci locali e l'occupazione. Con le conoscenze e le competenze acquisite stimolano l'innovazione, rafforzano la presa di coscienza dei diritti umani e sociali e contribuiscono al superamento delle vulnerabilità e a una maggiore resilienza di fronte alle crisi economiche e ambientali. In questo senso gli immigrati sono attori dello sviluppo.
  Com'è noto, l'Agenda degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile contiene 17 obiettivi e 169 target, di cui 7 espliciti riferimenti a varie dimensioni della migrazione, che qualificano impegni concreti per la migrazione e per i diritti: l'inclusione sociale ed economica, l'accesso all'educazione e ai servizi e il sostegno alla cooperazione regionale.
  In generale, le indicazioni internazionali vanno in tre grandi direzioni: affermare il diritto dei migranti, come dicevamo prima, estendendo i diritti all'accesso alle risorse e ai servizi; riconoscere il ruolo propulsivo nella lotta alla povertà; definire meccanismi e politiche per migrazioni sicure. In altre parole, si tratta di prevenire, minimizzare i costi sociali, accrescere l'impatto positivo delle migrazioni e, al tempo stesso, riconoscere e valorizzare, come evidenziato dal Presidente della Repubblica Mattarella, i grandi sforzi fatti dai Paesi poveri nell'accoglienza di milioni di migranti e di richiedenti asilo.
  È su questa direttrice che si può articolare una strategia globale di cooperazione internazionale dell'Italia con gli strumenti bilaterali, tramite la partecipazione ai programmi multilaterali. Si tratta di impegni affermati dall'Italia in occasione del semestre della presidenza europea nel 2014.
  Già prima del semestre, però, il sistema della cooperazione italiana aveva indicato alcune priorità, in particolare quella di riconoscere le migrazioni come potenziali fattori che abilitano l'Agenda per lo sviluppo 2030, non solo alla luce del peso determinante delle rimesse in molti Paesi, ma anche per l'attivazione di scambi e di conseguenze culturali.
  Successivamente il Governo italiano ha avanzato in Europa la proposta del Migration Compact, che si ispirava ad alcune delle considerazioni sin qui accennate. Abbiamo valutato positivamente il fatto che la proposta italiana avesse tentato di smarcarsi da un approccio eurocentrico che aveva affrontato il tema delle migrazioni internazionali come una questione interna all'Unione europea e di carattere sostanzialmente emergenziale. Crediamo, invece, che la consapevolezza sulla centralità della dimensione esterna e sulla natura strutturale del fenomeno migratorio sia fondamentale.
  La natura strutturale del fenomeno migratorio si deve a cause profonde, che non sono riconducibili a una questione di investimenti e finanziamenti, pur essenziali per creare occupazione e migliori condizioni di vita. Ricordiamo che ogni anno molti miliardi di dollari escono dall'Africa Pag. 8attraverso canali illegali, dall'evasione alle mille forme dell'elusione, verso paradisi fiscali, così come attraverso pratiche di manipolazione finanziaria da parte di imprese multinazionali, a cui si collegano misure di accaparramento delle terre e di estrazione di risorse naturali.
  Tutti questi fenomeni forzano popolazioni locali a migrare. La mancanza di libertà e di democrazia, i regimi di tipo oligarchico provocano persecuzioni e fughe di persone dalle comunità, disuguaglianza e mancanza di lavoro, reti di protezione e welfare. Corruzione, concentrazione di ricchezza e potere e sfruttamento dell'ambiente sono le forme dell'insicurezza umana che generano migrazioni.
  Come ben saprete, presidente, occorre una più ordinata strategia gestionale del fenomeno migratorio, a cui noi aggiungiamo delle politiche estere e di sicurezza dei Paesi europei. La mancanza di solidarietà interna ai Paesi dell'Unione, però, si rispecchia nella mancanza di una politica estera comune, che scontiamo a partire dagli scenari di guerra che provocano tragedie e flussi di rifugiati.
  Siamo stati al fianco del Presidente del Consiglio italiano nel sostenere più cooperazione, ma la nostra esperienza sul campo ci insegna che sono poco utili progetti di investimento e di finanziamento, se non sono accompagnati da politiche concrete a favore dello Stato di diritto, della difesa e della promozione dei diritti umani, dell’empowerment delle comunità locali e della democrazia, di politiche commerciali e regolamentazioni finanziarie trasparenti e giuste.
  Il messaggio politico non può risolversi in più finanziamenti in cambio di un contenimento dei flussi migratori. Secondo noi, questo non funziona, né politicamente né operativamente, perché non interviene sulla causa strutturale, o, meglio, funziona nel breve periodo, rimanendo sempre soggetti a forme di ricattabilità e ritorsione da parte delle oligarchie dei Paesi terzi e calpestando, nel frattempo, i valori fondanti europei e il diritto alla vita delle persone, che sono impressi nei valori costituzionali.
  Ciò che ci preoccupa sono i modelli prospettati dall'accordo Unione europea-Turchia, ovvero fermare l'immigrazione ai confini dell'Europa delegando a un governo problematico la gestione del fenomeno, a costo della violazione del diritto dei richiedenti asilo e delle protezioni internazionali.
  Pensare di fermare le migrazioni internazionali è un'illusione. È più reale intervenire nel lungo periodo sulle cause e gestire le migrazioni attuali in un'ottica internazionale con strumenti condivisi di programmazione congiunta, generatori di impatto sociale e tracciabilità dei processi, assicurando il rispetto dei diritti.
  L'alternativa strutturale è il dialogo stretto con i governi impegnati nelle transizioni democratiche e nella costruzione dello Stato di diritto, come la Tunisia, per esempio, così come con le forze locali delle società civili, comprese le diaspore africane, impegnate per lo sviluppo e la libertà delle comunità locali nei Paesi con più difficoltà economiche.
  Come è sottolineato nel Migration Compact, occorre promuovere un maggiore partenariato fondato su valori comuni e considerare il punto di vista delle proposte delle società civili sulle questioni di sviluppo, sicurezza, regolamentazione finanziaria e commerciale. Ricordiamo a noi stessi che la cooperazione internazionale non deve essere piegata a finalità di sicurezza, che non le sono proprie. Essa deve rispondere ordinatamente agli obiettivi di sviluppo definiti in sede europea, agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2003 e all'obbligo di coerenza delle politiche per lo sviluppo ai princìpi stabiliti dai Trattati europei.
  Ancora, ciò che ci preoccupa, sull'onda securitaria, è l'implementazione per 200 milioni di euro del Fondo per l'Africa, istituito da questo Governo nella legge di bilancio 2017. Dubitiamo che questo possa avere successo se non si integra con una serie di sostegni e interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani, di importanza prioritaria per le rotte migratorie.
  Conosciamo bene le condizioni inumane dei campi per i migranti in Libia. Dobbiamo Pag. 9 essere onesti: quei campi sono in netta violazione dei diritti umani e di tutte le convenzioni sui rifugiati. Il nodo irrisolto è politico. Ancora una volta, gli Stati membri dell'Europa rinunciano a politiche di governo del fenomeno, scegliendo illusoriamente di impedire la migrazione.
  A gennaio 2007 sono sbarcate in Italia, secondo UNHCR e Nazioni Unite, 4.463 persone, un dato leggermente inferiore al gennaio dell'anno scorso, che registrava 5.273 persone. Cosa fa l'Europa? La principale strategia comune, la cosiddetta relocation, il ricollocamento dei profughi, in modo che siano distribuiti equamente, prevedeva 106.000 ricollocamenti da Grecia e Italia entro il 2017. In quindici mesi sono state ricollocate 10.000 persone, il 10 per cento di quelle previste dall'accordo.
  L'altro specchio del fallimento delle politiche europee, secondo noi, sono le condizioni miserabili in cui sono costretti a vivere molti profughi in diversi Paesi. Appaiono come in un film quelle immagini provenienti da Belgrado, dove i profughi intrappolati dalla chiusura della rotta balcanica, sulla frontiera europea, vivono letteralmente al freddo e al gelo la loro condizione di esiliati come in un film.
  Estremo disagio si registra lungo tutta la ex rotta balcanica, con persone che muoiono cercando di percorrerla comunque e altre bloccate in Paesi in cui non vorrebbero stare, senza poter ritornare indietro. Per molti l'unica alternativa, pur di non essere rispediti in Turchia, è di avventurarsi lungo le insidiose rotte balcaniche e richiedere l'asilo in Grecia, dove le condizioni di vita dei profughi sono al collasso.
  In tal senso, occorre intensificare un trasparente ed efficace monitoraggio permanente da parte delle agenzie umanitarie e di cooperazione internazionale del sistema delle Nazioni Unite con la partecipazione mista fra ONG italiane e locali.
  Infine, l'Europa deve essere sensibilizzata da questo Parlamento per ritrovare una necessaria coerenza tra dimensione esterna e interna con insediamenti, ricollocazioni, canali umanitari irregolari, in una prospettiva di sviluppo della stessa Europa, perché la politica estera e di cooperazione non sarà mai in grado di sostituire una politica di immigrazione comune europea, ma è necessario che queste due vivano insieme.

  SIMONA CHIAPPARO, rappresentante del Forum permanente per il Sostegno a Distanza (ForumSaD). Buongiorno, presidente Spadoni. Buongiorno, onorevole Pia Locatelli. Grazie per darci questo spazio. L'intervento che porto è una sintesi del lavoro che ForumSaD sta facendo nel suo ruolo di vicecoordinatore del gruppo sull'Agenda 2030, uno dei quattro gruppi attivi presso il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo.
  Non vogliamo dilungarci troppo, ma arrivare direttamente ai punti di criticità. La criticità dell'Agenda 2030, purtroppo, è intrinseca proprio agli eventi che hanno portato all'approvazione dell'Agenda stessa. Già a ridosso dell'approvazione nel settembre 2015 sul sito della Banca mondiale un economista come Juan Feng sottolineava che i vari Obiettivi del Millennio erano stati deficitari in alcuni punti, innanzitutto l'abbattimento della soglia di povertà. Feng diceva: «Se procediamo di questo ritmo – lo diceva a ridosso del settembre 2015 – sarà impossibile dimezzare la soglia della povertà secondo gli obiettivi stabiliti entro il 2030».
  Quindi, già le premesse ci hanno cominciato a preoccupare. Ad oggi, ravvisiamo una mancanza di strategia da parte del Governo italiano in termini di Agenda 2030, a livello sia nazionale sia internazionale. L'Agenda 2030 ha come concetto il transforming our world. Ci stiamo chiedendo come intenda trasformare il mondo a livello nazionale e internazionale. Siamo preoccupati, a dire il vero, dalla prolificità di meeting e report internazionali in cui costantemente si manca di passare dalle parole alle azioni concrete.
  Andiamo alle azioni concrete che, secondo noi, a oggi mancano. Innanzitutto manca un atto formale, che è l'approvazione del documento definitivo di piano triennale della cooperazione allo sviluppo. Questo non ci consente neanche di avere chiare quali saranno poi le linee strategiche Pag. 10degli investimenti di cooperazione che sono già in corso di attuazione e di erogazione.
  Un punto cruciale, che è collegato all'Agenda 2030 e anche alla legge sulla cooperazione, riguarda il partenariato profit-no profit. Se è lecito aiutare le aziende italiane all'estero, perché i dati della Camera di commercio ci confermano che l'economia italiana viene anche mantenuta dall'export, ed è giusto sostenere le attività produttive da questo punto di vista, ci chiediamo, però, quali siano i criteri degli aiuti alle aziende italiane. Aiutiamo in cambio di cosa? Quale sistema di monitoraggio introdurremo affinché le nostre aziende all'estero non continuino a sviluppare attività finanziarie nella totale assenza del rispetto dell'etica?
  Un punto chiave su tutto potrebbe essere lo sfruttamento del lavoro minorile. È stato recentemente pubblicato il rapporto di Amnesty International sulla famosa via del cobalto, in cui 16 multinazionali affermano, dopo essere state interpellate, di non sapere bene come vada la storia dei ragazzi sfruttati nella Repubblica Democratica del Congo. Chiediamo a gran voce che siano introdotti dei requisiti di valutazione per l'operato delle aziende italiane che saranno poi destinatarie dei fondi di investimento.
  Ancora, andando nello specifico proprio degli obiettivi, degli SDG, e del famoso Obiettivo n. 16 dell'Agenda (Pace, giustizia e istituzioni forti), ricordiamo che continua a essere inascoltato l'appello portato avanti da più coordinamenti circa l'export di armi che coinvolge il Governo italiano. A giugno 2016 è stata la riconfermata Ministra Pinotti ad affermare che esistono commesse di sistemi armati di aziende italiane per 4 miliardi di euro da parte dell'Emirato del Qatar, Paese che sicuramente non rispetta i diritti umani. Le aziende coinvolte sono Fincantieri e Finmeccanica. Ci chiediamo quanto questa continua violazione della legge n. 185 del 1990, che di fatto vietava un commercio di armi verso Paesi che violano i diritti umani, sia un requisito che si può considerare di efficienza per l'attuazione dell'Agenda 2030. Ci troviamo di fronte a una contraddizione aperta.
  Poi c'è la tematica ambientale. Recentemente Stefano Manservisi, che attualmente è direttore generale per lo sviluppo e la cooperazione internazionale della Commissione europea, in un'intervista ha affermato: «Non si possono aiutare i Paesi in via di sviluppo a trasformare il loro modo di produrre, a ridurre le emissioni di CO2, ad avere accesso a energia pulita, per poi continuare noi stessi a formulare politiche che non vanno nella stessa direzione». Le recenti vicende correlate al referendum sulle trivelle confermano che l'Italia da questo punto di vista non esprime ancora tanta coerenza.
  Ancora, ci poniamo una domanda sull'Obiettivo SDG 17, su cui, fra l'altro, la legge di bilancio ha anche mancato di soffermarsi. È stato proposto un documento di analisi della legge di bilancio proprio in relazione agli SDG. Sul 17 pare che non ci sia stata una grossa espressione circa la necessità di un partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile. Quello che, a nostro avviso, manca è anche un modello culturale. Quale modello culturale di crescita comunitaria stiamo portando avanti? Che cosa stiamo continuando ad affermare?
  Recentemente è stato pubblicato un saggio di Pankaj Mishra, L'età della rabbia, che spiega molto bene quello che sta accadendo nell'ultimo periodo, dalla Brexit fino alle elezioni americane. In una recente intervista sul suo saggio ha ricordato quanto ha detto Herzen: «Quella occidentale è la civiltà di una minoranza privilegiata: un “banchetto della vita” dove le masse sono “commensali non invitati”, esclusi od oppressi».
  Ricordiamo che il tema dello sviluppo sostenibile veniva introdotto dalla Commissione Gro Harlem Brundtland nel 1987. Sono passati trent'anni da quando questi concetti sono stati introdotti, da quando si è cominciato a dire che lo sviluppo deve fondarsi non semplicemente sul PIL, ma sul concetto di benessere e di autonomia. Ci sembra che continuiamo ad andare avanti con le parole, ma non con i fatti.
  Ci appelliamo qui ai valori del SaD, in cui il concetto di solidarietà o di eusocialità non è tanto un concetto teorico o attinente alla sfera della filosofia morale, ma significa Pag. 11 parlare di sopravvivenza del pianeta significa, in questo momento storico, ancor di più nell'ultimo anno di attentati terroristici. Ci aspettiamo che il Governo italiano ci metta a conoscenza di come voglia attuare l'Agenda 2030 nella politica nazionale e nella politica internazionale.

  PRESIDENTE. Ringrazio per l'esposizione. Si è parlato di moltissimi temi. Prima di accennare qualcosa, chiedo se la collega Locatelli vuole intervenire.

  PIA ELDA LOCATELLI. Intervengono brevemente, dopo questi quattro – partendo dal primo – interventi molto ricchi e molto stimolanti.
  Intanto volevo ricordare che, condividendo il fatto che il sostegno a distanza è una modalità di cooperazione allo sviluppo, ahimè, nel luglio 2014 avevo presentato un ordine del giorno che chiedeva di impegnare il Governo a valutare la possibilità che questo tipo di attività, ossia questo sostegno a distanza, venisse considerato strumento di cooperazione internazionale e di collaborazione con le ambasciate.
  Sono passati due anni e mezzo. Lo ricordo perché questo impegno era stato approvato. Certo, era la valutazione di una possibilità e di un'opportunità. È ancora lì. Come ha detto il presidente del ForumSaD nel secondo intervento, siamo ancora nella situazione di non inclusione di questo aspetto, perché siamo ancora appesi alla legge precedente alla n. 125. Dobbiamo sbloccare questa situazione.
  Mi chiedo, presidente, se, come Comitato, non possiamo fare una sollecitazione al Governo perché attui o ci dia una risposta rispetto alla sua valutazione di opportunità su questo argomento.
  C'è un altro impegno che possiamo considerare. Ci sono mille criticità ma poi concretamente valutiamo quello che noi, come Comitato, possiamo fare. Il presidente ha espresso una preoccupazione dopo aver visto che il Consiglio nazionale non si riunisce da un anno. Oggettivamente un anno di inattività può creare questa preoccupazione. Il presidente, però, ne ha espressa un'altra, ossia che la Conferenza pubblica, che è prevista ogni tre anni, faccia la stessa fine.
  Se non mi sbaglio, la Conferenza pubblica dovrebbe essere organizzata entro quest'anno. Un'altra sollecitazione che possiamo fare al Viceministro competente – mi pare che sia il Viceministro Giro – è ricordargli che questo impegno va assolutamente rispettato, perché è dentro la legge. Non possiamo dire che non è previsto e che, quindi, non si fa.
  Di fronte al grosso problema delle migrazioni, con tutte le sfaccettature e con tutti i problemi sollevati da Corrado Oppedisano e con le preoccupazioni che noi abbiamo dopo aver visto come sono andati gli Obiettivi del Millennio rispetto ai nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile, non vorremmo rischiare di ritrovarci alla fine del periodo previsto con le cose fatte a metà, o forse ancor meno.
  Credo che noi, come Comitato, possiamo prenderci questo impegno. Poi sulle politiche più larghe faremo quello che possiamo fare. Non siamo affetti da deliri di onnipotenza, ma un impegno a fare in modo che le cose vadano nella giusta direzione credo che lo possiamo assumere.

  PRESIDENTE. Assolutamente, anche perché ricordo che l'audizione svolta da questo Comitato rientra nell'ambito di un'indagine conoscitiva. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che, attraverso questa indagine, verrà poi redatto un testo nel quale ci saranno anche le criticità che, attraverso le varie audizioni che abbiamo portato avanti, sono state sollevate. Purtroppo, per quanto riguarda l'applicazione della legge n. 125 del 2014 sono state molte.
  Ovviamente, come funzione legislativa, il nostro compito l'abbiamo svolto. Non voglio assolutamente scaricare le responsabilità, però, nel momento in cui la legge n. 125 è stata approvata, spetta poi al Governo portare avanti tutte le azioni necessarie proprio per l'attuazione di questa nuova legge.
  Ovviamente, però, è anche nostro compito segnalare, attraverso indagini conoscitive e attraverso testi e atti, cosa possiamo portare avanti per esercitare quella giusta Pag. 12pressione che ogni Parlamento deve esercitare nei confronti del Governo.
  Sono stati moltissimi i punti toccati. Indubbiamente la questione migranti associata all'Obiettivo n. 16 credo sia quella più sensibile. Ricordo che proprio la settimana scorsa in questa Commissione si è svolto un question time nel quale si chiedeva al Viceministro Giro in che modo fosse possibile che l'Italia continuasse a esportare armamenti all'Arabia Saudita, che – ricordo – sta bombardando lo Yemen da diciannove mesi e sta creando tantissime vittime civili.
  Noi continuiamo a chiedere questo, anche perché si va contro la legge n. 185 del 1990. La risposta è stata che l'ONU sostiene ancora che si tratta di un Paese che per noi va bene. In poche parole, finché l'ONU non ci dirà che è un Paese di quelli «cattivi» possiamo portare avanti il nostro export. A questo punto, allora, togliamo direttamente la legge, se deve essere così. Questa, però, è una riflessione mia personale.
  La questione dell'accaparramento di terre, il cosiddetto land grabbing, è una problematica che anche in Commissione è stata affrontata attraverso una risoluzione che è stata approvata all'unanimità. Probabilmente anche in questo caso potremmo fare pressione sul Governo, perché è tutto correlato, ovviamente. Se abbiamo accaparramento di terre, indubbiamente poi ci ritroviamo, dall'altra parte, un fenomeno migratorio o anche conflitti in varie aree geopolitiche, anche molto delicate. Questo è un tema che è stato affrontato ed è stato anche approvato, proprio all'unanimità da parte della Commissione affari esteri. Ricordo perfettamente che la votazione è stata unanime.
  Dico questo per evidenziare che, nonostante opposizione e maggioranza, ci sono degli intenti e dei punti in comune. Indubbiamente la questione dell'Agenda 2030 è uno di questi. È uno di quei pochi punti sui quali siamo molto concordi, sia maggioranza, sia opposizione. Ovviamente, possiamo portare avanti gli atti. Sono sicura che a conclusione di questa indagine conoscitiva ci sarà un documento che verrà votato in Commissione e nel quale verranno specificate tutte le criticità che avete sollevato.
  Ringrazio veramente le persone che sono intervenute e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.30.