Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI D'ARMA DESTINATI ALLA DIFESA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI DICEMBRE 2013
Audizione dell'ambasciatore Gabriele Checchia, Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico.
Vito Elio , Presidente ... 2
Checchia Gabriele , Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico ... 2
Vito Elio , Presidente ... 7
Garofani Francesco Saverio (PD) ... 7
Cirielli Edmondo (FdI) ... 8
Vito Elio , Presidente ... 8
Checchia Gabriele , Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico ... 8
Vito Elio , Presidente ... 11
Duranti Donatella (SEL) ... 11
Frusone Luca (M5S) ... 12
Checchia Gabriele , Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico ... 12
Frusone Luca (M5S) ... 12
Checchia Gabriele , Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico ... 12
Frusone Luca (M5S) ... 12
Basilio Tatiana (M5S) ... 12
Checchia Gabriele , Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico ... 12
Basilio Tatiana (M5S) ... 12
Checchia Gabriele , Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico ... 13
Basilio Tatiana (M5S) ... 13
Vito Elio , Presidente ... 13
Checchia Gabriele , Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico ... 13
Vito Elio , Presidente ... 17
Audizione dell'ambasciatore Alessandro Cortese, Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza (COPS) dell'UE:
Vito Elio , Presidente ... 17
Cortese Alessandro , Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza (COPS) dell'UE ... 17
Vito Elio , Presidente ... 23
Villecco Calipari Rosa Maria (PD) ... 23
Basilio Tatiana (M5S) ... 25
Frusone Luca (M5S) ... 25
Garofani Francesco Saverio (PD) ... 26
Vito Elio , Presidente ... 26
Cortese Alessandro , Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza (COPS) dell'UE ... 26
Vito Elio , Presidente ... 28
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ELIO VITO
La seduta comincia alle 10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati e la diretta televisiva sulla web-tv del sito Internet della Camera dei deputati.
Audizione dell'ambasciatore Gabriele Checchia, Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del prossimo Consiglio europeo di dicembre 2013, l'audizione dell'ambasciatore Gabriele Checchia, Rappresentante Permanente dell'Italia presso il Consiglio Atlantico.
Segnalo ai colleghi che, dopo l'intervento dell'ambasciatore, cui do il benvenuto e che ringrazio per la sua disponibilità, potrà avere luogo un primo ciclo di domande e, eventualmente, dopo la replica, se necessario, un secondo ciclo di interventi e quesiti.
Colgo anche l'occasione per ringraziare, a nome di tutta la Commissione, l'ambasciatore Checchia, che ieri ci ha trasmesso il testo del suo intervento introduttivo, inoltrato a tutti i membri della Commissione per posta elettronica.
L'ambasciatore ha facilitato in questo modo il nostro lavoro di stamattina contribuendo a rendere più mirato il confronto sui temi dell'indagine. Ciò, inoltre, consentirà a tutti i colleghi, anche a coloro che sono impossibilitati a partecipare alla seduta odierna, di conoscere il testo del suo intervento.
Saluto e ringrazio, infine, il colonnello Giovanni Cappai, capo dell'Ufficio armamenti della nostra Rappresentanza a Bruxelles, e il dottor Alberto Dal Degan, dell'Ufficio per i rapporti col Parlamento della Farnesina.
Do la parola all'ambasciatore perché illustri, come riterrà, l'intervento che ci ha già trasmesso ieri.
GABRIELE CHECCHIA, Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico. Considero un onore essere qui oggi con voi, con Lei, presidente, e con i suoi colleghi onorevoli. Ringrazio anche i miei collaboratori per avermi voluto accompagnare in quest'audizione.
Come ha già sottolineato, l'intervento trasmesso ieri intendeva facilitare il dibattito e il ciclo di domande e risposte della sessione odierna. Ritengo, dunque, che non sia necessario leggere la relazione nella sua interezza. Mi limiterei a cogliere alcuni aspetti che mi sembrano qualificanti e, se sarò in grado di farlo, tentare di rispondere ai vostri quesiti.
Nella relazione, che riflette anche la concertazione che abbiamo avviato tramite la Rappresentanza a Bruxelles, ovviamente con i colleghi della Farnesina e con il Ministero della difesa, si cerca di offrire un affresco di quali siano i momenti significativi della NATO in profonda trasformazione.
Essa inizia, infatti, rilevando come la NATO sia entrata in una fase di riconsiderazione Pag. 3di se stessa e del proprio ruolo e indica i motivi per cui tale ripensamento dell'Alleanza – che non vuol dire abbandono dei princìpi fondatori, semmai riequilibrio dei valori all'origine dell'Alleanza con le nuove missioni che la NATO stessa deve darsi – nasca da mutamenti geopolitici a tutti noti, tra cui il primo è rappresentato dall'oggettivo spostamento della prioritaria attenzione americana verso lo scacchiere asiatico. È chiaro che altri scacchieri restano centrali – ad esempio, Europa e Medioriente, come vediamo in questi giorni – ma nel medio-lungo periodo tutto induce a ritenere che l'attenzione statunitense si proietterà sempre più verso lo scacchiere asiatico.
Per quanto riguarda l'approccio politico militare dell'Alleanza, è ovvio che la visione di una NATO centrata esclusivamente sull'esigenza di far fronte a una percepita minaccia dal blocco allora sovietico non può più essere credibile a fronte di un completo mutamento del quadro geopolitico in Europa. Anche la NATO, dunque, deve entrare in una fase che è più quella di un attore politico globale per il consolidamento della sicurezza e della pace che non quella di un'alleanza con un compito preciso, come era invece il caso negli anni di debutto dell'Alleanza atlantica.
A fronte di questo mutamento di compiti, nella fedeltà ai princìpi fondatori e all'articolo 5, cuore dell'Alleanza, con il principio di difesa collettiva, si sta aprendo una fase di ripensamento di come la NATO possa diventare sempre più attore politico in sinergia con le Nazioni Unite e con gli altri organismi multilaterali per assicurare, nelle varie aree, condizioni di pace, di rispetto della dignità degli individui e, ovviamente, per evitare che le minacce alla sicurezza internazionale superino il punto di non ritorno.
Un altro passaggio che va tenuto presente e che l'intervento cerca di lumeggiare è che, con la chiusura prevista e prossima ormai dell'operazione ISAF, l'Alleanza – architrave dell'operazione nonostante sul terreno i Paesi presenti siano circa 50 dal momento che molti sono i partner – terminerà il periodo delle operazioni, quindi con un dispiegamento mirato e legato a una missione precisa in teatri lontani, e dovrà entrare in una fase nuova, che dovrà consentire all'Alleanza di restare preparata a far fronte a nuove sfide, a nuove necessità di dispiegamento, pur non avendo una missione in atto da assolvere, legata a crisi reali.
È quello che si chiama, nel nuovo concetto strategico del 2010, il passaggio dalla fase del dispiegamento, del deployment, alla fase che il Segretario generale caratterizza con tre parole chiave e, a mio avviso, chiare: preparedness, deployability, ossia capacità di dispiegamento rapido, e, terzo elemento importantissimo, interoperabilità delle forze. Si tratta, quindi, di una NATO che deve restare pronta a rispondere anche a una sollecitazione immediata. È una sfida complessa, che ovviamente obbliga tutti gli alleati a una riflessione a 28, con sfumature interessanti da cogliere e che vorrei condividere con voi.
Come si accenna nell'intervento, per esempio, è evidente dal dibattito in corso che i Paesi di più recente adesione – ossia quelli dell'ex Patto di Varsavia, da quelli baltici a quelli dell'Europa centrale – che hanno ancora fresco nella memoria il periodo di oppressione sovietica, tendono a considerare, in questo riequilibrio all'interno dei compiti dell'alleanza, l'articolo 5 come il cardine, il pilastro di gran lunga prioritario dell'Alleanza anche per il futuro.
In questi Paesi, a torto o a ragione, la percezione di un possibile riaffiorare dell'ingombrante vicino orientale resta vivo e bisogna rispettare queste sensibilità. Possiamo condividerle o meno, ma restano un dato di fatto. Tutta la discussione su come far sì che l'Alleanza vada oltre e si allarghi a sfere diverse dalla pura applicazione dell'articolo 5 è anche marcato da queste preoccupazioni di alcuni Paesi in particolare.
Altri Paesi, come la Francia o il Regno Unito, sono invece pronti e disponibili – per gli Stati Uniti va da sé, naturalmente sono una potenza mondiale, così come, in Pag. 4certa misura, il Canada – a guardare a un'agenda globale più allargata ad altri scacchieri, tenendo anche presente che il trattato fondante dell'Alleanza parla di dimensione euro-atlantica. Ad alcuni alleati, quindi, va benissimo la zona europea, ma c’è ancora dimensione atlantica, per cui tendenzialmente la competenza dell'Alleanza può toccare aree anche molto lontane dall'Europa.
Questo dibattito, dunque, continuerà e devo dire che l'Italia anche in questo senso sta svolgendo da anni un ruolo molto attento di riequilibrio, di possibile ponte tra le varie sensibilità. Da un lato, infatti, stiamo offrendo segnali di attenzione, a mio avviso doverosi, verso le preoccupazione degli alleati più inquieti per possibili ritorni offensivi da est. Ne è un esempio il contributo importante che stiamo fornendo all’air policing, per il controllo aereo, sopra i cieli baltici e in Slovenia, ovviamente in maniera non antagonistica nei confronti della Russia, al cui apporto come partner strategico teniamo, anzi, moltissimo. Facciamo, però, capire a questi Paesi che siamo sensibili alle loro inquietudini.
Dall'altro lato, siamo da sempre tra coloro che ritengono che, con un mondo così cambiato, non ci si possa sottrarre ai cosiddetti impegni dell'Alleanza fuori area, quelli che li caratterizzano da vent'anni a questa parte, di stabilizzazione e, nella quasi totalità dei casi, in linea con un mandato onusiano. Parlo, per esempio, del Kosovo, dell'Afghanistan, di quella missione che la NATO condusse nel 1994 nella Bosnia, allora attraversata dalla tragedia che conosciamo.
Ci collochiamo, quindi, e continuiamo a collocarci come facilitatori di un riavvicinamento tra le posizioni, che – lo ribadisco – nel concetto strategico del 2010 trovano una splendida espressione a mio avviso anche redazionale, riconfermate nel 2012 dalle conclusioni dei vertici di Lisbona e Chicago.
Il terzo grande volet di una NATO che sta cambiando è, certamente, quella della sicurezza cooperativa. L'Alleanza ha capito, la storia l'ha obbligata a comprendere, così come ha fatto comprendere a tutte le nostre capitali, che la sicurezza ormai è indivisibile. Le crisi possono manifestarsi in un determinato scacchiere con impatti seri, anche sullo scacchiere euroatlantico. Bisogna, quindi, essere pronti a lavorare con altri attori anche lontani dalla sfera più ristretta dei membri dell'Alleanza. Si tratta della cosiddetta NATO dei partenariati.
È una NATO che trova nella rete di partenariati e di sicurezza cooperativa un modo di rilanciare e rinfrescare la propria identità. Parliamo di partenariati attivi con, in primo luogo, i Paesi dell'area mediterranea; c’è una rete che si struttura intorno al cosiddetto dialogo mediterraneo, che copre sostanzialmente i Paesi del Maghreb e Israele e c’è una rete che tocca i Paesi del Golfo, coi partenariati strategici e di più vecchia data con la Federazione Russa, con l'Ucraina, con la Georgia, attraverso consigli dedicati NATO-Russia, NATO-Ucraina, NATO-Georgia. È una NATO che si pone come interlocutore anche politico con attori in vari scacchieri, ma tutti sensibili.
Aggiungo – a conferma che non si tratta solo di voti dello spirito, ma si cerca di dare sostanza – che in questo senso, per esempio, con vari Paesi di area mediterranea, ma anche di area balcanica, la NATO è da anni, direi con successo da quanto ci dicono, impegnata nel promuovere una capacity building sul terreno della difesa, soprattutto con riferimento a un sistema in cui le forze armate siano sotto l'effettivo controllo del potere civile, o, nella stessa ottica, al disinnesco di mine inesplose o distruzione di arsenali di armi utilizzate in conflitti interni, ma che ora restano là accessibili a chiunque.
La NATO sta aiutando i governi di questi Paesi e anche di alcuni Paesi alleati, come l'Albania, a distruggere in sicurezza tutti questi arsenali. Non si tratta, dunque, solo di dichiarazioni di vertici, ma si cerca di andare sull'operativo.
L'ultimo sviluppo in questo senso che vorrei menzionare è la richiesta di assistenza rivolta mesi fa alla NATO da parte della nuova dirigenza libica di fornire Pag. 5assistenza sul terreno della capacity building e consentire alla Libia di dotarsi di forze armate in qualche misura in linea con gli standard europei o atlantici internazionalmente accettati.
Sono, chiaramente, operazioni molto complesse e l'Alleanza ha ragione a procedere con i piedi di piombo. Soprattutto, vuole essere certa che ci sia una richiesta condivisa dai governi che la formulano, che non sia l'espressione di una componente di quel governo o di certi settori della popolazione. Questo serve proprio a non entrare in un pantano, come purtroppo la storia invece ci insegna che è avvenuto in altri casi, a dimostrazione che si tratta di un'alleanza che si sta adattando e che vuole imparare a fare tesoro delle lezioni maturate in questi vent'anni nelle operazioni fuori area.
A questo proposito, lo stesso ambasciatore statunitense alla NATO mi ricordava, qualche giorno fa in una conversazione, come il primo vero partenariato avesse trovato espressione in Bosnia nel 1994 e un partner di quella prima ancora embrionale missione dell'Alleanza fu proprio la Federazione russa, come ricorderete.
I partenariati, quindi, sono anche un modo per tenere in maniera strutturale agganciata all'Alleanza e al dialogo con essa Paesi importanti che nell'ambito di alcuni dossier possono trovarsi, eventualmente, su posizioni non convergenti, per usare un eufemismo, con l'uno o l'altro alleato.
Esiste un quadro più ampio, attraverso il quale, per esempio, la Federazione Russa resta ancorata al dialogo con l'Alleanza atlantica al di là delle divergenze, speriamo destinate a non durare, con altri soggetti importanti dell'Alleanza.
Non è un caso che il 23 ottobre prossimo a Bruxelles, a margine della prossima riunione dei Ministri della difesa NATO, si terrà un'ulteriore sessione della sessione del Consiglio NATO-Russia a livello di Ministri della difesa. Mi sembra, in questo momento, un segnale significativo e anche rivelatore delle potenzialità dell'Alleanza.
È chiaro che, su tutto questo, si innesta, però, un dato di fondo che il Segretario generale della NATO non cessa di ricordare in ogni possibile occasione: siamo entrati in un mondo in cui le sfide sul terreno della sicurezza permangono, possono crescere – ce lo mostra la delicatissima vicenda siriana – ma spesso sono liquide, sfuggenti, non di immediato impatto per le opinioni pubbliche.
Il timore che si nutre in molte capitali dell'Alleanza e all'interno del Quartier generale è che questa percezione di un mondo più sicuro, in cui non si debba più aver paura di nulla, la famosa fine della storia, induca a una dismissione rapida, non coordinata e non giustificata di capacità di difesa invece molto importanti.
L'idea su cui si sta, quindi, lavorando – probabilmente, il Vertice atlantico di ottobre 2014 lavorerà su questo all'interno delle conclusioni – è di sviluppare una sorta di cosiddetta narrativa, che cerchi di far comprendere alle opinioni pubbliche perché, al contrario, è ancora importante dotarsi di capacità, seppur sostanzialmente difensive, da dispiegare in teatri dove la NATO fosse chiamata a operare e per le finalità di cui al concetto strategico e alle conclusioni del vertice.
Tali capacità sono state individuate al termine – vengo forse a qualcosa di più tecnico, alla luce del tema che mi è stato assegnato – del ciclo di pianificazione dell'Alleanza, il NATO Defense Planning Process, un processo molto complesso, che si svolge con l'apporto fondamentale del quartier generale di SHAPE, ma anche dei vari Ministeri della difesa, con revisioni annuali, biennali, triennali di queste dotazioni.
Si cerca di capire anche dove siano le carenze maggiori. Si è notato, ad esempio, che settori in cui bisogna evitare carenze o che sia solo un Paese in grado di fornire questi assetti, in genere gli Stati Uniti, sono quelli del rifornimento in volo, dell’intelligence, del monitoraggio dall'alto di certe aree complesse e sensibili e tutto quello che aiuta l'interoperabilità. Su queste aree capacitive si svilupperà un approfondimento per verificare in che misura, Pag. 6da parte degli alleati europei, si possa aiutare la NATO a dotarsi di assetti adeguati per le possibili sfide future.
Parlo di alleati europei perché un altro principio che si sta consolidando ed è legato a quell'idea di riorientamento verso l'Asia – il famoso pivot to Asia, parola astrusa che, però, parla dell'attenzione statunitense – fa sì che gli Stati Uniti, come vediamo da tanti segnali, in particolare con la presidenza Obama, molto attenta a non andare al di là dello stretto necessario in termini di impegni militari su teatri esteri, non intendono più farsi carico di oneri capacitivi superiori al 50 per cento per ogni capacità.
Questo comporta per l'Europa uno sforzo di riequilibrio: sino a oggi, per esempio, nei rifornimenti in volo di fatto gli assetti di cui disponiamo sono essenzialmente messi a disposizione da parte americana, in prospettiva questo non potrà più avvenire e bisognerà che l'Europa, nelle forme che gli alleati europei individueranno, riesca a sua volta a dotarsi di questi strumenti operativi, proprio in omaggio a questo principio.
Sul principio del 50 per cento si innesta quello del 2 per cento che ogni alleato dovrebbe, in prospettiva, destinare alle spese per la difesa. A oggi, sono pochissimi gli alleati europei che si attestano su questi livelli: se non erro, sono il Regno Unito, probabilmente uno dei Paesi baltici e credo la Grecia, il cui caso, però, credo rifletta anche situazioni di altra natura, non strettamente legate agli obiettivi dell'Alleanza.
Noi siamo al di sotto del 2 per cento. Stiamo cercando di supplire per restare credibili. Il peso nella NATO è un contributo oggettivo alla capacità negoziale dell'Italia su grandi teatri e su grandi dossier, magari non strettamente collegati a quelli dell'Alleanza.
È positivo che, pure a fronte di risorse limitate, di cui l'Italia, come altri Paesi europei in questo momento, sta soffrendo per la vicenda della crisi finanziaria che conosciamo, il nostro Paese sia comunque tra quelli che dall'esame multilaterale, quindi dai pari grado all'interno dell'Alleanza, sul raggiungimento dei target, degli obiettivi assegnati, da ultimo, dal Vertice di Chicago, è uscita bene. Abbiamo mostrato che ci siamo mossi con serietà, abbiamo cercato di «fare i compiti», come oggi si ama dire, tutto ovviamente con un ammontare di risorse insufficienti rispetto agli obiettivi che l'Alleanza si è data.
Tutti, – a Washington, a Bruxelles, al Quartier generale – sanno che in momenti così complessi le opinioni pubbliche devono capire perché vanno allocati più fondi per la difesa. È un obiettivo da raggiungere nel medio periodo, ma bisogna che resti nel radar, come dice il Segretario generale Rasmussen, interrompere il declino nelle spese destinate alla difesa, hold the line, mantenere il livello, ripartire con spese più mirate e non eccessive, ma funzionali agli obiettivi, se e non appena sarà possibile.
Il dato interessante è che, in riferimento a queste carenze capacitive – ne parlavo poco fa con il colonnello Cappai – talune coincidono con quelle individuate dall'Unione europea e di cui credo si sia parlato recentemente anche a Vilnius: per esempio, il rifornimento in volo, le capacità di intelligence, tutti gli strumenti di tecnologia sofisticata che aiutano a contrastare al meglio gli ordigni inesplosi, i cosiddetti improvised explosive device (IED).
Vorrei concludere su queste considerazioni su cui si sta lavorando, come il nostro stesso Governo, precisando che si può pensare di trovare con l'Unione europea una convergenza nell'ottimizzare i fondi disponibili. Considerando, infatti, che 22 dei Paesi membri dell'Alleanza atlantica sono anche membri dell'Unione europea, come io stesso dico al mio livello ai nostri ministri, a loro, i Parlamenti alla fine son quelli e di certo non voteranno due volte stanziamenti per uno stesso sistema d'arma o difensivo o anche di tutela delle nostre truppe dispiegate. Esiste, dunque, un'esigenza oggettiva di far convergere gli sforzi.
Il ciclo virtuoso che si potrebbe aprire, su cui si deve puntare – come ben sa anche il presidente Vito, essendo stato da Pag. 7poco a Vilnius – è questa rarissima opportunità offerta dal Consiglio europeo di dicembre sulla difesa e dal Vertice atlantico dell'ottobre 2014, di cui sono quasi acquisiti data e svolgimento, che dovrebbe consentire a questi due organismi, che da tempo si parlano e interagiscono ma ancora su percorsi un po’ paralleli, di valorizzare i passi avanti che ci si augura si possano compiere di qui a dodici mesi, quanto meno sul terreno della convergenza nell'individuazione delle principali aree di crisi e degli strumenti per far fronte anche attraverso tecnologie adeguate.
È chiaro, per quanto riguarda l'Alleanza atlantica ma anche l'Unione europea, che la ricerca tecnologica necessaria per ottenere questi equipaggiamenti si potrà sviluppare in vario modo, non necessariamente con fondi comuni della NATO, ma si potrà valorizzare, come sta già avvenendo, con collaborazioni multinazionali tra Paesi più orientati a sviluppare insieme un certo sistema d'arma.
Questo può valere per l'Alleanza atlantica, nella cosiddetta smart defense, difesa intelligente, ma nel senso dell'ottimizzazione delle poche risorse disponibili, e deve valere sul versante europeo attraverso l'esercizio di pooling and sharing.
È chiaro che, per ora, i processi decisionali dovranno restare diversi. Vi sono troppe complessità nel modificare il quadro giuridico della collaborazione NATO-Unione europea. Tutti le conosciamo, a cominciare dal problema posto dalla Turchia, che ha tanta posta in gioco, Paese membro dell'Alleanza e non dell'Unione europea: è inutile che spieghi a voi perché questo rende complesso modificare il quadro giuridico del Berlin-Plus a suo tempo definito e che fissa i paletti per la cooperazione NATO-Unione europea.
In prospettiva, però, perché chiudere la porta alla speranza ? Si potrebbe anche compiere qualche passo avanti in caso si superassero le difficoltà che a oggi non lo consentono come vorremmo. Bisogna procedere in maniera anglosassone, pragmatica, sapendo che esiste un obiettivo condiviso e che esistono ostacoli di natura giuridica, ma questo non deve impedirci di andare avanti. Potrei continuare, ma mi fermerò perché forse ho già preso troppo tempo e di questo mi scuso. Ci tenevo, però, a lumeggiarvi un po’ il taglio della relazione e anche a introdurre qualche elemento a margine che potesse esservi utile.
PRESIDENTE. Ringrazio molto l'ambasciatore per la competenza e l'ampiezza della sua relazione.
Come avrà modo di constatare dagli interventi dei colleghi, ma anche dal prosieguo della nostra attività, la Commissione difesa intende seguire con particolare attenzione il vostro lavoro a Bruxelles presso l'Alleanza atlantica. Credo che possiate già sapere, nel vostro lavoro svolto in Rappresentanza dell'Italia, che potete contare, in Parlamento, su un interlocutore attento e – naturalmente, nel rispetto dei reciproci ruoli istituzionali – anche su un interlocutore che intende porsi come base collaborativa rispetto alle esigenze comuni di rappresentare al meglio gli interessi generali del nostro Paese nella comunità internazionale.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Poi decideremo se preferisce rispondere singolarmente ai colleghi o replicare alla fine ascoltati tutti gli interventi.
FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Ringrazio l'ambasciatore per la puntualità della sua relazione e per averci voluto fornire in anticipo la relazione che ha esposto a questa Commissione in maniera esauriente e che forse non richiederebbe ulteriori interventi da parte nostra.
Vorrei soffermarmi, avendo presentato nella scorsa legislatura una proposta di legge quadro sulle missioni internazionali, sul tema che rappresenta un po’ il centro della sua riflessione, ossia il cambiamento strategico, questo spostamento ad est del baricentro dell'attenzione americana, con tutto ciò che ne consegue per quanto riguarda l'azione dell'Alleanza.
Mi chiedo se nel prossimo futuro non occorrerà riflettere sulle modalità degli Pag. 8interventi che ci hanno coinvolto negli ultimi anni, a cominciare dalla missione in Afghanistan, ma anche in altre situazioni. Si tratta di missioni che durano troppo a lungo. Si sa quando si entra e non si sa più quando si può uscire da questi teatri. La missione in Afghanistan sta ormai raggiungendo i dodici anni. Altre missioni sono durate anche più a lungo.
Credo che questo sia un problema che pone degli interrogativi molto seri. Sappiamo come entrare in uno scenario di crisi, non sappiamo più come uscirne. Questo riguarda, probabilmente, anche la debolezza della politica, non sufficientemente forte per affiancare l'azione militare. Tuttavia, pone anche un problema strategico.
Credo che nel prossimo futuro, anche per le conseguenze relative alla crisi finanziaria di cui ha parlato e che pesa in maniera molto forte nelle scelte dei singoli Paesi, questo tipo di approccio dovrà essere necessariamente modificato.
Per quanto riguarda il nostro Paese, Le chiedo se non sarà necessario, anche in questo caso, un cambio di orizzonte, una specializzazione più precisa, una riduzione del raggio della nostra capacità operativa e di intervento in una suddivisione di ruoli con gli altri Paesi, soprattutto nell'ambito dell'operatività europea. Mi chiedo se lo scenario che ci ha illustrato, con i cambiamenti che incombono, non richieda a tutti i Paesi, e quindi anche all'Italia, una ridefinizione della loro capacità operativa e, forse, anche una restrizione del raggio di operatività.
EDMONDO CIRIELLI. Mi scuso, innanzitutto, per non avere ascoltato dall'inizio l'audizione, ma leggerò poi attentamente il resoconto. La ringrazio della presenza e anche del lavoro che so Lei ha svolto, sia in Libano, come ambasciatore, in un momento delicato, sia ovviamente adesso, nel più prestigioso incarico presso il Consiglio atlantico.
Vorrei porre due domande soltanto. Credo che, ovviamente, una di queste non sia stata trattata, ma mi interessa sapere se nell'ambito del Consiglio atlantico sia mai stato posto il problema del caso dei marò, atteso che comunque una nave che batte bandiera italiana in acque internazionali è considerato territorio italiano e – quindi, se non sbaglio – ai sensi dell'articolo 5 del Trattato un'azione contro il territorio nazionale dovrebbe impegnare tutti gli alleati.
Inoltre, non so se ha parlato della vicenda della Siria. Mi è sembrato, da osservatore esterno, che il problema fosse essenzialmente rappresentato dal fatto che gli americani, ma in generale la NATO, siano rimasti un po’ fuori dal dibattito. A mio avviso, gli alleati, la Francia, gli Stati Uniti, prima di avventurarsi in dichiarazioni, dovrebbero pesare argomenti così delicati, che peraltro in qualche maniera ci tirano per i capelli.
Si è parlato in Aula – penso che Lei abbia ascoltato – non soltanto del problema dell'uso delle basi, ma anche indirettamente di un appoggio militare, che si può offrire tramite i sistemi di difesa elettronica delle navi, degli aerei, dei radar, per cui si può partecipare in tanti modi. È evidente che, se gli alleati si impegnano in un bombardamento o, peggio ancora, ci trascinano in un conflitto più ampio, non possiamo stare a guardare.
Vorrei comprendere meglio le dinamiche, ossia se questo tema è stato affrontato; se lo è stato, come e se non lo è stato, perché.
PRESIDENTE. Do la parola all'ambasciatore per la replica a questi primi due interventi.
GABRIELE CHECCHIA, Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico. Innanzitutto, inizierei dalla domanda complessa, importante e lucida dell'onorevole Garofani sul futuro delle nostre missioni.
Sicuramente – come ho potuto anche percepire dalla mia pregressa esperienza di ambasciatore in Libano, a cui si riferiva l'onorevole Cirielli – il problema del termine della data ad quem delle missioni è cruciale.
Purtroppo, temo che a oggi non ci siano ricette valide per ogni missione. Prima di Pag. 9avviare o di dare l'assenso alla partecipazione a una missione, ci si deve porre, come voi fate a livello politico, il problema di immaginare quali potrebbero essere gli scenari. Non credo, però, nel momento in cui ci mettiamo in causa, soprattutto all'interno di un'alleanza, dell'Unione europea, delle Nazioni Unite o di altro organismo sovranazionale, che dichiarare che usciremo di lì a otto o sedici mesi aiuterebbe la credibilità internazionale del Paese.
Ovviamente, facciamo parte di alleanze e siamo membri dell'Unione europea, ma ammesso che teoricamente la data limite si possa incorporare in futuro nei nostri assensi o dinieghi di partecipare a missioni, questa andrebbe concertata e condivisa con gli alleati.
Indubbiamente, però, è un problema di estrema delicatezza. Purtroppo, il motivo per cui si decide, a volte, di intervenire in una missione di pace – preciso che si tratta di una mia riflessione – è proprio ciò che impedisce di fissare la data di uscita. Se si capisce, infatti, che si deve intervenire, vuol dire che la situazione è talmente complessa e dagli sviluppi talmente poco prevedibili, che dichiarare di intervenire, cercando di evitare il peggio, ma con la precisazione che da lì a un anno e mezzo, se non si realizzeranno date condizioni, si lascerà la missione ne inficerebbe, a mio avviso, il significato stesso della missione.
Direi – facendo un'analogia con la fisica, per quel poco che mi porto dietro dagli ormai lontani studi liceali – che è chiamato in causa il principio di indeterminazione di Heisenberg: l'osservatore incide sull'oggetto che sta osservando. Credo che un po’ valga per la partecipazione alle missioni. La stessa premessa preventiva sui tempi dell'uscita da una missione altera la credibilità e il peso specifico della missione.
Se per UNIFIL – missione cui sono umanamente, per tanti motivi, fortemente legato – e anche con UNIFIL 2 avessimo detto che rafforzavamo con la presenza italiana, dotandola di una componente anche navale, come di fatto sta avvenendo, sempre comunque in concertazione con gli alleati, ma aggiungendo che nel 2017 ne saremmo usciti, non credo che avremmo accentuato la credibilità della nostra presenza sui terreni e l'effetto deterrente della missione.
Bisogna, però, far capire a tutte le parti in conflitto e che giustificano la forza, per esempio, di interposizione, che la presenza non sarà comunque a tempo indeterminato. Infatti, lasciando, per così dire, planare qualche incertezza sulla durata della presenza, in certi momenti si può incitare l'uno o l'altra parte a essere più flessibile, rendendole consapevoli che, in assenza della forza internazionale, magari si troverebbero nuovamente esposte al fuoco o all'ostilità dell'altra parte. La immaginerei, però, più come minaccia di natura politica e un po’ retorica che non come qualcosa che si può far sapere dall'inizio.
Resta il fatto che quello dell'uscita è un grande problema. La missione in Kosovo, ad esempio, sta avendo successo, direi che nei fatti si sta profilando, in prospettiva, un possibile completamento della missione. Non parlo di oggi perché le criticità sul terreno restano, ma certamente la valutazione politica regolare che si fa sulle missioni dovrà includere l'eventualità che si rafforzino ancor più i segnali positivi.
Immaginiamo che il negoziato di adesione della Serbia all'Unione europea prenda, effettivamente, una bella velocità e il Kosovo si doti di una statualità forte e sempre più in linea con i parametri internazionali più elevati. Ebbene, tutto questo porterà i Parlamenti, per primi, a decidere che si hanno le condizioni per proporre, di qui a una certa data, agli alleati, ai partner, onusiani, europei, NATO, di ragionare insieme su se, come e quando porre termine alla missione.
Questa è un po’ la mia visione. Non ho una ricetta, ma anche a mio parere una riflessione su quanto ha osservato l'onorevole Garofani va sempre tenuta presente e deve restare una componente fondamentale delle riflessioni, magari non esplicitata, ma in testa.
Sempre in merito al Kosovo, avrei dovuto parlarvi prima delle potenzialità Pag. 10del rapporto NATO-Unione europea. Come forse saprete, il successo, facilitato dall'Alto rappresentante, Lady Ashton, del negoziato tra Belgrado e Pristina che ha portato agli sviluppi positivi di cui tutti ci rallegriamo e in atto ormai da qualche mese nei rapporti tra i due soggetti, è stato senza dubbio facilitato dall'importante ruolo svolto a latere dall'Alleanza atlantica.
Questa ha, infatti, fornito alle comunità non kosovare del nord del Kosovo la garanzia che KFOR sarebbe restata sino a che la situazione non si fosse definitivamente chiarita, e che un dispiegamento nel nord del Kosovo, dove ci sono dunque anche le comunità serbo-kosovare, delle forze di sicurezza kosovare, sarebbe potuto avvenire solo previo avallo del comando di KFOR.
Questo ha rassicurato gli elementi più intransigenti della componente serba nel nord del Kosovo, aprendo la strada a un via libera di Belgrado all'intesa che in altre condizioni, probabilmente, sarebbe arrivato comunque, ma avrebbe richiesto più tempo. Mi fermo qui perché la sua domanda è talmente complessa che non ho veramente una risposta che possa essere considerata la risposta con la maiuscola.
Anche a me, onorevole Cirielli, fa molto piacere rivederLa. Anche Lei mi pone due quesiti di grande complessità e temo possano andare un po’ al di là delle mie capacità di analisi. Per quanto riguarda la vicenda dei Marò, posso assicurarle che io stesso, su istruzione del mio ministero, ho esplicitato alle figure di vertice dell'Alleanza che non consideriamo quella una vicenda bilaterale, come talune capitali e anche taluni alleati, di cui gli ambasciatori naturalmente, espressione in Europa nell'Alleanza atlantica, in ambito onusiano tendevano ad accreditare.
Ho spiegato ai livelli più alti dell'Alleanza, in ripetuti colloqui avuti sull'argomento, che ritenevamo che si trattasse di un problema di natura multilaterale, che toccava la stessa credibilità del contrasto alla pirateria, nel quale la NATO è, con il nostro apporto, come sa, impegnata.
Ho trasmesso questo messaggio anche a un certo numero di colleghi e ho avuto occasione di farlo presente anche in sessioni plenarie del Consiglio atlantico. Devo dire, senza poter entrare nel dettaglio, che questi messaggi sono stati recepiti dai vertici dell'Alleanza e io so che ci sono stati, nei mesi scorsi, dei segnali chiari veicolati alla parte indiana. Ripeto, però, che oggi sono qui essenzialmente per parlare di questioni legate al mio incarico specifico.
Ovviamente, sulla vicenda dei nostri due fucilieri la mia attenzione a titolo di cittadino italiano, come quella di tutti voi, è costante e ferma. Sappiamo che questo Governo, come i precedenti, è fortemente impegnato. Mi auguro e ci auguriamo tutti, quindi, che possa presto trovare soluzioni. Ribadisco che ho fatto comprendere su istruzioni ai vertici dell'Alleanza che la questione non poteva essere derubricata a questione bilaterale per i motivi che loro mi sono parsi ben comprendere.
Venendo al tema della Siria, se n’è parlato in Alleanza, ma sotto due versanti. L'Alleanza è, comunque, in qualche modo già toccata dal dramma siriano e in questo contesto rientra il dispiegamento ormai da tanto tempo di batterie di missili Patriot al confine turco-siriano.
Il dispiegamento è avvenuto su richiesta della Turchia, grande alleato della NATO, Paese importante in una zona sensibile, sulla base della consultazione tra alleati prevista dall'articolo 4, per cui ogni alleato che percepisca situazioni di crisi o minacce può chiedere all'Alleanza di avere un dibattito sul tema che ritiene di sottoporre all'attenzione delle parti. Le parti si consultano, infatti, quando, secondo il giudizio di una di esse, ritengano che l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o la sicurezza – soprattutto in questo caso – di una di esse siano minacciate.
Ne è derivata una decisione dell'Alleanza di dare il via libera politico al dispiegamento di missili Patriot, che non avviene, però, in applicazione dell'articolo 5, ma in una maniera più «sfumata», ma non meno efficace, della disponibilità offerta da tre alleati, Stati Uniti, Germania Pag. 11e Olanda, di porre le proprie batterie di Patriot, a valere dunque sulle loro dotazioni, al confine turco-siriano.
Il tema fa, dunque, parte della discussione in corso e resta regolarmente sotto revisione, per cui ci sono aggiornamenti regolari sulla situazione al confine, su come si stiano muovendo gli uomini dispiegati sul terreno.
Sul tema più complessivo, si è anche parlato delle prospettive della crisi, ma se ne continua ancora a parlare in termini di quella che si chiama nel linguaggio NATO situational awareness, consapevolezza di situazione, cioè nei termini della misura in cui la vicenda potrebbe avere ulteriori implicazioni per l'Alleanza, portare a un impatto ancora maggiore di quello già serio che deriva per la Turchia dall'essere Paese di confine con la Siria. Se ne continuerà a parlare in questo senso.
Se ha potuto leggere le dichiarazioni anche recenti del Segretario generale Rasmussen, di una decina di giorni fa, avrà notato che fa proprie la condanna del terribile uso fatto di armi chimiche e la necessità di una risposta, ma parla anche di un processo di discussione politica in seno all'Alleanza e dell'opportunità o meno di una risposta immediata si esprime come ex primo ministro danese. Non è un caso e riflette anche gli argomenti che abbiamo fatto valere.
Ripeto ancora una volta, semplicemente come espressione della capitale, dunque del mio Governo, che ho ribadito la posizione italiana, la quale suscita forte apprezzamento anche in chi non la condivide e vorrebbe essere un po’ più muscolare, cioè la condanna all'uso inaccettabile, barbaro di armi chimiche contro civili inermi, il sostegno al processo politico, la condivisione degli sforzi in atto, la necessità di porre, appena possibile, in sicurezza questi arsenali. L'Italia, tuttavia, non potrà partecipare a eventuali operazioni in assenza di un mandato onusiano. Non siamo soli. Sotto questo profilo, siamo in eccellente e nutrita compagnia.
È stato, dunque, già affrontato come tema di discussione politica nei dibattiti dell'Alleanza, continuerà a esserlo come situational awareness nel quadro, appunto, della discussione politica come attenzione particolare al dossier turco e dispiegamento dei Patriot a protezione della Turchia sotto il profilo più operativo, e dunque con il coinvolgimento delle autorità militari di SHAPE, che ci aggiornano sugli aspetti più tecnici.
Parliamo, quindi, di un'Alleanza che dà prova, a mio avviso, di senso di responsabilità e rispetto puntuale dei limiti che il Trattato fondante pone all'azione e agli interventi dell'Alleanza in assenza di un mandato delle Nazioni Unite.
PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore anche per avere cortesemente ed esaurientemente risposto a domande che confinano con i temi oggetto della nostra audizione.
DONATELLA DURANTI. Ringrazio il signor ambasciatore per essere qui stamattina, nonché per la disponibilità e la relazione molto interessante ed esauriente.
Anche sulla scia delle domande del collega Garofani a proposito delle missioni, in particolare con riferimento a quella in Afghanistan e a una sua affermazione sulla condivisione della data di uscita che credo di aver compreso bene – altrimenti, me ne scuso –, vorrei chiederLe come spiega che, rispetto alla fase resolute support, solo l'Italia e la Germania abbiano deciso di rimanere sul campo.
Vorrei sapere in che maniera questa decisione è stata condivisa con i partner europei, fermo restando che si tratterà, nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, di discutere attentamente nel decreto-legge di rifinanziamento delle missioni internazionali della nostra presenza in Afghanistan e del bilancio di una missione che, come è stato detto, dura da dodici anni, ma su cui c’è poca trasparenza. Non si comprende, infatti, bene quali siano i risultati anche in termini di ricostruzione di quel Paese.
Non c’è trasparenza e chiarezza, per esempio, sul numero delle vittime e penso che bisognerà discutere anche di questo. A nostro giudizio, infatti, in Afghanistan si Pag. 12può stare in un altro modo. Evidentemente, non si tratta di abbandonare il popolo afgano, ma l'Italia può avere in quell'area un ruolo dal punto di vista della cooperazione civile, aspetto che mi pare invece in questi anni sia stato assolutamente sottovalutato.
Inoltre, quest'audizione avviene nella cornice dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma. Lei ci ha rappresentato il mutamento di uno scenario globale, un nuovo quadro geopolitico, di cui sentiamo parlare spesso e siamo consapevoli di alcuni mutamenti. Mi sembra, però, di capire che anche Lei, signor ambasciatore, da questo fa discendere la necessità di aumentare le capacità militari e, quindi, anche di aumentare gli investimenti in termini di armamenti e di acquisizione di sistemi d'arma del nostro Paese.
L'Italia ha già raggiunto, rispetto alle spese militari, il 2 per cento del PIL. Non pensa che quella al nuovo quadro geopolitico non debba essere soltanto una risposta in termini di capacità militare, ma sia necessario anche, come noi pensiamo, un investimento importante sulla cooperazione e su una risposta diplomatica non violenta alle nuove crisi, soprattutto in Medioriente ?
LUCA FRUSONE. Innanzitutto, anch'io La ringrazio per essere presente.
Lei ha parlato, attraverso le parole di Rasmussen, di un hold the line, e quindi, in un certo senso, di non cedere al clima di insicurezza che si è creato con il passare del tempo, di non tralasciare l'importanza di investimenti in difesa e sicurezza, anzi di potenziare questi sforzi.
GABRIELE CHECCHIA, Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico. No. Ho parlato di rispettare l'impegno del 2 per cento.
LUCA FRUSONE. Che viene rispettato.
GABRIELE CHECCHIA, Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico. Da quanto so, non ci siamo ancora. Se esistono dati diversi, non li conosco, ma potrebbe essere una mia carenza. A me non risulta che siamo al 2 per cento. Mi scusi per l'interruzione.
LUCA FRUSONE. Non si preoccupi, io sono a favore del dialogo.
Ieri con la Commissione difesa del Senato abbiamo svolto l'audizione del vicepresidente della Commissione europea, che ha parlato espressamente di razionalizzazione, sempre in tema di difesa e sicurezza, e della riduzione dei costi proprio in vista di questa razionalizzazione.
Considerando anche, se escludiamo l'ipotesi di una nuova guerra mondiale, che ci troveremo di fronte a conflitti diversi da quelli pensati nel periodo della Guerra fredda, che sono asimmetrici e necessitano di dispiegamenti ben diversi da quelli pensati in tempi di grandi potenze, ci chiediamo quali siano le minacce che necessitano un rinnovato vigore nelle spese militari.
Allo stesso modo, ci chiediamo come dovremmo interpretare la differenza di opinioni – parlerò, naturalmente, delle parole ascoltate ieri – che riguardano sia una volontà di razionalizzazione intesa alla riduzione dei costi e sia una intesa più verso la creazione di una maggiore forza che può anche scaturire da una maggiore sicurezza a livello globale.
TATIANA BASILIO. Innanzitutto, grazie molte per essere qui con noi e per aver citato questo fiume di informazioni.
GABRIELE CHECCHIA, Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico. Spero che non abbia esondato.
TATIANA BASILIO. No, assolutamente. Le notizie non sono mai abbastanza, dati gli scenari di guerra che si stanno preannunciando e quanto si sente su queste guerre dai nostri capi di Stato e da Obama, Putin e altri, molto importanti, che di solito, come si sa, sono quasi sempre quelli che decidono.
Mi hanno lasciato il segno molte sue dichiarazioni, come quella sulla NATO verso la pace, il cambiamento. Ha anche Pag. 13parlato di un'attenzione statunitense verso lo scacchiere asiatico, del fatto che nell'ambito della missione ISAF lasceremo le forze ma rimarremo in territorio afgano, immagino a questo punto per portare la pace e spero per costruire una missione come quella in Libano. Ci ha anche detto che la storia ci ha fatto comprendere che si possono aprire nuovi scenari con nuovi attori, in vari scacchieri, in luoghi tutti molto sensibili.
Ciò che mi ha colpito maggiormente, tuttavia, è l'affermazione per cui si lavora per portare il mondo verso la fine della storia, ossia un mondo senza conflitti e senza paura.
GABRIELE CHECCHIA, Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico. Forse mi sono espresso male, non volevo dire questo. Spiegherò meglio ciò che intendevo alla fine del suo intervento.
TATIANA BASILIO. Immagino che con quell'espressione intendesse questo. Vorrei ricordare a tutti che proprio dalle dichiarazioni di Obama durante il G20 si è generata una paura collettiva di un nuovo ipotetico conflitto mondiale, con attori, come ben sappiamo, molto importanti, come Russia e Cina. Putin ha dichiarato apertamente, durante il G20, che ovviamente difenderebbe Damasco e non lascerebbe che i missili e le bombe cadessero senza nessuna risposta.
Vorrei ricordare che non è con la violenza e intimando azioni di forza che si può giungere a un mondo senza paura, ma applicando una politica, a nostro avviso, di cooperazione, come è stato in Libano.
Nel caso siriano, non ho sentito parlare molto di politica di cooperazione e di trattative. Si è passati subito alla volontà di esplicitare un attacco da parte francese e, prima, da parte americana. Fortunatamente, dopo l'apertura di Assad e l'invito a verificare se detengano queste famose armi di distruzione di massa, sembra si siano chetate un po’ le acque. In merito non avrei delle domande, la mia era solo una puntualizzazione.
La mia domanda è un'altra. Qualche giorno fa, il senatore Marton, del Movimento 5 Stelle, ha presentato un'interrogazione su come i sistemi d'arma italiani siano assolutamente non manutenuti, e quindi non rispondenti alle esigenze di interoperabilità di cui Lei parlava nella sua relazione. Posto che, normalmente, la NATO non ha interesse a interferire nelle politiche militari delle Nazioni, potrebbe spiegarci come questa nostra carenza è riportata in ambito NATO e come da questa è considerata ?
PRESIDENTE. Do la parola per la replica all'ambasciatore Checchia, che ringrazio ancora.
GABRIELE CHECCHIA, Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico. Sono io a ringraziare voi per queste domande stimolanti, molto complesse e che certamente sono borderline con i sistemi d'arma, ma il terreno è così di interesse che proverò a condividere con voi le mie riflessioni. È chiaro che sono argomenti su cui valgono anche le sensibilità, naturalmente nel rispetto delle indicazione del Governo.
La prima domanda mi pare fosse sull'Afghanistan. La missione afgana, come tutti sappiamo, ha già la data di chiusura, a proposito di phasing out, ossia dicembre 2014 nella dimensione ISAF. Inizierà, come tutti ci auguriamo, nel miglior contesto possibile, da inizio 2015 una missione diversa, di addestramento, consiglio e assistenza alle forze armate afgane. Termina, infatti, la missione con implicazioni di natura militare.
Quanto al fatto che l'Italia e la Germania restino – non sono le uniche dell'Alleanza intenzionate a farlo, ve ne sono altre, di cui citerò alcune – dipende dal fatto che sono Paesi cosiddetti frame nation.
Oggi siamo lead nation, Nazione guida. Qualora restassimo, come vi è motivo di credere che esistano le condizioni per confermare ciò – a oggi nulla è ancora formalmente avallato, ci sarà un passaggio parlamentare, che mi sembrerebbe inevitabile, Pag. 14e una decisione del Governo – non casualmente da gennaio 2015, la definizione corretta della nostra presenza e di quella tedesca sarebbe quella di Nazioni frame, che inquadreranno secondo una connotazione direi visibilmente civile, gli altri partner che saranno con noi nella regione ovest, dove oggi siamo lead nation.
L'obiettivo sarebbe quello di fornire alle forze armate afgane l'assistenza necessaria perché possano raggiungere livelli di operatività, correttezza di comportamenti e interazione con i propri comandi, in linea con quelli di una forza armata moderna e responsabile. Il futuro è, dunque, quello della Training Advice and Assistance (TAA) Mission.
L'Italia resterà come Paese frame, molto apprezzato a livello atlantico, ma anche condiviso a livello europeo. Siamo, infatti, Paesi membri dell'Unione, con la quale è chiaro che in Afghanistan l'interazione è costante. In Unione europea esistono un ufficio e un rappresentante delle Nazioni Unite, per cui si parla davvero di uno sforzo corale degli organismi multilaterali.
Oltre a noi, resteranno come Nazioni frame la Turchia, che avrà una sua missione nell'area in cui è già presente, se non erro quella di Vardak, e gli Stati Uniti. Intorno a queste «nazioni quadro», prive di qualsivoglia connotazione militare, si creerà una rete di partner o di alleati pronti a continuare a lavorare con noi sul terreno dell'assistenza.
Tra i partner su cui puntiamo, ci sono, ad esempio, alcuni membri dell'Alleanza, come Slovenia e Albania, altri Paesi terzi interessati a restare con noi, non membri dell'Alleanza, ma comunque partner dell'Alleanza. È una costruzione in divenire. La fine della missione ISAF è ormai calendarizzata e il ripiegamento dei nostri assetti su quel teatro è già in corso, come quello di tutti gli altri alleati.
L'altro aspetto che mi sembra importante segnalare è relativo all'importanza dell'aspetto cooperazione. In Afghanistan, in questi anni, l'Italia, ancora nel quadro di uno sforzo complessivo di tutti i Paesi ISAF – ha investito tanto per attività di cooperazione di capacity building, di assistenza alla popolazione, di formazione di magistrati afgani, a Roma o là, di ricostruzione di ospedali, di miglioramento del livello dell'assistenza sanitaria.
Io stesso ho avuto il privilegio di occuparmi per più di un anno dell'Afghanistan come inviato speciale dell'allora Ministro degli esteri Frattini, circa due anni fa, e ho visto quanto l'Italia sia amata per quello che fa a Kabul, e non solo, sul terreno della cooperazione e dell'assistenza sanitaria.
Il Centro grandi ustionati di Kabul, se non ricordo male, è stato, ad esempio, rifinanziato anche con importanti contributi italiani. Formiamo medici con fondi non esclusivamente, ma in larga misura, della cooperazione, quindi c’è un'attenzione marcata alla cooperazione, così come c’è in Libano, anche se il quadro giuridico è per certi versi differente.
L'altro aspetto importante, che non deve essere dimenticato, è che queste attività di assistenza alla popolazione civile nelle aree remote del Paese, quelle più esposte al rischio del confronto tra insorgenti e forze armate, non potrebbe e non avrebbe avuto luogo in questi dieci anni senza il quadro di sicurezza offerto dei nostri militari.
È un dato, a mio avviso, tutt'altro che secondario, non sempre tenuto adeguatamente presente. I nostri soldati non sono stati là per una finalità militare pura, sganciata da una visione politica, ma nel rispetto del mandato ISAF con il compito, tra quelli prioritari, di proteggere la popolazione civile, i magistrati, i funzionari pubblici incaricati di portare un minimo di governance in un Paese travagliato, al quale non possiamo comunque sostituirci nell'esercizio della sovranità. È ovvio, quindi, che serva un'interazione con le autorità locali.
Abbiamo cercato di assicurare che il loro incarico si svolgesse nel modo più sereno possibile e in trasparenza, ponendo, come è avvenuto a Tokyo nel luglio 2011, se non erro, precise condizionalità per il futuro della nostra assistenza alle forze armate locali. Questi fondi saranno Pag. 15erogati in una divisione tra tutti i Paesi donatori solo in presenza di comportamenti chiari e trasparenza contabile. Mi sembra un aspetto da non dimenticare.
Direi, allora, che l'idea che la soluzione militare di per sé non sia la soluzione fa ormai, a mio avviso e grazie a Dio, parte un po’ del dna culturale del nostro Paese e non solo. In Alleanza atlantica, sempre più si parla adesso di comprehensive approach e io stesso ho proposto che resti sul tavolo come tema di discussione anche in vista del prossimo vertice dell'Alleanza.
La componente militare e quella civile debbono farsi sponda reciprocamente per costruire un Paese sottratto al terrorismo e alla legge della giungla. Questo mi pare dimostrato dai fatti e ripeto che gli importanti fondi stanziati dalla nostra cooperazione nel corso di questo decennio e previsti per gli anni a venire ne sono ulteriore riprova in un Afghanistan già molto diverso, come secondo osservatori imparziali, Paesi che non hanno presenze sul terreno, le Nazioni Unite.
Il numero delle bambine che va a scuola è cresciuto esponenzialmente, come il numero delle donne laureate e dei magistrati donna; lo è quello complessivo dei bambini che vanno a scuola in condizioni di sicurezza; basta andare qualche giorno a Kabul per verificare come sia cresciuto il numero delle radio. Ci sono dei talk show. È un Paese in cui l'incubo vissuto dagli afgani nel periodo di dominio talebano sembra svanito.
Non sono in grado di prevedere se sarà così ad aeternum e penso che nessuno possa farlo, ma nessuna missione può garantire soluzioni a tempo indeterminato. La storia è imprevedibile. Cerchiamo, nei limiti delle umane possibilità e con gli strumenti di cui disponiamo, di portare un po’ di pace è un po’ di serenità.
È chiaro che, in un'operazione che comunque ha anche una componente militare, possono esserci conflitti, contrasti armati, ma certamente lo scopo che ci ha portato lì non è quello di portare la guerra. Perlomeno, queste sono le indicazioni del Governo, cui si sono attenuti i nostri militari sul terreno, che hanno regole di ingaggio precise, credo anche molto vincolanti, cui tendono ad attenersi sempre, in Libano e in altri teatri. Riflettono anche la nostra sensibilità, la nostra cultura e la nostra attenzione al valore della vita.
La perfezione, d'altro canto, non è di questo mondo. Possono esserci momenti difficili e il risultato non essere in linea con le aspettative. Se, però, volessimo risultati garantiti sin dall'inizio, vivremmo nel mondo dell'iperuranio, che temo non sia il nostro. Questo è quanto posso dire in coscienza. È chiaro che le opinioni sono tutte legittime e si può essere liberi di non essere d'accordo, ma la mia visione anche operativa di quello che ho visto sul terreno è questa.
Ribadisco che a Kabul ho visto amore per l'Italia, per i nostri medici, infermieri, paramedici, per i nostri tecnici della cooperazione, esperti, per le nostre ong. Era un affetto genuino, che ho colto nei ragazzini, nei vertici politici. Questo è un dato di fatto.
Quanto alla domanda dell'onorevole Frusone, su cosa significhi hold the line, se ci saranno conflitti diversi, certamente questa espressione significa non ridurre ancora le spese per la difesa. Già come Italia e come Europa, complessivamente, siamo sotto la soglia del 2 per cento, obiettivo che i Governi e i Parlamenti di cui questi Governi sono espressione si sono a un certo punto dati. Tuttavia, è chiaro che è consapevolezza diffusa che i conflitti saranno diversi.
Non a caso, ho parlato di investimenti in talune capacità, non le grandi masse di manovra, di attacco o difesa che potevano essere necessarie, soprattutto nel nostro caso, in periodo di Guerra fredda. Ora si guarda a una NATO che vuole essere attore globale e partner credibile delle Nazioni Unite ogni qual volta possibile per la difesa della sicurezza e della legalità internazionale. Per questo, deve dotarsi di assetti che consentano il dispiegamento in teatri anche lontani e tecnologicamente molto costosi.
Mi riferisco, ad esempio, ai rifornimenti in volo, all’intelligence, al monitoraggio Pag. 16dall'alto di certi teatri, agli strumenti di disattivazione degli improvised explosive device (IED), alla capacità di portare cure mediche in teatro, che comporta anche una rete di protezione per gli operatori sanitari. Sono tutte capacità costose, sulla cui realizzazione stiamo lavorando, come ho detto, sul versante europeo e su quello atlantico, cercando di massimizzare le sinergie.
Qui vengo al punto razionalizzazione, di cui ha parlato il vicepresidente Tajani. Non è in contrasto con quanto ho cercato di illustrare prima, forse non spiegandomi bene. Quando parlavo di massimizzazione delle sinergie e ottimizzazione delle spese, mi riferivo al fatto che, dovendo gestire questi impegni con fondi decrescenti, è chiaro che va ridotto per quanto possibile il doppio impiego, va utilizzata una sola capacità.
Che la si sviluppi in ambito Unione europea o NATO, poco conta. Il denaro del contribuente è sempre quello e bisogna far capire perché queste capacità sono necessarie. Massimizzare le sinergie vuol dire anche razionalizzare, spendere meno. Ecco perché ho parlato di smart defense, difesa intelligente. Il senso è non solo quello dell'impiego dello strumento, ma anche del modo attraverso cui si arriva a dotarsi di quello strumento. Il rifornimento in volo è cruciale per operazioni fuori area. Come possiamo dispiegare, anche per missioni di pace, nostri militari in teatri lontani, se non siamo in grado di effettuare qualche tipo di rifornimento in volo, che a oggi solo gli Stati Uniti sono in grado di mettere a disposizione ? Bisogna lavorare.
Ovviamente, questi strumenti vanno inquadrati nella cornice di un disegno politico complessivo e della finalità di ciascuna missione, che non spetta a me o a nessun funzionario in quanto tale determinare. Al limite, potremo farlo come elettori, una goccia d'acqua in un oceano, ma spetta a voi, al Parlamento, al Governo. Noi possiamo dare un supporto tecnico, riportare oggettivamente quello che constatiamo nel corso del lavoro quotidiano.
Venendo al punto che mi pare avesse evocato l'onorevole Basilio sulla fine della storia, mi scuso se mi sono spiegato male. Non ho parlato di fine della storia come mia percezione – ovviamente, l'espressione non è mia – ma ho detto che proprio il carattere liquido e sfuggente della realtà internazionale, dei mutamenti geopolitici può indurre fette importanti dell'opinione pubblica italiana e non a considerare che ormai siamo entrati in un'epoca kantiana di pace perpetua.
Non è così, secondo la nostra percezione. I rischi e le minacce persistono, Lei stessa mi pare abbia evocato la crisi siriana, ma potrebbe manifestarsi domani per alcune isolette nel Pacifico. I teatri di possibile crisi sono molteplici, quindi non c’è fine della storia. Spetta a noi funzionari, su indicazione dei nostri Governi e Parlamenti, dotare i nostri Paesi e le alleanze di cui facciamo parte degli strumenti utili in modo di non poter essere spiazzati qualora si manifesti una crisi.
Al contempo, credo sia compito dei Governi e dei Parlamenti far comprendere all'opinione pubblica, seppure in un contesto politico profondamente diverso, le minacce per la sicurezza, talune piaghe, come il terrorismo o la crisi inattesa magari da una località che a oggi non possiamo neanche immaginare e che può, proprio per la globalizzazione, avere impatti devastanti anche sulla nostra sicurezza nazionale. È in questa logica che avevo citato la fine della storia, come percezione molto diffusa e non necessariamente corretta.
Quanto alla manutenzione, non sono un addetto ai lavori, quindi su questo tema specifico credo che altri meglio di me possano interagire con voi. È una questione molto tecnica. Personalmente, posso dirle, ma ripeto che è la mia fetta di conoscenza e non pretendo di parlare in nome della verità che non posseggo, che nei mesi che ho trascorso a Bruxelles, come ho accennato, dall'esame capacitivo all'interno del NATO Defense planning process, l'Italia ne emerge tra i Paesi, fermo restando il mancato raggiungimento dell'obiettivo Pag. 17del 2 per cento di cui parlavo, con i voti più alti come credibilità e serietà nel rispetto degli impegni capacitivi.
Di manutenzione, in quel contesto abbastanza autorevole e molto rigoroso, non ho sentito parlare. Sicuramente, il rappresentante del Governo chiamato rispondere all'interrogazione sarà in grado di dare una risposta che supera le mie conoscenze.
PRESIDENTE. Come le avevo preannunciato, l'interesse della Commissione per il suo lavoro presso l'Alleanza atlantica è grande. La ringrazio per la disponibilità che ha mostrato a rispondere in maniera così ampia all'audizione e non escludo che si possano creare a breve altre occasioni di incontro tra la Commissione e la nostra Rappresentanza atlantica, magari anche con l'occasione di ricambiare la visita che Lei ha reso oggi alla nostra Commissione.
La ringrazio ancora, insieme al colonnello e a coloro che l'hanno accompagnata, e ricordo ai colleghi che la seduta proseguirà alle ore 11.30 con l'ambasciatore Cortese.
La seduta, sospesa alle 11.20, è ripresa alle 11.40.
Audizione dell'ambasciatore Alessandro Cortese, Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza (COPS) dell'UE.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, l'audizione dell'ambasciatore Alessandro Cortese, Rappresentante permanente dell'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza (COPS) dell'Unione europea.
Nel suo importante e delicato ruolo, l'ambasciatore Cortese – che ringrazio per la disponibilità – è direttamente coinvolto nelle fasi preparatorie del Consiglio europeo di dicembre. Potrà, quindi, validamente sostenerci nella comprensione dei temi che saranno in discussione in quella sede e rispetto ai quali la Presidenza della Camera ha autorizzato lo svolgimento della nostra indagine conoscitiva.
Ricordo ai colleghi che procederemo dando la parola all'ambasciatore Cortese e che, successivamente, potranno aver luogo gli interventi ritenuti necessari. Daremo, infine, nuovamente la parola all'ambasciatore per la sua replica.
Ambasciatore, Lei conosce il progetto dalla nostra indagine conoscitiva ed è pienamente addentro alla sua attività, per la quale L'ascoltiamo con particolare interesse.
ALESSANDRO CORTESE, Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza (COPS) dell'UE. Illustre presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio davvero sentitamente per avermi esteso questo invito a comparire oggi nell'ambito dell'indagine conoscitiva, indubbiamente di grande rilevanza e interesse e dai risvolti delicati.
È un onore particolare per me – non nascondo una certa emozione – per il fatto che ho avuto la fortuna di trascorrere più di quattro anni in questo splendido palazzo, fulcro della nostra democrazia, motivo in più di rallegramento per quest'occasione. Devo anche aggiungere che sono molto lieto di constatare che il Parlamento italiano stia dedicando a un settore non scontato e piuttosto sensibile anche per le opinioni pubbliche un'attenzione particolare. Aggiungo, inoltre, come ha già sottolineato il presidente, che la tempistica di questo incontro è particolarmente appropriata per consentire alcune riflessioni riguardanti la difesa europea nella prospettiva del Consiglio europeo di fine anno.
Il presupposto da cui intendo partire è che in questa fase della storia europea è, a mio avviso, necessario far progredire l'Unione europea nel settore della sicurezza e difesa. Occorre rendere più incisivo il suo ruolo come attore per la pace e la sicurezza internazionale. Inoltre, se desideriamo una politica estera comune più efficace e più incisiva, non v’è dubbio Pag. 18che occorra svilupparne anche la dimensione di difesa. Ho notato che, sulla prima pagina del Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia, un paio di domenica fa, ha fatto riferimento – l'occasione era un po’ diversa, si trattava della Siria – all'importanza di questo tema.
Non dimentichiamo, inoltre – ritengo che le cose vadano sempre messe in prospettiva – che, mentre la Politica estera e di sicurezza comune esiste dal 1993, dal Trattato di Maastricht, e quindi si sviluppa da vent'anni, quella di difesa è molto più recente. Se n’è cominciato a parlare dal Trattato di Amsterdam, quindi dal 1999, e solo da pochi anni funziona, o non funziona come vorremmo, e ha quindi ampi margini di crescita. Il Trattato di Lisbona ha, dal canto suo, fornito altri strumenti per questa crescita. Su questo so che avete audito il Ministro Mauro, che è stato certamente più brillante nell'esporre tali concetti.
Quando parliamo di difesa dell'Unione europea, però, occorre essere più precisi. Poco fa c’è stata l'audizione dell'ambasciatore Checchia che vi ha riferito dal punto di vista della NATO, laddove la difesa è principalmente militare. Nell'Unione europea, si ha una nozione un po’ più ampia di difesa e sicurezza, nel quadro di ciò che è chiamato e che trova sempre più riscontro comprehensive approach, ossia approccio globale.
Si tratta, a mio avviso, di un valore aggiunto rispetto ad altre organizzazioni che operano in materia di sicurezza. L'Unione, infatti, ha la possibilità che non hanno tutti, di ricorrere a un mix di strumenti e di attori, a partire dal suo Alto Rappresentante. Non tutte le organizzazioni dispongono di una figura che possa parlare per tutti in maniera anche operativa.
Soprattutto abbiamo una serie importante, spesso poco nota dall'opinione pubblica, di missioni e operazioni UE. Abbiamo quattro operazioni militari e dodici missioni civili nelle parti più svariate del mondo, dal Mali alla Somalia, all'Afghanistan, alla Georgia. Parliamo di 5.000 europei dispiegati sul terreno. Mi dicono che, aggiungendovi i contrattisti locali, si arriva a 7.000 unità in tutto. Alcune di queste, come l'onorevole Villecco Calipari mi ricordava poco fa, hanno avuto un certo successo. Pensiamo alla Somalia, dove la pirateria è stata annichilita.
La Somalia è proprio l'esempio tipico della politica di comprehensive approach. In questo teatro abbiamo, contemporaneamente, la missione Atalanta, che si occupa della lotta alla pirateria, nonché una missione di training militare europea che si occupa dell'addestramento delle forze somale. Al contempo, la Commissione finanzia, tramite il particolare fondo African peace facility, l'AMISOM, la forza di Nazioni Unite che in Somalia ha sgominato Al-Shabaab, l'aiuto allo sviluppo della Commissione, eccetera. Non vado avanti con esempi di altre misure, ma esiste un mix di operazioni che sono solo europee e che, se fatte funzionare bene, ci darebbero un valore aggiunto.
L'altro tema fondamentale, nella prospettiva del Consiglio europeo, è il partenariato con la NATO. Non vi è dubbio – a questo il nostro Governo tiene molto – che la politica di difesa e, soprattutto, di sicurezza dell'Unione europea deve andare a braccetto con quanto succede nell'Alleanza atlantica. È necessario un continuo dialogo, uno stretto raccordo tra le due organizzazioni. È questo un punto a noi caro, che l'Alto Rappresentante riprende pienamente nel suo Rapporto.
Ciò è stato ribadito, sia dal Ministro Bonino sia dal Ministro Mauro nelle rispettive riunioni informali di Vilnius qualche giorno fa, a margine delle quali ho incontrato il presidente Vito, e devo dire che su questi punti mi sembra stia emergendo un consenso quasi unanime, non scontato quando si tratta di cooperazione NATO-Unione europea per motivi geopolitici. Questo rappresenta un fatto interessante.
Un ulteriore aspetto importante è rappresentato dalle aspettative per il Consiglio europeo: è importante far comprendere ai cittadini europei la rilevanza degli sviluppi europei, misconosciuti, sottovalutati – certamente, non sono i primi punti dell'agenda Pag. 19di chiunque – ma la gente deve rendersi conto che è importante mantenere un livello adeguato di investimenti, ovviamente coordinati, per garantire loro la sicurezza e che esiste un interesse diretto a questo tipo di problematiche.
C’è uno slogan che va molto per la maggiore in questa fase in tutte le delegazioni, ma anche nelle istituzioni: defense matters. Questo è un po’ il messaggio da passare: la difesa conta per l'Europa ed è importante che anche i cittadini se ne rendano conto.
Ecco spiegata l'importanza, e il mio personale piacere, per il fatto che il Parlamento si occupi di questi temi. Il Parlamento, oltre al fondamentale ruolo istituzionale di impulso e controllo sull'azione del Governo – se il Governo ha il via libera del Parlamento, può spingersi un po’ più in là – fa, al contempo, un po’ da megafono per le opinioni pubbliche e ha la possibilità di far pervenire il messaggio alla popolazione.
In questo quadro, onorevoli deputati, si inserisce il Consiglio europeo di dicembre. Nelle intenzioni di chi l'ha convocato ormai quasi due anni fa, il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, vuole essere un momento importante per tracciare una via europea alla difesa e alla sicurezza.
Il calcio d'avvio – uso una metafora calcistica – è stato dato dal Consiglio europeo del dicembre 2012, nelle cui conclusioni sono stati individuati tre settori principali di intervento, su cui si è lavorato e si sta lavorando e che saranno affrontati al Consiglio di dicembre prossimo: accrescimento della visibilità ed efficacia, l'impatto delle politiche di difesa europea, lo sviluppo delle capacità militare europee; la creazione di un mercato unico della difesa; infine, il rafforzamento dell'industria della difesa, soprattutto nella sua base tecnologica, con particolare attenzione alla ricerca. Quest'ultimo è un punto su cui tornerò.
Tutto ciò, naturalmente, a livello di capi di Stato e di Governo e l'aspettativa dell'evento di fine anno hanno fatto sì che il Comitato a cui partecipo abbia cominciato a occuparsi in larga misura delle questioni menzionate. Non siamo, però stati i soli. La stessa cosa è avvenuta anche per i formati militari dell'Unione europea: i Capi di stato maggiori dell'UE si riuniscono più volte all'anno, i direttori politici dei Ministeri della difesa, i direttori di armamenti e, a più alti livelli, i Ministri della difesa. Sono pienamente coinvolti anche i Parlamenti. Ho visto il presidente Vito a Vilnius, dove la questione è stata senz'altro approfondita.
Mi preme sottolineare che l'Italia ha svolto sin dall'inizio un ruolo di guida in questa preparazione. Abbiamo elencato da subito le questioni che riteniamo essere le linee d'azione principali, finalizzando già nella primavera scorsa, congiuntamente ai Dicasteri degli esteri e della difesa, un documento piuttosto impegnativo che si chiama More Europe, in cui abbiamo presentato le nostre istanze. Devo dire che alcuni di questi obiettivi sono stati fatti propri dall'Alto Rappresentante. Il documento è stato poi pubblicizzato in Europa, con seminari appositi.
L'Alto Rappresentante – come dicevo – ha inserito molti di questi contenuti nel suo Rapporto, discusso dai Ministri di esteri e difesa a Vilnius per la prima volta l'altro giorno. Sulla base delle discussioni di Vilnius tra i ministri, l'Alto Rappresentante Lady Ashton predisporrà un Rapporto finale che trasmetterà a Van Rompuy.
A partire da ciò, il presidente del Consiglio dell'Unione europea preparerà le raccomandazioni per il Consiglio europeo. Succederà nei prossimi mesi, con percorso piuttosto laborioso, in cui probabilmente i Ministri di esteri e difesa avranno un'altra occasione di intervenire sui testi di lady Ashton e della Commissione in occasione di una sessione di novembre dei due Consigli. Cito alcuni punti rapidamente perché mi sto accorgendo di essermi fatto prendere la mano e di parlare troppo. Lascerò la parte economica alla fine perché ha bisogno di una specifica in più.
Innanzitutto, si parla della creazione di una capacità di pianificazione e condotta militare e civile integrata in sede europea. Pag. 20Si tratterebbe del primo cluster, la visibilità ed efficacia della politica di sicurezza. In questa direzione vi sono tante altre azioni, tra cui una revisione del Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) in cui proprio le strutture di guida di queste missioni sono state razionalizzate.
Allo stesso modo, lo sono state le modalità di dispiegamento, di preparazione, di preraccolta dei contributi nel documento sulle crisis management procedures, aggiornate sulla base dell'esperienza accumulata nei primi anni delle missioni. Questo sarà molto utile per rendere più efficaci e più facilmente dispiegabili le stesse missioni.
Un punto che a me sta a cuore, in realtà a tutti, anche se non molto visibile, è il funzionamento e il dispiegamento degli EU Battlegroups, che io definisco battaglioni europei, ma che i militari mi hanno spiegato non essere tecnicamente tali. In ogni caso, si tratta di 1.500 uomini pronti, presenti. Da 10 anni esistono sulla base di contributi nazionali volontari, ma non sono stati mai dispiegati per motivi evidenti, tra cui quello della volontà politica.
Ho citato l'esempio del Mali, una brillante operazione, che ha funzionato molto bene, svolta dai francesi che hanno mandato le loro truppe. Poiché l'Unione europea è molto coinvolta in Mali e presente con una missione di training delle truppe, se fosse stata in grado di mandare questo battaglione, avrebbe fatto una bella figura. Il ricorso ai Battlegroups non si realizza, invece, da dieci anni. L'idea, allora, è di rendere più facilmente utilizzabile questo strumento. Tra le varie ipotesi e sulla base dell'esperienza, c’è quella di aggiungere dei moduli, come quello sanitario o aereo, non previsti. Attualmente, inoltre, il battaglione può essere usato solo tutto insieme. L'approccio modulare sarebbe una delle prime iniziative che agevolerebbe il ricorso a questo strumento comune e importante.
Sempre a proposito del battaglione, vi è la questione del finanziamento. Attualmente, si basa sui contributi volontari degli Stati membri. Avremo, ad esempio, il Battlegroup nel secondo semestre 2014, avendo la Presidenza dell'UE, e i costi saranno a nostro carico. I militari mi spiegavano che servono anche per il training. Avere, infatti, una forza operativa serve anche per l'addestramento dei militari. Se, però, vi fosse anche la disponibilità, al momento del dispiegamento, di una forma di finanziamento comune, ciò potrebbe certamente agevolare la decisione politica, anche se esistono anche altri fattori.
Quanto al terzo cluster, industria e mercato della difesa, anche in quest'ambito rileva il concetto di defense matters. In realtà, è molto importante ed è il punto che evidentemente, conoscendo la sua cultura, resta molto a cuore a Van Rompuy, il motivo principale forse per cui ha proposto l'idea di un Consiglio europeo della difesa.
Credo che sia anche l'obiettivo di maggiore interesse dei capi di Stato e di Governo. Ricordo, infatti, che l'industria e il mercato della difesa – i dati si riferiscono al 2012 – hanno un turnover annuale di circa 100 miliardi di euro, impiegano direttamente 400.000 persone in Europa e, con l'indotto, si arriva a un milione di posti di lavoro. Ecco il risvolto tecnologico, industriale, di sicurezza, ma anche quello importante nel settore della crescita.
Ricordo, tra l'altro, che la Comunicazione congiunta pubblicata dalla Commissione a fine luglio è del vicepresidente Tajani e del Commissario Barnier, i due Commissari competenti, rispettivamente, per l'industria e per il mercato interno che seguono le questioni. Devo dire che c’è stato un riscontro molto positivo da parte dei ministri a Vilnius nelle sue grandi linee, le proposte sono state piuttosto apprezzate.
Le domande cui intende rispondere la Commissione sono: riuscirà l'Europa a dotarsi di un quadro strategico adeguato per lo sviluppo della politica di sicurezza e difesa garantendo le adeguate risorse ? Potranno gli Stati membri accordarsi su quelle che saranno le capacità necessarie per lo sviluppo della politica di sicurezza nel quadro di un mercato di industrie e Pag. 21difesa più integrati ? Quale potrà essere la base industriale adeguata per garantire lo sviluppo delle capacità necessarie ?
Partiamo, in questo settore, da un quadro «problematico». Sono crescenti le sfide alla sicurezza europea o, comunque, a cui l'Europa vorrebbe rispondere. Non mi riferisco solo alle crisi regionali, Siria, Mali, Libia, Egitto, ma anche a sfide nuove che vanno affrontate con la tecnologia giusta, la cyber security, estremamente importante, questione che molti ministri hanno sollevato a Vilnius. Vi è anche il tema dello spazio. Sono temi che stanno a cuore a tutti e richiedono risorse e tecnologie avanzate.
C’è una stagnazione degli investimenti e una riduzione delle risorse. Per fornire una cifra, gli Stati Uniti spendono circa 7 volte più degli Stati europei in maniera complessiva in ricerca e sviluppo. Sappiamo, però, anche che la ricerca e lo sviluppo nel settore militare hanno applicazioni civili di uso molto più importante.
I BRICS, che attualmente dispongono di risorse per la difesa paragonabili a quelle europee, tra due anni spenderanno due volte e mezzo. In Europa ci sono 11 produttori di fregate diversi, mentre normalmente gli americani ne hanno uno solo e così via. Difficoltosa è la realizzazione di economie di scala, quindi c’è meno competitività.
Ciò premesso, malgrado i tagli effettuati – tra il 2003 e il 2012 in Italia vi è stata una contrazione del 19 per cento, ma non siamo gli unici – le risorse destinate dagli Stati membri alla difesa restano importanti. Basti dire che l'Europa – almeno per ora, poi vedremo – dedica risorse alla difesa pari a quelle di Giappone, Russia e India messe insieme.
Resta il problema di come sono impiegate le risorse. Il rischio è che, da un lato, «sbagliamo» a spendere facendo delle duplicazioni; talvolta, però, rischiamo anche di sbagliare a tagliare. Tutti i Paesi membri che tagliano rischiano di tagliare sugli stessi settori e questo può creare dei gap capacitivi difficili da colmare.
Da questo discende un'idea italiana che è stata presentata dai nostri ministri a Vilnius e che merita menzione, anche se, come ho già detto, è piuttosto ambiziosa: si tratta di un libro bianco della difesa europea. Siamo, infatti, sempre nel quadro PESC/PESD, Politica estera e di sicurezza comune e Politica europea di sicurezza e difesa, per cui occorre che vi sia il consenso di tutti e 28 gli Stati membri, ma ciò dà l'idea – altri Paesi ci sostengono – del fatto che occorre mettere insieme le risorse, che sono in calo, ma sono pur sempre molto importanti.
La Commissione nella sua Comunicazione propone un piano d'azione secondo sei direttrici, che riassumerò brevissimamente. Una è la necessità del rafforzamento del mercato interno europeo della difesa, che può essere ottenuto semplicemente senza innovare, con una corretta e più capillare applicazione delle direttive sugli appalti e sui trasferimenti intra Unione europea del 2009.
Queste direttive sono entrate in vigore, in realtà, più tardi, circa a metà del 2010, ma nel primo anno di applicazione, questo dato della Commissione mi sembra molto interessante, solo il 3 per cento del valore complessivo degli appalti in materia di difesa sono stati aperti ai mercati europeo e internazionale. Parliamo di circa 9 miliardi di euro.
Di questo 3 per cento – anche questo è interessante – il 66 per cento è finito comunque alle industrie nazionali. Questo va bene, ma dice chiaramente che c’è bisogno di aprire un po’ per rendere più competitivo il settore.
È necessaria, inoltre, un'industria della difesa più competitiva per consolidare e sviluppare, se possibile, la base industriale europea e per raggiungere gli obiettivi macroeconomici importanti che ci siamo prefissati. Non dimentichiamo che il Consiglio europeo del mese di dicembre 2012 ha previsto, naturalmente come obiettivo, che la produzione industriale in generale dell'Europa dovesse tornare al 20 per cento del PIL. Questo vale anche per l'industria della difesa. Si tratta, quindi, di obiettivi già fissati indirettamente, che non possono essere raggiunti che con una maggiore integrazione.Pag. 22
L'altro punto che ci sta a cuore è il sostegno alle piccole e medie imprese. Questo è evidente. In Europa, ci sono circa 23 milioni di piccole e medie imprese. In Italia, ce ne sono un'enormità, come sappiamo estremamente importanti per la nostra economia dal punto di vista della produzione e dei posti di lavoro. Dovrebbero a nostro avviso potersi giovare di programmi di sostegno europei, come in parte succede già, ma sarebbe bene che, soprattutto per le imprese a duplice uso, questi programmi, inclusi i fondi strutturali, fossero utilizzati a sostegno delle medesime. Le ricadute sull'occupazione sono evidenti.
In questo quadro, sarà anche apprestata la promozione delle tecnologie a duplice uso, che hanno delle ricadute sul lato militare in senso stretto, ma ne hanno molte anche sul lato civile. Per esempio, le tecnologie utilizzate dall'industria automobilistiche vengono prevalentemente da tecnologie militari, senza parlare del GPS, Galileo, tutti programmi che ci interessano moltissimo e che potrebbero e che devono trovare nuovo impulso.
Tra questi, segnalo il settore dello sviluppo nelle tecnologie applicate ai droni. Questi sono, come tutti ormai sappiamo, dal punto di vista della sicurezza, imprescindibili, ma hanno delle importantissime applicazioni civili che ci interessano ugualmente, senza contare che abbiamo un'industria nel settore dotata di tecnologie avanzate, quindi possiamo sicuramente giovarci di questo tipo di approccio.
Le capacità militari comuni, le capability, necessitano di essere rinforzate e, sicuramente, i programmi in corso promossi dall'Agenzia europea di difesa del pooling and sharing, fratelli gemelli della smart defense in sede NATO, di cui forse l'ambasciatore Checchia vi avrà parlato, sono fondamentali per dare vita a progetti europei solidi.
Anche i droni potrebbero rientrare tra questi. Tra quelli a cui si lavora, ci sono il rifornimento in volo, gli ospedali da campo, la sicurezza cibernetica, la sicurezza marittima e così via. Tutti questi sono concetti che speriamo siano tra i cosiddetti deliverable, che possono emergere in positivo dal Consiglio europeo.
Altro settore è quello aerospaziale, ma non voglio dilungarmi perché è evidente come in questo caso sia artificiosa la linea di demarcazione tra civile e militare.
Un aspetto importante di cui non si parla quando si è in tema di sicurezza è quello ambientale. Le missioni inviate nel mondo hanno consumi e costi di energia spaventosi. Sentivo un ministro della difesa europeo a Vilnius affermare che, per un litro di carburante, per l'Afghanistan si spende sette volte di più che in Patria. Possono esserci grossi risparmi da questo punto di vista. Questo, evidentemente, ci interessa.
Questi sono i punti della comunicazione che intendevo riassumere e che, appunto, come dicevo, sono stati oggetto di scambi e vedute piuttosto approfonditi tra i Ministri della difesa e i Ministri degli affari esteri, anche se, come è noto, questi ultimi sono stati «distratti» dalla crisi siriana.
Segnalo che a questi progetti lavora anche il Consiglio competitività che, ad esempio, ne tratterà a fine mese e lo stesso farà probabilmente l'industria per le parti di sua competenza.
Ritengo che al Consiglio europeo di dicembre sia opportuno raggiungere un accordo strategico su quello che dovrà essere l'approccio da seguire per stabilire le priorità e garantire la coerenza del settore difesa con gli altri settori.
Conveniamo con la Commissione che la sua comunicazione ha il merito di elencare un grande numero di iniziative concrete, che potranno trasformare i tagli di bilancio in opportunità per il settore della difesa. Naturalmente, è richiesto un impegno degli Stati membri per far sì che nel prossimo Consiglio siano indicate delle priorità per le iniziative che questa Commissione e quella che seguirà dovranno assumere.
Mi preme segnalare che l'Italia assumerà il semestre di presidenza a pochi mesi da questo Consiglio, per cui saremo chiamati a gestire molti dei seguiti – e siamo lieti e felici di poterlo fare – in una Pag. 23situazione particolare di vacuum istituzionale europeo. Il Parlamento europeo, infatti, non sarà ancora insediato, la Commissione sarà in piena rivoluzione, lo stesso Alto Rappresentante in rotazione, per cui ci troveremo – potrebbe essere anche un vantaggio – in una specie di vacuum istituzionale a gestire tutte queste importanti azioni.
Non è escluso – è una delle nostre proposte, sia del Ministro Mauro sia del Ministro Bonino – che nel 2014 il Consiglio europeo di fine anno dedichi una parte importante a monitorare un po’ i seguiti di quanto emergerà dal Consiglio del 2013.
In conclusione, per il tema dell'Europa della difesa e della sicurezza, così come per quello della consapevolezza dei costi economici e, sottolineo, politici – torno sempre sul problema dell'importanza politica di un'Europa della difesa più sviluppata ed efficace rispetto a una politica estera di sicurezza comune intesa in senso lato – è importante la consapevolezza che occorra che il Consiglio europeo di fine anno abbia successo.
Esiti insoddisfacenti – mutuo la formula di un recente convegno dello IAI – comporterebbero dei costi, compresi quelli che loro chiamano i costi della non-Europa della difesa. In realtà, i costi politici ed economici esistono e, quindi, ancora una volta defense matters, la difesa conta.
Occorre che tutti i 28 si impegnino a fondo, come le istituzione europee, naturalmente con l'appoggio, il sostegno e, se possibile, l'incoraggiamento dei rispettivi Parlamenti. Solo la qualità e la convergenza dei contributi dei vari Paesi, delle varie istituzioni, qualità e convergenza, possono consentire un'adeguata preparazione del Consiglio e l'approdo a esiti compatibili con le ambizioni che vi riponiamo.
Aggiungerei che, naturalmente, bisogna evitare la trappola di crearsi troppe aspettative. Vi ringrazio dell'attenzione e mi scuso per essere stato troppo lungo e aver abusato della vostra pazienza, ma resto a disposizione per ogni eventuale domande vogliate rivolgermi.
PRESIDENTE. La ringrazio, a nome della Commissione, della Sua cortesia.
Naturalmente, il tema del Consiglio europeo di dicembre troverà, anche a seguito delle conclusioni della nostra indagine conoscitiva, comunque modalità di espressione nel Parlamento e, immagino, nella stessa Aula, consentendo al Governo di poter avere il supporto necessario dal punto di vista dell'indirizzo parlamentare, come Lei richiamava, e facendo sì che questo importante appuntamento possa vederci presenti nel complesso delle istituzioni rappresentative.
Do ora la parola agli onorevoli deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Ringrazio l'ambasciatore per la presenza. La sua audizione di oggi viene appena dopo l'audizione del Commissario europeo Tajani che abbiamo svolto ieri al Senato. Ci siamo sempre espressi fortemente a favore dell'integrazione del settore della difesa a livello europeo. Come Lei ha sottolineato, esistono costi politici e costi economici della mancata realizzazione di una politica della difesa, della sicurezza, ma anche forse con difficoltà di una politica estera europea, di cui la difesa è lo strumento principale.
Ho ascoltato con molta attenzione alcune sue sottolineature e vorrei farne altre e porre delle domande, anche in relazione a quanto ieri ci ha illustrato Tajani, che è stato altrettanto interessante, ovviamente, dal punto di vista dell'industria.
Partendo dai costi politici, è all'evidenza di tutti che, per la politica estera e sul piano militare, il cambio di rotta degli Stati Uniti – come evidenziava anche l'ambasciatore Checchia nell'audizione da poco conclusa, fornendoci una percentuale molto chiara della loro intenzione di riduzione la loro capability mondiale e, quindi, il loro investimento nel settore – è in direzione di non presentarsi più come Pag. 24un gendarme della sicurezza del mondo. La politica multilaterale, il Presidente Obama lo ha sottolineato sin dal primo momento, e ancor di più, i conflitti, che più che regionali, come quello siriano, ormai vedono attori internazionali e Paesi regionali che ormai hanno assunto leadership mondiali, ci dimostrano che l'Europa è più vicina degli Stati Uniti a quest'area, per cui il tema delle crisi politiche non ci può essere o lasciare indifferenti.
Il costo politico è che, in effetti, ancora una volta, purtroppo, sul piano della politica estera e rispetto alla questione siriana l'Europa si è frammentata. Sono intervenute un'operazione e un'azione che, per fortuna, hanno fatto ritrovare la convergenza, di cui siamo anche molto contenti. Riteniamo, peraltro, che il Governo italiano sia stato fortemente attivo in tal senso, per cui da questo punto di vista siamo soddisfatti.
Tuttavia, la questione è ancora aperta. Credo sia chiaro a tutti qui dentro che la vicenda siriana non è conclusa – non solo per gli effetti purtroppo disastrosi sul piano umanitario, che ci pongono anche davanti a dei problemi etici, morali e così via – ma anche dal punto di vista militare. La vicenda delle armi chimiche ci fa stare, infatti, ancora attenti e cauti su quelle che potrebbero essere le evoluzioni.
L'Europa, allora, non può essere soltanto una speranza. Lei ha fatto riferimento alla direttiva sugli appalti nel settore, sono intervenute varie decisioni: tutto questo è un proliferare di iniziative anche sul piano del Parlamento europeo di indirizzo legislativo e così via.
Nonostante, però, Lei sottolineasse che i costi economici siano alti – le risorse sono diminuite, lo stesso bilancio di tutti i Paesi dell'Unione europea si è ridotto nel complesso di circa 70-80 miliardi di euro – resta questa visione della difesa come una protezione degli interessi nazionali. Manca ancora il salto sul piano sia della politica della difesa, secondo me, sia della politica industriale che ne consegue. L'alta competitività di alcuni Paesi europei su questo piano ha spinto spesso l'Italia fuori da alcuni mercati.
Ovviamente, allora, non in linea con un protezionismo delle imprese europee, ma con quella che ormai mi sembra più un'esigenza inevitabile a cui l'Europa ormai deve cominciare a offrire risposte sul piano della politica e su quello strettamente industriale, mi auguro che quel Consiglio europeo, al quale anche noi possiamo in piccola parte contribuire, in qualche modo, come ricordava il presidente, dia indirizzi più concreti, al di là delle ambiziose e molto interessanti idee di un libro bianco, che a mio avviso serve per arrivare a un'idea comune, ma portandoci ancor a più avanti nel tempo.
Abbiamo chiara l'esistenza di una frammentazione del mercato delle piccole imprese nell'industria. Vogliamo intervenire sul piano dalla politica industriale. Siamo consapevoli che il nostro Paese è quello con più piccole e medie imprese anche in questo settore. Abbiamo un problema, oltre che di politica industriale, anche di politica occupazionale. Forse, se riusciamo a essere proattivi per ottenere incentivi, per esempio, per le piccole e medie imprese, che nella maggior parte sono subappaltatori di grandi progetti, questo aiuterebbe fortemente l'Italia, anche nell'Europa, a essere incisiva e non soltanto a essere capace di costruire le cornici ai contesti politici su cui muoversi.
Riguardo poi alla direttiva sugli appalti, forse sarebbero necessarie azioni concrete, come la rimozione di alcune deroghe presenti nella stessa direttiva. Questi, secondo me, potrebbero essere alcuni degli aspetti più concreti su cui l'Italia potrebbe avanzare anche proposte interessanti.
Il nostro sottosegretario alla difesa con delega ha già incontrato ieri, in una prima riunione, tutte le imprese italiane, non solo le più grandi. Terrei in considerazione l'aspetto, che Lei ha sottolineato fortemente, di questa frammentazione europea, ma anche e, soprattutto, italiana.
Lei ha evidenziato anche dei rischi nella possibile vaghezza di individuazione di temi del Consiglio europeo e poi anche, nel caso, appunto, della Presidenza italiana, della difficoltà di un eventuale vacuum istituzionale. Ancor di più, penso Pag. 25che quel Consiglio di dicembre deve vederci fortemente attivi in azioni un po’ più incisive.
Ieri Tajani ha affermato che, per esempio, le piccole e medie imprese hanno una sorta di incentivo perché sono escluse da Basilea 3, ma per una somma non superiore a 1,5 milioni di euro. Questo può essere considerato un punto importante, ma forse non sufficiente per le azioni concrete sulla politica industriale, che mi sembra a questo punto forse la prima su cui possiamo più facilmente incidere.
TATIANA BASILIO. Ringrazio l'ambasciatore. Lei ci ha parlato di investimenti per garantire la sicurezza dei cittadini. Immagino che, nella sua esposizione, si riferisse ai cittadini italiani. Noi del Movimento 5 Stelle pensiamo e suggeriamo che sia il caso di ridimensionare questi investimenti, i cui costi, come già valutato, sono troppo elevati, per iniziare in modo concreto e reale a investire in armamenti di difesa e non più di offesa.
Infatti, quasi tutti gli armamenti che produciamo e in dotazione alle varie Forze armate sono comunque di offesa, a partire dagli F-35. Inoltre, una bellissima inchiesta di L'Espresso di qualche mese fa era sui satelliti spia. Noi auspichiamo che la politica italiana possa avere una politica di difesa, con armamenti a corto raggio, tra l'altro attuata da decenni in Nazioni come l'Austria e la Svizzera.
In questo caso, saremmo percepiti non più come Paesi ospiti di tante e troppe basi militari americane. Purtroppo e come ben sappiamo, siamo soggetti a molte minacce nei vari conflitti che ci sono stati. Speriamo non si apra anche quello siriano. Siamo già stati minacciati, in ogni caso, anche dalla Siria e anche le basi militari americane presenti in Italia sono già state minacciate in quanto sicuramente a raggio di attacco siriano.
Inoltre, non ospitando più basi militari americane, risulteremmo anche molto meno attaccabili. Potremmo iniziare a spendere meno soldi per questi armamenti di offesa, mantenendo comunque armamenti di sola difesa a corto raggio per pattugliare le nostre acque territoriali e i nostri spazi aerei territoriali.
Sappiamo già che molti di questi danari stanziati per il bilancio della difesa potrebbero essere impiegati nella ricerca e nella cultura, nell'assistenza e nella sanità, campi che in Italia sono veramente allo sfascio totale, ambiti che sono già stati ampiamente trattati in Parlamento, alla Camera dei deputati, in varie mozioni. Con una mozione, abbiamo chiesto che fossero destinati alla cultura italiana 8 miliardi di euro, in modo da poterla riportare a un livello minimo di decenza, per poi risalire.
In tutte le audizioni dei Capi di stato maggiore che abbiamo svolto, invece, ho sempre sentito richieste di soldi per potenziare navi, armamenti, non però per poterci difendere, ma per offendere.
Il Capo di stato maggiore della Marina De Giorgi, ad esempio, in audizione ha chiesto altri 10 miliardi di euro, non ricordo precisamente in quanti anni, per nuove navi. Ovviamente, ha dichiarato che saranno utilizzate per portare anche aiuti umanitari in caso di calamità nazionali e non, come per l'alluvione a Tahiti, ma anche per ospitare i nuovi F-35. Dovremmo, invece, davvero iniziare a scindere l'offesa dalla difesa nazionale per ridimensionare le spese affrontate dall'Italia, davvero troppo elevate, e in modo da poter anche offrire lavoro alle piccole e medie imprese di cui Lei oggi giustamente ha parlato, così come anche Tajani nell'audizione di ieri.
In questo modo, si potrebbe finalmente parlare di lavoro pulito. Con una di queste armi di difesa, infatti, non andremmo più a offendere degli altri Stati, ma potremmo impegnare anche delle piccole e medie imprese per costruire qualcosa di pulito, per non farci sentire colpevoli di attacchi aerei, come quello che è stato perpetrato in Libia per difendere pozzi petroliferi. Cito un'informazione che ci è stata fornita da chi ha deciso quell'attacco.
LUCA FRUSONE. Sarò brevissimo. Intervengo solo per chiedere una precisazione su un dato fornito dall'ambasciatore: quando Lei ha parlato di BRICS dicendo Pag. 26che spendono quanto l'Europa, si riferiva a ogni singolo Stato o a tutti insieme complessivamente ?
FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Ringrazio l'ambasciatore per la relazione articolata e densa. Mi ricollego anche all'intervento della collega del Movimento 5 Stelle, che dimostra quanto sia difficile e problematico il confronto su questi temi e impopolare la spesa per le politiche militari.
Anche rispetto a quanto illustrato dalla collega Villecco Calipari, mi chiedo se in questo Consiglio europeo non occorra forse – come peraltro si invitava giustamente, ma senza farsi troppe illusioni – alzare un po’ l'asticella delle nostre ambizioni; se ciò non possa essere anche favorito, paradossalmente, dalla crisi che abbiamo vissuto e che può contribuire forse a cambiare un po’ il paradigma.
È vero, infatti, che storicamente la politica militare, e quindi anche la spesa militare, è stata interpretata come la rivendicazione di un'autonomia nazionale, e quindi come l'elemento essenziale su cui misurare il proprio ruolo e la propria potenza a livello internazionale; tuttavia, probabilmente dopo la crisi è diventato per tutti, grandi e piccoli, più difficile giustificare presso le opinioni pubbliche nazionali le spese per la politica militare, gli investimenti industriali.
Mi chiedo, quindi, se non esista uno spazio, proprio in questo nuovo scenario, per trasferire a livello europeo un capitolo di spesa comune e immettere nei bilanci europei qualcosa di relativo alla costruzione della tanto attesa difesa europea, consapevoli che questa politica difficilmente nascerà se non al traino di progetti concreti e, quindi, a seguito di una politica industriale europea, con progetti, come quelli che sono stati citati anche nella sua relazione, relativi ai droni o a sistemi d'arma. Su questi si potrebbe applicare quel vantaggio tecnologico attraverso cui le imprese europee e anche l'industria italiana hanno dimostrato tutto il loro valore e tutta la loro potenzialità.
È possibile già nel Consiglio europeo, non dico arrivare a delle decisioni, ma porre il problema di un'inversione di tendenza ?
PRESIDENTE. Do ora la parola all'ambasciatore Cortese per la replica.
ALESSANDRO CORTESE, Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza (COPS) dell'UE. Ringrazio gli onorevoli per le domande ben formulate e a cui non sarà sempre facile rispondere.
L'onorevole Villecco Calipari ha sollevato alcune questioni assolutamente condivisibili. Un elemento importante che forse non ho sottolineato e a cui Lei ha accennato, è l'auspicio statunitense di compiere un passo indietro su certe problematiche. L'invito esplicito, chiarissimo a livello NATO, non a livello europeo perché non ne sono parte, ma indirettamente ci arrivano messaggi in questo senso, è il vivo auspicio – si pensa che, con una politica di sicurezza europea, pesteremmo loro i piedi, ma è il contrario – che l'Europa possa dare un contributo ulteriore alla sicurezza internazionale. Ci incoraggiano a farlo, come fanno alla NATO.
Alla NATO, in maniera piuttosto aperta, se capisco bene, invitano gli Stati membri ad aumentare il bilancio delle spese della difesa perché pensano che non si possa andare avanti così. Quanto al fatto che non riusciamo sempre a fare quello che chiedono gli Stati Uniti, è importante sottolineare che restano un partner strategico e che prendiamo iniziative che vanno nello stesso senso.
Vorrei anche soffermarmi sulla concretezza di cui si parlava poco fa. Concordo che, ovviamente, i Consigli europei non sono spesso modello di concretezza, ma in questo caso la Comunicazione della Commissione è molto concreta e si inserisce in un dibattito, sempre esistito su queste temi, tra la Commissione, che avanza proposte sempre sull'integrazione, e gli Stati membri, che invece talvolta resistono.
Appoggiamo le proposte della Commissione e questo è già il segnale italiano che Pag. 27siamo favorevoli a muovere un passo avanti. A questo punto, mi collego a quanto diceva l'onorevole Garofani, che è assolutamente vero: paradossalmente, siamo aiutati dalla crisi. L'onorevole ha colto perfettamente la situazione. Certi discorsi prima della crisi non si potevano proporre in nome della difesa, della moneta e della sovranità nazionale. Peraltro, abbiamo ceduto la moneta, quindi potremmo anche fare qualcosa nel campo della difesa. La crisi, invece, ci ha messo di fronte al problema di come mantenere più o meno le stesse capacità a fronte di tagli sempre più incisivi. L'onorevole Villecco Calipari mi faceva notare che sono stati incisivi prima: adesso lo sono un po’ meno, ma ci sono. In ogni caso, rispetto a dieci anni fa ci sono stati importanti riduzioni.
Alcuni Stati membri fino a poco tempo fa non avrebbero mai accettato certi discorsi e, invece – questo è un altro elemento interessante – la Comunicazione della Commissione, almeno a livello di esteri e di difesa, ha ricevuto un'accoglienza piuttosto positiva e qualche amico in Commissione, particolarmente del Gabinetto di Tajani, non voglio dire con sorpresa, ma era piacevolmente impressionato perché si attendevano un po’ più di bastoni tra le ruote.
Lì ci sono proposte concrete: il sostegno alle piccole e medie imprese è ben inserito; l'idea di avere un mercato e un'industria della difesa più integrati è compreso. Sono tutte questioni molto sensibili e delicate, ma ripeto che molti Stati membri hanno fatto uno sforzo per superare la questione.
Mi ricollego alla domanda dell'onorevole Basilio. La Commissione interviene soprattutto sul «civile» più che sul militare, per cui le questioni che solleva sono correttissime. La Commissione si rivolge al mercato in generale, ma anche molto alle imprese cosiddette a duplice uso, cioè a quelle a tecnologie a duplice uso, che quindi hanno applicazioni militari e civili, ma molto civili.
I droni, ad esempio, il cui stesso nome fa pensare all'uccisione del leader di Al-Qaeda, in effetti hanno delle importanti applicazioni civili, dal controllo del traffico al controllo delle frontiere, meteorologico e così via. Al contempo, hanno importanti ripercussioni sull'industria nazionale.
Abbiamo delle tecnologie dell'industria piuttosto avanzate, per cui riteniamo di poterci giovare di questo sostegno della Commissione.
A mio avviso, la concretezza esiste, naturalmente nei limiti del possibile, ma dobbiamo adoperarci perché al Consiglio europeo quanto è scritto nella Comunicazione della Commissione sia tradotto in seguiti operativi.
Anche quella del libro bianco è un'idea nostra. Non compare nel documento della Commissione né in quello di Lady Ashton, per la verità, ma è un'idea che dà la misura almeno dell'intenzione dell'Italia di essere concreti.
Comprendo perfettamente quanto diceva l'onorevole Basilio, ma sul versante europeo non si agisce tanto su sistemi d'arma – magari esistono anche delle applicazioni – quanto verso il mercato della difesa, dell'industria in senso lato, dell'indotto, delle piccole e medie imprese per le quali, Lei stessa lo ha sottolineato, è molto importante che abbiano un sostegno per l'occupazione e per la crescita.
Siamo in un periodo di crisi: quello che il presidente Van Rompuy ha in mente sin dall'inizio è che dobbiamo sviluppare tutti i settori economia. L'industria della difesa, anche in senso lato, è un settore di grande importanza, che contribuisce in maniera enorme al PIL. Avevo letto delle percentuali elevate del PIL europeo, basate sull'indotto di tutto quanto gira attorno alla difesa, che ribadisco presentare applicazioni civili estremamente importanti e di grande rilievo.
L'onorevole Basilio insisteva, molto giustamente, sui sistemi d'arma, sul fatto che occorre spendere di più sulla ricerca. Come sa, nell'Unione europea c’è un Consiglio ricerca: sono un po’ meno coinvolto nel dibattito nazionale, ma posso assicurarle Pag. 28che a Bruxelles sono tutti settori sono seguìti e sviluppati nella maniera più avanzata possibile.
Sono, dunque, assolutamente aperte le porte alle Sue osservazioni, ma credo che anche in ambito nazionale, nell'ottica europea, l'idea sia proprio di sviluppare un'economia legata al mercato della difesa, non in particolare al sistema d'arma o al cannone, ma in maniera coordinata ed efficiente dal punto di vista economico.
Spero di aver risposto a tutto.
PRESIDENTE. Ringrazio ancora l'ambasciatore, che è stato esauriente ed esaustivo, per la cortesia e per la disponibilità che ci ha dimostrato.
Credo che, sicuramente, in vista del Consiglio europeo di dicembre, ma anche nell'attività della Commissione, dato l'interesse per i temi europei, troveremo il modo per proseguire questa collaborazione, che sicuramente è stata di grande utilità e preziosa per il prosieguo dell'indagine conoscitiva e dei lavori della nostra Commissione.
La ringrazio ancora e ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 12.45.